CORTI 4.0
Dieci Corti teatrali di
Antonio Sapienza
Turri Lifo, novembre 2013
Indice:
- ANNA
- CHE FAI
- DI MAFIA? E PARLIAMONE
- ERCOLE E EBE
- IL RAGIONIERE
- IL LIVELLATORE
- PATTI CHIARI
- UN EPITAFFIO NON SI NEGA MAI
- L’OTTAVO VIZIO CAPITALE
- ADELINA
“ ANNA “
Monologo
Personaggio:
Anna: giovane studentessa universitaria, figlia di possidente, buona, altruista,
inserita in una Comunità cristiana, dedita al volontariato.
La vicenda è ambientata in una cittadina siciliana, alla fine degli anni ’70.
All’apertura del sipario in scena ci sarà Anna, di spalle, immobile, al centro
del palco e dell’occhio di bue, possibilmente appoggiata alla spalliera di una
sedia; e, in questa posizione dirà il primo paragrafo del monologo; poi,
lentamente si girerà verso il pubblico.
Tutta la scena drammatica che seguirà dovrà essere sottolineata da effetti di
luce e da musica adeguata.
Anna - Dio mio, dammi la forza di resistere, quella forza che mi desti in
chiesa, davanti all’altare, dove confessai tutto, ( parla con voce rievocativa)
quando dissi: “ Si, fratelli e sorelle, sono stata violentata! Ed ora la
giustizia degli uomini segua la sua strada, io seguirò la mia. (pausa) E’ vero!
Sono stata presa con la forza. Ma vi giuro non volevo. Io non volevo! (gridato)
Prima non volevo (sussurrato, quindi breve pausa). Mi sono opposta, ho lottato.
Anche disperatamente… ho lottato. ( brevissima pausa) Ho lottato, con tutte le
mie forze per contrastare quel bruto. Ho lottato prima di cedere. (pausa) No,
non è vero! Io non lottai fino in fondo, non lottai disperatamente e con tutte
le mie forze (b.p.), perchè cedetti alla violenza e mi abbandonai
all’aggressore. E, lo confesso, mi piacque. Fu talmente il piacere che provai,
che anzicchè respingere quell'uomo, io mi avvinghiai a lui. Ed ora sono incinta
di costui. Porto in grembo il frutto di quell’infame atto criminale e del mio
folle momento. Porto in grembo mio figlio.(pausa) Confesso questo a voi perchè
sono stata debole con la carne, sono stata una peccatrice. Ma non sono
un'assassina! No, fratelli miei, io non sono un'assassina. (pausa) Io non
abortirò mio figlio! Mio figlio vivrà. Gente, mio figlio vivrà! Se Dio vuole,
mio figlio vivrà!” ( breve pausa, poi rassegnata) E firmai la mia condanna: La
comunità alla quale appartenevo, che prima mi aveva inculcato nel cervello la
certezza d’aver ricevuto il dono della Chiamata del Signore perché possedevo la
Fede, perché ero d’indole docile, perché facevo volontariato, perché aiutavo
qualche vecchietta a fare la spesa; e in seguito – dopo la violenza che subii in
treno durante quel disastroso viaggio che mi avevano organizzato i miei genitori
allo scopo di distogliermi dal pensiero di prendere i voti monacali – mi promise
aiuto e assistenza; e, in conseguenza alla confessione, quella stessa comunità-
ipocrita! - coll’assistente spirituale in testa –ipocrita! che prima mi aveva
quasi proclamato una nuova Maria Goretti – si! mi abbandonò! Io… ma io confessai
tutto pubblicamente proprio perchè mi ripugnava l’idea che mi considerassero una
santa… ( a bassa voce) e, soprattutto… per far sapere a tutti del mio stato,
perchè … non volevo…( gridato) – non voglio! abortire! ( quindi calmandosi) E,
infatti, anche il mio… eh… innamoratissimo ragazzo - mi abbandonò. Eppoi i miei
genitori, i miei cari genitori (ironico). I miei onorati genitori! pieni di
vergogna per averli infangati – perchè avere una figlia “buttana” e ”prena”, per
loro era il massimo del disonore - (tentennando il capo) …ora … i miei cari e
onoratissimi genitori… per non avere in casa anche un … bastardello, hanno
deciso di farmi abortire! E proprio adesso, dopo avermi chiusa a chiave in
questa stanza, si stanno recando da un tristemente noto ginecologo- macellaio, (
scandito) perchè vogliono! vogliono costringermi- con la forza- ad abortire!
(poi a bassa voce) E ancora una volta dovrò piegarmi alla violenza. ( disperata)
Ma quando finirà!!!-
Dopo la tirata, Anna si accoccolerà per terra. Musica e luci adatte. Fine degli
effetti. Luce soffusa sul palco. Poi di nuovo cono di luce
Inizia una musica drammatica, gli effetti di luce sono di uguale intensità. La
musica cresce e Anna sembrerà avvolta in una spirale di dolore. Quindi si
comprimerà il ventre, e si inginocchierà.
Anna- (per gli spasmi raggomitolata a terra, guardandosi la mano) Oddio, cos'è
questo? Ma… ma è sangue, è sangue! Aiuto. Aiutatemi... sto male. Mamma, papà
aiuto... chiamate un medico. Sto perdendo il mio bambino! (tenta faticosamente e
inutilmente d’andare verso l'uscio) Lo perdo, lo perdo! ( con voce flebile)
Aiutatemi, vi prego, non ce la faccio più... O Signore Iddio, sono nelle tue
mani... ( quasi bisbigliato) Padre nostro, che sei nei Cieli...-
La musica calerà e le luci si faranno più morbide. Poi ci sarà cambio di
atmosfera. Tutto diventerà più soave: musica e luci. Anna prima accennerà un
lieve movimento, poi non si muoverà più.
“ CHE FAI MI PICCHI? ”‘
Corto drammatico
Personaggi:
Nellina……………………………………………………………… impiegata;
Massimo………………………………………………………….. marito di Nellina, tecnico.
Sant’Alessio, maggio 2013
La scena è il tinello della casa di Nellina e Massimo. Arredo classico del
tinello, uscio a sinistra e finestra destra. All’apertura del sipario, in scena,
alla penombra, c’è Massimo in pigiama, seduto davanti al tavolo, che traffica
col computer. Pochi secondi ed entra Nellina, che indossa, sul pigiama, una
vestaglia.
Nellina – Massimo che fai? (accende la luce)-
Massimo- (sobbalzando) Co… come che faccio? (intanto preme frettolosamente il
tasto per uscire dal programma che stava vedendo)-
Nellina – Che fai, lì, al computer alle tre del mattino?-
Massimo – Che faccio? Faccio che non avevo sonno e sono venuto qui a fare delle
ricerche.-
Nellina – Che genere di ricerche (con tono inquisitorio)-
Massimo – Le ricerche… le ricerche che faccio per il mio lavoro. (evidentemente
in difficoltà)-
Nellina – (ironica) Certo fai ricerche su come riparare meglio un frigorifero
oppure una cucina… proprio su Facebook, ma va là, a chi la vuoi dare a
intendere. Tu contattavi qualche femmina, una di quelle donnacce che ti fano
arrapare con quello che ti scrivono. Sei un porco!-
Massimo – Bene, hai fatto tutto tu: le pentole e anche i coperchi. Ho un
inquisitore in casa. (gesto di rassegnazione)-
Nellina – Non fare la vittima! Dopo i tuoi brillanti precedenti… con le zoccole
rimorchiate sul web, il minimo che si possa fare è dubitare… (ironica) Ma
guardatelo: il santarellino… la vittima…-
Massimo – Proprio così! sono una vittima della tua gelosia! Ma che vita è
questa?-
Nellina – Certo che non è vita! Ma è la mia che non è vita! Perché vivo con un
essere ambiguo, menzognero e traditore! Ma come è possibile, dico io? Solo
qualche ora fa abbiamo fatto l’amore e poi ti trovo qui a contattare una troia?
Porco!-
Massimo – E dalle! Appena mi vedi davanti al computer mi rompi le palle! Tu sei
malata!-
Nellina- Che sfacciato! Ma è chiaro, no? siamo andati al letto insieme, e ti
ritrovo qui in piena notte a trafficare con quel dannato coso rovinafamiglie. Mi
neghi pure l’evidenza. E sei pure uno spudorato: mi vorresti dare da bere la
faccenda delle ricerche. Tu sei appena qualcosa di più di un semplice operaio e
non hai certo la necessità di fare ricerche sul tuo lavoro di mediocre
riparatore di elettrodomestici. Tu facevi il porco con una “buttana” di turno!
Confessalo almeno codardo!-
Massimo – (alterandosi) Codardo io? Bada a come parli! E’ ora di finirla!-
Nellina – Lo credo! Devi finirla, debosciato!-
Massimo- Nellina basta! Bada, perddio!-
Nellina – (con aria di sfida) Sennò che fai, mi picchi?-
Massimo – (furioso) Brutta stronza provocatrice. (le dà uno schiaffo).
