Anime belle

di

Maria Teresa de Sanctis


Personaggi: Maschera narrante, la vecchia Palermo, le popolane Assunta, Lucia e Maria, Giovannino, le giovinette Angela e Tanina, fra Gerino, la fattucchiera, la coppia Michè e Carmelina

Nota dell’autrice: il testo riporta indicazioni precise circa le scelte musicali e la danza presenti nell’ allestimento del testo curato dall’ autrice, ma non vincolanti per altri registi.

Siamo in un luogo della Palermo vecchia, nel quartiere Tribunali/Castellamare 

Scena 1) Si va ad incominciare!
(VOCE1) Inizia la vocalist, buio in scena, quindi un gioco di luci, suoni in libertà (primo momento FREE di squarcio nel limbo) e sulla scena (una poltroncina e uno sgabello in un sito del centro storico) arriva la Maschera che parlerà non appena si placa tutto.

Maschera:- Signore e signori, giovani e belle fanciulle, e' un gran momento questo, stiamo per dar voce al passato ed e' d'uopo riunire un gran bel pubblico di emozioni desideroso e d'arte, che la belta' non teme gli ostacoli del tempo, ma solo del cattivo l'avidita', del volgare la crudelta' e la presunzione e l'arroganza dell'ignorante al contempo.
Ho un cruccio, e me ne dolgo e per questo non vorrei esser troppo loquace ma con cautela vorrei esporvi il mio patimento, affinche' possiate aiutarmi voi nel dipanar il dubbio che da un po' mi affligge, nell'anima mia il sorriso ha spento e temo possa all'intelletto cagionar turbamento. Parlavo di passato e devo dire storia, dicevo arte e aggiunger
occorre memoria ed allora ecco che tante voci arrivano al mio orecchio nel teatro della vita, passata, futura or ora narrata e vera. Ed andiamo ad incominciare: or vi esporro' i fatti che in una delle notti dolenti accaddero in un momento del tempo fra 'ste anime vaganti....- La Maschera si ferma perché incomincia a sentire la vocalist

(VOCE2) *** Si ode un effetto vocale che deve far pensare ad un lamento e quindi fra lamenti e invocazioni entra in scena una popolana. La Maschera allora, un po' scocciata e meravigliata dall'interruzione, si mette ad ascoltare. La Maschera e' un'anima ingenua e semplice, di bambino, dalle gioie e dolori immediati.

Scena 2) Assunta 

Assunta:- Posso parlare, posso io narrare della mia sventura, della mia dignita' inutilmente offesa e quanto inutil fosse l'essermi data, e la mia belta' sempre da tutti fu ammirata e invisa, al crudele vicere', senza per cio' procurar all'amato marito mio salvezza alcuna ma recar solo ulterior dolore alla mia anima, si' da vagar senza meta alcuna fra il cielo e la terra e il tempo? Che sapevo io che i potenti a noi del popolo meschini per punir le nostre insurrezioni dovesser solo infligger patimenti e mai recar sollievo alle pene nostre? Dopo le fortificazioni al Castellamare e quelle del palazzo reale, verso altri bastioni sempre dirigemmo le nostre ribellioni e sempre trovammo fidi compagni fra le guardie dei torrioni. Ahime' quel giorno, lo sentivo, non si doveva andar, non si era in tanti, ma troppi bastioni per tema dell'armata dei turchi eran alzati e allora andammo e nottetempo osammo e cosi' il mio uomo persi ...-

Al suono di un brano pieno di pathos al centro della scena entra una ballerina mentre la popolana sta per uscire. La danza sara' una danza quasi immobile per una musica che e' un lento e drammatico crescendo. Il brano musicale e' di Micus (The evening child). 

*** La danza e la musica qui prendono il sopravvento in un crescendo di disperazione e dolore e quindi tutto si placa in un lento incedere: mentre la ballerina esce dalla scena si sente la voce della Maschera subito interrotta da Lucia, la donna di Felice, entrambi rapiti dai turchi. Il suo costume sara' di foggia araba, un piccolo gile' ricamato su una gonna ampia o ampi pantaloni alla turca e un velo sul viso.

