ARUNDE
Tragedia in 3 atti di
Fedor Nicolay Smejerlink pseudonimo di
Domenico
Melecrinis
® Copyright
Opera Inedita tutelata dalla Legge sul diritto d’autore
Vietata la vendita, la rappresentazione e la riproduzione.
Chiunque voglia leggerlo, può stamparne
una copia per la propria lettura personale.
~ Personaggi ~
Bernone duca goto
Arunde; Telbena sue figlie
Costanza nutrice
Teia Re dei Goti
Airolfo; Cainacco principi e condottieri goti
Narsete capo dell’esercito bizantino
Amalembra cortigiana al seguito di Narsete
Nabone storico greco “ “ “ “
Baldengo capo dei cavalieri romani. Patrizio.
Calongo indovino goto
Moglie di Calongo
Contadino napoletano
Contadino goto
Donna gota
Generali dell’esercito greco
Soldato greco (guida a Bernone)
Donzelle (di casa del duca Bernone)
Servi e giardinieri (di casa del duca Bernone)
Soldati goti
Soldati greci
Cavalieri romani
Ufficiali greci
Ufficiali goti
Atto I
Parco del castello del duca Bernone, presso Napoli; sedili di marmo rosi dal tempo. Filari di olmi e aiuole con rosai. È l’alba; il vento scuote le cime degli olmi e va crescendo d’intensità. In fondo il Castello.
Scena I
Bernone solo
Chiunque Voi siate, dei del Cielo e della terra, fate che non perisca in modo ignominioso questo popolo nobile e fiero, fate che ancora una volta il nome dei Goti incuta terrore al nemico e lo travolga in fuga, poiché foste Voi a volerlo grande e potente, o dei immortali! Se è destino però che le aquile greche abbiano ad aver sede su questo suolo d’Italia, che, come sapemmo conquistare, vorremmo ora con passione proteggere, fate almeno che abbia tanta forza da scagliarmi tra le orde nemiche e lanciare il mio dardo, trovando la morte gloriosa dove più ferve la mischia!
Di una cosa ancora vi imploro, o immortali: che le due mie care creature mi stiano accanto nell’estremo respiro. Per Arunde e Telbena invoco solo pietà…quale strazio al mio vecchio cuore di padre se dovessi vederle portar via in catene da gente bramosa di sangue soltanto e di crude passioni! Forse allora mi potrebbero essere odiosi, come ora mi son cari, gli occhi!
Scena II
Baldengo che entra da destra senza essere scorto e Bernone
Bernone (con gli occhi rivolti al cielo, quasi fuori di sé). Sembra vogliate ascoltarmi, benefici dei! Soffia, o dio dei venti, con quante più bocche puoi, solleva nembi di polvere e acceca cavalli e cavalieri nemici, trascinali via come piume e scaraventali nei tetri abissi dell’Erebo, donde non possano tornare più ad infestare la terra che il Cielo ci assegnò con sacrifici e con sangue…non ci malediscano i padri nostri per non aver saputo essere pari a loro per forza e potenza! …(a Baldengo, di cui ora si accorge) Nobile cavaliere, anche tu prega per questa tua Patria, che finisca di essere teatro di guerra e sciagure…sarà propizio all’esercito goto questo vento che spira in faccia al nemico?
Baldengo Presto sapremo se esso impedirà al nemico di combattere e inferirci un colpo che nelle condizioni attuali ci potrebbe essere fatale. Non disperare però delle sorti della guerra; giammai disperavi, quando, intrepido a fianco di Teodorico, eri primo nel travolgere e schiantare ogni velleità dei focosi romani! Son diecimila i miei cavalieri, fior della gioventù bruzia e romana di cui tu conosci l’impari coraggio, e mi son tutti fedeli e tutti votati alla causa vostra. Narsete si convincerà per sempre quanto son salde le lance gote e italiane! O li scaraventeremo nel mare che non saprà più restituirli alla misteriosa Costantinopoli o giuro che le armi dei goti non sono più aguzze come quando traforarono gli elmi romani… Troppo ingrata è stata la sorte a privarvi dell’uomo migliore; il grande Totila, che poteva schiantare ogni velleità nemica, è morto da eroe. Non per questo io credo che Teia sia di meno nel guidare l’esercito e infondere in tutti indomo coraggio. Tu anche, valorosissimo, potevi essere tanto; ma la triste vecchiezza ti ha tolto il vigore dei giovani anni e se anco ti è saldo il cuore nel petto, non son più le braccia e i garretti di acciaio. Resta ora ai Goti tentare la lotta sul campo, prima che il morbo per deficienza di cibarie assottigli le file; se questa risoluzione deve essere presa, non dimenticare, o Bernone, che qui oggi Baldengo ti giura che se assieme a Teia otterrà il supremo comando, non temeranno le nostre donne di essere schiave a quella infame genia! Né per ambizione né per rendere famoso il mio nome od oscurare quello dei vostri valenti guerrieri io lo vorrei, ma solo per salvare la nostra terra, i figli, le case e … Arunde! Prima che mano o lancia nemica la tocchi, più volte si dovrà macchiare di sangue l’aguzza spada! Perdonami, nobile duca, se in tal momento ti esprimo questi miei sentimenti, ma tu distingui gli onesti da quelli turpi, e l’amore che per Arunde si agita nel mio petto è pari al tuo amore di padre per lei.
Bernone Sa il Cielo se tali tuoi sentimenti mi possano offendere! (come parlando al Cielo, con la faccia al vento che aumenta d’intensità) Ascoltatemi, prodighi numi! Un giorno vi promisi che casta vergine l’avrei serbata per tutta la vita se voi l’avreste salvata da una malattia che sembrava troncarle la vita… ma oggi il mio vecchio cuore di padre non sa mantenere. Folle forse! Ché per strapparla alla morte promisi di renderla schiava, per sempre! Ma la vita di Arunde ad Arunde appartiene … se ella ti amasse, Baldengo, non sarò io ad oppormi a tanto amore…
Baldengo Tu dunque acconsenti, nobile duca! …e ti adopererai a che io sia anche a capo dei guerrieri goti? …oh giorno felice! anche se presso mi è la paura funesta: che ai combattenti sempre sovrasta e non risparmia i più valorosi! (tra se) se il vecchio si adopra, io domani saprò consegnare questi barbari miserabili nelle mani di Narsete e mi avrò la parte più pura di loro, Arunde! Se non fosse che per salvare lei dalle mani dei greci e non apparirle coperto d’infamia, non avrei esitato già tanto e trattenuto Narsete dal mondare la terra financo del nome dei goti.
Bernone (come svegliandosi da un sogno) Non temere la paura! Essa è più presso a me che a te, giovine nel fiore degli anni…mi è amaro dirti che il mio consenso non basta; se costringere Arunde dovessi…mio primo dovere sarebbe mantenere la promessa fatta agli dei! Tocca a lei scegliere l’uomo con cui dovrà trascorrere una lunga vita …voglia il Cielo che sia tu il preferito! …e andrò tra i Goti che han bisogno di amici e di condottieri e parlerò del tuo gesto e magnificherò il tuo valore, e li assicurerò che con mille e mille ti offri a dividere il loro destino!… Dammi, o tuono, la tua voce, e tu la tua luce ai miei occhi, o lampo che rischiari e rendi più terribili le tenebre della notte e le rassomigli a quelle dell’Inferno!…
Baldengo (tra se) Aimè! Mi pare ch’egli vaneggi…senza il suo aiuto è vano tentare…
Bernone Ma i goti forse più non mi ascolteranno!... misero…a questo conduce la tarda età, a essere derisi e trattati come le creature che appena balbettano il dolce nome di mamma…(avvicinandosi a Baldengo e scuotendolo fortemente) tu, che sei ben saldo e non cedi sotto queste mani cui nessuno seppe resistere, tu va tra i goti e disperdi ogni loro timore e fa che vedano quanto sarebbe loro efficace il tuo aiuto soprattutto nella battaglia, oltre che nel procurar loro le vettovaglie, come ora solo tu fai…a me crederebbero poco, anche se un dì fui da tutti stimato accorto e valorosissimo. Mi duole il cuore non potendo promettere con certezza all’amico…
Baldengo E’ necessario che tu parli loro, che faccia vedere incontro a quali mali purtroppo si potrebbe andare… le loro donne, i figli, la loro stessa vita… e questa Italia, così bella, che un giorno li rapì e che promisero di proteggere… Roma, che li accolse fra le sue cento colonne, non vide popolo più maschio e terribile… e dissero che l’avrebbero difesa e ne avrebbero ascoltati i consigli… questo dì loro…
Bernone Ne saprei dire più che Antonio a Cleopatra, Scipione a Massinissa; saprei far uscire dalla mia bocca torrenti di parole come lave dai vostri crateri, li subisserei con mille e mille ragionamenti come quelle mille e mille vite… ma temo che non mi ascolteranno…
Baldengo Per le tue creature, per quanto ti è di più caro nella vita, tenta e riuscirai…
Bernone Non più oltre è d’uopo la tua preghiera; è ridicolo che sembri dappoco chi ieri si coprì di gloria! Si tenterò… tenterò; e tu prega gli dei che fischi forte… sempre più forte il vento e schianti gli olmi e li faccia rotolare ai piedi delle fragili rose! (esce correndo).
Scena III
Baldengo solo
Se pari ad un forsennato egli si presenterà tra i principi goti, non riuscirà a nulla… non gioverà a questo mio edificio e… Arunde… sorte maledetta, che mi spingi ad amare la donna di cui sto per tradire il padre, gli amici, i fratelli!
Ma sarà mia… prima che il gufo mandi il suo grido o la civetta annunci prossima ai Goti la loro fine!
Scena IV
Amalembra e detto
Amalem. (Si schernisce dal vento con un braccio; vedendo Baldengo cerca di evitarlo, ma quegli le si pone di fronte) Nemmeno i lupi uscirebbero dalle loro tane con questo tempo, se non li spingessero i morsi violenti della fame… quale preda attendi fra questo uragano?
Baldengo E di quale vai tu in cerca, che lo sfidi da intrepida amazzone?... Attendevo Briseo che mi portasse nuove e ordini da parte di Narsete. Regna il caos sul campo nemico; forse riuscirò a farmi affidare il comando di parte dell’esercito… ma se Narsete agirà prima che il sole tocchi il mezzo del cielo, potrà sorprendere e far prigionieri senza combattere queste poche migliaia di uomini ridotti ormai a stracci, cui da qualche giorno siam riusciti a togliere del tutto le vettovaglie… è pronto l’esercito?
Amalem. Ancora l’alba doveva inondare di latte il Cielo, quando fui destata dal suono delle buccine e l’esercito senza clamore veruno si preparò per il combattimento. Ma pochi momenti prima che s’iniziasse la marcia contro il nemico, il vento cominciò a fischiare tra i rami e a spingere sui nostri un fitto nembo di polvere. Questo parve a Narsete un segno contrario del Cielo e ordinò che i soldati tornassero nelle loro tende e le raffermassero bene al suolo. Poi disse ai generali che avrebbero attaccato il giorno seguente…
Baldengo Allora non tenterà oggi l’impresa? (tra sé) non vorrei apparire un traditore agli occhi di Arunde… mi potrebbe ella perdonare di aver abbandonato i suoi nel mezzo della mischia per passare al nemico (forte) meglio sarebbe che li assalisse oggi l’esercito… cercherò di convincere Narsete.
Amalem. Ho paura che neppure domani le aquile bizantine porteranno lo sterminio nel campo avversario!
Baldengo Perché tu pensi cose cattive?
Amalem. Non cattive cose penso, ma ordini cattivi mi furono dati.
Baldengo Parla dunque, Amalembra! Fidati di me che sono l’amico più caro a Narsete…
Amalem. E chi pensi che mi avrebbe dato cattivi ordini se non Narsete stesso?
Baldengo Narsete?… suvvia, parla, te ne scongiuro, in nome del Cielo!
Amalem. Sai bene che tutti giurammo di non svelare i segreti di guerra… che il dovere deve vincere ogni sentimento, e che alle volte si affoga nel pianto un bel sogno d’amore… non hai mai dunque compreso che io ti amo, Baldengo? Che questo suolo mi è caro solo per te, che per te io bramo la fine della guerra e attendo giorni veramente belli, felici…
Baldengo (vincendo una certa naturale ripugnanza la stringe al petto e la bacia) Amalembra! Fui cieco sinora; io non speravo mai tanto… il tempo incalza… dimmi… mia cara, cosa pensa, cosa ha in animo di fare Narsete?
Amalem. (abbandonandosi nelle braccia di Baldengo) mi amerai davvero? Potrò trascorrere giorni veramente tranquilli, felici?
Baldengo Si cara, ti giuro che tu passerai a vita migliore… ma, cosa mai è saltato in mente a Narsete?
Amalem. Ascolta cosa mi ha detto: indossa in fretta le tue vesti migliori, Amalembra; andrai al castello del duca Bernone e gli consegnerai questo plico…
Baldengo Sai tu cosa esso contenga?
Amalem. Egli offre una pace duratura ai Goti, se deporranno le armi entro domani, per tornare ai campi e al lavoro sotto la protezione dell’imperatore nostro.
Baldengo E perché invia le condizioni di pace al duca Bernone? Il re è Teia!
Amalem. Bernone è l’uomo più in senno fra tutti i Goti…
Baldengo (tra sé) credo che non più!
Amalem. …e ad esso è imposto il sacrificio maggiore. Condizione prima di questo patto è che Bernone sia pronto a sacrificare sua figlia Arunde per il bene dei Goti (stupore di Baldengo). La fama della sua bellezza è circolata nel campo nostro e sul Bosforo è volata come un fulmine la notizia… senza dubbio Narsete l’avrà promessa a Giustiniano…
Baldengo E credi tu che Bernone, che i Goti acconsentiranno a questo? Son troppo fieri della loro libertà, troppo gelosi delle loro donne!... ma ora vincerò il vento e le intemperie e a caso, se i lampi non m’insegneranno la strada che la polvere inghiotte, mi recherò da Narsete e lo farò ravvedere e gli dirò se vale offrire una pace, che potrebbe sembrare viltà, per una donna e se è onesto far perdere ai Greci le spoglie d’Italia e a me il potere di Roma e del Lazio che solennemente mi promise!... Vieni…(fa l’atto di correr fuori, tenendo per mano Amalembra).
Amalem. Baldengo, ti supplico, non fare mai questo. Sai che discutere un suo ordine, fossimo anche io e te, per i quali nutre una grande stima, sarebbe lo stesso che alienarci le sue simpatie?
Baldengo Ma Roma, il Lazio, tutto ciò cui tese sino ad oggi la mia volontà…
Amalem. Baldengo, non dire simili cose. Anch’io depreco quanto Narsete ha in animo, ma tu non ti lasciar guidare e vincere dall’ambizione soltanto! Sii tranquillo e abbi fiducia in me: agli occhi di Narsete sii sempre quale fosti sinora. Se poi, come tu pensi, i Goti non accetteranno le proposte, ma le considereranno un insulto, non c’è ragione di temere…
Baldengo Si…tu ragioni meglio di me, oggi, sarà forse questo maledetto vento che sconvolge persino le mie idee…orsù…andiamo a trovare Bernone e…conserva la tua calma…non ti tradisca la mia presenza.
Amalem. Laggiù è la sua dimora, affrettiamoci. Sarà certamente in casa: ad un vecchio infermo par suo è più dolce il nido che lo ospita che il fragore delle armi e il gemito dei morenti; là potrò ordinare le mie vesti e i capelli…
Baldengo In questo momento sarà prossimo al campo goto dove si reca per tessere le mie virtù e ad aggiungere sciagura alla sciagura imminente.
Amalem. Anche se è così, andiamo al suo castello prima. Possiamo ormai conoscere questa novella Elena gota; bramo oggi parlarle con il sorriso sulle labbra e accarezzarla con le mie parole, per poi domani calpestarla e avvilirla; oggi vederla inorgoglita della sua bellezza, domani piangente e implorante ai miei piedi (esce ridendo).
Baldengo Vile creatura! Ti mozzerei il capo per tanto insulto!...
Scena V
Castello del duca Bernone. Sala da pranzo. Pitture con magnifiche cornici d’oro; alti tappeti per terra e cuscini. La tavola bassa, secondo l’uso romano. Una finestra in fondo, nascosta da sete e tendaggi.
Arunde e Telbena
Arunde (accostando alle labbra un’anfora sabina a due maniche piena di latte). Vuoterei più volentieri quest’anfora, se sapessi che invece del bianco latte, contenesse mescolati assieme cento veleni, che solo gli Indi sanno preparare!
Telbena Bevi questo latte e sta tranquilla; ad altro vi è da pensare che ai veleni degli Indi.
Arunde Solo chi ha l’animo libero da ogni affanno sa parlar così! Triste destino! Che mi fai financo schivare le persone che mi sono vicino e che mi amano teneramente; (deponendo l’anfora piena sul tavolo) ti prego sorella, allontana quest’anfora: essa mi provoca la nausea come può provocarla la vista di un volgare soldato greco (pausa). Tu non sai parlare al mio cuore, sorella, perché non sai quant’esso soffre. Con tutta la voluttà dell’animo affronterei la morte e le andrei incontro, se fossi almeno sicura che ciò sarebbe bastante a salvarlo dalle armi nemiche.
Telbena Calmati Arunde. Ben comprendo i tumulti del tuo animo in questo grave momento; ma pensa che a me e a te è lo stesso padre, e a quest’ora, lungi dalla casa, esposto alle intemperie e a tutti i rischi della guerra, anche egli, sebbene già grave di anni, offre la vita per il bene dei suoi. Uscì poco fa con un sorriso sulle labbra dopo che ci ebbe baciate sulla fronte, non come segno di addio, ma come promessa di sicuro ritorno. Gli vidi brillare una lacrima tra le ciglia, quando stringendo il tuo capo al suo cuore ci disse di pregare, prima che per il vecchio padre, per la vittoria della nostre armi; e a me disse che prima di sera sarebbe tornato o con la spada rossa di sangue nemico o con il corpo coperto da cento ferite! … Tu troppo temi per Teia: un giovane par suo, cui null’altra brama alberga nel petto che menare la spada e farsi largo tra le avverse schiere, sa difendersi e atterrire il nemico. Non è guari, tu sentisti dalla bocca dello stesso nostro padre come a Tagina egli si batté da leone e si ritrasse dalla mischia solo quando ebbe posto in salvo il corpo del re caduto; e Airolfo, che gli era da presso e che tra i nostri cavalieri a nessuno è secondo, rimase ammirato a contemplarlo e si ebbe trafitta una gamba. Solo quando si accorse ch’era anche a lui d’uopo menar la spada, avvertì la ferita e la fece pagar cara alla canaglia greca. Il numero vinse non i forti…
Arunde E’ appunto quel numero che io fortemente temo! Comprendimi alfine… oggi o domani egli non si comporterà diversamente da allora, e la fortuna non sempre aiuta gli audaci! Il nostro di esercito ha solo il nome. Quello nemico per numero e per armi un giorno o l’altro ci accoppa e schianterà tante giovini vite e non sarà la sua, della quale tanto fa sprezzo, ad evitare il male. Ed io con l’ambascia nel cuore, sarò fatta scherno dalla vile plebaglia e condotta in catene per soddisfare le brame di gente che odio, senza che egli possa alzare il braccio tanto temuto e difendermi da ogni insidia. Se Ettore cadde da eroe, e tenera e affettuosa amaramente Andromaca lo pianse, se Ulisse tanto peregrinò prima di toccare Itaca grigia di rocce ed ebbe in premio la fede di Penelope, nel cui animo mai lo sconforto fé capo, se Medea ed Arianna ebbero tanta forza d’animo e nel valore di Giasone e Teseo fermamente credettero, io non so tanto confidare nell’aiuto divino e in me stessa. Io solo temo di perdere l’uomo che amo e di cui tutta sentendomi ed essendolo affatto piango già le sciagure come per intero mi toccassero!
Telbena Se tu fossi un po’ calma come Andromaca, lo baceresti sul capo, come quella Ettore, sicura del suo ritorno; se avessi la costanza di Penelope, tesseresti per lui, più che vani lamenti, una bianca tunica, che gli ricordasse nel mezzo della mischia più che mai il dovere di battersi e vincere; se poi tu avessi il coraggio di Medea ed Arianna lo accompagneresti con il sorriso sulle labbra sino al campo, certa della vittoria. Ma sono purtroppo tali doti che a te mancano. La maggior parte delle donne disgraziatamente ti assomiglia! Non sanno vedere di là del proprio amore, delle loro passioni! E’ un gran male per gli uomini forti aver dappresso compagne dissimili.
Arunde Tu ragioni più freddamente di Priamo, quando esponeva sull’Ida Paride bambinello e più duro hai il cuore di Agamennone quando per salpare d’Aulide tempestosa, immolò, vittima innocente, la vergine Ifigenia ai Numi, che sogliono pascersi di vittime umane. Ma io non saprei spingere lui incontro alla morte per una vana vittoria!…(cambiando tono) forse tu mi dirai che non so quello che mi dica, amata sorella; forse a ragione rinfaccerai il mio egoismo... ma ho io il dovere di confidare in una vittoria che per i Goti si tradurrà in una sola parola: sconfitta? Sono forse io la sola a ignorare che di circa 100.000 valorosi guerrieri, oggi l’esercito goto si è ridotto a poco più di un decimo? Se altrettanti in numero fossero Teia, Cainacco, Airolfo, Baldengo, credi tu che ciò sarebbe bastante a frenare la furia di un esercito dieci volte maggiore? E quale prova noi abbiamo della fedeltà dei cavalieri romani? Hanno essi forse dimenticato di quanti mali i nostri sono stati artefici a loro e ai loro padri?... Baldengo non basta da solo a piegare la volontà di molti; egli è l’amico più caro al padre nostro... ma temo che domani lo potrà anche essere di Narsete, quando le fortune gote saranno per crollare! Ecco, non so... ma egli ha qualcosa negli occhi che non capisco... non è tutto quello che vorrebbe sembrare; talvolta mi fissa a lungo e stranamente come se volesse divorarmi, talvolta mi parla in un modo tutto miele, come se fossi per lui la persona più cara... di una cosa ho paura, ch’egli sia innamorato di me. Se fino ad oggi l’ho ascoltato e mi sono con lui intrattenuta come amico del padre nostro, un giorno, se egli oserà parlarmi di amore, non saprò che avere ribrezzo di lui, odiarlo forse...
Telbena E’ mai possibile che l’amore giunga a tanto da deformare i pensieri, falsare le verità, dare corpo a fantasmi di cui la fantasia si nutre? Baldengo è stato sino ad oggi l’uomo più compito e più onesto che abbia conosciuto; sospettare di lui è idea di cervello ammalato, crederlo capace di un inganno, di un tradimento è bestiale ingratitudine! (tra se) sì giovine e forte! Come sarei felice di farlo mio sposo e non è di meno dei nostri migliori combattenti; (alla sorella) se a tanto tu giungi, debbo anche pensare che tu dubiti persino del valore di Teia e non lo ritieni capace di condurre a buon fine questa guerra dolorosa... se così fosse, saresti indegna di tanto uomo! (parte)
Scena VI
Arunde sola
Sorella, sorella... me infelice!...(siede) si triste deve essere il mio destino da essere persino disprezzata dalle persone che mi stano accanto e che dovrebbero saper comprendermi e confortarmi? (si alza, trae da un mobile una tavoletta nascosta, sulla quale vi è dipinta l’immagine di Teia) E’ colpa forse amarti? O è delitto temere per la tua vita? (stringendo la tavoletta al petto) No, Teia, giuro che non saprei sopravvivere di un sol giorno alla tua morte! Piuttosto che essere di altri, stringerei al mio seno un aspide come Cleopatra o virile al pari di Arria, mi trafiggerei cadendo, come il Telamonio, sulla spada tagliente...idee malvagie che mi perseguitate... tormenti che angustiate questa mia esistenza! Ma in chi ho da trovare conforto, se mi sfugge la propria sorella e lungi dalla casa il vecchio padre e l’uomo fedele hanno invasa la mente di belliche idee...(un singhiozzo le tronca la voce, mentre qualche lacrima scorre lungo le gote. Si avvicina alla finestra e guarda fuori, mentre l’uragano infuria) Natura benigna, solo tu sembri partecipe del mio dolore e sei sconvolta dall’uragano, come l’animo mio da grandi passioni...(sta un momento sopra pensiero, poi come ricordandosi di qualcosa e chiamando) Costanza, Costanza! (tra se come se quelle parole le procurassero un benefico effetto) Costanza...è così stanca la mente e tanto soffre, che se non fosse il cuore a parlare, sarei già da un pezzo più dura e più fredda delle rocce di Lemno!
Scena VII
Costanza e detta
Costanza (già vecchia, cammina strascinando il passo; ha le braccia tese in avanti come se volesse proteggerla da qualche pericolo e i suoi occhi esprimono meraviglia) Che c’è, che c’è mia cara padrona, che mi chiami con tanta ambascia come se mille pericoli ti sovrastassero?
