Angelo

di

Roberta Sferzi


Vincitore Premio Tuttoteatro.com alle arti sceniche Dante Cappelletti IV edizione
Vincitore del concorso drammaturgico Per voce sola 2007



NONNA. Venite qui, marmocchi! C'era una volta un povero bambino che non aveva papà e non aveva mamma, erano morti tutti, e non c’era più nessuno al mondo. E siccome sulla terra non c'era più nessuno, ha voluto andare in cielo: c'era la luna che lo guardava così buona; e quando finalmente era arrivato alla luna, quella era un pezzo di legno marcio. E allora è andato dal sole e quando era arrivato al sole, quello era un girasole appassito. E quando arrivò dalle stelle, erano moschini d'oro che erano infilati, come li infila l'averla sul prugnòlo. E come lui voleva tornare sulla terra, anche la terra era una pentola capovolta. E lui era solo solo. E allora si è seduto e si è messo a piangere, ed è ancora lì seduto, solo solo.
(Georg Büchner, Woyzeck)


A Corrado,
senza dubbio


(Angelo, un ragazzino con un berretto in testa, ansima in sella alla bicicletta)

ANGELO - Mi viene da vomitare, mi viene da vomitare,
mi berrei un yogur bifido al carbonchio attivo
per riequilibrare la flora batterica, dopo che ho vomitato.
(All'improvviso, al centro della scena, cade uno zaino dall'alto. Sbalordito, Angelo scende dalla bicicletta e si avvicina, scruta verso il cielo, apre lo zaino e ne estrae un pallone. Inizia a palleggiare)
Io se avevo una sorella la chiamavo F-L-O-R-A,
anche se si chiamava Barbara, o Giovanna o Luisella,
io la chiamavo Flora, perché Flora
è una tipa troppo forte.
Un giorno, no, che a scuola c’era ora buca,
a noi di prima ci hanno lasciato giocare a pallone.
Flora è venuta negli spogliatoi e ha fatto il record,
il record storico della scuola.
(Si ferma in proscenio)
Ci siamo messi tutti in fila come la nazionale
di calcio quando suonano l’inno d’Italia,
ci siamo tirati giù le braghette
e Flora l’ha preso in bocca a tutti.
Almeno dodici pompini di seguito,
in ginocchio, come se pregasse in chiesa.
Non è che siamo venuti tutti, però è stato forte.
(Riprende a palleggiare)
Flora secondo me diventerà avvocatessa,
non so perché ma sono sicuro.
(Pausa)
Io tengo per la Juve.
Juve-Borussia Dortmund, finale di cempions:
Buffon Cannavaro Turam Montero Porrini,
Nedved Deschamps Zambrotta Del Piero,
Treseguez Iacquinta.
La panchina non me la ricordo ancora a memoria.
Fooorza Ju-ve!
(Calcia con forza il pallone verso il fondo. Osserva meditabondo un cagnolino di pezza)
Quella bambina che è stata rapita, no?
Che è rimasta chiusa in cantina
da quando aveva dieci anni
e poi a diciotto è scappata, no?
La verità è che non era stata rapita:
i suoi genitori l’avevano venduta.
Venduta. Ah no? Lei però non è stata male.
Quando è uscita tutti dicevano
che era molto istruita per una della sua età,
perché aveva letto tantissimo.
Secondo me lui e lei si amavano,
ma a diciotto anni - cacchio - tutti vogliono
andare via di casa e vedere il mondo.
E lui non è mica morto subito.
E’ andato su internet e ha conosciuto uno
che voleva uccidere qualcuno
e siccome lui voleva morire
si sono messi d’accordo.
L’uomo di internet se lo voleva mangiare.
Lui ha preso l'aero, è andato in America,
non so dove, si sono incontrati
e quello là gli ha tagliato l’uccello
e l’ha cucinato. E se lo sono mangiati insieme,
guardandosi negli occhi. E poi l’ha ammazzato.
(Calcia con forza il cagnolino di pezza)
Su internet, vara, ci sono delle cose pazzesche.
(Raccoglie una bottiglia di Chivas Regal)
Mi ha detto un mio amico
che ha visto la foto di un gattino allevato in bottiglia.
