BUIO. IL RACCONTO DI MISTER P.

di

Fortunato Cerlino

 

Personaggi

 

 

Mister P.

 

 

 

 

 

 

 

 

Fatto.

 

 

 

 

La scena è completamente buia. Lentamente si costruisce la luce fino a scoprire Mister P. seduto su una sedia accanto al tavolo. E’ di spalle al pubblico, ed è vestito solo con un paio di grosse mutande ed un bellissimo accappatoio. Si dondola sulla sedia e canticchia un motivetto..

 

 

MISTER P. Signora ! sono, sono contento che sia arrivata, era tanto ormai che l’aspettavo, e l’attesa si sa è stata lunga, lunghissima. Quante cose successe durante la sua assenza, vorrei raccontargliene qualcuna, se me lo consente.

Si gira verso il pubblico e parla con una presenza non visibile.

Forse la domanda la imbarazzerà un pochino, ma io vorrei tanto sapere perché, è tornata. Non le chiedo di rispondermi adesso naturalmente, prenda tutto il tempo che vuole, ora ne abbiamo tanto, di tempo. Vuole sapere una cosa curiosa, provo adesso la stessa sensazione che provai qualche tempo fa, giunto al termine di un libro che avevo letto con impeto. Riga per riga, fino all’ultima pagina, divorai quel libro ma, all’ultima parola sentii dentro un vuoto indicibile, una frustrante amarezza... non avevo capito il finale, e non sapevo da dove ricominciare per ricucire il filo perso. Provai a rileggerlo, ma a metà lettura mi bloccò una terrificante intuizione.

Non toccai quel libro per alcune settimane, lo riposi nell’angolo più remoto della casa, eppure non riuscivo ad evitare di incontrarmi con quella copertina arancione, e tutte le volte che succedeva ritornava, puntualmente e con crescente ferocia, quella intuizione. Il finale non lo avrei mai capito cercandolo soltanto nell’ultima parola, fin dalla prima forse avrei dovuto costruirlo parola dopo parola, emozione dopo emozione.

Rilessi quel libro arrestando la mia foga e venti pagine prima di finirlo capii. E’ facile adesso... (A se stesso.) Cosa volevo dire ?... Nulla di importante.

Certo quanto tempo abbiamo avuto a disposizione noi due, eppure ora, il vederla qui, dopo averla tanto invocata, è un sogno questo ? No, non lo è, ed io non sono per niente emozionato anzi, sono calmissimo, sereno. Fermo.

Mi scusi se la accolgo in accappatoio, ma quando ho capito che lei, non volevo farmi trovare lurido e allora, ma se non le dispiace io adesso mi vesto.(Eseguendo.) Non si vergogna di me vero ? Certo che no ! E’ proprio come la immaginavo. Ha impiegato poco per arrivare . E’ vero, io in genere sono lurido e puzzo anche e non ho nessuna difficoltà a dirglielo, anzi, mi piace l’idea di poter condividere con lei alcune mie manie, come quella di stare sui tetti. Ma ora l’ho persa. Da bambino per esempio, no ! niente, non volevo parlare di questo, i bambini si sa non esistono, non esistono più.

Finisce di vestirsi in silenzio

Lei io credo, somiglia molto a quando la vidi per la prima volta, fu un bel giorno quello, ma ora un po’ di musica non guasterà, e inoltre mi sono permesso di pensare ad un piccolo regalino.

 

Tira fuori da un baule nell’angolo un enorme fiore di cartapesta colorata. Chiude gli occhi e ascolta dirigendola una musica immaginaria, quindi comincia a cantare una canzoncina d’amore. E’ gradevolmente intonato. Al termine lancia il fiore verso il pubblico.

 

Mi sono preparato a lungo per questo evento, sapevo che prima o poi... penso di essere stato bravo, anzi lo sono stato senza dubbio. Una volta chiedevo il parere sulle cose che facevo, adesso non più. Non è presunzione, no ! è soltanto che sono solo adesso. Però va bene. Tutto sommato il necessario riesco a farlo, e non mi viene male, e poi ciò che è male è male per me e ciò che è bene è bene per me, ed io si sa, cerco di fare bene. Qualche volta è male ma mi adeguo alla circostanza e penso diversamente fino a che non provo pietà per me stesso, e allora diventa bene, soltanto se gioisco però è bene veramente. Io credo che gioire significa...gioire, ecco. Non è vero che sono solo, ho detto una bugia, però non fa niente. Io adesso vivo esclusivamente di bugie perché mi aiuta. Con gli altri no, dico sempre la verità, in quelle rare occasioni, poi da quando... non ci sono più tante occasioni, più nessuna, più nessuna, ma va bene ! Fu una scelta coraggiosa quella, non la rimpiango. Rifarei la stessa cosa senza nemmeno rifletterci sopra, questa volta no, mi fece molto male allora, ero...