Nellina – (prima sbigottita, poi portandosi una mano al viso) Mi hai
schiaffeggiata? ( furiosa) Vigliacco, quaquaraquà. Sai fare solo questo,
colpirmi.-
Massimo- E tu sai solo provocarmi!-
Nellina – Io non ti provoco, io difendo, con tutta le mie forze, la mia dignità
di moglie! E anche di donna, se non ti dispiace! Invece tu sei un depravato, un
essere mellifluo, bugiardo e senza una minima traccia di dignità.-
Massimo- Io sarei senza dignità?-
Nellina – Tu, tu e tu! Vuoi proprio saperlo? Dimmi? con che cosa viviamo? Col
mio stipendio, caro il mio dignitoso marito, perché se fosse stato per te, con
tutti i licenziamenti a catena che hai avuto per tua incapacità, faremmo la
fame!-
Massimo – Cretina! Lo sai o non lo sai che c’è la crisi? E io sono una sua
vittima.-
Nellina – Tu vittima della crisi? Tu sei vittima del lavoro! Ma va’ là -
balordo!-
Massimo – Balordo io? Adesso è troppo! Schifosa strega! ( si avventa su Nellina
e la colpisce ripetutamente. Nellina si accascia al suolo, e batte la testa,
L’uomo la guarda prima con odio, poi si accorge che non si muove e, preoccupato
si china sulla donna e la mette a sedere facendola appoggiare al tavolo) Nellina,
Nellina, rispondimi… non fingere, sai? Stai veramente male? Rispondimi…-
Nellina – (faticosamente) Mi… hai…fatto male…vigliacco…-
Massimo – Scusami non volevo. Ti giuro che non volevo. Non so cosa mi abbia
preso… ti porto in ospedale, ma tu non dire che ti ho picchiata, devi dire, devi
dire che sei caduta dalla scale (intanto prende il telefono) Pronto? 118?...-
Nellina- (con un filo di voce) Sono… caduta…dalle scale…si (poi piega la testa).
Massimo – (accorgendosi che è morta) Nellina! Nellina! (posa il telefono e la
scuote, la donna cade, poi, sconvolto apre la finestra e fa il gesto di buttarsi
giù, ma ci ripensa, e mogio mogio va al telefono) Pronto? 113? (poi subito
riattacca, quindi rivolto verso Nellina) Hai ragione cara, sono un vigliacco, e
allora? ( riprende il telefono e compone un numero) Pronto 118, mia moglie è
caduta dalle scale…
Le luci lentamente calano.
Fine
“ DI MAFIA? E PARLIAMONE “
Personaggi:
Un magistrato prestato alla drammaturgia;
Il professore Attanasio;
Amedeo Sanguedolce, poeta prestato anche lui alla drammaturgia;
Jolanda la donna di Amedeo;
Guido Marranzano, compagno di liceo di Amedeo, diventato misteriosamente ricco.
Il Corto si svolge durante una conferenza- dibattito sulla malavita.
Magistrato –… Di mafia? E parliamone. Volete fatti? Bene ve li dico… dai
verbali? No, troppo aridi. Invece ve li faccio raccontare dai protagonisti-
naturalmente tramite degli attori- per come li ho immaginato io, modestissimo
magistrato prestato alla drammaturgia.
Sentite per primo il professore Attanasio, ex docente del locale liceo classico.
Attanasio – Io fui testimone di un’epoca d’atroci delitti; uccisioni di miei ex
alunni, di miei discepoli negli ideali, d'innocenti, senza riuscire a scalfire
grancchè quel mostro. Dopo un dibattito, la madre di un morto per overdose mi
disse: “ Voi parlate, parlate, parlate. Fate conferenze, dibattiti, tavole
rotonde, mentre lì fuori, intanto, decine di giovani, i nostri figli, muoiono
spegnendosi come candele. Candele fatte non di cera o steatina, ma di coca ed
eroina! E qualche coraggioso che denuncia il turpe traffico viene ucciso
barbaramente”. E nello stesso giorno fu ucciso Amedeo Sanguedolce…-
Magistrato - Amen! Sentiamo un suo ex allievo, il poeta, Amedeo Sanguedolce.
Amedeo - Fui poeta. Drammaturgo per caso. Stanco della vita militare, detti le
dimissioni e tornai nella mia città- per dedicarmi solo alla poesia.
Lì trovai mutamenti sconcertanti. Si parlava di malavita. Gli ex intrallazzisti
di sigarette adesso spacciavano eroina. E un mio amico giornalista, che si
occupava di mafia, fu ucciso davanti ai miei occhi. Spirando mi sussurrò dei
nomi di alcuni mafiosi. Uno dei quali era mio compagno di liceo, ora Presidente
di una catena di supermercati: mi sentii rabbrividire.
Mi confidai col professore Attanasio il quale mi confermò i pesanti sospetti. Ma
eravamo senza prove. Ebbi l’idea di comporre un dramma, da mettere in scena
nella nostra città, per provocare quelle reazioni che, forse, ci avrebbero dato
la conferma ai nostri sospetti. Rendemmo pubblico il progetto, e subito
arrivarono gli avvertimenti, poi le prime minacce; ma anche le delazioni,- poi,
finalmente, le prime vere prove. Le prove! Quelle prove, - che furono cagione
della mia morte per mano della donna che amavo: Jolanda, che tentò di salvarmi,
fino all'ultimo, ma poi si smarrì: Un colpo alla nuca, dopo un bacio sul collo.
E il mio dramma finì!
Restò di me solamente un alito di poesia.-
Jolanda - Giuda mi fu maestro!
Mi feci presentare ad Amedeo. Gli dissi che mi piaceva la poesia e la scrittura
drammatica e che volevo impararne l'arte, possibilmente aiutandolo a comporre il
dramma di cui tutta la città ormai parlava. Ora io dovevo soltanto sorvegliarlo
e scoprire ciò che sapeva, e riferire. Ma mi affascinò. E m'innamorai.
Come furono deliziosi quei momenti accanto a lui, nel suo piccolo alloggio,
nella città vecchia - due stanzette asimmetriche e a dislivello, arredate alla
buona, con un balconcino in artistico ferro battuto, pieno di gerani, da dove si
poteva abbracciare, con un solo sguardo, il mare e i lontani monti- intenti a
rileggere quello che lui aveva scritto la notte prima, a limare, a correggere…
Poi i corpi vicini, le teste ravvicinate, le gambe si sfioravano, il buon
profumo della sua pelle, il suo fiato che io avidamente respiravo, la sua mano
forte che delicatamente sfogliava i fogli. Il caffè che mi preparava, la sua
sonora risata, i discorsi ameni, i suoi ricordi - la sua infanzia,
l'adolescenza- che raccontata senza rimpianti e con lieve ironia.
Il primo timido bacio. I giorni della grande passione. Le romantiche passeggiate
sui lungomari.
Poi tutto finì.
Trovò le prove che cercava. Tentai in tutti i modi di dissuaderlo.
“ Non t'incaponire, desisti, non scrivere più”, gli dissi, “ pensa anche a me.
Se ti uccideranno, io ti sarò vedova senza esserti stata moglie”.
Ma fu inutile. Prendeva le mie parole come timori infondati di donnicciola.
Ascoltava solo quel dannato Attanasio! E mi fu detto: uccidilo, solo tu puoi
farlo, è protetto!
Quella sera entrai a casa sua, con una pistola nella borsetta. Tentai ancora una
volta di convincerlo, poi, con la scusa di soffiarmi il naso, presi la borsetta,
mi posi alle sue spalle e, invece del fazzolettino, tirai fuori l'arma col colpo
in canna. Meccanicamente avvitai il silenziatore. Speravo che se n'accorgesse.
Speravo che mi mancassero le forze. Speravo che accadesse qualcosa - che non
accadde!
Allora: gli accarezzai i capelli, gli strinsi la testa al mio petto, gli detti
un bacio sul collo e... sparai!
Povero amore mio.
Cadde riverso sul tavolino senza nemmeno un lamento.
Quando uscii dalla sua casa, dopo aver simulato un’effrazione, era buio fitto
nel cielo e nel mio cuore.
Mio padre, il Don, mi disse: brava!
Sapete? - questo non l'ha immaginato nemmeno l'autore - ma quando giunsi al
bastione, sul lungomare, dove ci baciammo per la prima volta, saltai giù e mi
ripescarono l'indomani, annegata, ma - dissero - con un lieve sorriso sulle
labbra.-
Guido - Il sono stato Guido Marranzano, trentacinque anni, 1,90 d'altezza,
centoventi chili! - per servirvi.
