E avrà i tuoi occhi

di Michelangelo Bellani

© 2013. Tutti i diritti sono riservati

 

 

«Verrà la morte e avrà i tuoi occhi».

Cesare Pavese

 

a Gianluca 

 

 

PERSONAGGI

Isacco

Abramo
Sara

 

I personaggi sono realistici, ma non reali.

Le situazioni sono reali, ma non realistiche.
Le didascalie andrebbero dette anziché rappresentate.
Le luci andrebbero considerate come dei personaggi.

 

1.

 

Entra Abramo. Ha due buste della spesa.

ABRAMO — Eccomi.

Silenzio. Una LUCE D’INTERNO BLU illumina una poltrona. Abramo va a sedersi. Cerca nelle buste. Trova una confezione di prosciutto cotto sottovuoto, la apre. Comincia a mangiare. Si lecca le dita. Torna a rovistare in una busta, prende una confezione di plumcake, la apre. Ne mangia un paio. Si lecca le dita.

Si accende una LUCE D’INTERNO VIOLA. Sara guarda la foto di Isacco. Si accende una LUCE DIFFUSA D’APPARTAMENTO. Si spengono le altre luci. Sara, si avvicina ad Abramo. Tiene in mano un paio di pantofole. Le poggia a terra accanto alla poltrona poi si discosta.

ABRAMO — Grazie amore. (Slaccia le scarpe, se le toglie e infila le pantofole)

SARA — Hai fatto spesa.
ABRAMO — Sì.
SARA — Il frigorifero era già pieno.
ABRAMO — Non si sa mai.
SARA — Perché mangi quelle schifezze prima di pranzo?
ABRAMO — Credevo non ci fossi.
SARA — Che cambia? Se una cosa non è giusta, non va fatta. A prescindere se c’è o non c’è qualcuno che controlla.
ABRAMO — Senza di te, sarei un uomo molto peggiore.
SARA — No. Non saresti diverso.
ABRAMO — Il mese prossimo terrò la mia ultima lezione. Ci sarà una cerimonia. In aula magna. Il rettore mi consegnerà un riconoscimento. Mi accompagnerai?
SARA — L’ho sempre fatto. Lo farò anche stavolta.
ABRAMO — Mi rendi felice. (Pausa) Dici che ho fatto bene ad andare in pensione? Magari potevo aspettare ancora un anno…
SARA — Che ti rimaneva da fare ancora? Almeno lascerai il posto a qualche giovane precario che ha più bisogno di te di… di un posto di lavoro.
ABRAMO — Magari avrei potuto scrivere quell’ultimo libro prima di andarmene…
SARA — L’ennesimo libro che compra solo uno dei tuoi studenti e poi fotocopia per tutti gli altri?
ABRAMO — Per carità, hai ragione! Devo scappare subito da quel postaccio maledetto! Non li sopporto più. Non sopporto più niente di quello che faccio tutti i giorni. È tutto una finzione, capisci? Gli esami, gli studenti, i libri… non serve più niente di quello che so fare.
SARA — E che sai fare?
ABRAMO — La verità è che non serve più nessuno. Tutto va avanti anche senza… anche senza di me.  

Si spegne la LUCE DIFFUSA D’APPARTAMENTO. Si accendono la LUCE D’INTERNO BLU e la LUCE D’INTERNO VIOLA. Sara osserva la fotografia di Isacco.

Anche gli avversari. Non ci minacciano più se non della loro scomparsa… Sai che facciamo, appena ho finito gli esami? Ce ne andiamo in vacanza da qualche parte… eh, ti va amore? Ti porto, che ne so… alle Canarie? Ti porto alle Canarie, ti va? (Silenzio) Ma dove stai?

SARA — Qui.
ABRAMO — Che fai?
SARA — Guardo la sua foto.
ABRAMO — (in collera) Quante volte ti ho detto che non la devi guardare? Dobbiamo dimenticarcelo. Non ti ricordi cosa abbiamo deciso? Dobbiamo fare finta che non esista… dobbiamo far finta che… non esiste.
SARA — Come faccio a fare finta che non esiste? È mio figlio. 

Silenzio.

ABRAMO — Pranziamo? 

La LUCE BLU e la LUCE VIOLA si spengono. Cresce un ritmo di percussioni ritmate, ossessive. 

 

2.

 

BAGLIORI NOTTURNI DI STRADA. Isacco ride chiassosamente. Barcolla. Rischia di perdere l’equilibrio a ogni passo. Il suo movimento è come miele liquido che si depone a terra e avanza. E avanza.

ISACCO — Che cazzo vuoi da me? Dai dammela… ti prego… Ti ho detto che ti pago. Te li ho sempre portati i soldi, che cazzo vuoi? Sei proprio un figlio di puttana… rotto in culo… Ti scopo tua madre, merda… sei una merda… (Ride, ride e barcolla) Grazie fratello… Sei un gran pezzo di merda! No! Non ti ci faccio entrare nel mio culo. Brutto frocio di merda! Ha le ali per volare?… No, non ha le ali per volare il tuo cazzetto da comodino e quindi non ci entrerà nel mio buco del culo! Ti porto i soldi… Entro domani… Sì, entro domani. Non mi rompere il cazzo adesso… Lasciami in pace… Lasciatemi solo… (Ride) Non mi rompete i coglioni tutti… Tossici merdosi… mi fate schifo tutti quanti… (Ride) Anche io mi faccio schifo… Sono un pezzo di merda… Un meraviglioso, stupefacente, (ride) gigantesco pezzo di merda… Mi sono fatto da solo… (Ride) Anche io mi sono fatto da solo…

Si accascia a terra. Scalda su un cucchiaio una dose di eroina. Carica la siringa. Se la mette fra le labbra. Si lega il laccio emostatico sul braccio e poi s’inietta la dose.

 

 

3.

 

BAGLIORI D’INTERNO DI UN TELEVISORE ACCESO di cui non è visibile lo schermo.
Si accende una LUCE D’INTERNO BLU. Abramo è addormentato sulla poltrona.
Si accende una LUCE GIALLA DA INTERNO DI CUCINA. Sara è impegnata in un qualche lavoro domestico come asciugare le stoviglie. Ma sembra assente.
Dall’audio del televisore i servizi di un telegiornale. Audio del servizio: “Stati Uniti. Una bambina è nata con il cuore fuori dal corpo. È nata cinque settimane fa con una rarissima e generalmente letale malformazione: aveva il cuore che usciva fuori dal corpo. Ma la piccola Audrina, dopo un intervento da record al Texas Children Hospital di Houston, dovrebbe farcela. La prognosi dei medici guidati dal professor Charles Rogers è favorevole.
L’intervento a cuore aperto è durato sei ore: è stata creata una cavità nel petto della piccola per spingere dentro il cuore che poi è stato ricoperto con la pelle tirata dal resto del corpo. Si tratta di un’operazione particolarmente rischiosa per la fragilità dei neonati, molto vulnerabili anche rispetto alle infezioni esterne. La percentuale di morte in questi casi è al 90%. Audrina dovrà essere nuovamente operata per proteggere il cuore con dei pettorali che in condizioni normali si sviluppano naturalmente e anche per correggere piccoli difetti all’organo vitale. La bimba ora è in cura intensiva, ma viene alimentata normalmente.”
A Sara cade qualcosa dalle mani. Si china a raccogliere i pezzi.
Audio dello speaker: “E ora cambiamo decisamente argomento”. Segue un servizio di gossip: tipo la fine della storia fra il calciatore Mario Balotelli e la modella belga Fanny raccontata dalla rivista “Vanity Fair”; oppure tipo l’ultima opera di un artista svizzero dal titolo The Script System che consiste in una modella completamente nuda che prende il tram insieme ai pendolari di Düsseldorf. Segue uno spot pubblicitario di un medicinale a base di diclofenac che può avere effetti indesiderati.
Abramo ha dei movimenti scattosi. Sogna. Nel sogno biascica parole, frasi più o meno sconnesse, a tratti dei lamenti sonori. Sara, a un certo punto, si sovrappone.

