IL BUNKER

Atto unico di

Fabio Basilico

Personaggi:
Alina Bosco
Giovanni Riva/Umberto Velato
Francesca Di Nardo
Matteo Germani
Soccorritore (voce fuori campo)

L’ambientazione è ai nostri giorni. La scena è occupata al centro da una struttura, delimitata da tre pareti, che riproduce uno dei bunker di salvataggio costruiti all’interno di un traforo alpino che collega Italia e Francia. Un incidente, avvenuto sulla carreggiata Nord in direzione della Francia, tra un’autocisterna e un’automobile provoca un pericoloso incendio e la dispersione di gas tossici all'interno del tunnel. Ci
sono morti e feriti. I sopravvissuti cercano rifugio all’interno dei bunker.
Il bunker, illuminato a giorno, è così strutturato: sulla parete di destra (guardando la platea) è ricavata una porta chiusa, apribile solo dal corridoio di salvataggio esterno al bunker, utilizzabile unicamente dai soccorritori per raggiungere le persone all'interno del bunker e portarle in salvo. A sinistra della suddetta porta è appeso alla parete un piccolo armadietto che funge da frigobar con cibo e bevande. Sulla parete di sinistra è ricavata una seconda porta collegata al tunnel, apribile dall'esterno, attraverso la quale
entrano le persone che si mettono in salvo. Sulla porta di sinistra sono esposti due cartelli: uno che illustra le caratteristiche del bunker, l’altro che indica il divieto di fumare e l’impossibilità di utilizzare supporti elettronici. Sulla stessa parete, in alto, all'angolo con la parete centrale, sono posizionati un interfono che permette di comunicare con il centro soccorsi e una telecamera utilizzata dal centro soccorsi per tenere sotto controllo la situazione all'interno del bunker. In centro alla parete frontale, in alto, è visibile
un timer che scandisce il countdown di un'ora e mezza, tempo limite prefissato per l'arrivo dei soccorritori. A sinistra, c'è una porta che immette nella toilette. Appoggiato alla parete centrale, spostato a destra, c'è un piccolo tavolo. Nel bunker sono posizionate anche cinque sedie.
Prima dell'apertura del sipario si odono in sottofondo rumori e suoni confusi, urla e grida, sirene di ambulanze e altri mezzi di soccorso. Rumori e suoni che si manterranno in sottofondo per tutta la durata dell’azione scenica.
1All'apertura del sipario, nel bunker non c'è nessuno. Dopo pochi secondi, da sinistra entra un uomo di cinquantacinque anni che porta con sé un borsone. Tossisce e si siede per riprendere fiato. I suoi vestiti sono sporchi e in disordine. Il timer
inizia il countdown nel momento stesso in cui l'uomo, entrato nel bunker, chiude la porta.
Dopo qualche secondo entra una ragazza di trent’anni. Anche lei tossisce e ha i vestiti sporchi e in disordine.


GIOVANNI (alzandosi in piedi) - Venga! Si sieda qui. (indica una delle sedie)
ALINA (si siede) - Mio Dio... Temevo di rimanere bloccata là dentro.
GIOVANNI - Ora è al sicuro. Non deve preoccuparsi.
ALINA - La ringrazio...Ma cosa è successo nel tunnel?
GIOVANNI - Un inferno, a quanto pare. Vuole qualcosa da bere?
ALINA - Come?
GIOVANNI - C'è un frigobar. Ha sete? Vuole dell'acqua?
ALINA - No, grazie.
GIOVANNI - Un inferno di fuoco... Da quello che ho capito, ma non ne sono sicuro, un camion do-
vrebbe essersi scontrato con un'auto. Mi trovavo sulla mia vettura a poche centinaia di metri dal punto
in cui è avvenuto l’incidente, ma ho potuto solo ricostruire i fatti basandomi sul poco che vedevo e sen-
tivo e sul racconto di altri testimoni. Gente che scappava con il terrore negli occhi. Non riuscivo a ve-
dere quasi nulla davanti a me, tutto era invaso dal fumo. In lontananza, ho scorto con difficoltà dei ba-
gliori rossi e arancioni, il fuoco di un incendio.
ALINA - Dunque è stato un incidente. Il fumo ha invaso il tunnel. Io non ho avuto la possibilità di ca-
pire quanto stava succedendo, sono entrata nella galleria che il disastro era già in corso ed era troppo
tardi: non potevo semplicemente fare marcia indietro per uscire perché altre auto e camion si erano fer-
mate dietro di me, occupando la strada. Il fumo, poi, ci stava sommergendo tutti quanti. Sono scesa dal-
la mia auto e mi sono diretta verso l'uscita d'emergenza. C’era una confusione pazzesca, urla, pianti,
persone aggressive, impaurite e disperate. Alla fine ho intravisto la segnaletica di questo bunker e sono
entrata.
GIOVANNI - Io sono Giovanni. (le porge la mano)
ALINA - Piacere, Alina.
Si stringono la mano. Si ode il segnale sonoro di avvio della comunicazione con il centro soccorsi.
SOCCORRITORE (f.c.) - Questo è il centro soccorsi del traforo. Posso sapere i vostri nomi e cogno-
mi?
I due si guardano sorpresi.
GIOVANNI - Giovanni Riva.
ALINA - Alina Bosco.
2SOCCORRITORE – Siete in uno dei cento bunker di salvataggio del traforo, sparsi lungo tutto il per-
corso, in ambedue i sensi di marcia. Cinquanta per carreggiata. Sono predisposti per il soccorso delle
persone in caso di emergenza. Tra poco verranno a prendervi e vi faranno uscire sani e salvi. La posta-
zione da cui vi parlo è esterna al tunnel. Un percorso collega il centro soccorsi ai bunker, all'esterno del-
la porta chiusa alla vostra destra: sarà da quella strada che verremo per farvi evacuare dal bunker. All'in-
terno del tunnel, nella carreggiata Nord proveniente dall'Italia e diretto in Francia si è verificato un inci-
dente tra un’autocisterna e un'automobile. Il camion ha sbandato invadendo la corsia di sorpasso occu-
pata in quel momento dalla vettura. Per ora sappiamo con certezza che ci sono tre persone decedute e
una trentina di feriti. In questo momento, i mezzi di soccorso stanno portando avanti le operazioni di
contenimento dell’incendio causato dall'incidente, di recupero dei cadaveri e di salvataggio delle persone
ancora vive. Non sappiamo ancora se ci sono esalazioni di gas nocivi. All'interno del bunker è in fun-
zione un sistema di ricircolo e pulizia dell'aria; la temperatura è costantemente sotto controllo. Potete
usufruire del frigobar contenente cibo e bevande e alle vostre spalle c’è una toilette. Grazie a questo in-
terfono sarete in contatto costante con il centro soccorsi. Per chiamare, basta che premiate il pulsante
rosso. C’è anche una telecamera grazie alla quale possiamo avere sotto controllo la situazione all’interno
del bunker.
Segnale di chiusura della comunicazione con il centro soccorsi.
GIOVANNI - Hai detto che il tuo cognome è Bosco?
ALINA - Sì, perché?
GIOVANNI - Nulla di importante. Semplice curiosità.
Silenzio.
GIOVANNI - Non ho idea di quale sia il numero massimo di individui che possono essere ospitati qua
dentro.
ALINA - Io direi almeno cinque.
GIOVANNI - Perché?
ALINA - Le sedie... Ne ho contato cinque.
Alina si alza e prende il cellulare dalla tasca.
GIOVANNI - Bell'intuizione. Complimenti.
ALINA - Non ci voleva, cazzo!
GIOVANNI - Che succede?
ALINA (mostrando il cellulare) - Non c'è campo, maledizione!
GIOVANNI - C'era da aspettarselo. Ed è anche scritto. (indica il cartello sulla porta sinistra) Dopotutto si
tratta di un bunker perfettamente isolato. Dobbiamo cercare di restare tranquilli e non preoccuparci.
Non possiamo far altro che aspettare. I soccorritori non tarderanno.
ALINA - Il fatto è che non ho voglia di stare in questo posto. Non voglio stare chiusa qui dentro.
3GIOVANNI - Non abbiamo altra scelta. Se vogliamo uscirne vivi almeno...
ALINA - Ha notato quel timer appeso alla parete? (lo indica)
GIOVANNI – Sì, certo.
ALINA - Secondo lei a cosa serve? L’operatore del centro soccorsi non ne ha fatto cenno.
GIOVANNI - E’ un timer per il countdown. Indica il tempo limite di attesa prima dell’arrivo dei soc-
corritori. Un conto alla rovescia.
ALINA - Bell'idea! Geniale! Speriamo che non arrivino ansiosi e paranoici.
GIOVANNI - Il tempo massimo di attesa è un'ora e mezza...
ALINA - Un'ora e mezza?! E' assolutamente impossibile!
Si accende una sigaretta.
GIOVANNI - Credo sia vietato.
ALINA - Cosa?
GIOVANNI (indicando la sigaretta) - Quella.
ALINA - Non c'è scritto da nessuna parte.
GIOVANNI - C’è un altro cartello appeso a quella porta. (lo indica) Quando sono entrato ho fatto in
tempo a dare un'occhiata al timer che è partito appena ho chiuso la porta alle mie spalle. Era fermo su 1
ora e 30 minuti.
ALINA - Maledizione...
Alina va alla toilette per gettare la sigaretta. Si ode lo sciacquone del water. Poi esce.
ALINA - Non c’è vasca né box doccia là dentro, ma credo si possa soprassedere per un massimo di
un'ora e mezza. Per uscire da questo monolocale per emergenze dobbiamo quindi passare da quella par-
te? (indica la porta a destra)
GIOVANNI - E’ l’unica possibilità. Saranno però i soccorritori ad aprire quella porta, dal corridoio
esterno dal quale fuggiremo fino a raggiungere l'aria aperta. Questo è un bunker di stasi, non di passag-
gio. Il tunnel è strutturato in modo tale che l’evacuazione sia possibile solo nel momento in cui l’allarme
sia completamente cessato e non ci siano più pericoli. Tenga presente che devono fare i conti anche
con possibili fughe di gas nocivi. Lo ha sentito l’operatore. Anche la porta a sinistra è chiusa e può esse-
re aperta solo dall’esterno. Comunque su quel cartello è spiegato tutto. (lo indica)
Entra una ragazza di ventott'anni. Porta con sé una borsetta. E' confusa e spaventata. Come nei due casi precedenti, i
suoi vestiti sono sporchi e in disordine.
FRANCESCA - Dove sono?
GIOVANNI - In un bunker di salvataggio. Venga, si sieda. (indica una sedia)
4FRANCESCA (sedendosi) - Io...non so... Stavo correndo come una pazza, senza sapere dove andavo...
Alina, intanto, ignorando la nuova venuta, ha aperto il frigobar e se ne sta ferma a fissarne l'interno.
GIOVANNI - Stia tranquilla... Adesso è in salvo.
FRANCESCA - Si...ma...io... (piange)
GIOVANNI (avvicinandosi alla ragazza e sedendosi accanto) - Non si preoccupi... Come si chiama?
FRANCESCA - Francesca.
GIOVANNI - Io sono Giovanni e lei (indicando) è Alina.
FRANCESCA - Piacere.
ALINA (voltandosi) - Piacere.
FRANCESCA (asciugandosi le lacrime) - Da quanto tempo siete qui?
GIOVANNI (guardando il timer) - Pochi minuti.
FRANCESCA - Perché guarda quell’orologio?
ALINA - E’ un timer. Indica il tempo di attesa dei soccorsi.
FRANCESCA - Vuole dire che dobbiamo stare qui dentro per più di un'ora? Io non credo di farcela!
Non credo proprio.
Alina e Giovanni si guardano e la prima esprime con eloquente espressione facciale i suoi sospetti sull'effetto controprodu-
cente del timer.