Fui il genero di Mario Catanzaro, il quale nacque da madre tenutaria di un
bordello e da padre ignoto. Egli, fin da piccolo, fu avviato alla “professione”
di "intrallazzista", da un cliente del casino della madre. Ed essendo
intelligente, audace e forte, e con quella sorta di istruttore, egli fece subito
carriera nella malavita locale. E il contrabbando delle "americane" nel
dopoguerra, prima, e la droga dopo, gli portarono fama e quattrini, e, con essi,
comprò alla figlia una laurea, un marito- il sottoscritto - e un grande
supermercato, che serviva di copertura per le altre “attività associative” del
Gruppo Catanzaro.
Ma, a parte i quattrini, debbo confessarvi che sua figlia, la Rossa, bella,
prosperosa, sensuale, mi fece girare la testa.
La misi incinta e la dovetti sposare- che dispiacere... Credetemi, io vivevo
solo per il sesso e la buona tavola. Con la Rossa avevo buon sesso a volontà;
poi soldi di Mario Maranzano, un'azienda, il rispetto della gente e la tavola
sempre apparecchiata. Cosa potevo desiderare di più? Niente! E invece si!
invidiavo, benevolmente s'intende, quel minchione di Amedeo Sanguedolce, mio
compagno di banco al liceo, colui che mi passava le copie dei compiti in classe,
che ascoltava i miei soliloqui sulle donne, che era un vero amico.
Desideravo d'essere come lui, che ebbe il coraggio di dare un calcio alla
carriera, per fare solo il poeta, l’artista spensierato, conducendo una vita da
bohemienne nel suo pittoresco bivani, in pieno centro storico. Era tranquillo,
felice, appagato? Forse! Poi, un giorno maledetto, si mise in testa di scrivere
quel stramaledetto dramma. Mi dissero che quel lavoro dava fastidio a mio
suocero, che tentassi di dissuaderlo, dato l’amicizia, oppure di corromperlo, se
era il caso, o di metterlo a tacere- per sempre! Io tergiversavo, prendevo
tempo, facevo qualche tentativo, che andava regolarmente a vuoto: quello era
testardo come un asino di Pantelleria! Per cui, dall’alto furono incaricati
certi " amici" che organizzarono, per ben due volte, una specie di incidente nel
quale doveva rimanere vittima. Insomma, classica morte accidentale senza destare
sospetti.
Ma io, animale sentimentale, non potevo lasciare ammazzare quella testa dura,
quell'illuso, - insomma: quel puro! Come potevo lasciarlo ammazzare - gli volevo
ancora bene!
E feci le opportune soffiate al professore Attanasio, il quale discretamente,
prevenne gli "incidenti".
Poi il gran capo, non so proprio come, scoprì tutto, e mio suocero - informato e
precettato- mi fece incontrare nel garage della villa, un tizio, una certa
persona "importante". Quello, nello stringere la mia mano tesa per il saluto,
non la mollò più; e, con la sinistra, - un fulmine! - mi ficcò trenta centimetri
di lama nello stomaco.
Che dolore! Che agonia!
Che fine stronza, evvero? - essere poi scaricato, dentro un sacco d'immondizie,
tra i rifiuti della discarica.
Eh, Amedeo testadura!-
Attanasio- … E, quando sembrava tutto finito, quando fu ucciso l'ultimo illuso
come me, il mio ex alunno: il poeta Amedeo Sanguedolce; quando, scoraggiato, mi
sentii vinto, ecco che mi si presentò, a casa, un giovane, mio ex studente.
“Professore Attanasio”, mi disse, “ho scritto questo libretto. S'intitola
MAFIOSI E NO . Ecco, desidererei ardentemente che lo leggesse, dandomene, poi,
un giudizio spassionato. E se le piacerà, dovendolo pubblicare, gradirei che mi
scrivesse qualche parola di prefazione”. SIPARIO
“ ERCOLE E EBE “
Corto
Personaggi:
Ercole Mazzullo…………………………………………………………………. Anima dell’Aldilà;
Ebe, sua moglie…………………………………………………………………. Anima anche lei.
Ambientazione: ovviamente l’Aldilà.
In scena, scarna, c’è Ercole con una ventiquattrore in mano. Si muove come se
fosse spaesato, poi come se si accorgesse degli spettatori, parla loro
ammiccando:
Ercole - Eh, Io sarei... io ero...io fui... Accidenti, ma uno già trapassato,
che verbo dovrebbe usare?
Comunque sia, eccomi qua: Rag. Mazzullo cav. Ercole, sposo fedele prima, poi
vedovo inconsolabile, quindi trapassato fresco fresco.
Beh, sposo fedele fedele - no; diciamo sposo così così...
Come mai? Eh come mai! come mai mi dite? E allora provateci voi a stare tanti
anni lontano dalla propria donna, e poi ne riparleremo. Come fu? Fu per
necessità: dopo pochi anni di matrimonio, dovetti emigrare clandestinamente in
America. Lì trovai lavoro e mantenni nell'agio la mia famiglia in Sicilia.
( sospirone) Ah, l'America, il Connecticut, la fabbrica d'aeroplani... Lucy...
Ho detto Lucy? proprio Lucy? Siete sicuri? Beh, m'è scappato. Chi era Lucy? Lo
volete proprio sapere? E io ve lo dico: Lucy era una mia compagna di lavoro, in
fabbrica. Sapete, quando si è soli e malinconici, in un paese straniero, e lì
trovate una persona gentile, bellina, comprensiva, che vi fa un po' di
compagnia, che desidera consolarvi, voi che fate rifiutate? No! E io, appunto,
non rifiutai.
Ma poi lei incominciava a parlare di mariage, desiderava un cottage; voleva un
buon menage; e i miei figli in un College... e un mollage, cioè dovevo lasciare
mia moglie… Insomma la cosa stava diventando seria ed io non me ne accorgevo
mica. Me ne accorsi quando, un delatore - che io pensavo fosse Berstain, l’ebreo
invidioso del mio successo nel lavoro, oppure O’ Hara, l’irlandese geloso di
Lucy. Ma, poi, purtroppo troppo tardi, seppi nome e cognome – dello vero spione,
del Giuda, che mi denunciò all'ufficio immigrazione e, quindi, mi
impacchettarono sul Rex – terza classe - in rotta per l'Italia.
Voi non potete immaginare, arrivando nel mio paese, come mi si strinse il cuore,
nel ritrovarmi in pieno medio evo, dopo aver lasciato il ventesimo secolo.
Fortunatamente per me, mi accorsi che ancora amavo Ebe, mia moglie. E che lei mi
ricambiava teneramente. E si, riprendemmo la nostra vita di sempre. Vivemmo
ancora diciannove anni insieme, avemmo tre figli, poi, lei morì! Rimasi vedovo
per vent'anni.
Intanto i tempi mutarono, mi feci una discreta posizione economica facendo
l'agente di commercio, mi presi un bravo diploma di ragioniere alla scuola
serale, fui gratificato dai clienti del titolo di Cavaliere, insomma mi sistemai
per benino. E sistemai bene anche i nostri figli: Tutti sposati. Poi un giorno,
mentre ero davanti allo specchio della mia saletta d'ingresso e controllavo il
nodo della cravatta,- ero ancora un bell'uomo, si diceva in giro - sentii un
colpo al petto e puf! caddi a terra stecchito.
E quando mi ripresi, mi trovai in uno strano luogo, con una ventiquattrore in
mano, senza sapere cosa fare nè dove andare.
( indica qualcosa oltre la quinta ) Ma in una panchina noto una signora: Era
lei, la mia Ebe, che mi attendeva da oltre vent'anni, per entrare insieme
nell'aldilà.
Non e' commovente?
Eh? ditelo voi.-
Esce di scena, a sinistra, fischiettando. Dalla parte opposta entra Ebe, che si
accerta prima che Ercole sia uscito, poi parla agli spettatori quasi
confidenzialmente.
Ebe- Come avrete già capito io mi chiamavo Ebe Mazzullo, e ne ero fiera. Certo,
non fu una gran bella azione quella che feci commettere a mio fratello. Ma
necessità obbliga legge, - si dice. Cosa feci? Lo volete proprio sapere? ma
proprio proprio? E va bene, ve lo dico, ma per favore, niente commenti.
Quando il mio amato Ercole, dopo tanti anni di lontananza, stava per perdere la
testa per una smorfiosetta americana, mio fratello mi scrisse:
- Cara Ebe, stai per diventare vedova bianca. Che fai? Se vuoi ti spedisco tuo
marito, entro pochi giorni bell'impacchettato - in Italia. -
Una moglie affezionata, come avrebbe dovuto rispondere? Spediscilo! no?
E cosi' risposi io.
Povera me, quanti furono i giorni di felicità che trascorsi insieme a lui, negli
anni seguenti? - pochini; e quanti di dolore? - molti! Perchè? Eh, ditemi, in
coscienza, come si può vivere una onesta vita con un uomo, che s'è sentito
accoltellato alle spalle, e non sa che la responsabile dell'atto è la propria
moglie? Come si può vivere insieme ad un uomo che appartiene ancora ad una terra
lontana?