Maschera (rivolto ad Assunta ormai fuori):- Oh, a quella sconsolata donna direi: chetarsi occorre e frenar la favella, o mia signora che qui tanto hai narrato or ora, ma la vita e' trista, lo e' sempre stata e ...- Altra interruzione per altro intervento vocalist.

Scena 3) Lucia e Felice (Aisha e Galia)
(VOCE3) *** Qui un vocalizzo che introduce Lucia.
La Maschera quando si mette da parte lo fa spesso a malicuore e poi partecipa con una specie di curiosita' risentita a quel che avviene.

Lucia:- Ed io? Non spetta a me etiamdiu parlare, delle vicende mie e del mio Felice narrarvi, di quanto disgraziati fummo, di come l'amor ci fu rubato, la libertà e la vita e ... qui nei dintorni la nostra bottega bella, oggetti in avorio e madreperla e argenti lucenti e lieti si stava finchè un giorno l'amico Gaio da Pisa ci invito' a portar l'opera nostra a Genova. Orsù voi saper dovreste che li mercanti genovesi qui della zona eran i padroni, 
loro le loggie, e chiese e statue. E allor noi che di ricchezze mai parea potemmo esser sazi, andammo e mai, mai l'avessimo neppur pensato!!! Fra i ricchi mercanti li' nelle ricche terre ben ci dissero gli affari, ma ... sulla via del ritorno, non appena quel porto 
salutammo, le navi dei turchi intorno avemmo e ...-
*** Qui inizia la narrazione tipo cunto, evidenziando il ritmo nella parola; 

Lucia:- E li turchi teste tagliaron e tanti uccisero e tutto depredarono e tanta tanta ruina portarono ad ogni cosa e noi che in pochi purtroppo non morimmo, e meglio sarebbe stato finir allor le nostre vite, ci ritrovammo in terre lontane e sentite:
io or sono Aisha, ma Lucia nacqui, e moglie divenni fra le tante del sultano Ali' Fatah e fra gli schiavi, lui, l'uomo mio, il ricco e bello mercante, il mio Felice Galia divenne, che nelle lunghe notti ogni tanto cosi' cantava dopo che la morte mi arrecai ...-

*** E canta la canzone "Galia"; alla fine esce mentre si ha il primo turbinio di diapositive (immagini di rovine e città vecchia) con secondo momento FREE (voce come di sirena, il bello che si fa sentire sotto lo schifo). DIA1 Dal suo angolo riprende la Maschera.

Scena 4) La vecchia Palermo
La Maschera è triste e fa vedere la sua tristezza, è come un palloncino che dall'inizio alla fine della piece si va sempre più sgonfiando. 

Maschera:- Povere vite, sventura in ogni dove, ma possibile che l'esistenza solo tinte cosi' tristi debba fornir alla tavolozza di colui che tutto ha creato e par talvolta lo abbia persin dimenticato? Ma ecco una gran dama vedo arrivare, bellamente agghindata e sembra ridere e sogghigna anche e, oh! e pure zoppica, ma e' un rudere ambulante!!- 

*** In sottofondo un brano musicale che accompagnerà tutto il parlare della vecchia con struggente melanconia. 
Entra in scena un'attrice con una gonna larga tutta con del pizzo a tratti strappato e una mascherina col velo, di quelle che si tengono con la sbarretta. Zoppica, deve dare l'idea di una gran dama ormai cadente, al suo apparire deve esserci solo una gran tristezza. La sua voce è gracchiante da vecchia e inizia a ridere sempre più sguaiatamente, deve colpire la smodatezza della sua risata. 