GIOVANNI - Quello è un limite indicativo, Francesca, serve ai soccorritori per organizzarsi.
FRANCESCA - Io non credo di riuscire a stare qui dentro tutto quel tempo!
ALINA - E' la stessa cosa che ho pensato anch'io. Ma a quanto pare non ci sono alternative. Dobbiamo
rimanere qui. Devi farcela. E, giusto perché tu lo sappia, qui dentro i cellulari non funzionano ed è vie-
tato fumare.
GIOVANNI – Già, perché non ci diamo del tu? Facilita le cose. Cosa fai nella vita, Francesca?
FRANCESCA - Sono impiegata amministrativa in un’azienda di distribuzione di prodotti alimentari.
Vivo e lavoro a Torino.
GIOVANNI - Io sono ingegnere civile. Ho uno studio di progettazione a Genova. E tu Alina? Non te
l'ho ancora chiesto.
ALINA - Lavoro come hostess presso un’agenzia organizzatrice di eventi. A Milano.
Segnale di avvio della comunicazione con il centro soccorsi.
5SOCCORRITORE - Questo è il centro soccorsi del traforo. Posso conoscere nome e cognome della
nuova arrivata?
FRANCESCA (sorpresa) - Francesca... Francesca Di Nardo.
SOCCORRITORE - Adesso mostratemi tutti e tre un vostro documento di identità. Basta che vi avvi-
ciniate alla telecamera e lo posizionate davanti all'obbiettivo.
GIOVANNI (sorpreso) - Per quale motivo?
SOCCORRITORE - Per regolamento dobbiamo registrare l'identità delle persone ospitate nei bunker.
I tre estraggono la carta d’identità e a turno si avvicinano alla telecamera. Giovanni passeggia nervosamente.
SOCCORRITORE - E’ possibile che altre persone vi raggiungano all’interno del bunker.
ALINA - Qual è la capienza massima?
SOCCORRITORE - Cinque persone.
ALINA - E se ne volessero entrare di più? Li fate aspettate fuori?
SOCCORRITORE - Lo spazio in cui siete ospitati garantisce l’ottimale sistemazione di cinque persone.
Tuttavia, in casi di estrema necessità, il bunker è progettato per ospitare otto persone in condizioni suf-
ficienti e dieci in condizioni di sopravvivenza al limite. I sensori collegati alla porta d'ingresso faranno
scattare un meccanismo di chiusura definitiva all'entrata della decima persona. Non è ovviamente possi-
bile rientrare nel tunnel a causa del rischio elevato in corso.
ALINA - Quando arriveranno i soccorsi?
SOCCORRITORE - Su questo non possiamo fornire informazioni precise. Le operazioni relative all’e-
vacuazione delle persone dai bunker sono ancora in fase di implementazione.
ALINA - Due domande. E' vietato fumare? E perché non funzionano i cellulari?
SOCCORRITORE - E’ vietato fumare perché lo prescrive la legge. C'è un avviso appeso alla porta. Per
quanto riguarda i cellulari, siete all'interno di un bunker perfettamente isolato al fine di garantire la vo-
stra incolumità fino all'arrivo dei soccorsi.
Segnale di chiusura della comunicazione con il centro soccorsi. Alina si alza, si avvicina all'interfono e preme il pulsante
rosso.
SOCCORRITORE - Problemi?
ALINA - Abbiamo notato il timer e sappiamo perché ce lo avete messo. E se ci vuole più di un'ora e
mezza prima dell'arrivo dei soccorritori? Che succede? Scoppia tutto?
SOCCORRITORE - Il timer indica il tempo massimo programmato per l’arrivo dei soccorritori. Ab-
biamo però previsto anche la possibilità che ci sia un ritardo dei soccorsi. E’ una variabile di cui tenia-
mo conto. Le operazioni di soccorso procederanno comunque e verranno portate a termine.
6ALINA - Perché allora fissare un limite e sbattercelo in faccia con quel timer appeso alla parete? Non vi
sembra poco prudente nel caso ci siano persone particolarmente impaurite o ansiose?
SOCCORRITORE - Non c’è nessun limite massimo nel prestare i soccorsi, ma prima li eseguiamo me-
glio è. Il limite massimo di un'ora e mezza è stato calcolato sulla base di una tempistica che prevede il
più alto margine psicologicamente e fisicamente accettabile di tolleranza dell’attesa prima dell’arrivo dei
soccorittori, da parte delle persone ospiti del bunker. Questo vuol dire che, nelle situazioni operative
normali, cioè statisticamente rilevanti, i soccorritori arrivano prima dello scadere del limite massimo. Il
timer è per voi la garanzia che le operazioni di salvataggio sono in corso e verranno portate a termine.
Segnale di chiusura della comunicazione con il centro soccorsi. Alina fa un gesto di stizza. Francesca intanto ha ripreso a
piangere.
GIOVANNI - Alina, calmati! Non mi sembra il caso di complicare le cose con questo atteggiamento ir-
ritante. In fondo siamo salvi. Cosa pretendi?
ALINA - E' forse vietato anche parlare? Non posso esprimermi liberamente e dire quello che penso?
GIOVANNI (si siede e ignorando lo sfogo di Alina si rivolge a Francesca) - Come mai stavi attraversando il tra-
foro? Dove stavi andando?
FRANCESCA - A Grenoble. Dal mio fidanzato...
GIOVANNI - E’ francese?
FRANCESCA - No, italiano. Però vive e lavora in Francia da cinque anni.
GIOVANNI - E come vanno le cose tra voi se posso chiedertelo?
FRANCESCA (sorridendo imbarazzata) - Per il momento bene. Tutto sembra funzionare a meraviglia,
nonostante la distanza.
GIOVANNI - A volte, la distanza è un elemento che favorisce la relazione, invece che danneggiarla...
ALINA (ironica) - A volte...
GIOVANNI - Ricordo una mia fidanzata austriaca. Ci vedevamo una volta al mese, il più delle volte
ero io che la raggiungevo a Salisburgo. Prendevo la macchina, partivo da Milano dove allora abitavo e
in poche ore ero arrivato. Mi fermavo a casa sua per quattro/cinque giorni. Avevo vent’anni, studiavo
ed ero ottimista. Centinaia di chilometri d’auto me li bevevo senza un lamento. Anzi, il viaggio non fa-
ceva che aumentare il mio stato di piacevole eccitazione...
FRANCESCA (preoccupata) - E quando vi separavate? Era difficile sopportare la situazione?
GIOVANNI - Non per me. E pure lei non ha mai dato segni di insofferenza, quindi... Ero giovane e
scommettevo cifre alte sulla vita. Tutto era in divenire, niente era prestabilito e il futuro era pieno di
ipotesi elettrizzanti. Anche in amore la vedevo così. Marianne era per me una straordinaria esperienza,
sulla quale però non volevo investire più del rischio calcolato. Tutto veniva vissuto alla giornata...Ero
come un giocatore d’azzardo che spende il suo patrimonio su più puntate... continuamente... Tutto
poteva succedere, ero felice solo per questo e il futuro era un libro aperto di pagine bianche da riempi-
re. La distanza non mi pesava. E se lo avessi voluto sarei stato con assoluta tranquillità infedele.
7FRANCESCA - E lo sei stato?
GIOVANNI - Sì. Ho sempre goduto fino in fondo le mie esperienze.
Giovanni va al frigobar. Alina entra nella toilette.
GIOVANNI - Vuoi qualcosa da bere, Francesca?
FRANCESCA - Dell’acqua, grazie...
Giovanni porta una bottiglia d’acqua a Francesca.
FRANCESCA - A volte mi sento così insicura. Non lo sopporto ma non posso farci niente. E’ come se
fosse parte della mia natura.
Alina esce dalla toilette. Segnale di avvio della comunicazione con il centro soccorsi.
SOCCORRITORE - Ci sono aggiornamenti sulla situazione nel tunnel.
In quel momento la porta a sinistra si apre ed entra un ragazzo di vent'anni. Ha con sé la custodia di una chitarra. An-
che lui porta i segni del disastro ma non pare eccessivamente spaventato.
MATTEO - Dove mi trovo?
SOCCORRITORE - Questo è il centro soccorsi del traforo. Posso sapere nome e cognome del nuovo
arrivato?
MATTEO (sorpreso dalla voce) - Dove mi trovo?!
SOCCORRITORE - All’interno di un bunker di salvataggio. Da questo momento, può considerarsi al
sicuro. In attesa dell’arrivo dei soccorritori e dell’evacuazione all’esterno, condividerà il suo tempo con
altre persone. Posso sapere il suo nome e cognome?
MATTEO - Matteo Germani.
SOCCORRITORE - Mi mostri un suo documento di identità.
MATTEO - Perché?
SOCCORRITORE - Per regolamento dobbiamo registrare l'identità delle persone ospitate nei bunker.
Matteo, con evidente riluttanza, prende la carta d'identità.
SOCCORRITORE - Si avvicini alla telecamera e mostri il documento aperto all’obbiettivo.
Gli altri mostrano a Matteo la posizione della telecamera. Matteo esegue l'ordine.
SOCCORRITORE - E' stata purtroppo segnalata la presenza di gas nocivi all'interno del tunnel. Voi
non correte alcun pericolo. L'autocisterna coinvolta nell'incidente trasportava sostanze chimiche indu-
striali da smaltire. Le operazioni di soccorso devono tener conto di questo nuovo ostacolo, ma faremo
di tutto per evacuare il bunker nei limiti stabiliti.
8Segnale di chiusura della comunicazione con il centro soccorsi. Tutti si guardano preoccupati.
FRANCESCA - Mio Dio, e adesso che succederà?
GIOVANNI (a Matteo) - Io sono Giovanni Riva. Loro sono Alina Bosco e Francesca Di Nardo (le indi-
ca). Dove stavi andando?
MATTEO - A Grenoble. Dalla mia band. Abbiamo un concerto in programma a Lione tra due giorni.
Non ci voleva questo inconveniente del cazzo! Il mio patrigno mi ucciderà per aver distrutto la macchi-
na nuova in un tamponamento che non sono riuscito a evitare.
FRANCESCA - L’importante è che tu sia sano e salvo.
MATTEO - Non conosci il boss. E’ capace di fare tragedie per molto, molto meno.
ALINA - Se vuoi qualcosa da bere, lì c’è un frigobar. C’è anche da mangiare.
MATTEO - Ho fame, si. Credo che prenderò qualcosa. Ci sono panini? (va verso il frigobar)
ALINA - Panini, sì. A prima vista commestibili, anche se avvolti in un'orribile involucro di plastica aset-
tica.
Matteo prende un panino e inizia a mangiare.
FRANCESCA - Beato te che riesci a mangiare. Io ho lo stomaco in subbuglio.
ALINA - Mangia, Matteo. Finché non arriveranno divieti dall'alto.
MATTEO - Ma che razza di posto è questo? Una roba che dà i brividi...
ALINA - Sono d’accordo con te. Ma è quanto di meglio possiamo permetterci in questa situazione.
Spero solo che i soccorritori arrivino al più presto. (ironica) L’aria qua dentro sta diventando irrespirabi-
le. Ah, un piccolo suggerimento: scordati il cellulare e pure di fumare, se eventualmente....
Giovanni e Francesca si guardano.
MATTEO - ...non fumo.
FRANCESCA - Ottima cosa.
ALINA - Ah, lei è Miss Le Cose Devono Andare Bene.
FRANCESCA - Smettila! Non sei affatto spiritosa.
GIOVANNI - Ragazze, basta! Perché non proviamo a rilassarci e a fare amicizia? Non abbiamo nulla
da perdere e forse qualcosa da guadagnare.
MATTEO - Un momento... Io qui dentro non ci voglio stare più del necessario. Quanto ci mettono i
soccorritori ad arrivare?
