L’AcquaSantissima, ultimo giorno di don Salvatore

di Francesco Aiello e Fabrizio Pugliese

© 2019. Tutti i diritti sono riservati

 

 

«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà;
se ce n’è uno, è quello che è già qui,
l’inferno che abitiamo tutti i giorni,
che formiamo stando insieme.
Due modi ci sono per non soffrirne.
Il primo riesce facile a molti:
accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.
Il secondo è rischioso ed esige attenzione ed apprendimento continui:
cercare e saper riconoscere chi e cosa,
in mezzo all’inferno, non è inferno,
e farlo durare,
e dargli spazio.»

Italo Calvino

 

 

Prologo

 

Sarò una chiazza di vomito,
un rivolo di sangue rappreso,
un’unghia incarnita,
un tumore,
una morte improvvisa,
una risposta negata,
sarò l’urlo del prepotente,
il braccio violento del potere,
sarò la frusta che lacera la schiena dello schiavo,
sarò l’angolo più buio.
Non chiederò perdono.
Ho fatto non quello che è giusto ma l’unica cosa che si doveva fare.
Quello per cui sono stato creato,
quello per cui tu mi hai creato.

 

 

Scena 1

 

S’è annuvolato in montagna… Li aveva fatti due giorni buoni e mo’… È venerdì santo. Nostro Signore muore. E pure il cielo si mette a lutto. Ma non piove. ’U Patreterno s’indigna ma non piange. Aspetta il momento giusto per fare giustizia. E quel momento arriva per tutti, no? Pure per me deve arrivare. Mia moglie qua ci voleva fare una stanza-armadio… Dice: «Non è abbastanza grande per farci uno studio e non è neanche piccola per farci un ripostiglio, chiudiamo ’sta finestra…». No, no che si vede così bella la montagna, e poi a me mica mi serve tutto ’sto spazio! Io qua ci vengo per… pensare, per decidere. Prego a San Michele e alla Madonna che possano sempre guidare la mia mano. Tutto ’sto spazio non mi serve. Mo’ certi amici hanno preso ’st’abitudine: quando facciamo le riunioni ci accolgono dentro ’sti saloni grandi, con ’ste tavole imbandite. E che ci dobbiamo fare, un festino? Noi siamo qua per prendere decisioni. Non è per i soldi, per comprare cose, per la roba che ho fatto quello che ho fatto. E mi pareva che eravamo tutti d’accordo. Ma i tempi cambiano.
Una volta, quando qui sotto da noi, se non avevi studiato, crepavi di fame, e pure che avevi studiato crepavi di fame, una volta lavoravamo per il pane. E mo’? Lavoriamo per lo champagne? Tutto ’sto lusso non ci fa onore. Io, ancora oggi, il pane lo benedico prima di metterlo in tavola. Poi lo mangio. Quand’ero ragazzo mi faceva impressione: il pane è il corpo di Cristo. Facevo il chierichetto. E quando al prete gli dovevo portare le ostie consacrate o le ampolle, le gambe mi tremavano. E se mi vanno a cadere? Poi ho capito che quello che facevo era una cosa importante. Ho cominciato a camminare, bello dritto, con la pisside in mano e l’ampolla. Tutti mi dovevano vedere. Poi ci ho fatto l’abitudine. La paura passa. E quando ci ripensi non te lo spieghi perché quella cosa ti faceva paura. A tutto si fa l’abitudine. Lo facciamo tutti. Tutti i giorni. Ero bravo a fare il chierichetto. Mia madre ogni tanto ci provava: «Perché non ti fai prete?».
Papà girava la testa dall’altra parte. E io dicevo: «Ma’, ma io mi voglio sposare»…
«E pure i preti si sposano, con Gesù Cristo.»
«Quelle sono le monache, ma’.»
«E allora pensa che ti sposi con la Madonna.»
«E i nipoti? Non li vuoi i nipoti?»
E quando le dicevo così, mia madre cutuliava ’a capu. E pareva che aveva capito. Poi, però, i nipoti non sono arrivati lo stesso. Il Signore non ha voluto. Ci abbiamo provato, a tempo suo, con mia moglie, ma niente…
A me ’sta cosa mi ha dato sempre dispiacere. Mia moglie, col tempo, se n’è fatta una ragione. Io lo dovevo capire dalla prima volta che l’ho vista che aveva ’sto carattere. Era un giovedì santo. C’era stata la lavanda dei piedi. Mi piaceva ’sta funzione. Gesù Cristo, il Figlio di Dio, l’uomo più potente della terra, si inginocchia e si mette a lavare i piedi degli Apostoli. E pure a Giuda. Il traditore. Però, finita la funzione, il pensiero mio era di andarmi a fumare una sigaretta, dietro la chiesa. Tenevo ’sto vizio. Ma non mi piaceva farmi vedere in giro. Non sta bene che un ragazzino si fa vedere con la sigaretta in bocca. Il prete lo sapeva ma pure lui fumava. E non sta bene che un prete fuma. Eravamo complici. Mentre mi fumavo la sigaretta, è passata mia moglie con le amiche sue.
«Tu sei Salvatore, il figlio di don Peppe?»
