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"Tre" progetto drammaturgico
di Luigi Gozzi

 

Schema generale:

Disposizione scenica 
può essere usato qualsiasi palcoscenico, anche se è meglio privilegiare un palcoscenico decisamente ravvicinato al pubblico, per es. un palcoscenico a pianta centrale o analogo. Comunque i tre attori si dispongono inizialmente nel seguente modo: due (A e B) in una zona centrale (penso che questo sia opportuno almeno per cominciare) o evidente (ad es. per mezzo dell’illuminazione), approntata sommariamente (mobilio, attrezzeria, se occorrono); da un’altra parte del palcoscenico si colloca il terzo attore (C); le due zone devono essere chiaramente definite e tra di loro non direttamente comunicanti. Non si consigliano però sbarramenti o pareti il cui superamento o scavalcamento assumerebbe quasi certamente un valore particolare. Può venire la tentazione (io ce l’ho) di una scena a scomparti, magari su più piani, ma probabilmente, a parte le più ovvie complicazioni, è una tentazione da respingere perché troppo delimitante sia nel senso dello spazio fisico sia in quello immaginario. E anche perché i due spazi, il n.1 (A e B) e il n.2 (quello di C), di scena in scena, di momento in momento, devono cambiare di collocazione, cioè pur rimanendo sempre due, devono poter cambiare sempre di posizione; detto in altre parole lo spazio plurimo o meglio duplice non deve essere preordinato, mentre è certamente frammentario; questa disposizione del palcoscenico o luogo scenico, che è stata pensata inizialmente per una nuova sintassi dello spettacolo, deve favorire un tipo di attenzione dell’attore, e probabilmente di concentrazione, che tenga presente con forza il sistema relazionale in atto. 

Funzioni degli spazi
nello spazio n.1 dovunque esso venga a trovarsi fisicamente deve svilupparsi la forma dialogica tra due personaggi; lo spazio n.2 è riservato ai monologhi del terzo personaggio; attenzione a non interpretare lo spazio n.2 come uno spazio secondario. 

Funzioni degli attori
grazie al rapporto di compresenza dei due spazi che, si ricordi, sono comunque e sempre complementari, si considera che gli attori sono svincolati dalla necessità e dalla presupposizione di dover e poter interpretare solo un unico personaggio; a questo punto è infatti relativamente facile inventare e stabilire per convenzione l’esecuzione da parte dell’attore di rapide metamorfosi, nell’ambito delle possibilità che via via si presentano, verso altri ruoli, contigui ma anche opposti al precedente, o anche al ruolo che si sarà stabilito abbia una dominanza. L’attore/gli attori saranno indotti a mutare anche in modo radicale la prospettiva, il punto di vista, il focus su quanto essi vengono via via esponendo scenicamente, e l’efficacia di tali cambiamenti sarà loro assicurata grazie alla saldezza ma anche alla flessibilità dell’impianto fondamentale (due dialoganti da una parte e un monologante dall’altra). E’ ovvio a questo punto che, a meno di non voler irrigidire l’azione in pura ripetitività (artificio che solo a margine può essere preso in considerazione), così come abbiamo parlato della mobilità dei due spazi (n.1 e n.2), anche la posizione dei tre attori, A,B,C risulterà anch’essa mutevole, nella opportunità che alla seconda scena (in senso temporale) C occupi il posto di B e viceversa (dialogo A- C; monologo B). Di qui combinazioni, ripetizioni ecc. di varia portata e significato. I vari dialoghi (A - B; A - C; B - C) saranno di quando in quando e anche improvvisamente interrotti dall’irruzione del terzo nello spazio del dialogo, così come il monologo potrà essere interrotto dall’intervento di uno dei due dialoganti nello spazio del monologo (caso più raro e difficile, ma anch’esso da praticarsi): comincia un’altra scena.