ALINA - Armati di pazienza, amico. Dai un’occhiata a quel timer (lo indica) ... Cosa ci leggi?
9MATTEO - Più di un’ora! Cosa?! Ma vuoi siete matti se pensate che io resista qui dentro per tutto que-
sto tempo.
GIOVANNI - E’ quello che invece sarai costretto a fare. Tutti siamo costretti. E comunque stando a
quello che ci hanno detto, i soccorritori potrebbero arrivare anche prima.
ALINA - O dopo.
MATTEO - Ma è assurdo, cazzo. Pazzesco.
ALINA - Per fortuna non sono l'unica a pensarla così.
MATTEO - Cosa credono di fare quei coglioni la fuori?! Non possono costringermi a stare qui dentro!
FRANCESCA - Stai zitto! Possono sentirci, non l'hai ancora capito?!
ALINA - E allora?
GIOVANNI - E’ inutile, Matteo. Non abbiamo possibilità di uscire. La porta da cui sei entrato non
può essere aperta dall’interno e quella a destra è apribile solo dall'esterno. Da lì arriveranno i soccorrito-
ri.
MATTEO - Scusa, ma tu sei uno dell’ambiente? Come mai sai tutte queste cose?
ALINA - Lui è Mister Sono Io L'Esperto.
GIOVANNI - Ora basta! Mi hai stancato con queste stronzate! Cerca di avere maggiore rispetto e so-
prattutto di stare buona e tranquilla. Qui dentro ci dobbiamo rimanere tutti e non voglio dover incaz-
zarmi e prendere a calci in culo chi si rifiuta di collaborare e si mette a complicare le cose. Sono stato
chiaro?!
MATTEO (prendendo a calci la porta a sinistra) - Fanculo!
FRANCESCA - Dio, smettila! Smettila!
GIOVANNI - Se fossi tuo padre, non te la farei passare liscia, ragazzino... Altro che macchina distrut-
ta...
MATTEO - Per fortuna che non lo sei... In quanto al mio vero padre, sono stato fortunato: non ho
mai avuto una sola sberla da lui, visto che non ne ho alcun ricordo.
GIOVANNI - Comunque Alina, se fossi in te imparerei a moderare il linguaggio. Non mi sembra che
Francesca ti abbia offesa. E nemmeno il sottoscritto.
ALINA - Non avevo dubbi che l’avresti difesa. Evidentemente, sei anche tu uno di quelli che pensano
sempre e solo al lieto fine.
GIOVANNI - Se è per questo ti sbagli. Giusto per fare un po' di conversazione, ti informo che attual-
mente convivo ma ho un matrimonio finito molto male alle spalle... Mia figlia non era neanche nata:
abbandonai lei e sua madre, fregandomene di tutto e di tutti; me ne andai vivendo dentro di me un mi-
sto di paura e di schifo per me stesso. Come vedi, anch’io ho poca dimestichezza con le favole a lieto
fine.
10MATTEO - Allora come padre sei proprio negato. Peggio del mio patrigno.
GIOVANNI - Prima sicuramente. Ora credo... spero di no... La mia attuale compagna aspetta un
bambino. Nascerà tra due mesi.
FRANCESCA - Ti faccio i miei migliori auguri, Giovanni.
GIOVANNI - Grazie.
ALINA - Ma che bel quadretto...
Silenzio.
ALINA (a Francesca) - Non volevo offenderti. E' che non sopporto questa situazione. Mi rende parec-
chio nervosa. Ovviamente voi non c'entrate niente con quel maledetto incidente.
FRANCESCA (a Giovanni) - Hai più rivisto tua figlia?
GIOVANNI - No, purtroppo. Sua madre me lo ha sempre impedito. Non posso darle torto, anche se
pensavo che tutto questo odio verso di me sarebbe prima o poi scomparso o almeno diminuito. A che
serve poi, ora? Non voglio pensare che abbia usato nostra figlia contro di me, ma certo la vendetta di
quella donna è stata spietata. Dopo che ho perso la patria potestà è stato praticamente impossibile ri-
vendicare qualche legittimità legale su mia figlia. Anche senza avanzare pretese... Ho speso una fortuna
in avvocati, inutilmente. Adesso, ha trent'anni e non so neppure il suo nome. Spero solo che stia bene
ma so per certo che la sua vita non deve essere stata facile.
ALINA - E la tua ex moglie?
GIOVANNI - Ho saputo che non si è più risposata. Forse qualcuno l’ha aiutata ad allevare nostra fi-
glia. All’epoca in cui me ne andai, non lavorava.
MATTEO - L’hai abbandonata incinta e senza un lavoro?!
GIOVANNI - Sì. Quando me ne sono andato, mia figlia non era ancora nata. Ho passato anni terribili.
Poi, finalmente, ho incontrato Luise.
ALINA - E lei che stai raggiungendo, quindi...
GIOVANNI - Sì. Per una breve vacanza. In Provenza. Lei è francese, di Parigi. Vive e lavora in Italia
con me, per fortuna, ma periodicamente torna in Francia per trovare la sua famiglia d’origine. E’ una
giornalista.
ALINA - E dov’è in questo momento?
GIOVANNI - Su un TGV partito da Parigi e diretto a Lione. Credo che arriverà tra poco. Peccato non
poterla avvertire di questo ritardo.
MATTEO - Già. In questo fottuto posto non funzionano i cellulari. Avrebbero dovuto prevedere un
sistema di copertura, porca puttana. Pezzi di merda!
FRANCESCA - Piano, Matteo. Per favore. Dal centro soccorsi possono sentirti.
11MATTEO - Che sentano pure. Non me ne frega assolutamente nulla. (va alla toilette)
GIOVANNI - E tu Alina, perché stai andando in Francia?
ALINA - Lavoro. Un meeting internazionale dedicato alla chirurgia estetica. Hostess di reception.
Devo assolutamente arrivare a Saint-Étienne entro stasera.
GIOVANNI - Hostess di reception? Vuoi dire una di quelle belle ragazze che sorridono sempre all’arri-
vo degli ospiti, dando informazioni e suggerimenti?
ALINA - Più o meno. L'essere oche non è però scritto nel contratto.
Si sente il rumore dello sciacquone del water. Poi Matteo esce dalla toilette.
FRANCESCA - E tu Matteo? Hai parlato di un amico musicista...
MATTEO (sedendosi e accarezzando la custodia della chitarra) - Qui dentro c'è il mio basso. Faccio parte di
un gruppo. A Lione abbiamo in programma un concerto. Non sono un professionista però, suono per
passione, per il momento. Ufficialmente sono uno studente. Facoltà di Psicologia all'Università di Mila-
no. Quando avevo sedici anni, il mio patrigno simpaticamente sosteneva che avessi bisogno di uno psi-
coterapista o addirittura di un neuropsichiatra. E' da lì che è nato il mio interesse per la psicologia. Sem-
bra incredibile ma è vero.
FRANCESCA - E cosa hai fatto? Sei entrato in terapia?
MATTEO - Ho fatto di tutto per andarci. La dottoressa tra l’altro era davvero una gran bella figa. Mi
sono trasformato in un bravo ragazzo e nessuno ha avuto più da ridire.
Segnale di avvio della comunicazione con il centro soccorsi.
SOCCORRITORE - Vorrei parlare con la persona che si fa chiamare Giovanni Riva.
GIOVANNI (sorpreso) - Che intende dire con “che si fa chiamare”? Io sono Giovanni Riva!
SOCCORRITORE - Ne è sicuro?
GIOVANNI - Ma che sta dicendo?
SOCCORRITORE - Abbiamo fatto le nostre ricerche ed è emersa una diversa verità.
GIOVANNI - Quale verità? Non capisco di cosa stia parlando...
SOCCORRITORE - Lei non è Giovanni Riva. La sua carta d'identità è dichiaratamente falsa.
GIOVANNI (avvicinandosi all'interfono) - Come si permette di fare simili insinuazioni? Si rende conto di
quello che sta dicendo?
SOCCORRITORE - Il suo vero nome è Umberto Velato.
Gli altri si guardano stupiti. Giovanni rimane ammutolito.
12SOCCORRITORE - Lei è nato a Rieti cinquantacinque anni fa. Ha studiato Ingegneria civi le a Roma,
si è laureato a ventiquattro anni e nello stesso anno a Milano ha costituito la società di progettazione e
costruzione edile Building Srl, di cui è stato Direttore generale per nove anni. Processato per corruzione
subito dopo, è stato condannato a cinque anni di reclusione. Scontata la pena, ha svolto diversi lavori in
Italia e all'estero. Verso la fine del primo decennio del nuovo secolo ha fondato a Genova la società di
progettazione e intermediazione immobiliare House 2000 Srl, di cui è tuttora Presidente e Direttore ge-
nerale. Pochi anni dopo la Procura di Genova ha avviato un'indagine tuttora in corso su una presunta
truffa relativa alla costruzione del centro direzionale Speranza in località Sestri Ponente. Umberto Vela-
to, lei non può espatriare senza una precisa autorizzazione. Il bunker che la ospita è già in territorio
francese. Date le circostanze, non essendoci pericoli immediati di fuga, il suo rimpatrio in Italia è posti-
cipato al momento dell'arrivo dei soccorritori, che saranno accompagnati da rappresentanti delle forze
dell'ordine francesi e italiane.
GIOVANNI - Quello che dice non è assolutamente vero. Non c'è alcuna restrizione nei miei confronti
in merito a un'eventuale espatrio per periodi limitati.
SOCCORRITORE - Ne è sicuro? Perché vede, a noi non risulta.
GIOVANNI - Glielo posso dimostrare. Mi faccia parlare con il mio avvocato.
SOCCORRITORE - Purtroppo non è possibile. Come già sa, non è consentito utilizzare all'interno del
bunker telefoni cellulari o altri supporti elettronici. E per motivi di sicurezza lei non può lasciare il bun-
ker.
GIOVANNI - Ma questo è un sopruso! Parli lei con il mio avvocato. Lo contatti.
SOCCORRITORE - Ciò che mi chiede esula dalle mie competenze.
GIOVANNI - Non potete trattarmi così!
Segnale di chiusura della comunicazione con il centro soccorsi. Silenzio. Giovanni si siede.
ALINA (incredula) - Il tuo vero nome lo conosco... molto bene. Certo che lo conosco.
GIOVANNI (a tutti) - Non crederete a quelle falsità?!
ALINA - Dicci allora tu in cosa dovremmo credere.
Silenzio.
UMBERTO - E' vero. E' tutto vero. Mi chiamo Umberto Velato. Sono stato costretto a falsificare la
mia identità per sfuggire a una macchina giudiziaria che agisce in tutto fuorché in nome della giustizia.
Devo difendermi, sono innocente.
ALINA - Innocente?
UMBERTO - Sì. Non ho commesso alcun reato di truffa collegato a quel centro direzionale. Ho già pa-
gato con il carcere i miei errori del passato, non sono disposto a pagare per ciò che non ho commesso.
ALINA - Io so chi sei. Adesso lo so, ne sono sicura. Non l'hai ancora capito, vero?
UMBERTO - Cosa? Cosa?!
13ALINA - Quando ti sei laureato, eri un sognatore. Forse perché eri giovane, anche se sono convinta
che i sogni appartengono a tutte le stagioni della vita perché per sognare basta essere vivi e non è detto
che a vent'anni lo si sia sempre.
Silenzio.
ALINA - Eri un sognatore, già... Avevi grandi progetti. Eri anche innamorato. Avevi una donna al tuo
fianco, che credeva in te e ti amava. Quando hai costituito la prima società, insieme a due tuoi ex com-
pagni di studi, uscivi di casa con il sorriso e la tua energia sembrava espandersi dietro ogni tuo movi-
mento. Eravate sposati tu e quella donna, convivevate in un bilocale arredato con cura. La donna, la tua
donna, rimase incinta. Nacque una bambina. Sì, Umberto, il nome di quella donna è Anna Bosco, mia
madre. Quella bambina sono io.
