COME TE

di

Maria Letizia Compatangelo



PERSONAGGI:

LEA FORESI, dirigente d’azienda
IRINA ALISEI, giovane rumena
CARLO, giovane avvocato, figlio di Lea

Interno di un ufficio dirigenziale. L’arredamento è lussuoso ma di buon gusto: una scrivania dall’elegante design campeggia sulla sinistra del palcoscenico, davanti un grande tappeto persiano e comode poltroncine per gli ospiti; le librerie a giorno sono in ciliegio, i quadri alle pareti d’autore. Un’ampia finestra, sul cui davanzale sono poggiate in bell’ordine una serie di piante verdi molto curate, si apre sulla parete di fondo, dando molta luce all’ambiente. L’insieme suggerisce modernità, efficienza e successo.


Lea    - (sulla porta, rientrando) No, la macchina per oggi non mi serve più. Vai pure a mangiare. E stacca il telefono, non voglio essere disturbata per almeno un quarto d’ora! (si chiude la porta alle spalle, e risponde oltre questa) Grazie, no, ho già mangiucchiato qualcosa al rinfresco! (si toglie le scarpe, sbadiglia massaggiandosi le caviglie) Io odio le presentazioni alla stampa. (fruga nella borsa ed estrae portasigarette e accendino, cerca qualcosa con lo sguardo, chiama al telefono la sua segreteria) Elga, sei ancora lì? Ma chi è che mi nasconde sempre il posacenere? Ah no, non importa, l’ho trovato. (recupera il posacenere, accende la sigaretta e richiama) Elga? Scusa, ma cos’è questo appunto? Ho un appuntamento oggi pomeriggio? Ah, ho capito. Sì, certo, speriamo che sia la volta buona.  È già l’ottava. Lo so! – La colpa è tua, che non sai il russo, altrimenti mi accompagnavi tu. Ti facevi una vacanza: quattro settimane lontana da tutti quei nipoti! Ma come fai? Ah, ti piace. Contenta tu… Io?! – Sono grandi? Certo che prima o poi succederà! È naturale, appunto. Ma non mi ci vedo a fare la nonna. Devo ancora smaltire la fatica di due maschi.  Tre? – Ma sì, certo che c’era anche un marito… Almeno il tempo tra l’uno e l’altro? (infastidita) Ma che ridi? Vai a mangiare, Elga, vai, sennò ti chiude la mensa.

Lea riaggancia. Si toglie la giacca del tailleur e va a spalancare la finestra. Da fuori giungono attutiti i rumori della strada, mischiati al cinguettio dei passeri. Sprofonda in una poltroncina, allungando le gambe su quella di fronte. Fuma nervosamente.

Lea -  Col fatto che sta per andare in pensione Elga si prende certe libertà… (chiude gli occhi. Pausa) Forse dovrei tenere di più le distanze. Sono il capo. Negrin lo farebbe, per esempio. Anche De Vito… E chissenefrega. (sorride divertita) Non ho mai visto una persona più felice di Elga di andare in pensione… Certo che è facile fare i figli così, con la nonna che li cresce! (squilla il cellulare) Pronto? Ah, ciao tesoro. Sì, ho mandato Elga a mangiare… Non c’è nessuno? E l’usciere al piano? - Ma scusa,  tu come…

Si sente bussare e contemporaneamente si apre la porta:  un giovane dall’aria distinta e spigliata sporge fuori la testa.

Carlo – Ciao mamma.
Lea – Amore… che  sorpresa! Ma che ci fai qua?
Carlo – Ho appuntamento tra… (consulta l’orologio) dieci minuti con il capo dell’ufficio legale.
Lea – Negrin? E perché io non ne so nulla? Che vuole da te? Cioè… perché… insomma, che devi… Di cosa dovete parlare?
Carlo – Di lavoro.
Lea – Qui?!
Carlo –  Mamma,  sono specializzato in diritto internazionale. Questa è un’azienda che fa contratti in tutto il mondo… tu che dici?
Lea – Hai ragione, scusa.  Sono solo un po’ fusa, sono appena tornata da...
Carlo – (se n’era dimenticato e gli dispiace) Giusto, la tua presentazione! Com’è andata? Tutto bene?
Lea  – Sì, sì, tutto a posto, un successone. Ma lo sai che mi stressa parlare in pubblico.
Carlo – Ancora?! Potresti andare con il pilota automatico.
Lea – Sì, come no. Ogni volta mi imbottisco di valeriana, non posso farci niente. - E comunque non mi fa niente. La valeriana.
Carlo – Prova con una canna.
Lea – Carlo! Ma che dici!
Carlo – Dài mamma, scherzo! Per quanto… come se non vi avessi visti, tu e papà, quell’estate in Grecia…
Lea – Ma quando mai!
Carlo – Avevo  quindici anni…
Lea – Appunto!  
Carlo – Ho riconosciuto l’odore.
Lea –  (comicamente scandalizzata in retrospettiva) A quindici anni! Tu avevi già… tu…
Carlo – Non era mia madre quella che sosteneva che i ragazzi devono essere informati per difendersi dai pericoli?
Lea – Informati! C’è una bella differenza dal mettersi a sperimentare!
Carlo – Tranquilla, non mi è mai piaciuta.
Lea – Ho creato un mostro…
Carlo –  (completando la citazione) Doktor Frankenstein…
Lea –  Bravo! (scotendosi)  Insomma, di cosa devi discutere con Negrin?
Carlo – È possibile che affidi a noi tutta la trattativa dell’acquisizione olandese.
Lea – Caspita! Ma è una cosa enorme…
Carlo – Dovremmo esserci. È un po’ che ci sto sopra.
Lea – E non mi hai detto niente! Ma che figura mi fai fare con un collega?!
Carlo – Lo sai come sono, preferisco prima farle le cose, e poi dirle.  – Anche a me sembrava troppo bello.
LEA – Andrà tutto bene! Oh, ma che dicono allo studio, con i clienti che gli stai portando?!  (Carlo sorride e distoglie lo sguardo)  Guardami in faccia… Cosa bolle in pentola? E parla! Sono tua madre, posso essere solo felice per te.
CARLO – Pare che vogliano associarmi.
LEA – (salta di gioia) Ma è fantastico! Il più giovane associato della storia!
CARLO – Ecco, lo vedi? Non devi farci la bocca. Neanche io devo. Un passo per volta.
LEA – Che figlio saggio che ho fatto! Chissà da chi avrai preso.
CARLO –  Vabbè, fammi andare. Dì a Stefano che se ce la faccio vado a vederlo giocare stasera.
LEA – Ma quante cose devi fare?
CARLO – Gliel’ho promesso. Sai che ci tiene.
LEA – È grande ormai, ed è tuo fratello, mica tuo figlio! (accarezza dolcemente il figlio) Non devi caricarti di tutto tu! Noi stiamo bene.

Pausa

LEA – Semmai… sono preoccupata per te.

Carlo la fissa interrogativo.

LEA – Ormai hai la tua casa, il tuo lavoro… Ma ti vedo sempre  così impegnato… e solo. Come va con Giulia?
CARLO –  Credo che sia la persona giusta.
LEA – Sei innamorato?
CARLO – L’amore è una cosa sopravvalutata.
LEA –  E questa adesso? Da dove salta fuori?
CARLO – Non è vero?
LEA –  No. E non fa testo quello che è successo tra me e tuo padre.
CARLO – Ora devo andare.
LEA –  Tu sei giovane e dovresti…
CARLO – Mamma, è tardi.
LEA – (si scuote) Giusto, vai, vai! (lo spinge verso la porta) Mai iniziare un colloquio importante con delle scuse per il ritardo!
CARLO – (ironico) Chissà da chi avrò preso! (esce, si riaffaccia) Ti faccio sapere!

