COMPENDIO GENERALE

di

Marco Andreoli


Personaggi:
Sebezio Zanussi, professore emerito
Fefè, suo assistente


Una stanza di cattivo gusto. Appeso sul fondo, un armadietto da cucina. Suppellettili varie.
Al centro una poltrona vecchia, lisa, di pelle.

Segnale luminoso giallo intermittente.

Davanti alla poltrona, sul pavimento, una sagoma umana fatta con un gessetto bianco. Di quelle che, sulla scena di un omicidio, segnano la posizione dell’assassinato.

Stacchetto musicale rumoroso e ridicolo.

Luce a cono su Fefè. Fefè indossa una livrea da maggiordomo lisa e rattoppata. In mano tiene una scatola delle dimensioni di un grosso libro.


Fefè – (come parlando ad un pubblico infinito) Il Compendio Generale del professor Zanussi!

Stacchetto. Sul quale Sebezio entra danzando.
Sebezio indossa un’enorme pelliccia giallo canarino; infilato sulla fronte, un cappellaccio di paglia da contadino, a falde larghe.

Fefè – Con il Compendio Generale del professor Sebezio Zanussi, signori miei, ci troviamo senz’altro di fronte all’invenzione più straordinaria che l’umanità potesse aspettarsi. Sì, insomma, diciamolo: il genere umano non ha fatto proprio nulla per meritarsi questo miracolo.

Nuovo stacchetto e nuova danza di Sebezio. Così ad ogni successivo stacchetto.

Fefè – Come spiegarevi, concittadini, uomini da bene, membri del parlamento, che questo nostro Compendio contiene davvero tutto ciò che l’esistenza umana abbia mai contemplato e mai contemplerà. Qui c’è il bene e il male, ogni idea pensata, ragioni e sentimenti di epoche passate e future. Fortunatamente la nostra lingua dispone di una parola in grado di indicare in maniera perlomeno chiara il contenuto di questa scatola. Qui dentro, amici miei, c’è tutto!

Stacchetto.

Fefè – (fingendo di piangere) Oh, beh, dovrete scusarmi… Il mio entusiasmo smisurato, voglio dire. Ma cercate di comprendermi: io posso, grazie alla magnanimità del professor Zanussi, intuire, assaggiare, vedere molto meglio di voi, la nuova era, la luce, l’oro; forse non riuscirò mai a vincerla, questa commozione…

Stacchetto.

Fefè – Molto bene. Molto bene. Se ora qualcuno di voi volesse mettere alla prova il Compendio Generale del professor Zanussi, noi saremmo felici e onorati di regalarvi questa gioia.
Sebezio – Signore! Signore!

Fefè si guarda intorno per cercare di capire da dove provenga la voce.

Sebezio – Da questa parte. Qui, sono qui, signore…

Fefè finalmente vede Sebezio.

Fefè – Ah! Eccolo qui, il fortunato.
Sebezio – Sì, eccomi qui.
Fefè – Bene. Non perdiamo altro tempo. Qual è il suo nome?
Sebezio – Fermentino.
Fefè – Fermentino? Bene, bene. Dica pure, signor Fermentino…
Sebezio – Potrei fare una domanda?
Fefè – Siamo qui apposta.
Sebezio – (cercando la parola) Ma questo…
Fefè – Compendio Generale.
Sebezio – Ecco, sì. Questo compendio, è forse una macchina?
Fefè – Sono contento di questa domanda. Grazie teante, Mister Fermentino: lei mi dà modo di essere più preciso, più vicino, più concreto. Vede… Deve pensare al Compendio come ad un contenitore; dentro, sottovuoto potremmo dire, c’è tutto ciò che lei ha mai visto o immaginato. Ma c’è anche tutta la storia del futuro, le invenzioni che verranno, gli amori di tutti gli esseri viventi che ancora devono nascere.
Sebezio – Non sono sicuro d’aver capito.
Fefè – Sa cosa significa “tutto”?
Sebezio – So che ieri ho lavorato tutto il giorno.
Fefè – (un po’ imbarazzato) Già, certo. Ma lei, dico per dire…
Sebezio – Sì.
Fefè – Non avrebbe voglia, che so? …Ecco: di sapere il nome dei figli dei figli dei figli dei suoi figli?