ABRAMO — No! Aiuto! Ah! Colui che vi parla è… Vieni qui ragazzo, padre mio! Bù, bù, un vecchio bubbù… Ah… Papà dov’è l’agnello per il sacrificio? Cazz…! Dio provvederà… cazz… Sst… zitto! Zitto! Non parlare… Figlio. Padre mio… pluf… pluf… Come chicchi di miglio… in questa finta madia… (Silenzio) Finisce e non comincia… Una tragedia! Ahhh ahhh… (Ride) Ci dovrete fare l’orecchio… Fino al momento in cui riapparirà… Un vecchio bubbù… In principio era… Solo dopo è venuto il silenzio… (Lunga pausa) Porco… maiale… Ah! No! No! (Delirando, con aggressività) Vaffanculo! Stronzo! Ti spacco la faccia! Io ti rovino, hai capito? Che ci sei venuto a fare? Hai capito? (Pausa) Nessuno! Nessuno lo sa… Ahh… Pezzo di merda! (Lunga pausa) Ah, sì, un bel culo! Il buco… di culo! (Ridacchia) La fica! La nottola! A tuttotondo… Sì l’ho detto, l’ho detto! Per i pochi lettori di poesia… Che bel culo a cielo aperto… Eccomi! Voglio sodomizzarti… la famiglia allargata! (Agitandosi fino a gridare) La fica allargata! stronza! porca… No! Perché no? Vorrei incularti… Un pezzo di cazzo da miniera… culo aperto… Ah! Perché no? Perché no? Ahh… Che cazzo ci vieni a fare qui? Vattene!

SARA — (sovrapponendosi) Abramo! Svegliati! Basta! Basta! Smettila!

Si accende una LUCE DIFFUSA D’APPARTAMENTO.

Si spengono la LUCE GIALLA e la LUCE BLU. Abramo si sveglia di colpo. Ha il respiro affannoso.

ABRAMO — Dov’è, è stato qui?

Sara non risponde. 

Dimmelo perdio, non mi nascondere le cose!

SARA — No! (Pausa) Non c’è nessuno. Sognavi qualcosa di brutto. Parlavi. Gridavi.
ABRAMO — O santo cielo! E cos’ho detto?
SARA — Non ti ho mai sentito pronunciare certe parole.
ABRAMO — Dev’essere la cipolla. Non digerisco più come una volta. (Pausa) Ti amo lo sai?  

Si spegne la LUCE DIFFUSA D’APPARTAMENTO.

 

 

4.

 

Un posto affollato. All’aperto. LUCE DIURNA. Isacco recita Bertolt Brecht e chiede l’elemosina. Barcolla. Incespica nei movimenti e nelle parole.

ISACCO — “Sono cresciuto in campagna, figlio di genitori contadini: gente semplice, che sa tutto della coltivazione dell’ulivo, ma del resto ben poco istruita. Quando osservo le fasi di Venere ho sempre loro dinanzi agli occhi…” Dammi 1 euro, 1 euro e 50 almeno… Dài per favore… Puttana! Bruciaci, dentro il tuo cappottino di merda! “… Li vedo seduti insieme sulla pietra del focolare, mentre consumano il loro magro pasto. Sopra le loro teste stanno le travi del soffitto, annerite dal fumo dei secoli, e le loro mani rovinate dal lavoro reggono un coltelluccio…” Un coltelluccio! (Sorride) Scusa… per favore dammi 1 euro e 50, 2… Mi hanno rubato il portafoglio, la mia ragazza sta per partorire… devo prendere il treno per tornare a casa… qualche spiccio, dài… Una sigaretta… Dammi una sigaretta almeno, ce l’hai una sigaretta? Stronzo! Manco una sigaretta! Vaffanculo! Avrai leccato il cazzo a qualcuno per fare carriera, si vede da come cammini! Io ce l’ho una sigaretta… (Cerca nelle tasche e poi si accende una sigaretta con le mani che tremano. Recita Brecht) “Certo, non vivono bene ma nella loro miseria esiste una sorta di ordine, delle scadenze: il pavimento della casa da lavare, le stagioni che variano nell’uliveto, le decime da pagare… La schiena di mio padre non s’è incurvata tutta in una volta. Ma un poco di più ogni primavera: allo stesso modo i parti, facevamo di mia madre una creatura senza sesso. Da dove traggono la forza per la loro esistenza?…” La loro esistenza di merda… Per favore qualche euro… mi hanno rubato la borsa… devo prendere il treno per tornare a casa… (Pausa. Cade a terra) “Per salire i sentieri petrosi con le gerle colme sul dorso, per far figli, per mangiare?” (Pausa) Hai mai sgravato tu? Che cazzo ne sai tu, piccolo segaiolo! Io sono un attore! Ho recitato in qualche buon teatro… è Brecht… Bertolt! Conosci Brecht Bertolt, tu? Me li merito 2 dei tuoi miserabili euro… (Prova a rialzarsi e cade due o tre volte, poi resta in piedi con un equilibrio precario e declama alzando la voce) “Si sono sentiti dire che l’occhio di Dio è su di loro, che intorno a loro è stato costruito il gran teatro del mondo perché vi facciano buona prova recitando la grande o piccola parte che gli è assegnata…” (Silenzio) “… Come la prenderebbero ora, se gli spiegassi che vivono in un frammento di roccia che rotola ininterrottamente attraverso lo spazio vuoto?” (Silenzio) “Il sudore, la pazienza, la fame, l’oppressione, a che potrebbe ancora servire se scoprissero che è piena di errori? No: vedo il loro coltelluccio cadere sulla pietra del focolare… e i loro occhi riempirsi di sgomento… dunque… direbbero, non c’è nessun occhio sopra di noi? Non ci è stata assegnata altra parte che vivere così da miserabili? Dunque la nostra miseria non ha alcun senso, la fame non è una prova di forza, è semplicemente non aver mangiato?” (Cade a terra) Dài, dammi 5 euro… 10 euro… Ho perso… Devo prendere il treno per tornare a casa, la mia fidanzata sta per partorire… No. Non è vero. Ti dico la verità… Sono un tossico, devo dare i soldi allo spacciatore per la dose… sennò mi spaccano una gamba… entro oggi mi servono 50 euro. Più altri 25.

 

 

5.