Vecchia:- E voi credete che me ne importi alcunche' se le mie ricchezze cosi' le ridurrete? Anche io, guardate qua, sono brutta e un rudere divento, l'ho udito qualcun l'ha detto, e non sono io che lo voglio o solo il tempo!! E queste mura parlano, le piazze e le chiese , dove tante giovinette gustavan gli ultimi scorci di vita dalle grate, come chi gusta della bevanda preferita gli ultimi sorsi dalla coppa prima che in frantumi sia, e lor prima di essere a vita nel convento annesso rinchiuse, e addio a ogni clamor!! E ancora ovunque l'occhio si posi in giro per questi luoghi belli e ricchi di storia, si', ma non di memoria! Eh no, perche' se cosi' fosse or ancora trovereste dipinti e stucchi, or ancora il Castellamare imporrebbe le sue fortezze da ammirare, or potreste la mia bellezza ammirare nelle nobili fattezze di vie, palazzi, conventi e chiostri. Ma non mi cruccio, son vecchia e ho i dolori dell'eta' e mi basta... Anche perche' (e riprende nuovamente a ridere, prima piano e poi sempre piu' forte, per poi smettere nuovamente e continuare a parlare) io delle mie bellezze in passato ne ho goduto, e no! non mi dolgo ma rido, vi rido in faccia perche' sarete voi (e tutto questo e' rivolto al pubblico) a non avere tutto cio' che io, in gran belta' e giovinezza ero, ma solo sporcizia, nero e rovine troverete nei luoghi della storia.
Nostra, dei nostri avi, della gente, perche' i fatti di ognun, si', fanno la storia! E quando poi arrivan i pazzi oppressori, gli invasori, e di questi le epoche tutte son piene, non doletevi
piu' di tanto, e pensate a come le anime sono state allevate e raddolcite le vostre pene, o amareggiatevi, al pensiero del male che da soli voi vi fate. Qui ricchi affari si trattavan e le case ricche e belle dei mercanti circondavan le botteghe astanti. Ora cosa c'e'? ditemi voi, e il perche' e' solo dentro voi che dovete cercarlo perche' io, Palermo bella e austera una volta, Palermo io sono e non ho colpa. Son gli abitanti miei che mi voglion male o forse non si amano a sufficienza lor stessi, da onorar i luoghi, si' belli, dove stanno.
Ma scusate, forse il mio parlar e' tanto e vi stanca, ma sono vecchia e non so quel che vedro' ancora, ma quel che ho gia' negli occhi mi ha deluso e invero non rallegra alcun pensiero. Tolgo il disturbo, son la citta' antica e torno fra i dimenticati; e' li che troverete tutte le bellezze che qui cercate e ahime' piangete.- (ed esce)

*** La musica lentamente si va spegnendo e riprende la Maschera.

Scena 5) Giovin dolori 

Maschera:- Che dolori, ma che triste destino quello di noi mortali, doler di ogni sorta di patimento e languir ogn'or col cuor trafitto. E la citta', bella allora forse un di' esser potea, ma ora, suvvia e' una vecchia cadente, un rudere, l'ho detto e lo ripeto. Ma ancor non vi ho narrato del dolore mio e ... ma cos'altro accade? ancor delle grida odo e del perche' la mia anima mi duole non vi ho detto, anche se di altri son state le parole che ... –

Altra interruzione per le urla di Giovannino. Arriva un giovane di corsa dal fondo della sala, si guarda intorno come se stesse scappando inseguito da qualcuno. È vestito con una blusa macchiata di tanti colori, come da pittore.

Giovannino:- Ehi, ma che fa tutta sta gente assittata?! E vuautri chi siti?! E state a taliari a mia? (con disprezzo) Ricchi, piccatura, cui vizi dei vili, e ingiusti siti? vessatori degli umili e con loro prepotenti? (come se attendesse la risposta e poi con tono accattivante) O è della mia arte che vuliti sapiri? (diventa quasi un canto) Eh sì, perché ogni messere che dintra ‘a bottega del mastro pitturi di la Kalsa capitava, sì Petru lo Zoppo, e ci’avia proprio a capitari ‘nta dda nica stratuzza darreri S.Teresa, ognunu u sapia del picciotto incantatore e accussì mirava e rimirava li me quatri e ammaliato stava e li vulia, i me quadri chini di fiori e vasi e allegria cui culuri di la nostra zagara e gelsomino e lu miluni russu di l’istati … (con incredulità) Poi, un jornu, mi vinniru a pijari, avianu a circari unu picciuttello, chi avia taliato troppo una signora, mujera di unu riccu e vastasu e putenti… (con forza crescente) e nunn’era iu chi avianu a pijari, iu un ci trasia nenti, ma nun mu ficiru diri e accussì comu era mi purtaru dianzi a u curnutu ca sulu picchi iu eru autu comu chiddu chi ci avianu spiatu, mi vulia ‘mmazzari. E iddu ci riuscì, però (da qui con foga crescente) anch’io lo sbrandellai, si! Mi fidai a pijaricci u cutieddu, sì anche si iddu mi avia spirtusatu, iu mi tolsi il coltello dalle me carni, chistu ccà (e guarda con soddisfazione il coltello che ha in mano) e cu u cutieddu ancora sporco di lu me sangu u trafissi e (si calma e si rattrista) poi morsi e mentre muria … pensai a li me quatri …

