...ANTIGONE
(monologo per una sola attrice)
di
Paola Ponti
In scena, una colonna greca e della sabbia a terra. Le luci sono molto soffuse.
Entra Antigone. Vestita a lutto con una piccola corona di fiori sul capo.
“Mia compagna terrena, creatura fraterna. Dei nostri due fratelli, restammo
prive. L’uno ebbe sepoltura, l’altro ne fu bandito. Le sventure marciano dai
nemici contro i cari e tu l’ignori. Che possiamo, dici? Che puoi, tu, meschina,
fare e disfare, ti chiedi? Sorella: Seppellire…”
Si blocca per un attimo. L’attrice sta perdendo la memoria. Prova a riprendere
il filo.
“…Che puoi tu, meschina, fare e disfare, ti chiedi? Sorella: Seppellire
Polinice!”
Si blocca. Lunga pausa. Non riesce più ad andare avanti.
(al pubblico) …Un’amnesia, scusate. Ricomincio.
Imbarazzata, l’attrice esce velocemente di scena, alzando lo sguardo alla cabina
regia. Ritorna in quinta, intanto cala il buio. Si riaccendono le luci, sempre
soffuse. Rientra.
“Mia compagna terrena, creatura fraterna. Dei nostri due fratelli, restammo
prive. L’uno ebbe sepoltura, l’altro ne fu bandito. Le sventure marciano dai
nemici contro i cari e tu l’ignori. Che possiamo, dici? Che puoi, tu, meschina,
fare e disfare, ti chiedi? Sorella: Seppellire Polinice!”
L’attrice si blocca di nuovo. Toglie il mantello e lo lascia cadere a terra.
(al pubblico) Signori, vi chiedo scusa, ma io non posso fare lo spettacolo. Vi
chiedo scusa, mi dispiace, non so come funziona adesso, se avete pagato dei
biglietti, vi rimborseranno credo, ve li ridò io, non so… in effetti, questo,
magari no…
Esce di nuovo di scena.
Dopo qualche secondo rientra con foga.
(tra sé) Anzi, io non mollo questa volta.
Viene in proscenio e si rivolge a qualcuno in fondo alla sala.
Te ne vai, tu, per favore?
Pausa.
Esci da questa sala.
(al pubblico) Signori, io… mi dispiace moltissimo.
(ancora a qualcuno in fondo alla sala) Ti sto supplicando, non ti basta? Esci da
questa sala, altrimenti io non ce la faccio, e tu lo sai benissimo. Io non ho
più niente da dirti. (le si spezza la voce) Per una volta, abbi pietà di me.
(al pubblico) Scusate, ora ricomincio davvero.
Va a posizionarsi sul palco per ricominciare a recitare Antigone.
(sottovoce al qualcuno in fondo alla sala) Esci da questa sala. Così ci togliamo
da questo imbarazzo… Ma certo. E’ proprio questo, che vuoi. Che io non ce la
faccia!
In tono di sfida, ritorna a recitare Antigone con piglio sicuro e ritmo
incalzante.
“Pensa, sorella, come il padre infamato ci morì: per quelle colpe che scoprì da
sé, si strappò gli occhi, entrambi di sua mano. E la sua donna, anche madre, in
lacci attorti di sé fece strazio. Infine i due fratelli, nello stesso giorno
dandosi morte…” (d’improvviso al fantasma di Lara in sala) Hai capito? Hai
capito come stanno questi?
Si toglie la corona dalla testa e, tenendola in mano, va verso il pubblico.
(spiega) Suo padre, Edipo, ha ucciso il padre ed è andato a letto con la madre,
Giocasta. Questo significa che Antigone e suo padre hanno la stessa madre. E che
suo padre è suo padre ma è anche suo fratello e lei è sua figlia ma anche sua
sorella. Edipo, quando lo ha scoperto si è accecato. Giocasta, sua mamma, che è
anche sua nonna, si è impiccata.
I suoi fratelli hanno combattuto per sette anni e alla fine si sono ammazzati
l’un l’altro. Sua sorella, la bella e pavida Ismene, l’ha abbandonata e suo zio
Creonte, adesso la vuole eliminare.