Arunde (gettandosi nelle braccia della nutrice e affondandole il capo nel seno) no, ti prego, amorosa nutrice, non chiamarmi con il nome di padrona; esso suona duro se pronunciato da una vecchia cadente par tua e le più dolci parole non lo potrebbero rendere meno odioso. Da bambina, quando mi tenevi in braccio, solevi chiamarmi “mio caro angioletto”, “Arunde mia bella” e mi baciavi sulle gote e mi facevi dormire accanto a te, dopo avermi raccontato la favola del vecchio Egeo che si getta nel mare e quella di Bellerofonte che vince i mostri che la tua fantasia inventava...ricordi? ti ascoltavo come se allora scorresse miele dalle tue labbra ed io fossi avida di tutto succhiarlo. Come era libero allora l’animo dagli affanni e dalle passioni e come deliziosi i sogni tra le tue braccia! (con trasporto) Ti prego, raccontami ancora qualcuna delle tue fiabe, fammi ritornare ancora bambina e fa che ascolti ammaliata le tue parole senza rivolgere altrove il pensiero!
Costanza No, Arunde, non è più tempo di fiabe questo! (accarezzandole amorevolmente i capelli) La tua voce tradisce ben altri sentimenti, e non è stornando i tristi pensieri che si può rendere l’animo lieto. Ma dimmi veramente di cosa hai bisogno, che io, sebbene la tarda età e la podagra mi rendano lenta, farò ogni cosa per vederti felice.
Arunde Nulla, nulla tu puoi, per far felice il mio cuore, buona Costanza! Elena confidò nella sua bellezza per ottenere il perdono di Menelao furibondo e Frine, nuda, commosse i severi giudici dell’Areopago...
Costanza Ma la tua bellezza, il tuo dolore, commuoverebbero un dio!
Arunde Forse; ma non allontaneranno Teia dalla battaglia! Prima che il sole tramonti su questo meraviglioso lembo di terra, temo che qualche altro astro splendente, giunto all’acme, inizi precipite la sua parabola discendente!
Costanza Preghiamo gli dei che ad iniziarla sia l’astro di Costantinopoli e confidiamo nel valore dei nostri fratelli! Sorridi, dunque; non essere triste, mentre lieti intonano canti guerrieri le schiere e vanno incontro alla morte per proteggere il lare domestico! Io ho ragione di dirmi infelice, che non posso vantarmi di giovini figli abili nel maneggiare le armi e correre primi avverso il nemico! Teia qui ieri ti promise che regina dei Goti saresti. Chi confida nei forti non confida mai invano! (baciandola sulla fronte) Così ti baciò prima di partire e disse che finalmente avrebbe parlato al padre tuo del suo grande amore per te e ti avrebbe chiesto in isposa. Tutti lo amano, popolo e nobili, e il suo nome vola per la bocca di ognuno fin da quando il Beduilla cadde colpito nel petto gagliardo!
Arunde Tu sai il rovescio che a Tagina ebbe l’esercito e sai bene come il re nostro pagò con la vita lo sprezzo del pericolo e la furia bellicosa!
Costanza Ma non tutti i giorni sono uguali per i mortali! Non è sempre il povero a gemere sul letto di morte e gli dei sono più giusti di quanto non sembri!
Arunde Diletta nutrice, solo le tue parole valgono a calmare il mio animo, a mettere un pò di pace in questo petto, che l’ambascia stringe, più trista del serpe che avvolge la vittima! No! Non voglio essere vile! Farò tacere il mio cuore, cercherò di essere forte... e come Cassandra riderò sulla sventura del lare domestico.
Costanza Riderai da sposa felice e invidiata...ma andiamo nelle tue stanze; a te è d’uopo ora piuttosto un regale gineceo e una dolce calma, che pensieri cattivi e amare visioni! (bussano) Chi bussa? Teia forse, prima che abbia a lanciarsi nella mischia, viene a salutarti ancora una volta e a rassicurare il tuo animo più di quanto io non sappia... (si avvicina per aprire; Arunde quasi di corsa la precede e apre la porta. Il sorriso le muore sulle labbra; resta come stupita a guardare Baldengo e Amalembra).
Scena VIII
Amalembra; Baldengo e dette.
Baldengo (sorridente) Perchè ci fissi così stranamente, piccola Arunde? (le accarezza il mento, ella si ritrae lentamente) nè mi saluti allegramente come di consueto! E’ successo qualcosa che valga ad offuscare lo splendore dei tuoi occhi o... (ride) è forse la nostra presenza che ti sbigottisce? (pausa) Costei, inviata da Narsete, viene ad offrire pace ai Goti (afferrando rudemente Amalembra per un braccio e scuotendola) a quali condizioni il tuo signore pensa di far sottostare i goti fieri e potenti? Si sbaglia, se chiede una pace insensata o ha in animo di dettare dure condizioni ad un pugno di eroi, non vinti né domi!
Amalem. Ti somigliano tutti per rudezza i goti e i romani?
Arunde No, Baldengo, non prendertela contro chi non ha colpa alcuna e deve anzi essere rispettata in casa del nemico, in virtù dell’incarico che le è stato affidato! (avvicinandosi ad Amalembra). Perdona, straniera, questo momento d’ira in un uomo che è stato sempre gentile con tutti, e non attribuire a questo atto un insulto verso il signor tuo... ma a chi hai tu da parlare e offrire condizioni di pace se non al re?
Amalem. No, al padre tuo, se Bernone ti è padre, soave fanciulla.
Arunde Arunde io sono, e Bernone mi fu sempre padre affettuoso.
Amalem. Meravigliosa fanciulla! La fama delle tue bellezze non è superiore al vero!
Arunde Ti ringrazio, straniera; di rado una donna può essere tocca della bellezza di un’altra; sei veramente buona.
Baldengo (ad Amalembra) Serba per altri le tue lusinghe... il tuo dente nasconde il veleno!
Arunde (a Baldengo) Ma ella non m’offende; (ad Amalembra) le tue vesti e i tuoi capelli sono in disordine... (a Costanza) accompagnala nelle mie stanze, Costanza; (ad Amalembra) affrettati, là troverai ogni cosa. (Tra sé) ardo dal desiderio di sapere quale condizioni di pace offrono i greci... se essi tutti ti assomigliassero, sarei certa che non lotta ed odio dividerebbe i nostri popoli, ma l’amore e la benevolenza li accomunerebbe!
Costanza (ad Amalembra) Vieni. (escono)
Scena IX
Arunde e Baldengo
Arunde (avvicinandosi a Baldengo) Sarà dunque tregua delle armi e mai più la terra sarà bagnata di sangue?
Baldengo Lo sarebbe, se i Goti avessero perduto il senso dell’onore o un folle terrore li avesse invasi!
Arunde Tu mi tieni celato qualcosa... ti supplico, Baldengo (si fa ancora più vicina) dimmi... ti ha svelato quella donna le condizioni che Narsete c’impone?
Baldengo Non so nulla... (le prende le mani) ma da uomini avidi di bottino e di stragi non si potevano aspettare cose migliori...
Arunde Me sciagurata! Che una letizia grande mi aveva preso all’annunzio della novella! Son dunque così inique e dure le condizioni di pace che il vinto di un giorno c’impone?
Baldengo (stringendola al petto) Più inique di quanto potresti immaginare! Ma con questa spada ricaccerò loro in gola gl’insulti e vendicherò l’ingiuria che al nobile padre tuo e al tuo nome ardiscono fare!... fuggi, fuggi, Arunde amatissima, (la stringe ancora al petto) prima che... no, Narsete non t’avrà giammai... sarai mia! (cerca di baciarla, ella si svincola e si accosta alla parete in atto di difesa) che hai Arunde? Non ti comprendo...t’amo, Arunde, t’amo e... chissà questo a cosa mi potrà spingere! Lungi da qui, prima che da vile schiava tu conosca la corte di Costantinopoli! La mia casa, questo mio braccio... ti difenderanno da ogni insidia!
Arunde Che dici, Baldengo? Se tu stimi mio padre...i Goti, non propormi una vergogna si grande per farmene sfuggire una remota!.. comprendo! Gente malnata, che per gli istinti più bassi offre condizioni abominevoli. Vorrei che quella donna non parlasse con mio padre... sarebbe così duro ed angoscioso per lui scegliere tra l’amore di patria e l’amore paterno!
Baldengo Glielo vieterei se potessi. Oggi non conto nulla tra i Goti, ma domani, Arunde... domani forse (si avvicina e cerca di prenderla tra le braccia; Arunde si allontana con un certo senso di paura e di ribrezzo) io sarò tra i capi e re sarò nella mia Roma, e tu... sarai regina! Dimmi di si ... dimmi che sarai mia sposa...
Arunde Si, domani forse... sarò regina!
Baldengo (stringendola al petto e baciandola come ebbro) Alfine! ... Arunde... tu accetti! Ti amo... sei mia...
Arunde (liberandosi, toglie dal seno un piccolo pugnale d’oro; Baldengo istintivamente si fa indietro) Non temere...vile! Con questo coraggio vuoi tu essere di aiuto ai Goti? O regina sarò e sposa felice di Teia, o quest’arma mi allontanerà... dall’aborrita tua presenza e da quella più turpe dei greci! Esci da questa casa, dal momento che avevi il coraggio di contaminarla... di tradire l’amico, che ti fu migliore di un padre! (Baldengo sussulta). Non un passo o raccoglierai tra le tue braccia un corpo inerte! ... è gran fortuna per te che Teia non sappia.
Baldengo (come tra se) Teia... Teia... (cadendo in ginocchio) perdonami, Arunde, non scacciarmi... non essere ingiusta con chi non ami, non avvilirmi chiamandomi vile! ...Non essere troppo superba (cambiando tono e alzandosi) se cerchi schiacciare il serpe, non lamentarti se poi quegli ti morde! e... domani, domani forse... sarai regina; ma domani, di certo, ti giuro, sarai mia!
Scena X
Tenda di Teia, nell’accampamento goto. Guerrieri armati stanno sull’entrata; seduti per terra Teia, Airolfo, Cainacco ed altri principi e nobili goti stanno intorno a Bernone che l’intrattiene.
Bernone Questo soltanto vi propongo, e toccherà ora a voi giudicare se sia conveniente. Non certo l’ambizione lo spinge, ma il desiderio di riuscirci utile in questa impresa e liberare la sua terra dal comune nemico. Sino ad oggi dimostrò di esserci amico fornendoci di nascosto le vettovaglie; credo che anche sul campo, se gli si affida un comando e se tutti i suoi cavalieri gli saranno fidi, potrà essere prezioso il suo aiuto e decisivo l’impeto della cavalleria...
Cainacco (alzandosi) Ah! aah ! aaah! (ride) deve esser ben furbo Baldengo per proporci di assumerlo fra i nostri capi (battendo amichevolmente sulla spalla a Bernone) e tu , tu... oh! non posso credere che il nostro assennato Bernone si sia lasciato convincere! Ma guarda! sarebbe proprio carina che Cainacco, che è capace di infilzarne cento in un batter d’occhio, non dovesse diventare il comandante dell’ala destra dell’esercito per esempio, ah certo! ... per esempio; ché io non ho certi desideri... ma, ecco... piuttosto che essere Baldengo e vedermi comandato da uno straniero, preferirei essere io a comandare lui! Tu, Teia... che ne dici? Suvvia, tu sei il Re e non ti devi schernire! Dovrai essere pur tu a decidere, anche se l’autorità e la saggezza del nostro Bernone possano metterti in imbarazzo... nessuno dice verbo? Ebbene, amici, che ne dite se io vi proponessi di eleggermi al posto di Baldengo? Vi prometto un macello, sarà una carneficina! Dopo, un solo desiderio avrò da togliermi: si dice che Narsete abbia con sé una magnifica mantenuta...ma pare che lui la mantenga soltanto (tutti ridono, tranne Bernone)...ora non ricordo più come si chiama, mi ronza nell’orecchio il suo nome... non so, Malanirma, Malambra, qualcosa di questo insomma! Qualcosa che comincia con “mala”... certo che il resto sarà buono!
Teia (accennando alla spada nuda che Cainacco tiene in mano) Ma smettila, buffone, e pensa a pulire la tua spada, che è ancora lorda di sangue!...
Cainacco E vorresti che la pulissi? Ma questo sangue farà l’effetto di una purga ai prodi signori dell’Oriente!...
Airolfo Credi che non bastino le loro carogne ad appestare il campo?...ma pensiamo a cose serie ora: cerchiamo di agire prima che il nemico venga a conoscenza della nostra situazione che diventa di giorno in giorno più critica. Questa giornata credo sia la più adatta per sorprendere il nemico nel proprio accampamento...
Bernone Si! Spingetevi con i nembi...apparite come i demoni sulle bocche del Tartaro... terrorizzateli con la vostra apparizione...mescolatevi all’uragano...(la tenda è sbatacchiata dalla furia degli elementi) e siategli pari nella rovina...
Teia Tu guiderai l’ala destra dell’esercito, saggio vecchio; a te ne affido il comando. Appresi dal padre mio ad ammirarti e sempre promisi a me stesso di esserti pari.
Bernone Se in me fosse la gagliardia di una volta, non esiterei un istante ad assumere il comando che mi affidi; ma qui Teia, ce ne sono di gran lunga migliori, cui non mancano i giovini anni e la bravura nelle armi...
Teia Valgono la tua esperienza e il tuo nome per i nostri soldati!
Bernone E sia! Ma non state ad ascoltare più me che forse non so darvi saggi consigli... non vi dispiaccia che vi abbia proposto Baldengo; anch’io comprendo il motivo per cui siete restii ad affidare ai Romani parte delle vostre fortune...
Teia Da tre giorni Baldengo non riesce più a fornirci vettovaglie e si scusa dicendo che son diventate sempre più difficili le vie d’accesso al nostro campo. A che son dunque buoni i suoi cavalieri, se riesce loro tanto difficoltoso aprirsi un varco, specie ora che il maltempo infuria? a che vale razziare nei campi di gente inerme, se poi tutto lo fanno cascare in bocca ai greci? Ha più provveduto sinora Airolfo con pochi uomini, che egli con quasi un esercito!
Bernone Son guardati a vista i romani... eppoi molti esitano dinanzi al pericolo della vita! Ma... perchè anche noi dobbiamo esitare? Non ci son dunque più valorosi tra noi, o troppo presto immemori di essere leoni, noi goti diveniamo conigli? Provvediamo noi ai nostri bisogni, ne aspettiamo che altri, di cui non vi sentite sicuri, provveda!
Teia (alzandosi) No, per i Numi (il cimiero che si pone in testa sfiora la tenda) si esca oggi stesso da questa situazione e si decida ogni cosa con le armi. Più s’indugia, più peserà sull’esercito l’inerzia e la scarsezza di cibo: il sangue non sarà sparso invano!
Bernone Sì! e scorreranno torrenti di sangue e morderanno la nera polvere, accecati i cavalli, e più non sapranno i cavalieri la via del ritorno...
Airolfo Vigili le scolte si danno da iersera il turno: nessun nemico è stato avvistato finora nei pressi del nostro accampamento. All’alba il nemico si radunò di nascosto e i nostri informatori subito ce ne diedero notizia, ma poi, forse per causa del maltempo, desistettero da ogni azione. Attenderanno un momento migliore: preveniamoli adunque!
Tutti Bisogna prevenirli!
Bernone Ogni indugio è fatale. Si prendano le armi e si raduni l’esercito! A che le veglie di inutili scolte nell’attesa di un attacco che prima o poi sempre ci nuoce? (si alza, tutti gli altri si alzano) io corro ad impugnare la spada e ad offrire il mio sangue. Null’altra via conosco che meglio ci giovi: siate tutti pronti al mio ritorno, né m’indugerò molto (fa per uscire)
Scena XI
Soldato goto e detti
Bernone (scostando violentemente il sodato con cui si è scontrato nell’atto di uscire) Escimi dai piedi e corri ad armarti!
Soldato Ma... duca... fuori della tenda chiede di te Baldengo e seco è una donna che straniera è sembrata a tutti nel campo. Ella non veste a mo’ delle donne nostre e romane...
Scena XII
Tutti sono in piedi; Bernone al centro domina la scena. Teia da un lato e Baldengo dall’altro, sovrastanti a tutti, chiudono il quadro.
Baldengo; Amalembra e detti
Bernone Ebbene, Baldengo, che c’è?
Baldengo Cerca di te costei, messaggera di Narsete; l’incontrai presso la tua dimora, sin dove s’era spinta da sola e qui la condussi...
Bernone (ad Amalembra) Spicciati, donna. Io ho sentito dire che le vostre parole sono più dure e taglienti delle gemme con cui ornate i vostri templi e i vostri falsi dei; che i vostri occhi, obliqui e misteriosi sanno mandare riflessi adamantini e incantare gli uomini più che la musica il serpe, che i vostri cuori nascondono sentimenti nuovi e sconosciuti. Ma qual è il tuo nome e sotto quale pretesto sei tu giunta qui, fra noi?
Amalem. Io mi recavo alla tua casa e costui (accenna a Baldengo) colà mi fece da guida; non ti trovai e mi feci condurre qui, al campo, per consegnarti questo plico (lo consegna) che Narsete ti invia. Se accettate i patti e tornerete al lavoro e deporrete le armi, sarete tutti salvi.
Bernone Sai chi sono costoro con i quali tu parli?
Amalem. Nessuno ch’io ami più di me stessa e del mio signore. Io non li conosco, ma se volete sapere chi io sia, il mio nome è Amalembra...
Cainacco Uh! È lei… corpo di Bacco! (salta per la contentezza) ma che diavolo ha dunque costei che al primo vederla mi mette il solletico in corpo? Oh! Malambra… malembra! ... l’avevo detto che il resto era buono! (le tocca le spalle e le braccia).
Amalem. Ma è dunque una gabbia di matti, questa? Qui mi si fanno ingiurie!
Bernone (legge il plico; legge ancora, le sue mani tremano, un tremito convulso lo prende, stringe i pugni e lacera il plico; la voce esce dalla sua gola cavernosa) Ti si fanno ingiurie!... Figlia d’infame meretrice, più scellerata di chi ti partorì, come lei prezzolata per un turpe bisogno!... iene d’Asia, che straziate il cuore di un vecchio cadente! Qual male, qual male vi ho fatto, che tentate strapparmi la figlia che generai! Di quale delitto è ella rea, di quale colpa si è macchiata? Aiutatemi Voi, dei; Voi, che sempre mi foste benevoli e saggiamente mi consigliaste! Fate che io conosca i vostri voleri, e se per il bene della patria è necessario immolare una figlia, fatemelo palese a traverso gl’interpreti vostri. Ma non posso credere che siate così crudeli, pari a quegli immondi rettili che non meritano di essere chiamati uomini e amano fare il male, sol perchè essi non ne conoscono le conseguenze! ... Ben altro avrebbe dovuto serbarmi la vecchiaia che tristi affanni e dolorosa vergogna! (tutti lo guardano e si scrutano tra di loro, come per chiedersi a vicenda, quel che il plico contenga. Teia pare abbia compreso; si fa presso al vecchio; è pallidissimo)
Teia Non ti desolare vieppiù, canuto guerriero. (ad Amalembra) Re qui è Teia e Teia comanda! Mi pare che troppo presto Narsete dimentichi che i Goti hanno ancora un re e trattano da pari a pari con tutti i popoli. Quali sono dunque le proposte di pace, o chi crede Narsete che potrebbe accettarle?
Amalem. In fede mia, credeva che i re dei goti fossero persone meno irruenti e più compite!
Teia Credi quel che vuoi, ma i re sono degli uomini anche loro, ed hanno il loro carattere e le loro idee...
Amalem. Sarebbe carina che non avessero carattere né idee...
Teia Come il tuo, che non ne ha affatto! Come il tuo che spezzò i vincoli dell’amicizia e assalì con banali pretesti un popolo che lo teneva per amico, solo per immiserire quelle genti che giura di aiutare, solo per rendere schiavo questo paese che Teodorico e il Beduilla ressero con le sue stesse leggi, che io cerco di sottrarre alla sventura incombente! Come il tuo, che spinge al pianto questo venerando vecchio!
Amalem. Che cattivo concetto hai tu del mio re, e come son nobili i tuoi sentimenti! Quanti amici Teodorico non spinse al patibolo, quali genti non rese schiave, quali occhi di madre restarono asciutti...
Bernone Taci, maledetta! Non offendere i morti! Hai già offeso abbastanza uno ch’è presso alla tomba!
Amalem. Ora sarei io ad offendere voi? E’ facile in verità atteggiarsi a vittime, dopo aver frustato a sangue l’avversario.
Bernone Tu hai frustato a sangue il mio cuore... Arunde... lei mi si chiede in cambio di una tregua delle armi! Ma se è per salvare i Goti scendiamo pure all’ignominia...
Teia Arunde! Arunde si chiede?... la risposta l’avrà subito l’eunuco Narsete, il vile schiavo persiano! Si incateni costei...
Cainacco Provvederò io...(ad Amalembra) come preferisci essere legata? le mie braccia sono robuste...(la stringe)
Amalem. (liberandosi e dandogli uno schiaffo) io credo che saranno necessarie ben più robuste catene...
Cainacco Corpo di Bacco! Sarebbe per caso costei l’avanguardia? Eh! mia cara! mi pare che qui c’è bisogno di rinforzi... Airolfo, corri in mio aiuto, che poi ci divideremo la preda. (Istintivamente Amalembra si porta dietro Baldengo, come per protezione; Teia nota l’atto: il suo sguardo mobilissimo si posa su tutti come per interrogarli. Ma solo Baldengo se ne accorge; egli cerca di riparare al gesto inconsulto di Amalembra).
Baldengo (afferrando Amalembra per un braccio e spingendola avanti) Cosa temi, femmina, di porti, se sei così coraggiosa? Credi che non ci sia uno fra tutti i Goti e gl’Italiani che non vi odi, uno che penserebbe lontanamente a correre in vostro aiuto, anche se le vostre gole riarse ci dicono che avete sete, se le vostre mani scarne si tendono per un pezzo di pane? In tali condizioni ci avete ridotti...
Teia (sarcastico)...o piuttosto pensate di ridurci! ma ce la vedremo tra poco con i tuoi sul campo e ce ne sarà per tutti i nostri nemici.
Amalem. Se i re fossero tutti come te, farebbero tremare il mondo con le parole! per fortuna vi conosciamo; sappiamo di quanto siete capaci e cosa volete... a sentirvi parlare vi commisero e vi esorterei, per il vostro bene, ad accettare i patti...
Teia Se questo solo bene conosci, serbalo per altri. Non abbiamo bisogno di consigli altrui!
Amalem. Perciò avete fatto a meno di Boezio...
Teia (dando un certo tono alle prime parole) Io credo che chi scende al tradimento non ha principi retti e nobili sentimenti. Io stimo più un goto che cade sul campo per difendere la patria, che cento uomini illustri che la vilipendiano...
Amalem. Non sapevo che i Goti avessero una patria...
Airolfo Hanno una bandiera ed un capo...
Cainacco (interrompendo) Se non la finisci, per tutti i demoni, ti rompo il muso!
Amalem. Perchè te la prendi con i demoni, se la colpa è di tuo padre?
Cainacco Per gli dei, questa volta me la pagherai! (la prende per la vita e la trascina fuori dalla tenda a viva forza, mentre ella tenta invano di liberarsi dando calci e pugni) Ah! maledetta! mi hai ammaccato un occhio... ti finirà male oggi! Teia, non darti pensiero; se continua così, ho paura che non racconterà nulla a quel rimbambito di Narsete. (Esce; altri principi e soldati goti lo seguono)
Scena XIII
Bernone; Teia; Baldengo; Airolfo
Baldengo ( a Bernone ) Asciuga il tuo pianto, nobile duca, e rasserena il tuo animo!
Bernone Se non fossi un padre, saprei anche sorridere! Se avessero chiesto il mio corpo, io l’avrei già spiccato dal busto; se i miei occhi, avrei già vuotate le occhiaie. Ma volere la mia onta, il mio disonore...ahi! quali tristi giorni si preparano per la tua terra, mio buon Baldengo! A che servono le ricchezze, gli onori, la potenza, tutto ciò che fa apparire belli ed illustri i mortali, se la macchia dell’ignominia vi pesa sopra, crudelmente? Credi tu felici costoro? L’esteriorità non magnifica, non soddisfa; il cuore ci è roso continuamente ... terribilmente... (piange)
Teia L’onta non poserà sul tuo capo... (commosso) ascoltami, Bernone. Fra non guari si tenterà la carta suprema; nessuna condizione di pace accetterò sinché sarò in vita. Tanto meno la figlia tua sarà data in ischiava! ... io... Arunde...l’ho conosciuta da bimba... con lei ho trascorso i miei giovini anni e sino a quando ho preso le armi mi è stata sempre compagna affettuosa... ero giovinetto allora... ci volevamo bene...; mentre tu piangevi lei, presso a morire, io soffocavo nel mio cuore i singhiozzi e pregavo che scampasse al male… l’amavo… (prende la mano del vecchio, la stringe al suo petto) anch’ella mi ama! a Ravenna, a Rimini, a Tagina, a Roma, dovunque adoprai le armi da soldato e da re, fu il pensiero di lei che mi spinse ad ogni temeraria impresa… le avevo promesso che un giorno sarebbe stata regina…
Bernone (le sue labbra sono esangui; il suo sguardo erra da Airolfo a Baldengo, che non nasconde il suo imbarazzo) Taci, Teia… è troppo gonfio il mio cuore che temo ne scoppi! Non ho conosciuto un giorno più triste e più triste giorno non poteva serbarmi il destino!