Lea incrocia le dita sorridendo. La porta si richiude. Va a sedersi sulla poltroncina, si stiracchia, muove le dita dei piedi, poi cerca di accoccolarsi, come per schiacciare un pisolino.  Di nuovo il telefonino.

LEA    - Pronto! (sbadiglia) Sì, ma non avevo spento quest’attrezzo. -  No, e che colpa ne hai tu? Sono io dissociata, penso di fare una cosa e me ne scordo un attimo dopo. - Alzheimer? Mi manca solo quello! – In che senso? -  Sì, certo, sono in ufficio. E no, non puoi chiamarmi al fisso, perché Elga ha staccato i telefoni. Certo che gliel’ho detto io! Insomma cosa c’è? Dài Gioia, che ti conosco, quando cominci a girarci intorno… - Ah, l’hai vista. Stava con Rossano. Tutt’e tre. Uhmm. Immagino che bel quadretto familiare... No, non lo voglio sapere. Sono affari suoi. Guarda che non la voglio sentire la tua opinione! No, Gioia, non in generale, solo  su Rossano, se ti sembra felice, se è contento della bambina, e di quella là… la troietta, appunto. - Ancora con questa fissazione! Noo, non le voglio conoscere e non voglio un rapporto civile! – Questo significa che non l’ho superata? E pazienza. Rimarrò con questo buco nero.  Nobody is perfect. Magari un giorno mi pago l’analisi. – Sì, il lavoro va a gonfie vele. Eh, abbastanza... Diciamo che non dovrei avere problemi per la mia solitaria vecchiaia.  (squilla l’interfono) Adesso ti devo lasciare, ti chiamo stasera da casa. Ciao. Baci!

Lea chiude il telefonino e risponde al telefono interno.

LEA – Elga, già di ritorno? Era già chiusa… mi dispiace… Quante volte ti ho detto di non aspettarmi? – Lo so, lo so… Dove la troverò un’altra come te?! – Cosa? Le quindici? Okay, falla aspettare un attimo. Ah, aspetta: chi ce l’ha mandata? Nessuno? (riaggancia, perplessa) Si è presentata da sola all’Ufficio del Personale. Bah.

Lea si alza, rimette a posto le poltroncine, recupera le scarpe,  prende su la giacca e apre la porta del suo bagno. Si sente scorrere l’acqua del rubinetto.

Lea    - (dal bagno) Dio, che sonno! E va bene, vediamo anche questa.

Quando riemerge dal bagno, chiudendo la porta alle sue spalle, Lea è completamente calata nel suo ruolo di donna manager, efficiente ma elegante e femminile, l’icona della donna moderna. Si accomoda alla sua scrivania, apre l’agenda. Sta per pigiare l’interfono quando si accorge del posacenere sporco e della finestra ancora aperta. Si precipita a mettere tutto in ordine e a nascondere il posacenere. Quindi si ricala nell’aplomb del suo ruolo, siede e chiama Elga.

Lea    - Puoi farla passare. A proposito, com’è?  - …Niente di che? (Lea riaggancia perplessa)  Also sprach Zarathustra. Niente di che.

Si apre la porta.

Irina  - È permesso?
Lea   - Prego, si accomodi.

Irina avanza verso la scrivania di Lea. È una ragazza minuta, pallida, carina, ma  non appariscente. Porta i capelli chiari raccolti in una coda di cavallo che la fa sembrare ancora più giovane. Pantaloni infilati negli stivali col tacco, piumino avvitato,  una specie di eleganza da carrettino del mercato. Tuttavia, forse per l’estrema magrezza e l’assenza di trucco, l’effetto non è volgare.

Irina  - Buongiorno.
Lea   - Salve!  Si accomodi. Lei è…
Irina  - Irina Alisei. Sono qui per l’incarico di interprete. (si siede)
Lea    - Lei è russa?
Irina  - Sono nata a Voronezh. È una città a sud di Mosca. Molto a sud, verso il confine con l’Ucraina.
Lea    - Parla molto bene l’italiano.
Irina  - Imparo presto.
Lea    - Eh già, pare che gli slavi abbiano una grande facilità con le lingue...
Irina    - Mi piace l’italiano. Sono in Italia da qualche anno.
Lea    - Conosce altre lingue?
Irina  - Il tedesco, ho studiato a scuola, cinque anni. Il rumeno, e un po’ di spagnolo. Il padrone del bar dove ho lavorato, nel mio paese, era spagnolo.
Lea    - Posso chiederle quanti anni ha? Mi sembra molto giovane.
Irina  - Venticinque. Quasi ventisei.
Lea    - E come mai ha fatto domanda per questo colloquio?
Irina  - Una mia amica di Ucraina l’ha detto a me.
Lea  - Forse questa amica ha sostenuto anche lei il colloquio?
Irina  - (sorride) Allora non mi avrebbe detto!
Lea    - (sorride anche lei) Già.
Irina  - Lei è incinta, ha la pancia molto grossa, non può partire. Così io mi sono detta perché no?  È un lavoro difficile?
Lea    -  La spaventa il lavoro?
Irina   - No, ho chiesto per sapere se sono capace di fare.
Lea    - (sorride, Irina le sta simpatica e passa istintivamente a darle del tu) Se ti hanno mandato da me suppongo di sì. Ti avranno già fatto il test per la lingua e devi averlo superato. Io non sarei in grado di giudicare.
Irina    - (in russo, con aria birichina) Šči da kaša – pišča naša.
Lea    - Che hai detto?
Irina   - Niente, solo uno scioglilingua. Significa : “Zuppa di cavoli e pappa di cereali è il nostro cibo”.
Lea    - Appunto, vedi? Per me poteva essere Cechov.
Irina   - All’Ufficio del Personale hanno detto che forse lei cerca qualcuno speciale.
Lea    - Già. Non sarà una passeggiata. Si tratta dell’avvio di una catena di negozi in  franchising, un viaggio con tappe estenuanti e incontri serrati: la mia interprete dovrà non solo tradurre, ma essere la mia ombra per quattro settimane. Per questo ho chiesto di poter esaminare personalmente le candidate. Ho bisogno di persone disponibili sino alla devozione. Capisci cosa intendo dire?

Irina annuisce.

Lea    - Ma mi serve anche una persona dinamica, che sappia prendere un’iniziativa, se occorre. Che conosca il Paese, che mi illustri usi e abitudini. Confesso di non esserci mai stata. La mia conoscenza della Russia si ferma a Guerra e pace. - Da allora immagino siano cambiate alcune cosette.
Irina   - L’ha letto?
Lea    - Guerra e pace? (alza gli occhi al cielo) Tutto! Quattro volumi. E anche tutto Dostoevskij.
Irina   - È una grande lettrice.
Lea    - Avevo quindici anni.

Le due donne ridono. Lea sembra  soddisfatta, gira intorno alla scrivania e si siede nella poltroncina accanto a quella di Irina.

Irina   - Mia madre diceva sempre che la Russia ha una grande anima.
Lea    - Diceva?
Irina   -  È morta quando io avevo sette anni, e mio padre ha voluto tornare a suo Paese, in… (esita, come se temesse di dirlo per qualche motivo)   Romania. Là sono cresciuta io.
Lea    - Ah. - E perché sei venuta in Italia?
Irina   - Ho sempre sognato l’Italia. Il sole, la moda… E poi tutti i miei amici… tutti sono partiti. Cosa facevo io là? Così, quando mio papa è morto…
Lea    - (quasi comica) Pure lui?  

Irina si stringe nelle spalle.

Lea    - No, scusa, ma non sei stata molto fortunata. – Insomma hai deciso di seguire il tuo sogno. E lo hai realizzato?
Irina   - (oscilla la testa un po’ dubbiosa) E lei?
Lea    - Dipende. Alcuni sì, altri…

Irina  sbircia  la foto sulla scrivania.