(al fantasma di Lara) E tu? T’inventi malattie che non hai? Perché non è
possibile, vero? Non è possibile che non ci sia stato un giorno, dico uno, in
cui tu ti sia alzata e abbia detto: “Oh, oggi mi sento proprio bene.” Mai! Mai!
(al pubblico, imbarazzata) Scusate, scusate… che sceneggiata sto facendo…
(al fantasma di Lara) E’ che tu la esasperi, la gente! Tu, la gente, la mandi al
manicomio! (indica la colonna greca) La vedi la differenza? La capisci, sì?
(pausa) Brava, brava. Alla fine, la pazza, sembro sempre io. Non tu, tutta
occhiaie e termometro, lo sguardo appassito, la voce funesta! (come ripetendo
una domanda che le hanno appena fatto) Qual è il problema? Qual è il problema?!
Che tu sei sempre malata. (pausa) E io mai!
Pausa.
Io non mi ammalo, mai. Perché, proprio a me, doveva capitare tutta questa
salute?
Già non scegli di nascere, non potresti almeno scegliere di essere cagionevole?
Per esempio: perché voi sì e io no? Perché i miei fratelli sì. E io no?
Due fratelli e… (al fantasma in sala, acida) una sorella. Sempre a letto,
stavate. (al pubblico) Sempre a letto, stavano. E la pertosse e la varicella,
l'acetone e il morbillo, e io? (pausa) Giocavo a Subbuteo. Da sola. Bello,
giocare a Subbuteo da soli. Soprattutto, se sei femmina. Ci ho messo anni ad
uscire dall’infanzia… (sorride) e diventare poi un’attrice…. ed incontrare
Antigone… quella che io sognavo di essere… E adesso tu non mi permetti di dire
più di sei versi!
Pausa. Sembra che ricominci a recitare Sofocle ma poi sente di dovere delle
spiegazioni.
Non mi contagio, non c'è niente da fare. Sono virus-repellente. Mia madre,
poveretta… lo capiva, capiva il mio disagio, e ci ha anche provato a fare
qualcosa, bisogna riconoscerlo: mi chiudeva a chiave in stanza con i miei
fratelli, per farmi contagiare. "Così poi, ti vengono gli anticorpi e diventi
forte forte." Mamma, sono già un enorme anticorpo, non lo vedi? Un enorme
invincibile anti-corpo!
Giusto il vaiolo, ho fatto, perché, per quello, ti facevano il vaccino
obbligatorio: com’ero felice… La maestra è entrata in classe e ci ha spiegato
che il vaccino altro non era… (sorride diabolica) che la malattia stessa.
Infilata, con una ‘piccola’ siringa, in una ‘piccola’ quantità… ma sempre meglio
di niente, pensavo. L’avrete fatto anche voi. Adesso si va all’Asl a fare i
vaccini. Tutto un’altra cosa, non c’è nessuno intorno. Mentre una volta, alle
elementari, tutti in fila, in piedi, arrotolavi la manica e trac sul braccio..
Non lo scorderò mai quel giorno: la classe tutta in piedi. Quella pazza sadica
della maestra, quel giorno, magicamente… sorrideva. Ci faceva coraggio. Era lì,
carina carina… E io pensavo: ‘Oddio, quanto è bello stare male…’
“Forse resterà un po’ di cicatrice, ma non è niente”, diceva.
‘Magari’, pensavo io. A me, infatti, non è rimasta nessuna cicatrice. Ai miei
fratelli… una bolla così. Poi entrò il dottore, bello come il sole, i baffi e la
voce calda, parlava piano: “Magari vi verrà un po’ di febbre, ma non è niente.”
(sorride) ‘Magari, dottore, magari…’ Infatti, a me non è venuta nessuna febbre.
Comunque, mi ricordo benissimo mia zia, che a pranzo, mi ha chiesto “Tesoro, fai
vedere, il braccino." Ho alzato la manica e lei: “Ma qui non c’è niente…”
(triste) “Lo so, zia.” Poi però, mi ha dato lo stesso un bacetto. Un piccolo
bacio. Sfiorato. Qui, sulla spalla.
Pausa.
E’ stato un istante… ed è finito tutto.
