BABY


MONOLOGO di

EMANUELE VACCHETTO




© Emanuele Vacchetto 



LA SCENA: 
Un lettino per bambini, di quelli con le sponde scorrevoli e abbassabili.
Un tavolino da notte con cassetto.
Sul tavolino una tazza in evidenza, bianca.

Altri elementi scenici, di luci o di suoni sono lasciati alle decisioni della regia. 
Il lettino è chiaro. Le lenzuola, le fasce del bambino e tutto quanto lo riguarda è bianco. Il fondo è nero. 

All’aprirsi del sipario una luce sale poco a poco a illuminare il lettino quasi in proscenio. Le sponde sono sollevate.
Accanto al lettino un tavolino da notte con un cassetto.
Sopra il tavolino una tazza bianca grande su un piatto, illuminata da uno spot che la evidenzia in modo particolare. 
Dentro il lettino si intravvedono lenzuola bianche, forse bende bianche, e piccoli movimenti come di un bambino che si agiti nel sonno poco prima di svegliarsi. 
LONTANO, UN SUONO DI ONDE, DI MARE, DI GABBIANI... 
Dall’interno del lettino un lieve vagito, che si trasforma in un piccolo gemito continuo, quasi l’uggiolìo di un cucciolo. 
La sponda del lettino si abbassa lentamente, come un sipario al contrario, a scoprire... 
Un viluppo di lenzuola e bende bianche che si scostano a mostrare 
un viso pallidissimo, malsano, inquietante...). 

BABY : - Li ho sentiti... Credevano che dormivo ma li ho sentiti. 
Il papà di adesso parla forte... Domani, quando mi sveglio, loro sono già andati via da questa casa... (correggendosi, come per una lezione faticosamente imparata:) loro saranno già andati via da questa casa. Solo per qualche giorno... Sicuro, solo per qualche giorno, mica per sempre... no no, mica per sempre. Solo… è prima volta che resto da solo… 

(L’essere nella culla si agita. Poco a poco dalle lenzuola e bende bianche emerge un viso, anch’esso bianchissimo). 

Una volta che Miriam era andata via con un papà tutto nero, erano rimasti i bicchieri nel lavandino. 
Io ero lì che non mangiavo da tanto tempo che quasi morivo. Non dovevo piangere, questo lo sapevo, e neanche gridare, e così ancora un poco morivo. 
Poi Miriam quella volta lì era tornata, mi aveva abbracciato stretto e si era messa a piangere, e mi diceva “perdonami bambino mio, perdonami” e io ridevo perchè mi faceva il solletico sul collo. Poi mi ha dato da mangiare e poi rideva invece di piangere e mi aveva abbracciato stretto ancora per un’ora almeno... 
Domani Miriam va di nuovo via. Va via col papà di adesso e il mio fratellino Nicola. Li ho sentiti...Ma mica per sempre... Poi tornano. 
Resterà di sicuro qualche giocattolo di Nicola che il papà di adesso, che poi il suo papà vero, lo sgrida sempre che li lascia sempre in giro... 
E magari poi io vado piano piano nel loro letto grande, quando loro sono andati via... Ma poi tornano. 
Il loro letto grande ha le lenzuola a fiori e il gabinetto proprio vicino, un gabinetto che sa di profumo buono con tutte le mattonelle blu. Tutte le mattine Miriam e il papà di adesso si lavano sotto la doccia e ridono. 
Una volta invece nell’altra casa, prima che avevamo il papà di adesso che è ricco, il gabinetto era sul balcone e puzzava... 

(Lentamente una mano diafana esce dalle lenzuola bianche. Si allunga verso il cassetto del comodino, lo apre, prende un quaderno e lo porta dentro il lettino. Quindi la mano si protende un’altra volta, prende una matita dal cassetto e porta anch’essa sotto le lenzuola. 
Quindi la mano di protende la terza volta, chiude il cassetto e rientra fra le coperte. 
Questi movimentio avvengono in maniera lentissima, in modo da consumare molto del testo che BABY continua a recitare. L’intenzione di creare una tensione quasi ipnotica tra voce, movimento delle labbra sul viso bianchissimo, movimento della mano che prende gli oggetti e li porta nel lettino...). 