Sebezio guarda Fefè fisso negli occhi. Sembra che una qualche strana rabbia monti nei suoi occhi. Quindi si toglie il cappello e lo lancia a terra. Tolto il cappello, compare un diadema di plastica argentata, stretto sulla fronte.
Fefè perde di colpo la sicurezza dell’imbonitore.
Si intuisce un profondo cambio dei ruoli.

Sebezio – (come non capacitandosi) …Il nome dei figli dei miei figli?…
Fefè – Io vorrei saperlo.
Sebezio – (rabbioso) Zitto! Tanto figli non ne avrai. Tu sei buono per pulire i cessi! Il resto non lo puoi fare. Ma la colpa è mia. E’ solo mia la colpa. Che c’entri, tu? Povero demente senza madre e senza un briciolo, un briciolo solo, di buon senso.
Fefè – Avevamo detto, domande pertinenti.
Sebezio – (al culmine della rabbia) Statti zitto! Sta ai mercati generali, il cretino! Che pensi di vendere? Carciofi? Melanzane? Eh? Oppure pozioni? …La nuova era, la luce, l’oro… (Calmandosi)Va bene, fermiamoci un po’, riprendiamo fiato. Fefè!
Fefè – Dite, Sebezio.
Sebezio – Sul posto.

Fefè comincia a saltare sul posto, a piedi uniti.
Sebezio si siede sulla poltrona.

Sebezio – Il thè è pronto?
Fefè – Immagino di sì.
Sebezio – Beh, che aspetti?
Fefè – Vado.

Fefè posa la scatola sulla poltrona quindi raggiunge saltellando il fondo scena; qui, sempre saltellando, cerca di prendere un cabaret dal tavolino. Sul cabaret, una zuccheriera, una tazza fumante e un piattino con biscotti da thè.

Sebezio – Sai cosa mi fa rabbia? Che quando ti applichi, ce la fai. Non sei peggiore degli altri.

Fefè fa cadere a terra qualche piatto.

Sebezio – Devo dormire di più. Sono tanto stanco.

Fefè torna vicino alla poltrona con il cabaret, precario, nella mano destra. Ora saltella sul posto proprio al centro della sagoma a terra.
Sebezio lo guarda fisso, come per rimproverarlo. Fefè sembra non capire. Sebezio indica col mento la sagoma. Fefè, di scatto, si sposta.

Fefè – Se posso permettermi…
Sebezio – Dì.
Fefè - …Fermentino non mi pare sia un nome credibile.
Sebezio – Era il nome di mio nonno.
Fefè – Il thè si fredderà.
Sebezio – (sconsolato) Un puzzone, ecco quello che sei! Una blatta vigliacca che mi si arrampica sulla gamba; e che una volta presa la coscia, stringe per chiudermi l’arteria.
Fefè – (smettendo di saltellare) Una vita intera passata alla ricerca del tutto. Gli altri ragazzetti giocavano a moscacieca nei laboratori di chimica, oppure si arrampicavano sulla letteratura universale. Il mio bambino dipinge da dio; il mio, invece, usa il computer come un arcangelo; oh, il mio Filippetto è il diavolo dell’elettronica… Ognuno impegnato a fare a pezzi la torta del buon dio. Ma voi, Sebezio Zanussi, professore emerito, avete puntato subito all’aleph. O tutto o niente.
Sebezio – (triste) E’ così. (Riprendendo energia) Ma con me non ce la fai, animale! Per quanto credi che andrà avanti questa storia? Appena torno in sella ti arriva un calcio in culo che nemmeno te l’immagini. Poi vediamo chi ride, merda che non sei altro!
Fefè – Penso che abbiate dormito male, stanotte.
Sebezio – E perché?
Fefè – Perché i nervi vi brillano, Sebezio.
Sebezio – Non sono affari tuoi!
Fefè – Ma avete dormito male.
Sebezio – Sì. Sì, ho dormito male.
Fefè – Eh. Si vede.
Sebezio – E lascia che si veda.
Fefè – E’ stato un incubo, vero?
Sebezio – Proprio.
Fefè – Beh, potevate chiamarmi, no?
Sebezio – Ci ho pensato, infatti. Ma poi ho creduto che te la saresti presa a male.
Fefè – E perché, mai?
Sebezio – Perché, vedi, Fefè, ancora una volta quell’incubo aveva il nome di tua madre.
Fefè – Capisco.
Sebezio – E anche la faccia, sai? E quei modi tanto leggeri che…
Fefè – Il thè si fredderà.
Sebezio – Mandarino, voglio sperare…
Fefè – Ai chiodi di garofano.
Sebezio – (lamentoso) Ai chiodi di garofano… Ai chiodi mi fa il thè… Buttala nel cesso, quella roba, avanti fà il bravo; e magari, visto che ci sei, prova a buttarci anche la testa. I chiodi di garofano mi dà da bere. Eh, già: il porco spera in un collasso. Avrà pregato perché un chiodino mi potesse bucare il cuore: pffffffffff…
Fefè – Con permesso.