Teia Non credevo che le mie parole ti arrecassero tanto dolore… perdonami!
Bernone Forse sarebbe meglio ch’ella fosse morta! …ma tu non hai da chieder perdono… son io che ho da chieder perdono a te, a lei, a tutti… io non mantenni e gli dei han fatto bene a punirmi! ora mi han messo alla prova… spezzati cuore, se non sai soffrire e tu, mano, non obbedire ai suoi impulsi… ma, che mi dico? Son vane le lamentele e mai si uscì da alcuna situazione per mezzo di esse. Si uccidano i sentimenti fraterni e si faccia ciò che il destino vuole; si interroghi Augulfo o Calongo, ch’è fama tra i goti, parlino per bocca del dio!
Teia S’interroghi il cuore soltanto, vecchio guerriero; il tuo n’è lacerato, quello dei goti commosso. Tu sei stato sempre forte…non è dei forti arrendersi supinamente al destino…
Airolfo Solo gli uomini dappoco hanno timore che sovrasti loro questa forza misteriosa e non sanno liberarsene; i forti non la conoscono, e loro destino è il loro volere.
Bernone Miei giovini amici, una nube ha mai oscurato lo splendore del sole? Anzi, essa gli ha dato un tono nuovo; ma se da ogni parte ne corrono, quella sorgente di luce e di vita n’è oscurata e non sa più indicare la retta via; è giocoforza allora affidarsi al destino! … Così la mia mente è vicina ad oscurarsi, astretta da non dolci pensieri: è bene che scelga una via prima che ogni bagliore sfugga e si facciano le tenebre in questo vecchio cervello ammalato! … Il tuo primo dovere, Teia, è la salvezza dei Goti, e il tuo Baldengo, quello della tua patria…Arunde seguirà il suo destino. Corri, Airolfo, interroga Calongo; tu lo conosci, abita qui presso Nocera… sii veloce come la folgore e prima che l’astro radioso tocchi il mezzo del cielo, facci conoscere il responso divino… sarà la vergogna o la morte! Che se il destino non vuole che si accettino i patti iniqui, allora non indugerò a morire stringendo nella destra la lancia e correndo come i più audaci dove maggiore è il pericolo!
Baldengo Qual dolore mi arrecano le tue parole, nobile duca!
Teia Il tuo cuore sanguina, tu ci nascondi qualcosa, vecchio guerriero. Dianzi ti ergesti come un leone all’insulto ed ora le mie parole hanno ucciso i tuoi veri sentimenti e sconvolto il tuo animo. Che cosa posso fare per vedere sereno il tuo volto e calmare le sofferenze dell’animo tuo?
Bernone Nulla… attendere il responso divino e poi s’è d’uopo, guidare l’esercito. Non addoloratevi per me… sarò forte: non imprecherò agli dei e non piangerò se Arunde mi sarà strappata. Comunque sia, poco tempo ancora potrò fissare lo sguardo nel suo volto adorato; poi, forse… gli occhi non saranno più necessari e il mio dolore sarà tutto il mio mondo! … Addio (esce di corsa).
Scena XIV
Teia; Airolfo; Baldengo
Teia (ad Airolfo) Seguilo! Che non si procuri del male, né si rechi a casa in tali condizioni! Sarebbe troppo crudo per la figlia sapere ogni cosa dal labbro paterno… raduna poi subito l’esercito e tienilo pronto; … quale che sia la risposta degli dei, sento ch’è meglio tenerla in non cale. Arunde non sarà schiava a nessuno! … oggi gli insaziabili vortici del Sarno avranno nuove prede e le sue acque non rosseggeranno soltanto dei riflessi del Vesuvio in fiamme!
Baldengo Ma Bernone vorrà conoscere il responso divino! Vuoi che vada io ad interrogare Calongo?
Teia No, andrò io: è meglio che tu ti rechi subito con i tuoi più fidi nei pressi di Napoli per procurare le vettovaglie necessarie per il tempo della battaglia. Non ti sarà difficile in mezzo a questa tempesta eludere la sorveglianza nemica; …poi al momento opportuno tu comanderai il nerbo della riserva, che può essere decisivo per le sorti del combattimento…
Baldengo Non credi che sia meglio che assuma il comando dell’ala destra dell’esercito? Sono molte migliaia i miei cavalieri e potrebbero decidere favorevolmente delle sorti della battaglia, mettendo in fuga o travolgendo l’ala sinistra nemica…
Teia Se tutti ti fossero fedeli non esiterei ad affidartene il comando; ma ce ne son molti fra i tuoi che fanno le parti dei greci e non è prudente affidarsi a dei traditori… non tutti son pronti a salvare la patria; a molta gente basta un pugno d’oro per tradirla! … All’opera, compagni, non s’indugerà più a regolare i conti con l’odiato nemico…Io corro un momento a confortare la mia cara Arunde! (esce seguito da Airolfo)
Scena XV
Baldengo solo
La tua cara Arunde! Per Iddio, no! Crollino Roma, i Greci, l’Impero; corrano sulle rovine i Galli o i Gepidi, non risorga più nel mio nome il consolato di Roma e ne segni la fine Flavio Paolino… tua non sarà! … dovessi anche perderla o vederla in catene, schiava dei Greci!
Fine dell’atto I
Atto II
Scena I
Stanza a pianterreno del castello del Duca Bernone, presso l’entrata. Una pesante stuoia alla porta d’ingresso, un tavolo di legno finemente lavorato al centro e una panca; in fondo una porta aperta, a traverso la quale si scorge la scala di marmo che porta alle stanza superiori. A sinistra un’altra porta che dà alle cantine. Alla parete qualche quadro di vita campestre.
Costanza sola
(ha quasi finito di scopare e si accinge a togliere la polvere ai quadri e ai mobili) Brutta cosa è la vecchiaia! Non potere avere più i giovini anni e trascorrere nella quasi dimenticanza tanti e tanti giorni! …Bisognerebbe essere ricchi; allora si sarebbe adulati, si avrebbe appresso una scia di parenti ed amici, tutti sarebbero pronti a servirti, anche se non se ne sentono l’animo! …ma poi? Ci si affeziona ad una vita effimera, si diventa sospettosi di tutti, e il dover lasciare quei beni ai quali tanto si è attaccati, costituisce un tormento senza fine. Oh! No…no; meglio esser poveri. Almeno si comprende cosa veramente valga la vita! Io non ho paura dei ladri e dormo tranquilla; non mi curo della grandine che fa male alle piante e rovina i seminati; non temo che il morbo mi distrugga le mandrie. (continua a pulire; pausa) Eppure nemmeno i giovini sono felici! Sempre in pensiero …sempre ricchi d’idee, ma poveri d’esperienza, sono spesso indecisi come i piccoli che cominciano a prendere dimestichezza con le onde del mare! Ma loro almeno …Vorrei proprio sapere cosa manca a questa benedetta ragazza per non essere contenta! Teia la ama, lei non sa più parlare quando lo vede…si decidano a sposarsi! O debbo proprio suggerirglielo! (continua a pulire).
Scena II
Costanza e contadino napoletano
Contad. (porta sulle spalle un sacco pieno per metà; è malvestito, trema un po’ per il freddo e per la pioggia che ha preso. Fuori il maltempo continua con minore intensità). Che tempaccio! ci voleva anche questo oggi! Come se non bastassero quei ladroni a rovinarmi tutto. Se ne pesco qualcuno solo, lo ammazzo come un cane!
Costanza Vieni, deponi qui questo sacco; (gli indica la panca) non affannarti tanto… sei molto stanco. La guerra non ti può portare delle ricchezze.
Contad. Ma io non ho mai chiesto ricchezze! …se le dividano pure i nostri padroni; ma venire proprio sul mio campicello a fare i loro comodi, dico io! non ci sono altri posti! Ma poi! Fate la guerra, ammazzatevi, rubatevi tra di Voi! Ma andare a rubare a un povero uomo che non vi ha fatto niente di male… si, si, questo mi fa morire di crepacuore…Ecco, se io fossi re non farei più guerre!
Costanza Cosa vuoi che contino i poveri re?! Come se tutte le guerre le volessero loro, come se tutto il male lo facessero loro!
Contad. Veramente io non me ne intendo troppo, ma credo che il re comanda e potrebbe dire: ”la guerra non la voglio”. Se questo re si fa valere, vorrei vedere chi avrebbe il coraggio di dirgli: ”no, tu devi farla e poche storie”.
Costanza E che figura farebbe un re ad avere paura della guerra? Sai cosa gli direbbero: “Senti, vattene; non fai per noi; sei un povero vile”.
Contad. Io invece gli direi: “Tu sei veramente un uomo saggio e mi auguro che possa vivere cento anni e che i figli tuoi ti somiglino per il bene dei miei”.
Costanza Rispondimi: se qualcuno venisse a calpestarti le biade, a guastarti le viti, a tagliarti gli alberi …
Contad. Più di cento me ne hanno tagliati …
Costanza Tu cosa faresti?
Contad. Come è vero Gesù Cristo, lo ammazzerei! Lo ammazzerei? … se è uno! Ma…se sono dieci, cento, mille …eh! Allora si ha un bel dire…si ha un bell’ammazzare…capisci?…quei maledetti vengono a centinaia, tagliano, bruciano…ricordi quegli ulivi magnifici, disposti in lunghe file dinanzi alla mia cascina?
Costanza Si…
Contad. Ne restano soltanto le dure radici, sembra che vi sia passato sopra l’uragano e li abbia dispersi! Cosa dovrei fare? Andare loro incontro e dire: “volete finirla una buona volta, si o no?” e quelli finirebbero me! Non credere che abbia paura della morte, ma quando si ha una moglie e dei figli che ancora hanno bisogno di aiuto…
Costanza e se si cercasse di strapparti queste creature che ami?
Contad. Allora non varrebbe più la pena vivere e, soldato o re, sarei io il primo a volere la guerra!
Costanza I Goti non fanno che difendere le loro madri e i loro figli.
Contad. Io non parlo dei Goti… essi non ci rubarono le terre, né predano sui nostri campi; i greci invece le distrussero e le bruciarono. Bernone ci volle bene come un padre e nessuno rammenta il suo nome senza benedirlo!... ma non tutti fanno la guerra per difendere la loro Patria: è l’ambizione, la cupidigia delle ricchezze e della potenza che travia spesso i mortali, che li spinge ad abusare della loro forza. Se tutti seguissero i dettami della dottrina di Cristo…
Costanza Non è necessario seguire i dettami per essere onesti. E’ bene soltanto che sia nobile il cuore e pietosa la mano.
Contad. Il fatto è che proprio alcuni di quelli che la predicano l’applicano meno…mi pare che facciano troppo i loro interessi. Mi diceva il mio povero padre che una volta il più misero aveva un po’ di terra al sole e ne ricavava di che vivere. La Chiesa pare voglia fare tutto suo…come se per nobilitare le anime fossero necessari sfarzi e ricchezze! (pausa) Come se non bastassero la guerra, i Greci e il diavolo che li pigli…anche il vescovo di Napoli mi si è messo contro ora! Non so cosa dice…un mondo di frottole: diritti, delimitazioni…servitù; il fatto è che mi vuole fregare un buon pezzo di terreno, e che faccia tosta! Sostiene ch’è della Chiesa…diritti acquisiti, che so io? Gli ho detto: “Sentite, se lo volete è là; pigliatevi tutto purché mi lasciate in pace e mi diate da vivere. Io credeva che fosse mio, perché mio padre mi aveva detto: questo è tuo; Voi dite ch’è della Chiesa, cioè ch’è vostro: sia fatta la vostra volontà e…ammenne!” . Mi ha fatto un bel sorriso, mi ha battuto amichevolmente sulla spalla e mi ha detto: “ Vecchio volpone, lo sapevi bene ch’era della Chiesa; mi volevi far soltanto arrabbiare!”. Capisci? Il volpone ero diventato io, perché avevo ceduto!
Costanza E ti ha preso il terreno?
Contad. Si prenderà quello e il resto se non dico niente. Ma stanotte non ci fu verso che chiudessi occhio e andavo dicendomi: “ma è proprio vero che dobbiamo essere noialtri poveri a far le spese di tutta questa gente che crede di essere astuta? Domani mi recherò dal duca Bernone e gli dirò come stanno le cose: egli è il solo capace di mettere a posto i prepotenti e far valere i miei diritti”. E’ così magnanimo e così buono! Gli ho portato un po’ di fagioli: è il solo raccolto che i Greci non mi hanno distrutto e ch’è stato veramente ottimo…
Costanza Potevi tenerli per la tua stessa casa che non è ricca; qui si vive già bene. (pausa) Dimmi, tu che sei più vicino di noi al rumore delle armi, cosa ne pensano i soldati e il popolo sull’esito della guerra, e cosa gli Italiani attendono per correre in aiuto delle schiere gote?...
Scena III
Teia e detti
Teia (già sulla porta, ha sentito la domanda di Costanza) Attendono di essere fatti schiavi, poiché di null’altro son degni!
Costanza Mio Teia… mio Re!
Teia (al contadino che gli prende la mano per baciarla) Lascia! Io ti vorrei più bene, se la tua destra stringesse un pugnale e la tua gola fosse più bramosa di sangue che le zanne del leone. Tu hai paura dei fulmini, che solcano le dense tenebre del Creato, e delle minacce del Cielo; tu impallidisci alla vista di questo cozzar di elementi in tempesta, poiché la tua anima non sente la voluttà di conoscerne i misteri, poiché essa non sente il piacere della libertà, della quale i tuoi padri andarono fieri. Oggi il più onesto tradisce e non sa di tradire se stesso tradendo noi! Io ho aspirato ebbro la tempesta; mi son sentito più forte tra il fragore dei tuoni perché mi ricorda quello delle armi e tra il lampeggiare incessante pari al balenio delle sciabole al sole. Ma tu? il tuo animo non è in tumulto? Nulla più ti attrae, per essere diventato pari ai bruti che acquietati i sensi non inclinano più né al bene né al male? A che vale un’arida vita, se un ideale non le dia un motivo, se gioie e dolori non ne facessero risaltare virtù e manchevolezze?
Contad. Nobile re, io ho serbato le gioie e i dolori nel profondo del mio cuore e la mia vita l’ho spesa tutta per il bene dei miei. Io ho rispettato quelli che mi hanno portato rispetto e verso quelli che mi han fatto del male nutrirò sempre l’odio più grande.
Teia L’odio che si nutre soltanto è viltà; al male non si ricambia con le passioni, ma con l’aguzzo pugnale. Io ho squarciato il petto al mio avversario e il capo mozzo l’ho dato in pasto alle belve, perché sapevo ch’egli bramava fare altrettanto di me e dei miei tutti.
Contad. Credi tu che si addica il pugnale alle mani di un uomo che ha impugnato sempre la vanga e ha atteso il frutto del suo lavoro?
Teia Forse che i tuoi gloriosi antenati ebbero in dispregio le armi, e non corsero fin sotto le mura di Cartagine dopo aver lasciato in disparte la vanga e l’aratro?
Contad. Hai ragione… forse non ebbi un animo guerriero; ma, se necessario, saprò anche io combattere e morire per il bene dei miei e della mia patria.
Teia E quando credi che la patria avrà bisogno del tuo aiuto? Quando senza più freno i Greci scorazzeranno per le vostre campagne e vi ruberanno le mogli e vi trucideranno i figli? Quando da un popolo libero e fiero, ne verrà fuori uno schiavo ed imbelle, credi tu ch’egli sia dissimile a un gregge, la cui volontà è quella del duro pastore?
Contad. (levando dalla cintola la scure e brandendola) Re, ho anche io un’arma. I miei cari non li toccheranno!
Teia Adoperala, se non vuoi essere sopraffatto e ami ancora essere libero e padrone di te stesso… (a Costanza) è forse ritornato al castello il duca Bernone?
Costanza Egli è uscito da casa allo spuntar dell’alba e non vi ha fatto ritorno. Era alquanto eccitato e non si stancava di stringere al cuore le sue care creature e non sapeva staccarsene! L’ho visto asciugarsi in disparte gli occhi umidi di pianto…c’è forse da temere per le sorti della guerra? Non per me; io sono già vecchia!
Teia Sta tranquilla sull’esito della guerra… Arunde dov’è ?
Costanza Il suo animo è in tempesta più di questo giorno tempestoso e vane sono riuscite le dolci parole e il conforto. Né io, né sua sorella, né le donzelle abbiam saputo e potuto calmarla…
Teia (tra sé) Povera Arunde!
Costanza Dopo che Baldengo e una messaggera di Narsete sono usciti in cerca del Duca, ella è rimasta a lungo seduta nella stanza da pranzo con gli occhi fissi nel vuoto, senza articolar parola. Invano l’ho chiamata, l’ho esortata e le ho detto che tu saresti venuto. Poi ha voluto uscire da sola; è da un pezzo ch’ella è nel parco e i suoi capelli saranno gia inzuppati di pioggia e le sue gote solcate dalle lacrime!... Io credeva che la novella della tregua delle armi sarebbe valsa a confortarla alquanto… però l’effetto è stato contrario…
Teia Ha parlato la straniera con Arunde, le ha detto qualcosa?
Costanza Qualche parola soltanto è stata scambiata… poi ella è rimasta con Baldengo, mentre io accompagnavo la donna greca nelle stanze di Arunde per metterle a posto le vesti.
Teia (pallido) e poi?
Costanza Poi? …Baldengo è uscito con quella donna e Arunde…non so spiegarmi cosa abbia capito!
Teia (quasi parlando a se stesso) io me lo spiego!…Baldengo sapeva …(è concitato, cammina a grandi passi e si ferma spesso come per prendere una decisione).
Costanza Vuoi che vada a chiamare Arunde? …
Contad. Tu sei vecchia; vado io che son già bello e inzuppato…
Teia Lasciate…ne vado io in cerca.
Costanza Eccola che viene!
Scena IV
Arunde e detti
Teia (le corre incontro, accoglie tra le sue braccia lei che cerca nascondere le lacrime) Arunde, cos’hai? …
Arunde (il capo affondato tra le vigorose braccia di Teia, le mani dietro le spalle) Nulla, … Teia!
Costanza (al contadino) Dal momento che li hai portati questi fagioli… quante volte te lo debbo dire che il Duca non vuole che tu ti privi di qualcosa per lui? Beh, pazienza! Aiutami a portarli in dispensa e così ti scalderai con un buon bicchiere…
Contad. Oh! il buon vino! Quando ne bevo un po’ mi sento un altro; sono più allegro, lavoro con più lena…il mondo è più bello, sai?
Costanza Sbrigati; non fare il poeta ora; assaggialo prima, almeno! (escono dalla porta che conduce alle cantine).
Scena V
Arunde e Teia
Teia Come è contento il mio cuore! Quale calma ora, mentre tra l’infuriar della tempesta dianzi la natura n’era sconvolta e il fuoco del cielo pareva s’inabissasse nella terra e le acque dei fiumi e dei torrenti scavalcando precipiti le rive pareva volessero purgare il mondo dagli uomini e dal male! Fosse pur questa l’ora della mia morte, migliore non avrebbe potuto il destino serbarmela!
Arunde Non pensare a cose tristi, mio Teia, e non turbare con altri ricordi questo dolce momento… Io ti vorrei sempre qui, accanto al mio cuore; soltanto così un giorno sarebbe più bello dell’altro e potrei dire di essere veramente felice! Teia… quando tu mi stai vicino, io mi sento più forte, l’animo mio è più tranquillo e pare che le tue braccia mi proteggano da ogni minaccia…
Teia Di che cosa hai paura, mia cara Arunde?
Arunde (esitando) … di nulla…ma sola, fra queste tetre stanze, ove in ogni angolo aleggia il mistero, lo sconforto mi prende e…allora affondo il capo nel seno e piango…
Teia Tu piangevi anche testè, quando sei entrata; …hai visto quella donna straniera che cercava di tuo padre?
Arunde Vorrei… ch’ella non lo vedesse; … povero padre mio!
Teia Arunde, tu sai? …ed è questo che temi? Solo quando il mio corpo sarà pasto alle formiche e le onde del mare spingendosi verso il Cielo e ricadendo sulla terra laveranno ogni traccia dei Goti e l’onore sarà una vana parola… solo allora… i Greci ti avranno!
Arunde Forse… neppure…Teia, non lasciarmi; non fidare troppo nei tuoi giovini anni; …lo so, tu ami la guerra, perché ami il tuo popolo e vorresti vederlo grande e temuto! La tua vita è tutta lì, tra i disagi del campo e le veglie che non danno ristoro… le fatiche ti diano almeno il compenso sperato! Sii prudente, Teia; opera con calma e s’è necessario lottare …non nutrire troppa fiducia in chi non sia goto… è un’amara sorpresa vedersi traditi da quelli che ieri consideravamo gli amici migliori! …
Teia Arunde, dimmi… che sai?
Arunde Ho visto occhi iniettati di sangue; mani che, se avessero potuto, avrebbero strinto per non più lasciare! Ho sentito radicato il male nella mente e nel cuore di quelli da cui ci attendiamo del bene… e ho preferito agli uomini e alla loro malvagità l’inimicizia della natura ch’è terribilmente sincera e ci domina, ci schiaccia quasi, senza che noi riusciamo a disprezzarla! Oh se lungi da queste terre che abbiam bagnato di sangue e che pare invochino una vendetta divina contro i goti, noi, con il padre già cadente e le madri tutte stanche di stragi e di pianto, ritornassimo donde venimmo! Forse allora dal sangue pacato di mille guerrieri verranno su tumide e belle le spighe del biondo grano e i frutti della guerra saranno rigogliosi a compenso del ferace lavoro e sarà benedetta ogni zolla ferita dalla vanga e bagnata di sudore! Ma le distese bianche di teschi e di incomposte larve di uomini senza più vita saranno sempre infeconde e il volo sinistro dell’avvoltoio e del corvo testimonieranno che ivi l’avido tentò di sopprimere il debole, ma rimase ebbro di sangue e non conobbe più nel delirio i figli trafitti e rise delle loro piaghe e passò oltre…
Teia Quando le piaghe dei figli saranno lavate l’ebbro allora inorridirà riconoscendone il volto e il suo pianto purificherà il suo spirito e ritornerà tranquillo al lavoro: ma laviamo le piaghe. Miseri, se persistiamo nell’errore e passando oltre calpesteremo i loro corpi! Saremo allora maledetti in eterno e la terra ci sarà avara sino a quando il sangue di essi invocherà la nostra vendetta! … Lascia che il traditore si abbia la sua pena; prima che le nostre madri vadano reiette pel mondo e che i nostri padri non vedano più l’alba, lascia che tremino di folle terrore di morte quanti osino sfidare l’invitta lancia dei Goti o vogliano il nostro disonore! …che ancora una volta mi assistano gli dei, che sia invulnerabile come a Tagina, siano o no innumeri le schiere nemiche, e giuro che Roma più grande e potente atterrirà di nuovo, nel nome di Goti, gli abitatori del mondo! (tiene stretta a sé Arunde).
Scena VI
Casa dell’indovino Calongo: stanza di lavoro con i muri ben arredati. Al centro un tavolo coperto da un telo, alcune sedie per i clienti e un’ampia poltrona dietro il tavolo; su questo un teschio, delle tavolette di legno portanti figure diverse, un recipiente di vetro contenente rane e pesciolini. Al muro una testa di cervo dalle magnifiche corna. Un vecchio impaziente va su e giù per la stanza: di tanto in tanto si ferma, pensa, gesticola, articola qualche parola; una donna seduta ha la testa tra le mani e sembra assorta in molti pensieri.
Vecchio Non ne posso proprio più, più, più! (si strappa i capelli per la rabbia).
Donna Cosa avete, buon’uomo ?
Vecchio Io ?...io non ho proprio niente!…è mia figlia che ce l’ha! Si, si…ce l’ha! Ormai lo vedrebbe anche un cieco! e ora è lì che straluna gli occhi e getta l’anima…e quest’altro non si spiccia, si fa attendere…
Scena VII
Moglie di Calongo e detti
Moglie Ehi! Voi! State un po’ calmo e abbiate rispetto in casa d’altri!
Donna Che cosa ha vostra figlia, poveretta?
Vecchio Cosa ha? Cosa ha!! e cosa potrebbe avere una donna?…ha una pancia così e dice che la fa morire! …
Donna Oh che c’è poi di strano! È incinta ne soffre un po’.
Vecchio Ah! è incinta!…è incinta! e quando mai si è sposata per esserlo? quando mai io, suo padre, le ho detto “ va e fatti incintare”, dico bene?
Donna Pover’uomo, come mi dispiace!