Posso offrirle qualcosa ? Ho conservato una delizia fatta con le mie mani per i momenti speciali, e questo è un momento speciale per noi due, per me almeno lo è, e voglio, vorrei, vorrei tanto che lo fosse anche per lei. Mi piace vederla sorridere, mi fa stare bene, tante volte l’ho immaginata sorridere nei miei lunghi son-ni. Mi giravo e rigiravo nel letto, e la mattina dopo il cuscino era pregno di lacrime. Era pianto di gioia. Poi durante le giornate che seguivano mi piaceva ricostruire quel son-no no ! si dice sogno ! (Pausa.) Al pomeriggio con il primo buio mi veniva da piangere. Piccole lacrime mi scaldavano il volto mentre sorridevo felice. Ma altre volte erano lacrime grosse, molto grosse. Ogni lacrima cadendo lasciava una pozza sul pavimento a quadrettoni bianchi e neri, bianchi e gialli, neri e rosa, bianchi e rossi, mi divertivo a guardare il sole enorme, deformato e tremolante nelle mie lacrime per terra. Seguivo con ansia quel sole pesante, gravido di un’altra giornata, fino a che non si scioglieva all’orizzonte.

Ma io non dovrei dirle queste cose. Mi scuso per la mia insolenza, non avrei mai voluto provocarle imbarazzo, e lei per colpa mia adesso, è tutta rosa in viso. Io sono davvero un cretino, uno stupido e maleducato anatroccolo... anatroccolo, ma perché mai la gente dice anatroccolo, a-na-tro-c-colo, anatro-ccolo (Sorride.) Un due tre l’anatroccolo del Re... (Sorride.) La delizia che vorrei offrirle è un pasticcino di mia fattura. Trattasi di cioccolato surrogato ripieno di scarafaggio grosso e nero, e non si lasci ingannare dalle apparenze, le assicuro che trattasi di leccornia di raro sapore, sicuramente da assaggiare.

 

Comincia a cercarli ovunque, rovistando in qualche cassetto finalmente li trova. Di spalle comincia ad ingurgitarli con avidità finendoli tutti e sporcandosi la bocca e la faccia di cioccolato. Imbarazzato si rende conto di ciò che ha fatto, si vergogna, cerca in qualche modo di pulirsi riuscendo solo a sporcarsi di più. Lentamente si gira.

 

Non ne trovo più. Forse le ho già mangiate tutte, io sono goloso. Non penso di essere stato io. La festa che ho dato ieri sera nel salone delle ombre deve aver dato il colpo di grazia alle mie riserve. Ne farò degli altri, tanti altri, e non darò più feste, sono così inutili e tristi che non ne vale la pena. Tutta quella allegria, che spreco di energia, (Come se ricordasse.) ma no, fanno bene i giovani a divertirsi, non sanno cosa li aspetta, noi sappiamo cosa significa ricordare un triste futuro, lampibombesanguesporcoacripuzzepenainvidiarabbiasessocoscebombe, poca moralità, sorrisi freddi, cadaveri, speranza bucce di piselli carità offerta disgusto fiamme rottami là, laggiù, proprio qui da sempre, carità e offerta, inchino e riverenza, ammommommommommommommommore.

Mi piacerebbe invitarla a ballare una di queste sere. Ho visto tra le robe della mia povera mamma un magnifico vestito da ricevimento. Indosserà quello ! Se vuole, naturalmente. E’ molto bello, ma bisogna ricucirne una manica. L’ho strappata io, che sbadato. Io stesso la rimetterò a posto e in men che non si dica lei sarà la più bella del reame. Io so... saprei anche truccare, una donna. Mi piacerebbe tanto farlo e, se lei non avesse nulla in contrario io, potrei provarci, saprei farlo io, che ne dice ? Che bel sorriso che ha ! Sarò bravo, e inoltre comincerò a truccarla molto presto così se a lavoro ultimato non le piacerà faremo in tempo a liberarcene.

Io non sono presuntuoso, un po’ si lo ammetto, sono maturo ormai per poterlo ammettere.

 

Si odono le voci sussurrate di un uomo e di una donna. Si divertono, si scambiano tenerezze. In lontananza un cane abbaia incessantemente. Mister P. è molto infastidito, con le mani si copre le orecchie per non sentire. Stanco si lascia cadere su una sedia, i fastidi cessano, lui toglie le mani dalle orecchie.

 

Ci sono delle cose che non potrò mai dimenticare. Pensieri vaganti, immagini e suoni pescati chissà dove, e quando, mi danno fastidio ! Senza pietà, nella mia testa, mi bombardano il cervello, perché mi chiedo, ma invece di una risposta arrivano altri suoni, immagini e odori della mia vita passata o di quella ancora a venire non lo so, si confondono, mi confondono, e non capisco nemmeno se mi appartengono. Sono posti lontani, aridi sentieri di campagne straniere sotto il sole cocente che fa tremare l’aria, o paludi notturne soffocate dalla nebbia brulicanti di vite nascoste e minacciose, o ancora mercati vuoti popolati solo dall’eco di mille voci che urlarono o vi urleranno la loro miseria, e sotto uno dei tanti banchi nudi di legno scuro e ingrato, nascosto, il cadavere di una bambina sporca in una pozza di sangue nero e freddo, e in una mano ancora stringe, livida, una bambola di pezza. Uno sciame di piccolissimi insetti la seppellirà. La risata sguaiata di una prostituta si fa beffa di me mentre aspetto qualcuno seduto in un prato sterminato, ben vestito, pettinato, e con in mano una scatola di ciccolattini.

Segue un lungo silenzio.

Ma ora lei è qui. Io, noi, qualcosa si muove, sta cambiando, ed io non ne vedrò più di quelle cose. Che bel sorriso che ha, è caldo, ho paura, no ! non è vero, non bisogna avere paura, ma coraggio.