 

Una LUCE D’INTERNO GHIACCIO colpisce un punto casuale dello spazio. Sara, in controluce, è inginocchiata a strofinare il pavimento. Entra Isacco.

ISACCO — Perché continui a umiliarti in questo modo?

Sara si alza in piedi si passa le mani sui vestiti come per asciugarle. Fissa il figlio immobile davanti a lei. 

SARA — Hai fame, ti do qualcosa da mangiare?

ISACCO — Perché continui a fare tutte queste cazzate, eh, me lo sai dire perché?
SARA — Ho fatto le polpette che ti piacciono tanto…
ISACCO — No mamma, non ho fame.
SARA — Le ho fatte per te…
ISACCO — Mamma, che cazzo dici? Che cazzo dici? Io… non vivo qui. Non mi devi considerare. Non torno a mangiare. Non torno a dormire… Io non ci vivo in questa casa di merda, lo vuoi capire o no? È inutile che continui a pulire, lucidare, cucinare… Se vuoi fare tutte queste cazzate, falle, ma non dire che sono per me! Non dire che sono per me tutte le stronzate che fai!
SARA — Questa è casa tua… tu…
ISACCO — No, non è casa mia, io non ci vivo qui. Non ci voglio vivere. Non ho mai voluto un cazzo di niente di ciò che sta qua dentro, lo capisci? Lo devi capire!
SARA — Ma dove passi le notti, dove mangi? Non so niente di te… della vita che fai…
ISACCO — Della vita che faccio? Vuoi sapere davvero la vita che faccio?
SARA — Guarda, sei tutto sporco… Fatti un bagno caldo almeno… In camera tua hai ancora tutti i tuoi vestiti. Sono puliti e stirati…
ISACCO — Tu sei matta! Non me ne frega un cazzo del bagno, dei vestiti puliti… Tu non vuoi capire. Io vivo in mezzo al piscio e alla merda. Al piscio e alla merda… E preferisco affogarci nel piscio e nella merda piuttosto che vivere come voi… Preferisco lavarmi nelle latrine della stazione che vivere al tuo posto mamma… Sì cara mamma, fedele e onesta fino a morirne… Ma non vedi che sei morta? Che sei già morta e fai morire tutto quello che ti sta intorno? (Silenzio) Scusa… non volevo ferirti… Mi… Non volevo… non volevo… Ma tu non puoi far finta… scusa… Mi servono solo un po’ di soldi e me ne vado subito… Mi bastano 50 euro…
SARA — Non ce li ho i soldi.
ISACCO — Mamma, solo 50 euro…
SARA — Non ce li ho i soldi. Tuo padre a causa tua non me li lascia tenere in casa.
ISACCO — Dài mamma perdio, lo so che ce li hai da qualche parte. Non mi prendere per il culo con la storia di papà…
SARA — Non ce li ho. Tuo padre controlla tutte le mattine, prima di uscire.
ISACCO — Non dire cazzate… lo so che quando ti pare sei più furba di papà. Dimmi dove ce li hai…
SARA — Non ce li ho i soldi. 

Isacco si avvicina a Sara.

ISACCO — Mamma ne ho bisogno…

SARA — Non ce li ho.
ISACCO — Mamma dammi quei cazzo di soldi… Ce li hai addosso, lo so. È l’unico posto dove non controllerebbe mai papà…
SARA — Non posso… Non voglio darteli… 

Isacco cerca di afferrare per un braccio la madre. Sara si divincola. Isacco afferra nuovamente il braccio. Sara si divincola. Isacco afferra il braccio e lo stringe più forte. Sara non riesce a liberarsi.

ISACCO — Mamma… non mi costringere…

SARA — No… ma che fai?
ISACCO — Mamma ti ho detto che mi servono… mi servono…
SARA — No… non posso… non voglio…
ISACCO — Dammi quei cazzo di soldi!
SARA — Io non te li posso dare…
ISACCO — Mi servono… mi servono!
SARA — Fermati qui… Rimani qui…
ISACCO — No!  

Isacco picchia la madre. Sara finisce a terra. Piange le lacrime dei nervi e della disperazione. Isacco trova i soldi, li prende e fugge via.

SARA — Rimani qui con me…

Entra Abramo con delle buste della spesa. Si accende una LUCE DIFFUSA D’APPARTAMENTO.

ABRAMO — Eccomi!

Si accorge di Sara piegata a terra. Lascia cadere le buste. Va verso di lei. Le arance rotolano sul pavimento.

È stato lui?

Sara non risponde. 

È stato lui, è stato qui? (Prende il telefono. Compone il numero) Stavolta non la passa liscia… Io lo denuncio… Lo faccio sbattere in galera. Pronto? Pronto… Mi sente?… Sì io la sento… Aspetti che mi sposto… Ecco… mi sente ora?… Sì… vorrei il commissario, sono il professor…

Sara si scaraventa addosso ad Abramo. Il telefono cade a terra. 

SARA — Che stai facendo… vuoi denunciare tuo figlio? Che padre sei?

ABRAMO — Non può passarla sempre liscia…
SARA — Che padre sei? (Gridando) Che padre sei? 

 

 

6.

 

BAGLIORI NOTTURNI DI STRADA. Nei pressi di un parco con il cancello rotto. Isacco è stravolto e tremante. Si muove lentamente, come un attore in una partitura di segmentazione del corpo.

ISACCO — È miele liquido che si depone e avanza. Essere per questa stanza mi fa morire. Vocativo! Vocativo… Mi appello a te che non sei tutti noi in una sola volta. Non c’è ombra o sole che non tremi se sta fermo. Isacco. Sono io. La fede è la punizione suprema di un uomo. In ogni generazione molti non ci si avvicinano neanche. Ma nessuno va oltre… Yellow bird… Come uccelli gialli, viviamo… Come uccelli gialli in un giallo dipinto…

 

 

7.

Si accende una LUCE D’INTERNO BLU. Abramo è seduto sulla poltrona.

ABRAMO — E il giudizio di Dio è terrificante in sé, ma il giudizio di Dio senza Dio…

Si accende una LUCE DIFFUSA D’APPARTAMENTO. Abramo si alza e si sistema la cravatta come fosse davanti allo specchio. Sara, in un angolo con il soprabito indosso e la borsa tra le mani, è pronta per uscire.  

Che dici, metto un’altra cravatta?

SARA — Sì.
ABRAMO — E se non la mettessi affatto?
SARA — Hai portato la cravatta per trent’anni, perché dovresti toglierla proprio all’ultima lezione?
ABRAMO — Non credo che ci farebbero caso.
SARA — Non è per gli altri. È per te.
ABRAMO — Allora metterò quella kaki. Sì, il giorno dell’addio con la cravatta color kaki! (Esce)
SARA — Abramo, dove sei? Dove sei? 

Abramo rientra.

ABRAMO — Eccomi! (Si fa il nodo alla nuova cravatta) Che fai lì in un cantuccio? Vieni a darmi una mano…

SARA — Abramo…
ABRAMO — Che c’è, amore mio?
SARA — Ho paura.
ABRAMO — Paura di cosa?
SARA — Non so… della mia vita… Credo di far del male a chiunque mi si avvicini…
ABRAMO — Ma che dici, tesoro?! Senza di te, io sarei perduto…
SARA — È della mia vita che parlo…
ABRAMO — Vedrai, vedrai tutto andrà bene… (Completa il nodo) Voilà!
SARA — Sei sicuro che vuoi che ti accompagni? Forse è meglio se rimango a casa…

Abramo si avvicina e l’abbraccia con tenerezza. 