Segnale di avvio della comunicazione con il centro soccorsi. Umberto si lascia cadere ammutolito su una sedia.
SOCCORRITORE - Devo comunicare che la situazione è a tal punto grave che siamo costretti a im-
piegare tutti gli uomini delle squadre di soccorso sia del versante italiano che di quello francese nel ten-
tativo di arginare l’incendio e la dispersione di gas tossici e mettere in salvo più persone possibile. L'in-
cendio ha quasi lambito i due terzi del tunnel in carreggiata Nord e i gas nocivi si stanno ancora diffon-
dendo in modo incontrollato. Comunicheremo quando saranno di nuovo disponibili i soccorritori de-
stinati ai bunker di salvataggio.
Segnale di chiusura della comunicazione con il centro soccorsi. I quattro si guardano spaventati. Francesca si avvicina ad
Alina.
FRANCESCA - Va tutto bene?
ALINA - No, per niente. Voglio uscire. Subito!
Umberto si alza e si avvicina lentamente ad Alina. Francesca si allontana.
UMBERTO - Sono contento di conoscerti di persona, Alina. Prima, quando ho sentito il cognome Bo-
sco, ho come avuto un presentimento ma ho lasciato perdere. In fondo, quante persone sconosciute
hanno lo stesso cognome? Ora so che tu porti il cognome di tua madre Anna.
ALINA - Vuoi sapere perché? Subito dopo la mia nascita lei si preoccupò di togliermi il tuo. Lo consi-
dera tuttora un marchio infame.
UMBERTO - Non sai quanto ho atteso questo momento, anche se avrei preferito viverlo in un'altra
circostanza. Avrei voglia di dirti chi sono e soprattutto di abbracciarti per farti capire quanto ti amo,
quanto ti ho sempre amata, figlia mia. Ora finalmente ti conosco, so il tuo nome e posso dirti che sono
tuo padre... Mia figlia... Dio, è incredibile!
ALINA - Tua figlia?!
UMBERTO - Sì, Alina. Sì!
ALINA - Lo credi davvero? Pensi che basti fare le presentazioni per mettere tutti i pezzi del puzzle al
loro posto? Forse ne hai persi qualcuno per strada, qualche passaggio importante, ce ne sono stati di
pezzi nel puzzle di questi ultimi trent'anni. A cominciare dal primo, quello di farmi da padre quando
sono nata. (a tutti) Sapete cos’ha fatto questo bastardo? Ha avuto il coraggio di abbandonare mia madre
14un mese prima che partorisse. (a Umberto) Te ne sei andato con un'altra. Ci hai abbandonate! Io sono
nata e mi sono nutrita al seno di una donna tradita e disperata. Nelle mie vene è stata iniettata la dispe-
razione e l’odio.
UMBERTO - Gli affari alla Building non andavano bene. Non sapevo cosa fare. Quando incontrai la
figlia di un noto imprenditore pensai subito di approfittarne per entrare nelle grazie del padre. L'ho fat-
to per la mia famiglia e ho finito per distruggerla. Mi legai a quella donna per convenienza. In cambio
promisi di lasciare mia moglie e l'unica figlia che ancora non era nata. Era questa la condizione che
quella donna mi aveva posto e io accettai per avere il denaro del padre. Avevo bisogno di soldi per tua
madre e per te che stavi nascendo. Una volta avuti quelli, sarei ritornato da voi. Era questo il mio piano.
ALINA - Piano fallito.
UMBERTO - Appena lasciata la famiglia, il padre imprenditore accettò di finanziare la mia azienda as-
sumendone però il pieno controllo. E poi non c'era amore per me in quella donna. Io ero solo un ca-
priccio. Il suo solo scopo era divertirsi ed esercitare potere assoluto su un'altra persona, pura cattiveria e
una grande dose di noia da ammazzare divertendosi a fare del male agli altri. Mi ricattava. Se fossi tor-
nato da te e da Anna mi avrebbe usato come capro espiatorio in un’indagine su un traffico di droga, in
cui era coinvolto il padre.
ALINA - Ma non ti sei fermato. Dopo aver sacrificato la famiglia hai deciso di osare di più. Volevi tor-
nare in alto, recuperare soldi e potere. Così ti sei messo a fare il truffatore. Mi fai schifo.
UMBERTO – Non sono un truffatore e ho pagato il mio debito passato. Ora ho diritto di vivere la mia
nuova vita.
ALINA - Un debito o mille debiti: che differenza fa per me Umberto? Me lo dici che cazzo di differen-
za può esserci?
UMBERTO - Ho pagato caro per i miei errori.
ALINA - Per alcuni...
UMBERTO - Hai ragione. Altri errori sembra non possano essere riparati. Lo so benissimo. Ma so an-
che che non voglio dare al senso di colpa più spazio di quello che si è ormai preso dentro di me, consu-
mandomi.
ALINA (a tutti) - Sentito? Non vuole che il senso di colpa lo infastidisca più di tanto.
UMBERTO - Non è come pensi, Alina. La mia è una guerra lunga e dolorosa che continua da trent’an-
ni. Senza una tregua, senza un attimo di pace.
ALINA - Anche la mia è una guerra, Umberto. Anche quella di mia madre è una guerra! Giorno dopo
giorno la donna che avevi sposato – per amore, te lo concedo – si è consumata, alimentando odio e
rancore, coltivando la vendetta come un piacere orgasmico desiderato e ambito fin dentro le viscere. Io
ho fatto parte di tutto questo, ne sono ancora parte.
FRANCESCA (a Umberto) - Se non era per te, a quest'ora saremmo fuori da questo maledetto bunker.
MATTEO - Non dire scemenze. Cosa c’entra lui con l’incidente nel tunnel? E poi dove vorresti anda-
re? Là fuori a respirare i gas nocivi, rischiando di finire al rogo?
15UMBERTO (a Francesca) - Ce la faremo.
Umberto mette una mano sulla spalla di Francesca che reagisce spostandosi e fissando incollerita l'uomo senza dire nulla.
ALINA (a Umberto) - Che fine ha fatto?
UMBERTO - Chi?
ALINA - La tua amante.
UMBERTO (ridendo amaramente) - Lasciamo perdere.... E' riuscita a evitare il carcere grazie alle cono-
scenze e alle connivenze criminali. Come il padre del resto, Presidente di un Gruppo finanziario che
però faceva soldi soprattutto con ogni genere di business criminale. Io trascorsi cinque lunghi anni a
San Vittore per tentata corruzione contro pubblico ufficiale. Tutto vero. Ero parte di quel mondo e la
condanna me la sono meritata. Cinque anni, il primo dei quali addirittura in isolamento. Avevo perso
tutto. Quando uscii dal carcere, mi arrangiai facendo qualsiasi tipo di lavoro.
ALINA - Mamma perse il lavoro precario e sottopagato che aveva come cassiera in un supermercato, si
mise a fare le pulizie ma lavorava poco e male. Hai idea di cosa vuol dire farsi accudire da vicine di casa
che bevono, si drogano o si scopano il primo venuto mentre tu te ne stai a giocare con una bambola
nella stanza accanto, aspettando tua madre che è fuori casa da quasi dodici ore? Hai idea di cosa signifi-
chi convivere con il puzzo dei muri marci in disfacimento di una bettola presa in affitto? Hai idea di che
cazzo passi per la testa di una bambina che all'asilo, e poi a scuola, si sente diversa quando vede i suoi
compagni attorniati da una madre e da un padre? Lo sai tutto questo brutto bastardo? Lo sai o te lo
devo spiegare nei minimi dettagli?!
Alina, infuriata, si avvicina al padre per picchiarlo. E' trattenuta da Francesca che la convince a sedersi.
ALINA (piangendo) - Non ci ha neppure aiutate quando è riuscito a costituire la sua seconda società.
Neppure allora si è fatto vivo, né lui né i suoi maledetti soldi del cazzo!
UMBERTO - Non avevo il coraggio. E avevo paura. Tu ti eri fatta grande, sentivo di aver perso tutti i
momenti importanti della tua vita. Non sapevo come presentarmi a te. Non ti conoscevo. Sapevo dove
abitavate insieme, tu e Anna; addirittura avevo l'indirizzo dell'appartamento dove ti sei trasferita per vi-
vere autonomamente. Sapevo tutto ma non ho mai avuto il coraggio di guardarti, neppure da lontano.
Silenzio.
ALINA (a tutti) - Vi chiederete come faccio a sapere tutto questo. Com'è possibile che io abbia tutte
queste informazioni su una persona che non ho mai visto in vita mia? Ebbene, mia madre si è nutrita di
odio e l'odio corrode, producendo un'energia nera inesauribile. Mi ha sempre detto tutto, sapeva tutto,
perché andava in giro a chiedere, leggeva i giornali, rompeva i coglioni a tutti. (ride)
UMBERTO - C'è qualcosa di importante che non poteva sapere. Io vi ho sempre amate.
ALINA (di nuovo all'attacco del padre e trattenuta da Francesca) - Balle! Solo balle! Sei un fottuto bastardo di
merda! Un verme! Smettila di parlare! Smettila!
Segnale di avvio della comunicazione con il centro soccorsi.
SOCCORRITORE - Comunico che nella parete Est della carreggiata Nord che dall'Italia conduce in
Francia è franata la volta del tunnel a circa duecento metri dalla fine del traforo in territorio francese.
16Stiamo facendo tutto il possibile per arginare i danni. Vi trovate in un'area della carreggiata al momento
non interessata da potenziali fenomeni franosi.
Segnale di chiusura della comunicazione con il centro soccorsi.
UMBERTO - Ci mancava solo la frana.
MATTEO - Quante probabilità ci sono che accada anche qui?
UMBERTO - Non lo so. Non ne ho la minima idea.
FRANCESCA - Non abbiamo altra scelta che aspettare impotenti, vero? Io mi domando perché, per-
ché?!
Silenzio.
UMBERTO - Puoi anche non credermi, Alina. Certo non ti biasimo. Ma con il tuo giudizio sferzante e
la tua intransigenza nel tracciare con certezza assoluta quale sia il confine tra bene e male non puoi
comprendere ciò che provo. Non fino in fondo. Neppure io sono capace di farlo, se è per questo.
ALINA - Sei solo in cerca di facili assoluzioni. Da me però non le avrai. Mai!
UMBERTO - Non le voglio, se non vengono da te con sincerità. Non rinuncio però a difendermi.
ALINA - Proprio come quando hai cambiato il tuo nome e falsificato i documenti.
UMBERTO - Ho dovuto farlo. Non avevo altra scelta, lo capisci? Quando sono uscito dal carcere ho
rigato dritto. Ho lavorato sodo e ho finito con il pestare i piedi a qualche pezzo grosso. Così mi hanno
incastrato per farmi fuori, costruendo prove false su un mio inventato tentativo di truffa ai danni di un
consigliere regionale della Liguria. Che guarda caso è titolare di una società immobiliare in affari con la
criminalità organizzata. Non ci crederai, ma la moglie di quel consigliere è la donna a cui mi ero legato
in passato. Sì, proprio lei, che mi convinse a lasciarvi. (si siede disperato) Come ho potuto essere così stu-
pido? Come ho potuto? E' evidente che non ha smesso di giocare con la mia vita.
ALINA - Ancora ti giustifichi e fai la vittima? Ancora addossi ad altri le responsabilità delle tue azioni?
Sei tu che hai lasciato la tua famiglia. Lo hai fatto di tua volontà. Potevi stare accanto a me e a mia ma-
dre e tentare altre strade per superare la crisi della Building. Hai scelto un'altra strada e ne devi pagare le
conseguenze.