Rintocco di un pendolo, il vento apre una finestra ed entra un po’ di

luce, Mister P . si precipita a chiuderla.

 

Sono le cinque, o le cinque e mezza, o anche le sei, del pomeriggio, è notte. Fra poco sarà pronto da mangiare. Una cena a lume di candela, lei mi siederà di fronte e mangerà tutto quanto, io invece la guarderò soltanto, o forse mangerò un pochino, solo qualcosa. Che bella faccia che ha, sembra la luna, senza trucco eppure così bianca.

Io l’ho sempre conosciuta, e ho fatto anche all’amore con lei qualche volta, in son... in sogno naturalmente. Non le dispiace vero ? Ecco, adesso si sta avvicinando a me sempre di più mia dolce signora, ma io aspetto, non ho timore, perché sono l’ultimo. Sarà come perdere l’equilibrio per qualche istante, un giramento di testa, pensi di cadere e invece sei ancora in piedi.

Io sono conosciuto nel mio ambiente, ero conosciuto e stimato, uno studente modello, imitato e invidiato da tutti. Ero sempre preparato, imparavo a memoria qualsiasi cosa in breve tempo, e inoltre avevo una grande capacità, facilità, di espressione. Quando io parlavo tutti si fermavano ad ascoltare le mie parole. Dicevo un sacco di cose. Poi mi sono fermato. Non so perché, ma non parlavo più. Ricordo il momento preciso in cui smisi di parlare, ma se glielo dicessi di certo farei la figura dello stupido, allora non glielo dirò, resterà una sospensione tra noi due... ma lei ha già capito eh ? ! lo vedo da come sorride. No ! non diventi rossa piccola, non deve vergognarsi di me, io l’amo, lo sa. Un giorno dissi anche cosa pensavo io della vita, e tutti furono colpiti dalla mia capacità di analizzare in modo così profondo argomenti complicati come quello. Tutti furono rapiti dalla mia grande intelligenza, ero ispirato dalla mia stessa intelligenza, dissi grandi cose quel giorno. Dissi la verità, la massima verità cui un uomo può arrivare. Tutti tremavano e gioivano con me. Il professore mi guardava, fiero, stringendo con vigore il suo bastone di legno intagliato, e carezzandosi di tanto in tanto la sua soffice barba bianca, sorrideva. Avevo l’attenzione di tutti. Ricordo anche che pochi istanti dopo, fuori dell’auditorio affollato, si era sparsa la voce che io avevo appena espresso il mio pensiero sulla vita, e in breve tutta la gente che si trovava nei corridoi si accalcò alla porta in trepidante attesa, con gli occhi rossi. Li sentii arrivare, poi li vidi con la coda dell’occhio, erano tantissimi, ma non mi scomposi. Un altro al mio posto forse non ne sarebbe stato capace. Si creò un grande senso di attesa, allora mi sentii in dovere di ripetere ancora una volta. Non volava una mosca. Mi diedi un tono più adeguato alla circostanza, riempii i polmoni quasi fino a farli scoppiare e ripetei lentamente il mio pensiero, mentre il vento gonfiava le pesanti e impolverate tende grigie dell’auditorio trasformandole in bianche vele di seta incinte d’aria. Mentre parlavo qualcuno si asciugava le lacrime con fazzoletti merlettati di lino bianco. C’era tra la folla, accanto alla grande porta di legno scuro, quella donna anziana, vestita di nero, che avevo tanto amato. Aveva un velo trasparente che le copriva il volto. Mi fece piacere anche se mi stupiva vederla li, ma ciò che più mi ferì, fu il fatto che calzava ciabatte vecchie e sporche, ed aveva calzettoni di lana viola.

Faceva freddo quel giorno, il cielo era nero, sarebbe venuta giù tanta acqua dopo tutto quel vento, e quella povera vecchietta non aveva neanche il cappotto.

Non appena ebbi finito di ripetere le mie parole, tutto divenne ancora più immobile. Erano come bloccati, a bocca aperta. La signora anziana soltanto ebbe la forza di scappare via in lacrime, lasciando cadere dietro di se un fazzoletto rosso, rosso, rosso. Poi la campanella squillò in modo così violento che sembrava urlasse di dolore, tanto che tutti si coprirono le orecchie. Infine, parlottando tra loro, come se nulla mai fosse successo, si allontanarono portandosi il vecchio professore, chiusero le porte e le grosse tende si sgonfiarono. Senza nemmeno che me ne accorgessi, ero rimasto solo, e tutte quelle persone erano diventate già un ricordo, o qualcosa che non era mai successo, o che stava per succedere, o che era sempre successo.