Fefè esce.

Sebezio – E adesso che mi bevo, che alle cinque meno un quarto mi piace tanto il the coi biscottini. Quelli con la ciliegina, per lo più. Rossa. Anche la verde. La verde è affidabile. E adesso che mi bevo che alle cinque meno un quarto mi piace tanto il the coi biscottini. Fefè!
Fefè – (rientrando con i capelli grondanti d’acqua e con un grosso bicchiere pieno) Signore.
Sebezio – E adesso che mi bevo che alle cinque meno un quarto…
Fefè – Succo di limone, magari.
Sebezio – (illuminandosi) Succo di limone.
Fefè – Se gradite.
Sebezio – E dimmi: è fresco?
Fefè – Così-così.
Sebezio – Quando l’hai fatto?
Fefè – Or-ora.
Sebezio – Bravo. Ti mando a sfebbrare con lo sciacquone e mi porti la limonata. Non me l’aspettavo, guarda che ti dico.
Fefè – Dovere.
Sebezio – Condonati i peccati. (Pausa lunga in cui Sebezio fissa Fefè, immobile. Poi scattando) Avanti, sgobba, march, andiamo, rapido, rapido, rapido.

Fefè tira fuori dalla livrea un cucchiaino e lo gira rapido nel bicchiere; quindi lo porge a Sebezio.
Sebezio prende il bicchiere e fa per berlo di gusto. Poi si ferma. Ne guarda il contenuto e lo annusa.

Sebezio – Oh! Sì, insomma, figuriamoci se ti è passato per la testa di pisciarci dentro.
Fefè – Ma figuriamoci! Che mi tocca sentire.
Sebezio – Già. Roba dell’altro mondo.
Fefè – Inaudito.

Sebezio torna a guardare il bicchiere.

Sebezio – Pensa. Sono tanto felice del tuo gesto che oggi ti concederei perfino di brindare con me.
Fefè – Troppo onore.
Sebezio – Infatti. E poi il tuo fegato direbbe male.
Fefè – Ben detto. Salute, allora.

Sebezio tracanna l’intero bicchiere; poi, con indifferenza, lo lancia dietro la poltrona, senza neanche guardare dove va a finire.

Sebezio – Il bicchiere s’è rotto.
Fefè – Cose che capitano.
Sebezio – Che fai? Aspetti qualcuno?
Fefè – Non più.
Sebezio – (sbottando) Beh, svetra, scoccia, su! Sta impalato. Impalato sta.

Fefè, rapidamente, estrae dalla tasca interna della livrea una scopetta e una paletta pieghevoli. Quindi va a togliere i vetri.

Sebezio – Hai capito, no? S’è svegliato, ha inzuppato i bucaneve nel latte e poi ha fatto Adamo. Eh; roba forte. Già… (Sottovoce, affinchè Fefè non possa a sentire) La giacca… Devi portarmi subito la giacca… Avanti, Fefuccio, portami la giacca che il dottore sarà qui a momenti… Ah, allora mi vuoi proprio far girare so io cosa, allora vuoi proprio che ti spacchi so io cosa… La giacca, Fefè… La giacca… (Poi improvvisamente urlando) La giacca!

Fefè salta terrorizzato.

Sebezio – Ma insomma! La giacca, la giacca, portala qui, qui, qui…

Fefè esce per prendere la giacca.

Sebezio – (cambiando tono) Tu ci scherzi troppo con me, te lo dico io. E ancora non hai capito che un attimo sei dentro casa e l’attimo dopo stai sul pianerottolo a elemosinare. Altrochè. Hai inteso male, amico mio; hai inteso male…

Fefè rientra in tutta fretta con la giacca da cerimonia.