Vogliono partire... L’ho capito dai discorsi che fanno sotto la doccia mentre ridono. Credono che non capisco perché sono piccolo. Credono anche che non so scrivere,e che non leggo. 
Il papà di adesso ha tanti libri, una stanza piena al primo piano. 
Io so scendere la scala fra il secondo piano e il primo piano. Mi aiuto coi gomiti e con la mano. 
Così vado lì e leggo. E scrivo. E ascolto... 
Vogliono partire, l’ho sentito. Credono che sono piccolo, ma io so che non sono piccolo. Non sono cresciuto, ecco. Però ho i peli!
Uno dei papà di prima, una volta l’avevo visto nudo. Una volta che Miriam era ubriaca e lui dormiva. 
Miriam mi aveva tirato su, sopra il letto grande. Prima però mi aveva guardato con gli occhi pieni di lacrime e mi aveva detto: “Dice che Miriam vuol dire Maria, come la madonna...”. Poi si era messa a ridere, mi aveva sollevato e rideva e diceva :”Hai capito? La tua mamma si chiama come la madonna!...”, e rideva, rideva forte che un poco mi faceva anche paura. 
“Hai più peli che questo papà qua...” poi mi ha detto. Io ridevo anche, prima piano, poi ho riso forte. 
Lei mi ha guardato strana strana, poi mi ha stretto il dito e ha detto: “Per favore, non ridere mai più. Mi fai venire i brividi”. 
Poi si era messa a russare, con la testa all’indietro... 
Il mio papà di adesso è grasso. Mi fa ridere, ma io non rido. 
Miriam dice che una fortuna che abbiamo questo papà qui, che ci ha comperato la casa grande sul mare per prendere il sole. Però il sole io lo posso prendere solo quando lui non c’è. 
Tutti gli altri papà non ci avevano comprato niente a me e Miriam. 
Io me li ricordo tutti, gli altri papà, tutti, ma adesso sono stanco. Il papà di adesso è una persona molto importante. È ricco, il papà di adesso. 

Una volta abitavamo nella stanza col gabinetto sul balcone. Era vicino al porto, ma il mare non l’avevo mai visto, perché davanti c’era una casa più alta. Miriam un giorno era allegra. Mi aveva alzato su fino al soffitto, quasi, e diceva: “Vedrai, Baby, che un giorno arriva un papà che ci porta fuori. Un papà che non gliene importa niente di come sei fatto. Staremo in una casa grande sul mare, con tante stanze e il gabinetto vero con le piastrelle e la vasca, non come quello fuori che fa freddo. E avrai tutti i giorni il latte con la meringa, che ti piace tanto. Due volte al giorno.” 
Lei diceva così, Miriam. E così stato per davvero. Lei sa tutto, Miriam. Io al principio non ci credevo. Tutti i papà che venivano facevano la pipì sul balcone. Qualcuno si fermava due o tre giorni, qualcun altro lo sentivo che andava via il mattino presto, senza neanche vederlo. 
Un papà o due è rimasto qualche mese. Uno fino al giorno del regalo, che si chiama Natale. Il papà di prima, quello senza capelli sulla testa, era rimasto tantissimi giorni nella casa col gabinetto sul balcone. 
Lui ogni tanto mi ci portava sul balcone. Io lo sapevo quando. 
(Musica) 
Quando toglieva i cuscini coi fiori gialli dal sofà, li metteva tutti e due sulla grande sedia di vimini, poi mi sollevava piano piano perch sapeva che avevo paura. Mi metteva sulla sedia, e portava me e la sedia sul balcone. E sapevo perchè: perché c’era il sole. Mi sollevava dal lettino con le sbarre e se avevo fatto la pipì, e Miriam non mi aveva ancora lavato, mi portava fuori, apriva la porta del gabinetto e poi apriva l’acqua e mi lavava, e rideva, grosso com’era. Lui sapeva di pane perché faceva il pane. Ma quasi tutti gli altri papà sapevano di mare. Perché facevano i marinai.
Poi mi asciugava. Miriam teneva asciugamani dappertutto, allora. Bastava stendere la mano e trovavi l’asciugamano, anche al buio. 
Poi mi infilava le mutandine che si era portate dietro strette sotto l’ascella, e mi lasciava al sole, sulla seggiola coi fiori gialli. (fine musica) 
Parlare non ho parlato mai, solo qualche volta da solo. 
Miriam non era contenta se parlavo. Anche se strillavo non era contenta. I miei papà di allora non volevano. Qualche volta se ne andavano arrabbiati perché strillavo e non ci davano i soldi. 
Allora Miriam piangeva. Qualche volta mi picchiava. Allora io non sapevo bene e piangevo più forte. Se piangevo piano mi picchiava piano, appena uno scappellotto, qualche volta. 
(a questo punto è finito il lentissimo gesto fra penna e quaderno). 
(musica) 
Un giorno venuto un papà biondo che era vestito da marinaio. Di bianco e di blu, con gli occhi blu. Io lo guardavo da sotto il letto. Mi aveva portato un regalo da soffiare... 
(dal lettiino escono GRANDI BOLLE DI SAPONE che si librano per l’aria, per poi scoppiare una a una). 