Non mi ha dato neanche il tempo di rispondere.
«Ti ho visto che fai il chierichetto, sei bravo.»
Ed è finita là. Se n’è andata ridendo. L’avevo capito che non era una battuta innocente. Io pensavo alle sigarette… ero un poco fessacchiotto. Mi piacevano le femmine. Ma avevo la testa da un’altra parte… Avevo ’sti due vizi: le sigarette e le motociclette. Poi con le sigarette ho lasciato stare subito. Le sigarette fanno male. Il corpo è un dono di Dio e va trattato con rispetto. Le motociclette però non fanno male a nessuno. E con i primi soldi di picciotto ho comprato il vespino. Poi il lavoro è diventato di più, sono diventato locale, ed è arrivata la moto Guzzi. E quando sono diventato capobastone uno sfizio me lo sono voluto togliere: mi sono comprato una Yamaha XS650B. Una moto bellissima. Ancora la tengo conservata in garage. Ma una moto così bella non l’avevo presa per fare l’atteggio, come facevano certi amici. Prendevano ’ste moto grosse, passavano veloci, impennavano… No, stupidaggini. Io ci giravo per le strade di montagna, oppure ci andavo in campagna. Andavo a controllare gli ulivi, le arance. Ma, atteggio o non atteggio, dal paese ci dovevo passare. E capita che un amico ti vede e ti ferma. Perché magari ti deve dire una cosa importante. E se ti ferma un amico non gli puoi dire di no. Sono obblighi che abbiamo tra di noi. Ho lasciato la moto lì davanti, con le chiavi attaccate e mi sono messo a parlare con questi amici. Quando torno alla moto ci trovo ’sto ragazzino. La guardava, si studiava il motore, accarezzava il sellino di pelle, il manubrio, il freno, la frizione. Attaccato al serbatoio c’era una calamita di San Michele Arcangelo. E il ragazzino tocca pure quella.
«È San Michele Arcangelo. Lo sai, no?»
Quando si gira il ragazzo mi guarda negli occhi e diventa bianco in faccia. Spalanca la bocca ma non dice niente.
«Ti piacciono le moto?»
Mi fa sì con la testa. Ma non riesce ancora a parlare. E gli ho detto: «Te lo vuoi fare un giro? Però guido io» gli dico. Per fare una battuta, per fargli capire che non mi ero arrabbiato. E perché? Ma bianco era e bianco rimaneva. Lo faccio salire e metto in moto. Però guido piano. Perché pure se glielo dicevo lui non si teneva. Appena appena mi sfiorava. Pareva che si spaventava di rompermi. Quando l’accompagno a casa gli dico: «Ma tu non sei il figlio di Pasqualino Miceli?».
E finalmente il ragazzino parla: «Sì, sono Santino».
«Bravo, come tuo nonno. Santi’, se ti è piaciuto il giro e te ne vuoi fare un altro, passa da casa mia che mi fa piacere. Tu lo sai dove abito, no?»
«Sì, lo so. Grazie. Don Salvato’!»
«E sai pure come mi chiamo…»
Quando ho detto ’sta cosa è tornato di nuovo bianco, ha ricominciato a tremare.
«Vai, vai… e passami a trovare quando vuoi fare un giro in moto.»
Santino Miceli. Suo padre era stato ammazzato. Storie di appalti. Questioni tra famiglie. Cose che succedono. Era rimasto solo con la madre. E non sta bene che un ragazzino cresce senza padre. Senza un uomo che t’insegna l’educazione. Io figli non ne avevo avuti. E così ho deciso di prendermene cura io. Non passa neanche una settimana da quella volta che una mattina apro la porta e me lo trovo davanti casa.
«Buongiorno don Salvatore.»
«Bravo Santino. Sei venuto? E andiamoci a fare un giro.»
Ce ne siamo andati in campagna, da me. Gli volevo spiegare come si cura l’orto, come si taglia la cicoria… di sbieco e non di piatto se no quella non ricresce… come si zappa intorno alle piante dei pomodori, come si stendono i fili per le piante dei cetrioli. Ma io parlavo e lui, con un occhio, sempre alla moto se ne andava.
«Santi’, dai che ci facciamo un altro giro. Però stavolta tieniti, perché io accelero» gli ho detto. E ho cominciato ad accelerare. E lui, finalmente, ha stretto forte. Mi ha abbracciato. Da quel giorno ogni settimana siamo saliti in campagna. Però, quando si è fatto più grande, io zappavo e lui… avanti e indietro con la moto. Tutto gli ho insegnato. Tutto. Come si tiene pulito il motore, come si scelgono le ruote giuste…
Quando si è fatto giovanotto, un giorno mi ha chiesto: «Zio Salvato’, perché non mi fai fare qualche lavoro con te?».
Era furbo, il ragazzo. Come a scuola, ché non studiava granché, ma riusciva sempre a farsi promuovere.
«E tu perché vuoi lavorare con me?» tanto lo sapevamo tutti e due di che si stava parlando.
«Devo badare alla famiglia» mi ha detto.
La risposta mi era piaciuta. Perché alla famiglia ci ho sempre pensato.