Sebezio – Alla buon’ora. (Mentre Fefè tiene la giacca per il bavero, Sebezio infila le braccia nelle maniche) Cos’è? Hai trovato traffico? Hai girato a vuoto, eh?… La verità è che non c’è più rispetto… Ma vedrai se non ti butto fuori a calci. Vedrai… (Improvvisamente esplodendo) La sciarpa, perdio! (Piagnucolando) Mi vuoi far perdere tutto, non è così? Vuoi che il dottore se ne vada da qui pensando di aver sbagliato porta casa e quartiere… Mi porta la giacca e non mi porta la sciarpa che, davvero, non per vantarmi, è la cosa più bella che ho… (A sé) Hai capito, sì? Hai capito in mano a chi l’hai messo il tuo Compendio Generale? Il Compendio Generale di Sebezio Zanussi, professore emerito. (Cambiando; di nuovo rivolto a Fefè) Che t’ha insegnato tua madre? A cuocere i fichi no, a fare il collo dei maglioni no, a frignare no, a sfiatare qualche verso… (Guardando Fefè che rientra )…No, nemmeno quello. Sarà mica è colpa tua. Tua madre, che dio la benedica, può averti insegnato una cosa sola.
Fefè – (infastidito) Accidenti!
Sebezio – Hai capito, sì? Quello in sei giorni ha fatto tutto. E noi che presentiamo al mondo il risultato di dio, siamo senza sciarpa. Ma tu che ne sai. Coglione…
Fefè – Diomio, Sebezio…
Sebezio – …Che tra una parola e l’altra, con quella faccia da topo che ti ritrovi, mi volevi far bere i chiodi!… Eh?
Fefè – (arreso) Basta.
Sebezio – Ho appena cominciato, invece. (Calmo, quasi paterno) Prendi la sciarpa, avanti. Il dottore sarà qui tra poco.
Fefè – A che ora la cena?
Sebezio – Vedi tu.
Fefè – Bene. Con permesso…

Fefè esce.

Sebezio – Fa l’offeso, fa… Eh sì, eh! Ha la coda di paglia, come quella burina di sua madre. Che non potevi parlare, che non potevi neanche sospirare. Ma è un ragazzo. Non può capire il bene che gli voglio, l’amore che gli porto; neanche se lo può immaginare che preferirei morire piuttosto che ferirlo…

Rientra Fefè con la sciarpa.

Sebezio – (cambiando, a Fefè) Ah. Rieccolo, il coglione. Se morivi da piccolo ancora ero in festa… (Guardando Fefè negli occhi) Beh? Che c’è? Che è quello sguardo?
Fefè – Quale sguardo?
Sebezio – Quello.
Fefè – Non so.
Sebezio – Non so… E certo, io sono un imbecille, no? Io tiro avanti e mi consumo di demenza, è così.
Fefè – Io…
Sebezio – Zitto, Fefè, zitto. Per carità. Che stasera finiamo i giochi se non fai il bravo.
Fefè – Potrebbe succedere.
Sebezio – E cos’è, questa? Una minaccia?
Fefè – Figuriamoci.
Sebezio – No, no. Tu sei tornato qui con quello sguardo, con quella faccia… (Improvvisamente, di scatto, gli stringe forte la mano intorno alla mascella; durissimo) Guarda, te lo dico l’ultima volta: tu hai inteso male. Ma non male e basta: hai inteso malemale.

Sebezio lascia la presa. Fefè sembra essere sull’orlo di un pianto isterico.

Sebezio – (ora calmo) Adesso và, che io mi devo preparare.

Fefè, piuttosto scosso, tira fuori una specie di spazzola dalla tasca interna della livrea. Quindi si inginocchia e comincia a strofinare il pavimento. Sempre sull’orlo del pianto.

Sebezio – (indicando la parte opposta del palco rispetto a quella in cui si trova Fefè) Lì, lì, lì.

Fefè smette di pulire nella sua zona e raggiunge quella indicata da Sebezio.

Sebezio – (indicando una seconda zona, di nuovo lontana da quella precedente) Lì, lì.

Fefè la raggiunge. Il gioco va avanti in questo senso.

