Da grande volevo fare il corridore ciclistico

di 

Giuseppe Mazzone



Uno strano tipo di personaggio in bicicletta parlotta fra sé e sé pedalando senza affaticarsi. Indossa una tuta, ma c’è qualcosa di non professionale nel suo abbigliamento, di raccogliticcio. Particolari (ad esempio le scarpe, una cravatta, una camicia coi gemelli) che evidenziano una doppia esistenza mescolata e non definitivamente divisa. Come se non avesse avuto il coraggio di mettersi pienamente in abiti sportivi, e non avesse contemporaneamente osato abbandonare i simboli del suo viver pubblico quotidiano…Ugo bofonchia e parlotta, meditabonbo, assorto.

Ugo- Da grande volevo fare il corridore ciclistico. Allora sì che mi sarei divertito. Salite, discese, valli, fiumi argentati, radure, frescure. Sempre in circolazione, perennemente in movimento, senza fermarsi mai, senza fermarmi mai. Su e giù, giùùùùùùùùù e suuuuuuuu. Senza respiro, col fiato mozzato, il sudore che non s’asciuga e ti gocciola plink e sei costretto a bertelo tutto perché non puoi staccare le mani dal manubrio perché ti trovi già in discesa tutte curve, plink il sudore salato. Lo sapevate che il sudore è salato ? E poi quando finalmente comincia il piano e tiri fuori il fazzoletto ti accorgi che il sudore è ormai andato, evaporato col suo sale. Poi ti rischiaffi il fazzoletto in saccoccia, accipicchia com’è complicato…..

Effettivamente deve compiere ampli sforzi di equilibrio per ricollocare in una tasca posteriore il fazzolettaccio multicolore.

…e ricomincia la salita. Quando ricomincia la salita si mette a piovere e lì i casi sono due: o ti metti la mantellina, la quale, maledizione, è chiusa in un involucro piccolo piccolo che come si fa….bah, oppure ti bagni. L’eroe di solito si bagna per far vedere a tutti che lui è noncurante e altrimenti che eroe sarebbe ? L’Eroe che svetta, l’Eroe che non si raffredda e non starnutisce mai tranne quando è al calduccio. Bagnarsi ? Forse nemmeno si bagna, l’Eroe: le gocce gli scivolano addosso e lui indifferente sale. Bagnarsi, che idea. Io…io però…eh, ma io mi sto bagnando. Ma che fa, piove davvero ?

Effettivamente si mette a piovere con improvviso scroscìo e consistente acqua dal cielo. Ugo rimane interdetto, quindi tenta di forzare l’andatura, prova a proteggersi il capo con una mano, si sciacqua la faccia, si deterge gli occhi. Quindi annaspa nel tentativo di cercarsi addosso la mantellina.

Ugo – Ma giusto ora doveva piovere ? Il tempo sembrava di un bello: gli uccellini cinguettavano, i grilli zirlivano, ramarri rumoreggiavano, rane gracidavano. ‘Sta maledetta mantella, dove diavolo l’ho….Accipicchia come piove, sugli irti colli ma specialmente sul mio collo che si bagna come una lagna e brrrr (si scuote scosso da un brivido), lo sapevo brrrr è arrivata, la goccia è arrivata nel fondo schiena trascinandone nel gorgo del mulinello altre. Un rivolo attraversa la mia colonna dorsale e si placa laggiù, brrrr, sta mantella maledetta (continua a contorcersi, si massaggia i reni, si scompone). Basta uffa, sì lo so che non si fa, figurarsi: l’Eroe non lo farebbe mai nemmeno nel pieno del gorgo del vortice delle intemperie. Mai, piuttosto si trasformerebbe in fiume in piena. Eh, ma io che sono, eroe ?

Insomma, Ugo si arresta infine e scende dalla bici. Si rifruga mentre la pioggia intensifica le stilettate al suo viso, e vento e tuoni rafforzano in crescendo di boati e sibili. Estrae infine da una tasca davanti della tuta una busta minuscola di cui non riesce o non sa trovare l’apertura; la gira, la stiracchia: niente, non si apre. Se la colloca sulla testa a ripararsi un po’, la guarda rassegnato e scorge una cordicina che tira e tac come d’incanto si ritrova totalmente avvolto da un enorme impermeabile. Si districa finchè indossa a dovere la mantella con cappuccio. Risale sulla bici. Cambia strada. S’introduce in una via parallela e deserta, lunga lunga. 