E i miei fratelli? Sotto le coperte, tutto l’inverno, col virus. Coi molteplici,
interminabili virus, pieni di cioccolata e carezzine. Cioccolata e carezzine. E
mia madre:
"Ma no tesoro, non fare così, è solo perché tu sei la terza. Voglio dire, sono
più forti i bambini che vengono dopo…”
(quasi a sé) Non solo non puoi scegliere di nascere, e non puoi scegliere di
essere cagionevole, non puoi scegliere nemmeno la postazione.
“Anche Lara, che è l’ultima…”
Non mi nominare Lara, mamma!
Pausa.
State attenti ai bambini. Bisogna stare attenti ai bambini. Guardateli. Non
lasciate che stiano lì per terra, nella polvere, a toccare qualunque cosa, "che
così vengono gli anticorpi." Perché poi non se ne liberano più! (Pausa) Si
chiamano ‘anti-corpi’, no? E allora, fuori dal corpo, devono stare. Fuori!
Come l'altro giorno, al parco una bambina, tutta per terra a giocare nel fango,
che si metteva in bocca di tutto… Sono andata dritta dai genitori: “Come vi
permettete? Eh?”
Devo essere stata incisiva, si sono messi subito sull’attenti.
“Lei ha ragione… ci siamo distratti… Ora le facciamo subito il bagno… Speriamo
che non si ammali.”
(pausa) Come speriamo che non si ammali…?
“Ci scusi, avevamo capito...”
I bambini devono ammalarsi!
“Ma lei… non è una salutista, scusi?”
Io, una salutista? Io li odio i salutisti! A me, ci ha costretto la vita! Come
si fa a essere tanto crudeli da impedire ai bambini di ammalarsi! Non ci sarà
mai più niente di tanto caro. La mano di tua madre, il suo sorriso, come ti
accarezzava i capelli. E tuo padre, preoccupato, che ti guarda.
(pausa) Salutisti… Anni e anni di sacrifici, per cosa? Per morire sani?
Pausa.
Se avessi continuato almeno a giocare a tennis. Tutti che urlavano al miracolo.
"Una piccola rivelazione!". Ero brava. Ero proprio brava. Credo, almeno. Pare
fossi brava, sì. Sei anni di agonismo… Invincibile, persino gli uomini battevo.
(con sfida) I miei fratelli erano malati… però io giocavo a tennis. Mi sono
fatta anche dei viaggi bellissimi. In Giappone, Sudamerica…. Trattata come una
star, tenuta sul palmo di una mano. Ero sempre la più piccola di tutti, ma ero
la più brava. Scendevo in campo, picchiettavo con la racchetta la terra rossa
sotto le scarpe e poi… alzavo lo sguardo.
Guarda il pubblico.
Tutta quella gente… lì per me, che mi guardava…
Resta a guardare il pubblico che la guarda.
Aveva un senso stare al mondo. Poi, è finita. Perché? Non lo so. Ho cominciato a
perdere e non è venuto più nessuno.
Torna a raccogliere la corona e si prepara per ricominciare a recitare Sofocle.
Anche se una vocina dentro di lei non riesce a trattenersi dal commentare.
“Mia compagna terrena. Creatura fraterna. Io non altro che dolore, delitto,
disprezzo, infamia, ho veduto fin qui.
(Lara) Ma… una bella commedia?
“E chiunque viva tra tante sciagure, queste in cui vivo io, come potrà non
ritenersi fortunato, contento, se muore”.
- (Lara) No so… Feydeau, Marivaux… ce ne stanno tanti…
“Io, pianti, canzoni, amici, non ho.”
- (Lara) E te credo…
“Tratta ormai per una via, pronta, mi incammino. Né questa luce divina, che
fulgida brilla, potrò più mirare. E la mia sorte illacrimata, che nessuna voce
piange.”
- (Lara) Cosa?
“La mia sorte illacrimata che nessuna voce piange…”
- (Lara) E no, eh! Nessuna voce piange? Ma se sono duemila anni che veniamo a
teatro a piangere per lei!
“Ismene! Non è di questo che mi affliggo. Non, l’avere in sorte, questa morte.
Cosa? Un gesto folle, tu credi? Forse il folle è chi mi accusa di follia!”
Si ferma.
Chi mi accusa di follia. Di follia.
(canta un passo della Traviata) ‘Follia. Follia. Delirio vano, è questo. Povera
donna, sola, abbandonata.’
(smette di cantare) Già, follia. Sapevo che mi era, in qualche modo familiare.