Come si può sopportare la vista di un uomo annichilito - perchè proveniente da
mondo progredito, civile; e che si trova di colpo e si scontra con
l'arretratezza del nostro mondo, con la miseria dei nostri usi; coi pregiudizi
della nostra ottusa società; con l'ordinamento politico del momento, in Italia ,
leggi dittatura - senza morirne di rimorso e di vergogna? Eppoi, il lavoro.
Dov'era il lavoro? Era rimasto là, nell'America, borbottava lui, scuotendo la
testa.
Ed io mi sentivo in colpa e mi consumavo. Anche l'amore mi si tramutò in colpa.
Me ne liberai morendo. E lo aspettai nell'anticamera dell'aldilà, per
dimostrargli tutto il mio disinteressato amore.
Quando arrivò, mi fece proprio ridere con quella sua aria di superiorità, ben
sapendo , io, come ci si senta insicuri, in quel luogo misterioso e sconosciuto.
Ma lui no! Lui faceva - serioso - il sostenuto.
Che ridere quando gli rivolsi la parola e lui non mi riconobbe subito. Che fitta
al cuore, quando gli vidi in quella puerile ventiquattrore, tutti i suoi
ricordi: il suo diploma, il primo milione, la prima cravatta che gli regalai...
Che vanesio il mio Ercole. Pensate, io portai con me solo la piccola fedina...
Poi, aspettando il nostro turno, ricordammo i trascorsi della nostra unione: e,
sapeste, come insisteva nel dirmi che mi era stato sempre fedele: era il solito
bugiardo convinto, come lo fu in vita.
Finche',- era nostro potere di spiriti,- non gli rievocai, visualizzandola, la
sua relazione con...con quella là. Potete solo immaginare come si arrampicò
sugli specchi per giustificarsi; e, alla fine, mi rinfacciò, rievocandola, la
vecchia faccenda del postino...
Qual'è questa faccenda?
Beh, quel postino, appropriandosi delle lettere e dei dollari che mi spediva
mensilmente Ercole, volle farmi credere che io fossi stata abbandonata e tentò
di consolarmi lui, credendomi inconsolata.
Gli ruppi in testa la statuetta della libertà, regalo di mio marito -
dall'America. Fine.
Ora Ercole, - giunto da poco, principiante - non era ancora bravo nel fare le
rievocazioni; e la fece incompleta, e seppe solamente la prima parte della
storia: la stringente corte del postino spasimante, e del...insomma del mio
quasi tradimento. E, vi dirò che ci rimase malissimo. Ed io, per punizione,
glielo lasciai credere per un po'; poi, poco prima che ci chiamassero per
entrare insieme nel nostro aldilà', gliela feci vedere , finalmente, la
conclusione di quella storia...e il bitorzolo sul capo del postino
intraprendente. Le donne siamo più fedeli degli uomini, lo sapevate? No?
Peccato!
E la faccenda del rimpatrio?
Lasciamo perdere, per carità di patria.
Ma come, ci lasci cosi? direte voi, non ci fai sapere? ... ma si, ma si, glielo
dissi - fu proprio quando stavamo per varcare la soglia - ma glielo dissi:
L'avevo fatto per amore, e l'amore giustifica tutto!
E lui mi giustificò… però eravamo già qua - nell'aldilà!-
“ IL RAGIONIERE “
Corto
Personaggi:
1° personaggio…………………………………………..uomo di sessant’anni ben portati;
2° personaggio…………………………………………..uomo sui quarant’anni, mal portati.
Sulla scena è stato posto un tavolino da bar e due sedie. I due personaggi sono
in scena, seduti, che sorbiscono una consumazione. Le battute che diranno
saranno riferite verso un ipotetico avventore, seduto nello stesso locale. Breve
pausa, poi parla il primo dei due.
1° personaggio- Eh caro amico, se sapesse… quello lì, quell’autore con la
lettera minuscola, ( il 2° personaggio indica l’ipotetico autore seduto fuori
scena) si, proprio quello; sa che pasticcio mi ha combinato?-
2° personaggio- Grosso immagino… conoscendolo…( facendo un gesto di conferma)-
1° personaggio – Lo conosce? Certo non meglio di me, che la sua conoscenza l’ho
patita sulla mia pelle. Mi creda, non è un’assurdità quello che le dirò – mi
creda. Costui, costui, questa specie d’autore – mediocre, molto mediocre, per la
verità – mi ha creato nel 1985 e poi mi ha dimenticato! Vede? sono uno che
esiste ma non esiste; uno che c’è ma non c’è. Insomma un Niente con la lettera
maiuscola. Uno senza un nome, una storia, una vita e, mettiamocela pure: una
morte! Ecco chi sono io per … merito di costui!-
2° personaggio - Amico mio, la sua disgrazia, in fondo e nulla – o perlomeno è
una parte di una tragedia. Ma un nulla difronte a ciò che ha fatto a me- quello
lì! Se sapesse…io mi rodo dal 1963. Non ci crede? Eppure è così.-
1° personaggio – Possibile? Più grande della mia?-
2° personaggio – Possibile, possibilissimo! Perchè? perchè' io - al contrario di
lei, caro amico- io non sono, io fui! ( breve pausa) Sono stato il suo primo
personaggio della sua prima commedia, risalente al 1963, di codesto
signor...autore. ( con enfasi) Io fui il Ragioniere Salvatore Allocco, classe
1921. E vuol sapere che vita mi dette? mi fece impiegatuccio di Stato, con
moglie e quattro figlie femmine a carico; mi costrinse a fare il pendolare -
alle cinque giù' dal letto e alle diciotto, cena e nanna -; e perdippiù', mi
fece diventare lo zimbello dell'ufficio, a causa di una mia...debolezza, durante
la guerra. Quale fu la debolezza? La giudichi lei, caro amico: Fu nel mese di
luglio del ’43, ed io ero soldato semplice, con un moschetto modello 91 in mano,
e una gran fifa nel corpo. Ricordo come se fosse oggi: Mi trovavo di guardia
quel giorno al famosissimo “bidone”, quando accadde il finimondo: ci fu un
bombardamento alleato di quelli coi fiocchi. Al cessato allarme, mi trovarono
sotto un albero, rannicchiato per terra, con la bustina sugli occhi che
borbottavo in continuazione: Allocco mio... Allocco tuo...Era un mio modo di
pregare, ma quelli non lo capirono: Mi bollarono per tutta la vita: Allocco mio,
Allocco tuo. E anche in ufficio, al minimo inconveniente, i colleghi esclamavano
beffardi: Allocco mio, Allocco tuo. Poi, quello lì, quasi per discolparsi, nel
corso del primo atto mi fece fare un tredici al totocalcio: Il tredici del
ragionier Allocco, che usò come titolo della commedia…e si gridò in giro:
Allocco ha fatto fortuna! Ma quale fortuna… (breve pausa) Quello, sadicamente,
nel secondo atto mi fece cambiare vita, soldi, pranzi, brindisi regalie ecc. Ma,
poi nel terzo atto, acconsentì che gente avida e di malaffare, mi truffasse, per
farmi ritornare, crudelmente, più povero e disperato di prima…-
1° personaggio – Ma guarda che cose…-
2° personaggio - Ma non è tutto! Non è tutto (pensieroso). No, questa in fondo
sarebbe solamente la mia storia di personaggio: storia bella o brutta, ma storia
e basta. No, non è questa! Non è questa la mia sventura, signor mio…( breve
pausa) Quello mi ha fatto di peggio… -
1° personaggio – Di peggio? Dica, dica…- 2° personaggio - Accidenti, non riesco
neanche a dirlo, per la collera che mi sale in testa, perché è troppo... ma
troppo cattivo quello che mi fece - dopo.-
1° personaggio – Cosa le fece dopo? Dica, non sia riluttante, tra di noi…-
2° personaggio - Ma si, glielo dico! ( rivolgendosi al pubblico) Dovete saperlo
tutti–tutti! (pausa di riflessione) Ecco il misfatto: Quello lì, scrisse la mia
commedia e la tenne per vent'anni – diconsi venti anni!- chiusa nel suo
cassetto; poi, un bel giorno, anzi un triste giorno, la rilesse fece una smorfia
schifata e …la cestinò. Io sarei l'unico superstite di un lontano ricordo. E
senza speranza. Ma incazzato!
“ IL LIVELLAMENTO “
Monologo
Personaggi:
Orazio Fatuzzo…………………………………………………………….Sbriga-faccende
Ambientazione: Anni ’80 a Catania.