 

 

Scena 2

 

Diventerai un fiore, Santi’. Ma la cravatta non te la sei messa? Vabbè, tu sei giovane, non c’è bisogno. Però, abbottonati la camicia. Che vuol dire ’sto petto di fuori? E ricordati che quando siamo là tu ti devi comportare bello educato. Ti ricordi quando ti ho portato a vedere i monaci, che pigliavano i voti? Che silenzio che c’era. Com’erano concentrati. Facevano i movimenti precisi a inginocchiarsi, a prendere la benedizione. Perché lo sapevano che la vita loro l’avrebbero data a Nostro Signore.
E pure per te è la stessa cosa. Fai conto di essere uno di quei monaci. Solo che la chiesa tua sarà l’onorata società. Anzi è più di una chiesa. Perché un prete, un monaco, si possono spogliare. Tu no. Tu sei e resterai dell’onorata società. Pure che t’arrestano, che pigli moglie, che t’ammali… solo da morti se ne esce. Io ti parlo ma tu non mi stai sentendo. Che occhi rossi che tieni… Mi pari un poco stonato. Ma che hai fatto ieri sera? Vi siete ubriacati? Guarda che questa non è una cosa da festeggiare con gli amici. È una cosa importante. L’onorata società è come una pianta. C’è il fusto, il rifusto, il ramo, il ramoscello e il fiore. Delle foglie fottitene, che quelle si seccano e cadono. Pure il fiore cade ma quello è il primo passo, la prima dote che viene concessa. E tu stasera, Santi’, diventerai un fiore.
Giovanotto, cosa cercate? ti chiederanno.
Sangue e onore, umilmente risponderai.
Ne avete sangue? Ti urleranno.
Ne tengo e ne dispongo, dovrai dire.
Chi vi ha detto che esiste questa società?
E non farai il nome di tuo padre, quello morto ammazzato. Ma il mio, il padre che ti ha cresciuto e ti ha insegnato l’onore.
Il pane che mangerai diverrà piombo e il vino che berrai diventerà sangue.
Ti guarderanno storto. Ma non avere paura.
Piombo e sangue se ci tradirai.
Ma tu non ci tradirai, Santi’. È vero che non ci tradirai? Giuramelo. Giuramelo ora. Giuralo a me prima che all’onorata società. Io non voglio pentirmi di averti battezzato una seconda volta. E questa volta per sempre. Giuramelo.
Bruceranno un santino che raffigura Michele Arcangelo che con la spada taglia e ritaglia Bene e Male. Giusto e Sbagliato. Lo bruceranno per metà, raccoglieranno la cenere in un piatto. Incideranno col coltello una croce sul tuo dito. Tre gocce di sangue è quello che serve per firmare il patto. Con la cenere fermeranno il sangue, bruceranno nelle tue mani l’altra metà dell’immagine. E tu sarai battezzato. Diventerai un fiore. E poi non sarai più niente e sarai tutto, sarai l’onorata società.

 

 

Scena 3

 

Non eravamo più niente, ed eravamo tutto. Eravamo l’onorata società. E decidevamo Giusto e Sbagliato secondo le regole del buonsenso. O col piombo, per chi tradiva la buona condotta morale. Come il prete della chiesa dei Santi Cosma e Damiano, il prete che officiava i nostri riti sacri, ma poi aveva le puttane che lo aspettavano in sagrestia, e tradire Dio è tradire noi stessi. Dovevamo ammazzarlo quel prete, perché la nostra giurisdizione morale è più grande di quella economica e politica, e non potevamo accettare che il nostro onore venisse infangato da ’nu parrino depravato e quattro baldracche. E per ammazzarlo fu incaricato l’unico di noi che aveva studiato in seminario, gli piaceva farsi chiamare ‘La mano di Dio’… E noi gli perdonavamo questa mezza bestemmia, perché davvero era infallibile… riusciva a sparare dalla motocicletta in movimento con due pistole, che se falliva la destra, non sbagliava la sinistra. E con la sinistra ha sparato al prete, in mezzo agli occhi, da dietro l’altare.
E poi fu sempre ‘La mano di Dio’ ad ammazzare il padre di Santino. E pure quella era una cosa che non si poteva evitare, ché lo sgarro fatto richiedeva inevitabilmente la morte. Gli fu data una statuetta dei santissimi medici e ‘La mano di Dio’ capì, e non ci fu altro da dire. Il giorno della festa dei Santi Cosma e Damiano, all’uscita dal santuario passò con la sua moto, giusto il tempo di rallentare, mirare e lasciare il corpo steso sulla scalinata, un colpo in testa e due al torace…
Lo tenevamo in palmo di mano, lo amavamo, ma certe volte ci faceva paura, proprio per quella sua infallibilità.
Ma poi anche ‘La mano di Dio’ può sbagliare, per superbia, per vanità e perché quel libero arbitrio di cui Nostro Signore ci ha fatto dono, non sempre porta ad azioni corrette, e liberamente si prese l’arbitrio di uccidere un bambino… che lo aveva guardato mentre lui ammazzava il segretario del partito dei ladri.
Lo uccise nelle sue scarpette nuove, nel suo vestitino buono, devastandogli il viso, perché ancora non hanno inventato un calibro adatto ai bambini.
Lo uccise tenendolo fermo con una mano perché era un bersaglio troppo piccolo persino per la sua mira.
Lo uccise perché superbamente dubitò della sua innocenza di bambino – il piccolino non avrebbe detto nulla, ché la sua famiglia era una famiglia a posto – … così, solo per la vanità di sentire il potere di decidere giusto e sbagliato. E noi non potevamo permettere che venissero meno i cardini della nostra giurisdizione morale!
Fummo in tre a fermare ‘La mano di Dio’, tre capofamiglia. Durante una cena in campagna, il primo gli tagliò la gola, il secondo gli cavò gli occhi ed io gli conficcai la lama nel cuore, senza il rumore cafone, tamarro delle pistole. Con le nostre stesse mani, pregando San Michele Arcangelo.

