Un angelo bussa alla mia porta 

Monologo a tre personaggi di

Gaspare Dori


Houria

Houria è seduta su uno sgabello, avvolta in un velo.

Conoscete la forma del mio letto? Conoscete la forma del mio letto? No, dico, avete mai visto la forma del mio letto? No, non conoscete la forma del mio letto. 

Ci sono delle donne che sognano che il loro letto abbia la forma di una nuvola. Una nuvola, dove potersi adagiare e riposare. Una nuvola, alta nel cielo, libera. Una volta che si è sulla nuvola, si può volare, ci si può spostare da un paese all’altro. Si respira felicità.

Altre donne sognano che il loro letto sia a forma di cuore. Un cuore, con le lenzuola rosse e tanti cuscini. Il rosso è il colore della passione. Si vive e si ama, su di un letto a forma di cuore. 

Il mio letto non ha la forma di una nuvola. E nemmeno quella di un cuore. Il mio letto ha la forma di una prigione.

Sì, di una prigione. Sapete, la prigione è quel luogo dove una volta che sei dentro nessuno si cura più di te. Niente più famiglia, niente più amici, nessuno. Tu gridi, urli tutta la tua pena, il tuo viso e il tuo corpo sono l’immagine della sofferenza e nessuno ti dà retta. Fuori della tua cella, le guardie ti osservano e si scambiano un sorrisino di compiacimento. Ben gli sta, sembra che si dicano. 

E tu continui a urlare, non smetti mai di urlare perché speri sempre, speri fino all’ultimo istante che qualcuno venga a salvarti, che qualcuno ti faccia uscire. Com’è possibile accettare il fatto che nessuno condivida la tua sofferenza, che nessuno ti senta, che nessuno si commuova, che nessuno faccia qualcosa? 

Ero giovane e non conoscevo il mondo. Non avevo ancora capito che la mia prigione, la prigione nella quale ero stata reclusa, non era stata creata per delle persone, per degli individui; si trattava di una prigione speciale, fatta per degli esseri speciali, che non erano più delle persone, non erano più degli individui. Lo erano stati un giorno, forse. Ma erano diventati, da un giorno all’altro, qualcosa di diverso. Erano diventati nessuno.

Ricordo ancora l’espressione severa di mio padre quando mi annunciò la lieta notizia. Avrei dovuto sposarlo, mi disse. “Niente storie, mi raccomando. Alla tua età ci si sposa: che vuoi fare, sennò, che farai quando io non ci sarò più, mendicare per la strada, o peggio ancora?” E già, mendicare per la strada non si può, si rischia di prendere delle malattie. Era un uomo di poche parole, mio padre. Mia madre cominciò a piangere in silenzio. Non una lacrima solcò il volto, ma era come se i suoi occhi bruciassero, tanto erano rossi. 

Io battei i piedi, scalpitai… e andai a chiudermi nella mia stanza. E’ buffo, no? Ti danno una notizia del genere, e la prima cosa che fai è quella di chiuderti dentro una stanza. Sembrava volessi allenarmi a fare la reclusa.

“Non sarà poi così terribile, non sarà peggio di tuo padre”: erano le parole dolci e ingenue di mia madre, era il suo modo di manifestarmi affetto. Era talmente abituata a questo mondo, mia madre, un mondo dove anche l’affetto è sottomesso, dove persino i sentimenti sono prigionieri…

Non sarà poi così terribile. Già. Non sarà peggio di tuo padre. No, certo, non sarà peggio di mio padre. Meglio non pensarci, mi dico. Le cose verranno da sole. 

Ho sempre amato la musica. E ho sempre amato i suoni. Chissà perché, ma ho da sempre una vera e propria predilezione per i suoni. Mi rimangono impressi. Il grido del mercante di scarpe. Il ribollìo dell’acqua. I passi di mio padre che rientra a casa. 

Non dimenticherò mai il suono di quella porta che si chiudeva dietro di me. Un suono tetro, secco. Io lo sentii quasi ovattato. Chiusi gli occhi. Non sapevo dove mi trovavo. Non conoscevo la persona che mi aveva comprato. Non sapevo neppure dove si trovava la cucina, dove avrei potuto lavarmi. Avevo una voglia matta di lavarmi. 