Ugo – Mah, non si vede un accidente. E’ una delizia, senza mete, senza frontiere, senza un bordo un segnale un cartello. Io pedalo e non so dove vo oh oh oh. Ma poi, non passa nessuno in questa stradina ridente di una periferia triste ? Una macchina o che so io un cane ? Vero che l’ho scelta io apposta per la sua marginalità periferica, però insomma un qualcuno a cui chiedere: “Scusi, mi sa indicare la strada maestra ?”. E questi mi risponderebbe “Di qua, di là” e mi ricongiungerei e oplò tornerei alla normalità brancolante. Però, certo, se l’ho voluta io, se me la sono cercata, ora che faccio, mi pento ? Mi lamento ? Oh, no che non si torna indietro. Ma chi l’ha detto che non si può tornare indietro ? Dov’è scritto ? Sicuramente l’ha comandanto qualcuno di potente visto che è un motto imperativo imperante dominante che se uno a chicchessia va a dire “Io torno indietro”, come minimo ti prendono per vile vigliacco. L’importante è non dirlo, non farlo sapere. E allora io non vado indietro, no, perché suggestionato da secoli di crociate antivigliaccheria, ma nemmeno avanti. E che, per forza bisogna andare avanti ? Io non voglio andare né avanti, né indietro; né di qua né di là. O meglio: posso ma non voglio e lovorrò quando potrò, quando potrò. E soprattutto sopra ogni cosa IO VOGLIO ANDARE DOVE MI PIACE . E siccome piace a me ciò che non piace agli altri, eccomi in una stradina defilata dove non sono stato mai né sapevo che esistesse – e tante strade esistono che uno non lo sa - , dove mi è consentito di disperarmi senza dovermi vergognare. Mi è concessa la Paura, e perfino può capitarmi di farmela addosso e mettermi le mani nel naso e grattarmi dietro l’orecchio oppure lì.

Lo fa grattandosi ostentatamente dappertutto, con enorme soddisfazione.Ridacchia. Poi emerge dal suo subconscio una sorta di monologo interiore, un flusso di pensieri e meraviglie, di dondolamenti.

Andare, andare, andare,
non fermarsi mai nemmeno per un istante,
non fermarsi nemmeno quando si è fermi,
quando ci si riposa, mai. 
Quando ci si assopisce dolcemente ahhh 
in riva al mare o in mezzo ad un bosco.
Quel frusciare,
quel dondolamento sull’orlo del precipizio…
la sospensione dal baratro…
stare lì fra il precipitare e il non precipitare,
oh oh confortati da un pensiero fisso e sfuggente
e fuggitivo
come tutti i pensieri fondamentalmente sono.

Si lascia cullare dal sogno, dal dondolìo dello svenimento dei sensi. E’ una pausa di sospensione da cui si rianima come svegliandosi per riprendere il proprio ragionamento, il filo del pensiero interrotto.

Ugo – Ora mi ritrovo su questa stradina periferica che non conosco del tutto, soprattutto non so dove arriva. Punto. E tutto ciò mi esalta, mi libera. Mi ricordo di quand’ero giovincello ardente e sparanzoso e in quella bella bicicletta gialla regalatami dal nonno col manubrio piccolo e tre cambi vidi il futuro, le mille possibilità del destino. Mille strade che si intersecano, si dividono, si ricongiungono, non s’incontrano mai. E se ne può incrociare una lunga lunga senza via d’uscita, piatta pianeggiante spaventosa insopportabile, obbligatoria. E ci sono quelle tortuose al culmine delle quali però scopri paesaggi meravigliosi irraggiungibili e financo irripetibili, perché non hai la forza di inerpicarti fin lassù, o la voglia o il tempo. Oh sì, quella volta che partimmo – potevamo avere dodici anni, una delle età dell’uomo- col mio amico Vito ad esplorare le strade dei dintorni. 