 

 

Scena 4

 

È brutta la morte. A guardarla, dico. È una cosa che non ci fai tanto l’abitudine. Gli occhi che si spengono, la pelle che pare che diventa di legno, il colore della faccia sempre più pallido. L’atto in sé non è un problema. Sparare, quello non mi fa impressione. La pallottola che entra, il sangue che esce. La lama che si conficca nella carne. Questo no, non è un problema. Il dopo. Quando lo devi caricare sulla macchina, nascondere il cadavere. È faticoso e certe volte fa pure schifo. Piscio, vomito. Dopo che sono morti i tessuti si rilassano e fanno uscire gli escrementi. Non è per tutti così, però. Ci sono quelli che ci prendono gusto, che non riescono a fare a meno di ammazzare. Io no. La prima volta che mi hanno mandato a fare un lavoro di questi, mi sono preparato a dovere. La notte prima mi sono fatto una bella dormita. La mattina mi sono detto un rosario, mi sono lavato, pettinato, vestito. Mi sono fatto la barba. E mi sono messo gli occhiali per evitare di sbagliare a prendere la mira. Dato che era la prima volta, mi hanno mandato a fare una cosa facile. Questione non di affari, ma di onore. Un ragazzo che lavorava in campagna e che era andato a letto con una donna che proprio non doveva toccare. C’era uno che mi accompagnava, uno più anziano, guidava una 127 bianca. Quando siamo arrivati in campagna, c’era un silenzio… Non c’era nessuno. Solo quel giovane che caricava cassette di finocchi su un camion. Quello anziano frena, accosta e mi dice solo: «Vai». Io sono sceso, con la pistola in mano, mi sono messo dietro di lui e ho aspettato. Non gli ho sparato alle spalle. Quando si è girato, l’ho guardato e ho premuto il grilletto. L’ho preso in piena fronte. Lui è finito steso a terra, in mezzo all’erba. Il sangue ha sporcato tutti i finocchi. Io mi sono avvicinato per controllare che fosse morto e l’ho guardato negli occhi. È lì che ho avuto la conferma dell’esistenza di Dio. In quegli occhi prima c’era un’anima. Pure che era brutta, l’anima di un infame, ma comunque c’era. E dopo invece è diventato solo un pezzo di carne. L’anima se l’era ripresa Dio. E adesso ci faceva quello che voleva. Pure io, prima o poi, sarei diventato un pezzo di carne. E pure l’anima mia se la sarebbe presa Nostro Signore. Mi sono fatto il segno della croce. Non so se stavo chiedendo perdono per me o per lui. E poi ho sentito il motore della 127 che si accendeva. Ho voltato le spalle al cadavere e sono andato via. Non era stato un omicidio, ma un sacrificio. Un sacrificio per un ordine superiore. E lo so che Dio mi perdonerà.