Vecchio A voi dispiace!…figuratevi a me che avrò da far mangiare un’altra bocca! Come farò, come farò! (continua a mettersi le mani nei capelli).
Moglie Ma calmatevi un po’… non è la fine del mondo!
Vecchio Credete che mi interessi tanto il mondo?…vi sembra piuttosto giusto ciò che quella balorda ha fatto? Ci prenderà gusto, ve lo dico io, ci prenderà gusto! e dopo questo ne scodellerà un altro! Date voi da mangiare a tante bocche, di bastardi per di più!
Moglie Ma Calongo, penserà lui a tutto…
Vecchio Gli darà anche da mangiare?
Moglie Ma no! affidatevi a lui, fategli vedere vostra figlia, dategli carta libera... mi spiego?
Vecchio Io non mi spiego come ha fatto a mettere su quella pancia! Come ho fatto a non accorgermene prima!…e non vuole parlar…dice di non sapere, le riesce quasi strano! Per le donne è sempre così, loro credono di saperla sempre più lunga!
Moglie Un po’ di rispetto almeno per noialtre! Ora vorreste fare di ogni erba un fascio!
Vecchio Erbe e fasci!…si può sapere che sta facendo vostro marito? Era meglio che andassi da Augulfo…
Moglie Da quell’imbroglione? Alla larga! Ce ne avreste avuto il coraggio? Non sapete che pretende il doppio di Calongo e non capisce niente, proprio niente? Li avreste fatto un bell’affare!…ma andateci, se proprio ci tenete!…sempre gli stessi questi ignoranti… cascano sempre in bocca al più furbo!
Vecchio Vi ringrazio per il consiglio e complimenti! Però ora me ne vado e giuro di non mettere più piede in questa casa…(alla donna) e voi cosa state ad aspettare? Venite con me, vedrete che resteremo contenti lo stesso.
Scena VIII
Calongo e detti
Calongo (entra quasi di corsa; ha i capelli ancora spettinati e va infilandosi una specie di veste da camera) Ehi voi, brav’uomo! fermatevi…fermatevi, un po’ di pazienza! (si guarda i piedi) Oh! perciò sentivo freddo ai piedi! (ha solo le calze. Alla moglie) Spicciati…va a prendermi i sandali! Sempre la stessa…sempre disordinata…dove me li avrà ficcati? Ah sei proprio la mia disperazione! …cosa ho fatto a sposarti! Sei buona a niente…ma muoviti, cosa mi guardi?
Moglie Poi faremo i conti!...potresti essere un po’ meno poltrone…alzati più presto! (esce)
Calongo Ehi! basta…basta, capisci? (in tono minaccioso) o te lo faccio capire io! (agli altri) non spaventatevi, buona gente! (al vecchio) non vi è toccato mai di avere una moglie simile? Cioè, voglio dire…una bestia in casa?
Vecchio (amareggiato) Si che c’è l’ho… la bestia…una vera bestia! E per questo son venuto…
Calongo (cattedratico) Ognuno ha la sua croce!
Vecchio Ascoltatemi… vedete… voi siete così esperto, così bravo…cercate di aiutarmi…
Calongo (siede sulla poltrona dietro il tavolo, assume un atteggiamento di persona attenta; di tanto in tanto strofina, per il freddo, i piedi l’uno con l’altro) Vi ascolto; ditemi quello di cui avete bisogno …penserò io (fa un gesto di sicurezza)
Vecchio Maledetta...maledetta! Se ci penso!
Calongo Ora non pensateci…Dunque si tratta di una bestia, mi pare …l’avete detto voi. Cos’è una vacca? Non fa più latte? Non affliggetevi …sarà cosa da nulla! Provvederò io…
Vecchio Che vacca!…che latte! È mia figlia (stringendo i pugni e digrignando i denti) ha una pancia grossa così…(mette le mani dinanzi alla pancia esageratamente).
Calongo Oh! questo è grave!... che razza di malattia sarà?!
Vecchio Eh! Male di amore! (avvicinandosi quasi minaccioso) di amore… capite?
Calongo Ehi!... non sono stato io, che mi fate quella brutta faccia!... già la faccenda è un po’ complicata…ecco… si tratterebbe di far sparire… come dire? …quel gonfiore…come se non fosse mai successo nulla…mi spiego?...oh difficoltà e difficoltà sormontate con l’ausilio della mia intelligenza!... lasciate che la mia mente elucubri…pensi…tanto per essere d’accordo…avete con voi…non vi dispiacete, ma il lavoro deve essere compensato e il mio non è un lavoro di dozzina…
Vecchio Ecco tutto quel che ho…(trae di tasca alcune monete e le posa sul tavolo) ma se mi aiutate, se riuscirete…vi darò ancora dell’altro…ve lo prometto, sono un galantuomo io!
Calongo (girando e rigirando tra le mani le monete) per carità chi ne dubita! …ma queste in verità sono pochine…pensate alle difficoltà dell’incarico e del lavoro…
Vecchio Siate buono, aiutatemi, e domani vi porterò della farina, di quella veramente buona…con la guerra se ne trova poca in giro e a volerla comprare costa un occhio! …è tutto quel che posso fare…
Calongo E va bene…vi aiuterò, ma ricordatevi…promessa è debito (si strofina i piedi; poi grida forte alla moglie affinché senta dall’altre stanze) me li porti i sandali o mi vuoi far morire gelato? …un uomo, un uomo come me deve avere una moglie così stupida e che lo cura si poco! (bussano)…ancora clienti! Mai un momento di tregua… questi occhi non conoscono cosa sia il riposo…(si alza per aprire) oh, i miei piedi! (stringe i pugni, saltella per andare sino all’uscio; dice tra sé) se mi riuscisse trovare un veleno per quella sciagurata! (apre, arretra imbarazzato e s’inchina profondamente, in modo buffo, più volte, finché sbatte con le natiche contro il tavolo, facendolo traballare) Magnifico Baldengo, tanto onore mai si sarebbe aspettato di ricevere l’umile servo degli dei e degli uomini…
Scena IX
Baldengo e detti
Baldengo Troppa modestia, Calongo; sei tanto nobile d’animo e d’intelletto quanto i migliori di questa terra e il Cielo ti ha elargito il dono più grande che creatura possa ambire: conoscere quello che con la ragione non si può mai raggiungere, penetrare…
Calongo Grazie, grazie…tu mi lusinghi, signore! (tra sé) non mi piacciono queste sue parole…non è stato mai tenero costui! Troppo mi chiederà… tieni duro Calongo! (forte al vecchio e alla donna rimasta seduta) Ehi! voi due! Ho da fare ben altro ora che ascoltare le vostre lamentele…tornate domani!
Donna (alzandosi) Domani potrà essere tardi! Domani forse i miei figli giaceranno piagati sulla terra che non sarà una buona madre, ed io non sarò qui, ma mi aggirerò tra i goti insepolti e tergerò il viso di ciascuno per riconoscerne i volti polverosi, mentre …mentre altri sghignazzando annegherà nel vino il trionfo di un giorno e trascurerà il pianto di una misera madre!
Calongo (esortandola e guidandola verso la porta) Che cattivi pensieri!... chi vuoi che uccida i tuoi figli? (solenne) ma madre gota non piange anzitempo i figli che combattono e sanno vincere! (lasciando la mano della donna e tornando indietro) aspetta…(ieratico) interroghiamo le Ombre delle Acque… (immerge la mano nel recipiente di vetro posto sul tavolo).
Baldengo (piano a Calongo) Spicciati!
Calongo (piano) ora la sbrigo! (alla donna, esultante) ecco…(mostra strette nel pugno due rane) le Ombre delle Acque concedono la vita ai tuoi figli; custodisci bene queste bestiole e custodirai la vita di quelli… tieni! (gliele porge, stendendo l’altra mano) dammi quello che vuoi.
Donna Se avessi una moneta, comprerei un’arma migliore per i miei figli!
Baldengo Tu sei così buona e il Cielo avrà pietà di te e i figli ti saranno risparmiati. Va…penserò io a pagare per te…(al vecchio) anche tu lasciaci un momento …avrai ancora tempo per tornare…
Vecchio Ho capito…preferisco però che mi tornino in tasca i soldi che ho dato or ora a Calongo…
Calongo Questo poi no…che dubitiate della mia onestà;…potrei perdere il concetto che mi son fatto…
Vecchio …e io non vorrei perdere quel che ti ho dato…ecco come stanno le cose!
Baldengo (togliendo dalla tasca un pugno di monete d’oro e porgendole al vecchio) tieni! …e ora va; non ci avrai di certo rimesso nel cambio!
Vecchio (stringendo le monete, sbigottito e diffidente) grazie…grazie…il Cielo ti benedica …(tra sé) con queste la potrò sposare, la potrò sposare…sciagurata , figlia di un cane! (esce quasi di nascosto).
Scena X
Baldengo e Calongo
Baldengo Chiudi quella porta, (indica quella lasciata aperta dal vecchio) Calongo; ho qualcosa da dirti…
Calongo Non hai che a fidarti e Calongo tutto può e tutto sa… (va a chiudere la porta).
Baldengo Tieni…(gli dà un sacchetto di monete) e ascoltami. Fra poco sarà qui il tuo Re e t’interrogherà sulle sorti che gli dei han serbato ad Arunde; è suo divisamento forse condurre ad ogni costo la guerra contro i Greci. Ma pensi tu a quali sciagure andremo soggetti, come sarà sconvolto l’ordine delle cose nostre non appena quelle orde senza freno avran messo piede definitivamente e da padroni sulle nostre terre? Che ne sarà di voi goti, di noi romani? Che ne sarà del tuo lavoro quando, sotto il segno della Croce, Giustiniano v’imporrà la nuova religione o vi caccerà come cani dalle vostre case o, peggio vi farà trucidare come rinnegati e pagani? Chi ti crederà più, mentre oggi sei solo e indiscusso arbitro delle sorti del tuo popolo? Amo troppo i Goti per parlarti così; Teia, accecato dal fortunoso esito che in questi due ultimi mesi ha avuto la guerra, non vuole comprendere a quale estremo pericolo sta per correre incontro, se continuare vorrà nella impari lotta. Una fortuna insperata arride oggi a voi Goti: Narsete offre condizioni di pace a patto che Arunde passi in ostaggio alla corte di Costantinopoli e Bernone da te vorrà sapere se accettare si debba la generosa offerta. Teia te lo chiederà, ma ti chiederà anche che il responso sia come in cuor suo lo desidera. Insisti, imponiti con l’autorità che te ne discende come interprete del pensiero divino; se necessario, minaccia di urlare il responso ai quattro venti, ma devi volere la salvezza della tua gente; devi, …mi comprendi, Calongo? … e tu sarai ricco!
Calongo O nobile cavaliere, tu sei generoso e come te desidero veder salvo il popolo goto! Ma …se il responso sarà favorevole al nostro Re, dovrò io ingannarlo, mentire? Mai fui menzognero; mi ripugnerebbe nascondere al Re la verità che discende dal Cielo e mi illumina! …Ma tu sei veramente generoso e ci vuoi salvi… il nostro re non lo vuole invece? Peccato, peccato che il Cielo non illumini lui pure e non gli dia … la gioia e il buon senso di capire quello che tu capisci!
Baldengo Sono cose che il più umile dei suoi soldati capirebbe se glielo si dicesse con il cuore alla mano, se invece di suggestionarlo con la visione della vittoria, gli ponessimo innanzi i problemi più belli e più ardui della vita, che non sono certamente quelli di giacere sconosciuto con il capo affondato nel fango o tagliato dall’aguzza pietraia o disfatto dal sole!
Calongo Mi impressiona davvero il tuo ragionamento. Esso è dritto e tagliente come la lama lucente dell’aratro che taglia la terra, ma da quella ferita nasce la vita! …Radioso sarà il tuo avvenire, se come parli operi, nobile romano. Vuoi che interroghi sul tuo destino gli oracoli del Cielo e della terra?
Baldengo Non ora, Calongo; ho già troppo indugiato e Teia mi potrebbe trovare qui e allora non saremmo proprio di nessun aiuto ai nostri…mi raccomando! Se fosse il momento di lodarti e magnificarti, direi che a te sono affidati le sorti di due popoli e di un mondo! …Vado (fa per uscire).
Calongo Aspetta, aspetta un momento…sono veramente commosso; vediamo cosa ti serbano i fati (immerge la mano nel recipiente) Toh! Un pesciolino rosso…vediamo… un nuovo astro che sorge…
Baldengo Io vado, Calongo; ho da pensare alle molte incombenze di guerra che mi furono affidate… mi raccomando ancora… energia, coraggio…lascia che protesti, poi ti bacerà le mani! Tieni! …(gli lascia sul tavolo un’altra manciata d’oro) e ti saranno centuplicate se quel nuovo astro che sorge sarà Baldengo… e saranno i goti! (esce).
Calongo Un momento ancora…un momento…(gli corre dietro fin alla porta) sii benedetto!
Scena XI
Calongo solo
(Guarda il pesciolino che tiene in mano ormai agonizzante) han da farci le spese queste povere creature innocenti! …Neppure una parola gli ho strappato di ciò che veramente gli stava a cuore! (pausa) Mi ero proposto di tener duro, ma come resistere a tutto quest’oro… (soppesa la borsa con gioia e ammirazione) nessuno mai mi ha dato tanto! Che c’è poi di male? Almeno, io non ci vedo proprio nulla! …vuoi servito? zac! paga! (afferra l’oro sul tavolo) Beh! È meglio che lo nascondi prima che quella sciagurata lo avvisti… (apre il cassetto, trepidante).
Scena XII
Moglie e detto
Moglie (ironica) Potresti anche fare a meno di nasconderlo, dal momento che te lo guadagni così onestamente!
Calongo Vattene, vattene! … lasciami lavorare!
Moglie Cos’hai da lavorare! …da combinar malefatte hai, da poltrire per il tempo restante! Eppoi abbiamo ancora da fare i conti:sai come ci tengo ad esser insultata dinanzi alla gente! Ma questa volta Teia non l’imbrogli, sai tu e …
Calongo Taci sciagurata!
Moglie …e quell’altro messere che ci vuole tanto bene, che ci vuol salvi! …e tu, pover’uomo, abbocchi subito, accetti, ringrazi, t’inchini, gli baci le mani! …perché non ti sei chinato a leccargli i piedi? Ingozzati d’oro, sai! Ma stavolta non ti riesce d’ingannare il Re!
Calongo Vuoi tacere, vuoi tacere! O vuoi perdermi? Che perfido vizio quello di voialtre donne di andare a curiosare, ficcare il naso in tutte le cose che non vi riguardano! …ti sei messa ad origliare…ora sai, sei contenta? …Vuoi la tua parte di denaro? Prendila! (dà una manata alle monete rimaste sul tavolo e le scaraventa a terra) Prendile! Cosa stai a guardare? Cosa vuoi ancora?
Moglie Voglio che tu dica al Re la verità. Ma non vedi che ci sarà sotto un inganno? Te ne accorgerai come te lo farà pagare questo denaro “quel generoso signore” come tu lo chiamavi, non appena ne avrà la possibilità.
Calongo Cosa vai cianciando! Non capisci nulla, sei un’oca! …
Moglie e tu un tacchino!
Calongo e tu una spudorata!
Moglie e tu un imbroglione!
Calongo (minacciando con il pugno levato) te ne vuoi andare?
Moglie No!
Calongo Allora resta…e crepa! Ma taci veh! Taci ti dico, se verrà Teia; per la barba di… di quell’animale di tuo nonno, che ti ha fatto venire al mondo!
Moglie Ah, si! Gli insulti ancora…e quel grand’uomo di mio nonno sempre sulla bocca ce l’hai…(si avvicina e lo graffia e lo malmena) prendi queste, dato che non può dartele lui. (Calongo protesta) e zitto, zitto sai, se non vuoi che ti faccia appendere ad un albero come un cane (scoppiando in singhiozzi) povera me! …proprio io ti dovevo capitare!
Calongo Ma guarda che razza di femmina! (si va asciugando il sangue prodotto dai graffi) mi graffia, mi malmena, e poi si mette a piangere! Penso che un po’ a tutti i mariti capitano delle scenette di tal genere! (con gesto teatrale) “signori e signore, ecco le sventurate, ecco le derelitte, ecco le afflitte” ti piace che io vada per la strada a dire a voce alta questa verità? “guardatele quale compassione destano, come sono infelici”! perché, domanda la gente? “no, no, tacete! lasciatemi finire: non è questo un buon pretesto per derelitte di andare a cercare conforto presso un’altra anima, dell’altro sesso però, che le comprenda e finalmente le faccia felici?” …ma tu, ora tornando a te, quest’anima gemella quando te la trovi? Così potrai essere finalmente felice, ed io da buon filosofo sarò contento di cercarmene un’altra; così tutti e due ci guadagneremo! Tu non piangerai più, io non sarò più graffiato o, quando lo desidero, ricordandomi di te tirerò la coda al gatto: almeno quello mi graffia a ragione!
Moglie (asciugandosi le lacrime e facendosi di nuovo aggressiva) non sai che dire scemenze…e non fare tante chiacchiere per due graffi…ti ho ancora da romper la testa!
Calongo (sarcastico) Un altro giorno! per oggi riposati; credo sarai già stanca! (bussano. Calongo e la moglie si guardano negli occhi) Va via, sarà Teia; lasciami solo con lui. Fa presto, raccogli quelle monete.
Moglie Io resto qui a tuo dispetto! (bussano ancora più forte) Vediamo cosa farai!
Calongo Va a prendermi i sandali, ti prego; non vedi come sto male, eppoi fa freddo…questo marzo è del tutto inclemente. Su, mogliettina, non farmi più quella faccia! (bussano a più riprese, con forza).
Moglie Vado, ma pensa a quello che dici; ricordati che mi trovo dietro quell’uscio! (esce. Calongo corre ad aprire)
Scena XIII
Calongo e Teia
Teia (precedendo Calongo e fermandosi presso il tavolo) Che diamine! Sei sordo come un muro, Calongo! Non è questo certamente un buon requisito per un nostro indovino!
Calongo Perdonami, re; perdonami! Ero nelle altre stanze e leticavo con mia moglie. Sai come succede, quando si è sposati da un pezzo…
Teia (interrompendolo) Bene, Calongo; un altro giorno mi parlerai delle tue liti domestiche e magari mi piacerà ascoltarle; ora però non ho tempo da perdere!
Calongo Dimmi, dimmi, mio re, cosa posso fare, cosa devo fare per il mio re. (va raccattando le monete) Sarei felice di poterti essere utile!
Teia Quant’oro hai seminato, Calongo! Mostratene un po’ meno avido e occupati anche del re!
Calongo …io le raccoglieva intanto che tu parlavi, perché non andasse smarrito…(lascia a terra il denaro)
Teia Chi vuoi che te lo rubi? Io forse? …Calongo, tu sei il nostro massimo interprete del pensiero divino ed io vengo da te per espresso desiderio di Bernone…
Calongo Il nostro miglior Duca!
Teia Egli vuole che tu mi dica se bisogna accettare i patti che il nemico ci propone o tenerli in non cale e attaccare battaglia…
Calongo Attaccare battaglia con questo pessimo tempo?
Teia …Però è bene che ti avverta che i fatti sono indegni e che non è affatto mio pensiero, né dei principi goti accettarli. Né gli dei potranno volere il contrario!
Calongo Allora vuoi che non interroghi gli oracoli e scruti il pensiero divino?
Teia Fa come vuoi, ma ti prego di far presto. Son certo che gli dei non potranno voler altrimenti e talvolta può anche esser fallace l’oroscopo tratto dal volo degli uccelli o dalle fumanti visceri delle vittime…
Calongo (in atteggiamento ieratico, con una mano sul teschio e l’altra rivolta al cielo) Imperscrutabile è il pensiero divino!
Teia Stavolta gli dei non potranno volere altrimenta da come io penso, Calongo!
Calongo (come sopra) Il pensiero umano si arresta dinanzi al mistero della divina volontà!
Teia Perché mi fai questi discorsi?
Calongo (alquanto confuso) Io non dico nulla…non mi fraintendere …volevo dire soltanto che bisogna accettare il destino che il Cielo c’impone…(dubbioso) vuoi che interroghi le Ombre delle Acque o le fumanti visceri di un capretto? …
Teia Fa in modo da darmi il responso nel più breve tempo possibile: ho molto da fare!
Calongo Interrogherò allora le Ombre delle Acque e…tu, Teia siedi un po’ nell’attesa…
Teia Non sono stanco né mi fan male le gambe: anzi correrò molto oggi e molto a dura prova le metterò, come che sia!
Calongo Come che sia?
Teia Si, come che sia, perché?
Calongo Oh! così…domandavo; …allora incomincio subito…(una mano sul teschio; l’altra l’introduce nel recipiente di vetro e cerca di afferrare qualcosa, ma non vi riesce) Accidenti…(gira un po’ intorno al tavolo e scruta intanto di sottecchi il volto di Teia) Forse c’è…no! …è sfuggito…
Teia Mi sembri un pescatore di anguille, Calongo!
Calongo (lo fissa severo, come per invitarlo a tacere) C’è qualcosa…vediamo…(estrae la mano dall’acqua tenendovi stretto qualcosa. Nel movimento che compie, spinge a bella posta il teschio con l’altra mano facendolo cadere a terra) Sciagura! Piomberà la morte su di noi se non si sarà infranta (raccoglie il teschio da terra, intatto) guarda che diabolico riso ha questa maschera e come ci guarda dalle occhiaie vuote…
Teia Vuoi dirmi il responso divino?
Calongo (come rapito) Nessuno infrangerà la morte ed ella avrà il sopravvento! e l’avrà sui campi di battaglia, se vi correremo l’alea…
Teia (furibondo) Cioè?
Calongo (come sopra) e cadremo divorati da questa bocca famelica e ne assumeremo l’aspetto…
Teia Che lugubre profeta sei! Mi metteresti addosso paura se non fossi Teia…
Calongo (aprendo la mano destra, sempre solenne) Ecco…così giaceranno composti, come questo pesciolino che gli dei han voluto privare subito della vita, per farci ravvedere sulla nostre sorte!
Teia (furibondo) quello sarà morto perché l’hai stretto nel pugno e il teschio non sarebbe caduto a terra se non gli avessi messo sopra la mano!
Calongo (solenne, ma un po’ sconcertato) Re, tu dimentichi che io parlo per bocca degli dei!
Teia Interroga di nuovo le Ombre delle Acque.
Calongo (riprendendosi) le ho già interrogate ed esse vogliono che non si combatta più o ci sovrasta la morte! …
Teia Non ubbidisci?
Calongo E cosa vuoi che faccia altro, re? Ben chiari sono gli auspici…
Teia Allora le interrogherò io…
Calongo (guardandolo dubbioso) che farai?
Teia Vedrai…(dà una manata al recipiente di vetro scaraventandolo a terra. Da dietro la porta spunta compiaciuta la testa della moglie)
Calongo (furente) Che fai, re! tu profani cose sacre e care agli dei! …
Teia (abbassandosi e ridendo di rabbia) Macchè profanazione! Guarda come saltellano quelle ranocchie e come battono la coda quei pesci, come corrono verso l’acqua! Vedi come son pieni di vita, come i nostri maschi guerrieri?
Calongo Si, sembra; ma agonizzanti e prossimi a morte. Cessa, Teia, dalla lotta, se vuoi salvo il tuo popolo!
Teia Bene! e gli dei per tua bocca lo vogliono schiavo! Così facilmente si decide delle sue sorti!
Calongo (solenne) Re, io parlo per bocca del Dio!
Teia Ah, sì! per bocca del Dio! e che ci fa qui questo teschio (lo prende e lo scaraventa contro il muro, frantumandolo) vedi come s’infrange la morte? …e queste figure? (prende le tavolette e le scaraventa a terra) e tutti questi affari? (afferra il tappeto del tavolo e lo sbatte vigorosamente facendo cascare tutto a terra) anche le corna! (strappa dal muro la testa di cervo e la manda a tener compagnia al resto) fai male ad adornare la tua casa di corna e questo, se non lo sai, è cattivo auspicio, Calongo!
Calongo (tremando) Sacrilegio! Sacrilegio!
Teia Che vai cianciando di sacrilegio! anche questo tavolo è sacro? (gli dà un calcio e lo manda a gambe levate) anche questa vecchia poltrona? (con una manata la capovolge) Anche queste sedie sgangherate ? (le fa volare in aria a calci: una vola fuori dalla finestra, un’altra va a finire sulla testa di Calongo) Cos’hai più di sacro? la zucca? peccato che sia attaccata al tuo collo! …
Calongo (tremando e tenendosi la testa dalla parte colpita) Calmati, Teia! Il Cielo ti punirà! Non mi rompere tutto, non ti ho fatto nulla di male!
Teia (accennando alle monete per terra e al sacchetto d’oro che Calongo si è affrettato a recuperare) Non fa nulla, oggi possiamo fare baldoria, oggi sei ricco! Molto denaro hai guadagnato a buon mercato se lo semini a terra! Ma prega gli dei se ti rispetto e se anche così a buon mercato ti sei guadagnata la vita! (esce di corsa battendo l’uscio. Calongo resta impietrito a guardare la scena).