Irina    - Figli?
Lea    - Qui erano  piccoli. Un’estate al mare… Tanti anni fa.
Irina   - Due maschi... Belli. Hanno occhi buoni.
Lea    - Sono bravi ragazzi, non ci hanno mai creato problemi. Cioè…  Una cosa normale, insomma. L’adolescenza e tutta quella fase lì… -  Ma hanno dovuto maturare in fretta, poverini, quando io…

Lea si interrompe,  sforzandosi di dissimulare l’emozione che l’ha assalita a tradimento. Si alza, va alla finestra. Irina la osserva attentamente, poi rompe il silenzio che sta diventando imbarazzante.

Irina   - È bello veder crescere i figli.
Lea    - (sempre di spalle) E tu?  Ne vuoi avere?
Irina    - ( colta di sorpresa, allarmata) Io?!
Lea    - (dura) Ma certo, sei ancora giovane, hai tempo…
Irina    - Già. Ho tempo. (cambiando discorso) Ma come ha fatto a…
Lea    - (accavallato, girandosi) E poi devi decidere…

Si bloccano entrambe.

Lea    - Stavi dicendo?
Irina    - No, prego.
Lea    - Dicevo che un giorno o l’altro magari dovrai anche decidere se restare qui, o tornare in Russia, o in Romania. Per mettere su famiglia.
Irina    - Io non torno in Romania.
Lea    - Perché? Non ti piace?
Irina    - No, io amo, ma…
Lea    - Forse ti senti più russa, come tua madre?
Irina    - È complicato.  Io finirò la mia vita  in Italia.
Lea    - Ehi, che paroloni! – Ma forse hai ragione. (sciorinando un po’ di luoghi comuni con fare chic sciolto) Anche se noi italiani non ce lo meritiamo e certe volte pare che ce la mettiamo proprio tutta per distruggerlo, il nostro resta ancora uno dei paesi più belli del mondo! (si avvede dello sguardo penetrante di Irina) Tu però… Forse non sei stata accolta bene. Sbaglio? Dì la verità.
Irina    -  Le persone sono... Ci sono buone e cattive. Chi cerca di approfittare perché sei giovane e non hai le carte, i permessi… e chi dà una mano.
Lea    - E cosa fai? Che hai fatto, quando sei arrivata in Italia?
Irina    - (cambiando registro, improvvisamente spiritosa) Ho visto tutte le vetrine della città, sino a non poterne più! (Lea ride divertita) Mi sembrava di essere in un luna park immenso, magico, con tutte quelle cose bellissime dietro vetri che mi sussurravano prendimi, prendimi, siamo qui per te! E io ho cercato di prenderle. Tutte.
Lea    - (seria) E… come hai fatto?
Irina    - (ride, scuote la testa) Scherzo. Facevo pulizie, come mia amica.  Poi cameriera in un pub, poi in un albergo, alla reception. Perché conosco il russo e il tedesco. (sorride) Non ci sono molti turisti rumeni.
Lea    - Dài tempo al tempo!  
Irina    -  Alla fine ho trovato lavoro in uno studio fotografico. Io facev… io faccio i ritocchi. Sono brava. Adesso è tutto digitale, no? Tutti chiedono, per sembrare più  belli. - Ma non è un problema se vado via un mese, io ho già detto.
Lea    - Quindi sai usare bene il computer.
Irina    - Sì. Anche con alfabeto cirillico.
Lea    -  Giusto, potrebbe servire! Non ci avevo pensato. – Comunque, hai capito quali dovrebbero essere le tue mansioni, che poi si possono riassumere in una sola: il tempo. Dedicarmi tutto il tuo tempo… a parte le ore del sonno, ma giusto quelle, guarda! Spero che tu sia mattiniera. - Ci sono problemi?

Irina scuote la testa, assorta.

Lea    - Che c’è?
Irina    - (fissando avidamente i piedi di Lea) Sono bellissime!
Lea    - (lusingata) Le scarpe?
Irina    - Posso chiedere dove le ha comprate?
Lea    - A Parigi.
Irina    - (delusa) Ah…
Lea    - No guarda, meglio così, perché non  si può dire quello che le ho pagate…  un insulto alla miseria, ma non ho resistito.

Irina    annuisce convinta

Irina    - Mia madre aveva un paio di scarpe beige col tacco alto, la linguetta davanti, e il cinturino… Per me erano la cosa più bella del mondo! Quando andava a una festa, le tirava fuori dalla scatola nell’armadio e se ero stata buona me le faceva provare: ci nuotavo dentro, ma io mi sentivo una regina. Poi lei è morta e io le ho portate con me a Romania, ma quando sono cresciuta e potevo mettere, anche i miei piedi erano cresciuti. Troppo. Qualche volta sogno che metto quelle scarpe, come per magia, e comincio a volare… (Irina si blocca, imbarazzata) Chiedo scusa. Cosa c’entra questo adesso.
Lea    - (condiscendente) Ma no, ma no, anche questo è un modo per conoscersi.  Anzi, apprezzo molto che tu… (squilla l’interfono, Lea risponde) Grazie Elga, me lo passi. - Presidente? – Sì, i clienti erano molto soddisfatti, i giornalisti sembravano estasiati, non la finivano più di fare domande… Certo, domani mattina, con la rassegna. Sicuramente saranno già usciti… Benissimo. Grazie Presidente, a domani. (Lea posa il ricevitore)  Cosa dicevamo? Ah, sì: mi piace che tu ti sciolga un po’, che non te ne stia lì come le altre, irrigidita dalla paura di non essere scelta. Ci si può intendere meglio, ed è importante, se si deve lavorare insieme. (compiaciuta) Oddio, molti colleghi dirigenti non la pensano così,  ma io sono un po’ anomala.
Irina    - Anche fuori del lavoro, ama conoscere le persone?
Lea    - Vuoi dire se sono curiosa? Mah,  penso di sì…  Ma è diverso. Nel lavoro  c’è sempre una ragione per quello che succede, anche per le cose più spiacevoli… o spregevoli.
Irina    - Nella vita no?
Lea    - No. Le persone  non si conoscono mai. È un gioco a mosca cieca, senza regole. (dura, ma cercando di sembrare  ironica) Un giorno per esempio ti alzi e scopri che la persona a cui avevi  affidato tutta la tua vita non ti vuole più, ti sta dicendo che se ne va… No, magari quello non lo avevi messo in conto.  Tutto potevi immaginare, ti dici, ma non questo. E allora? Come si fa?
Irina    -  Mi chiedo perché succede sempre così.
Lea    - (stupita) Tu mi capisci?

Irina    annuisce.