Sebezio – Lì, lì, lì… Lì, Fefè, lì! …Di qua, di qua… Laggiù, laggiù… (Tra sé; come stremato) Che fiacca. Almeno Gesù il settimo giorno si è riposato. (Indicando di scatto una nuova zona da pulire) Lì, avanti, lì… (Tra sé, di nuovo; quasi riprendendo fiato) Ohi-ohi.

Sebezio prende la scatola e la fissa.

Sebezio – Dovrei davvero fermarmi a riflettere su questa visita imminente, su questa mia invenzione che, a dire il vero, ha tutto l’aspetto di una rivoluzione. E invece eccomi qui… (Riscattando su Fefè) dietro, dietro, dietro… (Tra sé, riprendendo il discorso)…A preoccuparmi della pulizia di questo infernetto. Ma il dottore ha cervello. E il Compendio Generale sarà più forte del suo contesto. Comprenderà la nostra situazione, non credi?

Fefè non ha ascoltato, impegnato com’è a pulire il pavimento.

Sebezio – Oh! Con te parlo.
Fefè – Con me?
Sebezio – No, dico: ha cervello da vendere. Comprenderà la nostra situazione.
Fefè – Chi ha cervello da vendere?
Sebezio – (sarcastico) …Te. Parlavo di te. Perché? Ti pare strano? Non hai cervello da vendere, tu? …Hai finito, almeno?
Fefè – Ho finito.
Sebezio – Bene. Palmarès.
Fefè – Ma l’abbiamo fatto, Sebezio.
Sebezio – Quando?
Fefè – Lo facciamo di continuo.
Sebezio – E lo rifacciamo. C’è qualche problema?
Fefè – No.
Sebezio – Allora via, enfatico, eh, robusto. E pronuncia bene le date, mi raccomando. E poi non stare sempre lì a grattarti, che l’ultima volta parevi pieno di pulci. Stai fermo, modula, comunica. Lo facciamo per impressionarlo, il dottore, è naturale; ma anche per accarezzarlo, no? Per soffiare cose, dolcezze, diamantini, al suo orecchio. O mi sbaglio?
Fefè – Vado.
Sebezio – Ecco, bravo.
Fefè – L’onorevole e indimenticato Sebezio Zanussi nasce il primo gennaio dell’anno 1938; per inciso, si tratta di un anno fondamentale: senza il 1938, infatti, la storia si sarebbe fermata al ‘37. Dopo il conseguimento della licenza elementare, prosegue gli studi senza intoppi particolari, fino alla splendida laurea del ‘50 intitolata: “Bidibi Bodibi Bu”. Da quel momento tutta una sfilza di premi e riconoscimenti internazionali. In questa sede, del resto, non possiamo che elencarne i principali: patente di guida nel ‘52, brevetto di nuoto denominato “cormorano” nel ‘53, primo premio alla cocomerata del ‘56, terno secco nel ‘61; e poi targhe, coppe e medaglie tra cui spiccano senz’altro le decorazioni del ‘64 e del ‘66, entrambe ottenute grazie al meraviglioso talento espresso nel campo dell’aerofagia. Oggi il professor Zanussi lavora per l’umanità, in attesa che la stessa riconosca come imprescindibili i suoi straordinari meriti. Amen.

Sebezio che è stato immobile ad ascoltare per tutto il tempo, si alza dalla poltrona. E’ visibilmente teso, tirato. Fefè guarda avanti a sè trattenendo a stento le risate.
Lentamente Sebezio raggiunge l’armadietto sul fondoscena. Lo apre. Ne tira fuori una grossa bobina di filo elettrico gommato che termina con un blocchetto di comando per diapositive.
Quindi, mentre il filo si srotola, avanza fino a metà scena stringendo nella mano il blocchetto.
Lo sguardo di Sebezio è terribile, fisso sulla nuca di Fefè.

Sebezio – E bravo Fefè.
Fefè – (trattenendo le risate) Scusate. Scusate davvero.
Sebezio – Immagino che tu sappia come va a finire questa storia.
Fefè – (sempre ridacchiando) Sì, Sebezio, lo so.

Fefè comincia, sul posto, a saltellare. Senza perdere il buonumore.

