15 GRAMMI

un atto unico di

MIRKO DI MARTINO


PERSONAGGI

Due sorelle: ANNA 
CLAUDIA 


La scenografia è estremamente scarna: in scena ci sono un paio di sedie, un piccolo tavolo e, a destra, una piantina poggiata su un trespolo.

All’apertura del sipario, al buio, una voce fuori scena, il più possibile neutra, recita le seguenti parole: 
VOCE FUORI SCENA Giovedì 3 marzo. Ore 17.15. Come da procedura, il paziente viene trasferito al quarto piano. Le sue condizioni sono stabili. 

Si alzano le luci. In scena c’è Claudia che, in piedi, sta telefonando con il cellulare. E’ piuttosto agitata e preoccupata. Dopo qualche secondo Anna risponde all’altro capo del telefono, ma il pubblico non può ascoltare la sua voce.
CLAUDIA cos’è questa storia?... si, sono io. Allora, che significa?... lo sai di che parlo. Dov’è?... si, sono a casa. Sono appena arrivata e papà non c’è. L’infermiera mi ha detto che l’hai accompagnato a fare una vacanza, ma non è… no, adesso è andata via, sono sola. Che vuol dire che … no, non mi calmo! Che vuol dire che l’hai portato in vacanza?... ah si? e allora mi spieghi come fa un uomo praticamente paralizzato ad andare in vacanza?... ma che stai… si può sapere dove siete, adesso?... come “in ufficio”? E papà?... mi stai prendendo in giro?... no! non è tutto a posto! Voglio sapere che sta succedendo!... no, non aspetto che torni a casa! Lo voglio sapere adesso!... non mi importa niente che devi lavorare! Voglio sapere dove lo hai… (Anna riattacca) Pronto?... Pronto?... 
Si abbassano le luci fino al buio. 

Di nuovo la stessa voce dell’inizio.
VFS ore 18:37. Le condizioni del paziente continuano ad essere stabili. Come da procedura, gli viene richiesto di dare un’ulteriore conferma. La risposta è positiva. 
Si rialzano le luci. 