Lui stava fuori dalla porta aperta. Miriam è venuta e si sono guardati per un po’. Poi Miriam è corsa dentro. Non aveva mai fatto così. Lei ha cercato di nascondermi ma lui era già entrato, aveva chiuso la porta si era appoggiato contro e respirava forte. Siamo rimasti tutti e tre lì a guardarci, lui contro la porta, Miriam in mezzo alla stanza e io sotto il letto. Lui aveva le lacrime agli occhi, ma non era mica ubriaco. Era bello. Un papà bello. Il più bello di tutti. Io lo guardavo e ho pensato forte: ti voglio bene, ti voglio bene, ti voglio bene. Forse ha sentito, perché ha smesso di respirare forte e mi ha sorriso. 

(finisce l’effetto BOLLE DI SAPONE) 

Dopo lui e Miriam si sono messi a parlare. Io sono montato sul mio sedile con le rotelle e sono andato di là. 
Dopo un po’ il papà biondo venuto da me. Io ho pensato forte: Prendimi in braccio, prendimi in braccio, prendimi in braccio. (musica) 
Allora lui mi ha preso in braccio e mi ha detto:”Sai cittino, sono il tuo papà”. (fine musica) 
Poi ha guardato Miriam e ha detto: “Ma questo bambino non piange mai?”. 
“Non piange mai e neanche parla.” 
“Bravo cittino. Neanche il tuo papà non piange mai”, ha detto. 
Io volevo parlare, perch quel papà lì mi piaceva. Così ho parlato. Ho aperto la bocca e HOOO DETTOOO TUTTEEEE LEEE COSEEEE !!! 


(MUSICA forte. E BOLLE DI SAPONE che escono dalla culla con un effetto ora, rispetto a prima esagerato, tanto da invadere il più possibile il boccascena. A fine effetto:) 

Allora ho capito che la mia voce era pericolosa. Dovevo stare zitto, non piangere, non ridere, non parlare. 
Non ho più pianto, non ho più parlato...

(Sul comodino rimasta illuminata da uno spot la tazza bianca. Lentamente le mano diafana di BABY esce dalle lenzuola, si sporge, afferre la tazza, la porta alla bocca che un segno scuro sul viso di gesso. Beve a piccoli sorsi, mentre consuma il successivo blocco di battute). 