Sebezio – Che fai, Fefuccio?
Fefè – Come che faccio? E’ la punizione.
Sebezio – La punizione? Di cosa parli, scusa?
Fefè – (rallentando; cominciando ad avere un terribile sospetto; ora serio) Vi ho mancato di rispetto. Dovete perdonarmi.
Sebezio – Davvero? Guarda che io mica me ne sono accorto. Ma sei sicuro, bambino?
Fefè – Credo di sì. Ho parlato troppo.
Sebezio – Ah, ecco: hai parlato troppo. E cos’è che hai detto?
Fefè – Bugie. Infamità.
Sebezio – Capisco. E beh, sì, forse hai ragione: una punizione sarebbe opportuna…
Fefè – Sebezio.

Sebezio ruota una delle manopoline sul blocchetto di comando. Le luci cominciano ad abbassarsi.

Fefè – (ora capendo; terorizzato) Corro? Eh, Sebezio? Corro per tre, cinque ore, va bene? Corro… corro fino al coma; fino a schiattarvi sotto le pantofole… Corro dieci ore, un giorno intero, intorno al palazzo, con lo zaino pieno di ferro vecchio… Oppure mi appendo fuori al balcone, ah? Mi appendo per i piedi e ci sto fino a quando non smette di piovere; anzi, ci sto per due giorni, con qualsiasi tempo, senza mangiare… (perdendo a poco a poco le speranze; con la stessa rapidità con cui la scena si scurisce) Mi appendo per una settimana. Mi infilo nella cella frigorifera. Mi stacco le braccia. Eh, Sebezio? Mi stacco le braccia?…
Sebezio – Shhh… Qui c’è gente che ha pagato un biglietto…
Fefè – Avevate promesso.
Sebezio – Tutti e due avevamo promesso.
Fefè – (umiliato, senza rabbia) Spero che moriate presto. Spero di vedervi soffrire, signore.
Sebezio – Io no. Perché io sono più buono di te. Ma che vuoi che sia? Ognuno nasce come deve… Non vuoi sederti?
Fefè – No.
Sebezio – Bene. Allora che aspettiamo? Si parte.

Sebezio schiaccia il pulsante delle diapositive. Scatto sonoro del proiettore. Un fascio di luce parte dal fondoscena verso il proscenio, investendo, naturalemente, Fefè.

Sebezio – Aveva un bel nome, tua madre: si chiamava Bianca. Un nome, bisogna ammetterlo che suggerisce purezza, castità, limpidezza. Ripeti con me, Fefè…
Fefè – (stringendo i denti) …Purezza, castità, limpidezza…
Sebezio – Bene. Qui, per l’appunto, la vediamo tra le braccia nerborute dello zio Rosario. La guerra è appena finita; Bianca ha tredici anni. …Oh. Se sbaglio, correggimi, eh?… Ma andiamo avanti…

Sebezio schiaccia il pulsante per un nuovo scatto.

Sebezio - Ecco… L’immagine come vedete è un pochino danneggiata; del resto ciò che conta è l’espressione e quella di Bianca è chiaramente… come dire?… Estasiata… Ma di chi sarà la pancia contro cui Bianca si piega con tanta foga? Avanti, Fefuccio…
Fefè – Romeo. E’ di Romeo.
Sebezio – Hai capito, il cuginetto?… Beh, proseguiamo: la cosa sembra farsi interessante…

Nuovo scatto.

Sebezio – (ridendo; fintamente imbarazzato) Oh, Bianca… Piccola mia… Ma come…? …E questi signori, Fefè, chi sarebbero?
Fefè – Quello con la barba è il signor Melisi.
Sebezio – (riflettendo) Melisi, Melisi… (trovando) Ah, certo! L’allenatore della squadra di hockey… E immagino che tutti gli altri siano…
Fefè – …La squadra di hockey.

Scatto.

Sebezio – (come un cronista) Nel secondo dopoguerra, Bianca è una ragazza modello. Le cose vanno bene e suo padre la adora. All’inizio degli anni ’50, Bianca però sente il bisogno di uno studio antropologicamente sensato. Ecco il suo viaggio, diciamo così, d’istruzione in Sud America…

Scatto.

Sebezio – …Qui, invece, è nella Germania liberata… Eccola lì, in fondo, sulla destra, tra la ghigliottina e quel signore anziano…

Scatto.