Sapevo che, da qualche parte, là dentro, stava la soluzione.
(canta) ‘Follia!’
(smette di cantare) Diventare qualcun altro… Prendere a prestito dalla vita
degli altri… Crescevo, e pensavo a come organizzarmi. Dove posso andare? Cosa
posso fare? Ammalarmi, non mi ammalo, e allora… I matti…! E dove li trovo…? (si
illumina) Ma certo!
(canta) Alla Scuola d’Arte Drammatica!
(smette di cantare) Mi sono iscritta e mi hanno preso subito. Al provino, facevo
Antigone e Lara - mia sorella, la stronza, la quarta - Ismene. Poco originali,
lo so, comunque: Io, sono passata… (alzando la voce per farsi sentire da Lara) e
lei no! Che c’entra, che non ci volevi entrare ed eri lì solo per farmi da
spalla, comunque non ti hanno presa.
Sì, sei un architetto famosissimo e guadagni un sacco di soldi e ti chiamano in
tutto il mondo, vinci concorsi su concorsi, e io, invece, mi ritrovo a ripetere
un monologo da anni che non riesco nemmeno a finire e soprattutto non guadagno
il becco di un quattrino…
Io, sono passata e tu, no.
E, ora, cara, visto che tu sei sempre in giro per il mondo, io non ti vedo più.
(con tristezza) Beh… quando ci riesco.
(al fantasma in sala) Cosa? No! No! Non è vero che non facevo niente per me
stessa! Se non mi ammalo, che ci posso fare? Ci ho provato in tutti i modi.
Quest'inverno, allora?
(spiega per il pubblico) Questo inverno, levavo calze e scarpe e uscivo a piedi
nudi sul balcone. Tre/quattro gradi sotto zero, pavimento ghiacciato… sono
andata avanti così per una quindicina di giorni. Cominciavo a sentire che
nasceva un pizzicorìo al naso… quasi un raffreddore. Solo che poi il mio vicino
di casa mi ha visto. Mi ha visto… mi ha spiata!
Antonio. Antonio ha 74 anni, quel male incurabile che è la noia, un
antidepressivo che è il davanzale della sua finestra e soprattutto il pensiero
fisso che io sia la figlia che non ha mai avuto. Una mattina, all’alba, si è
affacciato come sempre e mi ha visto passeggiare scalza sul balcone. Mi ha
scandito a voce sostenuta il numero di telefono del suo analista: (scandisce i
numeri) 06 54321. No, che non mi sono offesa. Anzi, mi ha convinto subito. Come
ha fatto? Mi ha guardato e mi ha detto: "Tu hai bisogno di un medico! Di un
dottore!". (sorride diabolica) Non mi pareva vero… Un dottore, tutto per me, tre
volte a settimana. Purtroppo, però, ho resistito pochissimo. Mio padre non
abusava di me, mia madre non si faceva di eroina, i miei fratelli non mi
spogliavano, in casa non avevamo né zii né amici pedofili… Almeno, credo. Per
quanto, lo zio Franco… Comunque, è morto prima che io nascessi, quindi ho
troncato subito. Ho pensato, visto che a me di 'traumi' non ne trovano, sta a
vedere che se li inventano - tanto per giustificare cento euro a seduta - e
domani mattina mi sveglio e mi ritrovo lesbica. Non fa per me. Non per altro, è
solo che essere lesbica non è una malattia. (le viene il dubbio, chiede
conferma) Non lo è, no? E’ una malattia? No, perché, in quel caso, potrei anche
ripensarci… No, infatti, non è una malattia! E poi, comunque, io non sogno. E
l’incubo, diventava la seduta dall’analista. Un’ora completamente zitta. Ho
provato anche ad inventarmeli, i sogni, ma mi beccava subito. Non solo mi
beccava, ma poi, tanto per sottolineare la sua superiorità, aggiungeva che
andava bene lo stesso. Se i sogni sono l’inconscio e le balle la ragione, come
può andare bene lo stesso! Ah, anche le balle sono l’inconscio? No, grazie.
Troppo complicato. Ha ragione la badante ucraina di Antonio – lui in analisi ci
va da quarant’anni - che un giorno ci ha guardato, ha scrollato la testa e ci ha
detto:
(con accento ucraino) “Psicanalisi sierve solo per sani, per malati non sierve a
niente”.