" Sissignore, sono Orazio Fatuzzo, per un pelo quasi titolare dell'A.A.A.A.A. -
Antica-Affermata-Agenzia-Affari & Affini - prima che andasse tutto in fumo. Ero
"spurugghiafacenni." Insomma: Sbriga-faccende. In pochi anni divenni
professionista della pratica burocratica espressa. Grazie a Tanu Gebbia,
sostituto-vice-sotto-scrivano aggiunto, avventizio in prova. Ah, dimenticavo: E
con la protezione di Sant'Onofrio, patrono degli "Spurugghiafacenni", il cui
ritratto troneggiava sopra la mia scrivania. Ma, mi protesse veramente? Diciamo
che avrebbe dovuto farlo, per obbligo morale verso un fedelissimo devoto. Ma non
fu cosi'. ( breve pausa) Statemi a sentire attentamente, la faccenda andò così:
mi capita la favolosa occasione : spillare quattrini a palate a un babbeo
villano rifatto coi fiocchi, ricco sfondato, - e quello,- non fa venire gli
scrupoli al mio quasi socio, a Tanu Gebbia?
Gli dico: Sant'Onofrio, lasciateci "lavorare"! Come? dite che noi siamo
poveracci ma onesti? Beh, Tanu, si , quello è un vero poveraccio, non capisce
niente! - e ve lo garantisco, perchè è con me da trent'anni- non so se mi
spiego. Ma io no! io non ci sto più a fare l'onesto poveraccio! Io sono
cosciente della vita che faccio! Vita di stenti e di digiuni, di freddo e
d'umiliazioni, di emarginazione e di vergogna: Di vergogna, sissignore! Mia
figlia Tinuzza, quando fece quel poco di scuola, si vergognava di me, con le
compagne, che la deridevano perchè - estate e inverno - aveva sempre lo stesso
abitino striminzito. Mia moglie Venera, non si fa un paio di scarpe nuove da
venticinque anni! Io non fumo più quel misero mezzo toscano, da vent'anni. Tanto
per farvi qualche esempio. Ah, dite che anche voi avete fatto una vita di
digiuni e di stenti? Bella scoperta: voi dovevate fare il Santo! Insomma, io
cosa volevo fare, in fondo? Volevo ristabilire un equilibrio, un livellamento di
ricchezza. Avete presente l'acqua in un catino? Ecco, si agita un po’ e poi si
livella. Così volevo livellare, io. Ci sono i ricchi sfondati e i poveracci come
me? Beh, una piccola aggiustata, livelliamo e... tutti felici! No? non si può
fare colla frode? Voi dite così? La legge? Ah, anche la legge ci mettete adesso?
Qualcuno potrebbe fare la spia? Ho capito, ho capito...Beh, allora Tanu, non c'è
proprio nulla da fare, ho contro anche Sant'Onofrio. Leva quell'insegna
ambiziosa e al suo posto metti la vecchia, vuol dire che se l'abbiamo fatto per
trent'anni, sto mestiere da fame, lo faremo fino all'estinzione. Contento
Sant'Onofrio? Si? E contento voi, contenti tutti!
Ma, ora, chi glielo racconta a Tinuzza e a Venera?-
“ PATTI AVANTI… “
Monologo
Personaggi:
Salvatore Occhipinti…………………………………………………………. Cavaliere e pensionato
Ambientazione: Casetta rurale in collina, anni ’70 – ’80 (fate voi).
In scena c’è Salvatore che si pulisce le mani con uno straccio.
“ Io parlai chiaro, anzi, chiarissimo!
A chi? Ma alla Montagna! Naturalmente lo feci perché dalle mie parti si dice:
patti avanti e amicizia lunga. Ed io -io -i patti li mantengo! Io! Fu lei (
indica qualcuno dietro di lui) che ...
Ma, scusatemi, ancora non mi sono presentato: Cav. Salvatore Occhipinti,
archivista capo a riposo. A riposo, sissignore, dopo quarant'anni di
ininterrotto e onorato servizio presso all'archivio del Catasto. A riposo... ma
quale riposo, che se ci penso... Vedete, quando andai in pensione, con la
liquidazione mi comprai un po' di terreno - malanova a me - sulle pendici
dell'Etna; e li mi ci costruii una casetta, un delizio, una cosina piccina,
bellina, all'aria aperta, tra i castagni - doveva ricompensarmi per tutti i
duecentoventottomila giorni trascorsi in un buco d'ufficio, polveroso e con la
puzza di muffa, estate ed inverno, a mettere timbri e timbri, per timbrare
timbrando!
E fu quella volta che le parlai chiaro. Le dissi:
- Montagna mia - proprio così la chiamai a quell'infame! - io mi sto costruendo
questa casetta sulla tua pelle, e, penso che tu non ne sarai contenta. Certo a
chi farebbe piacere, che il primo che arriva, gli viene a fare il solletico
sulla crosta, la infastidisce, la imbruttisce. E si capisce: Si spiana, si
livella, si tagliano alberi, se ne piantano altri, insomma si muta, leggermente,
la vecchia natura, con la presunzione di farne un'altra - illusi! Ma noi uomini
facciamo così. Che vuoi? che possiamo farci? E sai perché ti disturbiamo?
perche' sei bella, la tua aria è buona, la tua terra è fertile, il panorama è
bellissimo, d'estate su da te, fa fresco. Insomma, per noi vale la pena
rischiare di farti qualche piccolo dispettuccio veniale. Eh, via, penso
dopotutto, che un po' di compagnia non debba dispiacerti poi tanto. Oh, ma se tu
non sei d'accordo, per conto mio, non hai che da dirmelo: Io smonto tutto e via.
E chi s'è visto, s'è visto. Solo dammi un segnale: una piccola scrollatina e -
amici come prima.-
E lei, nisba, non risponde, non dette segni di vita.
Allora, siccome si dice che chi tace acconsente, mi costruii la mia casetta.
Manco passò un anno e – “spaccau a muntagna”, sentii gridare - il che
significava, che quella cosa fitusa si era svegliata e aveva incominciato a
vomitare come una donna incinta. E pure bassa spaccò, vomitando senza tregua,
lava e ancora lava. E, come se non bastasse, inventò, quella volta, la tattica
dell'eruzione “bestia”: Ma insomma ve lo figurate? una colata lavica che zigzaga
secondo l'estro, con compiacimento, con voluttà, capricciosamente? Oggi m'ammucco
il podere do zu Vitu, domani stocco a destra e mi mangio la vigna di don Coscimu;
poi, prendo a sinistra e mi abbrustolisco il pometo di don Angelinu, quindi,
nello stesso giorno, con una virata di quaranta gradi, vado a depositarmi nella
masseria del cavaliere Caudullo.
Vaga così, per giorni, come una fanciulla dispettosa, come se nessuno le avesse
mai spiegato che esistono le leggi di gravità; e che se scende, deve scendere
nei pendii, possibilmente nei canaloni.
Spiegato a quella? Ma chi? quando mai! e perchè?
Cosa fitusa!
E un giorno, non punta, dritta dritta, sulla mia casetta?
- Ehi! Come? - dico io? - e i patti? Come quali patti! Ma allora sei carogna e
senza parola! Ah, è così? Bene, ma cosa credi? Ma non mi conosci proprio
proprio. Ma non sai chi sono io?
Ma informati in giro, perbacco, e vedi che ti dicono di me - dello zu Turiddu
Occhipinti.
Domandalo ai Marosi dell’Ionio di Ognina, all'alluvione di Aquicella, al sole
cocente della Piana, - chiedi loro chi sono io!
Ah, non tremi?
E allora t'aggiusto io! -
E mi feci erigere, con una ruspa, rapidamente, un bastione di massi alto tre
metri, davanti alla mia casetta, e aspettai da lassù, il suo vomito, con la
doppietta in mano. E quando giunse, rosso come la brace, feci fuoco senza pietà.
E si fermò!
Diciamola tutta: se la fece addosso!
Mi circondò, si raffreddò, si rapprese e rimase lì ansimante, a guardare a bocca
aperta, la mia casetta.
Io l'avevo avvisata - giusto?
Beh, insomma, secondo i boscaioli… sembra che la colata quando arrivò al
bastione, si fosse già esaurita.
Ma a me non importa: Esaurita o no, io le sparai a bruciapelo- perbacco! e lei
incassò!