Claudia è seduta. Anna è a destra, di spalle, e sta innaffiando la piantina con una bottiglia di plastica.
CLAUDIA (con evidente rabbia a stento trattenuta) così! All’improvviso.
ANNA (le risposte di Anna arrivano tutte con un po’ di ritardo, come se fossero dette controvoglia) non all’improvviso. 
CLAUDIA cioè?
ANNA ci abbiamo messo un po’ di tempo ad organizzare tutto.
CLAUDIA quanto tempo?
ANNA un po’.
CLAUDIA che vuol dire “un po’”? Una settimana, un mese, un anno? Quanto?
ANNA che importa?
CLAUDIA quanto? (Anna tace) Rispondi! Quanto?
ANNA qualche mese.
CLAUDIA (stupita) qualche mese?… E perché non mi hai detto niente? (Silenzio. Anna continua a occuparsi della pianta) Non ci posso credere: organizzavate questa cosa da qualche mese e non mi avete detto niente. E quando pensavi di dirmelo?... Eh? Quando?... O magari pensavi di non dirmi proprio niente? Se non fossi passata a trovare papà, oggi, non lo avrei mai saputo. E’ così? (la guarda) e smettila di innaffiare quella pianta! E’ da quando sei tornata che la innaffi.
ANNA ha bisogno di molta acqua.
CLAUDIA è troppa.
ANNA non è troppa.
CLAUDIA gliene stai dando troppa. Non vedi?
ANNA (con irritazione) va bene così.
CLAUDIA fai come ti pare… (cerca di calmarsi) Allora, potrei almeno sapere perché hai portato papà in questa clinica? E in Svizzera, poi. Che bisogno c’era di arrivare fin là? (silenzio) Ci sei andata da sola?
ANNA c’è andato in taxi.
CLAUDIA (allibita) in taxi?... Lo hai mandato in taxi? da solo?
ANNA avevo il telefonino dell’autista.
CLAUDIA e allora?
ANNA l’ho chiamato spesso. 
CLAUDIA si, ma in taxi!
ANNA è andato tutto bene.
CLAUDIA ma in taxi! Perché non me lo hai detto? Lo avrei accompagnato io. (Anna la guarda) Beh? Che hai da guardarmi così? Non mi credi? (Anna ritorna a occuparsi della pianta) L’ho sempre accompagnato, tutte le volte che ho potuto… certo, ho il lavoro che mi impegna, ma… e poi tu hai sempre voluto fare tutto da sola, non mi hai mai chiesto niente… le cose si chiedono, sai? Se uno ha bisogno di una mano deve chiederlo, perché se no come si fa a sapere che… ma tu non mi hai mai detto niente. Nemmeno stavolta mi hai detto niente.
ANNA (la guarda di nuovo) stavolta lo ha voluto papà.
CLAUDIA ecco, vedi? Tu e papà siete uguali, mi avete sempre esclusa da tutto. (Anna si volta di nuovo verso la pianta) Ogni cosa che bisognava fare o decidere non mi avete mai fatto sapere niente: sempre a complottare tra di voi, a coltivare i vostri segreti, a nascondermi le cose. (guarda Anna, che continua a interessarsi solo alla pianta) Nemmeno mamma ha mai potuto capirci niente. Quella povera donna si è sentita sempre una specie di alieno, in casa nostra. E da quando si è separata da papà ed è andata via, per voi è come se non fosse mai esistita. (Claudia guarda Anna, che sembra ignorarla) Mi ascolti? (silenzio. Anna continua a innaffiare la pianta) E basta con questa pianta! (si lancia addosso a Anna e le strappa di mano la bottiglia dell’acqua) Non vedi che la stai affogando? (Anna la guarda, in silenzio. Claudia è imbarazzata. Si calma) scusa… non è per la pianta, è solo che… vorrei che mi ascoltassi… scusa (le restituisce la bottiglia e si allontana).