Sebezio – (divertito) …Santo cielo! Qui è sulla muraglia… Con… Con i cinesi…

Scatto.

Sebezio – (finto triste) Ecco. Quando abbiamo sostenuto che suo padre nutriva per lei una profonda adorazione, intendevamo anche questo… (Rivolto a Fefè) Beh? Che ti succede?
Fefè – Nulla.
Sebezio – Come “nulla”? Sembra che tu non ti regga in piedi… L’avevo detto o no di sederti…?
Fefè – Non fa niente.
Sebezio – Se vuoi smettiamo. Eh? Che dici, smettiamo?
Fefè – Sì, per favore.
Sebezio – Eppure sarebbe un peccato. Manca soltanto una foto.
Fefè – Lo so.
Sebezio – Beh, ormai ci siamo…
Fefè – Accendete la luce, vi prego…
Sebezio – Ma proprio ora?
Fefè – Accendete la luce…
Sebezio – Sarebbe da stupidi, Fefuccio; sarebbe da stupidi…

Scatto.

Sebezio – (di nuovo tono da cronista) E’ l’ultima foto che abbiamo di Bianca. Quella con suo figlio, Federico. Nato da chissà quale seme, per chissà quale motivo.

Sebezio ruota la manopola. Lentamente torna ad illuminarsi la scena mentre, poco a poco, il proiettore si spegne.
Fefè sembra distrutto.

Sebezio – E questo è proprio tutto.

Sebezio si avvicina a Fefè.

Sebezio – (sottovoce) Siamo tutti così stanchi. Le braccia pesano così tanto che le spalle potrebbero davvero staccarsi da un momento all’altro. E poi i piedi, che sono infetti dal troppo camminare. E la voce non esce più.
Fefè – La schiena si è piegata e ripiegata. E ha buttato fuori siero e sangue.
Sebezio – L’aria è come carta da respirare.
Fefè – L’acqua è sughero da bere.
Sebezio – Come faceva, Fefuccio?
Fefè – Non lo so. Me la sono dimenticata.
Sebezio – Sicuro-sicuro?… (Canticchiando) “Salta in groppa, salta in groppa…”
Fefè – (con un sorriso improvviso, seguendo la canzoncina) “…al cavallo che galoppa / Il cavallo ha i peli grigi…”

Fefè si blocca. Il sorriso sparisce.

Sebezio – (aiutandolo) “…Salta in groppa e va a Parigi…”
Fefè – (riprendendo fiducioso) “…Salta in groppa e va a Parigi / A Parigi c’è un gigante / che cavalca un elefante / …”

Fefè si blocca di nuovo. Sembra preoccupato.

Sebezio – (suggerendo) “L’elefante ha…”

Fefè fa di no con la testa.

Sebezio – (sospendendo il verso per far agganciare Fefè) “L’elefante ha un bel trombone / Zompa in groppa e va…”

Fefè scuote ancora la testa.
Sebezio si allontana. Giunto nei pressi del fondo scena comincia a cercarsi qualcosa nelle tasche. Tira fuori un orologio a cipolla. Quindi guarda l’ora.

Sebezio – Le sette. Il dottore è in ritardo. Non importa: prepara la cena, intanto.

Fefè sembra non sentire. I suoi occhi fissano un pensiero lontano.

Sebezio – Ohi. Che fai, carogna? Ci pensi?
Fefè – Zompa in groppa e va a Lione.
Sebezio – Ma che dici?
Fefè – (contento) L’elefante col trombone. Zompa in groppa e va a Lione.
Sebezio – (preoccupato) Certo. La cena, Fefè.
Fefè – (canticchiando) “A Lion c’è l’uomo nero / che cavalca un lupo vero / …
Sebezio – Oh. Ma sei impazzito? Salta, avanti, sul posto!
Fefè – “Lupo vero! Mamma mia! / …
Sebezio – Passi il segno, Fefuccio, passi il segno!
Fefè – “…Salta in groppa e scappa via…”

Sebezio prende Fefè per il collo. E stringe, a strangolare.

Sebezio – T’avevo avvertito. T’avevo avvertito. T’avevo avvertito.

Fefè sta per soffocare. Sebezio non molla la presa.
Improvvisamente Fefè rovescia la situazione, girando il braccio di Sebezio.