Irina – In un certo senso.
Lea    - Ma sei così giovane, tu hai tempo! (traccia un diagramma nell’aria) Tu sei ancora qui, vedi? In piena salita! Il brutto è  se succede quando sei qui, sul plateau, o verso la fine del plateau, quando cominci a intravedere la discesa… Quando credi che non ci sia più spazio per riprendersi, di non avere più le forze per ricostruirti.
Irina    - Cosa che lei ha fatto.
Lea    - (la guarda sorpresa) Non so perché, forse sei più intelligente o più furba delle altre… ma dai l’impressione di tenere più a… Non lo so. A qualcos’altro, più che al lavoro. (la fissa, studiandola)
Irina    - (imbarazzata)  Sono stata sfacciata. Le chiedo scusa. Pensavo che lei è una donna forte, e mi chiedevo… cosa si prova a dirigere tanta gente, anche uomini. (abbassa la testa, sotto lo sguardo indagatore di Lea, si alza e prende su le sue cose) Mi scusi. Sono una stupida.
Lea    - Ma no,  stai seduta. (divertita) Così sei interessata al mio, di lavoro.
Irina    - No! Io dicevo…
Lea    - A proposito. (chiama Elga) Elga, assicurati che domani alle otto sia pronta la rassegna stampa, ho riunione col Presidente. Ah, e vai per favore al centro tecnico a prendere dieci copie – no, venti – del nuovo catalogo.
Irina    - Lei è diversa da altre signore che conosco. Tutto questo tempo a parlare con  una stupida come io sono…
Lea    - Il mio tempo lo decido io. È sempre stato così, almeno qui dentro. Naturalmente le cose da fare devono essere fatte. E bene. Ma in realtà di tempo se ne spreca molto di più senza accorgersene. Magari inseguendo un obiettivo. Quello è tempo sprecato, tempo non vissuto.
Irina    - Ma il tempo per le persone impegnate non basta mai, e poi una donna ha casa, figli… un uomo…
Lea    - (sorprendendosi a raccontarle un altro pezzo della sua vita) Direi che di “quel” tempo ormai ne ho sin troppo ormai, perché… E pensare che quando è scoppiata la bomba avevo quasi deciso di lasciarlo il  mio lavoro, per dedicarmi di più alla famiglia!
Irina    - (con tono improvvisamente grave, pesante) L’importante è poterla avere, una scelta.
Lea    - (pensierosa) Sì, infatti. Sei una ragazza saggia. L’importante è poterla avere, una scelta. Peccato che in quel caso io non ne ho avuta nessuna. – Poi ho scelto di  non morire.
Irina    - Morire…?
Lea    - C’ero andata troppo vicina. Molto vicina. Quando sono guarita ricordo di aver passato giorni a ringraziare Iddio, i medici, l’aria che respiravo… e sono tornata alla vita con una gioia, una gioia mai conosciuta prima. Se solo avessi potuto, se il cancro non fosse stato proprio...  Avrei subito concepito un altro figlio. Una bambina… - Capisci perché non potevo lasciarmi morire.

Irina è chiaramente scioccata da questa rivelazione. Non riesce ad aprire bocca, ma non è imbarazzata, anzi, sembra abbia un desiderio spasmodico di saperne di più.  

Lea    -  I miei figli… me li sono visti diventare uomini da un giorno all’altro. (cambia tono, accendendosi una sigaretta) E poi, quando cominciavo a pensare con tranquillità al futuro, lui, che aveva tanto sofferto con me… se n’è andato. (offre una sigaretta a Irina, che rifiuta) Quella vita, la nostra vita, che io benedicevo ogni volta che aprivo gli occhi, non gli bastava più. Ma dove ho messo il posacenere... - Stress post-traumatico. Pare che sia molto frequente.
Irina    - (dura) Ma il cancro l’ha avuto lei.
Lea    - Acqua passata... – Insomma, per dire che il lavoro è stata la mia ancora di salvezza. Anche solo l’obbligo di tirarmi su dal letto ogni mattina, capisci? E cercare di non affliggere i colleghi con la mia devastazione, mi hanno tenuta attaccata alla realtà.
Irina    - E lui?  Vede ancora?
Lea    - (secca) No. Mai più.  (salottiera) I casi strani della vita hanno voluto che facessi una notevole carriera. A oggi molto migliore della sua. Ciò che non avevo mai cercato spasmodicamente, e che ero pronta a lasciare, mi è venuto incontro aiutandomi a non pensare, a concentrarmi sul da fare, a viaggiare molto e a conoscere nuove persone, nuovi paesi… nuovi uomini.

Bussano alla porta, Carlo apre e sporge fuori la testa.

Carlo    - Si può? Non ho visto Elga...
Lea    - Avanti, avanti! Ecco  il mio uomo preferito!
Carlo    - Si parlava di uomini?

Carlo viene avanti sorridendo, per andare a baciare la madre.

Lea    - Lui è mio figlio Carlo, il maggiore. Lei...
Carlo    - Molto piace… re.

Carlo si ferma educatamente per dare la mano a Irina, ma rimane di stucco nel vederla. Lea non se ne accorge, proseguendo nella presentazione.

Lea    - ... si chiama Irina. Irina…
Irina    - Alisei… Piacere.
Lea    - Allora?  Tutto bene?
Carlo    - Sì. Sono passato a salutarti. – Ho… interrotto qualcosa?
Lea    - Irina ed io ci stavamo facendo una chiacchierata.
Carlo    - (sulle spine) Bene... (pausa) Ma come mai...
Lea    - (accavallato) E com’è andata all’ufficio legale?
Carlo    -  (nonostante la preoccupazione, non riesce a celare la soddisfazione) Credo che dovrò andare a Londra con il titolare dello studio per preparare l’accordo. La fusione si farà.
Lea    - Bravo!
Carlo    -  E ho l’impressione che mi stiano corteggiando.
Lea    - (le brillano gli occhi) Qui?
Carlo    - Mi hanno chiesto che tipo di impegni ho con lo studio legale, e poi un sacco di altre domande...
Lea    - Sondano il terreno.
Carlo    - (scherzando) Ma io gli ho detto: o me o mia madre. In famiglia abbiamo bisogno di spazio!
Lea    - (scherza anche lei, minacciandolo con il pugno) Non ti azzardare a prendere una decisione simile senza pensarci due volte! (squilla il telefono) Sì? Sì, sono io, dica... Quando? Non credo. Purtroppo la segretaria in questo momento non c’è, è lei che... il Presidente? – (alzandosi e dirigendosi in segreteria) Aspetti un attimo, faccio prima a controllare io.

Lea esce. Carlo si avvicina ad Irina.

Carlo    - Che ci fai qui?
Irina    - Sono venuta a conoscere tua madre.
Carlo    - (prendendola per un braccio) Cosa ti sei messa in mente? Sei impazzita?
Irina    - Ehi! Calmo. Stiamo solo parlando. Vuole assumermi come interprete.
Carlo    - Invece ora tu ti alzi e te ne vai. Guarda che se fai...

Rientra Lea, come un turbine, ancora al telefono. Carlo e Irina si bloccano, ma Lea non se ne accorge, tutta presa a  rovistare sulla sua scrivania.

Lea –  Un attimo che controllo tra le mie carte… No, qui non c’è. Non ricordo di averlo letto…  - Aspetti! Credo di aver capito cosa è successo…

Lea esce di nuovo, rapida come era entrata.  Carlo fissa Irina: sembra una pentola a pressione sul punto di scoppiare.

Carlo – Non devi stare qui.  Le  hai detto chi sei?
Irina – Ancora no.
Carlo – Che cosa vuoi?
Irina – È simpatica.
Carlo – Sai chi se ne frega del tuo parere.
Irina – Ti ama molto. (Carlo accusa il colpo, tace) Io credo di piacere a lei, sai?
Carlo – Mi vuoi dire cos’hai in mente? Niente di buono, questo è certo.
Irina – Non ti riguarda.
Carlo – (esplode, ma sempre cercando di tenere bassa la voce) Sì, invece! È mia madre! Lo capisci?! Capisci l’italiano?! (gesticolando) Questo è un confine, il confine: di qua non si passa! Hic sunt leones!

Si affaccia Lea.

Lea – Ma dov’è Elga?!

Carlo e Irina la guardano sconcertati.

Lea – (guardando alle sue spalle, in segreteria) Ah, eccoti qua! (si eclissa di nuovo e richiude la porta)
Carlo – Lasciala in pace, ti prego.
Irina – Non sono venuta a chiedere.
Carlo – Mi prendi per scemo? – Non me ne vado sinché non ti vedo uscire da quella porta!

Rientra Lea sorridente con un foglio in mano. È ancora al telefono. Si scusa con un cenno della mano: ha quasi finito.

Lea    - Allora tutto a posto, il fax è arrivato e la pratica era già stata messa  alla firma. Ma si figuri, Presidente, per così poco. Allora a domani. D’accordo.

Lea si siede e sorride al figlio.