ANNA questa pianta sta soffrendo. Aveva bisogno di molte cure e io invece l’ho trascurata.
CLAUDIA non le davi l’acqua?
ANNA gliela davo.
CLAUDIA prendeva poca luce?
ANNA non è questo. Non basta che ti ricordi di metterci l’acqua o di spostarla verso il sole. Queste cose la nutrono, ma non sono sufficienti a tenerla in vita.
CLAUDIA di che altro ha bisogno?
ANNA di una persona che le dia amore, di qualcuno che si prenda cura di lei e che lo faccia con attenzione.
CLAUDIA è solo una pianta. 
ANNA ti sbagli.
CLAUDIA ah si? E come mai è così speciale?
ANNA me l’ha regalata papà.
CLAUDIA (la guarda, poi va a sedersi) beh, che ha detto mamma di questa “vacanza” di papà? (nessuna risposta) Allora? (silenzio) Lo sa, vero? (silenzio. Claudia è stupita) Non lo sa! Non le avete detto niente! (Anna esce e va a posare la bottiglia) Lo vedi allora che è proprio come dicevo io? Nemmeno in questo caso avete pensato di dirle niente… (è colpita da un’idea improvvisa) aspetta. Ma se non lo sa nemmeno mamma, chi è rimasto con papà, adesso? (Anna rientra e la guarda) Lo hai lasciato solo? (Anna va a sedersi. Claudia è incredula) Lo hai lasciato solo... Non ci posso credere! Lo hai davvero lasciato solo.
ANNA è lui che ha voluto così.
CLAUDIA (stupita) papà?... e perché?
ANNA ne aveva bisogno.
CLAUDIA (sempre più stupita) ma come… che vuol dire?... Senti: io non ci sto capendo niente. Mi dici che ci è andato a fare in questa clinica?
ANNA (la interrompe) come mai sei venuta, oggi?
CLAUDIA (è colta di sorpresa) oggi?... beh… Che c’è di strano?
ANNA quando è stata l’ultima volta che sei passata a trovare papà?
CLAUDIA beh…
ANNA vediamo… (cerca di ricordare) otto giorni fa?
CLAUDIA (è imbarazzata) io… volevo passare, ma…
ANNA (c. s.) o forse nove…
CLAUDIA ho avuto molto da fare, e così…
ANNA (c. s.) è stato di mercoledì, quindi… 
CLAUDIA ma ho sempre telefonato, e tu mi hai detto che era tutto normale.
ANNA (c. s.) si, nove giorni fa.
CLAUDIA (con rabbia) non ha importanza, adesso! (Anna resta in silenzio) Avevo da fare, d’accordo? Non potevo passare. Punto! Adesso mi dici per favore che c’è andato a fare papà in Svizzera? Qualche nuova cura?
ANNA lo sai che non c’è nessuna cura.
CLAUDIA (resta un attimo interdetta) beh… ma allora che c’è andato a fare?
ANNA (un breve silenzio) che ore sono?
CLAUDIA (guarda il suo orologio) le sette.
ANNA le sette?
CLAUDIA quasi.
ANNA (ripete tra sé) le sette.
CLAUDIA le sette, si. E allora? Ti decidi a spiegarmi che sta succedendo? 
ANNA a quest’ora lo avranno già averlo trasferito al quarto piano.
CLAUDIA al quarto piano? Che c’è al quarto piano? (silenzio) Anna? (silenzio) Che c’è al quarto piano? (silenzio) 
Si abbassano le luci.