Maschera:- (molto sconsolato come volendosi guardare dalla mala sorte anche lui) Poveraccio, che mala sorte … e che triste destino tanto genio alla malora andato … e che peccato la sua bella arte al vento … tutto per una simiglianza nell’aspetto di poca cosa, eppur per lui fatale! (e viene attratto dal parlare di due fanciulle che entrano dai lati opposti della sala o dalla vocalist)

Musica malinconica dolore pezzo Micus danza la ballerina; sul finire entra Angela. 
Angela dal corridoio andrà verso il palco per salirvi dalla scaletta laterale e poi scendere; parla come se prima cercasse Tanina e poi l’avesse al fianco. 

Angela:- Tanina, Tanina, sono qui … le loro lame furon sì leste a toglierci la vita, dopo l’offesa, ma l’anima nostra ancora fugge e pietà invoca. E in quell’ultima mattina sebben l’alba avesse destato lieti e sereni i nostri cuori pei nostri lieti amori, ben triste e nera fu la sera che poi ne seguì. (sale le scale) E il sogno in vita che parea fosse per noi l’esistenza, giovin fanciulla amata con ardore ero, si dissolse nel calice delle lacrime nostre. E più dolore portò l’onta subita e l’offesa che i sanguinosi colpi che ci condussero anzitempo alla morte … e l’afflizione e il tormento per l’amor perduto al mio amato … lo vedo ancora … lo sento ogn’ora … 

(Anche Tanina è come se avesse accanto Angela)

Tanina:- Angela, senti, senti il cuore mio come piange e soffre … e dell’ultimo bacio, dell’ultimo sospir d’amore non s’accorse quando di tanti e tanti ancora le albe ne vedea piene … (incredula) La vita rubata per capriccio come fosse un pomo dalla cesta del venditor distratto … (e ricorda con dolore e rabbia)
Arrivaron fieri e tosti e vili nel loro apparir in crocchio. E la via sì stretta per li cestoni delle merci nostre, lì dietro la dimora dei Chiaramonte, la loro vile tracotanza in un soffio tosto riempì. E subito d’offesa furon i loro sguardi colmi per noi e per incanto li` le verdure nostre seccaron e in un sol momento persero ogni freschezza mentre a passo svelto gli stolti trascinaron via noi due dolenti … 

Scena 6) Non de eresia sed amore

Maschera :- (turbato)Sono confuso e inebetito. Così fresca sembianza quel che si mostra delle fanciulle al loro apparir, eppur già tanto e solo patir. (E con semplicità infantile illustra la logica di quel che accade) Sì, sono quegli stolti gaglioffi che, sicuri armati e resi dai potenti, sempre in ogni epoca e storia, violenze e sopraffazioni infliggono a chi, incauto o per sventura, in loro si imbatte e soffre. (e resta contrito, quasi indispettito ma ecco che si odono fragorose risate in lontananza) Ma delle risa odo: che lo sdegno costi’ urtante l’anima mia possa in un canto acchetarsi onde suggerir codesto vivace fragore qual misero medicamento? Non penso proprio ma … quale frate irriverente e’ costui la cui pingue figura rotea nell’aria fra la veste si’ ampia e cotante risa? 
(arriva ridendo un frate)