UMBERTO - Hai di nuovo ragione. Ma come puoi vivere sapendo che quando commetterai un errore
non avrai possibilità di ricominciare? Dimmelo, Alina: è questa la vita per te?
ALINA - Come vivo non è affar tuo! Non lo è mai stato del resto. Forse vorresti il mio perdono? E'
questo che mi stai chiedendo? Il mio cristiano perdono?
UMBERTO - No. Credo di essere ancora nella fase in cui sono io a dovermi impegnare per smettere di
punirmi e iniziare a perdonarmi. Ce la sto mettendo tutta, ce l'ho sempre messa tutta. Sono stato un cri-
minale, carcerato e poi liberato ma forse mai redento del tutto. E ancora in fuga dalla cosiddetta giusti-
zia. Ma sono anche un marito ancora innamorato e un padre entusiasta che soffre per la vergogna di
aver fatto una scelta così radicale come quella di allontanarmi da mia moglie e da mia figlia. (si avvicina e
prende un braccio di Alina che si discosta immediatamente) Io ci sono, Alina! C'ero e ci sono!
17ALINA - Lasciami! Non toccarmi!
Silenzio.
ALINA - Non c'eri quando a tre anni, la domenica, chiedevo sempre a mia madre di comprarmi i pa-
sticcini. Lei entrava al Bar Centrale, quello delle tende verdi, i vasi dei fiori sui tavoli, l’intenso profumo
di brioches. Tu e lei ci andavate spesso prima che nascessi. Me lo ha detto, sai?
UMBERTO - Ricordo benissimo quei momenti.
ALINA - Però non ricordi il mio primo giorno di scuola alla Leopardi. Il cortile era pieno di bambini
emozionati, io indossavo un vestitino rosso che spiccava sotto il sole, la cartella pesante sulle spalle.
Non c'eri neanche quando quell’anno partecipai alla festa in maschera per il carnevale del quartiere. Fa-
ceva caldo quel giorno di febbraio, sembrava primavera. Indossavo il costume di Cat Woman. Mamma
ci aveva passato non so quante notti a cucirlo. (ironica) Non potevamo permetterci di comprarlo nuovo.
Silenzio.
ALINA - Non c'eri nei momenti più bui. Non ci sei mai stato. Non quando a scuola trattenevo a stento
la lacrime mentre, davanti a quei fottuti temi sulla famiglia, non volevo raccontare le cose a metà ma lo
facevo per sentirmi ancora peggio e farmi del male. “Alina vive con la madre ed è senza padre. Il padre
non c’è, forse non è mai esistito”. Non c'eri quando quelle troie delle mie compagne di classe al ginna-
sio mi chiamavano “orfanella”, quando le prime esperienze amorose finivano male e dell'essere uomo
mi rimaneva nel cuore e in testa solo negatività; quando piangevo terrorizzata stringendo tra i denti le
lenzuola del letto perché nell'altra stanza mamma urlava, piangeva disperata e spaccava tutto.
UMBERTO - Posso solo immaginare quanto Anna debba avere sofferto.
ALINA (sarcastica) - Immaginare, certo. L'immaginazione non costa nulla.
UMBERTO - Invece quello che è successo con il tuo ex fidanzato è reale.
ALINA (sorpresa) - Che intendi dire?
UMBERTO - Che so tutto.
ALINA - Tu non sai nulla! Nulla!
UMBERTO - Penso che il tuo dolore sia ancora molto forte. In fondo, non è passato tanto tempo. E'
una storia lunga. Come tutte le storie che hanno a che fare con te e tua madre. C'è stato un momento
che non riuscii a resistere e per la prima volta sconfissi la vergogna e la paura di contattarvi. Scrissi una
lettera ad Anna. Non mi aspettavo alcuna risposta da parte di tua madre, sentivo di doverlo fare e l'ho
fatto. Invece la risposta arrivò. Anna mi scrisse parole piene di rancore e di odio. Alla mia richiesta di
potervi vedere, rispose che mai e poi mai avrebbe permesso a sua figlia di avvicinarmi. Chiesi in alterna-
tiva delle foto tue, non me le hai mai inviate. Scrisse che neppure tu avevi voglia di vedermi, che era
meglio se fossi sparito definitivamente dalla vostra vita, che fossi morto. Mi disse anche che stavi viven-
do un brutto momento a causa di uno stronzo che ti aveva fatta soffrire. Il tuo ex convivente, il primo
uomo per il quale avevi deciso di lasciare tua madre per vivere autonomamente. Scrisse il nome di quel-
l'uomo. Questo fatto mi colpì. Mi chiesi se fosse stata una “svista confidenziale” o il desiderio inconscio
di Anna di coinvolgermi come padre. Mi aggrappai a quest'ultima ipotesi, contento di essere finalmente
parte della famiglia. E decisi di aiutarti. Per la prima volta come padre. Per la prima volta potevo fare
qualcosa per non sentirmi ancora meschino e impotente di fronte a mia figlia e a mia moglie. Iniziai a
18cercare informazioni su ciò che era successo con quell'uomo, chiesi in giro, conobbi persone che mi
raccontarono i particolari.
ALINA - Chi?
UMBERTO - Persone che non conoscevano te ma che avevano avuto a che fare con il tuo ex. Ognuno
ha aggiunto un pezzo al puzzle.
Silenzio. Il timer si ferma.
UMBERTO - Il tuo ex si chiama Guido Storti, ha 29 anni e ti ha ripetutamente picchiata.
Matteo e Francesca guardano allibiti Umberto. Segnale di avvio della comunicazione con il centro soccorsi.
SOCCORRITORE - Abbiamo stabilito le cause dell'incidente. L'autocisterna è stata investita dall'im-
provvisa frana nel settore Nord della galleria in direzione della Francia. L'autista ha perso il controllo
del mezzo che si è scontrato con un'automobile in fase di sorpasso provocando l’incendio e l'esplosione
della cisterna con la dispersione dei liquidi contenuti e dei gas tossici.
I quattro si guardano sorpresi e spaventati.
SOCCORRITORE - La frana si propaga lungo la parete orientale della carreggiata Nord. Attualmente,
non siamo in grado di valutare l'entità del fenomeno, tutt'ora in corso.
Segnale di chiusura della comunicazione con il centro soccorsi.
MATTEO - La situazione è grave.
FRANCESCA - In cosa dobbiamo sperare allora? Vi rendete conto che da questo posto non usciremo
più? (indicando il timer) Guardate il timer. Si è fermato.
Silenzio. Tutti guardano il timer.
MATTEO - Troveremo una soluzione. Io non ho nessuna intenzione di morire in questo buco.
FRANCESCA - Cosa proponi allora? Di starcene qui senza far niente ad aspettare che tutto ci crolli ad-
dosso?
MATTEO - Non abbiamo altra scelta che aspettare. Cazzo! Cazzo!
UMBERTO - Matteo ha ragione. Non possiamo fare altro se non parlare per rimanere vivi e svegli. Ve-
drete che verranno a prenderci. Siate ottimisti, vi prego. Il fatto che dal centro soccorsi continuino a co-
municare con noi, dimostra che sono al corrente della nostra situazione e non ci lasceranno qui dentro
a morire come topi in trappola.
FRANCESCA - Hai visto il timer? Perché si è fermato?
MATTEO - Forse per un semplice guasto tecnico.
FRANCESCA - Non credo proprio. E' come un brutto presentimento.
19ALINA - Basta! Non sappiamo perché quel maledetto timer ha smesso di fare il conto alla rovescia.
Forse non lo sapremo mai. Non credo però sia così importante saperlo. Non a questo punto almeno.
Quel che conta è uscire al più presto. (a Umberto) Dal momento che ci tieni così tanto a parlare, spiega-
mi cos’hai scoperto di così importante su quel bastardo che viveva con me. (si siede)
UMBERTO - Sei anni fa tu e Guido andaste a vivere insieme. Alcuni suoi amici mi hanno detto che al-
lora faceva il cameriere in un bar molto frequentato del centro di Milano, in Via Durini. Oltre all'attività
principale, Guido aveva però iniziato a gestire un giro di spaccio di anfetamine. Lo faceva al di fuori
dell'orario di lavoro.
ALINA - Non l'hanno mai preso, il bastardo.
UMBERTO - Già. I suoi genitori non sapevano nulla della doppia vita del figlio. Nessuno in verità lo
sapeva, tranne qualche amico fidato. Due brave persone i genitori di Guido: il padre, ex dipendente
Enel in pensione, la madre insegnante di liceo. Guido non era solo spacciatore ma anche consumatore
abituale di quella robaccia.
ALINA (in lacrime) - E io come una stupida non mi sono mai accorta di niente. Niente!
Il padre le si avvicina ma la ragazza lo respinge.
UMBERTO - L'abuso di droga altera progressivamente l'umore e i comportamenti di Guido. Il giovane
è sempre più irrequieto, instabile, sul lavoro è assente e impreciso, distratto, a volte è violento, spesso
molto violento con i colleghi e anche con qualche cliente. E' violento anche con Alina. Per tutto l'anno
che hanno convissuto sono state numerose le volte che l'ha picchiata. Poi viene licenziato. Quando per-
de il lavoro, Guido perde definitivamente la testa. Giunto a casa si sfoga contro la sua fidanzata. (guarda
Alina) Non è la prima volta che ti mette le mani addosso. Ma le botte stavolta sono così violen-
te e le tue grida così forti e disperate che una vicina chiama il 113. Guido scappa, non lo rivedrai mai
più. In fondo lo speri, visto che ti ha già fatto troppo male. Chiedi aiuto alla vicina e quando arriva l'am-
bulanza hai la fortuna di raggiungere viva il pronto soccorso.
ALINA - Mi hanno salvata per miracolo. Sono stata in ospedale due mesi.
Silenzio.
FRANCESCA (sorpresa e incuriosita) - E dove è fuggito?
UMBERTO - In Francia, a Grenoble. Si è rifugiato proprio là. Quando lo seppi, il mio unico proposito
fu quello di andare là e ammazzarlo. Ma non potevo farlo. Non potevo rovinare ancora la mia vita con
un reato, un omicidio per giunta. Senza contare che la mia situazione era già troppo compromessa e
non potevo permettermi di comprometterla anche solo per averlo minacciato. Lui invece faceva lo spa-
valdo. In Francia non si è neppure preoccupato di cambiare nome.
MATTEO (sorpreso e incuriosito) - E non è più tornato in Italia?
UMBERTO - No. A Grenoble aveva una casa dove vivere, un posto sicuro, l'appartamento che una
sua amante aveva affittato a suo nome per lui. Sì è rifatto una vita, un lavoro regolare e lo spaccio come
arrotondamento. In Francia ha creato un nuovo giro, è entrato in contatto con le persone giuste. La
Francia è il suo rifugio, Grenoble la sua tana (ride) Sapete? Guido ha dentro di sé una parte positiva,
ama la musica, è bravo con la batteria. Mi hanno detto che tiene concerti con un gruppo di amici. A
Grenoble e nel resto del paese ha un certo seguito di fans.
20MATTEO - Sai anche il nome del gruppo?
UMBERTO - Certo. Gli “Out of Order”.
MATTEO - Come hai detto? No, non è possibile! Stai dicendo un mare di cazzate!
UMBERTO - Niente affatto.
MATTEO - Ma quello è il nome del mio gruppo! Tu stai parlando di Guido Storti, il nostro batterista,
l'amico che sto raggiungendo a Grenoble per il prossimo concerto.
ALINA - Tu saresti amico di quel bastardo di Guido?
MATTEO - Guido è una persona fantastica. Sono solo falsità quelle che sta riferendo.
ALINA - Per quello che riguarda la parte italiana del racconto, posso confermare tutto. Mi dispiace,
Matteo, ma Guido non è la persona che credi.