A forma di bottiglia. Su internet.
L’hanno messo dentro che era appena nato,
gli hanno dato da mangiare con la cannuccia
e lui è cresciuto a forma di bottiglia.
La testa, il corpo, tutto...
Ma non può essere vero… Vero?
Non può essere vero…
Perché tipo i bisogni come faceva a farli
dentro la bottiglia per tanti mesi?
No, non è vero. Poveretto.
Povero gattino imbottigliato!
(Spacca la bottiglia. Trova un mazzo di carte e inizia a giocare)
Quella volta di Flora io non sapevo
che si chiamava pompino.
L’ho saputo da mio nonno per Natale.
Mio nonno si chiama Angelo, come me.
Cioè io mi chiamo Angelo come lui. Quando sono nato
lui non voleva perché diceva che i nomi dei nonni
si danno solo quando i nonni sono morti
se no porta sfiga. Ma mio papà gli ha detto
che lui altre idee non ce ne aveva e che per favore
non rompesse i coglioni e l'ha convinto.
Mio nonno faceva sempre scherzi da prete...
che poi non so perché si dice scherzi da prete.
Che scherzi fanno i preti? Boh.
La sera della Vigilia sono andato a chiamarlo al bar,
perché mia mamma diceva:
- Almeno a Natale, Cristo santo,
una cena come Dio comanda!
In famiglia, tutti insieme... -
E al bar uno che gioca sempre a carte con mio nonno
mi fa, così, per essere gentile:
- E 'ora, Anzeo, cossa te regaea 'sto ano Babo Nadae? -
- Ma non ci credo più a queste cose... -
- Va ben, la mama e il papà alora -
- Bici nuova e pallone -
- Ah, però - fa mio nonno - E un bel pompino, no?
- Non so, cos’è ? -
- Aaah, domandeghe a to mare,
che come ea no 'i fa nisuni... Scopa! -
E io gliel'ho chiesto: - Mamma,
questo Natale mi fai un pompino?
(pausa) Per piacere? -. Pgghh!
Madonna che schiaffone.
(Pausa)
A mio nonno non piaceva mia mamma
e neanche lui a lei. A mia mamma piaceva il Chivas.
(Canta)
“In un mazzo di violet-te/
anche un giglio ci sta be-ne/
Noi vogliamo tanto be-ne/
alla madre superio-ra”.
(Da un sacchetto di plastica estrae una parrucca)
Per fortuna quella volta del pompino di Natale
mio papà non era a casa.
Lui faceva l’infermiere al pronto soccorso,
faceva i turni anche di notte e a casa
non stava quasi mai, solo per dormire
e mangiare, poi neanche per mangiare,
perché la mamma tanto non cucinava più, eh, eh.
La passione di mio papà era la lepdens.
Andava sempre in un posto... un posto fuori...
a tanti chilometri... “Le divine follie”, si chiamava.
“Le divine follie”. Gli piaceva una ballerina russa,
(Indossa la parrucca e accenna qualche movimento)
o ucraina, e un'altra brasiliana, che però la mamma
diceva che era un transvestito:
- Porco! degenerato! Quello è un transvestito! -
E diceva che tiravano cocaina insieme.
Non so chi glielo aveva detto.
- Ti sei bruciato il cervello! Deficente! - diceva.
E al nonno: - E te non gli dici niente a tuo figlio? -
E il nonno: - No! - e andava in camera sua.
(Toglie la parrucca)
La mamma si arrabbiava perché mio papà
spendeva un mucchio di soldi
e raccontava un sacco di balle.
Ha chiesto anche al parroco di farlo ragionare,
di ricordargli le sue responsabilità di marito e di padre
e il valore del sacramento del matrimonio.
Mio papà è andato a parlare con don Tarcisio.
e dopo un po' si è convertito. Ha conosciuto la perpetua,
che era una giovane, e si sono innamorati.
E non è più venuto.
Solo ogni tanto per litigare sui soldi.
E quando lui andava via mia mamma litigava con mio nonno.
Gli diceva: - Te ne devi andare.
Non siamo neanche parenti. Non puoi stare.