VFS ore 18.59. Al paziente, nel pieno possesso delle sue facoltà, viene richiesto di compilare la dichiarazione di volontarietà, che viene registrata e archiviata con il numero di protocollo 3-6-0.

Si riaccendono le luci. Le due sorelle sono sedute al tavolo.
ANNA La sclerosi laterale amiotrofica colpisce le cellule nervose che trasmettono i comandi per il movimento dal cervello ai muscoli. Le mani…
CLAUDIA mi parli della malattia di papà, adesso? 
ANNA (continua come se non avesse sentito) le mani sono spesso colpite per prime, ma con il passare del tempo anche gli altri muscoli vengono paralizzati a poco a poco, finché la malattia assume una distribuzione simmetrica su tutto il corpo. 
CLAUDIA lo so benissimo di che si tratta.
ANNA (c. s.) Il malato assiste lucidamente alla perdita progressiva delle proprie capacità di movimento: nella fase avanzata della malattia non riesce a muovere più nessun muscolo, ad eccezione degli occhi. 
CLAUDIA ma papà non era ancora a questo punto. Lui…
ANNA (c. s.) La speranza media di vita è di due anni. Il malato resta cosciente fino all’ultimo di tutto quello che gli succede: sente che lentamente, giorno per giorno, il suo corpo gli appartiene sempre di meno, sempre di meno, e lui non può farci niente. (pausa) La morte di solito avviene per soffocamento (pausa).
CLAUDIA (non capisce, ma è sempre più preoccupata) perché mi dici queste cose?
ANNA è assurdo come una sciocchezza qualunque possa cambiarti la vita, e distruggertela: un banalissimo fastidio alla mano, qualcosa che non sai cos’è, ma a cui a malapena dai peso; ci convivi per giorni, per settimane, poi ti fai visitare, così, tanto per fare qualcosa di diverso, e dopo una settimana ti scrivono su un pezzo di carta tre parole: sclerosi laterale amiotrofica. E da quel momento la tua vita non vale più niente. Cos’è cambiato rispetto a un minuto prima?
CLAUDIA perché mi dici queste cose?
ANNA ricordi quando il mese scorso ho portato papà a Milano, per l’intervento per la sonda gastrica?
CLAUDIA si, per assumere liquidi per alimentarsi, così poi… 
ANNA non è per alimentarsi che papà si fece impiantare la sonda.
CLAUDIA come no?
ANNA papà non aveva nessuna intenzione di sopportare un intervento del genere solo per riuscire ad alimentarsi. Non gli importava già più.
CLAUDIA ma come non… e allora perché si è fatto operare?
ANNA il primo contatto con la clinica svizzera l’ho avuto l’anno scorso. L’ho trovata su internet e l’ho chiamata. Il medico si è fatto mandare la cartella clinica di papà e, dopo averla esaminata, mi ha detto che nelle condizioni in cui era non sarebbe stato possibile… (non trova le parole) nelle sue condizioni, papà non era in grado nemmeno di bere e così… ci voleva una sonda gastrica per assumere il barbiturico.
CLAUDIA barbiturico?... (comincia a capire) ma… che è andato a fare in Svizzera? (silenzio).