ABRAMO — Tu sei sempre stata al mio fianco. Io ho sempre voluto che ci fossi. Voglio che tu resti con me fino alla fine.

SARA — Mi vuoi bene?
ABRAMO — Ti amo. Come il primo giorno. Come quando ti portavo a mangiare i bomboloni… (Pausa) Dobbiamo andare adesso, o faremo tardi. Non posso arrivare tardi alla mia ultima lezione. Dopo trent’anni di puntualità svizzera, non posso tardare proprio l’ultima volta…
SARA — Mancano ancora tre ore…
ABRAMO — Andiamo… prima voglio portarti in un posto… 

Battono dei colpi alla porta. La voce di Isacco urla dall’esterno.

ISACCO — Aiuto!


Abramo si blocca. Sara avanza.

ABRAMO — Sta’ ferma!

ISACCO — Aprite! Vi prego…  

Sara avanza.

ABRAMO — Non ti muovere.

ISACCO — Aprite la porta…  

Sara avanza.

Vi prego…

ABRAMO — Non lo fare!
ISACCO — Avete cambiato la chiave della serratura… figli di puttana! Vi prego, lasciatemi entrare… 

Sara avanza. Apre. Isacco entra. Cade a terra.

Vi prego aiutatemi… Aiutatemi a rimanere qui…

SARA — Tesoro mio… Ti aiutiamo… non aver paura…
ISACCO — Legatemi. Dovete legarmi. Legatemi al mio letto, che io non possa liberami…
SARA — Che vuol dire legarti?
ISACCO — (gridando) Dovete legarmi! Legatemi! (Pausa) Legatemi…
ABRAMO — Perché vieni in casa mia? Cosa vuoi ancora da noi? Lasciaci in pace! Ci devi lasciare in pace!
ISACCO — Eh no, padre! Tu devi essere reale… non puoi fingere, come la notte che tutto traveste di nero… e invece tutto è diverso… Adesso non puoi fingere. Ti chiedo di legarmi padre. Come la storia di Isacco… Te la ricordi… come ti ascoltavo? Che sciocchezza papà! Come si fa a chiamare un bambino Isacco quando il padre si chiama Abramo… (Sorride con gli occhi all’indietro) Che nome stupido mi avete messo… e anche tu mamma, non hai detto niente, non hai protestato? (Silenzio) Papà legami ti prego… non fingere stavolta di non sentire… che ho bisogno delle tue mani…

Si spegne la LUCE DIFFUSA D’APPARTAMENTO. Si accende una LUCE D’INTERNO BLU.

SARA — Abramo!

ABRAMO — Eccomi. 

Isacco prende da una tasca una siringa e una dose d’eroina. Le tiene sul palmo della mano destra. Allunga il braccio verso Abramo.

ISACCO — Prendi… questa è la dose con cui mi dovrei fare adesso… la affido a te, papà… prendila tu…

ABRAMO — Che ci devo fare?
ISACCO — Tienila il più possibile lontano da tuo figlio. 

Abramo prende la siringa e la dose dalle mani di Isacco.

 

8.

 

Si spegne la LUCE D’INTERNO BLU. Si accende una LUCE DIFFUSA D’APPARTAMENTO. Sara aiuta Isacco a distendersi sul letto. Abramo è dietro di lui. Isacco guarda il padre. Abramo, con una corda, gli lega i polsi alla spalliera del letto. Lungo silenzio. 

ABRAMO — Ti… stringe troppo?

ISACCO — Fa’ in modo che non riesca a slegarmi.  

Abramo finisce di legare il secondo polso.

Adesso lega anche i piedi.

ABRAMO — Anche i piedi… ma che bisogno c’è? 

Isacco inizia a scalciare e grida.

ISACCO — Legami anche i piedi! Anche i piedi!

Abramo si volta verso Sara. 

SARA — Fa’ come ti dice.

Sara non trattiene il pianto e si allontana. Abramo lega le caviglie di Isacco. Lungo silenzio. 

ABRAMO — Ho finito.

ISACCO — “Colui che lavora mette al mondo il proprio padre.” Non è così che scrivevi, in quel tuo libro?
ABRAMO — Sì. 

Abramo soffoca un pianto che rimane in gola.

Perché, perché ci è successo tutto questo?

ISACCO — Papà, devi essere forte. Non mi abbandonare adesso… Ascoltami… se mi aiuti ce la posso fare.
ABRAMO — Che devo fare?
ISACCO — Devi resistere. Io vi implorerò, vi maledirò… Voi non dovrete misurare la pietà con quello che vedete… (Pausa) Lasciatemi urlare. Non ascoltate ciò che dirò. Quando avrò le crisi forti, tieni mamma lontana. Non avvicinarti. E qualunque cosa accada non slegarmi. Qualunque cosa… capito?
ABRAMO — Che ti succederà?
ISACCO — Comincerò a tremare… ma le prime ore saranno sopportabili. Poi cominceranno i brividi… Dopo 16 ore circa i dolori agli arti e i crampi. Fra 24 ore il mio corpo comincerà a sputare tutta la merda che ha dentro. Ma qualunque cosa vedrai o sentirai non slegarmi prima di 72 ore. Giurami che non mi slegherai. 

Si spegne la LUCE DIFFUSA D’APPARTAMENTO.

Si accende la LUCE BLU. Abramo è in piedi davanti alla poltrona. Telefona.

ABRAMO — … Un problema personale… ora non posso parlare… (Pausa) Una vicenda molto spiacevole… (Pausa) Lo so, sono mortificato. (Pausa) Cercherò di arrivare in tempo… Sì, almeno per… per la cerimonia. (Pausa) Cercherò di arrivare in tempo… (Pausa) Per favore… passi lei a prendere il mio discorso, lo trova in studio, nel primo cassetto della scrivania. (Chiude il telefono)

SARA — Ti sta chiamando. 

Si spegne la LUCE BLU.

Si accendono una LUCE D’INTERNO GHIACCIO che colpisce un punto casuale dello spazio e una LUCE D’INTERNO VIOLA. Sara osserva la fotografia di Isacco. Abramo si avvicina a suo figlio legato al letto. 

ISACCO — Mi piaceva tanto… leggere i tuoi libri.

ABRAMO — Non immaginavo che ne avessi letto qualcuno.
ISACCO — Li ho letti tutti. No. Gli ultimi due no.
ABRAMO — Gli ultimi due ripetono le stesse cose dei primi.
ISACCO — È difficile essere onesti.
ABRAMO — Io ci ho provato…  

Silenzio.