Non è casa tua. -
Ma lui non la ascoltava neanche.
Tanto a casa non c'era mai, neanche lui.
Tornava la sera tardi che neanche ti accorgevi.
Mio papà diceva che adesso che erano separati
bisognava vendere la casa e dividere i soldi,
ma la mamma non voleva. Urlavano. Una volta la vicina
ha anche chiamato i carabinieri. Ah, no?
Finché un giorno siccome lui non pagava gli alimenti
il giudice gli ha sequestrato lo stipendio
e allora lui ha cominciato a odiarci
e a volerci morti.
La mamma invece non è più uscita da camera sua.
Era sempre a letto. Non faceva niente.
Ascoltava le canzoni per radio.
E' diventata grassissima.
(Pausa. Lascia cadere la parrucca. Afferra l'asciugacapelli)
Io volevo mettere via dei soldi per comprarle
una cyclette, o un tapirulan da casa,
perché facesse un po’ di sport… oppure
quegli attrezzi là che si vedono nelle televendite.
Il massimo era quell’apparecchio
che tu stai fermo con dei fili elettrici attaccati
che ti danno le scosse ai muscoli.
Così poteva fare sport anche stando a letto, depressa al buio.
Ma non ce ne avevo di soldi.
(Canta facendo roteare l'asciugacapelli)
“Ca-ramba beviamo del whisky/
Ca-ramba beviamo del gin...”.
Ahia. Allora ho chiesto a mio nonno
se potevo andare in cantiere con lui.
Lui era muratore in pensione.
Ma ogni tanto lavorava ancora,
in nero, perché con la pensione
diceva che non si pagava neanche l’osteria.
Stavano facendo un albergo grandissimo,
sette piani vista mare.
Nel senso che dovevi fare sette piani
per vedere il mare.
Hotel Belvedere, si chiamava. Originale.
Io gli portavo la merenda, lo aiutavo un po'
e lui mi dava qualcosa.
Lì erano tutti neri tranne me e mio nonno.
Così mi sembrava un po’ di fare un viaggio all’estero.
Arrivavo da scuola che loro erano in pausa pranzo.
Facevano un tavolo con le assi
e lo mettevano sulla terrazza panoramica.
Ognuno si portava la sua roba da mangiare e da bere.
Non è che parlassero tanto.
Non sapevano neanche bene l’italiano.
E anche tra di loro, avevano lingue diverse.
Però dopo un po’ avevamo fatto abbastanza amicizia,
anche se di poche parole. A me
faceva impressione il bianco degli occhi,
anche i denti, ma soprattutto gli occhi.
Quando arrivavo mi facevano un saluto,
oppure mi davano la mano tipo i giocatori di basket,
“dammi cinque” e robe così. Anche se però
non erano mica negri americani tipo Mike Jordan.
Io gli chiedevo: da dove vieni?
e loro mi dicevano: Senegal, Niger, Camerun, Gabun...
e a casa guardavo nell’Atlante geografico.
E poi gli chiedevo: - Tipo, come si dice, come si dice
il mio nome in senegalese? -
- In wolof? -
- Eh, sì. Angelo, come si dice in ...lof? -
- Maalakà -
- Ah! -
- E Mustafà? E Mamadou? - mi dicevano loro.
- Mustafà si dice Mustafà, uguale... e Mamadou...
lo stesso, uguale, Mamadou... - E ridevano.
Mamadou era il più simpatico di tutti.
Ogni tanto raccontava delle storie veramente assurde.
Tipo. Un giorno mamma coccodrillo dice al figlio coccodrillo
che è tanto malata e che sta per morire
e per guarire le serve un cuore di scimmia.
Allora il coccodrillino attraversa il fiume
e su una palma trova una scimmia
e le dice che sull'altra sponda del fiume
ci sono un sacco di palme piene di cocchi
e se vuole ce la porta. E la scimmia: - Va ben -
Allora la scimmia monta in groppa al coccodrillo,
ma quando sono in mezzo al fiume lui
si immerge sotto acqua e allora lei urla:
ma sei scemo, affogo così!
E lui dice: appunto, così muori.