 

 

Scena 5

 

Santi’, ma tu la domenica a messa non ci vieni mai? Guarda che è una cosa importante. Non solo perché è la messa della domenica. Ma ti fai vedere. Ti conoscono. La gente capisce che stai con me. Gli amici che lo sanno che t’hanno fatto picciotto mi chiedono: «E Santino?». Dorme, dico. Che lo so il sabato sera che fate con i compagni tuoi. E pure che faccio finta di niente, pure che certe cose che non mi piacciono te le faccio passare, io so tutto. La cocaina, i locali dove andate a bere e non pagate mai, le negrette sulla superstrada… Devi cominciare a ragionare, a farti rispettare. Gli altri si devono fidare di te. Non devi combinare casini. E poi ’sta cocaina che dai ai compagni tuoi te la fai pagare o gliela offri tu?… mmm… questo è un affare serio, non te lo scordare. Abbiamo fatto tanti sacrifici per arrivare dove siamo adesso e se vogliamo continuare a mantenere la posizione non dobbiamo dare troppo nell’occhio. Non voglio che qualcuno degli altri capofamiglia mi bussi alla porta per dirmi: «Vedi che Santino si fa vedere troppo in giro». Tu vedi a me che esco? Che vado a fare festini? E non è che non me lo posso permettere. È che così si è sempre fatto e così si deve continuare a fare. Invece regalare cocaina alle amichette tue… trova un posto di lavoro a qualcuno e quello ti sarà fedele per sempre. Fai la carità a una famiglia in difficoltà… compragli pane, zucchero, caffè… e la prossima volta che ti vedono per strada ti fanno l’inchino. La cocaina la devi regalare ai politici, agli imprenditori. Ma quella è questione d’affari. E mo’ che ti sei svegliato, mangia, fatti una doccia e alla messa del pomeriggio vacci. Pure che non ti vede nessuno, che c’è poca gente, così cominci a farti vedere. E ti pigli la comunione.

 

 

Scena 6

 

Proprio non mi piace vedere tutti ’sti giovani sballati, che si sprusciano i soldi che guadagnano in un mese in una serata sola? Ma è il mercato che funziona così. Lo stato non vende pure le sigarette? E quelle non ammazzano? Se c’è richiesta, la cosa si vende. A noi ce l’hanno chiesto. L’eroina era brutta davvero. Ed era dappertutto. Mamme di famiglia che venivano da me a chiedere consiglio per i figli. Le pigliavano a pugni le mamme per farsi dare qualche diecimila lire. Ma all’epoca quella doveva girare e quella facevamo girare. Non è che lo sceglievamo noi. Io non sapevo neanche che faceva l’eroina. Non l’ho mai provata. E nessuno dei capofamiglia l’ha mai toccata. Ce lo chiedevano e noi eravamo gli unici che si potevano prendere l’affare e ce lo siamo presi. Con la cocaina è la stessa cosa. Ai primi viaggi che facevamo in Colombia, ci accoglievano con un mitra puntato alle spalle e ci trattavano come morti di fame. Loro giravano con elicotteri, jeep blindate. Noi andavamo con un borsone e un cambio di mutande. Ma poi hanno cominciato a fidarsi di noi, hanno capito che noi eravamo l’affare più grosso che gli era capitato. In America facevano soldi a palate, ma noi gli abbiamo aperto le porte per l’Europa. Adesso siamo alleati. In alcuni casi anche di più. A Santino gli avevo presentato una bella ragazza colombiana. Be’, era la figlia di un pezzo grosso. Magari combinavamo un matrimonio. Ma lui ha aspettato, ha aspettato… E, alla fine, ’sta bella figliola se l’è sposata il figlio di don Peppe. La cocaina è tantissima ma pare che nessuno si accorge di niente. Non t’ammazza, la comprano tutti… pure le femmine… però bisogna stare attenti, ti fa sentire un leone ma ti brucia il cervello. E, alla fine, non ne puoi più fare a meno. Ma solo una cosa conta per noi: i soldi. E non per quello che ti ci puoi comprare. I soldi servono perché ti danno la libertà. Quella libertà che solo il potere può dare. Noi non abbiamo bisogno degli altri, siamo liberi. Non abbiamo bisogno di soldi perché ne abbiamo quanti ne vogliamo. A patto di fare le cose per bene, però.

 

 

Scena 7

 

Non eravamo più niente, ed eravamo tutto, eravamo l’onorata società e ci dedicavamo a ristabilire l’ordine delle cose, turbato di volta in volta contro la nostra volontà.
E ’sta nuova Giustizia che inventava processi scandalosi, non per la verità di reati contestati, che a dire la verità erano ben più grandi, ma per la vanità stessa delle accuse, che ci volevano colpevoli, ma di cosa? Di aver esercitato il diritto alla nostra podestà, un diritto antico, sancito da antichi sovrani, ma non per questo meno giusto? E noi lo governavamo questo mondo, ma non col distacco degli amministratori nuovi, ma con la presenza degli antichi padroni.
Ed era a noi che si rivolgevano tutti, in file sempre più grandi nei soggiorni delle nostre abitazioni, e c’ho un figlio militare al nord, e lo facevamo trasferire nella caserma dietro casa, e mia figlia è scappata con un poco di buono, e gli facevamo tornare la figlia a casa e del poco di buono non si sapeva più nulla, e c’ho un malanno ai polmoni e lo mandavamo a respirare l’aria buona nei nostri santuari e la guarigione miracolosa era benedetta dalla santità stessa del nostro operare. Ma stava diventando una corte dei miracoli, e il quartiere una specie di bivacco di disperati in cerca di grazia, e non era opportuno mettersi in mostra come santi alla processione. E decidemmo che a prendersi questi onori da santi ci pensassero gli amici della politica, con loro stringevamo accordi da fiera dei miracoli che loro promettevano e noi, di nascosto, miracolosamente, riuscivamo a realizzare, dalle aziende autonome dell’acqua e del gas ad enti comunali ed opere pie e guai se quello che toccava a loro non rientrava a noi con gli interessi dalla porta di servizio, e ci avanzava pure la pagnotta per i poveri morti di fame.
Ed era così che doveva andare il mondo, o sarebbe crollato sotto il suo stesso peso.