ISACCO — Da bambino mi chiudevo nel tuo studio quando non c’eri e ascoltavo i tuoi dischi. Poi aprivo i mille cassetti, leggevo i tuoi appunti sparpagliati e… cercavo nei tuoi oggetti i segni della tua vita fuori da queste mura. Poi, pian piano, immaginavo delle storie… le mie storie. (Pausa) Per me eri una persona importante. E anche se detestavo tutto quello che mi facevi fare, e desideravo una vita normale come quella di tutti gli altri bambini, il più normale e banale possibile, lentamente mi sono trovato a scoprire quelle cose, che tu facevi e avevi scelto per te, come fossero anche le mie cose… Anche se ho sempre finto di non volere niente di tutto ciò che ti somiglia.

ABRAMO — Non abbiamo mai parlato di questo…
ISACCO — Sì. Tu me ne parlavi sempre. Tu mi hai parlato. Ma io avevo soggezione di te. Quando ti vedevo, mi bloccavo, le parole non uscivano. Ma ti ho ascoltato. Ti ho ascoltato a lungo…
ABRAMO — Mi dispiace… Io…
ISACCO — Tu non c’entri. Tu sei stato buono con me. Eri irascibile con gli altri e questo mi spaventava. A volte avrei voluto dirti dove sbagliavi… ma non ci riuscivo. A volte ti odiavo, a volte mi sembravi così ingenuo e ostinato… Soffrivo per i tuoi insuccessi… mi sembravi così scontroso e controcorrente e poi invece ero felice quando leggevo un articolo che parlava del tuo lavoro…
ABRAMO — Io…
ISACCO — Tu non c’entri. Ero io che avevo paura di non essere accettato dagli altri… di fare brutta figura… Volevo che tu piacessi agli altri, perché il figlio di un uomo di successo vale qualcosa di più. 

Breve silenzio.

ABRAMO — Credevo di essere uno di quei padri che fingono di amare i propri figli in un modo diverso da quello in cui li amano davvero… Mi accorgo solo ora che fingevo di amarti, perché non ti sapevo amare… 

Silenzio.

L’unico vero atto nei tuoi riguardi mi sembra quello di averti legato a questo letto ed è orribile a vedersi…

ISACCO — Ti ricordi quel capodanno che mi portasti a dormire prima di mezzanotte? E poi il mattino seguente mi portasti a passeggiare in quel bosco pieno di neve… e io ero talmente arrabbiato con te, avrei voluto sparare i botti, fare festa fino a tardi, vedere altre persone, andare ai cenoni affollati dove ti danno schifezze da mangiare e dove tu non sopportavi di andare… E invece nel bosco eravamo io e te, soli. Ascoltavamo i passi sulla neve… il respiro degli alberi del primo mattino… io ti odiavo, ma intanto i miei occhi respiravano la luce di una toccante bellezza… Il problema, papà, è che quella era una bellezza fine anni ’70!
ABRAMO — Ho sacrificato tutto… Tutto per… Tutto. Te… tua madre…
ISACCO — Forse non hai sacrificato abbastanza.
ABRAMO — Avrei dovuto lasciarvi, sarebbe stato meglio… Seguire quella giornalista americana che si era invaghita di me… La mia carriera sarebbe stata senz’altro migliore… Stavo per farlo, stavo per mollare tutto. Ma poi ho visto te, bambino, con gli zoccoletti ai piedi e tua madre con i capelli sciolti e le prime rughe del viso… Lei mi guardava, tu mi sei corso incontro. Non ce l’ho fatta… Ho chiamato. Ho detto che non sarei più partito.
ISACCO — A volte anche i figli fingono di amare il proprio padre.
ABRAMO — Ecco io ho combattuto sempre contro… Contro quest’oblio deliberato di tutte le forme refrattarie, minoritarie, di tutto ciò che non può o non vuole integrarsi o riconciliarsi… il caso è nostro alleato, pensavo. Ma sbagliavo. Il caso è soltanto indifferente… 

Isacco comincia ad avere brividi di freddo.

Pensavo che a noi non sarebbe potuto succedere niente. Credevo che saremmo stati immuni dall’orrore quotidiano. Ho cercato di educarti con ciò che di meglio c’era in me, di proteggerti, ma in realtà ero convinto che tu fossi speciale, che a te non sarebbe potuto succedere niente… niente di brutto.

Isacco sorride. Le contrazioni del riso gli provocano dolore.

ISACCO — Una volta ho fatto un tema, copiando le frasi strambe di una tua poesia… Mi sembravano parole bellissime e io le avevo aggiunte alle mie, facevo la scuola media, la prima o la seconda… Ti leggevo sempre i compiti la sera e poi facevamo il rito della “ciavattata”… (Sorride. Le contrazioni del riso gli provocano dolore. I brividi sono più forti) Te lo ricordi? Io leggevo e tu rimanevi ad ascoltarmi e, se non ti piaceva, ti sfilavi una ciabatta e me la tiravi addosso, se invece ti piaceva, venivi a stringermi la mano con ossequio… “Bisognerebbe prenderli a ‘ciavattate’ quelli che scrivono certe stupidaggini sui giornali”, dicevi. Il rito della “ciavattata” su pubblica piazza, volevi fare… “Uno dovrebbe prendersi la responsabilità di ciò che scrive, andare in piazza a leggerlo e la gente dovrebbe scaraventare ‘ciavattate’ dalle finestre quando si proclamano certe baggianate”, così dicevi: “Baggianate”… Quella sera mi stringesti la mano. Mi dicesti che avevo creato un’opera postmoderna. Io non sapevo che significasse, ma consegnai il tema alla professoressa pensando che mi avrebbe elogiato, che mi avrebbe detto che ero un genio. Mi ricordo, avevo scritto qualcosa come: “Davanti a una scatola di Simmenthal, nella mia professione di ateo, mi ritrovo a pronunciare: Padre Nostro dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Mi diede insufficiente. Mi disse che era pieno di errori. Mi disse che essere un ateo non è una professione. 

Abramo sorride. Isacco tossisce. Inarca la schiena.

Slegami un attimo… mi fa male qui…

ABRAMO — Mi hai detto… di non farlo…
ISACCO — Volevo metterti alla prova… (Tossisce e sorride) Se lo fai dovrebbero lanciarti una “ciavattata”! 

Abramo guarda il figlio.

ABRAMO — Ti verranno le piaghe, così legato…

ISACCO — Poi passeranno.
ABRAMO — Ti rimarranno dei brutti segni…
ISACCO — Sì. Per fortuna. 

Abramo guarda gli occhi del figlio.

ABRAMO — Sei sicuro…

ISACCO — Ci voglio provare… 

Isacco chiude gli occhi. Il suo corpo comincia a tremare. Silenzio.

Papà dove sei?

ABRAMO — Eccomi. 

Abramo accarezza il volto del figlio. Isacco rimane a occhi chiusi.

ISACCO — Ecco, non ti ho mai detto che ti voglio bene.

ABRAMO — Neanch’io te l’ho mai detto.
ISACCO — Tu, in un certo senso, me lo hai fatto capire.
ABRAMO — L’essere umano fa sempre, al tempo stesso, ciò che è necessario perché il suo modello trionfi e tutto ciò che occorre perché fallisca.
ISACCO — Adoravo queste tue frasi del cazzo…
ABRAMO — Hai freddo?
ISACCO — Sì. Tanto.
ABRAMO — Vuoi una coperta?
ISACCO — Sì, per favore di’ a mamma di portarmi delle coperte. Tante coperte. Le più pesanti… le più pesanti che ha. 