A me mi serve il tuo cuore per mia mamma
che è malata. E la scimmia gli dice: ma io il cuore
non ce l'ho qui con me, l'ho lasciato su sulla palma.
E allora tornano a prenderlo.
Ma quando arrivano là, la scimmia
si arrampica in cima alla palma come un razzo
e gli dice: se vuoi il mio cuore
vieni a cercarlo. Tiè! Fine della storia.
Da morir dal ridere, vara.
Ma insomma era simpatico.
Passavamo il tempo.
Poi però è sparito e non si è più visto.
Mio nonno mi ha detto che oramai
si era fatto un sacco di soldi
e aveva deciso di tornare al suo paese,
dalla sua famiglia, e comprarsi il mercedes
e farsi una bella villa con piscina.
Mi ha detto che mi mandava anche una cartolina
con l'indirizzo... Però non mi è mica mai arrivata.
E poi dopo un po' i carabinieri
sono venuti a chiedere a mio nonno
se lo conosceva e gli hanno mostrato la foto
e gli hanno chiesto se lavorava in cantiere.
E lui ha detto che a parte che erano tutti uguali,
ma quello lì era sicuro, ma proprio sicuro
che non l'aveva mai visto in vita sua.
Io volevo... Però sono stato zitto.
“Vai, distruggi il male e vai...”
(Pausa)
Il lavoro non era difficile,
più che altro portavo secchi...
Se arrivava il capocantiere mollavo tutto
e andavo a giocare col cane da guardia. Ariston.
Era un bastardone trovatello. L'avevano
trovato due che passeggiavano vicino alla discarica
Avevano sentito come dei guaiti, dei lamenti,
che venivano da dentro un frigorifero
chiuso e sigillato con lo scotch,
avevano aperto e dentro c'era 'sto cane
morto di paura, con le zampe di dietro
legate col filo di ferro. L'hanno tirato fuori
e l'hanno portato al rifugio. Si è salvato
per un pelo. E al rifugio l'hanno curato
e hanno deciso di chiamarlo Ariston. Per via del frigorifero.
E poi il cantiere lo ha adottato, per far la guardia.
Oh, chissà a Rex cosa gli sarà successo...!
Comunque il lavoro è durato poco,
perché mio papà si è arrabbiato.
Perché lui da piccolo era stato costretto
a fare il manovale, che non gli piaceva.
Si era dato da fare per studiare come infermiere
e adesso suo figlio finiva a fare il manovale
coi neri? coi marocchini? - Par carità! -.
Il nonno gli diceva: - Vara che quei i guadagna.
E no i paga miga 'e tasse quei là.
Quei i ga il mercedes. I sta mejo de noaltri. -
Ma niente. Insomma non sono riuscito
a mettere via abbastanza soldi.
(Canta)
“Quando i bambini fanno… prrrrrr”
(scoppia a ridere)
Le cose da mangiare che preferisco sono:
tramezzini asparagi e uova,
tortellini panna e prosciutto,
melanzane alla parmigiana,
patate fritte,
sofficini al formaggio,
e basta. Carne no.
Una volta la prof di educazione tecnica ci ha portato
in gita al macello comunale. I genitori
hanno firmato l'autorizzazione,
ma non avevano mica capito bene
com'era la faccenda. Un sacco di gente
è stata male, ha vomitato per tre giorni.
Funzionava così. Facevano passare le mucche
per un corridoio strettissimo, una alla volta,
e arrivate in fondo un coso gli bloccava la testa
e uno gli sparava in fronte con una specie di pistola.
Poi le attaccavano con un gancio
per le zampe di dietro e le tiravano su.
E poi le squartavano. Una via l'altra.
E quelle dietro avevano gli occhi
fuori dalla testa dal terrore.
C'era un tanfo tremendo, tipo... di buea,
budella, viscere... Madonna che impressione.
Per poco non vomitavo.
Non ho mangiato più carne,
se no mi tornava in mente.
(Pausa. Canticchia il ritornello dei Simpson, indossa lo zaino, risale sulla bicicletta)
Perpetua vuol dire per sempre.
Per uguale per, petua uguale sempre. Tipo.