Scena XIV
Calongo e moglie
Calongo Guarda, guarda che disastro, quel pazzo!
Moglie (non risponde, si avvicina al marito e quando è a tiro gli lascia andare sulla testa un colpo di randello, che teneva nascosto dietro le spalle)
Scena XV
Campo greco. La sontuosa tenda di Narsete tutta ricca di ori e di sete. Tappeti preziosi orientali adornano le pareti; il suolo è cosparso di pelli. Narsete è sdraiato su un mucchio di soffici tappeti e vicina gli sta una schiava. Lo storico Nabone seduto annota su una tavoletta le cose più interessanti che si vanno dicendo. Altri generali e capi dell’esercito greco stanno attorno, parte in piedi, parte seduti.
Narsete (alla schiava) Porta coppe ricolme di dolce vino, affinché s’inganni il tempo dell’attesa e si riscaldino i corpi e siano più fervidi per la lotta, se questa dovrà esser ripresa. (schiava esce)
Nabone Così io annoterò cose immortali per il mio signore!
Schiava (ritorna. Porgendo le coppe di vino bianco) Sia di ristoro ai vostri corpi, caldi e invitanti come i lavacri ai piedi del Vesuvio!
Narsete (alla schiava) Taci, se non sei interrogata (la schiava resta mortificata) e non ti solleticare al pensiero dei corpi invitanti dei miei generali! Vedi che son quasi tutti anziani come me…sù quella testa; avvicinati e avrai una carezza! (la schiava si avvicina e Narsete le dà un pizzicotto sulla guancia, tra l’ilarità generale) Vedi come sono? Non si vergognano di ridere come tanti giovincelli e solo perché ti accarezzo: chissà loro poi cosa si permetteranno con le loro compagne!
Schiava (amaramente) e già! io non sono abbastanza fortunata (si ride rumorosamente. L’ululato del vento e i tuoni calmano un po’ tutti)
Nabone Devo annotare anche questa battuta sulle mie tavole, signore! (si ride di nuovo)
Narsete (ironico) Magari, e come postilla aggiungici: “a me non fu data una schiava, perché non avrei saputo cosa farmene”!
Nabone Ma io sono molto vecchio, signore! (si ride rumorosamente. Tuoni e lampi)
Narsete (come sopra) gli altri non sapranno se tu eri vecchio o giovine, quando scrivevi queste cose.
Nabone Ma di te lo sapranno, signore, che non eri del tutto infiacchito, se conducevi un esercito così potente! (si ride ancora)
Narsete (alla schiava) Riempi altre coppe ancora, che siano più allegri i miei guerrieri!
Nabone Io veramente non vorrei annotare che sono morti ubbriachi i nostri generali, ma scrivere pagine piene di fuoco, nelle quali splenda tutto il loro valore nella battaglia finale!
Narsete Però tu te ne stai alquanto in disparte quando infuria la battaglia e ne cogli soltanto le impressioni per bocca dei nostri soldati.
Nabone E’ perché io non ho la forza di spingermi in mezzo alla mischia.
Narsete E’ naturale; hai paura di perdere le tue tavolette! (si ride. Scoppio di tuoni vicinissimo) Che tempo! mi sembra di essere ritornato tra i monti della Macedonia e sulle spiagge del Eusino! …
Nabone e invece abbiamo sotto i nostri occhi le più belle marine della terra!
Scena XVI
Amalembra; cavalieri romani e detti.
Amalem. (gocciolante di pioggia e ansante per la galoppata. A Narsete che nel frattempo si è alzato in piedi) Eccomi! ecco la tua ambasciatrice con i polsi segnati dalle catene!
Narsete (adirato) Chi ha osato tanto?
Amalem. Quelli cui noi porgiamo la destra e il ramo d’olivo! (alla schiava) Dammi qualcosa per coprirmi, che tremo di freddo! (a Narsete) Se non ci fossero stati questi compagni di Baldengo ad aiutarmi e a offrirmi un cavallo, avresti aspettato a lungo il mio ritorno! (schiava esce)
Narsete (sarcastico a Nabone) Tu annoterai cose grandiose! …avrà ben da rendermi conto dell’affronto quella stirpe degenere! …Chi ha ordinato che ti legassero?
Amalem. Teia, in persona! …e quali insulti profferirono al tuo indirizzo e quale scherno si fecero della tua offerta di pace!
Generale greco Volevamo essere fin troppo benigni. Meglio è sterminarli! (schiava torna con vesti)
Narsete Me ne hanno dato loro stessi l’occasione! Si voleva condurli alla terra e alla proprietà…più generosa offerta non poteva fare Giustiniano al mortale nemico: e han risposto con tali insulti inauditi? (alla schiava) Riempi ancora le coppe e dà da bere a questi valenti cavalieri che han condotto in salvo la beniamina nostra e della corte di Costantinopoli! (ai Romani) Vi ringrazio: né io né il vostro Re dimenticheremo tutti i servigi che ci avete reso. Renderemo libera la vostra terra e la riscatteremo con il sangue all’ultima ondata barbara che osò invaderla!… dov’è il vostro Generale? Baldengo è degno davvero di reggere le sorti dell’Occidente e di Roma!
1°caval. rom. Noi vi siamo grati e grati vi saranno i nostri figli e nepoti di tanta promessa! Anche noi uniamo, per il riscatto della Patria, il nostro sangue al vostro e alle vostre le nostre fortune.
2°caval. rom. Fu Baldengo a darmi l’ordine di sciogliere dalle catene la vostra ambasciatrice e condurla qui. Per far ciò fu necessario aggredire le due sentinelle che la custodivano…certo non diranno più chi sia stato a liberarla! Baldengo inoltre mi ha detto che sarà qui al più presto, dopo aver dato precise istruzioni a Briseo circa il modo di agire alle spalle dello schieramento goto.
Narsete (sorridendo) Sicchè sono decisi a dare battaglia i Goti? Domani allo spuntar del sole li attaccheremo, visto che han tanta voglia di tentare ancora una volta!
Nabone Grazie, signore! Ecco quel che io aspettava!
Amalem. Credo non ci sia gran tempo da perdere, Narsete! E’ prudente tenere l’esercito pronto, perché il nemico è corso a prepararsi.
Narsete Dove vuoi che vadano con questo tempo? Si perderanno tra la nebbia e l’uragano! Anzi…credo che si pentiranno dell’oltraggio fattoti e manderanno al più presto messaggi di resa! …Come pensi che bisognerebbe trattare simili messaggeri in tal caso, Nabone?
Nabone Potresti dar loro in mano un pane per uno e rimandarli dicendo: “portatelo al vostro Re” (tutti ridono) che altrimenti cesserà di essere immortale, come Totila cessò di esserlo per alcune ferite a fior di pelle (si ride) C’è poco da ridere! Proprio così sta annotato sulle mie tavolette!
Generale greco Quella tavoletta allora è meglio tu la rifaccia, perché non dice la verità.
Nabone Lo storico sono io, e vorrei vedere a chi altri crederanno! (si ride ancora)
Scena XVII
Baldengo e detti
Baldengo Lode a Dio! Amalembra è salva! (a Narsete) Sapessi quanta pena e che sforzo per contenermi e non tradirmi allorché l’insultarono peggio dell’ultima delle tue schiave !
Amalem. (avvicinandosi a Baldengo) Grazie, Baldengo. Debbo a te e a questi tuoi compagni se mi è stato possibile ritornare fra i miei e sfuggire a quelle mani pronte a contaminarmi. Ora ti sono vicina e dintorno ci stanno visi allegri e generosi, non truci e paurosi come quelli dei Goti. Avreste dovuto vedere la scena! Tutti l’insultai e nessuno potè competere meco per l’abilità e la scioltezza della favella. Controbattei ogni loro affermazione, li derisi, li compatii; Teia non sapeva più cosa dire e Bernone mi parve stesse per impazzire: già rimbambito lo è!
Nabone (scrivendo) Io annoto che Amalembra un momento prima della battaglia finale osò entrare nel campo nemico e incantare i capi con le sue parole, stordirli, confonderli sino a farli quasi ammattire.
Baldengo Ma se la battaglia finale non dovesse avvenire, tu annoterai cose superflue, Nabone!
Nabone Che cattivo augurio mi fai! La battaglia finale deve avvenire e…
Narsete Sta a vedere che il nostro storico è diventato anche il nostro comandante!
Nabone Perdonami, signore; ma poc’anzi dicesti che avrebbero dovuto pagarti l’oltraggio fattoti: pensi che sia il tuo perdono la loro migliore moneta?
Amalem. Il loro sangue! …Sarò al tuo fianco,Baldengo, quando entrerai nella mischia!
Narsete Non precipitiamo le cose. Il nostro grande e generoso Re vuole che si sia possibilmente clementi con il nemico, ridotto allo stremo e che il fiore più bello della serra d’Italia vada ad adornare la sua reggia e a portarvi l’espressione più gentile di un popolo barbaro!
Baldengo (tra se) Quante umiliazioni e quanta pena al mio cuore! Se la contendono i Re: quali dei miei sogni raggiungerò?
Amalem. Cosa dici, Baldengo?
Baldengo (scosso) Pensavo…che Teia potrebbe accettare i patti, se gli sembrano convenienti.
Amalem. Se l’accetta, il tuo posto è sempre lì, nella tua grande Roma di cui sei il figlio più degno e io ti sarò vicina e porterò in tutta la terra d’Italia il gusto e la bellezza dell’Oriente, più di quanto abbiano fatto i grandi consoli e imperatori romani! E Teia sarà gettato veramente in catene, poiché volle che io lo fossi, anche per un solo istante! I goti però, vi giuro, son corsi alle armi…
Baldengo Potrebbero anche mutar parere…Bernone ha voluto a tutti i costi che s’interrogasse l’indovino Calongo se si dovessero o no accettare i patti…se li accetteranno, vorrei subito recarmi alla corte del nostro Re, Narsete, e giurare a lui l’obbedienza assoluta di tutte le genti d’Italia e la mia fedeltà…Così potrei accompagnare colà per mare e per terra la figlia di Bernone (Amalembra lo guarda di traverso) sarà per lei certamente più gradito il viaggio, pensando di avere d’accanto un amico!
Amalem. L’accompagnerò io alla corte di Costantinopoli. La feci già buona impressione allorché la lodai…mi terrà per amica in mezzo ai nemici; però le ricorderò gli insulti che suo padre mi gridò in faccia, e come dopo chinò il capo accettando l’offerta poco dignitosa!
Narsete Non è bene quel che tu pensi di fare: né è specialmente nelle nostre abitudini infierire contro il vinto.
Amalem. Avessi tu sentito quel ch’io sentii! …Non esiteresti ancora ad impugnare le armi.
Narsete (un po’ risentito) Qui non si tratta di esitare…ad essi resta ormai una sola via di scampo. Attaccandoli in questo momento li esaspereremmo e potremmo avere delle gravi perdite. Non dimentichiamo quanto il nemico sia bestiale nella battaglia impostagli.
Baldengo Comunque Briseo è già stato edotto nel modo migliore per piombare con i miei uomini alle spalle di Teia.
Narsete Baldengo è il più saggio di tutti, ecco: egli preordina ogni cosa sia per la pace sia per la guerra. Gli si può solo imputare di essere troppo zelante: ma nessun zelo è mai troppo per la salvezza della propria Patria! Prendiamo esempio: conservarsi soprattutto bisogna; esitare o tradirsi di fronte al nemico significa morte e chi muore non è più di aiuto alla Patria. C’è bisogna di resistenza, di fredda tenacia, ogni atto deve essere vagliato, ogni parola misurata. Non vigilarsi, abbandonarsi all’euforia, farsi trascinare da fallaci illusioni: ecco il male di cui non andarono immuni anche i più grandi uomini che la storia ricordi! Baldengo invece no! Sempre lo stesso è il suo viso e impenetrabile. Certe volte io mi domando per chi parteggi veramente (Baldengo sorride) se mantiene inalterata amicizia e fiducia in due campi opposti!
Baldengo Per chi parteggi veramente, te ne vorrei dare la prova più luminosa, Narsete, se quelle già dateti non bastassero!
Narsete Dicevo per celia! So io quanto mi siano preziose le tue informazioni e la tua opera…quale pensi che sia l’ultimo atto del nemico? quali saranno le novità di oggi?
Baldengo Non vi è dubbio: o accetteranno i patti imposti o, esasperati, tenteranno oggi stesso la carta finale.
Narsete Esageri, Baldengo! Cosa vuoi che facciano oggi con la tempesta? Arriveranno al nostro campo che avran bisogno di esser rifocillati! … Riempi ancora le coppe, Aliza, teniamo allegri i nostri ospiti.
Scena XVIII
Ufficiale greco e detti
Ufficiale Le scolte avanzate di là del Sarno annunziano che nel campo nemico si sono suonate le trombe di guerra. Furono visti guerrieri aggirarsi per la campagna e al ponte rosso è stata trovata uccisa di lancia la nostra sentinella e il ponte segato minaccia di precipitare sotto l’imperversare della bufera.
Narsete Niente altro di più concreto?
Ufficiale (esitante) No…ma mi è sembrato che queste fossero notizie degne d’esser riferite.
Narsete (sorridente) Può darsi. Fate così intanto: raddoppiate le scolte, abbassate il ponte centrale di ferro e mandate una forte pattuglia travestita nel campo nemico: mi si riferisca al più presto su quanto è stato riscontrato.
Ufficiale Sarà fatto come comandi, Generale.
Baldengo Vuoi che corra io nel campo goto a vedere se fervono veramente i preparativi per la lotta? …la mia assenza potrebbe essere notata…
Narsete Non credo ce ne sia bisogno: sarà il temporale a impaurire le nostre scolte e a far loro vedere fantasmi per la campagna!
Scena XIX
2° Ufficiale greco e detti
Ufficiale Generale, abbiamo fatto alcuni prigionieri! Eran penetrati lì a ponte alto di soppiatto nel nostro campo gli scellerati e più di 100 dei nostri soldati hanno ucciso, trovati a riposare nelle tende. Qualcuno riuscì a sfuggire alla strage e ad avvertirmi in tempo; mi portai rapidamente sul luogo con i miei cavalieri e li attaccai. Erano circa una ventina e quasi tutti pagarono il misfatto commesso: tre li ho raccolti malconci sotto le zampe dei nostri cavalli e li ho fatti condurre sin qui se li vuoi interrogare. Uno di essi ha le insegne del Comando sullo scudo e sull’arme…menava l’asta come un disperato…
Narsete Sia subito introdotto costui!
Ufficiale Subito (esce)
Scena XX
2° Ufficiale greco; Cainacco sostenuto da due soldati greci e detti
Narsete (ai due soldati) Adagiatelo a terra; non vedete ch’è mezzo morto? (a Cainacco) Chi sei?
Cainacco Dammi una lancia e ti risponderò!
Narsete (sarcastico) portategli una lancia allora…e una colonna per appoggiarvisi!
Cainacco Fai adergere anche una pira, dato che sei in vena, e così dopo aver arso il mio corpo, vi collocherai quelli dei soldati che ti ho sterminato: vedrai che non basteranno le dita delle mani di tutti voialtri a contarli! (Baldengo nel frattempo cerca di portarsi dietro Cainacco per non essere scorto).
Narsete Bella impresa ad ucciderli nel sonno! …per questo soltanto meriti di essere impiccato!
Cainacco Mezzi sbrigativi usi per i tuoi nemici! …sappi però che li affrontai con le armi in pugno i tuoi uomini e quelli corsero pavidi dappertutto per salvarsi, anche essendo dieci volte più dei miei; va a vederli, non ce n’è uno che non abbia le spalle forate! I miei invece caddero guardando negli occhi i tuoi cavalieri e se il mio braccio destro non fosse rimasto schiacciato sotto uno dei cavalli trafitti, non sarebbero certamente stati bravi i tuoi a farmi prigioniero!
Narsete (severo, all’ufficiale che ha accompagnato Cainacco) E’ vero quanto dice costui?
Ufficiale (un po’ esitante) Così accaddero i fatti…come te li riferii…
Narsete (a Cainacco) Tu menti dunque, e temi di dichiarare la tua viltà, perché hai paura della morte!
Cainacco Ti chiedo ancora una lancia e poi vedrai se avrò paura della morte!
Narsete Come ti chiami, che sei così coraggioso?
Amalem. Cainacco, se lo vuoi sapere, e non è guari gli lasciai l’impronta della mia mano sul viso, nel suo stesso campo; costui è il coraggioso, che faceva il forte contro una donna inerme!
Cainacco (volgendosi lentamente dalla parte di Amalembra) Oh! sei tu! taci qui almeno, e non gracchiare anche nella tua casa, che sei di malaugurio! Solo le anche hai buone e il corpo formoso, ma il resto ti partorì una vipera!
Amalem. Se oserà offendermi ancora, lo darò in pasto ai cani!
Narsete (a Cainacco) E’ spregevole che un guerriero nobile quale tu sei offenda in tal guisa una donna; mi costringi a non essere affatto clemente con te!
Cainacco I tuoi disegni non sono meno spregevoli delle mie parole, né io ti chiedo di essere clemente con me. Anzi, valiti del suggerimento della tua mantenuta (tutti sussultano) per i tuoi cani sarà un cibo comune il corpo di un uomo!
Narsete Basta così! …Che intenzioni hanno i tuoi?
Cainacco Lo domandi a me? (rivolge intorno lo sguardo) domandalo ai tuoi generali; che abbian l’ardire di penetrare nel campo goto e informarsene, come io…(scorge Baldengo, dilata gli occhi, tenta di rialzarsi ma ricade pesantemente) Baldengo, tu qui?…Che fai? Parla… rispondi…ah infame! (a Narsete con terribile riso) ecco, domandalo, domandalo a lui, a quel traditore, cosa si fa nel nostro campo! Non ti sono sufficienti le sue notizie? (a Baldengo) Vigliacco!. Vi prego, datemi una lancia; mi misurerò così, in queste condizioni, con quel miserabile!
Baldengo (avvicinandosi e battendogli duramente con l’arma sulle spalle) Ti batterai un altro giorno, quando starai in gamba (sorride) ora sei male in arnese (lo colpisce di punta ad un fianco)
Cainacco (sputandogli in volto) Sei un povero vile! Mi ferisci perché non mi posso muovere! Allontanati! mi fai schifo…e non so come non ti abbiano a schifo i tuoi stessi padroni!
Baldengo (con l’arma in pugno per colpirlo al petto; Narsete gli ferma il braccio) Non sparlerai più così! (si avverte un suono di trombe lontano; tutti stanno in ascolto. Un altro suono di trombe più vicino e distinto)
Narsete (innervosito) Chi ha dato ordine di suonare le trombe di guerra? Perché questa adunata improvvisa? (le trombe suonano ora a più riprese, vicine e lontane, e il clangore riempie la tenda) è il segnale dell’attacco; correte tutti ai vostri posti. Radunato l’esercito, si disponga secondo gli ordini dativi stamattina. Il centro rinculi dinanzi all’attacco nemico, sino a quando l’ala destra non li avrà presi alle spalle. L’ala sinistra distrugga i ponti e le opere e li attacchi sul fianco. Briseo e Baldengo porteranno lo scompiglio negli accampamenti e daranno man forte all’ala sinistra. Così circondati e con gli accampamenti invasi e bruciati desisteranno subito dalla lotta (le trombe suonano ancora insistentemente)
Scena XXI
Alto Ufficiale greco e detti
ufficiale (affannato) I goti hanno attaccato di sorpresa pochi momenti fa e si sono impadroniti del ponte di ferro centrale rimasto abbassato! Per esso e per ponte rosso, nonostante sia pericolante, affluiscono sul nostro campo e già lottano ai margini del fiume con i piccoli reparti agli avamposti!
Narsete (con un sorriso indefinibile) Bene! si agisca con calma! Ognuno sa quale sia il suo compito e ognuno lo adempia in pieno; per quanto ci abbia sorpreso, non c’è via di scampo per il nemico! (si avvia per primo, calmo, dignitoso, seguito dalla schiava che gli bacia le mani e dagli altri generali e ufficiali greci e romani.
Scena XXII
Baldengo; Amalembra; Cainacco
Amalem. Vengo con te, Baldengo. (gli getta le braccia al collo)
Baldengo (carezzandola controvoglia) Devo correre al mio posto ora; attraversare il Sarno e prendere il comando dei miei. Io passerò inosservato in mezzo ai Goti e li prenderò alle spalle.
Cainacco (aprendo gli occhi ed ergendosi) Vigliacco! Infame! Tu non ci andrai! (si attacca disperatamente ad una gamba di Baldengo cercando di trascinarlo a terra; il braccio fratturato lo fa urlare di dolore)
Baldengo (cercando di liberarsi, lo pesta con l’altro piede; nel fare ciò cade in terra) liberami (minaccioso, brandendo l’arme) o ti spacco la testa!
Amalem. (strappando l’arme di mano a Baldengo e risoluta) Liberalo!
Cainacco (ridendo feroce) Starà qui con me!
Amalem. (spietata) Lascialo o nessuno più ti salverà!
Cainacco (ridendo feroce) Se abbranco anche te, faremo un bel mazzetto!
Amalem. (con fredda ferocia) Bada! (gli appunta l’arme al cuore. Cainacco ride ancora, cerca di ghermirla) Muori allora! (gli conficca la punta dell’arma nel cuore, la ritrae e lo colpisce più volte al viso sino a quando Cainacco non si accascia e lascia la stretta. Da fuori giungono le urla dei soldati e il rumore delle armi. Lampeggia ininterrottamente. Baldengo e Amalembra si guardano negli occhi, coprono con un tappeto il corpo di Cainacco, dopo averlo messo in un angolo; corrono fuori senza dirsi una parola, tenendosi per mano)
Fine del II atto
Atto III
Scena I
Stanza a pianterreno del duca Bernone. Eguale arredamento come all’atto II Scena I
Telbena e Costanza
Telbena (presso il tavolo ingombro di vari oggetti di valore che va deponendo in un sacchetto di pelle) Sii più svelta, Costanza! (continua il suo lavoro) Portami subito i calici d’oro e d’argento di mia madre. Povera donna, sapesse quale pericolo corrono le cose più care della casa e alle quali era tanto attaccata! … Muoviti, cerca di far presto una buona volta, prima che quella gente arrivi e ci porti via tutte le nostre cose più preziose.
Costanza Io ho la podagra, padrona, e non posso andare e venire come vorresti! …Non ti sembra un lavoro inutile quello che stiamo facendo? I nostri vinceranno e la vostra casa non correrà alcun pericolo. Ma se per sventura dovessero cedere e perire sopraffatti questi poveri figli, che motivo c’è di nascondere tutta questa roba? La troveranno lo stesso e se la porteranno via! Tanto vale da parte nostra consegnargliela: almeno ci ammirerà il nemico e sarà più benigno e men duro di quanto non sia nel suo costume!
Telbena Parla di meno, Costanza, e opera con più lena! Io e Arunde siamo tanto giovini ancora ed è mio dovere pensare al nostro avvenire. Tu sei vecchia e acciaccata; perciò non ti interessa più nulla. Anche Arunde hai fatto diventare vecchia con le tue ciance! Ora sarà di là a piangere e a pregare. Bada che non commetta qualche sciocchezza.
Costanza A quante cose vuoi che badi nello stesso tempo! o continuo a perdere il tempo qui o vado a tenere compagnia ad Arunde: e credo che ne abbia bisogno, povera piccola mia!
Telbena Ha bisogno di essere coccolata? se non ha un po’ di fiducia in Teia, in chi vuoi che l’abbia?
Costanza Nemmeno tu ce ne hai troppa, padrona, se con tanta lena ti affretti a nascondere tutti i tesori del mio Duca!
Telbena Certo non sarà mio padre a pensarci; né tu, ottima donna di casa quale dovresti essere, ne scorgi la necessità! Vuoi che getti via tanta roba o la regali al primo venuto? E’ bene che in casa di pazzi ci sia almeno una persona saggia!
Costanza Saggezza e pazzia non sono tanto facili ad intuirsi negli uomini! Non ti è accaduto sentir dire di un saggio ch’è un povero pazzo? oppure un pazzo che è un uomo di ingegno e ricco di saggezza? e di saggi-pazzi non ne hai visti ancora? Questi ultimi li hanno inventato i filosofi e siccome sono il frutto di quelle menti, ognuno stenta a credere che possano esistere veramente i saggi-pazzi: eppure io credo che sono essi soltanto che esistono nella realtà della vita, perché ognuno di noi è, in certi momenti, invaso da un demone furioso e dissennato che lo induce a operare come mai egli avrebbe pensato; ma subito dopo un demone più tranquillo e assennato si impadronisce della tua mente e lo conduce inavvedutamente sulla buona via. E il giudizio dell’uomo cade spesso in errore, perché essendo anche invaso chi giudica da questo demone buono o cattivo, a seconda del suo stato mentale influenzato giudicherà e magari muterà parere quando lasciato dall’uno diventerà succubo dell’altro.