Fu come se quella porta si fosse chiusa non una, ma dieci, cento, mille volte. Quel suono ancora oggi mi perseguita. 

Ma non avevo voglia di esplorare, non volevo conoscere quella casa, rigettavo qualsiasi forma di familiarità con i luoghi. Volevo restarne fuori. Non so quanto tempo sia rimasta in quella posizione, immobile, mentre davanti ai miei occhi si dispiegava un paesaggio da sogno, alberi, campi sterminati, ruscelli… e ancora il mare, placido e caldo, le montagne più alte col loro carico di storia e di saggezza. 

A riportarmi alla realtà fu un colpo di frusta. Il primo. Assomigliava stranamente a quelli che avevo ricevuto da mio padre quando gli avevo confessato che non avevo nessuna intenzione di prendere marito. E’ curioso come tutte le fruste si somiglino. Lasciano tutte la stessa traccia sulla pelle. E lo stesso sapore in bocca. 

Non sarà peggiore di tuo padre, continuavo a dirmi. Quando ti sei già allenata per un pezzo, che vuoi che sia passare da un uomo ad un altro. Si cambia padrone. Le regole restano le stesse.

Già, le regole. Mi trovavo in un corridoio stretto e infinito. Da una parte, il Muro, altissimo e invalicabile. Dall’altra, la Legge. La Legge. Una serie interminabile di divieti mi tenevano prudentemente lontana dalla dignità di essere umano, di individuo. Mi ricordavano che siamo nati bestie e che come delle bestie moriremo. 

Come quando dovevo camminare in punta di piedi nella casa dei miei genitori perché mio padre non fosse disturbato dalla mia presenza, perché potesse meglio ignorarmi, unica figlia, causa di tutte le sventure dell’umanità. O come quando, di un sol colpo, tutti i miei libri, rei di darmi una visione errata del mondo, finirono in un grande falò che mio padre aveva preparato con la massima cura. “Nessuno scritto profano deve restare in questa casa” tuonava il vecchio genitore. Del resto, a che serve la cultura, quando devi passare tutte le tue giornate chiusa in casa a pregare e ad accudire il tuo sovrano? 

Ma questi erano solo ricordi, ormai. Adesso c’era lui. C’era lui ad imprimere la sua rabbia sulla mia schiena. C’era lui a ricordarmi della mia condizione di animale domestico. C’era lui ad applicare la Legge. 

Quanto eri bello… quanto eri bello quando mangiavi. Avevi fame, certo. E’ naturale, essendo uomo… eri bello… con tutte le molliche e gli avanzi del cibo che finivano tra i peli della barba irsuta. I resti del pasto sembravano degli insetti che camminavano sul tuo volto. Che bello spettacolo.

Quanto eri bello… quando, soddisfatto per avermi piegato ancora una volta sul tuo letto, ti addormentavi… il ventre gonfio, la bocca spalancata… il coso molliccio e informe… ho detto il tuo letto? No, è vero, avrei dovuto dire il mio letto. Che non sarebbe mai diventato, non sarà mai, il nostro letto. 

Quando mia madre mi diceva che non sarebbe stato peggio di mio padre dimenticava questo particolare. Ora la mia prigione era più grande, più spaziosa, persino più comoda. Aveva la forma di un letto. C’era anche una sala delle torture. Così, giusto per non perdere l’abitudine. 

Ma volevo considerare mio quel letto. Quel letto mi apparteneva. Nessuno poteva toccarmelo. Ero regina nel mio letto. Ero l’imperatrice della mia prigione. E schiava della barbarie.

Quanto eri bello… quando mi scopristi mentre guardavo di nascosto la foto di mia madre da giovane, la sola che ero riuscita a sottrarre alla furia devastatrice del mio caro papà. Mia madre giovane. Già questo era un miracolo. Ma quel che era più sorprendente era che mia madre nella foto non portava nessun burka, nessun velo. Anzi, era quasi nuda. Era su una spiaggia. In costume da bagno. E sorrideva. E insieme a lei c’era altra gente. Tutti sorridevano. Era possibile, dunque. Quella foto mi ricordava che era possibile sorridere. Ridere, forse, no. Ma sorridere, quello sì, una volta era possibile.