Il cielo divenne completamente nero, andò via la corrente elettrica, non si vedeva più quasi nulla. Era al crepuscolo di un giorno d’inverno. L’aria profumava di pioggia, io adoro il profumo della pioggia, è mai stata al cimitero di pomeriggio dopo che è piovuto ? Oh ! ci vada mia cara, ci vada ! riempii i polmoni e la testa di quella sensazione, inebriante. Dai tuoni che si avvicinavano sembrava dovesse venire giù il cielo intero quel giorno. Cadde dapprima una pioggia sottile ma intensa, sbattuta dal vento sulle grandi vetrate che corsi ad aprire per sentire l’acqua pungermi il viso. Poi non si capì più nulla, tutto fu tempesta, le pesanti porte sembravano di cartone, tutto era precario sotto quella pioggia violenta e misteriosa. Raccolsi i miei libri e cominciai a correre. Fuggendo raccolsi il fazzoletto rosso, sporco, calpestato. Il corridoio sembrava non finire mai, desolato, enorme, rimbombavano le porte sbattute dal vento e la pioggia cadeva sempre più intensa. Bum !, bum !, bum sdram ! patpdram ! Era una gran festa. Fermo con le spalle ad una parete mi misi a piangere come quando ero bambi... No ! questo non è vero, mi misi a correre più velocemente saltando di gioia. Scesi le enormi scale di pietra a due per volta e presto mi ritrovai in strada. C’era un gran baccano di auto impazzite, clacson che suonavano, e smog che non riusciva a salire. La gente scappava da tutte le parti cercando un qualsiasi riparo, ma dico io, un temporale lo si riesce a prevedere molto prima, il cielo è carico di segni prima che il temporale arrivi, si può persino dire che viene annunciato da questi segni, perché la gente non si era premunita, o addirittura non si era impegnata tutta assieme per evitare quel temporale ? Io ho sempre dato retta alla mia povera madre, avevo sempre con me un grande e colorato ombrello e anche, anche, un ombrello, no, un impermeabile, l’impermeabile di mio padre. Che disastro fece la pioggia quel giorno, tutti gli elementi furono sconvolti, e anche nei giorni successivi non fece che piovere, e piovere, e piovere, quanta acqua venne giù, ogni tuono era terribile, terribile.

Un giorno la porto con me nel rudere della vecchia torre di avvistamento sulla collina, lontano dalla città, a picco sul mare. Ci ripareremo e guarderemo il temporale venire dal mare.

Una volta in strada camminai a passo svelto poi chiusi gli occhi e mi ritrovai qui, nella mia casa, al caldo. Che gran fortuna avere una casa, è importante averne una, da bambino il mio rifugio era sotto il letto dei miei poveri genitori, no ! no ! io non sono mai stato bambino, mai ! il bambino non esiste, è morto vero mamma ! Meglio se sempre al buio, la mia casa è sempre al buio, da fuori tutti vedono solo delle pareti di pietra ma non possono certo vedere me e cosa sto facendo dietro quelle pareti. C’è tutto un mondo qui dentro, perché è buio. Ogni volta poi me ne invento uno nuovo, completamente diverso da quello precedente. Se in giro ci sono pochi mobili è ancora più facile, come nella mia casa buia e vuota. A volte, quelle rarissime volte in cui mi sento solo, appoggio l’orecchio alla parete per sentire cosa fanno la fuori, cosa dicono. Sento le persone a pochi centimetri da me, li spio senza che loro se ne accorgano, è divertente, davvero, come la magia di essere invisibile tra la gente. Il gioco più bello che faccio però è quello di guardare dalla finestra e credere che tutto quello che vedo la fuori dipenda soltanto da me. Invento un sacco di storie, per esempio che sono tutti morti, che c’è stata un grande guerra e li ha ammazzati tutti, che tutte le persone la fuori non sono che cadaveri, cadaveri che camminano, parlano, fanno la spesa, comprano le loro notizie, litigano, si amano, si uccidono come se fossero vivi ! ma la cosa curiosa è che pensano davvero di essere vivi, mentre non fanno altro che ripetere meccanicamente da morti quello che facevano prima della catastrofe ! (Si calma, si asciuga il sudore.)

E’ un gran bel gioco, dovrebbe provare anche lei, ma forse la inquieto con questi discorsi, è solo un gioco piccola mia, uno stupido gioco che avviene nel mio cervello, non c’è da crederci ne da averne paura, quando ho finito di guardare dalla finestra ritornano ad essere tutti vivi come sempre. No, non pianga, se no piango anch’io, su si fermi, la smetta, la smetta ! oppure pianga se le serve, è giusto. Io piangevo tanto, no non è vero, adesso piango di più. Mentre lei piange io soffrirò in silenzio.

Come sono belli i suoi occhi quando piange, così belli che me li mangerei. Il suo è un rosso naturale vero ? Certo, come potrebbe essere altrimenti. Comunque quello non è l’unico gioco che so fare dalla finestra, a volte io vedo altre cose, altre cose io posso vedere da quella finestra, ma le posso dire soltanto con una poesia che ho scritto non ricordo quando, in un momento di distrazione forse. Si intitola "Affacciato alla finestra".(Si prepara per la declamazione.)Affacciato alla finestra.(Recita.)

Io penso,

ad un enorme parco giochi e penso

ad un lunghissimo girotondo,

e tutti che cantano canzoni di gioia fino alle lacrime,

e penso a prati sterminati tagliati

dal sole e penso

alla musica dolce della gente in festa e tutti,

che danzano colore nel colore.

Io penso,

a fragranti risate e al dono di un fiore e penso

a caldi racconti di culture lontane e tutti,

che si ristorano alla stessa fonte.

Io penso a città deserti per le povertà,

e penso al sudore generoso per la gioia di un altro,

e tutti a cogliere frutta nuda nei campi

appena arati.

Ma io vedo,

vedo, un enorme lecca lecca di mille e più colori che

come in un vortice, sono risucchiati al centro ma io,

me lo sono pappato, me lo sono pappato ed era dolce.