Ha girato le spalle e se ne è andata. Io e Antonio siamo rimasti a guardare la
sua grossa schiena che lasciava la stanza. E io ho pensato: è vero. “Psicanalisi
sierve solo per sani, per malati non sierve a niente”. Quindi, chi se ne frega!
E poi, diciamolo, ero anche stufa di andare a letto alle dieci di sera. Una
cena, una festa, un cinema e io che lasciavo tutti, “scusate, devo andare a
letto. Devo fare i compiti.” Non ne potevo più. E poi è arrivata l'estate, il
balcone non aveva più senso e così Antonio ha potuto ricominciare a dormire
sereno.
Pausa.
Comunque, l’unica cosa che ho capito dall’analista è che la vita è veramente
un’ingiustizia. Come può decidersi tanto nei primi tre anni di vita? Proprio
negli anni in cui non conti un cazzo! In cui sei lì come un ebete, pendi dalle
labbra del primo che ti passa davanti, e se tuo padre ti strapazza un po'
troppo, o tua madre ti dimentica all'uscita dell'asilo, e tu resti rovinato per
il resto della vita. Vi pare possibile? E poi come lo decidi a tre anni, se, di
quei due che hai davanti, ti puoi fidare o sono solo - quando ti va bene –
sempre tanto stanchi e - quando ti va male - una coppia di sadici psicopatici?
Come lo decidi?
Ricapitolando: Vieni al mondo quando lo decide qualcun altro. Non scegli la
postazione, non scegli di essere in piena salute, e infine, nasci che sei un…
niente. Senza nessun criterio di giudizio, in balia di qualunque evento, perché
non sei in grado di fare un accidente. In più, di solito, nessuno capisce nulla
di quello che chiedi e, al primo tentativo di esprimerti con un vagito, ti
sparano in bocca una tetta, quando magari avevi le coliche. Non è certo il mio
caso, naturalmente. A me le coliche non sono mai venute. Comunque, ti vestono,
ti spogliano, ti lavano, ti mettono in letti con le sbarre, e in questi primi
fantastici anni, si dovrebbe decidere tutto quello che sarai per il resto della
vita! Ah, però!
Per forza che… Che fai, quando nasci? Cos'è la prima cosa che fai? (pausa)
Piangi! Deve essere una specie di premonizione. E se, per caso, non lo fai,
perché sei un duro oppure un ottimista, ti ci costringono pure, con scudisciate
sulla schiena!
E quando sei un po’ più grande, e ti sei veramente rotto di essere mosso come
una marionetta, e cominci a capire quel grande strumento che è la parola ‘No’ e
la sperimenti… va beh, magari ti ci diverti e la sperimenti anche un po’ troppo
No No No No… E Pam! “Tanto ha il pannolino, non fa male…”
Ora. Vi siete mai chiesti, se per strada… che so, al litigio per un parcheggio,
in inverno, con il freddo, uno, invece di discutere, Pam! ‘Tanto hai il cappello
non fa male’. Voglio dire, nella vostra vita di adulti grandi e grossi, come la
prendereste, se ogni volta che qualcuno non è d’accordo con voi, vi prendesse a
ceffoni? (pausa) Bene. Perché per i bambini dovrebbe essere diverso? Non si sa.
(ci pensa) Anzi no, si sa benissimo. Sono alti cinquanta centimetri.
MUSICA.
E perché i miei genitori, invece di essere salutisti-ecologisti-vegetariani,
pieni di candele e omeopatia - così adesso potrei star male quanto mi pare -
dovevano essere maniaci degli anticorpi? E noi quattro, nei rari momenti in cui
anche gli altri due stronzi dei nostri fratelli, i primogeniti, i gemelli, ci
facevano l'onore di alzarsi dal letto, giù a giocare tutti insieme in cortile.
E terra e sporco e fango e via, che la bella discarica dell'infanzia ti si
incrosta bene addosso e passi il resto della vita a tentare di scrostarla…
LA MUSICA SI FA PIU’ FORTE.
(Antigone) “Ordini io non ne do, Ismene. Sii come sei, come ti pare. Io, lo
seppellirò.”
(Ismene): “Antigone. Tu dimentichi che noi due siamo donne, non siamo nate per
lottare con gli uomini. Ti ucciderà. Creonte, ti ucciderà. Chi regna e ci
comanda è troppo forte. Nessuno ti approva.”