Eri bello quando mi strappasti la foto dalle mani e la facesti in mille pezzi. La mangiasti, quasi, davanti ai miei occhi. “Le foto sono sacrileghe, puttana!” Avevi sempre degli epiteti dolci nei miei confronti. E quanto eri bello quando volesti sottolineare, con nuovi colpi di frusta, i solchi lungo la mia schiena e le mie gambe. Non si sa mai, le ferite potrebbero essersi già riemarginate, dall’ultima volta che mi avevi frustato a sangue. E’ proprio il caso di riaprirle. Quanta misericordia. 

Quanto eri bello quella mattina, quando ti ho rivisto sul mio letto, freddo e immobile. Gli occhi, specchio dell’anima, spalancati e vitrei. La gola segnata da un solo rivolo di sangue. E nella bocca, ah che capolavoro! nella bocca le tue mutande sudicie con il loro contenuto immondo.

Eri proprio bello.

Il mio solo rimpianto è stato quello di non poterti fare nemmeno una fotografia. Ma avrei dovuto avere una macchina fotografica e, ahimé, come tutti gli osservanti della Legge, noi non ne possediamo. Ma il mio cervello, che ancora funzionava, ha saputo conservare quella preziosa immagine. Potenza della memoria.

E allora ho riso. Sì. Non potevi rubarmi più niente. Soprattutto, non potevi più rubarmi la voglia di sorridere, di ridere. Cosa avresti fatto davanti ad una donna che ride? L’avresti fatta impiccare? O ti saresti contentato di qualche colpetto di frusta? 

E allora ridevo! Ridevo forte! Tutta la tua potenza era finita nel nulla. Peccato. Io ridevo, mi sbellicavo dalle risate, e tu… non potevi farlo. Come eri bello, con il tuo colorito bianco-verdastro. Purtroppo, non potevi ridere. Del resto, non ne sei mai stato capace. La vita è una cosa seria, siamo sulla terra per onorare Dio e far rispettare la Legge. Non c’è spazio per le risate. Non c’è spazio nemmeno per un lieve, lievissimo sorriso. Peccato. 

Una porta si apre. Houria si volta verso la porta.

E’ ora. E’ arrivato il momento di far rispettare la Legge. Povera Legge, devo averla davvero turbata. Lei, così candida e immacolata. Ci vuole una bella lapidazione per farla tornare serena. Con chi parlavo? Ma con i miei angeli. Sì, sono i miei due angeli che sono venuti a trovarmi. Sono alti e leggeri, i miei angeli. Parlavo con loro. Ci siamo fatti quattro risate. 

Lilli

La signora è seduta, anzi quasi sdraiata, su un piccolo divano. Ha l'aria annoiata. Fa tre sbadigli, uno più lungo dell'altro.

Quando arriva Lilli? 

Un silenzio. 

Come al solito. Tanto è inutile che me la prenda, è sempre in ritardo.

Mi farei un bel caffè. Ma tanto è inutile. Dovrei rifarne comunque un altro per Lilli. Non fa nient’altro che bere caffè, Lilli. Beve caffè e fuma sigarette. Anzi, ha cominciato pure con i sigari. “Fa tanto donna d’affari”, dice lei. “Mi affumichi tutti i vestiti”, dico io. E certo, a lei che gliene frega, mica le deve incontrare lei le clienti. 

Lei si accontenta di portarmi qualche pullover di scarto, due o tre gonne non proprio alla moda, e poi sono io che me la devo rivedere con le clienti. Pure roba fallata, mi ha portato. E sì, dice che li producono in Pakistan, in Afghanistan o in qualche altro “istan” del cavolo. 

E poi tocca a me adattarli, renderli dei capi “accettabili”, perché le mie clienti non si accontentano mica di robetta, vogliono la massima qualità, esigono il taglio moderno, giovane. Io faccio dei capolavori, io, con i suoi vestitini. 