Un giorno sono tornato da scuola
che la mamma e il papà litigavano.
Allora ho girato la bicicletta
e sono andato a fare un giro fino al campo sportivo.
Arrivo all'incrocio della chiesa e sento una frenata tremenda.
Inchiodo e stavo quasi per cadere.
Era l’Alfa di mio papà che mi aveva mancato
per un pelo. Io ho pensato – Adesso
scende e mi massacra di botte -.
E lo guardavo e lui niente. Immobile.
- Bruta vaca, Mi te copo il fio. Dopo vedemo
i alimenti... Ma che casso so' drio dire? -
E poi è ripartito, senza battere ciglio.
E poi si è trasferito, assieme alla perpetua.
Gli zaini per la scuola sono troppo pesanti.
Fanno venire anche la scogliosi.
Ci vorrebbe la troiler, che uno
se la attacca anche alla bicicletta, a traino...
(Pausa. Nella tasca esterna dello zaino scopre una radiolina, con cui armeggia)
Pare che un uomo, per un gioco e-r-o-t-i-c-o,
ha infilato il cellulare con la vibrazione
nel culo di una e poi la chiamava
in continuazione e lei godeva.
Poi però si è incastrato e hanno dovuto
andare al pronto soccorso per toglierlo
e lì vaglielo a spiegare…
(Ridacchia. Dalla radio escono le note di “Sei bellissima”. Angelo ascolta e all'improvviso scaglia lontano il mangiacassette. Toglie il berretto e indossa una fascia per capelli e degli occhiali da sole, estratti dalla tasca dello zaino)
Io dopo un po’ non ci entravo più in camera della mamma,
intanto perché lei non voleva,
e poi c’era puzza di chiuso, perché non apriva mai.
Tornavo da scuola, andavo in cucina,
mi facevo pane e nutella e guardavo i Simpsons in TV.
Scuola, casa, pane, nutella, Simpsons in TV.
Sc-cas-pan-nut-sim-tv
Ogni tanto provavo a farmi una sega
davanti alla tv, per cambiare.
Sc-cas-pan-nut-sim-sega-tv...
- E tuo papà che ha cominciato a dirmi:
sei una botte, guardati, sei una botte,
anzi no, una balena. E i vestiti
non mi andavano più bene.
Ho provato a far dieta. Tante ne ho provate,
ma niente. Alla fine mi sentivo proprio una balena.
Ma poi non era neanche un problema di taglia.
Non mi amava più, cosa vuoi, dopo tanti anni...
Ero bellina sai da giovane, tanto.
Ma a parte quello... giusto quello, ecco.
Studiare, non mi è mai piaciuto.
Poi con tuo papà a un certo punto si è parlato
di aprire un centro estetico,
coi massaggi, le lampade, i trattamenti...
Oppure un’erboristeria. Ma solo parlato. Ecco.
Poi sei nato tu. E basta. Ecco. Tutto qui...
(Piange) Mi dispiace Angelino,
mi dispiace Angelo mio, mi dispiace -
(Toglie accappatoio e fascia. Canta)
“Na-na-na-na/
E vedrai/
che bella fe-e-sta...”
Forse la mamma usciva dalla stanza
- tipo per andare in cucina o al gabinetto -
quando io ero a scuola.
Non ci incontravamo mai,
però ogni tanto sentivo dei rumori.
Di notte magari.
Poi una volta non ho più sentito niente per un po' di giorni
e mi sono un po' preoccupato.
Sono andato, ho bussato e niente.
Ho aperto... (toglie gli occhiali) una luce pazzesca...
mi pareva di entrare
nella stanza del tesoro, tipo,
con tutti i muri coperti di argento.
E poi ho visto che erano i cartoni del whisky,
stesi e appiccicati uno vicino all'altro,
tipo carta da parati. Tutta la stanza.
E la mamma era sul letto. Ferma. Si vedeva soprattutto
la pancia, grossa come quella di una balena.
Era tipo svenuta e aveva tipo bava alla bocca,
tipo yogur, ma mi sa che era vomito.
(Torna al centro della scena, rimonta sulla bicicletta, guarda verso l'alto, pensieroso)
Io non ho mai preso l’aero in vita mia.