(Antigone) “Tutti mi approverebbero, se a tutti non chiudesse la bocca, la
paura.”
(Ismene) “Tu hai ragione, è così. E, quindi, cosa posso io, meschina, fare e
disfare con qualche costrutto?
(Antigone) Che puoi fare, chiedi? Sorella: seppellire Polinice!”
Stacca da Sofocle, e i suoi pensieri incrociano la sua vita.
(fa il verso alla madre) “Tesoro, non fare così… Lara è tanto fragile”
- Mamma, mi hai detto che io non mi ammalo perché sono la terza. Lei è la
quarta!
(madre) “Ma per lei è diverso, lei è tanto fragile…”
- Fragile?
“Sì, tu non capisci che cosa sia la paura…”
- (esplode) Mamma, la paura la provano i forti! I deboli rinunciano prima!
E poi non voglio parlare di Lara. Va bene, parliamo di Lara!
Mia sorella Lara, mentre i miei fratelli passavano dalla mononucleosi
all’epatite, e nei momenti estremi di salute, s’ammazzavano di botte, mia
sorella Lara, passava le sue giornate a fantasticare. Bella, bellissima, bionda,
gli occhi colore del mare… si sdraiava e, con la mente, fantasticava, lei. Visto
che ad un certo punto, essendo la quarta, vero, cominciava anche lei a
scarseggiare nelle malattie, che ha fatto? Fantastica e fantastica… Ha
cominciato con quelle di testa. (al fantasma) Certo che non ci ho visto più!
Perché? Perché quelle potevo inventarmele anch'io, no?!
L'anoressia! Che ci vuole? Capisco l'epatite e la mononucelosi, che si sono
presi i due primogeniti gemelli, quelli poi, essendo anche maschi, si spingevano
giù dai vari muretti, scivoli, balconi, e si spaccavano le ossa in
continuazione, e lì pensavo: "Beh, c'è da dire che bravi sono bravi." Come per
il fuoco di sant’Antonio, ho riconosciuto loro, una certa prontezza di spirito,
ma tu, Lara… L’anoressia! Adesso dimmi, come hai potuto trovare il coraggio di
sostenere che l'anoressia non era contro di me! Certo che mi rodeva! Quella,
ormai, ha come effetto collaterale che finisci in gigantografie per la
pubblicità! E hai voglia, a essere guardata lì. Altro che fare l’attrice… Con i
quattro gatti che ci sono di solito… (guarda il pubblico) No no, non dicevo di
voi. Anzi, grazie di essere venuti, per carità…
E' perfetta, bisogna dirlo, quel che è giusto è giusto… Dura una vita, diventi
pure misteriosa, quella vocina, quel sorrisetto: "Appena ti volti, ti infilzo"…
(breve pausa) Perché l’anoressia è così, non lo sapevate? Guardate che ci
odiano. “Poveri mortali, costretti a fare una cosa così meschina come mangiare”.
E loro invece, che sono, appunto, morte di fame, appena ti distrai, ti divorano
in un sol boccone. Ma questo è un dettaglio, naturalmente. Il fatto è che
instaurano un fantastico senso di colpa in qualunque essere gli passi accanto,
in modo da poterselo tenere ben incollato per tutta la vita… E la vita passa in
un attimo.
Pausa.
Ti pare che ci riuscivo io? Niente. Oddio, niente niente, no. Fino alle sette di
sera, non ero male, invece. Davvero. Mi aiutavo bevendo quattro, cinque litri di
acqua al giorno, che, tra l’altro, pare faccia anche bene, quindi lì dovevo
stare molto all’erta… Però ero perfetta. Non mangiavo niente, niente, niente,
niente fino alle sette. Dopo… lo sfascio.
Pausa.
(al fantasma di Lara) E allora tu che hai fatto?
(al pubblico) Appena io mi sono rassegnata, pensando che almeno lei si privava
di quella meravigliosa gioia della natura che è la Nutella, che ha fatto?
(al fantasma di Lara) Che hai fatto? Non hai il coraggio di dirlo, eh? Che hai
fatto?
(al pubblico) E’ diventata bulimica! E adesso, una non si deve inferocire!