Fra Gerino:- (dopo un ‘ennesima fragorosa risata) Per caritate de lo Supremo, moderate cotanta impudenza et altrove volgete si’ avidi oculi! In vita in su lo spesso codesto vil trattamento debebam substinere et gravoso fardello meco recare allorquando li sguardi di homini infidi, a lo fine de sgravare coscienze innominabilis culpis maculate, accumpagnavano li passi mei et ovunque andassi pe’ mei cotidiani giri da la Porta de’ Greci a la ecclesia mea diletta de li Angeli Santa Maria, continuo lo borbottio di cattiverie et malignitate erat. Et quando me presero fin presso la cella, tam laetus sonnus meus erat quale solum iustis concessus est, a nulla valsero prioris opponimentia pur fedele amicus mei ma confuso et de paura avvinto, si’ che da illo momento a lo piu’ severo de’ giudizi, extrema poena, repente fiat et clarae flammae, sed eccelsae purificatrices culparum hominum impiorum, avvezze tantis iniustis mortibus, perpetuarono luctuoso vezzo lambendo in fatale abbraccio lo supposto eretico che io dover esser saria. (e comincia a ridacchiare) Eppure rido, me godo gaudente … (comincia a ridere e alterna il parlare al ridere sempre piu’ fragorosamente) … et da mammalucchi delinquo vos … et rido et rido ancora … et in su lo carro me rivedo fra la miseranda folla mai de morte et de infliggere ludibrio paga, quando, da li orrori accesa, convulsamente mirabat, nulla intendendo de lo perche’ de mee risa, fragorose et potenti che, sino de visceris et in itinere per corpus, tutto lo essere meo de grandi et possenti fremiti scotea … tam nunc sic … et tanta magnitudine stupor fuit … in toto chiedersi “Che fa? Va a morire et ride?” … sed io ridebam como nunc rido … perche’ … (qui si calma) culpa mea, si ista or vedrete potest dici culpa, non eresia erat sed altro et mai (di colpo diventa serio) mai nulla anima isto secreto conoscere potea … Devota anima mea a lo Cristo redentore, sinceramente et ex profundis, per eccesso de amore, et eccesso mihi frequente compagno est in multis rebus como mee abbundanti sembianzie divertono se narrare, o de vizio, se de fazione de lo accusatori volete infoltir la schiera, per eccesso dicebam de … casus vitae, a lo fianco de lo amore per lo Signore Nostro, che mihi perdonat se sine alicuna vuluntate io Illo abbia offeso, altero amore nutria, a lo medesimo profundo et sincero modo, per fanciulla una quale etiam essa me amabat et donna poi semper me amavit! Et gens vulgaris che tanto se trastullavit a lo cospetto de lo eretico, et lo motivo de eresia accusatus fuerit mai conobbi, meritavit inganno et risa che semper ne la eternitate perdurar deberanno. Eppure me domando, et Signore Iddio Domine saper puotet che in grande fede mea et vocazione mai Illo mancai in prece et devozione, perche’ in codesta guisa appesantire esistenza mea!? Ma in veritate, essendo non de eresia sed amore la culpa, (ridacchia) preferisco seguitar risa mee piuttosto mens dedicare tali rovelli! (e ridendo continua a vagare)

(riprende la vocalist con veemenza il brano che poi introduce il personaggio successivo) 

Scena 7) Perder la testa

**** (VOCE4) Brano vocale con amore misto a rabbia.
Si conclude con un effetto fortissimo di lama che taglia con un urlo col quale la Maschera si interrompe. Entra Maria la popolana alla quale il marito ha scippato la testa perche' reso da lei cornuto, con in mano una palla che sembra una testa di donna appena mozzata. Entra come una furia. All'ingresso cosi' prorompente di questa popolana la Maschera quasi intimorita si mette in un angolo e ascolta. Maria e' fiera e porta la sua testa come un trofeo.