FRANCESCA (a Umberto) - Hai detto che aveva un'amante...
UMBERTO - E' durata poco. Un anno dopo i due si erano già lasciati.
FRANCESCA - E l'appartamento?
UMBERTO - L'affitto era a nome della donna. Non so cosa sia successo dopo.
ALINA - Probabilmente si è trasferito in un altro posto.
MATTEO - In Rue de la Republique...
FRANCESCA - Rue de la Republique?... “Out of Order”... Italia... Francia... Guido...
ALINA - Che succede Francesca? Che stai dicendo?
FRANCESCA - Guido è...io... Ma come può essere?
Silenzio.
FRANCESCA - Ci siamo conosciuti sei mesi fa, una sera a Marsiglia. Faceva ancora molto caldo e di
fronte al Vieux-Port, il porto vecchio, c'era un sacco di gente. Guido era simpatico, ha attaccato subito
bottone, mi ha fatto ridere. Anche i miei amici ridevano. Alina, Guido è il mio fidanzato. E' lui che sto
raggiungendo.
ALINA - Non ci credo. E' pazzesco. Tutto questo è pazzesco. Noi, in questo posto, siamo pazzeschi.
Non c'è alcun senso in quello che sta succedendo qui dentro. Nessun senso. (a Francesca) Tu lo devi la-
sciare! Parlo per il tuo bene, Francesca. Lo devi lasciare. Subito! Forse è già troppo tardi (guarda France-
sca con intensità, come se volesse scoprire tracce di un'eventuale violenza)
FRANCESCA - Assolutamente no! Sei solo gelosa perché adesso lui sta con me e ti ha lasciata. Preferi-
sce me, hai capito? Me!
21ALINA - Non mi ha lasciata, stupida! E' fuggito! Mi ha picchiata, Francesca. Più volte. Calci e pugni.
Potrebbe farlo anche con te. Lo vuoi capire o no?!
MATTEO - Se quello che dici è vero, perché è ancora a piede libero?
ALINA - Immediatamente dopo l’ultima tremenda aggressione, mentre ero in ospedale in fin di vita,
mia madre lo ha per l'ennesima volta denunciato. Ma non è servito. Nessuno ha fatto niente. Non sono
bastati i lividi, il sangue, le lacrime e tutto il resto. Guido nel frattempo era scappato e le forze dell'ordi-
ne francesi si giustificano dicendo che non hanno notizie su atti di violenza o altri reati compiuti da
Guido sul loro territorio. In quanto allo spaccio, non è mai stato incriminato neppure in Italia.
MATTEO - In Francia non l'ho mai visto far uso di droghe né spacciarle.
ALINA - L'hai sentito no? (indica Umberto) Spacciava in Italia e lo fa anche in Francia, senza correre ri-
schi.
FRANCESCA - Ha ragione Matteo. Io e Guido ci vediamo una o due volte al mese. E' poco ma non
ho mai sospettato di nulla. Non l'ho mai visto fare cose strane. Me ne sarai accorta, no?
ALINA - Vi incontrate a Grenoble?
FRANCESCA - A Grenoble, certo. Tutto quello che hai raccontato può essere vero per l'Italia ma io
non posso accettare come verità assoluta quello che dici perché in Francia Guido è una persona che si
comporta normalmente.
ALINA - Non volete capire...
FRANCESCA – Se hai subito violenza da qualcuno, mi dispiace. Davvero, Alina, hai tutta la mia soli-
darietà. Ma non hai alcun diritto di sconvolgere la mia vita.
ALINA – Ho subito violenza, sì. Ma non da “qualcuno”! I pugni e i calci sono quelli di Guido Storti, il
tuo attuale fidanzato.
Silenzio
ALINA – Guido è l'unico uomo che abbia sentito di amare veramente. Per la prima volta in vita mia,
non ho odiato il genere maschile e mi sono lasciata guidare dai sentimenti e non dal risentimento. Poi,
all'improvviso, quella realtà è scomparsa e sono stata risucchiata in un incubo in cui ho temuto di per-
dermi e di non ritrovarmi più! Non potete immaginare cosa significhi vivere un cambiamento così radi-
cale.
FRANCESCA – Guido è sempre stato carino con me. So che può essere presuntuoso quello che dico,
visto che sono solo sei mesi che ci frequentiamo. Dopo che ci siamo conosciuti a Marsiglia, mi ha cer-
cata nei giorni successivi. Senza asfissiarmi, ma con una premura e un'attenzione che mi hanno lusinga-
ta. Io alloggiavo in un bed & breakfast. Ero in vacanza. E' sempre stato lui a chiamarmi, anche quando
sono rientrata in Italia, a Torino.
Silenzio.
FRANCESCA - In effetti, ora mi accorgo di un fatto piuttosto strano: io non posso chiamarlo, non ho
mai avuto il suo numero di cellulare. All’inizio diceva che preferiva utilizzare schede telefoniche pre-pa-
22gate e che non dovevo preoccuparmi: mi avrebbe sempre cercata lui. Era sincero, almeno così pensavo,
e gli ho creduto. Da allora la situazione non è cambiata.
ALINA – Forse sei mesi sono pochi per far si che una persona maturi la volontà di far emergere la sua
parte più nera. Il mostro che c'è in Guido è ancora in letargo, Francesca, ma presto si risveglierà. Le
persone come lui non cambiano.
FRANCESCA – E se non si risvegliasse? Se Guido fosse cambiato?
ALINA – Continua a spacciare anfetamine, Francesca. E' un criminale! Basterà una scintilla perché tut-
to ciò che in lui non è gentile, altruista e carino come credi tu, emerga del tutto e prenda il sopravvento
dentro di lui e nel vostro rapporto.
FRANCESCA – Non sono una stupida, Alina. Non hai alcun diritto di farmi passare per un'ingenua.
ALINA – Perché non vuoi fidarti?
FRANCESCA – Perché vorrei essere io a rendermi conto di ciò che mi succede intorno. Il Guido che
conosco io non è la stessa persona di cui mi parli.
ALINA – Va bene. Ma credimi: la gelosia non c'entra nulla. Non tornerei con un uomo come Guido
Storti neanche con una pistola puntata alla tempia. Ho insistito con te unicamente perché l'esperienza
che ho vissuto e di cui ancora soffro non si ripeta.
FRANCESCA – Lo capisco. Ma lasciami stare...
ALINA – Sai cosa mi fa più male? Il fatto che quel bastardo se la stia passando liscia. Già da tempo ho
perso completamente fiducia nella giustizia. E dimmi: come mai Matteo non sa nulla di te? Sei la fidan-
zata del suo caro amico, com'è possibile che non vi siate mai incontrati, magari in occasione di qualche
concerto?
FRANCESCA – In non so nulla. Nulla! Guido non mi ha mai coinvolto nella sua attività di musicista.
Mai!
ALINA – Davvero? E non lo trovi strano?
Francesca non risponde.
ALINA – E tu Matteo? Cos'hai da dire in proposito?
MATTEO – Delle sue donne Guido parla molto volentieri con noi della band. Ne ha anche invitate
qualcuna a qualche nostro concerto, persino a qualche prova. Non ho però mai visto Francesca.
FRANCESCA – Donne?! Ma che stai dicendo?
MATTEO – A Guido piace averne intorno diverse. Non ne ha mai fatto mistero.
FRANCESCA – Evidentemente con me sì.
MATTEO – Te lo ripeto. E' successo più volte che si presentasse agli appuntamenti con una donna
ogni volta diversa. E' un gioco molto divertente per lui.
23FRANCESCA – Non ci credo! Sono tutte balle!
ALINA (a Francesca) – Hai detto che vi vedete una o due volte al mese. Non credi che per il resto del
tempo Guido Storti abbia la possibilità di fare cose di cui tu non sei al corrente?
FRANCESCA – Io non voglio crederlo! Non posso! Lo volete capire?! Guido è importante, sento di
avere un legame profondo con lui, come non l'ho mai avuto con nessun altro uomo. Come posso per-
mettere che tutto questo venga distrutto?
MATTEO (ironico) – Certo che è proprio vero. Guido con le donne è una vera rock star. Sia Francesca
che Alina ne sono rimaste folgorate.
FRANCESCA – Potresti evitare queste considerazioni idiote.
MATTEO – E cosa dovrei dire io? Stando alle loro parole (indica Umberto e Alina), Guido è uno spaccia-
tore, un criminale, un violento, un maniaco. Come posso convivere con lui sapendo questo e conti-
nuando a suonarci insieme come se niente fosse? Credete che sia facile?
ALINA – E' una questione di scelte.
MATTEO – Quali scelte?
ALINA – Continuare a suonare insieme o smettere. Smettere di essere amici o continuare a frequentar-
vi.
MATTEO – Sai una cosa? Potrei fregarmene. In fondo, tutti abbiamo un lato oscuro che difendiamo
come una proprietà privata, inviolabile. O mi sbaglio? Tra i suoi amici, Guido è una persona di cui ci si
può fidare. Questo può bastarmi, no?
Silenzio.
UMBERTO – Come vi siete conosciuti?
MATTEO – In Italia, facevo già parte di una band che poi ho lasciato perché non ne condividevo più
le scelte artistiche. Sapete, io adoro l'hard rock e invece gli altri avevano manifestata l'intenzione di cam-
biare genere, orientandosi più sulla musica elettronica.
UMBERTO – E così ti sei rivolto all'estero?
MATTEO – Sono stato costretto. In Italia, per un certo periodo ho cercato un nuovo gruppo. Ho fatto
diverse audizioni. Ma non sono stato fortunato. Le poche volte che io andavo bene a loro, erano loro a
non andare bene a me.
UMBERTO – In Francia invece hai avuto più fortuna?
MATTEO – Sì. Ma non è stato facile. Un amico italiano mi ha parlato di un gruppo hard rock di Gre-
noble che cercava un bassista. Gli “Out of Order”, appunto. Mi presento, faccio l'audizione e con mia
grande sorpresa mi dicono che l'ho superata ma che non avrei potuto suonare con loro. Non subito, in-
tendo.
UMBERTO – Per quale motivo?
24MATTEO – L'audizione non era un test sufficiente. Così abbiamo fatto un accordo. Io avrei suonato
in band underground francesi di loro conoscenza per farmi le ossa e poi, al momento giusto, mi avreb-
bero chiamato per entrare ufficialmente a far parte degli “Out of Order”. Ho iniziato a fare la spola da
Milano a Grenoble quasi tutti i weekend e qualche volta anche in settimana. Dormivo a casa di Guido,
il leader del gruppo. Con me è sempre stato positivo e incoraggiante, gentile. E' la persona che più ha
creduto in me e nelle mie capacità.
UMBERTO – E continui a fare la spola tra Italia e Francia?
MATTEO – Sì. Non siamo professionisti; di soldi ne girano pochi. Non posso permettermi di stabilir-
mi a Grenoble in via definitiva e i miei non vogliono aiutarmi. Per loro la mia musica è solo un capric-
cio inutile e costoso. Però sono obbligati a passarmi dei soldi: l'utilizzo che ne faccio sono poi cazzi
miei.
ALINA – E ti capita ancora di dormire da Guido?
MATTEO – Sempre, quando sono a Grenoble.
ALINA – Aspetta un momento. Tu e Francesca non vi siete mai visti prima. Eppure frequentate la
stessa persona e andate regolarmente nel suo appartamento. Come è possibile che non vi siate mai in-
contrati?
FRANCESCA (imbarazzata) – In realtà, io non sono mai entrata nell'appartamento di Rue de la Repu-
blique. Guido e io stiamo in un loft di un suo amico che per il weekend in cui sono a Grenoble se ne va
via non so dove né per fare cosa.
MATTEO – In effetti, capita spesso che Guido si assenti per dei weekend interi. Sparisce per tre giorni
e nessuno sa dove sia.