Comunque, se dovessi basarmi solo sulle quattro cosucce che mi porta Lilli, starei fresca! Sì, possono servirmi, così… di tanto in tanto… per qualche cliente che… ma non hanno niente a che vedere con il resto delle cose che vendo, figuriamoci! I capi che vendo io sono tutti di marca, roba di primissima qualità. Abiti da principesse, che dico? Da regine! 

E Lilli che fa? Ci fuma sopra, sui miei abiti da regine! Ma ormai non ci casco più, non me li affumica più i vestiti. Doppio cellophane, ci metto, così sto tranquilla.


Dio solo sa che sacrifici mi è costato avere il fior fiore di clientela che mi ritrovo… la mia clientela… mogli di medici, di avvocati, di ministri, di ambasciatori, tutte clienti belle, eleganti, fini, sempre a posto, sempre impeccabili… un vero piacere guardarle quando indossano i miei abiti… che classe! 

E tu che fai, Lilli? Fumi per darti delle arie! Pensi che basti un sigaro per essere una donna di affari?

Ma che ne ne puoi sapere, povera Lilli… del resto, la classe mica si compra al mercato… c’è chi ce l’ha… e chi non ce l’ha. Se non ce l’hai, mica te la puoi far venire… 

Un silenzio.

Rodolfo! Gioca con un cane immaginario. Bello di mamma tua, che c’è, eh? Vuoi uscire, cocco bello peloso? Siamo già usciti stamattina, no, Rodolfino? Ma quanta pipì che fa Rodolfino, quanta pipì che fa, bella bella… no, Rodolfino, non se ne parla proprio, torna alla tua cuccia e stai buono, che aspettiamo gente.

Allora? Che hai da guardarmi con quegli occhi sgranati? Torna alla cuccia, ti ho detto!

Un silenzio.

Quando viene Lilli le chiedo di preparare il caffè. Mi sembra giusto. Con quello che pago per i suoi vestitucci, può pure scomodarsi a prepararmi il caffè. Sì, sì, e le chiederò di andarmi a comprare una torta alla crema con i pinoli. Adoro i pinoli. Fanno crac crac sotto i denti. E una volta che sarà tornata, potrò anche chiederle di aiutarmi a mettere a posto la cucina. Tra amiche si usa, no?

Rodolfo!

Improvvisamente si alza e si dirige verso il cane.

Scendi subito dallo scaffale! Quante volte te lo devo dire che i vestiti non si toccano… guarda che hai combinato! Ora mi tocca pure raccoglierli. Ma proprio a me doveva capitare un cane così indisciplinato? Guarda che ti riporto dove ti ho comprato, sai? Che roba! Me l’avevano pure assicurato… “E’ preaddestrato, signora, non si preoccupi”… guarda che disastro… e vuoi pure uscire? E’ inutile che mi fissi così, hai capito? Tanto non mi commuovi…

Va verso la finestra. 

Qui continuano a spararsi. Che orrore! L’altro giorno ne hanno pure lasciato uno sul marciapiede, così, morto stecchito. Tra le macchine parcheggiate non ti dico come, e i morti lasciati sul selciato, non si riusciva nemmeno a passare… tutta la mattinata l’hanno lasciato. E i pedoni che fanno, eh? Devono restare in casa, se non hanno la macchina? 

No, Rodolfino, non si può uscire adesso, non è prudente, è brutto tempo, fuori.

Torna a sedersi.

Eh già. Quanta sporcizia! Non è certo un bello spettacolo, quello che fanno vedere ai nostri giovani. I marciapiedi sono fatti per camminarci sopra. Se qualcuno lascia qualcosa per terra, è un maleducato, d’accordo, ma ci deve pur essere un servizio di pulizia che se ne occupi. O lasciamo tutto così, tanto chi se ne frega?