Maria:- Si', lo ammetto, e' vero il mio talamo nuziale io infangai e cornuto resi l'amato un di' marito mio. Ma lui fu il primo a smarrir l'amore, ma si', dopo il terzo figlio il suo amor svani' e le comari mie lo dicevano, lor lo sapevano quel che accadeva nella bottega della 'gna Pina, in fronte alla fontana qui del garraffo, prima di tornare a casa. E poi mai un bacio o una carezza, i figli ci furon ma poi niente piu' letto. E io, che sono pure di carne lo ammetto, mi innamorai del mio compar d'anello, e fu terribile cadere in quel tranello, mortale si' ma d'amor vero e le nostre teste, qui la mia vedete, pur se mozzate, hanno conosciuto la passione vera per la quale non solo la testa, ma ci vale una vita intera.- (Risata molto sinistra ed esce)

*** La Maschera dal suo angolo rincantucciata e confusa. Il suo corpo parla per lei.

Maschera:- Ma cosa dice questa poveretta, perder la testa gia' le e' accaduto, ma anche il senno e' troppo!! Con i sentimenti andar cauti bisogna, e poi incorrere in simili accadimenti fa male al cuor, al capo, ad ogni cosa, ma ...

*** Dal fondo si sente la voce della vecchia che ritorna in scena.

Scena 8) La giovin dama di allora 


Vecchia:- (da fuori la scena)Io invece la capisco questa donna, sapete, perchè l'amor vince ogni cosa, dolore e morte, e se amor non c’è è cosi' che si invecchia, come me. (Ed e' in scena) Quando ero giovin e bella ogniun mi amava, ma solo desiderio senza cura e si porto' via la mia belta' lasciandomi per la mia vetusta eta' la trista aria e l'esser sola. Di me si' in tanti si invaghiron e furon attratti e i primi colle mie bellezze pur si arricchiron ma ... poi sempre meno gioie al collo e monili per la dama che ... perdea ogni belta' e pur scansava quegli specchi un di' tanto cercati, del cielo, del mare e delle fonti dove mirar le sue sembianze volea ogn'ora. Ah, amanti infidi ed egoisti! Per causa lor i miei splendor or sono appannati ed anche io rifuggo l'immagine mia, l'ho detto. Ma se giustizia divina un giorno venir dovra', e allora chi ha portato rovina e tolto ogni freschezza alle mie gemme di belta', un di' avra' qual segni pesanti dal cielo enormi bubboni di nera materia purulenta nelle sue carni si' da ricrear nel corpo suo lo mismo sfacelo che or si mostra nel mio apparir.-
E mestamente si siede in un angolo, mentre riprende la Maschera.

Scena 9) La fattucchiera

La fattucchiera, in realtà una scienziata ante litteram che conosceva i rimedi che la natura poteva offrire. (entra in scena come se cercasse di riconoscere fra altri un suono a lei noto)

Fattucchiera:- E le cicale? … Il dolce mormorio che i miei sonni allieta ed è conforto per l’animo agitato dalla calura della stagione ardente … cicale, perché silenti state? (come se tornasse in sé) Questo pensavo e non riuscì a trovar risposta ma subito capii del fatto ogni mistero. Erano quattro le guardie con le armi per me, povera donna non maritata e dalla favella ai tanti oscura. Certo, forse questa l’unica colpa vera, perché poi arti e conoscenza mia della natura e dè suoi medicamenti colpa non era ma bene, sol bene recava a chi alla mia porta bussato avea. E sebben sgarbo nelle gesta e nella voce, il loro cuore dagli occhi era tradito, poveri i soldati sol di armi armati … Sapean che il mio sapere bene era e non stregoneria. E cogli inquisitori ogniun tacque e de nulla cosa fu fatta menzione … Ascessi, orticarie, li pestiferi catarri … e quant’altri fra i tanti dei malanni da me sanati. Per tutti la paura, fu lei la loquace. E quando poi li fuochi avvolsero l’umil dimora, gli unguenti e nel piano della Marina alfin le carni della mia persona, questo il sol pensiero che mi prese: povera l’umana gente sì fida e cotanto sottomessa all’ignoranza. - 

Scena 10) Il Carnevale

Maschera:- Ma basta! alfin lasciate che parlar io possa, anche se in tutta sincerita' devo pur dire che il cruccio mio le altre voci ben lo narraron con fatti lor ugualmente forti
per li fini miei. Che vita dura, grama, trista e meschina... (si rabbuia) ma possibil che non si possa per una volta cambiar mossa della pedina della umana sorte e rallegrar gli animi con qualcosa che sappia di lieto, allegro e faccia ben sperar per lo futuro della umana specie?-

Entra la danzatrice che introduce un’idea di apparente allegria. 