Comunque, ho cercato di recuperare il tempo perduto. Ho pensato, se il mio
problema, è solo serale, che faccio? Le mischio! Ancora meglio: Due malattie in
una! Sto anoressica fino alle sette di sera, poi quando mi viene la crisi, tac!:
entra la bulimia. E' fatta! Anoressia, anoressia, anoressia, TAC BULIMIA!
Anoressia, anoressia, anoressia, TAC BULIMIA! (canticchia) ‘Anoressia,
anoressia, anoressia, TAC BULIMIA’ (Le passa l'entusiasmo) Che schifo, dai. Solo
il nome. Bu-li-mia. Non ha nessun fascino. Un conto se hai, che so… la ‘Cistinuria’.
L’’ossuriasi’. La ‘Cistifellea’. Ah, no, la Cistifellea ce l’ho anch’io, quella
non è una malattia. La.. ‘Nevralgia del Trigemino! Nomi aristocratici, ti senti
già meglio, mentre le dici: (si dà un tono) “Ho la Nevralgia del Trigemino” La
bulimia: mi fa anche senso dirla. Sarà che come piccolo inconveniente, devi
vomitare, e non è bellissimo. Eh sì, se no diventi una botte. Sarai anche
malata, ma diventi un cesso, quindi non ha più senso, non ti guarda più nessuno.
E, naturalmente, io non so vomitare. Posso introdurre nella faringe la mano, il
braccio, il gomito, anche quello del vicino: NIE-NTE!
(Pausa) Sono fatta male, sono fatta sana.
(scrolla la testa) E nessuno ti regala niente, giusto? Almeno a me, ecco. E ti
pare che mi insegnavi qualcos? E quando lo trovavi il tempo, tu. Sempre a letto,
stavi, con quella faccia… soffriva tanto lei:
"Ma tu sei pazza, guarda che è una malattia tremenda. E’ una vera e propria
dipendenza!”
- E allora, potevi smettere, no?
(Lara) “Ma cosa dici? E’ una dipendenza!”
- E’ questo il punto. Se non si smette, significa che ha dei vantaggi. Se no,
sei solo un cretino.
(Lara) “Ma stai malissimo! Non vivi più"
- Brava, Lara, brava. Ci sei arrivata. Agli altri, tocca vivere.
Pausa.
Avrei risolto tutto. Se solo ci fossi riuscita. Le giornate a fare e disfare,
fare e disfare, fare e disfare. A questo serve, no? Fai e disfi. E non ti occupi
più di niente. Fai e disfi. E il dolore si attenua. Si allontana. Fai e disfi.
Sette anni. Per sette anni, sei entrata ed uscita dagli ospedali, sette anni è
durata la guerra di Tebe. Ci voleva solo uno stomaco un po' più frivolo e avrei
buttato tutti i miei problemi nello scarico.
E bastava tirare l'acqua.
Pausa.
Come trasformarsi in un cucciolo. Che fa un cucciolo? (sorride) Niente. Un
cucciolo è un cucciolo. Lo guardi e basta. (con malinconia) E poi cresce.
Pausa.
Lo sapevate che esistono i cani psicotici? Davvero. E i veterinari gli danno gli
psicofarmaci. Forse sono quelli che non sono stati guardati abbastanza…
Pausa.
Come fa, una, allora? Non è che rimane un granché… La depressione. (scrolla la
testa) Non fa per me. Mi annoio. (pausa) L’iper-attivismo? Non fa per me, mi
sembra idiota.
La droga, l'alcool… servono un sacco di soldi. Oddio, quello anche per la
bulimia, l'anoressia è l'unica economica. E poi, la droga e l'alcool… i denti,
le occhiaie. Non so voi, ma io non me la sono sentita. E poi lì ti beccano
subito! Perché gli "io ti salverò", stile il mio vicino del balcone, sono delle
bestie incattivite! Stanno annidate ovunque, spuntano fuori da ogni angolo
impensato, e poi non ti si scollano più di dosso! E se non ci stai con la testa,
finisce che guarisci!
E anche se tieni duro e non guarisci, ormai ti hanno puntato il dito. Diventi
(con aria di sufficienza) "Ah sì, quella che…" e se diventi ‘ah-sì-quella-che’,
hai chiuso. Non si preoccupano più. Il gioco sta… nell'equilibrio. Un po', ma
non troppo.