Lea – Allora d’accordo? Niente alzate di testa. E se vuoi un consiglio io sono qui. (pausa) Tu invece che mi dici? Ti piace la mia nuova collaboratrice?
Carlo    - (spiazzato) In che senso?
Lea    - Mi accompagnerà in Russia per un mese. Sai quel viaggio di cui vi ho parlato?
Carlo    - (cominciando a capire) Eccome no, ne abbiamo parlato parecchio, (calcando l’intenzione) in famiglia… dell’interprete che non riuscivi a trovare … e questi sono i risultati!
Lea    - Buoni, no? Io dico che è sbagliato accontentarsi, se si può avere il meglio, e si sa cosa si vuole. - E questo vale anche per te!
Carlo    - Tranquilla, non prenderò decisioni senza prima consultarti. (fa per sedersi)
Lea    - (glielo impedisce e lo accompagna alla porta) Va bene caro ma adesso vai. (a Irina) È sempre così di corsa!
Carlo – Ma no, non  ho fretta.
Lea – (spingendolo dolcemente verso la porta) Io e Irina abbiamo ancora qualcosa da discutere. Su, abbiamo rubato già troppo del tuo tempo prezioso.
Carlo    - Che diplomazia! (si arrende, la bacia) Una madre in carriera!  - È un miracolo che io sia sano di mente.
Lea    - (trionfante) Robin Hood, primcipe dei ladri!
Carlo    - (incalzandola) E lui chi era?
Lea    - Lo sceriffo di Nottingham... dài, quell’attore inglese bravissimo, ce l’ho davanti agli occhi!
Carlo    -  Alan Rickman.
Lea    - Sui nomi mi freghi sempre. (a Irina)  È un gioco che facciamo da quando era piccolo. Frasi, citazioni... dai cartoni animati alla Divina Commedia. Una gara che mi ero inventata per farli studiare.
Irina    - Divertente. Dev’essere bello avere una mamma come lei.
Carlo    - Esatto. (apre la porta, si volta a guardare Irina, con fare finto scherzoso) Ed è per questo che guai se qualcuno cerca di farle del male. Arrivederci. (Carlo esce)

Colpita dallo sguardo e dalle parole di Carlo, Irina si alza d’impulso e va verso la finestra. Lea la raggiunge.

Irina    - Si vede il parco da qui.
Lea    - Già, non sembra neanche di essere in città. Da quassù il rumore del traffico quasi non si sente. (si accorge che Irina cerca qualcuno con lo sguardo) C’è qualcuno che ti aspetta?
Irina    - (scostandosi dalla finestra) Un’amica. È rimasta al parco con la bambina. Sua figlia.
Lea    - Allora non perdiamo altro tempo.
Irina    - Ma non c’è fretta! È ancora chiaro.
Lea    - Sì, ma direi che a questo punto... (squilla il cellulare) Scusa. (risponde) Ciao! No, non mi disturbi affatto... È appena uscito tuo fratello, è passato a... - Certo che va tutto bene! Tu piuttosto, è successo qualcosa, come mai...? - Bene... - Sì, stasera. D’accordo, ciao tesoro, ciao.
Irina    - (ironica) Sono molto affezionati, i suoi figli.
Lea    - Mah... oggi dev’essere giornata. Il piccolo non telefona mai, al massimo fa uno squillo e riattacca, per farsi richiamare. – Allora, ricapitolando: in Russia si stanno aprendo molti spazi di mercato e quindi non escludo, anzi mettilo pure in conto, che a questa prima missione possano seguirne delle altre. Avrai un contratto di collaborazione temporanea, inquadrata al primo livello di impiegata, a cui però vanno aggiunti i rimborsi a piè di lista e le indennità di trasferta, che non sono.... (squilla di nuovo il cellulare) ... poca cosa. Scusa di nuovo! (vede il nome sul display)  Carlo?! (risponde) Pronto, che è successo?! - Non mi sembra... No, non li hai lasciati qui. Cerca bene! Ah, li hai trovati. Meglio così, allora ciao.... (esasperata)  Ma cosa vi ha preso oggi a tutti e due? Sto bene, benissimo, vorrei solo essere lasciata in pace a lavorare! Sì! Ciao! (chiude la comunicazione, sbuffa, poi torna sorridente a rivolgersi ad Irina)  E quindi, in conclusione, da oggi sei sulla nostra barca, spero che ti troverai bene!

Irina non si muove. Sembra più piccola, sprofondata nella poltroncina di fronte a Lea. Ha paura. Il coraggio che l’ha portata sino a lì sembra averla abbandonata.

Lea    - (scherzosa) Beh, allora? Non hai niente da dire?
Irina    - Grazie, è fantastico... (si guarda intorno smarrita, cerca di prendere tempo)  Però, se ci saranno altri viaggi...  io non so... Cosa succede allo studio fotografico...?
Lea    - Giusto. Ma non ti preoccupare, facciamo un passo per volta. (sospira) E va bene, non volevo mettere il carro avanti ai buoi, ma devi sapere che la mia segretaria sta per andare in pensione. Quindi, se va tutto bene, è possibile che tu dica addio per sempre allo studio fotografico!

Lea fissa soddisfatta Irina, aspettando una sua reazione positiva, che non arriva.  

Irina    - Insomma adesso c’è questo viaggio, ma in futuro...
Lea    - Ci sono ottime prospettive.
Irina    - E per il contratto...
Lea    - (perplessa) Di questo abbiamo già parlato, è tutto a posto. Per la cifra esatta devi parlare con gli uffici del personale, ma credo che potrai essere molto soddisfatta. Puoi venire già da domani per fare un po’ di pratica con Elga, così quando partiamo non sarai proprio a digiuno su quel che andiamo a fare e ti troverai meglio col lavoro. – Mi hai detto che sei disponibile, no? Se per te va bene, per me hai superato il colloquio.
Irina    - (con un filo di voce) Anche tu lo hai superato. Sei perfetta.
Lea    - Prego?!
Irina    - Meglio di come ti avevo immaginata.
Lea    - Grazie. - No, è che forse è un po’ presto per sentirmi dare del tu. Certo, dovremo lavorare a stretto contatto di gomito… Però magari con il tempo, eh?
Irina    - Io non posso partire.
Lea    - Cosa?! Ma che sciocchezza...
Irina    - Purtroppo. Sarebbe stato bello ma... non posso.
Lea    - (più stupefatta che adirata) Ma perché farmi perdere tutto questo tempo, allora! Farmi entusiasmare, farmi anche affezionare, in un certo senso, a te… all’idea, insomma… se sapevi già che non potevi partire?!
Irina    - Dovevo parlare con te, dovevo conoscerti! E non sapevo come fare. Così, quando Carlo parlava del tuo viaggio, che cercavi una…
Lea    - Che c’entra Carlo?! Mi sembrava che neanche vi conosceste... (riflettendo)  No, invece a pensarci bene... Era diverso dal solito, tutto così sopra le righe... come sulle spine... e tutte quelle telefonate! (aggressiva)  Cosa c’è tra voi due?

Irina    non risponde.

Lea    - Siete stati insieme? È tipico di Carlo, andarsi a beccare tutti i casi pietosi... (reazione di Irina) E vabbè, scusa, ma dimmi che c’entri tu con Carlo!
Irina    - Come segretaria invece vado bene. Ognuno a suo posto!
Lea    - E poi Carlo è fidanzato! – Insomma, cosa ha combinato? Perché volevi parlare con me?

Irina si alza. Va alla finestra.

Irina    - Quella bambina, lì al parco... È mia figlia. Si chiama Cristina.

Lea aggrotta le sopracciglia, quel nome le dice qualcosa. Irina ripete.