“ UN EPITAFFIO NON SI NEGA MAI “
Corto
Personaggi:
Ego dell’autore
Es dell’autore
Ego autore - Quando i Personaggi, con la P maiuscola per preciso dovere di
cortesia, ideati, plasmati e inseriti con tutte le loro storie e i loro drammi,
nella trama di un testo teatrale, e questo testo - triste sorte - non viene mai
rappresentato, inevitabilmente, vuol dire che rimangono sterili: come se fossero
nati morti. Nati-morti significa "proprio morti" e se morti, bisogna
seppellirli. Essi - tanto per entrare nel vivo del discorso - sono nati morti,
per una loro incolpevole quanto gravissima sciagura: sono stati "creati" , quasi
sempre, da un autore mediocre. ( Insomma: un autore come il sottoscritto, per
intenderci meglio.) E un autore mediocre cosa può fare - poverino – se non
creare mediocrità? Egli inventa storie insulse; le farcisce con fatti del tutto
improbabili; le stipa con personaggi anemici, debolucci. Tanto debolucci che
spirano - miseramente - prima di nascere! Morti, dunque. Ora, il minimo che può
fare un simile sconsiderato pseudo- scrittore, per non essere bollato come
autore degenere, turpe e ignobile, è dare agli sfortunati Personaggi un'onorata
e degna sepoltura...-
Es - Sepoltura e necrologio...-
Ego- Sepoltura e necrologio!- ho capito.-
Es - No, no, fammi terminare! Dicevo: sepoltura, necrologio, lapide ed
epitaffio!-
Ego - Anche l'epitaffio?-
Es - Perchennò! In fondo, un epitaffio non si nega mai – a nessuno.-
Ego - E va bene: sepoltura, necrologio, lapide ed epitaffio, oh. La sepoltura,
dunque, ma, - e dove?-
Es - Dove? Dove ti pare, bello mio. Tu hai fatto la frittata e tu la rivolti.-
Ego- La rivolto, la rivolto, stai tranquillo. Dunque sepoltura… tomba...
cimitero... Allora debbo ideare un cimitero...-
Es - Per carità! Ti prego! Non ideare più...-
Ego - Ma insomma, è mia la responsabilità? si? e allora mia sarà pure la scelta,
perbacco! oppure no?-
Es - Ma si, ma si...scegli pure...-
Ego - Che ne diresti se facessi una specie di nuova Spoon River?-
Es - Oh, no!-
Ego - Oh, si! piazzerei i loculi in bella fila, in un luogo all'aperto, tra
alberi e cespugli, verdi prati e vialetti di minuta ghiaia, esposto a
mezzogiorno, asciutto, soleggiato - poi vedrai che magnificenza- facendo in modo
che, seguendo un percorso obbligato, i futuri visitatori, passeggiando, man
mano, avranno la possibilità di leggere gli epitaffi –scolpiti nelle bianche
lapidi, bene in vista, alla portata di tutti, persino dei miopi e senza occhiali
e, t'assicuro, sarà per loro come sfogliare un libro di pietra.
Il libro dei Personaggi, - dei miei drammi e delle mie commedie, che non hanno
avuto - mai! - la buona ventura d'essere rappresentati, - e che, - zac! -
finalmente e giustamente, potrebbero avere il loro momento quasi vitale.-
Es - Davvero? e come?-
Ego - Come? presto detto: l'epitaffio non sarà composto retoricamente, con le
solite frasi di circostanza, o con parole di semplice ricordo. - No, macchè - Ed
ecco il colpo di genio: nella bianca lapide verrà incisa, brevemente, quella che
doveva essere - e non fu - la loro probabile vita. Eh? Che ne dici?-
Es - Mah, per me, velleitario come sei, t'imbarchi in un altro dei tuoi soliti
fiaschi.-
Ego - Ed io faccio gli scongiuri.-
Es - Non sono necessari! In bocca al lupo!-
Ego - Crepi! ...Dunque, era di marzo...-
Es - Incominciamo proprio bene, vedi? Retorica!-
Ego - Hai ragione...dunque, correva l'anno...-
Es - E ci risiamo!-
Ego – Si? E va bene, va bene, scansiamola questa retorica. Dunque... no, - sai -
quello che mi imbarazza di più è immaginare Astro morto; perchè essendo come
personaggio un extraterrestre, lo avevo creato immortale, o quasi. Far morire
Astro - poveretto - lui che, prima d'arrivare in panne sulla Terra, non
conosceva cos’era la morte. Che assurdità! Vero?
Allora, adesso come faccio? Niente, faccio come per gli altri: è un personaggio,
non è stato mai rappresentato, perciò è morto, debbo seppellirlo. Quindi tomba,
lapide ed epitaffio!
Stabilito ciò, bisogna pensare ora, a cosa scriverò sulle lapidi.-
Es - E qui ti voglio! Esser chiari e pure concisi è difficile…-
Ego -… tanto quanto è facilissimo essere prolissi e barbosi! Giusto?-
Es - Bravo!-
Ego – Grazie. E come diavolo farò allora? Eppoi, ti dicevo, cosa scriverò?-
Es – E già, cosa scriverai?-
Ego – Fammici pensare…certo, per togliermi ogni responsabilità, sarebbe stato
meglio, ma molto meglio, se ognuno di loro l'epitaffio, se lo fosse composto da
se stesso - bello! - secondo il proprio modo di sentirsi, di percepirsi, di
essere o di voler essere.
Ma, meschinelli, non ne hanno avuto la possibilità: E come potevano prevedere la
loro immatura e inesorabile morte prima di vivere? Ma ormai sono morti, quindi è
impossibile.-
Es - Impossibile? - ma che dici? - impossibile! - Adesso capisco perchè sei un
autore mediocre! Ma come impossibile? Nulla è impossibile alla fantasia,
balordo.-
Ego - Non offendiamo!-
Es - Ritiro il balordo. Allora, hai capito? Fantasia, mio caro, fan-ta-sia.-
Ego – Ha parlato il sapientone...un momento, un momento... la fantasia
...vediamo...e se prendessi proprio Astro, l’immortale, come compagno di visita
dei loculi degli altri personaggi? - ma certo! – questo accorgimento mi
permetterebbe di tenerlo in vita e, nello stesso tempo, mi fornirebbe la chiave
per iniziare 'sto penoso pellegrinaggio - espiatorio, è inutile sottolinearlo -
che mi accingo a compiere. Ccccche idea! Eureka!-
Es -“Eureka? Ma che eureka d’Egitto! Sapete? quell’idea fu un altro memorabile
fiasco – e questa volta coi fiocchi!”
Fine
“ L’OTTAVO VIZIO CAPITALE “
Corto
Personaggi:
Una donna, 40-50 anni………………………………………………………………..….collezionista;
Nicola, 30 anni………………….. ……………………………………………………………pittore;
Rosa, 20 anni……………………………………………………………………………………modella.
Studio di un pittore. All’apertura del sipario, in scena ci sono Nicola, che
dipinge, Rosa che posa; e la collezionista, seduta su una sedia che si pulisce
le unghie.
Donna – (alzandosi, poi a Nicola che dipinge) … si, certo, va bene per
l’Avarizia, l’Ira, la Gola, ma, vedi, per l’Accidia non sono d’accordo.
Prendiamo te per esempio: Sappiamo che ci sono al mondo mille situazioni di
sofferenza e d’incomprensione che richiedono l’interesse attivo degli artisti,
degli intellettuali, degli scienziati. – e tu sei uno dei pochi che non si tira
indietro, me, per me, scusami tanto, il tuo attivismo è solo forma. Perché, lo
so bene, nonostante questa ostentazione, sono sicura che qualcosa del tuo
passato ti sia rimasto; qualcosa di quel periodo che oserei definire illuminato,
e profondamente radicato nel tuo essere: la tua primitiva intuizione di vita
accidiosa. Non dare retta alle chiacchere di quelle opinioniste che frequenti,
perché sono bugiarde e frivole e che ti possono portare alla completa rovina. Ma
lasciati andare alla calma, la rilassatezza, il riposo. Fidati e non te ne
pentirai. D’altronde, come dicevo per la Gola, pensaci bene: un solo uomo è meno
che niente è nulla. La fame e la miseria posseggono tre quarti dell’umanità, il
resto è delle tragedie, i flagelli, e le ecatombe delle guerre, che le
cosiddette “persone per bene” digeriscono nel silenzio, con riservatezza, senza
clamori. Ma ti assicuro, che quelle strombazzature ai quattro venti dagli
attivisti- te compreso! Non sortiscono nessun effetto positivo. ( Nicola resta
intento a fare il suo lavoro, ma incomincia a dare segni d’insofferenza) E per
al Superbia? Vedi? Alcune volte le circostanze e le idee ci portano l’uno di
fronte all’altro. Ma mia ammirazione per te e la tua Arte è fuori discussione.
Tant’è vero che sono una tua più grande acquirente. ( breve pausa) Da quando
sono arrivata qui sono rimasta ore ed ore in contemplazione davanti ai tuoi
dipinti… e ho avvertito, nell’intimo, un brivido di commozione che spesso mi ha
fatto gridare: ma perchè questo genio non è conosciuto dal mondo intero? Ecco
Nicola Acquasanta, il mondo intero è la tua dimora, e lì dovrai ricevere gli
onori che merita la tua geniale arte (si muoverà sul palco liberamente).- Nicola
–( ironico) Magnifico! Tu mi stai adulando ... (sottovoce) e disturbando…-
Donna - Io adulare te? Ma lo sai che sono la Superbia in persona! E come potrei
adulare un altro soggetto che non sia me stessa? ( con condiscendenza) Suvvia,
non essere modesto, con me non attacca. Le qualità, il talento, che in te sono
indiscutibili, non sono posseduti da tutti ma solo da pochi. Poi, in tanto che
siamo nel discorso, (parlando piano) cos’è questa confidenza con la tua
umile…modella? E il prezzo dei tuoi capolavori perchè non lo adegui ai suoi
reali valori? -
Nicola – Beh, non li adeguo per non spellarti! Scherzavo… sai c’è il mercato…ma,
soprattutto, perché desidero anche l’accesso del popolano alla mia arte. In
fondo svolgo un’azione sociale e culturale non comune… Ma forse dovrei proprio
adeguare i prezzi. Ci penserò. E adesso scusatemi, ma vado a mischiare dei
colori. Rosa, facciamo un break.( esce a sinistra, mentre Rosa si stende su una
poltroncina)-
Donna - Sei stanca, vero? –
Rosa – Lo credo. E’ faticoso restare immobile. Sono già due ore che poso.-
Donna – E dimmi, quanto guadagni?-
Rosa – Dipende dalle ore di posa. Posso arrivare anche a cento euro in un
giorno.-
Donna – Cento euro? Una miseria, considerato quanto guadagna lui. Non l’invidi?-
Rosa – No. Lui è l’artista…-
Donna – …e tu se la sua ispirazione. E’ iniquo!-
Rosa – Sarà… (si mette più comoda)-
Donna – Sarà… però quanti squilibri sociali ed economici, purtroppo ci sono
ancora… Basti pensare alla iniqua distribuzione della ricchezza nel mondo.