E la trottola quando gira, in che senso va

da destra, verso sinistra o da sinistra, verso destra ?

Imbecille, sempre nella direzione della tua spinta !

Mille trottole diecimila trottole un milione di trottole

che girano tutte insieme e anche il mondo è

una trottola e come una trottola si fermerà !

Noi ci faremo trovare vivi o morti ?

Tutti giù per terra !

Quando la trottola si fermerà noi saremo,

Tutti giù per terra !

per cercare la lente perduta.

(Lunga pausa.) Le cose non finiscono, si trasformano. E’ il ciclo della vita. Non esistono cose morte, è una legge cosmica, tutto, terminato il suo ciclo, si trasforma. Il professore mi guardava fiero, dritto negli occhi, e approvava quello che dicevo con un lento e regolare movimento della testa. Mi sentii minacciato per questo mi bloccai. Mi rifugiai in casa e da allora non sono più uscito. Nessuno se ne è accorto, proprio nessuno. E pioveva, e pioveva, poi venne quel gran botto, violentissimo, e spazzò tutto via. Ma questo è successo davvero ? No, l’ho visto dalla mia finestra. (Rintocchi.) Ora siamo al crepuscolo, ed è un giorno d’inverno, fra poco non si vedrà più niente dalla finestra ed io gliel’ho detto, preferisco restare al buio, nella mia torre di avvistamento. Anche lei imparerà ad amare il buio un poco alla volta, ma se vuole all’inizio, lascerò accesa una candela.

Vuole dell’acqua ?

Versa dell’acqua in un bicchiere e lo beve tutto in una volta, quindi ne versa dell’altra e la sorseggia lentamente. Ha lo sguardo perso e sembra stanco. Posa il bicchiere senza fare attenzione lasciandolo cadere, ma non reagisce.

 

Noi aspetteremo la primavera insieme. Ora è già sera e tra poco pioverà ancora, tutte le notti piove, mentre di giorno il sole e quella luce bianca bruciano ogni cosa. C’è un lungo inverno ma passerà, e allora noi usciremo, ci divertiremo, ho molte provviste in casa, le insegnerò qualcuno dei miei giochi. Inventeremo tanti mondi nuovi insieme, e se qualcuno di quelli che inventeremo ci piacerà di più, fuggiremo li, non torneremo mai più. Le piacerà il buio, col tempo, si intende. Nel buio possono succedere tante cose, il buio ha più fantasia, le forme per esempio, hanno un significato così diverso. Se lei anche fosse brutta io non lo saprei mai.

 

La sua malinconia viene interrotta da un’idea improvvisa. Corre verso il baule e tira fuori un naso da clown rosso.

 

Ma ora le racconterò una storia che ieri alla festa fece ridere tutti, una storia vera, poi andremo a mangiare. (Mette il naso.)