Del resto, la nettezza urbana non funziona più come una volta. Anni fa era tutta un’altra cosa, con la raccolta differenziata. Dovevi buttare una pila? Con le pile. Dovevi buttare un pezzo di ferro? Con i metalli. Tutto era più ordinato. In certi comuni, là dove i sindaci avevano uno spiccato gusto estetico, si arrivava persino a fare una raccolta differenziata per colori… era vietato, che so io, gettare una vecchia scarpa marrone in un contenitore per i rifiuti di colore blu. Se proprio dovevi buttare la tua vecchia scarpa, almeno dovevi fare lo sforzo di trovare un cassonetto marrone, o beige, o giallo... forse... d’altronde, anche l’immondizia vuole le sue regole.

Adesso, invece, è tutto un bailamme. Non si capisce più niente. L’altro giorno scendo in strada con Rodolfo e sentiamo un’esplosione. Rodolfino, poverino, ha fatto un salto! Ci mancava poco che non mi morisse dalla paura… lì, tra le mie braccia, tesoro della mamma…

Il fioraio dell’angolo, che sa sempre tutto quello che succede nel quartiere, mi ha detto che qualche incosciente aveva buttato una bomba a mano nel cassonetto. Ma roba da matti, dico io! E’ gente che non ha nessun rispetto per gli arredi urbani… almeno, fatela esplodere prima, no? La buttate dopo, nel cassonetto, quando è già esplosa, non prima. Che vergogna. Che sporcizia.

Un silenzio.

Lilli non arriva. Con i suoi vestitucci da mercatino dell’usato, si permette pure di fare la preziosa. Ma gliela faccio vedere io, quando arriva. Stavolta non la passerà liscia. 

Tra l’altro, alle sei ricevo la Signora Oderisi Malefatte. E Lilli lo sapeva. Lo sa, che non sopporto che lei stia in casa quando ricevo le mie clienti. Soprattutto la Signora Oderisi Malefatte, che fa sempre tante domande imbarazzanti. E’ nel volontariato, la Signora Oderisi Malefatte… è in un’associazione che si occupa dell’aiuto ai bambini poveri, o qualcosa del genere. 

Mi chiede sempre di Lilli, la Signora Oderisi Malefatte. Chi è, chi non è, che fa. Ed io che cerco di aiutarla, di coprire le sue origini – diciamo – modeste, mi invento dei genitori che non esistono, giustifico il suo accento da poveraccia. E quando la Signora Oderisi Malefatte l’ha incontrata una volta con un pacco di vestiti, povera Lilli, ho dovuto inventarmi che era una mia assistente… occasionale.

E questo Lilli lo sa! Ma non se lo vuole proprio mettere in testa, non ci riesce, è più forte di lei…

Torna alla finestra.

Qui continuano a sparare. Ma che avranno da spararsi, dico io? E’ tanto bello stare insieme in pace, farsi una chiacchierata, così, tra amici, magari bersi un bicchierino per stare allegri…

E’ che questi giovani non hanno proprio il senso della misura. Chiedono, vogliono, esigono, non si accontentano mai… per non parlare dell’educazione. Non sanno nemmeno dove sta di casa, l’educazione.

Fortunatamente, non sono tutti uguali. E no! I figli delle mie clienti non si abbassano con questa gentaglia, sono ragazzi a modo, posati. Educatissimi. Mica come questa teppaglia… qui si spara un’ora sì e l’altra pure… tra la polizia, l’esercito, i ribelli, gli anarchici… non ci si capisce proprio niente.

Gliela darei io, la ribellione! Ma che vi manca? Giovani senza midollo… avete tutto quello che volete… si può sapere che cercate? Volete ancora più soldi, ancora più benessere, ancora più salute? Ma se scoppiate di salute! 

Guarda di nuovo dalla finestra. 

To, l’hanno fatto di nuovo! Ne hanno fatto secco un altro, e l’hanno lasciato di nuovo sul marciapiede. Ma è proprio una mania, questa! Che si deve fare, con questa gentaccia? Un altro lasciato là, così. Un silenzio. Se non sbaglio, è pure una donna… pure le donne, adesso, si mettono a fare la rivoluzione, la guerra civile, o qualche altra diavoleria del genere… e la città è sempre più sporca.

Un silenzio. 

Ma… quella donna… mi sembra di… ma è Lilli! Hanno ammazzato Lilli! 