Si abbassano le luci.
VFS ore 19:05. Come da procedura, al paziente vengono somministrate 30 gocce di Paspentin contro i conati di vomito.

Si rialzano le luci.
Claudia è seduta, con il viso tra le mani e i gomiti sul tavolo. Anna le è seduta di fronte.
ANNA (con una specie di sorriso) la clinica è molto bella: è un grande palazzo chiaro, all’interno di un parco. Ha una ventina di appartamenti distribuiti su quattro piani. Sono tutti molto puliti, e silenziosi. Non somiglia a un ospedale, per la verità. Sembra più un centro-benessere. Pensa che c’è pure un salone per i massaggi. I medici e il personale sono tutti molto gentili. L’ambiente ti trasmette una sensazione di tranquillità. Le persone che entrano lì sembrano tutte… serene. Credo che anche papà sia stato sereno, quando è entrato. La stanza dove… la stanza al quarto piano è arredata in maniera semplice: ci sono due lettini rivestiti di una copertina verde, c’è una candela al centro e c’è la musica di un cd, dolce e diffusa, che accompagna… quelli che… e sul davanzale c’è una pianta. Un geranio.
CLAUDIA (solleva la testa, incredula) un geranio? Papà è andato in quella clinica a farsi uccidere e tu mi parli del geranio, del cd e del centro massaggi? Sei impazzita?
ANNA di cosa dovrei parlare?
CLAUDIA ma come di cosa…? sei impazzita. Siete impazziti tutti e due! (si alza in piedi) Bisogna fare qualcosa! (le si avvicina) Dammi il numero della clinica: bisogna fermare tutto.
ANNA non si può.
CLAUDIA si che si può
ANNA papà ha deciso.
CLAUDIA dammi quel numero.
ANNA è troppo tardi.
CLAUDIA dove ce l’hai, nella borsa? (fruga con furia nella borsa di Anna. Ne tira fuori il contenuto) E’ qui che ce l’hai? Eh?... E’ qui? (non lo trova). Dov’è? Dov’è? Dammi quel numero!
ANNA è troppo tardi.
CLAUDIA (afferra la sorella con violenza, urlando) dammi quel numero! (silenzio. Anna guarda Claudia come se fosse assente. Claudia la lascia e indietreggia, spaventata dall’indifferenza di Anna) non ti importa… a te non importa più niente… (si siede) E’ pazzesco… è pazzesco… (Anna si alza, prende dal tavolo una lettera che Claudia ha tirato fuori dalla sua borsa poco prima e la dà alla sorella). Cos’è?
ANNA è per te.
CLAUDIA per me? (la prende e la guarda).
ANNA dovevo dartela più tardi, quando ti avrei chiamata per dirti di venire qui.
CLAUDIA è di papà?
ANNA leggila.
CLAUDIA (la apre e la legge, tra sé. Al termine della lettura resta per un po’ in silenzio. Ha appena avuto la conferma che suo padre è andato a morire. E’ commossa e addolorata, ma anche delusa. Poi a Anna, con molta difficoltà) E’ la tua scrittura, questa.
ANNA me l’ha dettata lui ieri sera. 
CLAUDIA (si trattiene a fatica dal piangere, sia per il dolore che per la rabbia) e… è tutto qui? (Anna tace) E’ tutto qui quello che aveva da dirmi? (legge in fretta, per mostrare ad Anna le ragioni della sua delusione) “cara figlia, a quest’ora saprai già tutto. Mi dispiace di averti dato questo dolore, ma vorrei che mi credessi se ti dico che in questo momento, adesso che sto per partire per il mio ultimo viaggio, sono davvero felice, come non lo ero stato più da tanto tempo… Io, nelle mie piene facoltà mentali, vado in Svizzera per riflettere e poi deciderò di porre fine alla mia sofferenza… Ti voglio bene” (silenzio). E’ tutto qui? Tre righe su un pezzo di carta? Nient’altro? (guarda tra la roba sul tavolo e nella borsa. E’ sempre più agitata) Nemmeno una spiegazione, un messaggio per… per farmi capire, per dirmi… per dirmi che lui… per dirmi… non lo so! qualunque altra cosa! Non c’è niente? (Anna tace ancora. Claudia si risiede. E’ molto addolorata e ferita) Niente. Non ha sentito nemmeno il bisogno di spiegarmi… Perché?... Perché non mi ha detto niente?
ANNA non avresti capito.
Si abbassano le luci fino al buio.