UMBERTO – Quindi, in Rue de la Republique c'eri solo tu. E non hai mai notato niente di strano?
MATTEO – Credi che se ci sia qualcosa da nascondere, Guido mi lascerebbe entrare nel suo apparta-
mento?
Silenzio.
MATTEO – Francesca, chi è l'amico di Guido proprietario del loft?
FRANCESCA – Si chiama Michael Brown. E' inglese, di Birmingham. Lo conosci?
Silenzio. Matteo cammina pensieroso per il bunker.
MATTEO – Il nome non mi è nuovo. Qui le coincidenze non esistono, vero? Ebbene, può anche darsi
che Michael Brown sia l’avvocato del mio patrigno.
Stupore generale.
ALINA – Incredibile...
MATTEO – Se fosse vero, non mi stupirei che il mio patrigno mi abbia messo qualcuno alle spalle per
ostacolarmi nel fare musica. Non capisco però perché Guido non mi abbia mai parlato di Brown. E se
25il mio patrigno ha architettato tutto per mettere in contatto Guido e Brown, qual è l'obiettivo finale?
Buttarmi fuori dalla band? Guido sarebbe capace di farmi una cosa del genere?
Silenzio.
MATTEO – Ultimamente poi Guido è distratto, troppo distratto. Salta qualche prova, arriva tardi ai
concerti, sembra perso in un mondo tutto suo...
FRANCESCA – Anche con me si comporta freddamente, con distacco.
Silenzio.
MATTEO – Una sera si è confidato con un altro della band. I due erano nel suo camerino dopo un
concerto. Io passavo di là e non ho potuto fare a meno di origliare. Da quello che ho capito, Guido è
sotto pressione: da una fonte sicura ha saputo che dall'Italia è giunto un fascicolo indirizzato alle autori-
tà francesi con la richiesta di procedere alla verifica delle condizioni per un’eventuale suo arresto.
ALINA – Cosa? Ciò dimostra che quello che ci ha detto Umberto è vero. Perché non l'hai detto subito,
invece di continuare a difendere quello psicopatico.
MATTEO – Perché non ho dato importanza a ciò che ho sentito. Va bene? Avevo anche il dubbio di
aver capito male. Ho rimosso tutto, fino a quando con i vostri discorsi mi avete costretto a ricordare.
ALINA – Quindi quel bastardo potrebbe essere rispedito in Italia e finalmente processato.
MATTEO – Quella sera Guido era molto agitato e teso. Chiedeva aiuto, era evidente che avesse un
grosso problema e non sapesse come risolverlo. Ci ha anche detto che forse avrebbe lasciato la band e
sarebbe andato all'estero, fuori dai confini francesi o addirittura fuori dall'Europa. Non riuscivo a com-
prendere le sue parole. Ero sconvolto.
UMBERTO (sorridendo) – L'avvocato Pieri è uno in gamba.
ALINA – Che vorresti dire?
UMBERTO – Sono stato io. Ho dato mandato al mio avvocato di trovare almeno una di quelle bene-
dette prove che possano finalmente incriminare Guido Storti per reati commessi sul territorio francese.
In modo da svegliare le autorità locali e farle muovere. A quel punto l'aggancio con i fatti italiani sareb-
be automatico. Purtroppo niente di concreto è stato ancora trovato. Pieri ha però scoperto elementi
molto interessanti che si stanno evidentemente rivelando utili per perseguire Guido Storti. Matteo, io so
chi è Michael Brown è perché è in Francia. Non appena tu e Francesca avete raccontato la vostra storia
mi sono reso conto che tutto combaciava. Hai ragione Matteo: qui non ci sono coincidenze. Non ci
eravamo mai conosciuti prima e abbiamo scoperto di avere dei legami importanti. E’ successo tutto qui
dentro, in questo bunker dove quattro persone sconosciute si sono ritrovate per caso o seguendo un
destino misterioso. E hai ragione anche tu, Alina: tutto quello che sta succedendo qui dentro è assoluta-
mente incredibile.
MATTEO – Tu conosci Michael Brown?
UMBERTO – Posso sapere il nome del tuo patrigno?
MATTEO – Mario Costante.
26UMBERTO – Già. Proprio lui. Tu non lo sai, Matteo, ma Mario è stato mio compagno di Università e
di lavoro.
MATTEO – Non capisco... Ma come è possibile? So che ha studiato Ingegneria civile ma non ha com-
pletato il corso di laurea.
UMBERTO – Vero. Non si è mai laureato. A metà corso, mi disse che ne aveva abbastanza di lezioni,
esami, libri. Un vero peccato: era uno studente brillante, a cui la laurea avrebbe dato senza dubbio un
vantaggio in più. Ma non ne volle sapere di continuare. Decise di mettere subito a frutto le conoscenze
acquisite, anche se incomplete, che secondo lui erano invece più che sufficienti per fare carriera. Punta-
va in alto, ai soldi e al potere. Sapeva di avere talento. Non era un falso modesto ma un autentico stron-
zo narcisista.
ALINA – Poi cosa successe?
UMBERTO – Trovò lavoro in un impresa edile come supervisore tecnico ai cantieri. Un buon inizio
che poteva precludere a qualcosa di più importante. Quando, due anni dopo, io mi laureai, Mario mi
propose di costituire una società. Così a Milano nacque la Building Srl. Eravamo in tre soci. Con noi
c’era anche Giacomo Spontini, un altro compagno di studi che come me si era invece laureato. La ditta
andava bene, sempre meglio, guadagnavamo molto. Mario era Presidente e Amministratore, io Diretto-
re generale e Spontini Direttore tecnico. Era giusto così: l’idea di partenza era stata di Mario e poi lui si
era già costruito relazioni importanti, amicizie e rapporti con uomini politici e imprenditori potenti.
Vincevamo non pochi appalti per opere pubbliche e ottenevamo non poche licenze edilizie per costrui-
re nel settore residenziale privato e commerciale.
ALINA – Poi tutto iniziò a crollare...
UMBERTO – Sì. Mario ci trascinò in una serie di affari rischiosi. Le cose andarono male. Perdemmo
molti soldi e progressivamente la società andò sempre più in perdita. Credo che sia stato Mario a orche-
strare il tutto, in combutta con il suo avvocato, Micheal Brown. Ha eseguito una lenta eutanasia alla no-
stra azienda per interessi personali. Era diventato avido, lo eravamo diventati tutti: avidi di denaro e po-
tere.
ALINA – E a questo punto entra in gioco la donna che ti ha fatto allontanare da me e mamma...
UMBERTO – Mario si era accordato di nascosto con quell’imprenditore legato alla criminalità organiz-
zata e agli ambienti politici conniventi di Milano. Per realizzare la fusione, Mario doveva però convince-
re me. Spontini si era subito detto d’accordo: la prospettiva di fare ancora più soldi, anche se non più
con l’autonomia decisionale di prima, lo aveva completamente irretito.
MATTEO – E tu invece?
UMBERTO – Pur non sapendo nulla di quello che c’era sotto, compresa la connivenza con la crimina-
lità organizzata, io non ero per niente convinto. Ci tenevo all’azienda, a quello che avevamo costruito
insieme.
ALINA – Così ti convinse usando il fascino femminile.
UMBERTO – Quella donna e le sue false parole. Rimasi affascinato da Sofia e dalle sue proposte. Ma-
gicamente, i miei dubbi sul Gruppo di suo padre, l’imprenditore Alterchi, sparirono di colpo e diedi il
mio consenso. Il resto venne da sé: Alterchi faceva solo gioco sporco. Mario era diventato nel frattem-
po Presidente di un'altra controllata del Gruppo, più grande della nostra, io capo progettazione della
27stessa società e Spontini salì di grado fino alla Direzione tecnica generale. Le indagini su degli appalti
truccati misero in crisi il Gruppo Alterchi e portarono agli arresti di diversi dirigenti, usati come carne
da macello; tra cui il sottoscritto. Lo sapere già: venni condannato per corruzione. L’imprenditore Alter-
chi, la figlia Sofia, Mario Costante e Spontini invece non arrivarono nemmeno al processo di primo gra-
do.
MATTEO – Cosa fece poi il mio patrigno?
UMBERTO – Quando uscii dal carcere seppi che si era sposato con una donna molto ricca, vedova,
erede di un impero nel settore alimentare. Tua madre, Matteo... Camilla Conforti. Anche la sua è una
storia speciale. Vuoi che te la racconti?
Silenzio. Matteo si siede.
UMBERTO – Tua madre era sposata con Michele Germani, il tuo padre naturale, proprietario della
Food Italy, una delle aziende più affermate in Italia e all’estero nel settore della surgelazione alimentare.
Dalla loro unione sei nato tu.
MATTEO – Purtroppo però non ho nessun ricordo di mio padre. Morì per un attacco cardiaco quan-
do avevo meno di un anno.
UMBERTO – Tua madre si trovò allora a gestire un’industria di grandi dimensioni. E nel ruolo di Pre-
sidente e Amministratore delegato ha dimostrato di avere stoffa e di essere capace e preparata. I suoi
studi economici senza dubbio le hanno giovato. Una donna competente e determinata, intelligente...
ma anche molto sfortunata.
MATTEO – Solo in parte. Di certo, la morte di mio padre ha lasciato dei segni indelebili, come l’atteg-
giamento freddo e indifferente con cui mia madre ha costruito il suo rapporto con me, il suo unico fi-
glio. Ma lei ha anche saputo continuare la bella vita di sempre. Ha fatto le sue scelte, guida un’azienda
importante, vive nel benessere.
UMBERTO – Unico figlio?
MATTEO – Come?
UMBERTO – Unico figlio. Ne sei proprio sicuro?
MATTEO – Certo che sono sicuro!
Silenzio.
UMBERTO – Tua madre ha partorito due volte, Matteo. Prima di te, è nata una bambina, la tua sorel-
lastra, di cui non ha mai saputo niente.
MATTEO – Ma che dici? Questo è davvero troppo! E’ impossibile! Mia madre avrebbe dovuto dirmi
una cosa del genere.
UMBERTO – E’ un segreto che tua madre ha celato a tutti per molti anni. Solo due persone della tua
famiglia ne erano o ne sono a conoscenza: tuo padre e il tuo patrigno.
MATTEO – Perché ha voluto tenere nascosto qualcosa di così importante come la nascita di una figlia?
Me lo spieghi?!
28UMBERTO – Perché la storia legata alla tua sorellastra è stata anch’essa una storia difficile per tua ma-
dre. Prima che tu nascessi, Camilla ebbe una relazione extraconiugale. Quando rimase incinta, tuo padre
le fece forti pressioni per farla abortire. Germani non voleva quella bambina, non era sua ed era stata
concepita in un modo che lui riteneva disdicevole per la buona immagine della famiglia e dell'azienda.
Tua madre resistette e alla fine giunsero a un accordo: quando fosse nata, la bambina sarebbe stata data
in adozione.
MATTEO – E il padre naturale?
UMBERTO – Venne ben pagato per non riconoscere la figlia e rinunciare alla patria potestà. Scompar-
ve per sempre nel nulla. Per tua madre fu un altro duro colpo.
Silenzio.
MATTEO – Che fine ha fatto quella bambina?
UMBERTO – Te l’ho detto. E’ stata adottata.
MATTEO – Sì, ma da chi?! Come si chiama?! Dove vive?!
Umberto guarda Francesca. Matteo e Francesca si guardano.
UMBERTO – I genitori adottivi non li conosco. Ma so il nome della famiglia, originaria della provincia
di Salerno. (guarda Francesca) Di Nardo. Matteo, Francesca è la tua sorellastra.
Matteo e Francesca tornano a guardarsi come ipnotizzati. Restano immobili per diversi secondi.
MATTEO (a Francesca) – Ma come sarebbe? E’ vero? Sei mia sorella? Sei stata adottata?