Un piccolo esserino che vive sulla luna è disperato. Lui ha la sua casa proprio dove il primo uomo mise piede. Ora si deve sapere che quell’uomo non lasciò sulla luna soltanto la sua orma, ma anche la sua scarpa, che emanava un cattivo odore per giunta. Puzzava così tanto che per molti chilometri intorno se ne avvertiva il fastidio. Ora il povero essere lunare, che come le ho detto aveva la sua caverna a pochi passi dalla scarpa, capirà che puzza doveva sentire tutto il giorno ! Finalmente decise di cambiare casa allontanandosi un bel po’. Per alcuni giorni il problema sembrava risolto, tutto normale come prima, tranne il suo bel panorama sul pianeta azzurro che tanto amava e che tanto gli teneva compagnia con tutti i suoi simpatici abitanti, ma poi, la puzza lo raggiunse. Cambiò di nuovo casa, ma la puzza lo raggiunse di nuovo, si allontanò ancora, ma la puzza lo seguiva ovunque. In poco tempo tutta la superfice della luna venne coperta dalla puzza di quella scarpa, non vi era caverna ne cratere, anche il più piccolo, ove la puzza non si avvertisse. La vita per quel piccolo essere era diventata insostenibile, bisognava prendere una decisione e anche alla svelta. Pensò e ripensò, infine capì il da farsi. Si mise in contatto telepatico con una importante agenzia di informazioni della terra e convocò una conferenza stampa da tenersi sul luogo del disastro. Tutto il mondo, saputa la cosa, fu preso dallo stupore e dalla curiosità per un simile evento. In breve, in ogni angolo della terra, vennero fuori dei club simpatizzanti per l’essere lunare, vennero tenuti dibattiti su dibattiti sul tema dalle più grandi personalità della scienza, della politica, della cultura e dello spettacolo, tutte le feste erano dedicate al nuovo amico dell’uomo che ora non si sentiva più solo, l’esserino venne da molti santoni santificato, altri ancora fondarono una religione per venerare un nuovo Dio vivente e molti furono i seguaci della nuova dottrina. Si faceva inoltre un gran baccano per decidere chi dovesse andare ad intervistarlo. I più grandi capo di stato si proposero per la missione, ma poi si pensò anche alla pericolosità della faccenda, non si potevano conoscere le vere intenzioni della creatura extraterrestre. Infine fu spedito il più famoso dei giornalisti della terra accompagnato da una imponente forza militare e da un eminente diplomatico che rappresentava tutte le nazioni per l’occasione veramente unite. Atterrarono sul suolo della luna con una grande nave spaziale grigia proprio nel luogo e all’ora fissata per l’appuntamento. Circondarono il posto, puntarono le armi, e osservarono tutto nei minimi dettagli. Qualcuno perplesso avvertì una strana puzza ma restò in silenzio per pudore. Non arrivava nessuno. La delegazione, fatta di tutta gente importante che non aveva certo tempo da perdere cominciava a spazientirsi, ma in fondo si poteva anche perdonare un ritardo in una simile occasione, poi una vocina flebile flebile li terrorizzò. Si guardarono intorno ma non riuscivano a vedere niente. Ancora si udì quella vocina... un soldato semplice pensò che l’extraterrestre fosse invisibile e lo disse ad alta voce per essere sicuro di essere il primo, sulla terra, collegata in diretta televisiva scrosciò un lungo applauso, qualcuno si commosse, più tardi il militare sarebbe diventato un famoso attore di cinema. Intanto di nuovo si udì la vocina della creatura poi, un silenzio tombale, infine il povero esserino si fece notare volando nelle orecchie del giornalista. Era piccolo, piccolissimo, forse quanto una formica nana, o ancora di più, tanto che il sudato giornalista nemmeno se ne accorse subito credendo si trattasse di un insetto ma poi, realizzò che sulla luna... ebbene si, la creatura che aveva mobilitato l’intero pianeta, l’esserino lunare appunto, era proprio quella specie di insetto color oro. Il piccolino si fece riconoscere naturalmente, e volato al microfono cominciò a raccontare il suo dramma. Lui parlava, parlava, ma nessuno lo ascoltava davvero, nonostante si sforzassero di mostrare delle facce serie, si capiva benissimo che tutti pensavano alla stessa cosa. Lui tentava di far capire in qualche modo il suo disagio, ma tutti erano confusi nell’osservare quell’insignificante essere grande quanto una pulce. Si riduceva con quella creatura, tutto l’immaginario collettivo terrestre su ciò che riguardava gli extraterrestri, pensati sempre come verdi e bavosi, come esseri con cui dover fare i conti per il dominio dell’universo. Qualcuno aveva provato ad immaginarli poco più grandi o più piccoli di un uomo medio, ma di quelle dimensioni ! Che importanza poteva avere un extraterrestre così piccolo, color oro poi ! Intanto l’esserino continuava a parlare e parlare, e quando ebbe finito, quasi in lacrime, seguì un imbarazzante silenzio. Un militare del sud si lasciò sfuggire un risolino strozzato, tutti lo guardarono per ammonirlo, il diplomatico in testa, ma in realtà avevano tutti una gran voglia di ridere. Toccò al giornalista, poi ad un altro militare poi ancora a quello di prima, in breve tutti si abbandonarono ad una risata crassa e volgare. Anche il diplomatico scoppiò a ridere, e tanto rise che la sua grossa pancia facendo pressione sulla bombola dell’ossigeno, ne fece saltare la valvola e il diplomatico volò via nello spazio come un palloncino che si sgonfia. Tutti di fronte a questa scena, risero ancora di più, la terra collegata in diretta televisiva rideva talmente tanto che dalla luna la si vedeva andare su e giù, e l’eco delle risate si perdeva nell’infinità. Tutta la delegazione terrestre infine, tentando di calmarsi e di trattenere le risate, si sforzò di fare grandi promesse, e poi ridendo se ne andò, lasciando quell’insetto di nuovo solo che tentava di capire cosa era successo. Passarono i giorni, e poi le settimane, e poi i mesi, ma la scarpa era sempre li. Nessuno dalla terra veniva a riprenderla. L’esserino era amareggiato. Pianse a lungo, cercando di trovare una spiegazione che giustificasse l’atteggiamento di quegli uomini, che gli erano tanto simpatici oltretutto. Non ne trovò nemmeno una. Gli uomini avevano avuto nei suoi confronti un comportamento molto sgradevole.

"Ma perché ?" non faceva altro che chiedersi mentre nelle grosse lacrime era riflessa la terra che ancora dondolava per il gran ridere. Il poverino dopo un po’ si ammalò, il dispiacere era stato davvero tanto per il suo cuoricino, inoltre da quando era stato lasciato da quegli uomini non si era mai mosso, rimasto pietrificato dallo stupore prima e dal dolore poi a guardare quel grosso pianeta che rideva di lui. Stando così all’aperto si sa, si prende il raffreddore, e così fu per il piccolino. Con il raffreddore la febbre, poi la bronchite quindi... si sentì d’un tratto morire, venne meno nelle gambine e si afflosciò, e cadendo al suolo fece un grande starnuto e poi spirò. Ma la storia non finisce così. Lo starnuto del piccolino si dirigeva proprio contro la terra. Percorse la grande distanza in pochissimo tempo, per poi spazzare via con inaudita violenza quel pianeta dal sistema solare. Tutti gli uomini smisero di ridere, per sempre. Morirono poco dopo quel piccolo esserino. Ancora oggi mia cara signora, è possibile sentire nello spazio l’eco di quella volgare risata, ma prestando un po’ più di attenzione, si può udire qualcos’altro. Il pianto di quel piccolo esserino, anch’esso è rimasto come registrato nell’immensità ma si fa più fatica a sentirlo, bisogna farci davvero attenzione.