Articolazione dell’intreccio

si ritiene di aver messo in campo con la nota precedente uno schema che convenientemente applicato, possa dare luogo a un intreccio scenico meno “frontale” e logico-cronologico di quelli abituali. (In questa sede non ritengo opportuno e necessario citare casi che ritengo interessanti e positivi). Alternandosi con molta scorrevolezza i due schemi (quello dialogico-situazionale che ha assoluta necessità del confronto e quello monologico-narrativo a forte carattere solipsistico) possono infatti dare luogo a forme interessanti di procedimento espositivo scenico; la fondamentale, di tipo metalessico, riguarda la possibilità per l’attore, o meglio per la sua presenza di attribuirsi (forse anche di attribuire alle cose, gli oggetti circostanti), con operazioni/decisioni più o meno rapide e brusche o graduali o anche sottintese, ruoli diversi , già ricoperti da altri (e quindi da rielaborare nella trama complessiva o del tutto nuovi, episodici o duraturi); l’atteggiamento non è poi tanto distante da quello in cui l’attore più tradizionale avverte e fa vedere la coerenza/incoerenza del personaggio di cui si è incaricato, il momento in cui esso, il personaggio appare dilaniato-dilatato-differenziato dalle sue contraddizioni. Si faccia la semplice riflessione che anche qualsiasi parlante e tanto più un attore può, sia monologando sia dialogando, svolgere anche le seguenti funzioni:
- raccontare/inventare in prima persona (io narrante) ciò che è accaduto o deve accadere o forse può accadere; 
- raccontare/ipotizzare se stesso in terza persona c.s.;
- impersonare (con camuffamento o meno) un altro personaggio, e grazie a questa sua mascheratura (o menzogna) entrare in contatto con altri (altre persone, altri ambienti...); nel nostro caso l’effetto è raddoppiato dall’ irruzione nell’area degli altri/dell’altro.
Un’altra tecnica o accorgimento largamente applicabile riguarda l’utilizzo della dimensione temporale, in particolare per quanto riguarda la durata e l’ordine cronologico, senza dimenticare che l’osservanza dei normali criteri cronologici investe solitamente il rapporto di causa-effetto. La possibilità che si vuole inventare è di comprimere e allargare la durata cronologica in scena (artificio peraltro già usato ma da riprendere e da approfondire), di usare liberamente forme di tipo anacronico (sia analessico sia prolessico) e, come conseguenza, non osservare obbligatoriamente quello che viene considerato l’ordine usuale e causale. Naturalmente tutte queste considerazioni non possono lasciar indenne il sistema normalmente usato per il movimento e la gestualità degli attori, che va rivisto e maggiormente articolato.

Complicazione
lo schema complessivamente proposto consente l’utilizzo e la messa in campo di astanti (o parte di pubblico) in posizione privilegiata cioè con possibilità di intervento saltuario. A prima vista può sembrare un intervento che stia a metà strada tra il Pirandello della maturità e il solito coro cosiddetto classico, e certo modelli di questo genere non sono del tutto estranei alla presente proposta. Ma la drammaturgia sottintesa è diversa, e vorrebbe tener presente le modalità attuali di essere presenti (attanti) a uno spettacolo, la loro varietà e complicazione che comprendono istruzioni preliminari (il programma di sala, l’abito da società prescritto ecc.), istruzioni successive (dove sedersi o spostarsi, quando applaudire ecc.), la possibilità di utilizzare strumenti di riproduzione o di memorizzazione (la foto, la cinepresa ecc.), che finiscono per dare allo spettacolo diversa dimensione dal puro e semplice accadimento o evento. 

Considerazione finale
questa veloce esposizione, nell’avanzare uno schema rappresentativo diverso dal consueto si propone due scopi diversi anche se tra loro collegati. Il primo riguarda le modalità di costruzione dello spettacolo teatrale che appaiono oggi frequentemente rigide oppure al contrario banalmente slabbrate, abbandonando schemi spettacolari di grande interesse tentati nella contemporaneità. Da questo punto di vista la proposta riguarda nella sua prassi effettiva (cioè se mai verrà posta in atto) una verifica della effettiva disponibilità all’esibizione e alle sue mascherature. E’ infatti un po’ inutile continuare a parlare di “doppio” e di doppiezza come elemento fondamentale dell’esibizione senza farlo diventare un elemento importante e significativo nell’esibizione stessa. Secondo obiettivo: sul palcoscenico si può agire, come è noto, solo instaurando delle regole (convenzioni); probabilmente oggi abbiamo l’esigenza (noi pubblico, noi attori insieme) che le regole inventate, trovate, abbiano rapidamente una verifica, diventino effettivamente linguaggio usabile, praticabile. Di volta in volta si allarga l’ambito della performance; nel caso specifico si vuole suggerire e tentare l’apparizione organizzata di un attore multiplo narratore... 
TRE comincia adesso a produrre spettacoli, ma credo che anche le note teoriche siano suscettibili di sviluppi e aggiunte. Sono gradite osservazioni da chiunque sia interessato (se proprio vuole anche da chi non è interessato) . Luigi Gozzi si propone di ampliare queste tre prime paginette.

Spettacolo prodotti a partire dallo schema TRE

20 gennaio 1998 - Teatro delle Moline
CERIMONIA
di Marcello Fois
regia di Luigi Gozzi
con Marinella Manicardi, Mirella Mastronardi, Filippo Morelli
scena di Bettina John, costumi di Elisabetta Muner
musiche di Antonia Gozzi

26 marzo 1998 - Teatro delle Moline
QUIZ
di Mario Giorgi
regia di Mario Giorgi e Luigi Gozzi
con Nicola Bortolotti, Giulio F. Janni, Marinella Manicardi
scena di Davide Amadei

19 gennaio 1999 - Teatro delle Moline
VIA DELLE OCHE 
di Carlo Lucarelli
regia di Luigi Gozzi
con Marinella Manicardi, Mirella Mastronardi, Andrea Caimmi
scena di Davide Amadei
musiche di Antonia Gozzi