Abramo dice a Sara di portare delle coperte. Le più pesanti. Le più pesanti che ha. Isacco comincia a tremare più forte.

ABRAMO — Io adesso devo proprio andare… sai, oggi è il mio ultimo giorno…

ISACCO — Vai… io rimango qui… promesso non mi muovo…
ABRAMO — Tornerò presto. 

Sara porta le coperte. Copre Isacco. Isacco trema.

ISACCO — Mettile tutte, mamma, per favore. 

Sara copre Isacco con la seconda coperta, poi copre Isacco con la terza coperta.

Si spegne la LUCE D’INTERNO VIOLA. Rimane accesa la LUCE D’INTERNO GHIACCIO che colpisce un punto casuale dello spazio.  

ABRAMO — Andiamo.

Sara non si muove.  

Sara, andiamo!

SARA — Tu vai, io non posso lasciarlo.
ABRAMO — Su avanti, andiamo…
SARA — No. Io non ci riesco…
ABRAMO — Sara per l’amor del cielo!
SARA — Lasciami qui, lasciami stare…
ABRAMO — (grida) Ti ho detto andiamo, perdio! Non puoi rimanere… Non ti ci faccio rimanere qua da sola!

Isacco cerca di farsi sentire dall’altra stanza.

ISACCO — Vai con lui mamma… fa come ti dice. 

Si spegne la LUCE D’INTERNO GHIACCIO che colpisce un punto casuale dello spazio.

 

 

9.

 

Si accende una LUCE D’INTERNO DI AULA MAGNA. Accecante. Abramo è sul palco, dietro al podio riservato al relatore. Stringe fra le mani i fogli del suo discorso. Si avvicina al microfono. Quasi al rallentatore. Legge le prime righe. 

ABRAMO — Mi occorre innanzitutto ringraziare… (Si blocca. Reclina leggermente la testa. Si porta una mano alla fronte. La lascia scivolare lungo il viso. Guarda il vuoto davanti a sé) Avevo scritto un discorso, che mi sembrava perfetto per l’occasione… Ma… ora… succede che queste non siano più le mie parole. (Silenzio) È esattamente quello che vi aspettate che io dica… (Silenzio) Ma che sapete veramente di me? (Pausa) Voi, poi, chi siete? Gli studenti? (Alza la voce) Ci sono i miei studenti? I professori ordinari, associati, i dottori, gli assessori, gli utenti, i consumatori, gli spettatori? Ci sono anche spettatori qui? Ma chi siete veramente, ve lo siete domandato? (Pausa) No, io non vi biasimo. Sono anch’io esattamente come voi. Anzi sono il peggiore di voi… perché pensavo d’essere uno tosto io… uno in gamba… uno intelligente. Immune all’orrore di questa società. Ma proprio ora trovo tutti i miei fallimenti davanti agli occhi. No, quei fallimenti non siete voi. Sono quelli che io ho generato. (Pausa) Quelli che io ho generato con le cose migliori che ho fatto… con i pensieri più riusciti… (Ricorda qualcuno dei suoi scritti, cresce nel tono della voce un senso di abbandono) “L’uomo normale oggi vive fondamentalmente sempre in una condizione di dipendenza dal suo modello di vita, di progetto sociale, di immaginario, ma nello stesso tempo di sfida permanente a questo stesso modello. Egli è spinto e controspinto nello stesso desiderio. Non servono la psicoanalisi, le scienze umane, esse esistono solo per riconciliare l’irriconciliabile… L’anormale è invece colui che vive nell’adesione spicciola e unilaterale a ciò che fa, assoggettamento, riduzione integrale alla ragione, l’essere normodotato, igienicamente depurato, che cancella ogni singolarità, ogni scarto, ogni variante. Ogni appiglio all’irreale.” (Silenzio) Ecco se avessi letto il mio discorso avrei fatto quest’ennesima ripetizione… (Silenzio) Quello che vorrei chiedervi, in verità, è: come posso essere ancora un padre? (Silenzio) A scuola ci portarono a vedere una mostra sui porti dipinti da Claude Lorrain… Galeoni come impalcature che viaggiano incontro alla luce o ne fanno ritorno, il punto di vista che guarda l’orizzonte, ai lati le architetture, in origine, di quelle città che partoriscono la storia universale… Ma c’erano, in quei tramonti o in quelle albe, anche delle leggi ben riconoscibili del piccolo, del particolare: la fatica e il freddo del mattino o il caldo tepore del tramonto, le chiese con i campanili e le croci del Signore, i bastioni innalzati dalle maree e le torri edificate dalle mani nodose dell’uomo, le scalinate di marmo bianco con i santi in partenza per la Terra Santa, gli utensili sciocchi del pane quotidiano e le forme banali degli oggetti scaricati sulla banchina… codici minuziosi di un’umanità… (Pausa) Dinanzi a quei paesaggi, a quelle ragioni, desideravo… desideravo essere intelligente, desideravo un lavoro onesto e ben pagato, desideravo migliorare il mondo e desideravo essere proprio io a farlo… Mi sentivo, osservando quei porti, come dinanzi a tutte le strade del possibile, sentivo che anche se non avessi potuto percorrerle tutte ce ne sarebbe stata almeno una adatta alla mia vita… Ecco, questo per me era una testimonianza dell’umanità e la luce di quel Mattino al porto, era l’avvenire in cui sarei diventato un uomo… Ma di cosa sono stato testimone? (Silenzio) C’erano due alternative: il realismo del “migliore dei mondi possibili” in cui l’abilità, l’intelligenza, significavano piegare lo sporco, il marcio, la stupidità collettiva a proprio vantaggio per edificarci il proprio successo, farci dei soldi sopra, non importa a spese di chi o che cosa, riuscirci o tentare di riuscirci, fare gli affari giusti, sedere ai tavoli che contano e questo ai vari livelli di bassezza umana, ognuno con i propri compromessi quotidiani… oppure mostrare l’illusione di tutto il sistema… rimanere immuni al peccato originale, distruggere Dio e tutte le Chiese, distruggere le ideologie, il peso del passato e delle generazioni, avere nelle proprie mani l’uomo e il suo destino. (Pausa) Ma cos’hanno costruito queste mie mani così bianche? (Silenzio) Davanti ai miei occhi appare solo un mondo in cui gli oggetti proliferano, intasano ogni desiderio, ogni rinuncia… Un mondo penosamente finito e realizzato in se stesso, un mondo in cui è il denaro l’unico vanto, ma non come il giusto controvalore di un lavoro che anzi è sempre più sottopagato, un denaro che si guarda soltanto come il vitello dorato cui affidare la propria salvezza. Un mondo senza senso. Senza senso di colpa, senza impegno personale, indifferenziato e per questo depresso. Io credevo di essere un filantropo, di amare gli uomini e invece… invece li detestavo… Sarebbe stato più onesto combattere a proprio rischio e pericolo, non perdere ciò che andava difeso, piuttosto che rimanere immuni… Oggi se potessi vi ucciderei. Voi che mi avete reso un criminale… Io che non ho mai pregato con mio figlio e non gli ho insegnato a pregare. “Che cos’è l’erba? Mi chiese un bambino, portandomene a piene mani. Come potevo rispondergli? Non so meglio di lui che cosa sia.”