VFS ore 19:16. Come da procedura, il paziente assume volontariamente 15 grammi di fenobarbital sodico mediante sonda gastrica.

Si riaccendono le luci. 
CLAUDIA (parla tra sé, ad alta voce) che dirà la gente quando si saprà in giro? Perché si saprà di sicuro, non sono cose che si possono tenere nascoste. Magari ne parleranno anche i giornali. Sai come si divertiranno a raccontare di papà che se ne va in una clinica svizzera per farsi uccidere? Che vergogna!... E come farò a tornare al lavoro? A guardare in faccia i colleghi? Sarò la figlia di uno che si è ucciso, e che si è ucciso in questo modo. Sono macchie che non si tolgono, queste. Me la porterò dietro per tutta la vita. E anche tu. Non ce ne libereremo più! Come hai fatto a non pensarci? Come hai potuto permettergli di fare una cosa simile? Dovevi impedirglielo.
ANNA ha fatto la sua scelta.
CLAUDIA ma che scelta? Uno nelle sue condizioni non è in grado di scegliere, non si rende conto di quello che fa.
ANNA papà è rimasto sempre lucido.
CLAUDIA non c’entra niente la lucidità. In una situazione del genere era normale che pensasse al suicidio, ma non voleva uccidersi veramente. 
ANNA e tu che ne sai?
CLAUDIA perché nessuno vuole mai uccidersi veramente! E’ solo depressione. Ci sono dei momenti in cui tutto appare inutile, senza speranza, e in quei momenti si farebbe qualunque cosa perché la mente non funziona più: ci si sente abbandonati, si vive in una specie di follia e si dicono tante cose, ma sono solo dei momenti che poi passano se c’è qualcuno che ci sta accanto. Sarebbero passati anche per papà.
ANNA lui sapeva che non era così.
CLAUDIA non sapeva niente! Era solo depresso! Tu dovevi confortarlo, fargli credere che fosse ancora possibile guarire.
ANNA non c’era nessuna possibilità.
CLAUDIA ma non dovevi farglielo capire! Dovevi fargli credere che ci fosse, invece. Ai malati non si dice la verità, gli si mente, gli si è sempre mentito. Sempre! E’ per il loro bene, perché hanno bisogno di credere in qualcosa, di credere di poter guarire. E’ di questo che aveva bisogno papà, e tu dovevi incoraggiarlo, dovevi dirgli…
ANNA (la interrompe, con rabbia) cosa? Che aveva una bella cera? Che presto sarebbe riuscito a camminare con le sue gambe? Che sarebbe tornato più forte di prima?
CLAUDIA (è confusa dalla reazione di Anna) beh… no, però…
ANNA ogni mattina, appena si svegliava, papà mi ripeteva sempre la stessa domanda: “come sto”? E io ogni mattina lo guardavo con la speranza che stesse meglio, e invece ogni mattina lo vedevo peggiorare. Ma ai malati bisogna mentire, come dici tu, per il loro bene. E allora gli dicevo una bugia qualunque, e cercavo di sorridergli, ma lui si accorgeva che mentivo: me lo leggeva negli occhi. 
CLAUDIA la debolezza è una colpa, in questi casi. Dovevi trovare la forza di mentirgli.
ANNA hai mai provato a mentire a una persona che ami più di te stessa? Hai mai provato a dirle che va tutto bene quando invece vedi che sta morendo e non puoi fare assolutamente niente per impedirlo? Credi di poterci riuscire, tu?... (Claudia tace) Io l’ho visto consumarsi giorno per giorno, per due anni, due lunghissimi anni, e gli sono rimasta sempre vicino. Ma tu, invece? Dov’eri tu quando lui aveva bisogno di te? Dov’era mamma? Dov’erano gli amici? Dove eravate tutti?... Lo avete lasciato solo. 
CLAUDIA (dopo un breve silenzio) io… io volevo venire, ma tu… tu mi hai sempre tenuta lontana.
ANNA io?
CLAUDIA si, tu! Mi hai fatta diventare un’estranea per papà. Lo hai sempre voluto tutto per te.
ANNA ma che stai dicendo?
CLAUDIA sempre! Anche adesso!
ANNA non sai di che parli.
CLAUDIA lo so benissimo, invece! Sei sempre riuscita a farti volere più bene di me. 
ANNA non hai capito niente.
CLAUDIA e mi hai sempre esclusa…
ANNA io?
CLAUDIA … fino al punto da impedirmi di vederlo un’ultima volta prima di morire. 
ANNA cosa? Ma come fai non vedere che papà mi ha fatto giurare di non dirti niente solo perché non voleva che tu soffrissi?
CLAUDIA (incerta) io… io non…
ANNA ha caricato tutto sulle mie spalle, come ha sempre fatto. Perché sei sempre stata tu la ragazza da coccolare, da accudire, mentre io sono sempre stata quella ubbidiente, quella forte. Così forte che non mi è stato mai risparmiato niente. Nemmeno questo.
CLAUDIA restare accanto a tuo padre malato?
ANNA (la guarda) trovargli un modo per uccidersi.
Si abbassano le luci fino al buio.