Sebezio – Ah! …Tu non lo sai quanto mi sono divertito con quella vergogna di tua madre! …Ah! Ah! …Nemmeno te l’immagini cosa abbiamo fatto…
Fefè – (piangendo) Smettila!
Sebezio – (quasi soffocando) Se mi lasci subito, questa storia finisce bene. Finisce bene, Fefuccio, parola d’onore.

Fefè, disperato, lascia andare Sebezio.
Questo crolla in ginocchio dando le spalle alla platea. Quindi comincia a strisciare verso la sagoma.

Sebezio – E’ così difficile da ammettere. E poi le persone come te non capiscono mai, fino in fondo, di cosa si stia davvero parlando.
Fefè – Sebezio.
Sebezio – Oh, ma tu non puoi andartene. L’hai giurato. Eh, Fefè? Non puoi muoverti.
Fefè – Il Compendio Generale contiene tutto. Le mie mosse, le mie parole, i miei viaggi. Contiene la vita e i giuramenti sulla vita…
Sebezio – E’ così.
Fefè – Ho giurato a mia madre che non vi avrei lasciato prima della vostra morte.
Sebezio – Già. E, oggi, ad un passo dal riconoscimento universale io mi sento più vivo che mai.
Fefè – Guardate bene che non è così.
Sebezio – E’ così, è così. Il dottore ha cervello. Gli spieghiamo di esserci un po’ emozionati per via della sua visita. E poi, dopo una bella cena, gli diciamo che tutto quello che ha mangiato e che mangerà in futuro è già nel Compendio. Nel Compendio Generale. Sì. Ma tu vuoi proprio andar via Fefè? Adesso? Proprio sul più bello?
Fefè – Sì.
Sebezio – Tua madre è sempre stata il mio Compendio Generale. Il mio aleph. Dentro di lei c’erano Londra e Lisbona insieme. C’erano tutti i pensieri del mondo. C’erano le storie di tutte le epoche. E poi tutte le donne e gli uomini e gli animali che ancora dovevano nascere. Ma, vedi, Fefè… Per quanto tu possa sforzarti, per quanto tu abbia tempo di contare, classificare, raccogliere non sarai mai in grado di avere tutto, di stringere ogni cosa tra le mani. Mica puoi uccidermi per questo?

Fefè prende dalla poltrona la scatola e picchia più volte, forte, sulla schiena di Sebezio.
Sebezio, ormai al centro della sagoma, cede poco a poco. E poco a poco assume l’esatta posizione della silhouette bianca.

Torna a lampeggiare il segnale luminoso giallo. Per qualche secondo.

Fefè si toglie livrea e guanti e li appoggia sulla poltrona.

Fefè – Tutto a posto?

Sebezio, lentamente, si muove.

Sebezio – Eh, insomma…
Fefè – Devi stare più attento.
Sebezio – Perché?
Fefè – Perché ogni tanto ti lasci andare.

Fefè porge a Sebezio la livrea.

Sebezio – Dici?
Fefè – Ogni tanto.

Sebezio comincia a togliersi la pelliccia. Poi i due si scambiano gli abiti.

Sebezio – Tu che pensi? A che punto siamo?
Fefè – Mah.
Sebezio - Che fai, muori tu, adesso?
Fefè – Come vuoi.
Sebezio – Oppure facciamo che mi piglia un infarto durante le diapositive.
Fefè – Oh, sì, l’infarto va bene.

Fefè si siede sulla poltrona; Sebezio dà una spolverata alla livrea.

Sebezio – Pronto?
Fefè – Pronto.
Sebezio – (rivolgendosi a qualcuno altrove, che osserva) Ok. Ipotesi 1328. Quando volete.
Fefè – Chissà se è notte, fuori.
Sebezio – Avanti, partiamo.

Segnale luminoso. Sebezio comincia a saltellare sul posto.

Fefè – Ben alzato, Fefè. Spero che tu abbia dormito bene.
Sebezio – Non ho dormito affatto, signore. A dire il vero ho saltellato tutta la notte.
Fefè – Ah sì? Beh? Che devo fare? Vuoi l’applauso? Vuoi un premio? Avanti, va a preparare il vestito. Il dottore sarà qui a momenti.

Buio.


Roma maggio-giugno 2003