Silenzio. Si spegne la luce accecante. Da interno di aula magna.

 

 

10.

 

Si accende una LUCE D’INTERNO GHIACCIO che colpisce un punto casuale dello spazio.
Si accende una LUCE D’INTERNO GIALLO ACIDO che colpisce il corpo di Isacco legato. La crisi d’astinenza dopo 24 ore provoca una difficoltà respiratoria. Mal di stomaco. Vomito. Nelle successive 24 ore i sintomi raggiungono il picco. Febbre e tosse. Il vomito si infetta di sangue. Di succhi gastrici. Il corpo è invaso da crampi. Scosse muscolari, tremori, brividi, dolori alle ossa e senso di freddo. Perenne. Senso di abbandono e di emarginazione. Perenne. Isacco implora. Maledice. Grida. Implora. Maledice. Grida. È bagnato di sudore freddo. Si agita, cerca di strapparsi i polsi.
Il delirio di una batteria. Batte. Cassa. Rullante. Ride. Hi-hat. Tom e timpani. Batte. Crash, splash, china. Un ritmo sghembo.  

ISACCO — Liberami… vieni a liberarmi! Non resisto… Fammela… fammela… Adesso… (Addenta le coperte e grida) Vaffanculo! Devo farmi! Portami la roba, pezzo di merda!

Abramo apre e chiude le porte delle stanze. Cerca Sara. 

Mamma! Mamma! Slegatemi! Non ce la faccio! Non ce la faccio! Sto male! Sto male!

Abramo afferra il corpo di Sara per trattenerla. 

Vi auguro di morire bruciati! Maiale! Sei un maiale!

Abramo stringe il corpo di Sara. 

Mamma, sei una puttana! Vieni a slegarmi!

Abramo stringe il corpo di Sara.  

Voglio che mi liberiate… Siete delle merde! Mi fa male! Mi fa male! (Ha un grido soffocato di sangue) Ah… Ti prego slegami!

Sara riesce a liberarsi, corre verso il figlio. Abramo la riprende. Le stringe la vita con un braccio. Con il palmo della mano le tappa gli occhi. 

Non ce la faccio, lo capisci? Porco! Tanto non finirà come vuoi tu… (Si piscia addosso) Vuoi farmi morire, pezzo di merda?! Così mi uccidi, lo capisci? (Respira) Dammi quella cazzo di siringa…

Il delirio affonda su se stesso. Isacco respira. Un affanno ripetuto e sonoro.

Non tremare… Non tremare… Io sono Isacco… Isacco.  

Scosse. Forti. Scuotono i muscoli delle gambe. Freddo. Perenne senso di freddo. La mente e il delirio della febbre alta cercano spazi aperti.

Sono sul monte Moira… Papà… (Trema) Dov’è l’agnello per il sacrificio? (Trema e soffoca il lamento. Dice una battuta come recitando) “Questo è troppo… non merito tanto amore” (Respiro) Non tremare, non tremare, Isacco. (Respiro) Dio provvederà… Dio… (Respiro. Ancora respiro) Non tremare… (Dolore. Grida di dolore) Caffè! Portami un caffè, puttana! Ho bisogno di caffeina…

Abramo lascia scivolare il braccio che trattiene Sara. Il corpo di Isacco grida di dolore. Batte. Respiro. Un grido prolungato. Quasi in lontananza. Suonano alla porta.

Si accende una LUCE DIFFUSA D’APPARTAMENTO.
Si spengono la LUCE D’INTERNO GHIACCIO che colpisce un punto casuale dello spazio e la LUCE D’INTERNO GIALLO ACIDO che colpisce il corpo di Isacco legato. Silenzio. Sara va ad aprire. Abramo rimane alle sue spalle. Qualcuno gli parla. 

ABRAMO — Non succede niente di grave. (Pausa) No. Non c’è nessuno da chiamare. Lasciateci in pace. Tornate a dormire.

Si spegne la LUCE DIFFUSA D’APPARTAMENTO.

 

 

11.

 

Si accende una LUCE IRREALE, D’ALBA AL CHIUSO DI UNA STANZA. Colpisce il corpo legato di Isacco. Sara osserva da dietro la porta socchiusa. Silenzio. Sara entra e si avvicina. 

SARA — Ti ho portato un po’ d’acqua… Vuoi bere?

Isacco fa cenno di sì. Sara lo aiuta a sollevare il mento. Gli porta il bicchiere alle labbra. Isacco si disseta. Sara gli accarezza la fronte.  

È passato… È tutto passato.

Isacco muove le dita della mano. Silenzio. 

Non corri più pericolo ora, vero? (Pausa) Possiamo slegarti?

Isacco fa un cenno con la testa. 

Vuoi che lo faccia tuo padre?

ISACCO — No. 

Sara slega Isacco. Isacco sorride al volto della madre.

Mi devi fare un chilo di polpette, domani… (Si addormenta) 

Lentamente si spegne la LUCE IRREALE, D’ALBA AL CHIUSO DI UNA STANZA.

Lentamente si accende una LUCE DEBOLE D’INTERNO BLU. Abramo è addormentato sulla poltrona. Sara va in cucina. Apre il frigorifero. 

 

 

12.

Si accende una LUCE DIFFUSA D’APPARTAMENTO. Abramo si sveglia. Si alza. Corre nella stanza di Isacco. Apre e chiude le porte delle altre stanze. Abramo raccoglie il suo portafogli svuotato e lanciato a terra. La borsa di Sara è rovesciata davanti alla porta d’ingresso. Sara esce dalla cucina con un vassoio ricolmo di polpette.  

ABRAMO — L’hai slegato tu?

SARA — Dio non farmi questo… non farmi questo…
ABRAMO — L’hai slegato tu? Rispondi! L’hai slegato tu?
SARA — Mi ha detto che potevo…
ABRAMO — Non era vero.
SARA — Forse è soltanto uscito a prendere un po’ d’aria… tornerà… vedrai… tornerà.
ABRAMO — Ci ha derubato. Ha preso tutti i soldi… ha portato via i tuoi gioielli… tutti i nostri ricordi…
SARA — Tornerà.
ABRAMO — No.
SARA — Andiamo a cercarlo non può essere andato lontano…
ABRAMO — Non voglio più sapere niente di lui. (Pausa) Dobbiamo fare finta che non esiste. Che non è mai esistito!
SARA — Allora uccidiamolo! Uccidiamolo se non siamo capaci di amarlo.  

Sara esce di casa.

Si spegne la LUCE DIFFUSA D’APPARTAMENTO. 

 

 

13.

 

LUCI ALOGENE DI FARI D’AUTOMOBILE scorrono sul viso di Sara. Rapide. Una dopo l’altra. Sara cammina al margine della strada. A lunghi passi. Ostinatamente. Cerca. Nel viale di destra. Nella strada di sinistra. Nelle periferie. Nei bar. Nelle sale slot. Nei parchi abbandonati. Alle stazioni metropolitane. Alle fermate dei bus. Abramo la afferra per un braccio.

ABRAMO — Basta! Torniamo a casa… non possiamo andare avanti così…

SARA — Lasciami stare. Torna tu se vuoi. 