Irina    - Cristina. Non ti dice niente. Neanche il nome hai voluto conoscere.
Lea    - (scuotendosi con forza) No, non mi dice niente e non vedo il perché di questa pagliacciata. Io lavoro, questo per me è la-vo-ro, io devo rendere conto all’azienda! (si blocca) Quanti anni ha la bambina?
Irina    - Due anni.
Lea    - Cristina... Allora tu saresti... No! Non è possibile. (Irina annuisce) Che faccia tosta! Esci subito di qui!
Irina    - Fammi spiegare!
Lea    - Fuori! O chiamo la sicurezza. Ti faccio sbattere fuori come un cane, no, come una ladra! Questo sei. Questo fai per abitudine, non è vero?! Prendi quello che ti piace. L’hai detto! E ti piace fare il nido in quello degli altri!
Irina    - Non è vero! Eravate separati già da due anni! Tu e Rossano...
Lea    - Ma chi se ne frega di Rossano! (si copre la bocca con le mani, spaventata) E io che ti ho raccontato...  Immagino quanto ti sarai divertita. - Poi dici che non sei una ladra.  Ti sei intrufolata nel mio territorio, mi hai ingannata, sei venuta qui a rubare i miei segreti!  
Irina    - Io sono venuta non a rubare! Sono venuta a dare.
Lea    - (fuori di sé, cattiva, quasi isterica) Tu! Ma guardati! Miss Carretto del Mercatino! E cosa può dare mai a me, di grazia,  una morta di fame come te? Perché puoi anche esserti ripulita, ma questo sei, dentro! Cosa sei venuta a darmi?
Irina    - Ti prego…
Lea    - (non le dà il tempo di spiegarsi) Aspetta, aspetta, vediamo se indovino! Forse un marito? Che sciocca a non averci pensato subito! Ora che ti sei fatta gli affari tuoi, ora che ti sei sistemata e ti sei fatta l’assicurazione sulla vita scodellando una figlia, ora magari ti stai accorgendo che è un po’ vecchio per te? (Irina non reagisce, ascolta la sfuriata sostenendo il suo sguardo) Quanto mi dispiace! Prima trent’anni di differenza non si sentivano, vero? Adesso che la mangiatoia è bella comoda, invece... Beh, scordatelo. L’hai voluto, è tuo e te lo tieni! Tutto quello che è stato è bruciato, e solo l’idea che Rossano mi si avvicini...
Irina    - Tutta questa rabbia… Io capisco.  Io vedo il tuo dolore, ma è cosa che può passare.
Lea    - (urlando) Tu non puoi capire assolutamente nulla, tu non ci sei passata!

L’interfono comincia a squillare. È Elga, preoccupata.

Lea    - Elga! No, non è niente, è tutto sotto controllo. Vai, vai pure, per oggi non ho più bisogno. - Vai a casa Elga, per piacere. (Lea abbassa il ricevitore, crolla a sedere) Che vergogna.  
Irina    - Ancora non sono passata, ma forse passerò presto. Lasciare ciò che si ama o essere lasciati… che differenza fa?
Lea    - Fa molta differenza, un’enorme differenza, e anni  passati a cercare di capire cosa, dove e perché hai sbagliato! E adesso che abbiamo scoperchiato la pentola, vattene via. Hai sentito? Fuori!
Irina    - Tu picchia me, ma prima ascoltami. Ti prego. C’è un motivo.
Lea    - Non esiste un motivo al mondo per questo.
Irina    - Io non ti ho detto ancora. Che cosa sono venuta a dare, no, a pregare di prendere! (pausa)
Lea    - Non voglio sentire!
Irina    - Cristina.
Lea    - (sbalordita) Prego?
Irina    - Ho bisogno di una madre per mia figlia.
Lea    - (la rabbia è sbollita di colpo, tanto è lo stupore) Ma che stai dicendo?
Irina    - Io voglio che Cristina cresce con una mamma. Io non ho avuto, so cosa significa. Io non sono stata figlia, speravo di poter fare una famiglia, così allora potevo essere io madre, almeno…
Lea    - E allora? Ce l’hai la figlia, che vuoi da me?
Irina    - Te l’ho detto. Una madre per Cristina, quando… quando io non ci sarò più.
Lea    - (comincia a capire, ma non vorrebbe) In che senso…
Irina    - Io mi sono malata. È qualcosa del sangue. Non c’è molto tempo. Sei mesi hanno detto, forse un poco di più.  (Lea è completamente ammutolita) L’hai detto tu. Non sono stata fortunata. (fruga nella sua borsa, estrae un plico) Le analisi, qui c’è scritto tutto. È una forma di leucemia.
Lea    - (prende le analisi, poi le allontana da sé) Cosa posso dire, mi dispiace, ma non vedo io che …
Irina    - Cristina merita una buona madre. Carlo e Stefano sono bravi. Persone perbene. Tu sei stata una buona madre. Per questo volevo conoscerti, parlarti. Lo sapevo. Tu sei perfetta.
Lea    - (spaventata) Ma non se ne parla nemmeno! Mi dispiace, ma io ho già dato. Ho già due figli miei.
Irina    - Ma volevi un altro, hai detto.
Lea    - Prima! E poi il mio lavoro non mi permette… Ma perché proprio io? Non hai un’amica, una sorella, quella là… Chi è?
Irina    - Solo la baby sitter. Io sono sola.
Lea    - Hai un marito!
Irina    - Rossano non è capace. La farebbe crescere dalle baby sitter, o in collegio. Ho pensato tanto. Voi due, invece, insieme…
Lea    - Sei completamente fuori di testa. (afferra il plico con le analisi, comincia a consultarle)
Irina    - Cristina non ti darà fastidio, è una bambina buona, sana, ed è sempre allegra… Tu le dai un giochino e lei si mette lì, vicina vicina, e gioca da brava. Posso farla salire? È bellissima…
Lea    - No! Aspetta. Aspetta un momento. Stop! Fermi col melodramma. La leucemia si cura. C’è un’alta percentuale di guarigioni, ci sono i trapianti…. E poi da chi sei andata? Chi ha emesso questa sentenza? Che lo venga a dire a me! Dalle malattie si può guarire. L’importante è  avere le cure giuste. E le conoscenze giuste. È triste dirlo, ma se non conosci, allora sì, che puoi anche schiattare. È una vergogna, e bla bla bla, ma poi tutti corrono a cercare il famoso santo in paradiso. E di fronte a te c’è una donna a cui un sacco di gente deve un sacco di favori, oltre ad essere anche un’amica personale di uno dei clinici più illustri d’Italia. Anzi, adesso lo chiamo subito.
Irina    - È inutile.

Lea la zittisce con un gesto, alza il telefono, compone un numero.

Lea    - Pronto? Il professor Salvianti, prego. Sono Lea Foresi. Gli dica che è molto importante. Pronto? Pronto Dino? Ciao, scusa se ti disturbo, ma ho bisogno di un consulto urgente su una questione piuttosto grave. Leucemia, molto aggressiva, pare... una diagnosi… Esatto, infausta. Purtroppo. - No, no, e poi sarei per prima cosa corsa da te, ti pare? No, è per… una mia amica…  Ma ci tengo molto. Devi vederla tu. Domani alle quindici a studio? Perfetto. Grazie. Irina Alisei. Ma tanto verrà a nome mio. Non so come ringraziarti. Grazie, Dino. Ciao, e salutami tanto Betta!

 Irina ha ascoltato impassibile. Scuote la testa.

Irina    - È inutile, non c’è niente che si può fare.
Lea    - Tu intanto domani vai da Salvianti. Sentiamo lui, e poi…
Irina    - E tu pensi che con una bambina come Cristina, così piccola, io ero disposta a arrendermi senza lottare?
Lea    - Comunque la bimba non è sola. Ha un padre. Dei fratelli, una nonna, la madre di mi… di tuo marito.
Irina    - Nonna è troppo vecchia e non vuole bene a Cristina. Carlo e Stefano sono troppo giovani e avranno le loro mogli, e loro figlioli… E Rossano è troppo impegnato…
Lea    - Ma è il padre!

Irina abbassa la testa. Pausa.