Di mezzi ho preso:
va bè, la bicicletta,
la macchina,
il treno,
i pattini,
il motorino,
la corriera,
il traghetto, una volta in gita,
motorino già detto,
la canoa...
L’aero no. Mai.
(Dall'alto cala una fune con un gancio. Angelo la fissa alla bicicletta)
Dopo che la mamma è morta c’è stato il funerale.
E’ venuto anche mio papà, ma è ripartito subito.
Siamo andati a pranzo in trattoria, anche con il nonno.
E abbiamo deciso che all’inizio
io restavo a vivere col nonno,
perché la perpetua era incinta e nervosa,
un momento delicato, insomma.
Poi mio papà è ripartito. Il pranzo l’ha pagato lui.
Io e il nonno siamo rimasti ancora un po’.
Lui ha preso grappa e caffè, io gelato... alla nocciola.
Poi mentre tornavamo a casa
mi è venuto un groppo... e ho chiesto
a mio nonno - Ma, nonno, perché si muore?
- Par farghe posto aj altri - ha detto.
E' vero, ho pensato. Pensa se nessuno morisse mai.
Non ci sarebbe posto per nessuno. Miliardi di cinesi...
Tutti gli esseri della terra... di tutti i tempi...
gli antichi greci e romani... Tutti stretti così.
Oh, vara che se ci pensi,
c'è tanta ma tanta più gente sottoterra che sopra!
(Stramazza lungo disteso sulla schiena)
Però, dopo la storia della mamma
ero veramente giù di corda.
Il nonno stava quasi sempre al bar.
Qualche volta andavo con lui. Mi sedevo
e guardavo quelli che giocavano a carte e litigavano.
A scuola, soprattutto all’inizio, mi trattavano
come se avessi preso una malattia.
Ma ero solo triste. Non andavo tanto bene.
Non riuscivo, non mi interessava niente.
Mi sono messo in fondo, vicino alla finestra.
Guardavo fuori nel cortile e lì stavo.
E’ durato dei mesi.
Una volta è venuta una psicologa
e mi ha chiesto se mi mancava mia mamma
e se andavo volentieri a scuola.
Abbastanza, ho detto. Tutte e due.
Non mi andava di parlare. Con nessuno.
Una volta mi ha telefonato mio papà,
per dire come stai
e che mi era nata una sorellina.
- E a me cosa me ne frega? - volevo dirgli.
Però non gliel'ho detto.
- Vuoi sapere come si chiama? -
(No) - Come? - (Flora, Flora, Flora...)
- Luisella! - Luisella.
Madonna che schifo.
Ma tanto non me ne fregava un tubo di niente.
Neanche i Simpsons mi facevano ridere.
Finché c'è stato il saggio di musica della scuola,
il giorno del martedì grasso. Tutti quanti
ci siamo dovuti transferire da qualcosa.
Io non so da cosa ero transferito. E al saggio
mi hanno fatto suonare per forza. Da solo.
Perché quella puttana della psicologa
aveva detto alla professoressa
che dovevo essere stimolato. E io ho suonato.
(Suona l'Inno alla gioia con il flauto dolce)
Va bè, qualche volta sbagliavo. Allora
hanno cominciato a ridere, quei cretini dei miei compagni.
E più sentivo che ridevano più sbagliavo.
E c'era anche Flora, era vestita da Elena di Troia
(anche lei, però!) e non so perché, non so cosa mi è preso.
Ho smesso di suonare e ho detto:
- (isterico) Invece di ridere tanto vieni tu qua
a suonare il piffero. Visto che sai fare i pompini
saprai suonare anche il piffero... -
Forte, davanti a tutti. Silenzio totale.
A quel punto potevo anche stare zitto,
ma mi era venuta... una rabbia.
Allora ho detto anche: - Sei proprio
una troia, vara, altro che Elena. Va bene?! -
E lei è diventata ancora più viola in faccia.
Mi ha fatto un'impressione.
Non viola così per modo di dire.
Proprio viola, tipo... una melanzana.
Ma anche come una viola, il fiore.
E' successo un casino, hanno chiamato
mio nonno e mi hanno mandato a casa da scuola.