Telbena Questo tuo discorso è troppo imbrogliato, Costanza, e non risolve nulla. Cerca di essere più pratica e non dar retta a tutti questi insegnamenti che ti va facendo da tanti anni mio padre e che ti fruttano ben poco!
Costanza Tuo padre conosce tanto bene l’animo degli uomini come io conosco il suo, e sono sicura che egli in questo momento ti direbbe le medesime cose.
Telbena Dici piuttosto che è la vecchiaia che sconvolge tutti i vostri pensieri e che è una gran brutta cosa aver vecchi dattorno che non sanno mai quello che si vogliono e han sempre di che ridire: devono avere proprio in corpo quei diavoletti di cui tu parlavi, che or li lasciano, ora l’invadono!
Scena II
Arunde e dette
Costanza (a Telbena) Sei cattiva, padrona, se parli così!
Telbena E tu sei noiosa e inopportuna in questo momento! (Costanza in disparte si asciuga le lacrime).
Arunde Perché la fai piangere? ci allevò e ci volle sempre bene!
Telbena Sarà lei ad aver voglia di piangere; io non le ho fatto proprio niente, anzi sto ingoiando tutte le sue prediche ( pausa) Anche tu piangi, quando te ne vien voglia…eppure nessuno ti fa nulla…
Arunde Tu dovresti comprenderlo perché io abbia talvolta pianto! Non so dimostrarmi tranquilla, serena, mentre chi amo compie ogni sacrificio e corre ogni pericolo!
Telbena Sempre la stessa storia! Ormai la so a memoria e non ho più nulla da dirti…(pausa) piuttosto dammi una mano a riporre nelle cantine tutta questa roba (prende un sacchetto ed esce)
Scena III
Arunde e Costanza
Arunde (sorridendo si avvicina a Costanza) Ora tocca a me confortarti! Suvvia, amorosa nutrice, vieni con me nel parco e staremo così più tranquille anche se ci batte la pioggia e il tuono ci fa male alle orecchie…lascia che Telbena dica quel che vuole: tu la conosci ormai e non dovresti prendertela quand’ella è un po’ sgarbata!
Costanza E’ che farei volentieri tutto anche per lei; ma talvolta ella mi umilia e mi fa ricordare di essere sola e negletta su questa terra. Allora mi auguro di morire!
Arunde (ridendo e abbracciandola) Moriamo assieme, su! andiamo a sfidare l’uragano: è tanto bello! Tu mi hai confortato stamattina e ora son quasi lieta, molto più fiduciosa in Teia! Quando appresi che egli aveva attaccato il nemico, nonostante l’infuriare degli elementi, allora nacque in me come qualcosa di saldo e non sapevo più raffigurarmi vinto l’uomo che alzavasi anche contro la natura e il destino.
Costanza Era a mezzogiorno il sole quando i nostri hanno attaccato; presto ci giungeranno le prime notizie: Teia non ti dimenticherà.
Arunde Venne qui Steno, il massaio di casa Barca, pocanzi, e disse ch’egli si trovava nei pressi di ponte rosso quando Teia stava per attaccare. Si ritirò allora in disparte per la paura di essere travolto, tanta era la furia, diceva dei nostri nell’andare all’attacco. Ha giurato che sono certamente penetrati nel campo greco e che se la vedrà brutta Narsete! …Se tu non avessi la podagra (sorride) mi farei accompagnare da te in prossimità del campo per avere notizie più precise della lotta. Vorrei essere la prima ad abbracciare Teia vincitore!
Costanza Sono tanto felice che tu sia più tranquilla, mia piccola. Andiamo, su, andiamo dove tu vuoi…anche incontro a Teia (sorride)
Arunde (sorridendo) Scendiamo solo nel parco: lì saremo sole sole e fermeremo qualcheduno che passerà dappresso ai cancelli e domanderemo notizie sulla battaglia…(fanno per avviarsi)
Scena IV
Telbena e dette
Telbena Dove andate? …sai che ho bisogno di te, Costanza.
Arunde Ora resterà con me e mi accompagnerà nel parco. E’ stanca e non ti può tener dietro. Fatti aiutare da Michene e Sarba.
Telbena Michene e Sarba han da mettere in ordine le nostre stanze da letto e stanno provvedendo al pranzo.
Arunde Si può fare anche a meno del pranzo in tale circostanza! Né nostro padre venne più a casa da quando uscì stamane, né vi è alcuno di noi il cui stomaco accetti il cibo, tanta è l’ansietà che c’invade circa l’esito della lotta!
Telbena Il cibo non nuocerà allo stomaco e la lotta prenderà sempre la stessa piega, anche se noi non mangiassimo…
Costanza (con voce un po’ dolce, ma ferma) Figlia mia, tu parli come se non avessi un padre, come se nulla t’interessasse di questa guerra cruenta. Hai visto una madre toccare il cibo, mentre sa che la sua creatura corre un rischio mortale? Persino i piccoli piangono o restano muti dinanzi al corpo agonizzante di un loro caro e dimenticano, essi in cui gli istinti hanno il predominio, di chiedere di che mangiare, come se fossero avulsi in quei momenti dalla materia che li avvince e li rende, ci rende schiavi!
Telbena (prendendo un altro sacchetto) Oggi sei proprio in vena di darmi lezione, Costanza. Io però non te l’avevo richiesto. (fa per avviarsi)
Scena V
Messaggero goto e dette
Telbena (deponendo il sacchetto, al messaggero) Che cerchi? entri quasi di corsa in casa altrui! …
Messag. Chiedo scusa…era tanta l’ansia di giungervi…di portare a termine il compito che il Re mi ha affidato, che non ci pensai…entrai così di corsa, avendo vista aperta la porta…come per tema che ogni indugio potesse nuocere!
Arunde Ti manda Teia…da me… da Arunde? (avvicinandosi ansiosa) Dimmi ogni cosa: come sta? dov’è? è ferito? Si combatte ancora? Vinceranno i nostri?
Telbena (aspra) Se gli fai tutte queste domande di un sol fiato, gli fai dimenticare quello che ti deve dire e l’imbrogli; sta un po’ tranquilla!
Messag. (un po’ ansante) Oh, no! …non mi sbaglierò…permettete che respiri un po’ e vi dirò ogni cosa…
Costanza (premurosa, prende un calice sul tavolo, lo riempie di vino e lo porge al messaggero) Bevi, così ti rinfrancherai!
Messag. (un po’ confuso) Oh grazie! …grazie! ho qui la mia fiaschetta…eppoi quando si ha fretta non si pensa più a nulla…(prende il bicchiere e beve) Anelo solo tornare tra i primi ed essere accanto al Re, ch’è sempre in testa, bello e terribile come un dio!
Arunde (portandosi le mani alle tempie) Oh dei! quali tremendi pericoli adunque corre!
Messag. (infervorato) Quale tremendo pericolo corre il nemico, vuoi dire, nobile donzella! … Egli è lì tutto proteso nella lotta e invulnerabile mena schianto fra i greci che volgono in fuga o resistono quel tanto che basta a non vedere più la luce del giorno! …Penetrammo verso mezzogiorno nel campo nemico, dopo esserci impossessati dei ponti e tolti di mezzo gli scarni presidi. Per i ponti centrali Teia intanto si è spinto fra gli accampamenti e dinanzi alla sua furia ripiega il centro spiegato dello schieramento nemico!
Costanza Oh dei! guardatelo dai pericoli e salvate i nostri cari figli!
Messag. (sempre più infervorato) Menano strage dappertutto i nostri e il campo è già disseminato di morti greci; nessuno a Teia resiste. Da quando attaccammo gli fui sempre vicino: è bello combattere così pur se si debbe morire, ma leggere sul viso del nemico il terrore e l’ansia di schivare il colpo fatale. Teia nessuno perdona: nel cuore della lotta ricorda ai greci la morte di Totila e allora più furente di Marte si scaglia contro le turbe sempre più fitte e le scompiglia…non ha un minuto di tregua e tutti i dardi nemici sono diretti contro di lui. Senza distogliere gli occhi dalla lotta, ma sentendomi accanto, mi disse: “corri per un momento a casa del duca Bernone e a sua figlia Arunde dì che non stia in ansia per la mia vita e per le sorti dei Goti. Dille che la battaglia non durerà oltre la notte, se volgeranno sempre così propizie le cose; dille che ella è come se fosse al mio fianco presente alla lotta e come se debba difendere solo il suo corpo, da solo, contro tutta la furia nemica”. Voleva aggiungere altro, ma lo trascinò oltre il suo ardore la sua lancia.
Arunde Vorrei vederlo così nel combattimento, per esultare nell’animo e discacciare le ansie e le incertezze che procura la lontananza!
Messag. Ti porterei con il mio cavallo fin nel mezzo della mischia, se sapessi che ciò fosse utile. Ma ti esporrei ad un rischio mortale e non adempirei all’ordine del Re!
Arunde (entusiasta) Portami lo stesso! Vicino a Teia…io gli sarò da sprone e morirò assieme a lui se dovesse perire…
Messag. (sorridendo) Per te, donzella, sarebbe molto più facile trovarci la morte, indifesa e senz’armi; ma per Teia è molto difficile che ciò avvenga! …anche il duca Bernone vidi per il campo, al comando dell’ala destra dell’esercito e correva più di quanto glielo consentisse la sua età; era armato della sola lancia e con quella in pugno si avventava contro il nemico urlando…
Arunde Povero padre mio! Lo uccideranno! egli è tanto vecchio ormai! (prendendo il braccio del messaggero) Vi prego…soccorretelo…se potete; che non sia solo senza difesa tra i nemici…correte…
Messag. (nell’atto di andare) Si, corro subito al mio posto…il Re mi attenderà impaziente per sapere come tu stai d’animo…
Arunde Digli che sono tranquilla e che l’attendo al lume delle torce e delle fiaccole da stasera all’alba, all’entrata del parco!
Messag. Meglio…così lo renderò più sbrigativo… (ad Arunde e a Telbena) non temete troppo per il vostro padre…egli era seguito dai suoi uomini e lo proteggevano da ogni lato…lasciate che tornando a casa dica: “vedete il vostro vecchio padre? Gli farete il più grande regalo se gli procreerete nipoti consimili”.
Telbena (sorridente) A dargli forti nipoti penseremo poi, quando le nostre case e i nostri animi saranno più tranquilli…
Messag. Sei bella al pari di tua sorella e non ti mancherà un nobile sposo…
Telbena Che sia soprattutto un guerriero, come i nostri migliori comandanti…
Messag. (avviandosi per uscire) Ricordati, donzella, che forte guerriero son io, e sono del corpo del Re!
Telbena (uscendo sulla porta) Buona fortuna! …e torna a portarci altre buone notizie…
Arunde (a Costanza) Su, Costanza, corriamo ai cancelli, portiamo le fiaccole e che tutti i vecchi e le donzelle ne portino una anch’essi, e facciano più bella, più cara, più certa la via del ritorno a Teia! (escono, mentre Arunde trascina un po’ la vecchia Costanza)
Scena VI
Campo di guerra. In fondo qualche tenda dell’accampamento greco. Piove e tuona: guerrieri greci giungono da sinistra, di corsa, ansanti. Si fermano nel mezzo della scena, le armi pronte in pugno.
Sol. greco (indicando verso sinistra) Avanzano da questa parte…è Teia che li guida…l’ho visto io con questi miei occhi…e poco ci è mancato…(indicando a destra) laggiù ci dev’esser Narsete che ricaccia oltre il Sarno l’ala sinistra gota…
1°Uff. greco Avvisiamolo, ch’egli possa correr qui in aiuto dello schieramento centrale…
2°Uff. greco Se fuggiamo avrà via libera e prenderà alle spalle Narsete…raccogliamo invece qui della gente…cerchiamo di ostacolarlo…(a un trombettiere) suona…aduna quelli che scappano…se taglierà in due l’esercito saremo perduti…(al trombettiere rimasto titubante) suona, che aspetti? (qualche lancia cade vicino; ognuno si addossa istintivamente all’altro. Il trombettiere suona debolmente, poco convinto. Giungono grida e suoni di armi; la battaglia si avvicina dal lato sinistro. Ognuno è in ansia sul da fare)
2°sol. greco Corriamo ad avvisare Narsete…(un gruppo di soldati passa correndo) dove correte, miserabili? (quelli gettano le armi terrorizzati e scompaiono verso destra)
1°Uff. greco Fermiamo quest’altri che giungono… cerchiamo di tener testa… (a due soldati) voi due correte a chieder rinforzi a Narsete (escono di corsa dopo aver salutato frettolosamente) eccone altri dei nostri (altra ondata di soldati greci che passano fuggendo; qualcheduno si unisce a loro. E’ cessato di piovere: c’è un po’ di sole ma tuona ancora. Il rumore della battaglia si fa vicinissimo, violento. Altra ondata più rumorosa e numerosa di soldati greci che sommergono quelli che si trovano sulla scena. Tutti scappano. Altri soldati passano a gruppi urlando: uno cade a terra ferito).
Scena VII
Teia; Airolfo; Condottieri goti; gran numero di sodati stan dietro
Airolfo (cercando di ostacolare il passo a Teia) Concediti un minuto di riposo, Teia; non potrai continuare così!
Teia (impaziente, la grande asta pronta, lo scudo coperto da molte lance greche) Non farmi perder tempo, Airolfo! Non mi fermerò sino a che non li avrò sterminati…molte me ne han da pagare! (allo scudiero) passami un altro scudo (cambia quello che tiene al braccio)
Airolfo (appressandogli alle labbra una fiaschetta) Bevine un sorso, ché ti calmerà la sete! …grondi pioggia e sudore…
Teia (sorridente) Come se tu grondassi del miele! Và, che ne hai anche tu una grande voglia! …
Airolfo (bevendo) Vedi, anch’io mi ristoro…fate lo stesso anche voi (agli altri, che prendono la fiaschetta e devono a grandi sorsi)
Teia (che si è messo a posto nel frattempo lo scudo) Attacchiamo i padiglioni greci; smantelliamo l’ultimo loro baluardo!
capo goto Non credi che convenga attaccare subito l’ala destra che si va ingrossando alla nostra sinistra e dove ci sarà il meglio dell’esercito greco? Vedi che i fuggenti si dirigono tutti da quella parte…
Teia Fra poco su quella piomberà Baldengo, speriamo almeno…la sua cavalleria avrà presto ragione degli appiedati greci. Continueremo a combattere del resto, qualunque cosa accada, al chiarore lunare e sino all’alba e domani ancora, ma li stermineremo (rivolgendosi ai soldati che si accalcano fitti) non vi chiedo che dividere con me i pericoli della lotta e l’onore sarà uguale per tutti: la vita che noi generosamente offriamo, l’offrite voi tutti. Siate forti, sino allo stremo: se perderemo, perirà il nome dei goti e si cancellerà la nostra memoria, perché i nostri figli non cresceranno che per esser recisi come fiori avanti di sbocciare al sole della vita…
una voce da sinistra (urlando) Teia, Teia! (tutti tacciono in ascolto, l’urlo si ripete) Teiaaa!
Teia (con voce poderosa) Olà! da questa parte! Chi va cercando di Teia? (attimi di attesa)
Scena VIII
Soldato goto e detti
sol. goto (ansante, sfinito per la corsa, cade a terra. Altri pronti lo rialzano, lo portano innanzi a Teia) Laggiù…laggiù…la nostra ala destra che il duca Bernone comandava…
Teia (ansioso) ebbene, cosa mai succede? Dategli da bere! …presto, parla! (da lontano viene indistinto come un galoppar di cavalli e un grido confuso)
sol. goto (ansante) li senti…sono i romani…Bernone ci guidava tanto bene come un tempo…l’ala sinistra greca indietreggiava…
Teia (impaziente, con furore) Si può sapere cosa sta succedendo?
sol. goto (cascando dalle mani del soldato che lo sorregge) ero con il duca, tra i primi…poi ad un tratto successe una confusione alle nostre spalle…vidi Baldengo che ci attaccava con migliaia di cavalieri…ci trovammo presi da tutte le parti…fui gettato nel fango da un colpo di lancia ad un braccio (si scopre il braccio ferito) vidi che il nostro duca combatteva ancora, disperatamente…se non fai presto i nostri saranno tutti uccisi…
Teia (freddo) Lui! …me lo sarei dovuto aspettare… (ad Airolfo) andiamo, Airolfo, non mancare quell’infame! …(ai soldati) non risparmiate nessuno di questi traditori e codardi, anche se vi fossero stati amici dianzi…(come tra sé) Roma, risorgerai…ma a caro prezzo per i tuoi figli degeneri! Miserabili! e non sanno come saranno ripagati dai greci; ad ogni modo avranno il castigo che si son meritati (si slancia verso sinistra seguito da Airolfo e dai suoi soldati)
Scena IX
La scena resta deserta, a terra giace bocconi un soldato greco. Si muove lentamente, spia a destra e a manca e cerca di rialzarsi. Ci riesce alfine e raccoglie da terra una lunga lancia alla quale si appoggia. Gira l’occhio smarrito per ogni dove. Cerca di toccarsi la schiena alla quale è ferito e lo sforzo fa che si lamenti
Sol. greco Ahi! mi han forato la schiena! …Tanto mare e tanta terra attraversai… e credeva di guadagnare celebrità e ricchezze, invece nessuno si cura di me! Stolto! che lasciai a mille miglia, l’ombra delle palme d’Asia, i miei poveri vecchi e la mia buona consorte e m’illuse lo splendore e il fascino dell’esercito! …Questa è la terra felice promessa, ma sinora ho conosciuto solo la polvere e il fango! …(si abbandona ai suoi pensieri, il capo chino)
Scena X
Bernone e detto
Bernone (entra da sinistra; si trascina dietro una lancia che tiene per la punta. L’armatura è imbrattata di fango, un rivolo di sangue gli scorre giù dalla fronte per il viso da una ferita aperta sino al sopracciglio sinistro) Ola! chi sei tu che ti nascondi al mio cospetto? (il soldato greco, preso alla sprovvista, si mette istintivamente sulla difensiva) No…non sei tu quello che cerco…hai visto un lupo passare da qui?
Sol. greco (impermalito) Tu sei matto, buon uomo; qui non ci sono lupi!
Bernone Se mi ha azzannato al capo e mi voleva accecare! (indica la ferita)…taci…lo senti come ringhia? Aiutami, se no scannerà mia figlia! …(esplodendo una risata folle) corri, corri…tanto non la prenderai…si è avvolta nelle spine di roseto e ti forerà le zampe…vedi che ti sanguina il muso? …Come ti chiami? Sei fosco, sei! …Hai visto il cavallo nero? Ora corre incontro al sole…Teodorico non ce la fa a trattenerlo… diamogli una mano, ch’è stanco…anche tu sei nero! …cosa ti hanno fatto?…Ti ha azzannato il lupo, perciò piangi! che ferita ti ha procurato…vieni che ci aiutiamo a vicenda…tu mi indichi la via e io ti sosterrò…lo senti che arriva? fuggi, fuggi…è il lupo! …(esce di corsa a sinistra tirandosi dietro la lunga lancia)
Sol. greco Povero vecchio! Mandarlo alla guerra a quell’età! Non gli restava che perdere il senno! Chissà cosa gli succederà se lo lascio andare da solo. (gridando a Bernone) Fermati, non aver paura; l’ho ucciso io il lupo (esce, appoggiandosi alla lancia e traendo sospiri per il dolore della ferita)
Scena XI
La scena resta per un minuto vuota. Da destra giunge un rumore di armi e di armati, suono di trombe, galoppo di cavalli
Narsete; Generali greci; gran stuolo di soldati che vociano.
Narsete (fa un cenno imperativo e significativo ai trombettieri che lo precedono. Quelli si fermano e il suono si diffonde da tutti i lati, argentino).
Capo trombettiere Silenzio! Il grande signore Narsete vi ordina di tacere! Ascoltate i suoi ordini e i suoi illuminati consigli (s’inchina)
Narsete Segnatevi. (si segna e tutti gli altri lo imitano) Preghiamo per un momento nel più assoluto silenzio per il nostro grande divo Giustiniano, che Iddio lo renda signore di tutte le terre che l’Oceano abbraccia (un minuto di silenzio). Dio è con noi…le sorti della battaglia volgono a nostro favore; abbiamo frantumata l’ala sinistra nemica e voi, miei fidi, ne foste gli artefici. La tattica al centro è riuscita e ora il nemico ci offre le spalle. Non v’è più scampo per i goti; essi vollero la loro rovina…e sia immensa. Toglieremo questi infedeli dalla faccia della terra!
Generale greco Signore, Teia che cada per primo! Permetti che gli corra incontro con il meglio del nostro esercito? Ogni dardo sarà a lui indirizzato e non lo risparmierà la fortuna e l’ardire (galoppar di cavalli da sinistra)
Narsete (sorridente, sicuro) Teia cozzerà contro Baldengo…e sarà la sua fine. Non vale la pena esporre noi stessi: che si eliminino tra di loro; avremo meno amici, ma molti meno nemici! (da sinistra giunge il galoppo di un cavallo)
Scena XII
Cavaliere romano e detti
Cav. rom. (riverente) Signore…
Narsete Parla, valoroso romano!
Cav rom. Mi manda Baldengo…avevamo messo in fuga l’ala destra comandata dal duca Bernone e ci eravamo già uniti all’ala sinistra greca guidata da Briseo…nereggiava il campo dei vinti caduti…ma or ora ci assalì Teia con i suoi migliori. Se tu accorri, signore, li prendi alle spalle…bisogna far presto, ché cadono a mucchi i nostri cavalli!
Narsete (al cavaliere romano) Non temere, romano! Andiamo a guardare in faccia questo Teia che tanta paura incute, vediamo se saprà ancora resistere al suo destino! (ai soldati) Aggiogate veloci cavalli, cantate inni di guerra…e fra poco, legato al carro per i piedi forati, lo trascineremo nel fango, con il volto orrido, spettrale alla luce delle fiamme e dell’odio che ha innalzato nelle case e nel cuore dei virili romani! (escono in fretta verso sinistra)
Scena XIII
Scorcio della campagna campana, non lungi il Sarno. In fondo il Vesuvio. Tramonto infocato di porpora: il tempo si è rimesso al bello, spira forte il vento. Da destra giunge Bernone che si appoggia con la destra al soldato greco, con la sinistra trascina ancora la lunga lancia. Il soldato greco è molto stanco; si appoggia alla lancia. Da lontano giunge di tanto in tanto, portato dal vento, il rumore della battaglia.
Bernone e soldato greco
Bernone Dove mi conduci? …vedi come è diventato docile e come mi segue? (accenna alla lancia che trascina) perché mi ha piantato, prima, i denti nel volto? …portami al fiume…lo sai perché è rosso? mi son lavato dentro le piaghe…
Sol. greco Ora ti toglierò questa pesante armatura e riposerai, ché sei stanco.
Bernone Chi sei tu che mi aiuti? (mentre l’altro tenta di togliergli l’armatura) lasciami! Non saresti anche tu per caso un falso amico perché ti piace la mia veste d’oro? Te la do se la vuoi, ma non devi togliermela con l’inganno!
Sol. greco (togliendogli l’armatura e pulendolo) vedi? io sono un tuo amico. Dov’è la tua casa, che ti condurrò a dormire?
Bernone La mia casa è nel fiume. Accompagnami fin sulla sponda e lasciami solo: io conosco bene la mia casa!
Sol. greco (commosso) Ecco, ci sei. Ora riposa.
Bernone (stendendosi a terra) Mettiti all’entrata e vegliami: sta all’erta, scudiero! …Conosci gli spiriti degli Inferi? Bada a non lasciarli entrare, se no non avrai la mercede…perché vuoi tu la mercede? non ti basta la mia armatura…mi hai denudata la casa…non ha nemmeno più il tetto…sei un servo infedele, sei! Li hai lasciati entrare, sciagurato, e si son portati via mia figlia (urlando) dov’è mia figlia? (scatta in piedi)
Sol. greco (commosso) Se starai calmo, verrà presto.
Bernone (avvertendo il vento sulla faccia) Senti gli spiriti che se ne fuggono? …ora t’impiccheranno perché mi hai tradito! Non fuggi, non hai paura?
Sol. greco (cercando di farlo sedere) Ma io sono tuo amico! non ti ricordi di me? Fuggimmo insieme dalla battaglia…
Bernone La battaglia? Dove c’erano i lupi? Non dovevamo metterci in mezzo; vedi come ci han conciato!
Sol. greco Noi non ne abbiamo colpa: ci trovavamo per caso…ma fuggimmo via subito!
Bernone Tu credi che non hai colpa! Siedi su quella panca: voglio essere io il tuo giudice! Vuoi che sia onesto? …Metti una benda dinanzi ai miei occhi, così non mi commuoverà né m’irriterà l’espressione del tuo viso; rispondi solo alle mie domande e parla piano. Tu ti difendi, ché sei in colpa: non voglio vedere altri che pianga e preghi per te!…sei pronto?
Sol. greco (commosso e paziente) Son pronto…
Bernone Da quanto tempo corriamo per questi luoghi? Perché ci siam fermati?
Sol. greco Corriamo da quando siam nati e non ci siamo mai fermati: è una tua impressione!