Abbiamo Paesi opulenti e Paesi in perenne carestia. Popoli ricchi e popolazioni
marchiati da una irrevocabile condanna atavica: la povertà! Poi abbiamo uomini
celebri, i campioni, gli eroi, i divi gli artisti… e di contra, le creature
sfortunate, e tanto per restare nel tuo piccolo, la modella. Ecco, l’Artista e
la Modella. Guarda sembra il titolo di una fiaba: come il principe, il potente,
il ricco, circuisce la popolana, la fanciulla indifesa, la povera figlia di
mamma. Quasi quasi mi commuovo a questo pensiero. Ma sai quello che mi amareggia
di più è la rassegnazione a volte vile, a volte d’attesa, rare volte di
preparazione alla rivalsa, che vedo molto spesso scritta nei vostri visi di
creature oppresse. Non vi vedo pronti alla reazione contro questa ingiustizia,
questa ingiusta discriminazione. Gli schiavi, i prigionieri, i negri, i
proletari, gli sfortunati, in genere – che sono la maggioranza- non sanno
prevalere sugli oppressori che sono minoranza. Tu che ne dici? -
Rosa – (con noncuranza) Ma, forse, quelli hanno dalla loro parte la forza.-
Donna - Ma si, questo è vero, hanno la forza, ma questa forza che gliela ha data
in loro mano, chi gli ha ceduto il comando, chi gli si è sottomesso.-
Rosa – I corsi e i ricorsi storici ci insegnano…-
Donna - Lascia perdere la storia, mia cara e pensa, per esempio, alla tua
situazione: Sei una ragazza in gamba, sei colta, bella e preparata, e cosa fai?
La modella. Fai la semplice modella, tu che sei pronta ad affrontare il mondo e…
forse a sottometterlo con la tua grande intelligenza. E lui? Che cos’è? E’ un
debole, un instabile, quasi un bambino. Ma solo perché sa imbrattare qualche
tela, ti tratta dall’alto in basso. Tu saresti capace di soggiogarlo con un solo
sguardo, con un lampo d’intelligenza, con un guizzo della fantasia. Eppure sei
alle sue dipendenze, soggiaci ai suoi umori, alle sue fregole e alle sua manie.
Ecco tu sei l’esempio vivente di ciò che teoricamente ti ho enunciato poco fa. –
Rosa – Ma lui è artista…-
Donna - Artista lui? Mah… lo sai meglio di me che sei la sua ispirazione. Senza
te sarebbe un banalissimo imbrattatele realizzatore di croste. Dimmi, in tutta
onestà, quanto valgono le sue opere? –
Rosa – Mi dispiace, non me ne intendo.-
Donna – Lo difendi? Anche se si approfitta di te sessualmente?-
Rosa – No… ma no, io lo faccio l’amore con lui perché lo voglio.-
Donna - Ah, si? Ah, bene, benissimo, è riuscito a plagiarti del tutto. Certo lui
è ricco, famoso …e ti scopa, e tu? Nulla. Ma lo sai qual è suo vizio?-
Rosa – Quale vizio? Io non lo so... (incomincia a inquietarsi) -
Donna – E te lo dico io: La lussuria! La lussuria che è il più dolce vizio che
esiste al mondo, il più riservato, il più bello, il più appagante di tutti i
Vizi e di tutte le Virtù. Provare il piacere della carne, l’emozione delle
carezze intime, il brivido dei sensi. E’ meraviglioso o no? Il piacere conosce
ondate sempre più potenti – e sale – sale verso il cervello facendolo irrorare
di sangue e di sensazioni. I muscoli vibrano ansiosi, le mani cercano la calda
carne, le palpebre calano pesantemente sugli occhi, vinti dal languore, le
labbra si schiudono per suggere e sussurrare… e poi per gridare al mondo intero
che l’orgasmo è vostro! Poi rilassarsi, godere del ricordo e della dolce
stanchezza che ci scioglie le membra, abbandonandoci a noi stessi, a nostri
umori, alla dolce attesa di rinnovare il piacere. Quel piacere su cui si fonda
la vita. Quel piacere senza il quale il mondo sarebbe un arido mucchio di
pietre. Quel piacere che spinge il maschio a cercare la femmina, a lottare – a
morire. E’ ridicolo sentire taluni uomini stupidi parlare di un certo sentimento
che è la mistificazione del piacere, inventato solamente allo scopo di
ingentilire l’amplesso. Lo chiamano amore. Amore per non dire piacere, amore per
tacere il godimento, amore per giustificare l’attrazione carnale. Amore per
pulire i sessi! Amore per ingabbiare i sensi. Ma l’amore non esiste! Non è mai
esistito! Solo dei bugiardi ipocriti lo sostengono! L’amore forza dell’universo,
amore riscatto del peccato, amore toccasana di tutti i mali dell’uomo. Uh,
illusi! Nessuno può resistere al più antico vizio degli uomini. Vizio che loro
stessi impersonano! –
Entra Nicola, sente le ultime battute, scuote la testa vedendo Rosa sfibrata e
la donna quasi in trance. Quindi batte le mani come per ristabilire la realtà.
Donna– (riscuotendosi) Nicola, Nicola, sai? questa idea dei ritratti dei vizi
capitali mi sta intrigando. Ho deciso, poserò anch’io per te! Dimmi, per quale
dei sette vizi?-
Nicola – Per l’ottavo.-
Donna- (sconcertata) L’ottavo? E quale sarebbe? -
Nicola – La Perfidia!-
Donna – Eh, eh, Ma questo non è un vizio capitale...-
Nicola –…Peggio! Cara… molto peggio. Ed ora scusami, la luce è cambiata, smetto
(contrariato lancia i pennelli sul tavolo). Rosa, per oggi basta, andiamo via.
(la Donna fa per avvicinarglisi per baciarlo, ma N. la blocca ) Ciao
rompi…rompi…co…gli…(esita nella parola e nel gesto, poi si avvia verso la quinta
di sinistra)-
Donna – … rompi … co’ gli… cosa? ( ancheggiando, ansiosa)-
Nicola – Co’ –gli- oni, mia cara. (quindi si avvia seguito dalla ragazza. La
donna, prima resta basita, poi li segue. N. l’aspetta, e, con un ironico
inchino, le dà la precedenza)- SIPARIO
“ ADELINA “
Corto
Personaggi:
Adelina, 19 anni………………………………………alberghiera e aspirante artista;
Gigi, 40 anni…………………………………………………………………..……………Artista;
All’apertura del sipario, la scena è vuota. Sono sparsi sul palco alcuni mobili
vari da soggiorno. Musica adatta. Dopo mezzo minuto si ode proveniente dalle
quinte un altissimo grido, mentre entra in scena da sinistra Gigi che tenta
febbrilmente di alzarsi i pantaloni e infilarvi la camicia, e quindi di mettersi
le scarpe. Tali movimenti possono essere fatti nel corso del dialogo
susseguente. Adelina, lo segue - ella è una giovane donna oppure un efebo, che
indossa soltanto una camicia, che, inutilmente, gli fa cenno di tacere,
d’abbassare almeno la voce, ma l’uomo è furioso. Si aggirava nella stanza come
una belva e la guarda torvo come se la volesse strozzare.