Ma lei signora ora ride, e quanto ride ! Questo vuol dire che ha capito la mia storia, che le è piaciuta. Sono proprio felice, proprio tanto. Come è bella quando ride, è davvero bellissima, anch’io so ridere, ma non come lei, amo di più piangere, mi viene più facile. Questa che le ho raccontato è una storia vera sa ? Molto vera. Però devo confessarle una cosa, prima le ho detto una bugia, ma io non voglio più chiamarle bugie, perché le bugie sono come i bambini, non esistono. Voglio dire meglio, i bambini sono una grossa bugia, non esistono, tutto ciò che si dice esiste, è vero, anche quando si pensa una cosa questa già vive, esiste da qualche parte, nel nostro mondo, anzi nei nostri mondi per esempio esistono tante cose quante riusciamo a dirne e a pensarne, perciò bisogna riempirli solo con quello che ci piace. Lei per esempio... (Rintocco.) è ora di mangiare adesso ed io devo andare a lavare le mani, ma torno subito, torno subito, non si muova.

Esce. La scena resta vuota per alcuni secondi. Torna vestito da cameriere portando con se due piatti, due coltelli, due forchette, una bottiglia, una tovaglia, due tovaglioli e un vassoio d’argento con dentro due mele rosse. Apparecchia con grande maestria, solo le mele gli sfuggono dalle mani, ma sorridendo le raccoglie, le pulisce sulla giacca sporca e le mette nei due piatti.

 

La cena è servita, prego si accomodi cara.

 

Sposta la sedia come per far sedere qualcuno, quindi la rimette a posto. (Forse una donna c’è davvero.)

 

E’ comoda ? Bene !

 

 

Si siede di fronte a lei cerca di mangiare con disinvoltura la mela con entrambe le posate, ma ci rinuncia presto e mangia con le mani. Parla con la bocca piena.

 

La bugia che le ho raccontato prima riguarda la storia dell’università, non riuscii mai a dire il mio pensiero sulla vita, mai. Tutti rimasero ad aspettare che io dicessi qualche cosa, fino a che non suonò la campanella. Non ebbi il coraggio di... silenzio assoluto. Il professore mi guardava minaccioso, si figuri, uno studente pessimo, che non riusciva ad imparare nulla, sempre seduto in silenzio negli ultimi banchi un giorno alza la mano nel bel mezzo di una lezione e insiste che vorrebbe esprimere il suo pensiero della sulla vita, ad un corso di filosofia ! Alla fine il professore gli da la parola, lo studente non apre più bocca, silenzio assoluto. Tutti scoppiarono in una gran risata, una volgarissima risata, si ricorda signora ? Ora che ci penso c’era anche lei quel giorno, tutta vestita di bianco, accanto alla porta, si ho deciso, c’era anche lei quel giorno. Ma anch’io risi tanto. Tutti andarono via ma lei rimase con me, si avvicinò e mi diede un bacio che io rimasi stordito.

Gradualmente si eccita, quindi comincia a masturbarsi.

Poi facemmo l’amore sui banchi, con tanta passione, mentre fuori c’era una bella e calda giornata di primavera e il sole dalle grandi vetrate riscaldava i nostri corpi nudi stretti l’uno all’altro. Sentivo il calore del suo seno sul mio petto, e cominciai a baciarglielo. Ricordo le sue soffici calze bianche per terra accanto alle mutandine di pizzo. L’odore delle nostre carni sudate, il mio corpo dentro al suo, e ci toccavamo, ci baciavamo, le sue lunghe dita, il profumo del suo alito...

 

Il piacere diventa poco a poco pianto. Un gesto d’ira improvvisa lo ferma, segue una lunga pausa.

 

Il suo collo rosso e sudato, il mio pene, le sue cosce, mentre la penetravo lei urlava, e godeva, Dio quanto godeva.(Si da una sistemata.) Ma ora un po’ di musica non guasterà. Le canterò una canzoncina composta da me per gli eventi come questo.(Esegue, poi si applaude.) Grazie, grazie, no non posso, non posso davvero... va bene.(Esegue ancora ma stavolta si interrompe.) Vuole sposarmi ? Non avremo figli però, io non posso averne, sono sterile credo, tanto sterile, quindi non voglio bambini. Ma ora le danzerò qualche cosa.(Esegue, poi si applaude meno convinto di prima.) Cara, sta passando la banda, usciamo a vederla ? No ? D’accordo.

E se si dimenticassero di me la fuori ? E se mi abbandonassero ? Allora io abbandonerei loro. Non succederà vero ? Lo capisco da come sorride, che bel sorriso che ha, sembra la luna.

 

Da fuori giungono voci soffuse di due amanti che si scambiano tenerezze, di una donna che sta facendo all’amore, si sentono passi e cani che ululano lontano.

 

Non abbia paura, ora se ne vanno. Fanno sempre così, non so chi sono. Sono andati via visto ? Hanno fame, stanno morendo anche loro, le ultime belve. Un giorno ci troveranno ma noi saremo in un altro mondo già, uno dei nostri nuovi mondi. Tutta la mia famiglia l’ho portata in uno di questi e sta molto meglio. L’altra mia mamma, l’altro mio padre gli altri miei fratelli, mi stanno cercando lo so ma non mi troveranno mai, e se poi arriva il custode ci parlo io. La fuori non ci andremo mai più, mai più. Sono tutti già morti, anche tu amore mio. Solo qui c’è la vita, quella che verrà, quella che tornerà, a proposito, perché è tornata lei ?