Lea    - (di nuovo sbalordita) O no? (Lea scoppia a ridere) No, non ci posso credere!
Irina    - Non è come pensi. Rossano è il padre, ma lui non voleva un figlio da me. Io ho detto quando era troppo tardi per farmelo togliere.  Ora è contento,  vuole bene alla bambina, crede lui…È il suo piccolo giocattolo. Quando piangeva e piangeva la notte io la prendevo dal lettino e scendevamo in garage, in macchina, per non farci sentire. Cosa può fare lui con Cristina?
Lea    - (solidale, suo malgrado) Magari crescere, insieme a lei!
Irina    - Tu sei forte, sei istruita, elegante… Solo tu puoi insegnarle le cose che io voglio per lei. Solo tu puoi insegnare a difendersi dagli altri. Io voglio che diventi come te.
Lea    - (colpita, per un momento si astrae, sogna) Tante volte ho sognato di avere una femmina. Una a cui insegnare tutto quello che hai capito, perché goda il massimo della vita e non faccia i tuoi stessi errori…. Ma non è andata così. (scotendosi con violenza) E tanto perché tu lo sappia, quella bambina io l’ho odiata con tutte le mie forze, quando ho saputo. Di te non mi fregava niente, ma lei… Tutto quel dolore, che era rimasto dentro, si è trasformato in odio. Lei era… - Sono fuggita, a rischio di mettere in pericolo il lavoro, la carriera, lasciando un uomo stupendo che forse mi voleva bene veramente… Avevo bisogno di un oceano tra me e… voi.  In quel viaggio non ho fatto altro che seppellire ricordi, dolore, risentimenti. Ho buttato tutto in un buco nero, ho ricostruito la mia vita per la terza volta. Al ritorno, dicevano che sembravo una donna nuova. Ma non si può sfidare troppo il destino. Non voglio. Carlo e Stefano sono figli miei. Cristina è figlia tua.
Irina    - Ma sono io a dartela! La vuoi conoscere? Solo un minuto... Dico alla ragazza di salire?
Lea    - Questo dialogo è assurdo. Ci sono le leggi. I bambini non sono pacchi postali! E anche i pacchi postali hanno bisogno dei loro timbri, per partire! – Vabbè, la metafora fa schifo, ma ti rendi conto?! Non hai nessuno, possibile, né Romania né in Russia?!
Irina    - Un fratello di mio padre… gli altri sono tutti morti. (Irina rabbrividisce al ricordo) No. Piuttosto lei va in collegio. Tu non sai come sono cresciuta io.
Lea    - Tutte a te sono capitate! Un’altra delle tue invenzioni? Come l’amica con “sua” figlia giù al parco?
Irina    - Noi eravamo molto poveri. Tu non puoi capire. Essere poveri lì è diverso. Quando gli uomini sono infelici si ubriacano, e quando si ubriacano sono sempre le donne che… -  Io amo il mio paese, tu devi vedere quanto è bello… Ma Cristina volevo portare lì un giorno, da grande… Forse lo farai tu?
Lea    - No! Smettila di cercare di incastrarmi. Mi dispiace molto per te, ma io non c’entro! (pausa)  E poi io non parlo con Rossano da quando mi ha lasciata, e non intendo rivederlo. Allora? Come credi di risolvere un problemino  del genere?
Irina    - Ma tu non hai dimenticato lui. E anche lui non ha dimenticato.
Lea    - Sappiamo come ci chiamiamo e che un tempo molto lontano abbiamo fatto insieme due figli.
Irina    - Lui non parlava, ma sempre faceva paragoni, io lo capivo. Quando compravo un vestito, sempre sceglieva cose che non erano giuste per me… ma per te. Lo sapevo prima ancora di vedere le tue fotografie in casa di tuo figlio. E mi arrabbiavo... sono stata tanto gelosa. - Ma per questo poi ho pensato: quando non ci sarò più, Cristina può essere la figlia che volevano, e io solo una … come si dice… una cosa che è stata per un po’ nel mezzo…
Lea    - Una parentesi.
Irina    - Una parentesi. Qualcuno che nessuno ricorderà più. Forse neanche Cristina. Ma non importa, se lei sta bene.
Lea    - Irina, continui a non capire. Tu non sai. Dici che sono tanto buona, che sono  brava, ma non sai il rancore che mi porto dentro. Dicono che l’amore può superare tutto: il dolore, l’orgoglio ferito, i brutti ricordi, persino l’odio. Forse è vero. Ma solo se non hai dato il tempo al rancore di crescere dentro di te. Perché il rancore è come un pugno di ferro che avvolge il cuore e gli impedisce di battere. Se lo fa, se il povero, stupido cuore si illude di poter tornare a battere come se niente fosse successo, la mano stringe, ad ogni battito, e fa un male pazzesco, perché ogni battito è un ricordo di qualcosa che non volevi vivere, e che hai dovuto subire, per colpa sua. Per il suo egoismo, la sua paura di invecchiare, il suo menefreghismo.
Irina    - E se lui non ci fosse più?  
Lea    - In che senso? (ride) Vuoi accoppare il padre dei miei – pardon – dei nostri figli? Già... tanto, a quel che dici tu, non avresti  niente da perdere... – Noo, dimmi la verità: è solo un gigantesco scherzo, vero? Di pessimo gusto, molto  melò... Mi stai prendendo in giro. La tua vendetta per avervi voluto ignorare.
Irina    - (colpita) Una vendetta...
Lea    - Per aver voluto tenere te e la tua... progenie lontana dai miei figli. Ma non ce n’è stato bisogno. So bene che cosa pensano di te, io so come farli parlare anche senza fare domande.
Irina    - Loro sono buoni con Cristina! Stai mentendo.
Lea    -  E tu? Anche le analisi che mi hai mostrato potrebbero essere false. Un’altra bugia.
Irina    - Io non ho detto bugie!
Lea    - E la messinscena del colloquio? E la tua “amica” qua sotto?
Irina    - Perché non avevo il coraggio di dirtelo! Però è vero, non sei buona... tu hai il veleno dentro. E sei una bugiarda e un’ipocrita! Hai detto di aver ringraziato Dio quando sei guarita, di avere gioia, e invece! - Quante coppie si separano, e sopravvivono, loro che possono, ma tu no, tu sei speciale!!! Perché? Anche tutte tue amiche sono separate!
Lea    - E tu che ne sai?
Irina    - Le vedo, girano sempre intorno a Rossano! Davanti a me, come se io non... Come se io non contassi nulla.
Lea    - Le mie amiche? Chi?
Irina    - Quella coi capelli biondi tutti tinti corti corti, per esempio. Gioia, si chiama. Si attacca addosso a Rossano come... Mi fa vergognare per lei.

Lea accusa il colpo in silenzio. Accende un’altra sigaretta. Cerca il posacenere, che come al solito ha nascosto lontano dagli occhi. Irina glielo porge.

Lea    - Tu oggi sei proprio venuta qui per distruggere tutto il mio mondo. (prende il posacenere) Grazie.
Irina    - Prima di malattia non mi fregava niente di te. Mai sarei venuta io qui.
Lea    - E allora facciamo finta che non è successo niente, tu te ne vai e non ci siamo mai viste. Nemiche come prima.
Irina    -  È stato uno sbaglio venire qui, devo proprio essere pazza, hai ragione. Non sai quanta paura avevo. Uno scherzo “gigantesco”, come hai detto tu.  Uno scherzo della mia mente malata. In questi mesi di analisi, di cure, di esami, mi sono arrovellata: Cristina, Cristina, Cristina… E pensavo: quando la vedrà, così piccola, così dolce quando ti abbraccia, quando si sforza di ripetere le parole che le insegni, quando ti corre incontro per farti vedere una cosa bella … Non potrà resistere, mi dicevo. Cercavo di convincermi. Ma è stata una follia, ora capisco. Lei non è niente per te. È solo una bambina come tante. Tu non mi devi niente, e io non ho diritto di chiederti questa cosa.  Non avevo nessun diritto di entrare nella tua vita. Me ne vado. Scusa.

Irina raccoglie la borsa con le sue carte e fa per avviarsi.