Ma a me non dispiaceva mica.
Così potevo girare in bici tutto il giorno.
Verso sera andavo fino al cantiere.
Da lontano vedevo questi omini neri che lavoravano.
Il bianco degli occhi si vedeva anche al buio.
Oppure andavo sulla sopraeleveta
e guardavo le macchine che spassavano.
Oppure guardavo il cielo e pensavo:
peccato che non ho mai preso l’aero.
(Estrae dalla tasca un fazzoletto con cui si soffia
rumorosamente il naso)
- Mii, mai più. Mai più me spetavo
una roba del genere. Povero fio. Cussì...
No, non me spetavo. I dise che
“i more zoveni quei che i dei i ama”
Ma porco... Se gaverà sbajà, mi digo.
Gà tolto un par un altro.
Se gà sbajà de nome. Gà da esser
andà cussì... Bruto mona! Dio farlocco! -
Una sera, no, ho aspettato
finché il cantiere chiudeva
e tutti i senegalesi andavano via,
tutti curvi sulle grazielle.
Ho fatto un buco nella rete e sono entrato.
Ariston non ha neanche abbaiato
perché mi conosceva. Mi ha dato
una slinguazzata schifosa in faccia
ma a parte questo è andato tutto liscio.
Sono salito fino in cima al Belvedere,
con la bici. Ho preso la rincorsa dalla terrazza
e mi sono buttato sotto, in mare.
(La bicicletta si solleva lentamente, sulle note di “If my complaints”)
Un volo lunghissimo, non arrivavo più.
Pensavo: sono diventato un uccello.
Mi passavano un sacco di immagini in testa,
velocissime. Ricordi, ma anche no.
Vedevo mio nonno che giocava al videopoker,
poi gli veniva la prostata e in ospedale
faceva lo scemo con le infermiere.
Il papà e la perpetua, che avevano
due bambine, Luisella e Mirella,
e per un po' erano abbastanza felici,
ma poi cominciavano a litigare di brutto.
L'Hotel Belvedere. Distrutto.
Perché era abusivo.
La mamma bella, magrissima, che mi sorrideva.
Flora tutta vestita e truccata,
che faceva l’avvocatessa, come dicevo io.
I miei compagni di scuola,
che facevano le gare in motorino
sulla statale, i senegalesi in giro col mercedes...
Il futuro, praticamente.
CIAO FLORAAA!
... E sono caduto in mare. Incredibile. Che volo.
E affondavo, affondavo. Madonna,
non credevo mica che era così profondo.
E vedevo le bolle che andavano in su.
E poi ho visto una roba enorme, scura,
che si avvicinava... E insomma,
sono stato inghiottito da una balena, come...
come si chiama qullo là nella Bibbia... Giona.
E lì dentro nella pancia ho pensato:
- Ma che sfiga! -
Dopo però ho visto che nella pancia della balena
era pieno di roba, bottiglie, sacchetti...
Vara che è incredibile
quello che può inghiottire un balena..
Anche un camion, se vuole
Ho preso un sacchetto, me lo sono infilato in testa.
(Compie l'azione appena descritta)
Ho stretto forte e ho detto...
(Pausa)
Aiuto. Non ce la faccio più.
Non ce la faccio più.
Non ce la faccio più.
(Toglie rapidamente il sacchetto dalla testa)
Oh, vara che però non è mica facile
uccidersi con un sacchetto di plastica...
Allora ho provato con un vetro...
Ah-ah-ah-ahiahiahi... Cazzo! Merda! Che male!
Merda! Cazzo! (si fascia il polso col fazzoletto)
Oh, ma posso morire o no? Per far posto, no?
Cazzo di Budda! (sottovoce)
E a un certo punto vedo, lì nel buio,
come dei piccoli lampi,
delle lucette bianche.
E mano a mano che mi abituo
vedo che sono occhi, occhi di persone;
le persone però non si vedono tanto
perché sono nere. Madonna!
Sono tutti i neri del cantiere.
Ma cosa ci fate qua? Dove andate?
E loro mi dicono, a spizzichi
e bocconi, che stanno tornando a casa,
che sono stufi di stare da noi.