 

 

Scena 8

 

Io mi sono sposato giovane. Ho sempre creduto che è per la famiglia che ti alzi la mattina e ti butti in strada a guadagnarti il pane, a costruire qualcosa di solido, di forte. Ai matrimoni dove vado invitato adesso vedo gli sposi che arrivano all’altare già vecchi. A quanti matrimoni che vado… Se ti invita qualcuno dell’onorata società è un obbligo, non puoi non andare. Poi ci sono quelli che nella società vorrebbero entrare e allora ti invitano per farsi notare. O quelli che gli hai fatto un favore e si vogliono sdebitare. O quelli che ti invitano solo perché ti dimostrano rispetto. Io, se sono invitato, una busta, un pensiero glielo faccio sempre. E se non sono stato invitato… pazienza! Ci sono pure persone che con noi non hanno avuto niente a che fare, non hanno mai dato problemi. Ed è così che si deve fare, se una famiglia non ha mai avuto a che fare con noi, si sono fatti sempre i fatti loro, non hanno mai dato disturbi. E, allora, perché dovrebbero invitarti?
Quella domenica passo davanti alla chiesa e vedo uscire due sposi. Giovani. Bravi! Lei era la figlia di un professore del paese. E pure lui era figlio di un professore, ma di un altro paese. Mi dicono che lo sposo era stato compagno di classe di Santino. Quando glielo ho detto Santino mi ha risposto tutto di fretta, che appena si ricordava di questo qui, e che non gliene fregava niente se non l’aveva invitato, anzi, manco ci teneva, e poi quella sera aveva cose importanti da fare, e io non ci ho più pensato.
Invece quella sera, Santino e i suoi amici, pieni di cocaina come cani, si sono presentati alla cena di nozze, hanno cominciato a fare i cretini, a fare battute sempre più pesanti. A un certo punto, Santino ha preteso di ballare con la sposa e ha cominciato a mettere mani dove non è concesso. Quando lo sposo ha provato a dire qualcosa, gli amici di Santino l’hanno preso a palate, l’hanno lasciato mezzo morto, a terra. E Santino, con la pistola in mano, sul tavolo nuziale… ha violentato la sposa. Quando ha finito dice: «La prossima volta un invito sarebbe gradito» e poi se ne vanno. Ma non ci pensi alle conseguenze di quello che fai? Sono arrivati i Carabinieri, hanno cominciato a fare domande, a chiedere. Ma nessuno ha avuto il coraggio di parlare. Avevano tutti paura. Le conseguenze, Santi’… le conseguenze. La sposa, per la vergogna, si è suicidata, lo sposo è impazzito. E pure la mamma della sposa è impazzita, non solo di dolore, pure per la rabbia. Voleva giustizia, ma non è venuta a chiederla a me, no. È andata dal Questore, e tanto dice, tanto fa che ’stu sbirro de merda se la prende a cuore ’sta storia e comincia a tartassare Santino e gli amici suoi. Per cercare un indizio, per incriminarlo. Le conseguenze. E adesso gli altri capofamiglia mi chiedono cosa fare, il casino che ha combinato Santino è troppo grande per essere perdonato… Giuda!

 

 

Scena 9

 