VFS Ore 19.26. Il paziente viene addormentato. Il fenobarbital comincia a fare effetto. Si registra un progressivo indebolimento delle funzioni vitali.

Si riaccendono le luci. 
CLAUDIA non ce la facevo… vedere papà in quelle condizioni, lui che era stato sempre così forte e che adesso non riusciva nemmeno a reggere un cucchiaio… vederlo soffrire in quel modo senza poter fare nulla… fargli una domanda sapendo di non dovermi aspettare nessuna risposta… non ce la facevo… e allora ti telefonavo, e inventavo le scuse del lavoro, e qualunque altra scusa potesse andar bene, innanzitutto con me stessa: senza ammetterlo cercavo tutti i possibili impegni che mi avrebbero impedito di venire a vedere la sua debolezza, la sua decadenza… la sua agonia… ma poi mi pentivo, sapevo che avrei dovuto essere qui accanto a lui, anche solo a stringergli la mano. E volevo venire a trovarlo, a confortarlo, a dargli sicurezza, ma di nuovo non ce la facevo… non ce la facevo… (Anna la guarda, in silenzio. Claudia è evidentemente a disagio sotto il peso del suo sguardo) Lo so, lo so quello che pensi: tu mi disprezzi.
ANNA non ti disprezzo. 
CLAUDIA si, invece. Lo so che dovevo stare vicina a papà, aiutarlo. Lo sai anche tu e me lo stai rinfacciando.
ANNA ma no! Io non…
CLAUDIA ma non credere di essere così diversa da me, tu. Non sei così perfetta, non sei migliore di me. Io almeno sono stata sincera, adesso. Dovresti esserlo anche tu, basta con questa ipocrisia. 
ANNA che significa? 
CLAUDIA hai capito. Lo hai detto tu stessa che questi sono stati due lunghissimi anni. Per te papà era diventato un peso, ormai: dovevi occuparti di lui ventiquattr’ore al giorno, non ce la facevi più, non volevi più farlo e allora… hai trovato questa soluzione.
ANNA (stupita e ferita) come puoi dirmi questo?
CLAUDIA una soluzione comoda. La sua morte è stata una liberazione, per te.
ANNA (c. s.) non puoi pensarlo sul serio.
CLAUDIA è così. Tanto che non ci hai pensato due volte quando hai potuto liberartene. Come hai potuto? Che razza di figlia sei? Che razza di figlia è una che cerca su internet una clinica dove ammazzano la gente e poi dice al padre: “ecco, vai pure, è tutto pronto, devi solo spingere un bottone”?
ANNA non sai quello che dici.
CLAUDIA e hai avuto il coraggio di mandarlo via in taxi! In taxi, Anna! Lo hai abbandonato lì come un cane, lo hai lasciato da solo a morire e te ne sei andata al lavoro, come se niente fosse. Che razza di persona sei, tu? Come hai potuto fare una cosa simile?
ANNA (con rabbia) lo sai come stava papà negli ultimi giorni?
CLAUDIA se pensi che questo possa…
ANNA era diventato una specie di larva. Non faceva altro che prendere medicine, in continuazione. Soffriva molto e non c’era niente che potessi fare. Era immobile, a letto. Non si muoveva più, non riusciva quasi più a parlare, non riusciva più a dormire, e perfino leggere un giornale gli era diventato impossibile perché non aveva più nemmeno la forza per voltare le pagine.
CLAUDIA e allora lo hai spinto a uccidersi.
ANNA no! Io avrei fatto qualunque cosa pur di fargli credere che potesse ancora farcela, pur di fargli ricominciare a provare interesse per qualcosa. Ho rinunciato alla mia vita per darla a lui: ogni sera gli raccontavo tutto quello che avevo fatto durante il giorno, le persone che avevo incontrato, quello che mi avevano detto, quello che io avevo detto a loro. Ero arrivata al punto di vivere le mie giornate solo per poterle raccontare a lui la sera, ma non serviva a niente. Lo vedevo spegnersi ogni giorno di più, sempre di più, e perdere ogni giorno un po’ di quel poco di forza che gli rimaneva.
CLAUDIA dovevi dargliela tu la forza. Dovevi aiutarlo a superare…
ANNA papà era già morto. Aveva iniziato a morire il giorno in cui aveva scoperto che alla malattia non c’era nessuna cura. Era già morto ed era cosciente di esserlo. Che c’è di peggio? Che c’è di più orribile che sentire per mesi e mesi che la vita ti sta lasciando, un pezzetto al giorno, e che non puoi farci proprio niente?
CLAUDIA non è vero, si può sempre fare qualcosa. Si deve. 
ANNA la malattia…