Come volare. Prendi la rincorsa, trovi l’equilibrio dei venti, e ti alzi in
volo. E dall’alto guardi la città. I comignoli sotto la bruma e i corpi stretti
intorno ai fuochi. Volare. Sospesa. Non sei più né terra né aria. Né corpo né
anima. Ma volo. Con la sua gioia iridescente e la sua… paura febbricitante.
Pausa. Raccoglie della sabbia tra le mani. Prende coraggio e ricomincia il suo
pezzo da Antigone.
"Mia compagna terrena. Creatura fraterna. Io non altro che dolore, delitto,
disprezzo, infamia, ho veduto fin qui. Morire adesso, prima del tempo, è un
guadagno per me. Chiunque viva tra tante sciagure, queste in cui vivo io, come
potrà non ritenersi fortunato, contento, se muore”.
Si ferma un attimo.
(stranita) La morte, un guadagno?
"Morire adesso. Prima del tempo…"
(di colpo) No, qui, c’è stato un fraintendimento. Non è me, che voglio uccidere.
Ma quello che mi sta qua dentro. Che preme, dentro il petto. Io non ho nessuna
intenzione di morire. Io voglio vivere, essere felice, essere me. Ma senza il
mostro che mi schiaccia, quando mi sdraio sul letto. E guardo il muro, bianco,
lì davanti e non so levare lo sguardo e lui schiaccia, mi schiaccia, preme,
urla, nelle orecchie, e mi manca il fiato. E divento piccola, piccola… Prima è
solo un sibilo, dentro, lontano, poi più vicino, tra le pareti del cranio, e
stride, e scende nello sterno, si fa spazio tra le costole, e poi giù, e la
gola, la lingua e io non sono più niente, perché…
Pausa.
…ho paura. (realizza in quel momento) E’ la paura.
Pausa.
Come si fa a smettere di avere paura?
Lungo silenzio.
…Si vomita?
Pausa.
Penso a certe domeniche allo stadio, a quello scatenarsi improvviso di follia
collettiva.
Pausa.
Ci si droga?
Pausa.
Penso a quel signore che non lo sopportava più, l’abbaiare di quel cane.
E quei ragazzi, che l’amavano tanto la fidanzata …
Pausa.
Ci si ammala?
Pausa.
Penso a quelle madri che non ce l’hanno fatta a sopportare quel pianto
inarrestabile. A quei padri, che non ce l’hanno fatta nemmeno loro…
Pausa.
Ci si ammazza di botte?
Sette anni è durata la guerra a Tebe. Erano due fratelli. Penso a mia nonna, che
aveva in casa due tedeschi e due figli partigiani… Penso a mio padre, che quando
è nato pesava nove etti.
Pausa.
Come si fa a smettere di avere paura? Io non ci riesco.
E’ così dentro al petto, che mi ferma il respiro. E io sono così piccola.
Piccola come Antigone. Le pareti strette, schiacciano, vicine, sempre più
vicine. Voglio andarmene, ma non posso. Voglio alzarmi, ma non posso, voglio
piangere, ma la paura è lì e mi schiaccia. Come una spada d'acciaio che si fa
largo sotto le unghie. E fa caldo, un enorme, devastante, caldo. Ogni persona
che non ho la forza di chiamare, ogni attimo della mia infanzia che non ho la
forza di ricordare. Ogni volta che ho deluso i miei genitori. Ogni volta che mio
padre non si voltava…
Io non ci riesco. Che qualcuno la fermi, se no io cado. Cado. Cado, cado cado
cado cado cado cado cado cado…
“ E DALLA TOMBA, AL FONDO, LA FANCIULLA VIDI,
PEL COLLO PENDEA,
AVVINTA AD UN LACCIO DI LINO RITORTO.”
Pausa.
Non si conosce l’anima, la mente, il pensiero di un uomo.
Ed è lì dentro che sta la paura.
Gli dei ci scrollano in tempesta. Ci raddrizzano. E ci scrollano di nuovo.
Molti sono i loro prodigi.
Ma nulla… è più prodigioso dell’uomo.
(sorpresa, sorride) …Ce l’ho fatta.
Grazie. Grazie a tutti voi, signori. …Perché senza voi, io non esisto.
FINE