Entrano due personaggi ridendo sguaiatamente e molto fragorosamente, come se avessero qualcosa fra loro che li fa morir dal ridere.
L'uomo, un popolano tutto vestito di stracci, da' uno spintone alla sua compagna, anch'essa popolana vestita di stracci ma con una mascherina bianca. 

Miche':- Ehi, siamo qua, non diteci che avete scordato li trucchi de lo Carnivale quando noi povera gente tutto potevamo e lo facevamo veramente!-

La popolana interviene lei, parlando sempre a spintoni, volendosi imporre nel parlare al pubblico, lei e' la forte della situazione.

Carmelina:-Non esagerare! Ricordati la nostra fine e non parlar troppo che non sempre quel che si dice avviene.-

Miche':- Ma noi fummo sfortunati!-

Carmelina:- E per questo ci appesero alla forca alla piazza Marina.-

Miche':- Ci scambiaron per ladri assatanati per colpa dei travestimenti de lo Carnivale!-

Carmelina:- Si', ma povera gente eravamo e non voller sentire ragioni e ci accusaron del furto nel palazzo, furto col morto, che ci costo' lo stesso trattamento como avvelenatrici e malfattori ma con minor popolar clamori.

Miche':- Lo sai le leggi i padroni le facevano, i potenti, e quelli del Palazzo Lo Mazzarino, potenti lo eran per davvero!-

Carmelina:- Ma che fai, ci impiccaron ingiustamente e tu li scusi?-

Miche':- No che non li scuso, ma voglio dire che le ingiustizie allora eran la norma, e anche ora accade lo si sa, e come noi tanti gli sfortunati son sempre stati.-

Carmelina:- Oh senti, una volta li turchi, un'altra la peste, un'altra ancora l'errore dei potenti, ma che vita grama, che vita
sventurata la nostra nei secoli e secoli di stenti!-

Miche':- Almeno cara amata mia, qualche ballo spensierato riuscimmo a farlo e il resto pensa a 'Dio.-

Carmelina:- Ma cosa dici! Assai Dio ci penso' (e qui inizia una risata fragorosa che li prende tutti e due, come se riprendessero un qualcosa interrotto prima, e la risata li travolge entrambi e continua fra le risate e parlare e poi alla fine fra le risate 
esce) ed ora vaghiamo senza meta da quando impiccati fummo, e senza colpa. Basta, (qui un po' si calma la risata) or vago e vano e' il parlare diventato, (con l'aria di chi e' stanco e 
soddisfatto delle gran risa) preferisco nel limbo ritornar.- (ed esce)

Miche':- (Anche lui ha seguito la donna nelle risate e ora sta ridendo a crepa pelle, ma si interrompe non appena lei fa per uscire) Aspettami che arrivo! Scusateci, ma la sua offesa rende duro il parlar e lo capisco, ma e' la donna mia e devo andar.- (e la segue di corsa)

**** Dia2 e terzo momento FREE (il male vittorioso e gaudente)

Scena 11) Il filosofeggiare
La Maschera ha assistito al dialogo ed ora e' sempre più afflitta e preoccupata, mentre la vecchia ha un'aria quasi divertita. 