Lea    - Aspetta!
Irina    - Devo andare. Comincia a fare freddo, al parco.
Lea    - Hai parlato con Rossano?
Irina    - (stanca) No. Lui non sa neanche di malattia.
Lea    - Come è possibile? Lui ha il diritto di sapere! Per me sarà pure uno stronzo, ma è sempre tuo marito, e il padre di tua figlia.
Irina    - Oggi. Glielo dirò oggi.
Lea    - E quanto tempo hai perso? Un mese? Due? Tre? Magari se avessi affrontato la cosa con lui, se ti fossi lasciata curare per tempo, forse…
Lea    - Sarei finita in ospedale, come mia madre, lontana da mia figlia anche per questo poco tempo che rimane.
Lea    - Ma che ne sai?! La medicina ha fatto progressi che neanche immaginiamo, oggi ci sono le cellule staminali, ci sono ospedali all’estero, ci sono laboratori dove fanno ricerche che aumentano ogni giorno le possibilità di guarigione! Irina, fatti aiutare. I soldi non sono un problema.
Irina    - Ma non sono neanche soluzione. - Ho vissuto tre anni di più di mia madre.
Lea    - E potresti viverne altri cinque, altri dieci, e magari guarire perché un giorno troveranno la cura per la tua malattia!
Irina    - Okay. Farò tutto quello che dovrò fare. Non voglio che pensi che non lotterò. Mia figlia non deve pensare che non ho lottato per restare con lei. Farò la chemio e mi comprerò una parrucca, per non farla spaventare, farò le trasfusioni e tutto quello che sarà. ..
Lea    - Finalmente!
Irina    - Se tu mi prometti che almeno accetterai di conoscerla. - E se Rossano prometterà che ti lascerà prendertene cura. Se lo vorrai.
Lea    - Altro che, se stai lottando! Solo adesso mi rendo conto di quello che deve esserti costato venire qui. Certo che la vita è strana. (si prende il viso tra le mani, coprendosi gli occhi, poi si tira su e la guarda) Gli antichi dicevano che a volte gli dei, per punirti, esaudiscono i tuoi desideri.
Irina    - Neanche io avrei immaginato. Solo due mesi fa tu eri solo un’ombra fastidiosa che mi ricordava che Rossano non avrebbe mai veramente amato me. Ma ti cacciavo via, e dicevo: ora ci sono io! Io ho una figlia, nessuno mi porterà via quello che ho conquistato. Una bella casa, una bella macchina, bei vestiti… (Lea le lancia uno sguardo sorpreso) È vero, non desideravo altro, quando sono arrivata in Italia.  Ma non sono mai riuscita a diventare un’altra. Una persona elegante… come Rossano avrebbe voluto. Allora mi arrabbiavo con me stessa, con lui, e chiedevo di più. Sempre più cose. Di Più! - Lo so che quando parlavi di me dicevi “la puttanella rumena”.
Lea    - (annaspando) Io… chi ti ha detto…
Irina    - Voi italiani siete strani. Sapete fare male con molta gentilezza. Io sono arrivata due anni dopo la vostra separazione. Questo mi ha concesso di essere accolta, no, di essere ... come si dice... (Lea la guarda interrogativa, Irina si innervosisce) Quando una persona ti invita, ma non lo vuole fare veramente! Quando ti parlano, ma non hanno niente da dirti?!
Lea    - (con un filo di voce) Tollerata.
Irina    - Ecco: sono stata tollerata da alcuni vecchi amici di Rossano. I vostri amici. Ci “frequentiamo”... - E prima o poi succede che da una porta aperta si ascolti quello che fa male.
Lea    - Mi dispiace. Non sono buona, te l’ho detto. – È che non mi sembrava giusto! Quando Rossano se n’è andato, ho sperato, gli ho augurato di non essere mai più felice, di rimanere solo per il resto della sua vita. Imprigionato nella stessa solitudine alla quale aveva condannato me. Per qualche anno è andata così, e il mio orgoglio ferito godeva, Questo mi ha aiutato a risollevarmi. Non il lavoro, non i figli. La mia sete di vendetta. – Vederlo ricominciare, invece, con una nuova vita in arrivo… È sembrato come se mi dicesse: vedi? Io posso ancora ricominciare. Io, al contrario di te,  posso anche avere un figlio, alla mia età. – Ma poi è passato, anche quello.
Irina    - Non lo odi più?
Lea    - Non lo so. Non è l’odio il problema. È il rancore.
Irina    - Io non capisco perché ti ha lasciata.
Lea    - Credo che, semplicemente, non mi amasse più. Non gli bastavo più. Chissà quando ha cominciato a lasciarmi. Se quando mi sono ammalata, o dopo, quando ho superato il cancro. Forse se n’era andato molto prima che uscisse per sempre dalla nostra casa. Forse, se me ne fossi accorta, avrei potuto fare qualcosa. Ma ero così impaurita prima, e poi così felice di poter vi-ve-re! – Scusa, sono un mostro, questa te la potevo risparmiare.
Irina    - Non importa. Però …  - Allora tu sai cosa si sente.
Lea    - E per questo ti dico che niente è mai perduto. Nulla è finito finché non è finito. Devi pensare in positivo.
Irina    - La mia malattia è un’altra.
Lea    - E allora mettiamola così: esistono i miracoli!

Irina ride piano, suo malgrado. Anche Lea sorride.

Lea    - Quanti anni ha Cristina? No, lo so benissimo: due anni.
Irina    - Sì.
Lea    - E cosa le piace?
Irina    - Le piace tanto disegnare. I colori... E la musica. Appena la sente si mette a ballare.
Lea    - Va al nido?
Irina    - Prima la volevo iscrivere… ma adesso voglio stare con lei tutto il tempo possibile. Sono egoista. Poi sarà peggio per mia bambina.
Lea    - “Poi” andrà a scuola e tu la accompagnerai. E poi si vedrà, se le piace danzare c’è l’Accademia di Danza… se le piace la musica le faremo imparare a suonare uno strumento, e poi c’è il Conservatorio… Ma sai quante volte cambierà idea! I miei figli hanno cambiato almeno tre o quattro sport per ciascuno, e ogni volta sembrava la grande passione! Per non parlarti del periodo punk o del rasta, che Dio ci scampi!
Irina    - Sono due buoni figli. Siete stati bravi genitori con loro.
Lea    - Fortunati. È sempre un terno al lotto.
Irina    - Con te Cristina sarà in buone mani.
Lea    - Ma perché vuoi che diventi come me? Vuoi veramente che cresca tra le persone che ti hanno preso sempre a pesci in faccia? Perché?
Irina    - (ci pensa su) Io sarò sempre dentro di lei. (pausa) La faccio salire?
Lea    - No! Tu non molli mai, eh? – No. Non farla salire.  –Scendiamo noi, andiamo a prendere un gelato, fuori da questo chiuso… (Lea si guarda intorno, come intuendo che le cose che la circondano da domani non saranno più le stesse, poi fissa Irina) Andare a prendere questo gelato è  forse la cosa più pericolosa che abbia fatto in tutta la mia vita…
Irina    - Forse ci sarà una nuova vita, per te.
Lea    - Certo è una strana mano di carte.

Lea raccoglie le sue cose. Squilla il suo cellulare. Le due donne sono ormai sulla porta. Lea rintraccia a  fatica il telefonino annegato nella borsa, e risponde.

Lea    - Carlo! Ancora tu! Sì, sto uscendo. Sì, esco prima. Sto andando con Irina a conoscere tua sorella. – Carlo? Carlo, ci sei? Pronto!  – Ah. Sei contento. Anch’io, credo. No. Non ti preoccupare. Anzi, sai cosa ti dico? (parafrasando la battuta finale di Casablanca) Credo che questo sarà l’inizio di una lunga, bella amicizia. (ascolta, annuisce) Casablanca… Bravo!

FINE