Si divincola. Continua a camminare. Abramo continua a seguirla in quel passo forsennato.

ABRAMO — Sono passati troppi giorni oramai… è inutile. 

Sara si ferma. Si volta.

SARA — Non dire che è inutile. Non dire che è inutile. 

Sara riprende a camminare. Abramo la segue.

Lo devo trovare… lo troverò.

ABRAMO — Forse se n’è andato…
SARA — Non dire sciocchezze! 

Sara inciampa. Cade a terra. Libera un pianto antico. Di sfinimento. Abramo la soccorre. L’aiuta ad alzarsi in piedi. L’abbraccia. Sara si lascia abbracciare.

ABRAMO — Non possiamo fare più niente per lui.  

Sara singhiozza.

Non possiamo fare più niente.  

 

14.

 

Si accende una LUCE DA INTERNO DI ASCENSORE. Abramo preme il tasto. Sale al quinto piano. Ha le buste della spesa. Esce sul pianerottolo. Infila la chiave. Entra.
Si accende una LUCE DIFFUSA D’APPARTAMENTO. Trova Sara accovacciata a terra. Tiene tra le braccia Isacco. I vestiti lerci. La bava alla bocca. Semincosciente. 

ABRAMO — Che vuoi ancora?

SARA — Sta’ zitto!
ABRAMO — È tutto inutile, non lo capisci?
SARA — Sta’ zitto!
ISACCO — Ha ragione papà… Hai ragione padre mio… Sono venuto solo a prendere quella cosa che ti avevo lasciato…
ABRAMO — Sei un bastardo!
SARA — Per l’amor del cielo taci!
ISACCO — No… lascialo dire, lascialo sfogare… ha ragione… ha ragione lui…
ABRAMO — Cos’altro vuoi dalle nostre vite? Non ti basta ancora?
ISACCO — Voglio solo quella siringa e quella dose che ti avevo affidato… dammela e sparirò per sempre.
SARA — Isacco no… che dici?!
ABRAMO — Cos’è, hai già finito tutti i soldi che ci hai rubato… pure i gioielli di tua madre… Sei uno schifoso! Vattene! Vattene da questa casa!
SARA — Zitto!
ISACCO — I soldi… i gioielli… quelli non puzzano, vero? Anche voi maestri “contro” della dissoluzione del mondo cadete nell’attizzatoio del pane quotidiano… Ma così non ci avete fatto capire un cazzo… Dai, lo so che l’hai conservata per me… Sotto sotto tutti siamo realisti. Dammela e la facciamo finita… Ce l’hai ancora, non è vero? Dove la tieni?
SARA — Isacco ti scongiuro… abbi pietà di tua madre…
ABRAMO — Non ce l’ha, la pietà. Non ha pietà di nessuno lui. 

Isacco scrolla la testa con una smorfia di sorriso.

ISACCO — Lo so che mi vorresti uccidere… Che mi vorresti annullare. E allora fallo! Distruggi tutto, padre… distruggiamo insieme tutto, dài… le regole, le convenzioni… dài… dammi quell’ultima schifosissima dose che hai conservato per me e chi s’è visto s’è visto…

ABRAMO — No… troppo comodo… Io vorrei ucciderti sì, ma non come un benefattore… io vorrei ucciderti come un assassino, perché tu ci hai rovinato la vita… Vattene! Vai fuori da qui! Scompari dalla nostra vita! Sei un tossico! Un tossico di merda!
SARA — Abramo sta’ zitto! Sta’ zitto! Tu non sai quello che dici! 

Abramo va nello studio. Apre un cassetto chiuso a chiave. Prende la busta di plastica con dentro la siringa e la dose di eroina. Torna. La getta addosso al corpo di Isacco.

ABRAMO — Tieni! Vuoi la tua merda? Eccola! Spero di non vederti mai più! Vattene! 

Sara grida un’ossessione dell’anima.

SARA — Abramo! (Poi parla come inghiottendo il tempo) Che fai? Che stai facendo?

ISACCO — Eccomi… padre mio… (Pausa) “Il mondo reale inizia a scomparire nello stesso momento in cui inizia a esistere…” Non è così che dicevi? Che cazzo significa, eh? Me lo sai spiegare per davvero? Me lo sai spiegare come poteva aiutarmi quando dovevo fare i compiti, quando dovevo trovare un lavoro, quando un raccomandato veniva scelto al posto mio? perché tu questo no, tu questo non lo facevi… (Pausa) Ci avete raccontato, e siete stati una generazione intera, che era troppo sciocco leggere il mondo con le categorie semplici dell’esperienza, che era ingenuo, che tutto era falso, l’arte, la vita, la realtà… Che bisognava pensare per contrasto… Provare a scomparire per vedere se accade qualcosa, sorprendentemente, senza la nostra volontà, se resiste qualcosa dopo che si è perso tutto? (Pausa) Ci avete insegnato l’arte della sparizione…
ABRAMO — Cercavamo di svelare gli inganni del potere…
ISACCO — Be’, in tutto questo scomparire, farmi di eroina mi sembrava una cosa grandiosa per l’animo umano… Mettila così padre mio e anche tu madre, il vostro figlio tossico merdoso è qui per misurare quanto conta veramente quest’assenza… Credevi in quelle forme refrattarie di tutto ciò che non vuole o non può riconciliarsi… Ecco io sono quelle forme. “Dài a tuo padre e tua madre il peso che ha voluto dare Isacco ai suoi due”. Io sono Isacco e ho potuto sopportare tutto questo schifo perché, anche se non me ne accorgevo, sono come voi e voi siete come me…
ABRAMO — Vattene. 

Isacco si fa forza per alzarsi. Sara lo stringe al suo petto.

ISACCO — Se potessi non morire… rimarrei. Lasciami andare. 

Si spegne la LUCE DIFFUSA D’APPARTAMENTO.

 

 

15.

 

BAGLIORI D’INTERNO DI UN TELEVISORE ACCESO di cui non è visibile lo schermo, si riflettono sul volto di Abramo, seduto sulla poltrona. Ombre. Ombre azzurre.
Si accende una LUCE GIALLA DA INTERNO DI CUCINA. Sara lava il pavimento.
Si sente l’audio di una qualche trasmissione televisiva del sabato sera. C’è un presentatore allegro e variopinto. Una donna con le labbra e le tette eccessive. Ridono. Spiegano la ricetta di un risotto mantecato.  

ABRAMO — È finito il dentifricio. Domani dobbiamo ricomprarlo.

SARA — Domani è domenica.
ABRAMO — Già è domenica. (Pausa) Ci sarà qualche ipermercato aperto…
SARA — Tu detesti gli ipermercati.
ABRAMO — Sì, ma non possiamo stare senza dentifricio.
SARA — Nel bagno degli ospiti, ce n’è uno mai usato.
ABRAMO — Di che tipo è?
SARA — Per gengive sensibili. Lo stesso che usi tu. 

Abramo si alza. Entra nel bagno degli ospiti, prende il dentifricio per gengive sensibili. Va nel bagno che usa di solito, apre il rubinetto del lavandino. Prende lo spazzolino. Si lava i denti.

Verrà la morte.