Maschera:- Tristo son tristo e tristo assai rimango e senza speme e luce alcuna nel mio cuor. E mi domando se sempre cosi' sara' l'esistenza e seguitare a penar dobbiamo, o possiamo concederci l'illusione che possa in lontananza la sorte delle umane genti piu' lieta e lieve esser?-

Vecchia:- Ma certo, caro il mio cocchiere dell'uman carrozza, portatore di destini senza onore, guarda su in cielo, anche se e' notte ora poco importa: domani all'alba il sole spuntera', e questo da sempre e sempre accadra'. Questo indicarci dovrebbe la via, di fiducia e ammaestramento, e non di inganno e ruberia, nella natura degli esseri mortali che, tutti meschini e eguali, come tante formichine si muovono, si affannano e distruggono credendo di tramar a lor vantaggio e guadagno senza capir che
solo per la tomba il loro andar e' certo. E ci son poi le altre, le anime belle, costrette a vagar fra cielo e terra senza tempo. Son le anime che non accettaron che fosse giunto il lor momento della fine e tanto odiarono l'esser supremo del creato da meritarsi lo castigo del vagare. E quei balconi diroccati di via della Loggia qui sotto, di notte riecheggiano di balli; son le anime belle che con le danze ingannano il loro triste destino del vagare sempre senza posa. Ma belle perche' direte voi? Perche' eran giuste e leali nell'offerta di se' stesse, per amore dell'amato, dell'onore, della giustizia o della liberta', o anche solo per l'ingenuita' colla quale alla morte, incauti o per infausto caso, andavano incontro. E ad esser sinceri siamo felici che al lor vagare senza meta abbiamo dato voce, sperando che in tal guisa le sventure mie di citta' bella ormai si' derelitta, unendosi agli spirti dell'al di la', possano invece un di', seppur lontano, portar fortuna ed insegnamento agli umani che a viver qui stanno e ancor staranno.-

Maschera:- E il mio dolor!-

Vecchia:- Ma qual e' questo tuo patimento, dillo alfin!-

Maschera:- E' per le umane genti, non capisco il motivo delle sorti si' tristi e senza godimento, mai o quasi, nel viver terreno.

Vecchia:- Credo che ci sia un fraintendimento in quel che e' nel tuo pensiero. Non e' detto che viver debba esser felice nello accadimento per principio, mentre per principio e' scritto che possa non esser patimento, ma forse possa non esser, non lo scordar! E ancora vi e' il tuo dimenticamento, e cioe' che viver e' un gran regalo, assai strano in verita', ma questo bastar dovrebbe per migliorare i cuori nella mestizia e nell'affanno e anche nelle gioie che pur brevi una qualsiasi pur triste e miseranda esistenza, una volta almeno, ma sempre le concede.-

Maschera:- Vuoi dire che triste per principio la vita si mostra, ma gia' sol perche' e' vita felici accettar noi lo dobbiamo?-

Vecchia:- O maschera delusa, lo capisco, ma cosi' disillusa piu' saggia tu sarai, te l'assicuro e guarda al mio destino: forse conclusa avrei dovuto pensar la mia esistenza solo perche' avidi e ingiusti con me gli amanti furon? Ma no, guarda ancora su le stelle in cielo, e dimmi: credi che siamo i soli a questo mondo che torciamo gli occhi e le 
budella nell'inquieto passar del nostro tempo? Non credo proprio, ma neppur lo so e neppure posso pensar che verita' sia piu' propizia alla sorte mia, pero' so questo, che il non saper ci e' dato e sol col viver la verita' si avra'.- Esce di scena con grande dignita'

Scena 12) Conclusione

Maschera:- (Mostrandosi piccolo piccolo) Ho capito che le mie mestizie son poca cosa e me ne scuso, pero' son lieto che i miei turbamenti hanno portato simili accadimenti e sapete cosa faccio? Mi preparo alle danze per stanotte nell'ultimo balcone della via che ancor per fortuna mia rimane lassu' appollaiato. E se voi volete, e per caso da queste parti vi trovate a passare, venite e unitevi alle anime belle che ogni notte stanno qui a danzare. Anche perche' non dimenticate notte o giorno poco importa se con voi avete la luce che
ogni dolor allevia e ai momenti bui conforto porta. E detto questo vado a danzar e vi saluto una volta ancora rinnovandovi l'invito e, se accettar non potete oggi, almen sapete che domani o doman l'altro o quando vorrete, li' sempre nelle sale dei palazzi diroccati se suoni udite, non temete, son le danze delle anime belle ...- 

Mentre sta per uscire, entra la ballerina che danza al suono di una musica trascinante che alla fine coinvolgerà tutti i personaggi. 

*** FINE ***