FRANCESCA – Sì, sono stata adottata. Ma non so nulla di tutta questa storia. I miei genitori mi hanno
detto solo la verità sull’adozione: non sono la loro figlia naturale ma mi amano come se lo fossi. E ti
giuro che hanno ragione: ho i migliori genitori che una figlia possa desiderare.
MATTEO – Ma là fuori hai un padre e una madre, i tuoi “veri” genitori.
FRANCESCA – Se è per questo, stando alle parole di questo signore (indica Umberto) che ormai, lo ab-
biamo capito tutti, è bene informato e sincero, ho appena saputo di avere anche un fratellastro. Sui ge-
neris ma pur sempre un fratello. (sorride)
MATTEO – Ma forse un giorno vorrai conoscerli...
FRANCESCA – Per il momento mi va bene conoscere te.
I due si guardano, poi lentamente si avvicinano fino ad abbracciarsi commossi. Silenzio.
ALINA (a Francesca) – Come è possibile che i tuoi genitori non ti abbiano detto nulla della storia della
tua vera madre e del tuo vero padre?
UMBERTO – Non sapevano nulla. La bambina non venne riconosciuta e venne presa in carico dalle
autorità preposte. L'adozione fu un passo successivo, i coniugi Germani non ne seppero più nulla.
29MATTEO (a Francesca) – E cosa potrebbe dire adesso nostra madre? Come reagirebbe se ti vedesse?
FRANCESCA – Non credo di volerlo sapere. Non adesso, almeno.
Silenzio.
FRANCESCA – Mi hanno abbandonata... Lo capisci?
UMBERTO – Tua madre ne soffrì moltissimo. Aveva perso te e l’uomo che credeva di amare si era ri-
velato un pezzo di merda.
FRANCESCA – Era una donna forte, hai detto, determinata. Perché non si è imposta contro le scelte
del marito? Perché non è fuggita con sua figlia in grembo?
UMBERTO – Non lo so. Da allora però non è più stata la stessa persona. Ha indossato la maschera
della freddezza per nascondere un'anima grondante sangue. In realtà, ora è una donna fragile, debole,
condizionata in tutto e per tutto da un marito autoritario, una donna senza più amore.
MATTEO – E’ la madre che conosco io. Fin da piccolo aveva diversi uomini che le giravano intorno,
ognuno sembrava pretendere qualcosa da lei. La sua ricchezza, naturalmente. Poi è arrivato Mario Co-
stante. Lui è riuscito dove gli altri avevano fallito. Il suo inganno è stato quello vincente. L’ha sposata e
per me è stata la fine. I miei rapporti con il patrigno non sono mai stati buoni. Anzi, direi che non c’è
mai stato alcun rapporto “padre e figlio”, anche se non di vero padre si tratta.
FRANCESCA – E tua madre?
MATTEO – Vuoi dire “nostra madre”?
FRANCESCA – No, Matteo, mi dispiace. Preferisco dire “tua madre”.
MATTEO – Credo che mi abbia sempre amato ma non sia mai stata capace di dimostrarmelo. Forse la
mia nascita è stato un compromesso con il suo dolore, una piccola compensazione per lo schifo che
sentiva dentro. Mio padre mi ha accettato, o almeno così penso. Chissà... Forse anche lui cercava una
via d’uscita dal male che lo divorava o dal rimorso.
FRANCESCA – Ma Camilla non ti hai mai parlato di me?
MATTEO – Mai. Mai... Sono stato orfano anch’io Francesca. E al contrario di te, lo sono ancora.
Silenzio.
UMBERTO – La storia però non è finita.
ALINA – Già. Mi chiedo cosa c’entri in tutto questo Guido Storti.
UMBERTO – Matteo, quando il tuo patrigno ha saputo dell’esistenza di Francesca, si è visto raddop-
piare il problema.
MATTEO – Quale problema?
UMBERTO – Il controllo sull’eredità di tua madre. Tu sei già nella sua orbita. O meglio, è la tua parte
di futura eredità a esserlo. Quando ha saputo di Francesca le cose si sono complicate. In fondo, si trat-
30tava pur sempre di una figlia naturale. Per mettere sotto controllo anche lei il tuo patrigno ha dovuto in-
ventarsi qualcosa di speciale.
ALINA – E si è rivolto alla persona giusta.
FRANCESCA – Guido.
UMBERTO (a Matteo) – Esatto. Costante non hai mai approvato la tua scelta di dedicarti alla musica.
Non per chissà quali motivi: della musica non gliene frega niente. Piuttosto, teme di perdere il controllo
su di te se scegliessi una strada che ti porti fisicamente lontano. Meglio un posto di lavoro all’interno
dell’azienda di famiglia. Vicino e sotto controllo. Quando poi hai iniziato ad andare in Francia le cose
sono per lui peggiorate. Tramite il suo avvocato, quella iena di Brown, si è messo in contatto con gli
“Out of Order”, di cui dovevi entrare a far parte. Credo che all’inizio Guido abbia realmente creduto in
te, Matteo. Poi si è lasciato catturare dalla promessa di ricavare un bel po’ di soldi.
MATTEO – Quindi Brown ha convinto Guido a farmi entrare nella band per tenermi sotto controllo
tramite lui. Forse l’ha contattato durante il mio periodo di prova di sei mesi con altri gruppi francesi.
UMBERTO – Forse. Poi ha chiesto a Guido di fare la seconda mossa. Conquistare una ragazza e di-
ventarne il fidanzato. (a Francesca) Aveva la tua foto, sapeva dov’eri andata in vacanza, a Marsiglia. Gui-
do ha aspettato solo il momento opportuno.
FRANCESCA – Bastardo... Non ci posso credere. Mio Dio...è una cosa orribile...
Umberto si siede.
UMBERTO – Per Costante, Guido è la persona delegata a controllarvi: una sola persona per entrambi;
niente di più comodo. Poi è intervenuto direttamente l’avvocato Brown. Evidentemente Storti si è mes-
so nei guai con lo spaccio o l'abuso di droga o chissà cos'altro. E' diventato all’improvviso troppo vul-
nerabile e ingestibile. Controllando ciò che Guido faceva in Francia, l'avvocato Pieri è risalito a Brown e
a tutta la storia di Francesca e Matteo. A quel punto ho presentato alle autorità italiane una documenta-
zione che attestava la potenziale pericolosità di Guido anche in territorio francese, questa volta nei con-
fronti di Matteo e Francesca. C'era il precedente di ciò che era successo a mia figlia.
ALINA – E i francesi si sono finalmente mossi.
UMBERTO – Sì. Ora dobbiamo solo aspettare.
ALINA – E’ fantastico (si siede vicino a Umberto) Non so come ringraziarti, pa... Umberto... per quello
che stai facendo per riportare quel delinquente in Italia e farlo condannare.
Umberto rimane in silenzio.
MATTEO – Questo vuol dire che il mio posto nella band non è dovuto ai miei meriti musicali. Vuol
dire che come musicista non valgo niente. La fuori ci sono i miei amici più cari, c’è la mai passione, il
sogno di diventare professionista che sta andando in pezzi.
FRANCESCA – Davvero pensi che il tuo sogno sia impossibile da realizzare? Cosa dicono i tuoi amici
della band? Quelli veri, non Guido Storti.
Matteo non risponde. Francesca gli si avvicina e gli cinge una spalla.
31MATTEO – Sono soddisfatti. Quando li vedo suonare al mio fianco sorridono.
FRANCESCA – Allora vuol dire che tu sei un bravo musicista.
MATTEO – E se il gruppo si scioglie? Dovrò ricominciare tutto da capo. Guido è il nostro leader, sen-
za di lui le cose potrebbero essere diverse.
FRANCESCA – Saranno diverse. Potreste scoprire di riuscire a fare a meno di Guido e addirittura mi-
gliorare con un nuovo batterista. Non mi dire che non ci sono giovani drummers che non ambiscono a
entrare a far parte nei mitici “Out of Order”.
I due sorridono. Segnale di avvio della comunicazione con il centro soccorsi.
SOCCORRITORE – Avviso importante per tutti gli occupanti dei bunker di salvataggio del tunnel. Le
condizioni strutturali del traforo sono irrimediabilmente compromesse. Non ci sono più le possibilità di
soccorrere le persone che sono ancora vive e ospitate nei bunker di salvataggio a causa del cedimento di
tre quarti della parete Est del condotto che sale a Nord dall'Italia verso la Francia. I bunker della carreg-
giata Nord sono tutti occupati all'85 per cento della capienza massima ammessa. Invitiamo gli occupanti
a rimanere ancora in attesa: il corridoio di salvataggio che corre a destra dei bunker è collegato alla pare-
te Est della carreggiata Sud che collega Francia e Italia e che al momento non dà segni di cedimento
strutturale.
Segnale di chiusura della comunicazione con il centro soccorsi.
UMBERTO - Ci sono ancora serie probabilità che arrivino i soccorritori?
MATTEO (indicando il timer) – Il tempo però è scaduto da un pezzo.
UMBERTO – All'inizio c'era stato detto che i soccorritori sarebbero arrivati comunque, anche a timer
azzerato.
FRANCESCA – Io voglio uscire! (rivolta all'interfono) Fatemi uscire! (piange)
Si ode il frastuono della. Le luci del bunker si accendono e spengono a intermittenza. La struttura del bunker è instabile.
Tutti si spaventano. Matteo si dirige velocemente verso la porta di destra.
MATTEO – Sono stanco di restare qui dentro. E' ora di uscire.
Osserva la porta per qualche secondo, poi, cautamente, muove la maniglia a spinta. La porta incredibilmente si apre.
Tutti si guardano sorpresi. Alina e Umberto si alzano.
UMBERTO – E' sempre stata aperta... E io che credevo... Ma per quale motivo?
MATTEO – Iniziamo a uscire. Poi ci preoccuperemo di trovare una risposta alla tua domanda.
Francesca raccoglie la sua borsa e si prepara a uscire dal bunker accompagnata da Matteo. Poi si ferma.
FRANCESCA – Alina... Grazie.
Alina e Francesca si abbracciano. Poi Francesca esce con Matteo.
32UMBERTO – Voglio che tu sappia che ti ho sempre amata. Vorrei tornare indietro e cancellare tutto
ma so che non è possibile.
ALINA (triste) – No, non è proprio possibile...
UMBERTO – Se lo vorrai io ci sarò. Ti guarderò da lontano e nel caso volessi chiamarmi, sarò sempre
pronto a rispondere.
Alina sorride e stringe delicatamente la mano di Umberto.
UMBERTO – La tua mano... E' diversa rispetto a prima...
Alina esce dal bunker. Umberto rimane fermo, solo e pensieroso, per qualche secondo. Poi recupera il suo borsone ed esce.
Il bunker è ora deserto. Aumentano di intensità i rumori sinistri provenienti dall'esterno, amplificati dalla porta destra
aperta. Tutto il tunnel sta cedendo. Dopo pochi secondi, Matteo rientra nel bunker. Trafelato, si ferma sulla soglia e
guarda all'interno della struttura. Poi si precipita a recuperare la custodia della chitarra che aveva abbandonata appoggia-
ta a una sedia. Prima di uscire si avvicina all'interfono e alla telecamera.
MATTEO – Mi senti? C'è nessuno? Siamo usciti, siamo salvi! Ce l'abbiamo fatta anche senza il vostro
aiuto! Hai capito? Mi senti?
Nessuno risponde. Perplesso, Matteo rimane qualche secondo a pensare. Poi sorride amaramente e si avvia velocemente
alla porta per uscire dal bunker. Le luci del timer e quelle del bunker si spengono all'improvviso.


Sipario.


Nota: Il testo è frutto della fantasia dell'Autore. Ogni riferimento a fatti, persone e organizzazioni pubbliche e private è puramente casuale.