Io la comunione la prendo sempre. Tutte le domeniche. E se non posso andare in chiesa, viene il prete a casa mia. Quando ero latitante, i picciotti mi portavano il parrino al rifugio. Quando stavo in galera, poi, la prendevo tutti i giorni la comunione. C’erano certi tipi in galera… pedofili, mariti che avevano ammazzato le mogli… e pure alcuni di loro venivano alla messa. E prendevano pure loro la comunione. Mi pareva un sacrilegio anche solo il fatto che il corpo di Cristo entrasse nella bocca di uno di quelle bestie. Io ho sempre rispettato la chiesa. Con la parrocchia, il più generoso, per ogni cosa. Quando c’erano lavori da fare, la ristrutturazione della facciata, l’impianto elettrico nuovo, l’organo rotto da riparare… la metà delle panche che ci sono nella chiesa le ho pagate io. Questo mi dava l’onore di essere in prima fila, alla processione, con la statua caricata sulle spalle. Ormai sono passati tanti anni, ma quando le chiese si svuotavano e le sedi dei sindacati si riempivano, chi è che rimetteva ordine? Rispettavamo la chiesa perché la chiesa rispettava noi, capiva che noi siamo gente di onore. Che sa qual è il valore delle regole. Ma se la cosa non è reciproca allora saltano gli schemi. Perché se tu non mi riconosci come figlio di Dio allora anche io non ti riconosco come sacerdote. Sono io che ti spoglio. L’abito talare non lo vedo più, sei un disturbo come tutti gli altri. Quando Santino è tornato a casa quel giorno non sapevo con chi essere più incazzato. Mi ha detto che alla messa c’era andato. Che mi voleva far vedere che adesso mi stava a sentire, soprattutto dopo il casino che aveva combinato. Ma se ne era andato prima della fine della funzione. Perché quando si era messo in fila per prendere l’ostia, arrivato il momento suo, con la bocca aperta e la lingua di fuori pronto ad accogliere il corpo e il sangue di Cristo, ’sto previticchio arrivato da non so dove gli dice che no, a lui non gliela poteva dare la comunione. Sapeva che cosa aveva fatto e se voleva la comunione prima si doveva pentire. Santino ha sbagliato, lo so. Ma questi non sono fatti che gli riguardano. A Santino, in un modo o nell’altro lo metto a posto io. Dovevo parlare con qualcuno che mettesse a posto il previticchio. Mi sono messo in macchina e sono andato dal parroco. Aveva capito che ero incazzato e non riusciva manco a rispondere: «Salvatore, vedi, io non posso limitare l’autonomia dei singoli…». Tu devi, gli dicevo. Devi farlo. Lo sai che basta che dico una mezza parola e la domenica la chiesa te la ritrovi vuota? Ricordati che i fedeli qua non sono solo tuoi. Ce li siamo formati insieme, in tutti questi anni. Lui tremava. Non sapeva che dire, balbettava. «Salvatore», dice, «io a questo punto posso fare ben poco. Non posso neanche smentire. La notizia l’hanno saputa i giornali.»
E questa proprio non ci voleva. Ai noi capofamiglia, se c’è una cosa che proprio ci dà fastidio è che si parli di noi.

 

 

Scena 10

 

Santi’, alzati. Non me lo fare ripetere. Alzati da ’sto cazzo di letto. Adesso tu ti vesti ed esci. Alla messa ci devi andare. Potresti incontrare la madre della sposa? E ci dovevi pensare prima… ci dovevi pensare prima di fare quello che hai fatto. Ma che t’è passato per la testa? Io te l’avevo detto di starti attento con ’sta brutta bestia della cocaina, ma tu non mi sei stato a sentire. Tu pensi che abbiamo fatto tutto quello che ci passava per la testa? Siamo stati furbi. Intelligenti. E lascia stare che la gente pensa che siamo pecorari, ladri di galline, ignoranti. A te solo una cosa ti deve interessare: la verità! E la verità è che sono cent’anni che facciamo quello che cazzo ci pare. Ci spostavamo seduti sulla schiena dei ciucci e mo’ voliamo in prima classe. Due guerre mondiali, vent’anni di fascismo, la strategia della tensione, il terrorismo, la prima repubblica, la seconda, la terza e siamo già pronti per la quarta, la quinta, la sesta… e tutte ’ste rivoluzioni invece di indebolirci ci hanno reso sempre più forti, ci hanno portato a trattare con gente sempre più grossa. Ma questo… questo che stai facendo tu è roba da senza Dio.
Dio a noi ci serve. Per avere delle regole. Per non farci scannare l’uno con l’altro. È una protezione. Tu invece vivi come un animale… anzi, peggio di un animale, quelli lo riconoscono il pericolo. Tu ora ti alzi e vai a messa. No, io non ci vengo. E vediamo se per una volta ti comporti da uomo.

 

 

Scena 11

 

Saggi compagni, dobbiamo discutere una cosa della massima importanza. ’Sto previticchio venuto da non so dove, l’altro giorno ci ha fatto un affronto che non possiamo perdonare. Davanti a tutti si è rifiutato di dare la comunione a Santino, il figlioccio mio, che in vostra presenza, con l’immagine di San Michele Arcangelo bruciata tra le mani, ha giurato di essere fedele all’onorata società. Di modi per mettere a posto il previticchio ne conosco diversi, ma come sapete adesso bisogna essere prudenti, perché qualcuno da fuori, qualche scribacchino è venuto a ficcare il naso negli affari nostri.

… Don Michele, mi permetto di dire che qui stiamo perdendo di vista il nocciolo della questione. Il problema non è Santino, ma il previticchio che facendo offesa a lui ha offeso tutta la società. Che succede se domani la comunione non la vuole dare neanche a voi?

… Lo so, don Peppe, Santino ha fatto una cosa che non doveva fare. E di questo voglio discutere anche con voi tutti, perché una lezione la deve ricevere pure il ragazzo. Ma prima dobbiamo pensare al previticchio.