Gigi - Non è possibile! Dio mi sia testimone se non è possibile! Ma come hai
potuto? Come hai osato? No! No tu mi hai fregato! Tu mi hai abbindolato
vergognosamente. Capisci? Sono furioso solo per questo. Io...io credo di essere
un uomo senza pregiudizi; credo che ciascuno abbia i suoi gusti e le sue
necessità sessuali senza doversene vergognare: sono per il libero amore! Ma,
appunto perché libero, vorrei essere anch’io liberissimo di scegliere con chi e
come fare l’amore. Libero di decidere, se fare l’amore con …uno, con uno… come
te, mi andasse a genio o no! E tu! E tu me lo dovevi dire prima chi eri!-
Adelina - Se ti calmi un poco tenterò di parlare anch’io.-
Gigi – ( calmandosi) E parla, su, parla! Cos’hai da dire?-
Adelina – (ironica) Grazie per la concessione. ( poi determinata) Allora: Primo
punto, quando parli con me non di azzardare mai più a urlare e a esprimerti in
questo modo, così dispregiativo e userai forme cortesi e al femminile e, se vuoi
chiamarmi, mi chiamerai Adelina. Chiaro? Secondo: io non ti ho fregato, ne ti ho
mentito. Sei stato tu che non mi hai dato il tempo di parlarti, perché
immediatamente, appena entrati, mi hai letteralmente, scaraventata sul letto. E
cosa pretendevi, che fossi di ghiaccio? ( reazione di Gigi per intervenire) Stai
zitto e lasciamo finire…per favore. Allora: Mi sei piaciuto fin dal primo
momento che ti ho conosciuto e quando, in Galleria, seduti sul quel divanetto
parlavamo d’Arte, ma tu intendevi parlare d’amore, io, stoicamente, per
raffreddarti, prendevo tempo parlandoti di poesia. Ricordi? (Gigi annuisce) Si?
Bene. Ora dimmi, uomo, quando avrei dovuto dirtelo? Forse proprio lì, in
Galleria? Avrei dovuto prenderti da parte e dirti: sai, prima di parlare con me
sappi che sono eccetera eccetera? Oppure durante quella splendida serata in
pizzeria? Dovevo dirti: se vogliamo essere amici – come io sinceramente speravo
in un primo momento – devi sapere che…; seno là, al lungomare, quando mi
provocasti, mi stuzzicasti, mi eccitasti e mi facesti impazzire? O qui! Dove non
mi hai dato il tempo di svestirmi, che mi sei saltato subito addosso! Allora?
Non parli? Non dici niente?-
Gigi - E cosa dovrei dire? Che sono stato un energumeno assatanato? Si è vero,
ho bruciato tutti i tempi. Ma mi facevi sangue, mi eccitavi fino al midollo, mi
girava la testa quando stavo vicino a te…-
Adelina - …quando…stavi?-
Gigi – (ammettendolo quasi a malincuore) No, no. Va’ bene! Volevo dire: Quando
sto! Insomma, capiscimi, io… io non ho mai avuto esperienze simili. Normali nel
suo genere, per carità –dico io – ma nuove per me. E… e non ho difficoltà ad
ammettere che con te ho fatto l’amore in modo meraviglioso. Al lungomare, con
quel rapporto orale, ti ho dato il mio corpo e tu mi l’hai restituito con
l’anima. Ora credo che io abbia, forse, dei pregiudizi atavici – si, si, ne sono
sicuro si tratta proprio di questo- ma capiscimi, Adelina, non me la sento di...
d’avere una relazione con te. Ecco.-
Adelina - E chi ti ha chiesto di avere una relazione. Chi ti ha mai parlato di
rapporti duraturi. Ti ho mai fatto pensare che potessimo diventare amanti? (
pausa di sofferenza ) Gigi, te l’ho già detto, tu mi sei subito piaciuto come
uomo e come artista. Ma, ti ripeto, mi sarei accontentata di esserti solamente
amica. Ed essere tua amica, per una principiante nell’Arte come me, sarebbe
stato il massimo del privilegio. Non volevo una avventura, non m’interessava. E
te lo feci capire quando cercai di raffreddai i tuoi bollori quella sera stessa,
in pizzeria… anche se con quella voce profonda, abissale, calda; con gli occhi
pieni di libidine latente eri irresistibile… Ma tu galoppavi già, mentre io
appena appena iniziavo a trotterellare. E, comunque, trovai la forza di frenare
gli eventi. E cos’altro era quella proposta che ti feci dicendoti che ti avrei
richiamato io, se non una possibilità di prendere tempo per riflettere? Ci
pensai una settimana intera, prima di telefonarti: Ero indecisa, appunto, per
questa tua possibile reazione. Mi chiedevo: dovrò parlargliene non al telefono,
ma di presenza e certamente prima di… di… insomma… prima, al momento opportuno…
o forse subito, appena arriva. Ma tutti questi buoni propositi saltarono in aria
sconvolti dalla mia passione e dalla tua libidine- poche ore fa, in macchina, al
lungomare- che ci ha portato in quella stanza, in quel letto. No, non ti ho
voluto mentire, e non mi sono voluta approfittare di te, della tua sensualità.
Gigi, comprendimi bene: sono giovane e gli ormoni pressano, tu mi piaci, ma non
ti amo! Io… io amo un altro.-
Gigi – Un altro? E perché non stai con lui?-
Adelina – Perché… perché, sempre perché. Per qualsiasi cosa debbo dare sempre
delle spiegazioni. Sono stanca! Gigi, sono veramente stanca...(poi come per
confessarsi) scusami… ( breve pausa) lui ha la stessa tua età e vive nella mia
città… e ora sta con un’altra. Io quella città l’ho dovuto lasciare al termine
dell’Alberghiero, per… insomma, per – diciamo – opportunità; e sono venuta qui,
dove ho trovato impiego all’Hotel Excelsior, dove vengo rispettata da tutti …e
anche protetta dal direttore… no, non pensare male è un vero amico e - se ti può
proprio interessare - è gay.-
Gigi – Quindi, col tuo concittadino sei senza speranza?-
Adelina – No, la speranza ce l’ho perché sono stata… insomma ho fatto con lui
l’amore fino a sedici anni e so che mi voleva veramente bene. Adesso aspetto
fiduciosa che gli passi l’infatuazione per quella…maliarda - lo conosco, lo
conosco bene, è sensibile, si stancherà… Sai durante la nostra relazione, ha
rispettato la mia verginità come un alto ideale spirituale da preservare; e io,
grata, la conservo per lui- per quando sarà il momento.-
Gigi - Verginità? ( con una punta d’ironia) ma tu non puoi avere… non hai
l’imene.-
Adelina – Andiamo Gigi, non fare lo stupido: Verginità anale. E’ uguale. E
comunque, ironia o no, quella è stata una sua rinuncia … spirituale…-
Gigi - … E dalle! il furbo! eri minorenne, e non voleva lasciare prove.-
Adelina – No, ma che dici?-
Gigi- Cazzate! Lo so, sono cattivo.-
Adelina – Fossero come te tutti i cattivi che ho incontrato. ( breve pausa) Ho
sofferto tantissimo Gigi, ma non mi sono mai arresa. Immagina: nelle mie
condizioni, diciamo fisiche; in ambienti per me ostili; senza nessun sostegno
morale, e… senza amore, ma con il libido tempestoso; immagina, dicevo, come è
stata dura la mia esistenza. Poi sei arrivato tu: frenesia dei sensi, ma senza
vero amore - mi dispiace.-
Gigi – Capisco. ( breve pausa) Quanti anni hai …ragazza?-
Adelina - Quasi diciannove. -
Gigi – (con tenerezza) Sei bella, giovanissima e già saggia e matura. Ti chiedo
scusa Adelina… di tutto…( con imbarazzo) e sappi…che… insomma … sappi che con
te, prima di… va’ bene, prima, ci sono stato veramente bene. Forse meglio che
con qualunque altra donna. Ora vado via. Tu tiene duro, io ti avrò sempre nei
miei pensieri. Mi dispiace… molto. ( si ferma prima d’uscire) -
Adelina – Anche a me. ( Gigi si volta) E stai tranquillo, terrò duro, so
lottare. Anche contro la natura, la quale mi ha fatta psichicamente e
fisicamente femmina in tutto, in tutto! – e tu lo sai bene! Ma ha commesso un
solo errore: quei due centimetri di appendice superflua. Ora la scienza
provvederà a rimediare: non appena accumulerò la somma occorrente, mi farò
operare. Magari andrò ad ingrossare l’esercito delle sterili, ma finalmente sarò
me stessa.-
Gigi – Te l’auguro. ( si muove, ma è esitante)-
Adelina – Grazie Gigi, e mi dispiace per la delusione…(breve pausa)beh, forse…
forse… ma no, lasciamo andare. Addio, Gigi.- (gli si avvicina per baciarlo sulle
guance, ma Gigi invece le sfiora le labbra)-
Gigi - Bene, ( gesto affettuoso, come d’una carezza) Adelina, ora debbo proprio
andare… (esita, poi si avvicina di qualche passo) poi, credimi, il fatto che tu
ami un altro uomo e non me, per te è un bene, perché io… io non… non mi sento,
cioè, non sono quello giusto… non… non… saprei essere… (gesto di stizza
vedendola addolorata, esita e le accarezza il viso) Ma come posso andare via e
lasciarti così? –
Adelina – ( avvicinandosi, prendendogli le mani e abbassando il viso) E allora
non andare, resta… finche ti farà piacere…
SIPARIO