Bernone Taci! Io sono il tuo giudice e non posso sbagliarmi…quando rubi ti soffermi per compiere il furto, quando fai l’ipocrita te ne stai a meditare sulla colpa della tua coscienza, quando sei dinnanzi al tuo giudice tu tremi e le gambe più non ti sorreggono!…non è vero che corriamo per tutta la vita…e…dove andiamo?…Tu incominci a mentire, eppoi vuoi che io ti creda! (urlando) alzati, alzati al mio cospetto… (calmandosi un po’) ti farò fustigare per ora, ma bada che se dirai ancora bugie ti farò tagliare la lingua e, se rubi, le mani! …Non piangere! …se no sei anche ipocrita e allora ti farò mozzare la testa…perché questa malattia risiede nel cervello!
Sol. greco Tu sarai un buon giudice, ma non un buon re, ché, se facessi come pensi, i tuoi sudditi dovresti tutti mutilarli o decapitarli!
Bernone Perciò ne approfitti, perché non sono il tuo re! Ma ti punirò lo stesso; …sei vecchio?
Sol. greco Vecchissimo
Bernone Non sei però saggio!
Sol. greco Come vuoi che sia saggio, se son vecchio! Son egoista, cattivo, invidioso.
Bernone Sei un povero vecchio ammalato, allora!
Sol. greco Sanissimo invece
Bernone Perché dici sempre il contrario di quel che penso?
Sol. greco Non ti debbo dire la verità?
Bernone Sei cieco allora!
Sol. greco Io vedo benissimo!
Bernone Non ti comprendo! Dici la verità e vedi: come è ciò possibile?
Sol. greco Se non vedessi, come farei a dire la verità?
Bernone Appunto se fossi cieco la diresti, perché allora guarderesti soltanto dentro di te!
Sol. greco (tra sé) Non ho visto mai un pazzo più assennato!
Bernone Che borbotti? …(vociare di gente che si avvicina) taci…saran di nuovo quegli spiriti malefici! …fuggiamo, non voglio più vederli! …perché vanno lamentandosi tra i boschi e si accompagnano al vento e all’uragano? …vili sono ed ingrati, ché non han pietà di questo povero vecchio…
Scena XIV
Baldengo; cavalieri romani e detti
Bernone (si avvicina a Baldengo, lo fissa negli occhi intensamente, le sue mani tremano).
Baldengo (vincendo l’emozione dell’incontro) Suvvia, compagni, Roma ci attende. La lotta è decisa ormai: Teia è caduto e con esso i Goti! (a Bernone) Cos’hai da guardarmi con occhi si truci? (ai cavalieri romani) lo conoscete? è il duca Bernone…sembra molto grave; ebbene prendetelo sotto la vostra guida, ma non si perda vieppiù tempo (fa per andare)
Bernone (afferrandolo per un braccio) Luccicano i tuoi occhi…sei forse una iena? (cerca di alzare la lancia per colpirlo) ma io non ti temo (uno dei cavalieri romani gli ferma il braccio) lasciami! Non difenderlo, ché poi sbranerebbe anche te! …
Baldengo (ridendo forzatamente) Lascialo, lascialo…non potrà più far male a nessuno…è proprio matto, poveretto!
Bernone (esaltato) Perché digrigni i denti?…ridi o il terrore ti prende? …come ti chiami? …ho visto…ho visto talvolta codesta tua maschera…eri sospesa fra cielo e terra e seguivi i miei passi, mi ti avventasti contro…succhiasti il mio sangue…(urlando) tu, tu hai ucciso mia figlia! (si scaglia contro Baldengo, percotendolo sul petto con i pugni chiusi) cosa serbi qua dentro? …arido sei, come la morte e il tormento! (cerca la lancia che ha lasciato cadere per terra; un romano gli punta la sua al petto)
Sol. greco (mentre Bernone sta per cozzare con il petto contro la lancia, colpisce con la sua la lancia del romano, facendogliela cadere di mano) è vecchio e ferito: è un delitto uccidere un povero pazzo!
Cav rom. (al soldato greco) E’ tuo nemico costui e fai molto male a difenderlo: potresti pentirtene!
Sol. greco (mostrando la sua ferita) vedi? Potrà avermi colpito egli stesso mentre divampava la mischia, ma perciò dovrei ora trarne vendetta? è ancora più vecchio del mio vecchio padre e non si può non porgergli aiuto e rispettarlo, ché a tanta età impugna ancora le armi!
Baldengo (sarcastico) Troppo tenero sei…e perché hai lasciato la pugna e ti accompagni a costui? son là i tuoi compagni e combattono ancora!
Sol. greco Anch’io potrei rivolgerti la stessa domanda; né tu hai come me carni straziate e le forze mancanti!
Baldengo (altero) Non ho da dar conto a nessuno di quello che faccio: io sono il signore di Roma, io sono Baldengo!
Sol. greco (con sottile ironia) Ti conosco, signore; so anche che eri l’amico migliore di questo povero vecchio! (si accascia vinto dalla stanchezza)
Baldengo (guardandolo bieco) Andiamo! son due poveri matti!
Bernone (come svegliandosi) Quegli occhi di fuoco! …lupo sei! …non fuggire dopo avermi vuotato la casa: attendi la vendetta del Cielo…(guardando il soldato greco a terra) hai ucciso persino il mio scudiero! Non ti è bastato strapparmi gli occhi, piagarmi il cuore, insultarmi! …Arunde (all’urlo di Bernone Baldengo trema istintivamente) Arunde…attendi…non piangere… stammi vicina…(accarezza un’ombra. A Baldengo che va via con i suoi) maledetto…non la ghermire…è fredda…lasciala composta tra i fiori…(stende le mani innanzi come per proteggerla) hai le mani di cera…parla…parla…mia piccola Arunde! Destati dal sonno di morte…sorridi al tuo povero babbo…così…così…(annaspa, si curva in avanti, cade sulle ginocchia, la testa fra le mani, immobile in tale atteggiamento di dolore)
Sol. greco (si alza lentamente, guarda il Cielo come per invocarlo con una muta preghiera; scendono le ombre del crepuscolo. Da lontano giunge ancora il rumore della battaglia, risuonano urla come di giubilo di vittoria) Trista è l’opera della guerra! L’esultanza dei vincitori non vale una goccia del sangue dei vinti morenti! Terra, madre comune, tu sinanco ti ammanti di nero, raccapricciata, al cospetto dei figli omicidi! (si segna, si avvicina a Bernone, gli passa la mano fra i canuti capelli) Vieni, vecchio; ti accompagnerò alle tue case.
Scena XV
Ingresso del parco del castello del duca Bernone. Il grande cancello è aperto per intero. Arunde è al centro della scena: vicina Costanza. Altre donzelle gote e vecchi servi completano il quadro. S’alza un canto dolce, come una preghiera:
Veglia, o Cielo, sui giovini figli,
lo stral guida del giovine Re;
che sian lungi da loro i perigli
salda in petto sia sempre la fé!
Sol che baldo ritorni
con negli occhi secura
la vittoria e ne adorni
ogni casa e le mura!
Alle trepidi madri ogni accento
suoni caro dei figli lontani
che mai sorga dai petti un lamento
sol ti volgan conserte le mani!
E giuliva la sposa
il bel petto s’adorni
ad un petal di rosa
ogni grazia sua informi
Veglia, o Cielo, sul capo dei figli
veglia, o Cielo, sul capo del Re!
Veglia, o Cielo, sui giovini figli
veglia, o Cielo, sul nobile Re!
Arunde (ai servi) Già imbruna; è l’ora di accendere le fiaccole e carpire alla notte il dono dell’oscurità. Correte alla villa e portatene a due mani in grandi fasci, ché sarà lunga la notte e l’attesa! (i servi escono)
Costanza Buone nuove ti giungono, Arunde. Ecco che vien verso noi uno dei nostri ufficiali e ha lieta faccia.
Arunde (tra sé) Dei! Io tremo e sono ansiosa nel contempo di avere notizie!
Scena XVI
Ufficiale goto e detti
Uff.goto (ad Arunde) Arunde sei tu? Se così è, puoi stimarti veramente felice, nobile giovinetta, che dell’amore e della stima del Re godi come nessun altro mortale!
Costanza (accarezzando le trecce di Arunde) Ella è colei che tu cerchi.
Arunde Mi porti ottime notizie, cavaliere?
Uff.goto Sii lieta e tranquilla: così è come tu dici. Erano ormai in rotta i greci su buona parte del fronte; ma poiché così piace al cielo serbare ai cattivi un grande campo sulla sorte delle cose che avvengono al mondo, ecco entrare in campo Baldengo con i suoi, non più in veste di amico, ma di abbietto traditore. E l’ala sinistra nemica che anch’essa piegava dinanzi allo strenuo e antico valore del padre tuo, ebbe per un momento il sopravvento…
Arunde Mio povero padre! (l’emozione e il dolore la vincono) come sopportò l’atroce ingiuria da quegli che stimava sì grande amico?
Uff.goto Fu visto tuo padre attaccarsi al cavallo di Baldengo e mai lasciarlo…poi la mischia travolse e sconvolse ogni cosa. Teia si lanciò come ebbro del sol desiderio di vendetta contro i Romani e tutti gli tenemmo dietro con il respiro mozzo. Tennero testa i Romani, ché li spingeva l’odio e la paura, ma a mano a mano si scompaginava la compatta schiera. Lasciai allora la pugna per ordine del Re: voleva che per prima tu sapessi dei nemici, prossimi ad essere travolti!
Arunde Ti sono molto grata…mi togli un tormento dal cuore e rinasce la fiducia nell’animo… (alle donzelle) Eleviamo ancora agli dei una fervente preghiera!
Scena XVII
Servi e detti
Costanza (ai servi che tornano, tenendo in mano una fiaccola accesa e altre spente) Su, accendetene ancora delle altre e distribuitene una ad ognuno: così sarà più bella e più lieta l’accoglienza al Re vittorioso.
Arunde (all’ufficiale goto) Annotta: attendi qui il tuo Re? (porge all’ufficiale una fiaccola che i servi hanno frattanto acceso e vanno distribuendo)
Uff.goto (ricusando) Grazie, nobile donzella; è laggiù il mio posto, finchè sarà sparsa l’ultima stilla di sangue. Son buoni i garretti e il cuore è saldo…addio! (esce di corsa, dopo aver salutato).
Scena XVIII
Annotta rapidamente; il Vesuvio lancia di tanto in tanto un boato e una luce rossa di fuoco ne avvolge il cono eruttivo.
Arunde (con lieto viso splendente al lume delle fiaccole) Cantiamo, compagne; intrecciamo dei cori e più veloce correrà la notte!
Costanza A ognuna di Voi è serbata una vita felice…guardate al Cielo: già sorge la luna e tramontano le prime stelle…io compii il mio grande arco e son presso al tramonto…
Arunde Non pensare cose tristi ora, diletta nutrice. Godrai ancora molti giorni felici e nella tarda vecchiaia di questo giorno conserverai sempre il ricordo…
Costanza (triste) Spegne la tarda sera ogni fiamma ed entusiasmo nei cuori e diveniam larve senza gioie e tormenti, senza odi ed amori…
Servo (stando in ascolto) Odonsi cavalieri per la campagna…
Arunde Agitiamo le fiaccole sopra le nostre teste…così li guideremo da questa parte…
Donzella (dubbiosa) Ma…se fossero nemici? (anche gli altri restano presi dal dubbio)
Costanza (tranquilla) A nemici che fuggono ogni indizio di vita desterà paura e li spingerà lontano da qui, in cerca di tenebre e di sicurezza…agitate senza timore le fiaccole! (tutti lieti agitano le fiaccole al disopra della loro testa lanciando qualche allegro grido di richiamo, poi stanno in ascolto)
Arunde Si ode più nulla? (nessuno risponde. Pausa. Da lontano indistinto, poi più chiaro un batter di zoccoli che si avvicina)
Donzella Chi sarà mai?
Scena XIX
Voce e detti
Voce Olà! Voi delle fiaccole! … Goti?
Arunde (meno sicura) Si, goti…voi pure? …quali nuove portate?
Voce Spegnete le fiaccole, fuggite, miseri! Non istate a far da richiamo ai nemici!
Arunde (sgomenta) Dei!…che succede?…Nulla sapete della lotta…del Re? …
Voce Nascondetevi, disgraziati, tornate alle vostre case; spegnete le fiaccole!
Costanza (con voce malferma) Sostate un momento…tanta fretta vi preme? (si ode il rumore degli zoccoli allontanarsi nella notte).
Scena XX
Arunde; Costanza e donzella
Arunde (quasi sconvolta) Andrò io sola urlando nella notte, se non mi seguirete e finchè non avrò saputo la verità!
Costanza (trattenendola, mentre le altre donzelle si stringono attorno) Sii saggia, Arunde! Lungi dalla casa più alcuno ti sarà da guida: noi qui tutti leniamo a vicenda il nostro dolore…
Arunde Pulsa il sangue fortemente alle tempie e pare vogliano scoppiare; son stanca di attendere oltre… ed è meglio che muoia prima che una tremenda notizia mi giunga…
Costanza Ci furon porte buone notizie pocanzi e non è il caso di disperare…avranno esagerato quei tali e nulla di preciso han detto…
Arunde Ma fu chiaro il consiglio…
Donzella (ad Arunde) Spegniamo le fiaccole allora, rientriamo nelle nostre dimore?
Arunde (risoluta) No! finché io sappia…finché io viva…(Costanza va accarezzandole i capelli, mentre le donzelle si stringono vicine non tenendo più alte le fiaccole, e i servi restano dubbiosi)
Scena XXI
Capo goto; guerrieri goti e detti
Capo goto Siam qui alla casa del duca Bernone?
Arunde (aggrappandosigli ad un braccio) Si…e io Arunde sono, sua figlia!…ti scongiuro: qual triste sorte vi perseguita disuniti e sperduti per la campagna?…che ne è dell’esercito goto?
Capo goto (commosso) Povera donzella! … Torna alle tue stanze e che gli dei aiutino noi tutti (fa per andare)
Arunde (scongiurandolo) No, non fuggire anche tu! che io non viva più in tanta angoscia…dimmi cos’è accaduto!
Capo goto (incerto, commosso) Non me ne regge l’animo…(i volti di tutti assumono un atteggiamento fra l’interrogativo e lo sgomento)
Costanza (prendendo dolcemente una mano ad Arunde) Torniamo al castello, Arunde…
Arunde (tenendo stretto il braccio del capo goto) No…no…voglio sapere ogni cosa (scoppiando in singhiozzi) perchè mi fai soffrire, tacendo?
Capo goto Avevamo già volto in fuga i greci e i romani e solo resisteva, incitata dal traditore Baldengo, un’esigua schiera di cavalieri; anche loro avremmo sperduto in breve tempo.
Arunde (sempre più ansiosa) Che avvenne allora che non fu più possibile? …
Capo goto Fu un uragano di uomini che ci piovve addosso…tutte le riserve nemiche condotte dallo stesso Narsete. Ci trovammo così con alle spalle il Sarno e tutt’attorno le fitte schiere dei greci…avremmo potuto guadagnare i ponti ancora in nostre mani, mettere un ostacolo tra noi e il nemico…ma nessuno pensò alla fuga. Anzi ci facemmo più compatti e il Re non vide altra risoluzione che la lotta sino alla fine…e fu addosso ai greci: si apriva la strada tra maniche di uomini e di armati, ci incitava ed atterriva il nemico con alte grida e sempre più bello e vigoroso balzava là ove più ferveva la mischia…
Arunde Misero! Tutto giocò con audacia…
Capo goto Un solo momento di tregua si concedeva al cambio dello scudo, ché ogni lancia ed asta era contro lui rivolta, e spesso era necessario il cambiarlo. E quando già per sua virtù sembravano ristabilite le sorti del combattimento, quando la marea nemica segnava il passo e arretrava dinanzi al suo indomito valore, una freccia traditrice lo colpì al cuore, ché per l’ennesima volta cambiando lo scudo rimase scoperto un attimo solo: e gli fu fatale! …
Arunde (accasciandosi fra le braccia delle donzelle atterrite) Nessuna pietà ha di me il Cielo! che non vegga più l’alba piena di sciagure e più nera di questa notte infelice! …
Capo goto (ai suoi uomini) Andiamo. (ad Arunde commosso) Radunerò tutti i goti scampati e domani all’alba daremo ancora battaglia, sino all’ultimo, per te, infelice fanciulla, e per le nostre povere donne! (esce seguito dai suoi)
Costanza Che altro attendiamo da questa lugubre notte? …vieni, Arunde, e troverai un po’ di riposo nel sonno…
Arunde (eccitata) Agitate sempre più alte le fiaccole e che mi spenga con esse! Di nulla più ho paura! Andrò sola per il campo a rintracciare il corpo adorato, e veggendole da lontano queste luci, accanto alle sue fredde spoglie, mi ricorderò per l’ultima volta del caro tetto paterno…(resta a testa china, mentre tutti le si stringono attorno, come per impedirle la fuga)
Scena XXII
Baldengo, cavalieri romani e detti
Baldengo Cosa attendete al lume delle fiaccole nel cuor della notte? (vedendo Arunde che ha assunto un atteggiamento di sfida) Tu Arunde? Che triste faccia! …
Arunde Vattene! … e ti maledica il Cielo!
Baldengo (ridendo) E’ sordo il Cielo alle tue preghiere…e io sono signore di Roma! …ma vieni meco, ché son uomo d’onore e so mantenere fede alla parola datati: tu sarai regina in Roma!
Costanza Lasciala al suo dolore e prosegui nel tuo cammino…pensa quanto male hai fatto e quanti lutti hai apportato!
Baldengo (sprezzante) Non t’immischiare nei fatti miei, vecchia, se non vuoi aver mozza la lingua! … (ad Arunde) seguimi, Arunde; sarai felice con me e nient’altro ormai ti rimane…perì Teia e tuo padre è come se fosse ormai morto per te!
Arunde Taci…taci…persino mio padre hai tradito, ucciso forse…e tale turpe unione mi proponi!
Baldengo (risoluto) Non mi far perdere tempo…vieni…(si avvicina cercando di prenderla per un braccio; ella si allontana mentre le donzelle le si stringono attorno) Non spaventatevi, non siam lupi, perdio! (ai suoi) Ecco per voi giovini compagne: sceglietene una per uno (le donzelle corrono qua e là per il parco lanciando piccoli gridi; Arunde resta impassibile al suo posto e stringe nelle mani un pugnale lucente, Costanza le sta dietro a un passo, i servi attoniti stanno attorno con le fiaccole in mano) Getta quell’arma; Arunde…ti amo!
Arunde E’ impossibile che nel cuore di una iena alberghi fiamma di amore: ti odio!
Baldengo (avvicinandosi) Abbandona la tua casa e dimentica tutto: sol per te lottai…
Arunde Con la perfidia, il tradimento, l’inganno! Anzi che muoia, lascia che ti dica tutto il mio disprezzo sul volto!
Baldengo (avvicinandosi ancora) Tu non morrai, tu sarai mia sposa! (si lancia per ghermirla; fulminea Arunde si immerge il pugnale nel petto accasciandosi tra le braccia di Costanza e dei servi accorsi)
Costanza (con un urlo di dolore) Maledetto! l’hai uccisa! (Baldengo resta interdetto; si avvicina ad Arunde e cerca di prenderle le mani. Costanza piange; i servi si asciugano in silenzio le lacrime, volgendo le fiaccole verso il viso di Arunde)
Arunde (presso a morire) Accostate ai miei occhi la luce…che fugge…Addio…Teia! Come è gelida la morte…e tu provasti uguale tormento…(all’urlo di Costanza tutte le donzelle sono tornate attorno ad Arunde non più inseguite dai cavalieri romani, che muti pur essi contemplano la triste scena)
Baldengo (con voce smorzata) Arunde!
Arunde (con voce fievole) Un po’ di luce ancora ai miei occhi…un po’ di calore (Baldengo strappa una fiaccola dalle mani ad un servo, l’appressa al volto della morente. Altre fiaccole vengono accese, agitate, accostate al disopra della testa di Arunde)
Scena XXIII
Bernone; soldato greco e detti
Bernone (trascinandosi dietro la lancia, fulmina tutti i presenti con uno sguardo terribile, si avanza altero) Chi impazza qui, agitando le torce al lume della luna? (tutti si scostano lasciando libera la via verso Arunde; anche Baldengo si pone a lato) Briaca è costei che più non infuria con la fiaccola in mano? (accennando ad Arunde) coribante! Ti sei tinta di mosto…(ridendo sinistramente) briaca sei… e ti ghermì un satiro!
Costanza (gettandoglisi ai ginocchi) Padrone, misero duca! Tua figlia è, la povera Arunde!
Bernone (osservandola stralunato e scoppiando a ridere) Anche tu sei briaca! Qui han fatto orgia di vino, ora incendieranno i boschi…lascia che mi ubbriachi anch’io, così non temerò più il fuoco! (inzuppa la mano nel sangue di Arunde e se la porta alla bocca, imbrattandosi di sangue il volto) Generoso è il vino delle coribanti e rosso come il sangue che fluisce nelle loro vene (porta più volte la mano alla bocca succhiando il sangue gocciolante) Ora son briaco anch’io; bevete tutti, saziatevi! Bevete ancora…(strappa dalle mani di un servo una torcia e scaglia a terra la lancia) Corretemi dietro! Fuggiamo pei boschi, le selve ed i monti…riempiamo di urla e di risa la terra! (esce urlando , agitando alta la fiaccola. Ognuno spegne la propria fiaccola e si raccoglie attorno ad Arunde che ha esalato l’ultimo respiro).
Giunge da lungi il riso or sinistro, or prolungato, or smorzato di Bernone e il vivo bagliore della fiaccola che agita al vento.
Fine della tragedia
® Copyright
Opera Inedita tutelata dalla Legge sul diritto d’autore
Vietata la vendita, la rappresentazione e la riproduzione.
Chiunque voglia leggerlo, può stamparne
una copia per la propria lettura personale.
Riferimenti storici e mitici
Agamennone Figlio di Atreo e fratello di Menelao, secondo l’Iliade re d’Argo e capo degli Achei. Secondo Le Ciprie avrebbe deciso il sacrificio della figlia Ifigenia, perché la spedizione dei Greci, trattenuta da venti contrari, potesse salpare. Già nell’Odissea si accenna al suo ritorno in patria, alla sua uccisione per mano di Egisto, seduttore della di lui moglie, Clitemestra; quest’ultima uccise a sua volta, Cassandra, principessa troiana assegnata ad Agamennone come preda di guerra.
Andromaca Moglie di Ettore, mitica eroina troiana; figlia di Eezione, re di Tebe, ebbe il padre e i sette fratelli uccisi da Achille. Celebre è il suo addio ad Ettore presso la porta Scea e il lamento sul corpo dell’eroe e per il triste destino che attende il figlio Astianatte.
Antonio Antonio Marco, il triunviro. Figlio di Marco Antonio Cretico e di Giulia sorella di Cesare. Fu magister equitum di Cesare; Alla morte di questo fu a capo della reazione contro i congiurati, mirando anche alla successione. Ottaviano, legittimo erede, reagì, sconfiggendo Antonio nei pressi di Modena, ma poi volendo evitare la scissione del partito cesariano, promosse con Antonio e Lepido, il triunvirato in rei publicae. Pretese la morte di Cicerone, suo acerrimo nemico. Successivamente ebbe l’Oriente. Con Cleopatra, regina d’Egitto concepì il progetto di trasformare l’Impero romano in una monarchia orientale. Morta la moglie Fulvia, sposò Ottavia, sorella di Ottaviano. Ripudiata Ottavia, riconosciuti i figli avuti da Cleopatra, scatenò l’opposizione di Ottaviano che potè facilmente farlo apparire come nemico di Roma. Le vicende di Antonio e Cleopatra hanno ispirato numerose opere, in versi, in prosa e musicali, desunte in parte dal racconto di Plutarco: dramma di un uomo d’azione, sedotto da una lussuria che egli sente spregevole.
Areopago Colle di Ares. Nome di una rupe situata nei pressi dell’Acropoli di Atene, dove sarebbe stato giudicato Ares per l’uccisione di Alirozzio. Era il più antico tribunale di Atene, in origine con ampie attribuzioni ed incombenze, venne successivamente ridotto a tribunale per il solo giudizio di delitti di sangue.
Arianna Mitica figlia di Minosse re di Creta e di Pasifae. Innamoratasi di Teseo, giunto a Creta con altri giovinetti e fanciulle, e vittime destinate al Minotauro, dà all’eroe un filo per uscire dal labirinto dopo l’uccisione del mostro. Fugge con Teseo, giunge nell’isola di Nasso dove Teseo l’abbandona mentre dorme. Trovata da Dioniso diviene sua sposa.
Arria (Arria maggiore). Matrona, moglie del senatore Cecina Peto, quando questi , implicato in una congiura contro l’imperatore Claudio, fu condannato, ella si trafisse alla presenza del marito, porgendogli quindi il pugnale e pronunziando le famose parole: Paete, non dolet.