Che dell'Italia magari hanno visto poco
ma quel poco gli fa schifo.
Hanno nostalgia e di soldi ne hanno fatti a palate,
per via che non pagano le tasse, no?
- In Africa? - Dico. - Stiamo andando fino in Africa?
Ma non era meglio l'aero, eh? Adesso che siete anche ricchi? -
Va ben, non importa. - Tanto manca poco - mi dicono,
ormai siamo quasi arrivati -. E infatti a un certo
punto c'è un gran tonfo e un gran movimento
e cadiamo tutti uno sopra l'altro, nel buio,
che non si capisce più niente.
E poi ci troviamo su una spiaggia bianca bianca.
Un caldo boia. Un sole che acceca.
E c'è un sacco di gente che aspetta.
Sono le famiglie, no? Le mogli, le mamme,
tutte colorate e i bambini. E tutti si baciano
e si abbracciano e poi vanno via.
E io rimango lì in questa spiaggia. E penso:
e adesso? Adesso cosa faccio?
Come ci torno a casa? Con la balena?
E poi da lontano vedo un puntolino nero,
polveroso, e è una macchina, che si avvicina,
un mercedes. Mi fa dei segnali coi fari. A me.
E si avvicina sempre di più. E poi si ferma.
E scende uno, che non sono sicuro,
perché è vero che si assomigliano parecchio,
però quello è proprio Mamadou,
tutto elegante in smokin, che viene
e mi abbraccia e dammi cinque
e tutte quelle robe lì. E poi
mi carica in macchina, sulla mercedes,
attacca l'aria condizionata a palla
e mi porta a casa sua. Una villa enorme,
con piscina, tutto uno scintillio e la jacuzzi
e c'è una festa e Mamadou
mi presenta un sacco di gente. Mi sembra
che abbia tipo 20 mogli, 50 fratelli e 80 figli.
Tutti che mangiano e bevono intorno alla piscina.
Sciampagn. Mai bevuto sciampagn.
E' tipo sprait, però più aspro.
Tutta gente che balla e suona i tamburi.
Bello, tutta la notte. Bellissimo. E Mamadou
mi sorride come dire: bello, no? Ti diverti? Ti piace
la mia famiglia? I miei amici? Sì, sì, dico io,
solo che sono tanto stanco, stanchissimo, vorrei dormire.
Sì, sì, vieni e mi porta in una stanza
con dei cuscini. Ti occorre qualcosa? No, no,
grazie. Buonanotte. A domani. E mi addormento,
come un piombo. E quando mi sveglio
sono sulla spiaggia, di nuovo, non so come.
E sono solo di nuovo. Nessuno da un lato,
nessuno dall'altro lato, nessuno in mare.
E' notte ma c'è tanta luce. C'è una luna grande,
ma grande, che io non l'ho mai vista così grande
e stelle a miliardi... (Il rombo fortissimo di un'aereo.
Angelo toglie le scarpe e arrotola i pantaloni)
L'acqua è più calda che da noi in questa stagione.
Ma che stagione è?
E poi vedo una sagoma scura
che si avvicina da in fondo alla spiaggia.
E si avvicina, si avvicina, e quando
è proprio vicino vicino, tipo a un metro, vedo
che sono io, tipo, un altro me stesso,
che mi sorrido. E sono un po' preoccupato,
non so se è una cosa bella o una cosa brutta.
Però lui mi sorride sempre e poi mi prende la mano
e se la appoggia sul petto, qua, e io sento la sua mano
calda e resto come paralizzato. E in quel momento
lui perde i capelli, ma non tipo un grande che diventa calvo,
tipo un neonato. Infatti diventa un neonato.
E allora io prendo paura e penso:
cosa vuol dire? Che si può tornare indietro?
Che si ricomincia tutto da capo? Ufff...
(La bicicletta si schianta al suolo. Voice-off)
“Ciao Radio Bella e Monella... sono Angelo...
vorrei dedicare la canzone “Sei bellissima”
di Loredana Bertè a mia mamma
per il suo compleanno.... Tanti auguri,
mamma... Angelo... Ciau”

FINE