… Che vuol dire che il previticchio può aspettare? Certo che sono disposto a venirvi incontro. Se volete che la punizione al ragazzo sia pubblica, ci sto. Lo facciamo arrestare e se ne sta un po’ in galera a pensare a quello che ha fatto.

… No, saggi compagni, questo no. Ve lo posso assicurare. Lui non parlerebbe, non tradirebbe mai l’onorata società.

… Che c’entra la cocaina? Lo sappiamo come sono fatti ’sti ragazzi. Non ditemi che i figli vostri non se la scialano pure loro. Sono ancora giovani. Poi metteranno la testa a posto.

… La sposa non la doveva toccare, lo so. È una cattiva pubblicità per noi. Ma la gente poi si scorda. Se facciamo arrestare Santino, l’opinione pubblica è contenta.

… Segnale di che? È questo che volete far capire agli altri? Che per una questione di immagine veniamo meno a un patto?

… Don Michele, il Questore non mi preoccupa, quello non ha niente in mano. Non ci sono prove, non ci sono testimoni. Penso a tutto io.

… La mamma della sposa, quella è normale che fa parole. Ma un giorno si dovrà rassegnare pure lei. Tanto che fa arrestare a Santino mica la figlia torna viva.

… Per questo vi dico di pensare al previticchio…

… Va bene, saggi compagni. Come dite voi, adesso la decisione spetta a me. Il venerdì santo, vi farò sapere quello che ho deciso.

 

 

Scena 12

 

Non eravamo più niente ed eravamo tutto, eravamo l’onorata società. E ’sta madre dolorosa in processione infinita ora dal previticchio ora dal Questore a chiedere giustizia, aspetta la resurrezione della figlia in forma di processo e smania per vedere mio figlio in croce. Ha abbassato armi e corazza da sbirro, il Questore, e si è fatto uomo. Ha cominciato a fottersene dei rapporti da inviare al comando centrale e come uomo, con la rabbia dell’uomo, ha trovato le prove per incriminare Santino. E ’stu previticchio che si arroga il diritto di negare a noi i sacramenti perché quel corpo benedetto spetta a lei, a lei e solo a lei, ché quel dolore infinito la rende innocente, e quindi lontana dalla nostra punizione… e ho paura di non saper più usare gli strumenti del nostro potere: il sesto senso della cattiveria, il settimo della preveggenza, l’ottavo della malignità e tutti gli altri che ci hanno sempre guidato. Ogni giorno, ogni giorno la mamma e il previticchio si trovano in chiesa per pregare. E ora non sono più da soli. E a questi non li può toccare nessuno perché loro sono innocenti e Santino il colpevole, e se vogliamo che la gente continui a credere alla nostra giustizia e a quella di Dio, Santino deve pagare.

 

 

Scena 13

 

S’è annuvolato brutto in montagna. Mo’ se la fa una bella piovuta. Mia moglie dice che non è una bella cosa che l’ho lasciata sola il giorno del venerdì santo. E c’ha ragione. Ma fra un po’ sarà tutto finito.
E poi sono stato io a fare quello che non si doveva fare, ma proprio non me la sentivo di vedere Santino morto… i suoi occhi senza vita. E ho tradito. Prima l’ho nascosto Santino, in un rifugio sicuro. Con roba da mangiare, da bere… una pistola nuova nuova con il colpo in canna… e la cocaina. Poi ho fatto arrivare una soffiata all’orecchio del Questore. Speravo che con tutta quella rabbia che gli era cresciuta in corpo sarebbe stato lui a fare quello che io non avevo il coraggio di fare: sparare un colpo in petto a Santino. Gli avevo servito la vendetta su un piatto d’argento. E questo lo avrebbe avvicinato alla nostra giustizia. Ma è stato furbo il Questore. Un attimo prima di entrare nel rifugio ha detto ai suoi uomini: «Andate voi. Io non vengo. Ho paura che, se me lo trovo davanti quell’animale, gli sparo un colpo in testa. E io non voglio essere come loro». E se n’è andato in chiesa a pregare con la madre, col previticchio… a chiedere perdono. Ché una punizione deve arrivare per tutti, no? Per Santino arriverà in galera, tanto, pure là, un modo per ammazzarlo si trova sempre. Il cerchio si deve chiudere, si deve fare giustizia. L’onorata società è onnipotente. Sa tutto. Vede tutto. E sa pure di noi che ce ne stiamo qua dentro a parlare. E se non lo sa, lo verrà a sapere, qualcuno andrà a riferire. E se non ci toccano è perché non ne vale la pena. Ché queste, per loro, sono solo parole… parole…
Ho sbagliato e ora aspetto la mia punizione.

 

 

Epilogo

 

Sono stato e sarò di nuovo,
sono stato inferno,
sono stato quello che ci costringe a guardare
ma ci rende muti,
sono stato e vorrei non essere più.
Noi non siamo più niente e siamo tutto.