Ho sonno. Domani sarò solo qui. Il mio papà di adesso dice che vuole stare con Miriam, e che il mio fratellino Nicola deve andare con loro. Li ho sentiti. Lui il papà vero del mio fratellino Nicola. Il mio fratellino Nicola è simpatico. E’ piccolo ancora. E’ biondo e cammina. Ha due mani. E le braccia, e tutto, NON COME ME. Con le braccia può abbracciare Miriam tutto intorno al collo. Se piange Miriam lo bacia e dopo un poco smette. 

(Il bambino ha bevuto. La tazza bianca e tornata sul comodino sotto lo spot). 

Adesso ho due sedie piccole con le ruote. Ho imparato a salirci da solo e vado con una su e giù per il piano di sotto e con l’altra su e giù per il piano di sopra. 
Il mio papà di adesso, una volta che aveva appena conosciuto Miriam, mi aveva promesso un montacarichi apposta per me. Il mio fratellino Nicola non c’era ancora e anche i giocattoli che li lascia sempre in giro e non gli dicono niente. 
Poi si è dimenticato e io non gliel’ho chiesto più il montacarichi. 
Stasera è venuto nella mia stanza e mi ha portato una tazza. Una tazza di latte caldo. E le meringhe.
E’ la prima volta che lo fa. Era anche amaro, e sapeva come di mandorle, amare. Ma se lo sputavo lo so che si arrabbiava. Io gli dò fastidio, lo so, perché sono brutto e allora devo stare zitto. Non devo parlare, non devo ridere... 
Allora ho chiuso gli occhi e l’ho buttato giù tutto. Sapeva come di mandorle, ma più amaro. 
Miriam non ha voluto entrare. Stava fuori dalla porta e piangeva. Miriam mi vuole bene. 
Mentre bevevo ho alzato gli occhi. Lui era strano perché era tutto rosso e respirava forte, come se avesse fatto le scale di corsa, ma non le ha fatte di corsa. E’ troppo grosso per correre. 
Quando ho finito la tazza di latte lei gli ha chiesto: “Lo ha bevuto tutto?”, ma con la voce rauca che non sembrava nemmeno la sua. 
Io ho fatto sì con testa. 
MIRIAM LO SA CHE FACCIO QUALUNQUE COSA PER LEI. 
Poi è scappata e l’ho sentita che correva giù per le scale. Poi lui uscito e ha chiuso la porta a chiave, come quando viene la gente in casa e io faccio finta del gioco di stare fermo finché vanno via. 

(CAMBIO LUCE. Sul comodino si accende la lampada da notte. Una luce calda, rosata. Baby si muove nel lettino. Cautamente mette un piede a terra...Un piede roseo, perfetto...) 

Dopo un po’ non mi riusciva ancora di dormire. Ho acceso la luce, ma sento un po’ di freddo, e ho come i granchi nello stomaco che mi fanno male e camminano dentro la pancia. Ma non devo piangere. E neanche ridere (ride male). 
Loro partono, li ho sentiti. Ma non mi dispiace restare solo qui, in questa caesa grande col mare laggiù e gli scogli... Una volta Nicola stava quasi per cadere giù dagli scogli, ma io ho gridato forte e il suo papà lo ha preso al volo e lo ha salvato... 
Mi fa male la pancia… mi fa male la pancia… molto male la pancia…

(Un sipario sul fondale si apre. Un sipario dipinto con un panorama marino, coloratissimo. Il mare in burrasca. Il lettino con BABY in proscenio sono in Primo Piano sullo sfondo di un mare corrusco. RUMORE DI BURRASCA E DI ONDATE CHE SI FRANGONO SUGLI SCOGLI.) 

Sempre quando arriva il momento che sto per addormentarmi mi viene da pensare al papà di adesso, al papà di prima, al papà di prima ancora e, all’indietro indietro, a tutti i papà à, uno dopo l’altro. 
Mi addormento, lo so, quando sto per arrivare al primo papà à, a un papà che non ho conosciuto, al papà a che venuto prima di tutti i papà…


B A B Y - F I N E