 

Delirio.

 

E’ passato molto tempo ? Mister P. adesso è una entità diversa, forse dannata. E’ sporco, non curato, scalzo, buttato per terra.

 

Che bella storia, quella si che era una bella storia.(Ride.) Rifugiato in un vecchio cimitero abbandonato, che fantasia (Ride.) che fantasia ! (Feroce.) Maledetta fantasia, maledetta, da dove vieni, chi sei ? (Con dolcezza.) Ma sei tu la creatrice, la generatrice, il Verbo, l’Uno.(Spaventato.) No non è vero, sei tu che hai mangiato tutto ! tutto il resto.

Cara, oggi è più bella ieri, e domani... dovrò rifarle il trucco, cade a pezzi ! è così delicata lei !(Ride sarcasticamente.) Eppure amore, sono tentato dal pensiero che la vita passi accanto a noi più di quanto noi possiamo credere, basterebbe spostarsi, tornare un po’ più indietro, o farsi un po’ più avanti, o ai lati. No, è meglio restare dove siamo, questa è la vita, sarebbe spaventoso pensare che i nostri occhi sono i suoi occhi, una responsabilità. Le nostre mani le sue mani, le nostre gambe le sue gambe.

(Feroce.) La fantasia è una nana maligna sempre incinta, e partorisce solo cadaveri ! (Dolcissimo.) No è buonissima, e qualche volta fa di tutto per metterci nella posizione giusta.

Però, nascosto in un cimitero ! era proprio una bella storia, come quando si parla e negli spigoli della bocca si nasconde un sorriso acido, ma il suo sorriso mia cara è diverso, io lo sento, io lo vedo. Tutto ciò che si vede esiste, ma non significa niente se non viene interpretato. In un cimitero !(Ride.) che bella storia, e poi i morti si sa, non esistono. Un giorno tutti sono partiti per cercare chissà cosa, hanno fatto grandi valigie piene di denaro e preziosi e sono spariti. Ora, non ci disperiamo, non sono mica morti ! bisogna aspettare che qualcuno torni, perché qualcuno tornerà, avrà dimenticato qualcosa nei luoghi deserti dove la memoria ti tradisce e ti fa sembrare tutto più grande e senza fondo. Allora, soltanto allora usciremo mia cara, ci incontreremo con gli altri sul muretto all’ora del crepuscolo, affonderemo tutti insieme nella sera di miele. No ! non tornerà nessuno a prendere una carcassa vuota, io, sono morto questa è la storia più convincente, sono morto e non voglio capirlo. Io sono solo un fesso, parlo troppo, parlo, vedo, sento, sento, sono il tumore della serenità cosmica, una parte del creato impazzita, ecco il mio pensiero della vita. Dovrei stare zitto ma non ci riesco, allora sarò volgare e nauseante. Astropocolopiteco, tristassassinopaco. (Ride, poi si fa serio.) Rinuncerò, per fare spazio al nuovo, perché ci deve pur essere una ispirazione da qualche parte, non c’è dubbio, e lei mia cara ne è la prova esistente, vivente. La bellezza è la verità che si vede, pura come l’ispirazione, è come sapere dove finisce il sentiero, che l’eco, la vita, torna dopo una iperbole alla sua fonte. Un bagno nella malinconia e un eterno richiamo per asciugarsi, per tornare.

Una volta da bambino, si da bambino, mi sono perso nel bosco mia cara, non sapevo più dove andare. Mi fermai, ebbi paura, mi armai. Dopo un po’ di incertezza mi feci coraggio, mi abituai, e siccome scendeva la notte accesi un fuoco e mi addormentai. Era un giorno d’inverno, al crepuscolo, la terra era bagnata ancora di rugiada e di pianto commosso. In quel sogno mi apparvero mostri spaventosi, ma anche un piccolo essere che viveva sulla luna, un giorno di pioggia e primavera, una torre di avvistamento sul mare, una rabbia sconfinata, un aula deserta, un cimitero, cani che abbaiavano lontano, la luce di una lampadina sporca di polvere della mia casa buia d’autunno, e poi sognai anche una candela bianca come il suo volto, anche di lei sognai, ma era morta, l’avevo uccisa io o stavo per farlo. Il mattino seguente mi svegliai felice, udii delle voci lontanissime che urlavano il mio nome, erano venuti a cercarmi, i nuovi uomini, quelli che riuscirono a capire, fatti della stessa materia del creato, vennero a cercarmi. Io sorrisi, poi piangendo girai le spalle e andai via, scappai lontano da loro con la mia decadenza spirituale. Andai a rifugiarmi nel cimitero dei miei ricordi, delle mie paure. Fu li che ci incontrammo ? Fuori c’è il sole, caldo. Esca se vuole, vada via. Io aspetterò la mia luce, ora che mi è tornata la memoria. Vorrei tanto vedere quel sole.

 

Requiem

L’ultima recita.

 

Mister P. è piegato per terra in un angolo, ha bocca e occhi spalancati, è immobile. Tutte le porte e finestre sono spalancate, la luce entra da ogni parte non toccando mai il suo corpo. Si odono dei passi.