CLAUDIA era incurabile, si, ma non si può mai sapere quello che succederà. E se papà fosse guarito?
ANNA non poteva guarire!
CLAUDIA e se ci fosse stato un miracolo? Che ne sai? I miracoli esistono, possono sempre succedere, ma bisogna crederci, avere fede fino alla fine, fino all’ultimo. Forse papà sarebbe sopravvissuto, doveva resistere, doveva sopportare il dolore, accettarlo come una prova da superare con l’aiuto delle persone che gli volevano bene. Non doveva perdere la speranza.
ANNA speranza! Quanto ti piace usare questa parola! Vuoi sapere qual era l’unica speranza che restava a papà dopo aver scoperto che non sarebbe mai guarito? La speranza di morire. Morire davvero. Solo questo desiderava: abbandonare una vita che non era più niente, né vita e né morte. Quando gli ho detto di aver trovato la clinica dove avrebbero esaudito il suo desiderio è stata l’ultima volta che l’ho visto sorridere.
CLAUDIA ma papà non ragionava più, il dolore era insopportabile, e tu non gli davi nessun motivo per sopportarlo. Lui era nelle tue mani, dipendeva in tutto da te. Avrebbe fatto qualunque cosa tu gli avessi detto, e tu gli hai detto di uccidersi.
ANNA non gli ho mai detto di uccidersi!
CLAUDIA ma non gli hai detto di non farlo!
ANNA non sai di che parli.
CLAUDIA è come se glielo avessi detto! E’ come se lo avessi ucciso tu!
ANNA stai delirando.
CLAUDIA è colpa tua! lo hai ucciso tu!
ANNA smettila!
CLAUDIA lo hai ucciso tu!
ANNA smettila!
CLAUDIA lo hai ucciso tu!
ANNA (urla) smettila! (Claudia tace, colpita dalla violenza dell’urlo) Tu non sai niente! (cerca di calmarsi) Una sera di gennaio, quando anche la cura con le cellule staminali aveva fallito e non c’era più nient’altro che potessimo fare, ma ancora non sapevamo niente di nessuna clinica svizzera, papà era a letto, immobile. Non sembrava diverso dalle altre sere, né più vispo né più spento. Solo immobile. Io gli stavo parlando della mia giornata, come al solito, e lui stava ascoltando, come al solito. A un certo momento mi toccò la mano e mi fece segno di ascoltarlo. Erano giorni che non parlava più, ormai, nemmeno una parola, nemmeno per salutarmi, e quella sera mi toccò la mano per farmi segno di tacere e di ascoltarlo, perché voleva dirmi qualcosa. Lì per lì ne fui felice, pensavo che fosse un buon segno, che volesse ricominciare a comunicare, almeno con me. Allora mi avvicinai al suo viso, per non farlo stancare, e lui mi chiese… mi avvicinai e lui mi chiese… di ucciderlo… A me, a sua figlia… Mi chiese di ucciderlo, in quel momento, con le mie mani… E quando gli dissi che non avrei mai potuto farlo mi rispose che non ero una brava figlia, che non gli volevo veramente bene, che se gli avessi voluto bene avrei dovuto avvelenarlo. Io continuavo a dirgli di no, che non poteva chiedermi una cosa simile, e lui continuava a chiedermelo. Lo fece per giorni e giorni, e insisteva, insisteva, e poi cominciò a insultarmi, a dirmi che ero una stupida, un’ingrata, che dovevo andarmene di casa, che voleva solo te al suo fianco. 
CLAUDIA (quasi in silenzio, ormai) e tu non mi hai chiamata... io lo avrei aiutato, gli avrei fatto cambiare idea. E anche se avesse continuato a chiedermelo io non avrei ceduto, perché è sbagliato uccidersi. E poi farlo così, in una clinica svizzera, da solo, in mezzo a dei perfetti sconosciuti. Sarebbe morto comunque, poteva morire qui, con noi, a casa sua. Con un’efficace terapia del dolore non si sarebbe accorto di nulla. Non sarebbe passato molto tempo, ancora. Lo avremmo accudito noi… dovevi aiutarlo, dovevi impedirgli di fare questa sciocchezza, dovevi fargli capire che sbagliava…
ANNA dovevo ucciderlo.
Claudia la guarda, atterrita.
Si abbassano le luci, lentamente.

VFS ore 20.06. Il medico constata la morte del paziente, avvenuta nel pieno possesso delle facoltà di intendere e volere, mediante interruttore attivato dal paziente stesso con la mano destra, ancora parzialmente funzionante. Ore 20:12. Vengono avvertiti i parenti.
Squilla il telefonino di Anna. 

Si riaccendono le luci. Anna risponde.
ANNA pronto?
Si spengono le luci di colpo. 

FINE


Roma, 16 dicembre 2003 – 31 marzo 2004