Aulide Antico porto greco nella Beozia, sul mare di Eubea. Secondo l’Iliade vi si raccolsero le navi greche per la spedizione di Troia. Nei pressi, era il santuario di Artemide, dove Agamennone sacrificò la figlia Ifigenia per propiziarsi il favore degli dei.
Beduilla (Baduila oppure Baduilla) Nome del Re dei Goti; fu soprannominato Totila (l’immortale) dai suoi fautori.
Bellerofonte Mitico eroe, figlio di Glauco e di Eurimeda. Lo accompagnava solitamente, nel mito, Pegaso, il cavallo alato, figlio di Posidone e di Medusa. Su Pegaso, Bellerofonte dovette combattere ed uccidere la Chimera, mostro con la testa di leone, il corpo di capra e la coda di drago che correva velocissima, vomitando fuoco e fiamme.
Bruzi Popolazione italica che nel IV secolo a.C. si stabilì nella punta meridionale dell’Italia, nell’attuale Calabria a cui diede il nome: Bruzio. I Bruzi, formarono una confederazione di varie città, che raggiunse grande potenza. In contrasto con i Romani al tempo della guerra di Pirro, furono battuti. La loro fine fu segnata dalla sconfitta di Annibale al quale si erano alleati.
Cleopatra (Cleopatra VII Filopatore) Figlia di Tolomeo XII, fu costretta a fuggire da Alessandria per l’ostilità dei ministri. Riuscì ad entrare nelle grazie di Cesare. Da questa relazione ebbe un figlio, chiamato, dagli Alessandrini, Cesarione; Dopo la morte di Cesare si avvicinò ad Antonio per farne strumento alle proprie ambizioni in opposizione a Roma. Nello scontro navale di Azio, contro Ottaviano, naufragò e visto vano ogni tentativo di trarre dalla sua il vincitore, si diede la morte facendosi mordere da un’aspide.
Coribanti Divinità minori nell’antica mitologia greca., di origine Frigia con il culto per Cibele. Furono ritenuti gli inventori delle danze orgiastiche, con musica frenetica di strumenti a fiato e di timpani, cui si attribuiva azione sanatrice contro i mali psichici e contro l’epilessia. Questa danza fu poi chiamata Dattila e da essa i Coribanti furono anche chiamati Dattili Idei, dal monte Ida, dove spesso la praticavano.
Egeo Mitico re di Atene, figlio di Pandione e di Pilia, fratello di Lico, Niso e Pallante. Da Etra ebbe un figlio, Teseo che visse con la madre, poi a 16 anni, dopo un viaggio molto avventuroso raggiunse Atene dove il padre Egeo conviveva con Medea. Questa dopo aver tentato di avvelenare Teseo fuggì. Egeo divise il trono di Atene con il figlio dal quale fu aiutato a debellare i Pallantidi: i 50 figli di Pallante che si erano ribellati. Quando poi, Teseo partì per Creta per liberare gli Ateniesi dal tributo di sangue al Minotauro, stabilì con il padre Egeo, che al ritorno, in segno di vittoria, avrebbe innalzato sulla nave una vela bianca. Ma poi, dopo l’impresa, rimasta la vela nera, per dimenticanza di Teseo, Egeo vedendo arrivare la nave con la vela nera e credendo il figlio morto, si gettò da una rupe nel mare che da lui prese il nome.
Elena Eroina della mitologia greca. Secondo l’Iliade sarebbe stata sorella di Castore e Polluce e figlia di Zeus. La madre Leda, secondo l’Odissea, Nemesi secondo Le Ciprie, Oceanina secondo Esiodo. Divenuta moglie di Menelao re di Sparta, fuggì con Paride provocando così la spedizione dei Greci contro Troia. Morto Paride, Elena sposò Deifobo, ucciso da Menelao nella distruzione di Troia; poi tornò in patria. Secondo Erodoto, invece, Elena e Paride sarebbero stati spinti da una tempesta in Egitto, dove il re Proteo li avrebbe trattenuti. Successivamente, viene raggiunta e riconosciuta da Menelao con cui riesce a partire, mentre i Dioscuri placano l’ira del re.
Erebo Nome, nella mitologia greca, delle oscure profondità sotterranee, nelle quali hanno sede i morti. Secondo la Teogonia esiodea, nasce con la Notte dal Caos originario. Dalla Notte e dall’Erebo nascono l’Etra e il Giorno.
Ettore Eroe troiano; il più valido difensore della città. Figlio di Priamo e di Ecuba, marito di Andromaca. Con l’aiuto di Ares e di Apollo riesce a vincere i Greci, finchè Achille è lontano dalla battaglia. Quando Achille tornato in campo, costringe i Troiani a rinchiudersi nella città, egli solo lo attende fuori di essa. Preso da un improvviso sgomento, fugge, girando per tre volte intorno alle mura, finchè ingannato da Atena, che gli appare sotto le spoglie di Deifobo e gli promette aiuto, accetta il combattimento ed è ucciso. Due volte prima di combattere e prima di morire chiede invano ad Achille che la propria salma sia resa ai Troiani; Achille, invece, ne fa scempio trascinandola più volte intorno alla tomba di Patroclo e solo alle preghiere del vecchio Priamo s’induce a restituirla. L’Iliade presenta Ettore con doti di grande umanità, privo di odio contro i nemici, generoso, tenero negli affetti familiari, con un rigido senso per il dovere ed una cura gelosa del proprio onore.
Eusino (o Eussino) Antico nome del Mar Nero. Secondo una tradizione, Eusino, avrebbe sostituito il nome primitivo dal significato “inospitale”, dopo il passaggio degli Argonauti. Anticamente sembra che il nome abbia avuto un adattamento etimologico, significante: oscuro, nero.
Flavio Paolino (Decius Theodorus Paolinus). Ultimo console (534) dell’Impero romano d’Occidente.
Frine Nome della famosa e bellissima cortigiana greca. Prassitele la ritrasse in due statue, una a Delfi, l’altra a Tespie, patria di Frine. Accusata, verso il 347 a.C., di aver costituito un’associazione per il culto di una nuova divinità, fu difesa da Iperide che, secondo la tradizione, avrebbe denudato il corpo di Frine (o lei stessa avrebbe compiuto l’atto), per commuovere i giudici, ottenendone così l’assoluzione.
Galli Nome dato dai Romani agli abitanti celti. Questi popoli, circa 60 al tempo di Cesare, si suddividevano in cantoni territoriali. Il regime politico, originariamente monarchico, cedette presto il posto ad una oligarchia di nobili e ad un ordinamento di tipo feudale. Accanto ai nobili, molto potente era la casta sacerdotale dei druidi. Diverse furono le guerre e le repressioni contro le rivolte, fatte dai Romani; con l’espugnazione di Alesia e la cattura di Vercingetorige, furono posti sotto il comando dei governatori, generalmente proconsoli. Il dominio romano poi si restrinse sempre di più: l’ultimo territorio fedele a Roma fu il regno di Siagrio sino a quando non fu conquistato da Clodoveo re dei Sali. Dal regno di Clodoveo, e dei suoi successori, che ricostituirono l’unità del paese, si può far cominciare la vita della nuova nazione: la Francia.
Gepidi Popolazione di stirpe gotica, stabilitasi dapprima alle foci della Vistola, quindi nella regione dei Carpazi. Nel IV secolo si sottomisero agli Unni, ma alla morte di Attila ridivennero liberi e occuparono la regione intorno al Tibisco. Nemici degli Ostrogoti, furono sconfitti nel 489 da Teodorico. Successivamente si trovarono di fronte i Longobardi. La morte, in battaglia, del re Cunimondo segnò la fine del regno dei Gepidi.
Giasone Mitico eroe greco, figlio di Esone re di Iolco e di Polifeme (Polimede), capo della spedizione degli Argonauti. Secondo la leggenda, il padre spodestato dal fratellastro Pelia, per salvare Giasone lo mandò presso il centauro Chirone dal quale fu allevato forte, ardito e generoso fino all’età di vent’anni.. Lo zio, Pelia, al suo ritorno, lo convinse a condurre a termine una difficilissima impresa: la riconquista del famoso Vello d’oro. Giasone senza misurare i vari pericoli ai quali si esponeva, e fatta costruire la nave Argo, che prese il nome dal suo costruttore, iniziò un viaggio pieno di insidie. Dovette combattere contro la furia della natura, contro i mostruosi tori sbuffanti fuoco dalle narici, contro giganti armati che irrompevano dal terreno. Fu aiutato da Medea che addormentò il terribile drago che era stato messo a guardia del Vello d’oro.
Giustiniano (Giustiniano I) Imperatore d’Oriente. Nipote dell’imperatore Giustino I, sposò Teodora, donna di infima condizione ma di grande bellezza ed intelligenza. Nell’agosto del 527 Giustino I moriva, e lui gli succedeva sul trono. Uomo di forte personalità, ed energicamente aiutato dalla moglie, in politica interna ed estera, si applicò ad attuare un programma di ristrutturazione imperiale che diede una salda struttura a tutto l’Impero. I primi passi furono rappresentati da riforme amministrative e fiscali, poi, da ordinamenti legislativi e dalla giurisprudenza romana. Il complesso di riforme, colpendo abusi, suscitò una reazione violenta che sfociò in rivolta: fu salvato dalle milizie di Belisario. Si dedicò, poi, a restaurare l’autorità imperiale in Occidente abbattendo il regno dei Vandali e riconducendo l’Africa settentrionale entro i confini dell’impero. Subito dopo fu intrappresa la guerra con i Goti che si erano riorganizzati sotto Totila. Fu Narsete, che invadendo l’Italia dalla Dalmazia, la riconquistò a Bisanzio. Giustiniano riconquistò poi la parte sud orientale della Spagna, mentre in Oriente subì gravi rovesci dovuti alle continue incursioni di Bulgari, Unni e Slavi. Nel complesso, si può dire che Giustiniano e Teodora intervennero in ogni campo dando impulso a tutta la vita dell’Impero.
Ida Antico nome di un monte (2460 m.) dell’isola di Creta, nel centro dell’isola.
Itaca Isola della Grecia, nelle isole Ionie, con coste ripide, molto frastagliate e piene di insenature. Fu l’antica patria di Ulisse.
Lemno Isola della Grecia nel mar Egeo settentrionale; collinosa, priva di vegetazione arborea e ricca di rocce eruttive. Per la sua natura vulcanica ebbe in epoca remota culti ctonii della Terra di Efesto e dei Cabiri..
Massinissa Re di Numidia, figlio del re Gaia, fu inviato dal padre nella Spagna in aiuto ai Cartaginesi, con i quali sconfiggeva (nel 211 a. C.) Publio Scipione. Successivamente veniva a sua volta sconfitto a Ilipa per opera del futuro Scipione Africano. Tornato in Africa per rivendicare il possesso del regno paterno, che gli era stato usurpato, dopo aspra lotta lo perdette ad opera di Siface. Si mise allora in relazione con i romani, che erano sbarcati in Africa, e con la propria cavalleria contribuì validamente alla sconfitta di Asdrubale e di Siface. Con la restituzione dei vastissimi territori, già possesso dei suoi avi, Massinissa ristabilì il dominio su tutta la regione. Nel paese così ingrandito e pacificato, promosse l’attività agricola e commerciale, diffuse, inoltre, la cultura della fiorente comunità fenicia.
Medea Figlia di Eete, re della Colchide, eroina e maga della mitologia greca. Invaghitasi di Giasone, lo aiutò nelle difficili imprese collegate al viaggio degli Argonauti e al recupero del Vello d’oro. E’ famosa anche per la sua scelleratezza e sua crudeltà: per vendicarsi, successivamente, dell’abbandono di Giasone, uccise, sotto i suoi occhi, i due figlioletti avuti da lui.
Menelao Eroe della leggenda greca, fratello di Agamennone, figlio di Atreo, re di Sparta. Sposò la bellissima Elena, figlia di Tindareo, e quando questa fu rapita da Paride e condotta a Troia, fu con tutti i Greci, venuti in suo soccorso per vendicarlo, all’assedio di Troia. Troia fu espugnata, ma Menelao, vinto dalla bellezza di Elena, non si vendicò dell’oltraggio subito, ma la ricondusse, attraverso molte avventure durate otto anni, a Sparta dove vissero ancora a lungo in pacifico regno.
Narsete Generale dell’Impero d’Oriente. Contribuì a domare una ribellione scoppiata a Costantinopoli contro Giustiniano, poi fu inviato in Italia, con un corpo di rinforzo, e insieme a sorvergliare Belisario nella guerra contro i Goti. Comandò la grande spedizione del 551 ancora contro i Goti: dalla Dalmazia, per terra, giunse a Ravenna, attaccò Totila a Tagina e lo battè. Sbaragliò, alle falde del monte Lattaro tre schiere di Goti guidati da Teia (553). Con la caduta di Conza e la distruzione di un esercito di Alemanni, la dominazione gotica, in Italia, era finita. Nominato patrizio, si occupò del riordinamento amministrativo d’Italia e della riparazione dei danni causati dalla guerra. Morì alla vigilia dell’invasione dei Longobardi, che una leggenda vorrebbe da lui chiamati in Italia, per vendicarsi del nuovo imperatore Giustino che l’avrebbe destituito.
Paride Nella mitologia greca, eroe di origine frigia, figlio di Priamo e di Ecuba, causa prima della guerra e della caduta di Troia. A causa di un sogno premonitore avuto durante la gravidanza di Ecuba, Priamo fece lasciare il piccolo Paride sul monte Ida, esposto al freddo e alle fiere. Raccolto da pastori, fu allevato da essi e chiamato Alessandro. Pastore coraggioso e sposo della ninfa Enone, a lui, già famoso per bellezza e saggezza, vennero le dee che si contendevano il primato della bellezza: Era, Atene, Afrodite. Tornato a Troia, per una gara in cui vinse i propri fratelli, fu riconosciuto dal padre e da Cassandra ed accolto lietamente nella reggia. Recatosi in seguito a Sparta, riuscì, con l’aiuto di Afrodite, a sedurre e a rapire la bella Elena con i suoi tesori. Durante la guerra di Troia, da ciò causata, Paride combattè come arciere. Nell’Iliade è presentato per lo più come effeminato e amante del canto e dell’amore, anche se talvolta autore di virili imprese. La sua azione più importante (Iliade) è il duello con Menelao. Con una freccia, diretta da Apollo, Paride riesce ad uccidere Achille colpendolo nell’unico punto vulnerabile; muore egli stesso colpito da una freccia avvelenata di Filottete.
Penelope Figlia di Icario e di Peribèa, moglie fedele di Ulisse. Durante la ventennale assenza di lui seppe opporre una ferma e saggia resistenza alle insistenze dei Proci, i quali pretendevano ch’ella scegliesse uno di loro come marito e come successore al trono rimasto vacante per la presunta morte di Ulisse. Lei prese tempo, dichiarando che, prima di passare a nuove nozze, avrebbe dovuto ultimare di tessere la famosa tela per il lenzuolo funebre che avrebbe avvolto il suocero Laerte, quando fosse giunto a morte. Ma ogni notte, disfaceva la parte di tela ordito durante il giorno. Scoperto l’inganno, i Proci si insediarono nella reggia a banchettare e consumare le rendite sue e del figlio Telemaco, al quale tesero un agguato mortale, sventato da Minerva. Ulisse, finalmente tornato ad Itaca, li sterminò, aiutato dal figlio, dai pochi servi rimasti fedeli e dall’inseparabile Minerva. Non senza difficoltà, riuscì a farsi riconoscere dalla moglie, descrivendo minutamente il letto nuziale, che egli stesso aveva, di propria mano, costruito. Vissero a lungo insieme.
Priamo Personaggio della mitologia classica, ultimo re di Troia. Da giovane prese parte alla spedizione dei Frigi contro le Amazzoni. Ebbe in tutto circa cinquanta figli, diciannove dalla moglie Ecuba. Re giusto e mite tanto da apparire talvolta debole, non ha nella vicenda dell’Iliade molta importanza, sebbene sia protagonista di alcune delle scene più ispirate, come quella nella quale, dopo la morte di Ettore, suo primogenito, egli si reca solo alla tenda di Achille per recuperarne il cadavere, e ha con l’eroe un drammatico colloquio.
Scipione (Publio Cornelio Africano) Generale e uomo politico romano, console (218), partecipò alla battaglia del Ticino, dove salvò la vita al padre (Cornelio Scipione). Conquistò la piazza forte di Chartago Nova difesa da Magone, rilasciando gli ostaggi spagnoli tenutivi dai Cartaginesi, accattivandosi così le simpatie degli indigeni. Sconfisse Asdrubale a Becula, le forze cartaginesi in Spagna (Ilipa); conquistò Cadice sgombrando definitivamente la Spagna dalle forze cartaginesi. Eletto console, ebbe la provincia di Sicilia. Salpò per l’Africa, sbarcando nei pressi di Utica. Pose l’assedio ai cartaginesi, aiutato da Massinissa, re dei Numidi. Condusse un’abile politica dilazionatrice con i cartaginesi attraverso Siface, poi sferrò un improvviso e massiccio attacco contro i Cartaginesi e i Numidi di Siface nei Campi Magni nei pressi di Utica. Rientrato a Roma, censore nel 199; rieletto console ebbe l’Italia settentrionale per reprimere i Liguri e i Galli. Fu la mente direttiva, e a lui se ne attribuisce il merito e la preparazione della guerra contro la Siria. Le affermazioni di prestigio di Scipione, indussero gli avversari capeggiati da Catone a muovere contro di lui una politica che va sotto il nome di “processi degli Scipioni”. Morì nel 183 nel ritiro di Literno, dove fu sepolto.
Tagina (Taginae) Antica città umbra, nei pressi dell’odierna Gualdo Tadino. Ne prende nome la battaglia del luglio del 552 tra i Greci di Narsete e i Goti di Totila, svoltasi propriamente nella vicina località dei Busta Gallorum. A Tagina, Totila fu sconfitto ed ucciso.
Tartaro Nella tradizione letteraria greca e latina, è il luogo dove Zeus relegò i Titani vinti. Nell’Iliade il Tartaro è nettamente distinto dagli Inferi (Ade) sede dei morti; gli abitanti del Tartaro, non sono i morti umani, bensì esseri mitici mostruosi. Nei secoli, la precisa distinzione tra Tartaro ed Inferi è andata confondendosi, tanto che i due nomi possono indicare indifferentemente, l’aldilà sotterraneo.
Teia Re dei Goti (Ostrogoti). Eletto re a Pavia, dall’esercito, dopo la morte di Totila (552). L’anno successivo dovette accorrere verso Cuma, assalita dal generale bizantino Narsete. Si combattè accanitamente alle falde del monte Lattaro (Vesuvio) per due giorni, finchè Teia cadde ucciso; i suoi, scampati alla strage, si dispersero, tranne un gruppo che qualche tempo dopo, cercò di riprendere la lotta.
Telamonio Aiace, detto Telamonio.Eroe greco; secondo l’Iliade il più valoroso dopo Achille. Scontratosi in duello con Ettore, combattè valorosamente con lui per una intera giornata, e quando entrambi cessarono lo scontro, a testimonianza della vicendevole ammirazione l’uno per l’altro, si scambiarono doni, che però dovevano riuscire funesti ad entrambi. Infatti il balteo donato ad Ettore, doveva servire ad Achille per attaccare al proprio carro il cadavere dell’eroe troiano, per tre giorni trascinato, a ludibrio, nella polvere intorno le mura di Troia; e la spada donata ad Aiace, doveva più tardi servirgli per togliersi la vita. Aiace, accecato da Atena, in una notte fa strage di greggi nel campo greco, credendo di far vendetta su Ulisse e gli Achei. Tornato in sé, per la vergogna dell’errore commesso con la spada, donata da Ettore, si trafigge uccidendosi.
Teodorico Re degli Ostrogoti. Inviato a giovanissima età a Costantinopoli, ebbe modo di istruirsi e conoscere il popolo romano. Prese parte alle guerre dell’Impero e fu insignito, da Zenone, del titolo di patrizio. Venne in Italia (488), sconfisse i Gepidi, prima all’Ulca, poi all’Isonzo e a Verona. Battuto Odoacre, un’altra volta, sull’Adda, si portò ad assediare Ravenna. Divenuto padrone d’Italia, Teodorico non ottenne il riconoscimento dall’imperatore, con il quale venne ad un accordo: mantenne l’antico ordinamento romano, concedendo ai Romani quasi tutte le cariche civili; i barbari avevano invece tuti gli uffici militari. In quanto alla giustizia, il popolo romano era giudicato dai cognitores, mentre i Goti erano giudicati dai capi militari. Durante il suo attivo governo, si ebbe la rifioritura dell’agricoltura, in conseguenza delle bonifiche compiute, ma la pesante tassazione, deprimeva soprattutto il commercio. Fu dato incremento all’edilizia e al restauro. Con il passare del tempo, per la sua imposta superiorità, si deteriorarono le relazioni con i Burgundi, con i Vandali, venne attaccato dai Franchi che avevano attaccato i Visigoti di Spagna. In occasione della doppia elezione papale intervenne attivamente nella questione tra Lorenzo e Simmaco. Quando avvenne la riconciliazione tra la chiesa romana e quella greca, la posizione di Teodorico divenne difficile e si crearono divisioni e ostilità contro di lui. Sono attribuite a Teodorico due manoscritti che comprendevano un insieme di leggi, di norme, di osservanze che, vincolavano i Goti ed i Romani : “Editto di Teodorico”.
Teseo Mitico re dell’Attica, figlio di Egeo re di Atene e di Etra. Sedicenne, per raggiungere la città paterna, compie le prime imprese eroiche liberando la strada da mostri e ladroni. Da Atene parte per affrontare il toro maratonio, inviato da Posidone a devastare i campi e ne esce vincitore. Partito per Creta, con altri giovanetti ateniesi, quale tributo annuo per il Minotauro, si fa rinchiudere nel Labirinto. Arianna, figlia di Minosse, gli procura il filo seguendo il quale Teseo ritrova l’uscita, dopo aver ucciso il mostro. Nell’isola di Nasso, abbandona Arianna che era partita con lui. All’arrivo in Atene dimentica di mutare in bianche, le vele nere della partenza, segnale convenuto con il padre, per indicare il successo dell’impresa. Il padre Egeo, vedendo da lontano la nave e credendo morto il figlio, si getta da una rupe nel mare uccidendosi. La personalità mitica di Teseo sembra risalire all’età micenea, ed è forse in origine quella di una divinità solare. Teseo muore, precipitato da una rupe da Licomede, re di Sciro.
Totila Re dei Goti; di nome Baduila, fu chiamato Totila (l’immortale) dai suoi fautori. Venuto a combattimento con i Greci, li vinse dapprima a Faenza e poi nel Mugello; s’impadronì di Cesena, Urbino, Montefeltro nell’Italia centrale e occupò Benevento e Cuma; Napoli capitolò per fame; Totila riuscì a catturare due flotte greche. A due anni dalla sua ascesa al trono, poteva considerarsi padrone d’Italia, dove cercò di propiziarsi la simpatia del popolo governando con moderazione. L’imperatore d’Oriente inviò allora Belisario, ma Totila con forze superiori s’impadronì di nuovi centri nelle Marche e nell’Umbria, occupando perfino Roma. In seguito Totila, caduta ogni possibilità di accordi con Giustiniano, conquistò la Sicilia, la Sardegna e la Corsica. Ma scontrandosi con Narsete ai Busta Gallorum presso Tagina (Gualdo Tadino) nel luglio del 552 fu sconfitto e morì nella fuga.
Ulisse (Odisseo) Eroe greco, re di Itaca e di Dulichio; figlio di Laerte e di Anticlea, marito di Penelope e padre di Telemaco, loro figlio; padre anche di Telegono, avuto da Circe. Nell’Iliade è il fedele collaboratore di Agamennone e degli altri eroi, guerriero prode quanto sagace e scaltro. Nell’Odissea, della quale è il protagonista, appare animato da sincera nostalgia della patria e della famiglia, a escogitare vie di scampo per sé e per i suoi, protetto e guidato dalla dea Atena, nelle sue avventure attraverso popoli e mostri: i Ciconi, i Lotofagi, il Ciclope Polifemo, Eolo, i Lestrigoni, la maga Circe, i Cimmeri, le ombre dell’Ade, le Sirene, Scilla e Cariddi, Calipso, i Feaci. Tornato ad Itaca, con l’aiuto del figlio Telemaco, uccide i Proci, pretendenti della fedele moglie Penelope. I poemi ciclici, arricchirono di nuovi episodi la partecipazione dell’eroe alla guerra troiana: la contesa con Palamede, quella con Aiace per le armi di Achille, la parte avuta per ricondurre Filottete da Lemno nel campo greco, la cattura di Eleno, il rapimento di Palladio, l’impresa del cavallo troiano. Così avvenne che si accentuò il motivo della sagacia di Ulisse, fino a farla diventare astuzia e fraudolenza. In Pindaro, in Sofocle, in Euripide si nota alcune volte una certa avversione contro Ulisse; i filosofi invece, specialmente gli stoici, lo considerarono come il tipo del saggio, i politici come quello del capo e dell’uomo d’azione.