Un silenzio.

Guarda là, con tutto il campionario che le esce dalla borsa…

Un silenzio.

Rodolfino! Vieni, bello di mamma, andiamo a fare la pipì, vieni… il tempo è migliorato. 

TR4

TR4 entra in scena. Vestita in maniera molto professionale, l'andatura decisa, l'espressione algida, si siede e comincia a lavorare sul suo computer portatile. 

Errore di sistema? Come sarebbe a dire, errore di sistema? Ma se ho impostato la procedura di salvaguardia ZT, clusterizzando il file di collegamento all'interfaccia Apix? Quale errore di sistema?

Si collega con qualcuno. Non ha bisogno di telefono o di auricolare. Il mezzo di comunicazione è un microchip che le è stato montato direttamente all'interno del cranio.

Pronto? Dipartimento salute tecnica dei sistemi informativi? Sono TR4, settore Aries, ho un'emergenza, bisogna che vi colleghiate immediatamente col mio terminale. Come sarebbe a dire tra tre minuti e quarantadue secondi? Tre minuti e quarantadue secondi? Ma è un'eternità! E' inammissibile, mi faccia parlare con il sovrintendente alla qualità, per favore.

Vede qualcosa muoversi di fronte a sé. Si tratta di una lucertola.

E questa cos'è? Da dove esci fuori, razza di bestiaccia? Vai via, hai capito, specie inferiore? Sei ripugnante... ti ho detto vattene, vattene, lasciami lavorare in pace... ma dove ti sei nascosta? Guarda che è inutile, tanto sei una specie non ragionante, sei comunque destinata a soccombere prima o poi... non prolungare la tua agonia...

Ah? Sì, ho una chiamata... dannazione, il chip non funziona bene, la ricezione è estremamente debole... stamattina non c'è niente che proceda secondo le regole...
Pronto? Sì, sono in ricezione. Parlo con il sovrintendente alla qualità? No? Ah, è lei, capo? Sì, mi scusi, lo so che non la devo chiamare capo... sì, sì, lo so che il sistema gerarchico aziendale è una cosa ormai superata, ma che ci vuole fare, è una specie di riflesso automa... cosa? Sì, in effetti c'è stato un piccolo problema poco fa, ma è roba da poco, dovrebbe risolversi prestissimo, sto solo aspettando che il dipartimento salute tecnica si colleghi in rete... ah, non è un problema informatico?

Un'interruzione di lavoro, dice? 

Ah, sì, poco fa... ho dovuto cacciare un animale di specie non ragionante e di aspetto non gradevole...

No, no, lo so, le assicuro che la casa è a perfetta tenuta stagna. L'architetto del dipartimento Orion è venuto a verificarla una settimana fa. E' perfetta. Le condizioni di luce, di aria e di rumore sono conformi al protocollo 25 e permettono una produttività giornaliera pari a p15. Tra l'altro, la casa è praticamente sigillata: nessuna possibilità per agenti esterni di accedervi. 

Che dice? Maledetto chip, il livello di ricezione sta scendendo...

Come dice? E' imperdonabile? Sì, ha ragione, è imperdonabile, ma si è trattato di due minuti. Come? Due minuti e trentotto? No, non si preoccupi, riuscirò comunque a raggiungere l'obiettivo di produttività t365. Come sarebbe a dire che ne dubita? Cioè, ecco, volevo dire, lo sa che sono una grande lavoratrice, no? Non ho mai fallito un solo obiettivo 365, finora... sì, ho capito.. le ho detto che era entrato un animale di specie inferiore, che ho identificato essere una... come? Il coordinatore spaziotemporale?

Ma è proprio necessario? Sì, non c'è bisogno di urlare, ho capito, è necessario, d'accordo. 

Sì, stia tranquillo, il mio chip accusa talvolta dei deficit di ricezione, ma è programmato per interloquire anche con cinque menti alla volta, anche di livelli differenti... come dice? No, la sento, la sento... ho capito, organizza lei la conferenza mentale, d'accordo.

Pronto? Buongiorno, signor coordinatore spaziotemporale... sì, sono TR4... ha ricevuto un rapporto dettagliato su di me? Sono accusata di ripetuti episodi di inefficienza e di insubordinazione? E' gravissimo? 

No, mi scusi, non lo faccio apposta a ripetere quello che dice, è che... tutto ciò mi sembra assurdo... come violazione del codice 3 e del protocollo 15? Lo so benissimo, cosa vuol dire: violazione delle regole di sicurezza... ma guardi che era un animale di specie non ragionante, livello di pericolosità tra p1 e p0... ma no che non può averlo inviato un concorrente... no, no, le ripeto che era un animale di specie non ragionante che io ho identificato essere... una lucertola!

Come faccio a saperlo? Bè, è semplice... qualche tempo fa, durante la mia ora mensile di letture amene... autorizzata, naturalmente, ho sfogliato una rivista che parlava di antichissime usanze barbare... un tempo, quando il livello dell'uomo era ancora a t meno quattordici o meno quindici, non ricordo con esattezza, si utilizzavano le code di quest'essere non ragionante per dei riti magici... sulla rivista c'era l'illustrazione dell'animale...

Sì, signor coordinatore spaziotemporale, lo so che le sto facendo perdere tempo, sì, lo so che un minuto quarantacinque secondi era il tempo massimo che avrebbe potuto accordarmi, sì, capisco che la differenza mi verrà addebitata integralmente... sì, certamente... no, ma no che la lucertola non disponeva di telecamera miniaturizzata, non si preoccupi... no, le dico che non è stata inviata da un concorrente...

Come sarebbe a dire che sono emotiva? No, guardi che il mio tasso di emotività è a e-quattro, è uno dei più bassi del dipartimento, me l'hanno misurato venerdì scorso... ma certo che ne sono sicura... come? 

No, d'accordo, ha ragione, non la interromperò, mi comunichi pure la sanzione.

Un silenzio.

Cosa? Misura S1? Ma, la misura S1 vuol dire... ma no, ma è orribile, vuol dire sospensione dal lavoro per ventiquattro ore! Ma è una misura che si applica agli L3, io sono una L5, capite, una L5, come potete immaginare che io possa ... no, non volevo offendervi... no, ma, capo, dica lei qualcosa... no, lo so, mi scusi ancora una volta, non devo chiamarla capo... no, signor coordinatore spaziotemporale, no, non si preoccupi, conosco il lessico L24, no scusatemi entrambi, è che... non mi era mai successo... è da quando ero una L2, ed avevo la funzione week-end, è da allora che... che non ho più smes... di lav... maledizione, non riesco nemmeno a dirlo! 

Ma che posso fare, durante queste ventiquattro ore, per alleviare il dolore? Datemi una cura, un antidoto, qualcosa, non potete lasciarmi soffire così! Cosa? Funzione musica? No, ma... funzione sport? Ma... sono funzioni per L2, peggio, per L1! Come potrò adattarmi? Non ci sarebbe... non potreste... sì, ho capito, la comunicazione è terminata. 

Un silenzio.

Presumo che adesso dovrò alzarmi. 

Un silenzio.

Sarebbe già la seconda volta che mi alzo, stamattina. La prima volta per colpa di quella maledetta... lucertola, e adesso... forza, TR4, nessuna debolezza... controllo di sé... ho avuto A+ nella prova di controllo di sé giovedì scorso. Non è stato mica un caso, no? No. Non è stato un caso.

Si alza.

Ecco. Mi sono alzata. Che ci vuole?

Fa due passi in avanti, poi ritorna con un balzo al computer.

Una S1! A me, una S1! Che vergogna! Non può essere vero, è tutto uno scherzo, adesso mi siedo e ricomincio a lavorare, come se niente fosse... macché, non funziona, non funziona, l'hanno disattivato!

E adesso, che faccio? Una S1... a me, una S1... manco fossi una L2... io... che sono una L5... una S1... a me... una L5... una S5... no, una S1... a me... L5... basta! Mi devo alzare, beh mi alzerò!

Fa ancora due passi.

Potrei impostare la funzione sonno. Mica facile. L'ultima volta ci ho messo due ore... è una funzione che va bene finché sei L3, L4 al massimo, poi... è sempre più difficile... conosco un L6 che non riusciva più ad attivarla, la funzione sonno... lo hanno dovuto operare. Il problema è che dopo l'operazione, perfettamente riuscita peraltro, eseguita al dipartimento Icarus, il tipo dormiva in piedi! Lo hanno dovuto degradare... 

Prova a dormire, ma non ci riesce. Ha gli occhi chiusi, sbanda. Mentre cerca di riaddormentarsi, il computer emette dei suoni.

Funziona! Funziona! Lo sapevo, non potevano abbandonarmi così! Si ricomincia, si riprende, hanno revocato la sanzione! Niente S1! Per forza, sei una L5! Riparte, riparte, ripa... allora, dai che aspetti! Cos'è, ti sei interrotto ancora una volta?

Il computer comincia a suonare una musica.

E questa che roba è? Funzione musica? Roba per L2, che dico, per L1! Che vergogna, che vergogna! Controllo di sé, TR4, controllo di sé, devi resistere, devi mostrare tutta la tua inflessibilità!

Gradualmente, il corpo di TR4 comincia a muoversi, quasi trasportato dalla musica.

Che mi succede? Che sta succedendo? Cos'è questo, un incantesimo? Mi hanno stregato!

TR4 si alza, continuando a muoversi. I movimenti da inconsulti diventano armoniosi, quasi una danza. 

Fermati, TR4, basta così. Cerca di mantenere il controllo. 

Le dichiarazioni di resistenza all'impulso irrefrenabile del movimento diventano sempre meno convincenti. 

E' questa la punizione? E' questa la misura S1 che mi aspettava? Controllo, TR4, controllo.

Il volto gradualmente cambia espressione. In alcuni momenti sembra che TR4 provi addirittura piacere.

Magari, riprendiamo a controllarci tra un pò, tanto ho ventiquattr'ore di tempo. 

Completamente rapita, si lascia andare ad una danza sfrenata. Scivola da un lato all'altro della scena. 

Oooooooh! Yes! Oooooh! Yes! Ooooooh! S1! Ooooooh! L5! Oooooh! Corpo, non ti fermare, corpo continua, corpo continua! Oooooh! 

Tocca un tasto sul computer. La musica cambia, diventa ancora più ritmata, incalzante.

Oooooh! Oooooh!

Tocca un altro tasto, e così facendo alza il volume.

Oooooh! Ooooh!

Un attimo. TR4, rifletti. Qualcuno deve averti fatto un incantesimo. Fino a due minuti e ventiquattro secondi fa, all'incirca, il solo pensiero della funzione musica ti faceva orrore, mentre adesso... devi fare qualcosa. Devi assolutamente fare qualcosa. 

Si mette in collegamento mentale con qualcuno.

Pronto? Parlo con il settore Aries? Sì, mi passi il coordinatore 1-bis, per favore. E' occupato? Non fa niente, mi passi la casella mentale, gli lascerò un messaggio. Pronto, capo? Sì, cioè, vabbé, capo... senta, volevo dirle che sono molto rattristata per quello che è successo e vorrei, se possibile, che lei... che lei... mi degradasse a L2, anzi no, a L1, con funzione musica obbligatoria tutti i giorni, almeno un'ora... sì, no... anzi due ore... e due ore di funzione sport... no, anzi, sa che le dico? Che mi dimetto! Sì capo, anzi ex-capo, mi dimetto mi dimetto mi dimetto mi dimetto. Firmato: TR4. P.S.: Vuole sapere come farò a guadagnarmi da vivere? Facile: farò la maga, no? Sa, code di lucertola, ali di pipistrello, denti di cinghiale, si gira bene e poi... la comunicazione è terminata, capo, addio.

TR4: l'hai fatto! Oooooh! Oooooh! Un momento, TR4, non starai mica ammattendo?

Un silenzio.

Nooo. Lucertola, lucertolina, lucertolina bella, dove sei? Vieni qua... non ti voglio fare del male... vieni da me, dai... andiamo a cercare la tua famiglia!

Apre la porta. Esce.