Il racconto di quell’avventura si fa tumultuoso, ansioso, serrato. Quasi gli manca il fiato a riferire ciò che accadde. Si immedesima in quei momenti.

Ad un certo punto ci inoltrammo per una discesa alberata dolce dolce che però a poco a poco diventava sempre più ripida, ripida e gli alberi scomparirono e al posto dell’asfalto comparvero pietre bianche piccole piccole ma così bianche da accecarti, e noi stretti sui manubri perché la strada prima o poi sarebbe dovuta finire, non poteva continuare così –pensavamo ansimanti – quell’Inferno bianco, sì l’Inferno bianco accecante abbacinante, e noi stretti ai manubri in correttittima posizione sulla bici a pedalare perché la strada prima o poi avrebbe necessariamente dovuto trovare una conclusione. L’Inferno bianco lo chiamammo, e ce lo siamo trovati negli occhi davanti sempre nei momenti difficili della vita, di quella esistenza che siamo costretti a condurre perché sia definita Esistenza sancita coi crismi dei bolli dell’Ufficialità permanente immanente. E ancora oggi rieccolo, l’Inferno bianco, che scendeva, scendeva a scapicollo; e noi non ci pensavamo nemmeno di tornare indietro sulla stessa salita, al limite scendendo dalla bicicletta, e continuavamo a scendere su quello sterrato mai visto inaudito, e perdevo Vito di vista, ma Vito ricompariva orgoglioso coi suoi compunti pantaloncini all’inglese, io invece già sportivo. Mezz’ora, un’ora, e chi se lo ricorda ? Con le braccia che dolevano, avvinghiate al manubrio fino a quando veramente la strada finì. Di botto. L’avevamo percorsa tutta. Non era una di quelle strade circolari che si agganciano ad altre e che poi miracolosamente s’innestano a quella che ti riporta a casa. No: finita su una specie di terrapieno verde circondato da dolci colline. Roba da passarci la notte e restare e io veramente l’avrei fatto, tanto che ci poteva succedere ? E ora che mi può succedere ? Che ci sarà mai alla fine di questa strada ? E questa strada, avrà una fine ?

Si ferma, appoggia la bici con cautela e si mette a sbirciare a destra e manca con aria scettica. Non è particolarmente incureiosito dagli sbocchi della strada, ma pure è come se fosse costretto minimamente ad informarsi, un altro dei tanti atti dovuti nel corso dell’esistenza. Guarda, riguarda, spi sposta un tantino, compie gesti movimenti come se avesse un cannocchiale, un binocolo. Alla fine un sorriso, un ghigno gli appare sul volto, un ghigno che poco a poco esplode in una risata sinistra, a bocca storta.

Ugo – Uhaaa, uhaaa ! Uha, uhaaa, eccomi qua.

Saltella, compie passi di danza ingoffiti dall’impermeabile, ma soprattutto saltella gridando Uha uhaaa.

Ugo – E’ bellissimo, è bellissimo, non si scorge alcunchè all’orizzonte e neanche prima. Come quella volta dell’Inferno bianco. Solo chd quella volta eravamo…eravamo come suol dirsi più speranzosi, sì….insomma certi che tutte le strade si ricongiungessero prima o poi. Ora no (sentenzia, si fa serio), ora proprio no. Ora lo so che ci sono anche le strade senza sbocchi. E questa può essere una di quelle che non spuntano. PUO’ ! Però potrebbe pure sfociare, e troveremmo ruscelli e giacigli, cinguettii di petali di rose e forme odorose d’amore e di voglie. D’altronde adesso non è che mi ricordi ben la via da cui son venuto. Oh sì, a volte non sarebbe tanto difficile ritornare indietro a quel rifugio, quella mia tana che m’accoglie vaporosa ed accogliente, dove ho accatastato provviste e coperte per lunghi inverni freddi e frigoriferi e condizionatori per le lunghe estati calde. Potrei restare mesi e mesi senza mettere il naso fuori. Oppure mesi e mesi fuori senza mettere il naso dentro. L’ideale sarebbe averne disseminate alcune di qua e di là, nascoste, ben celate, come i rifugi di Diabolik. Tipo adesso che sono qui: tac, in quel punto una tana di passaggio per rifocillarsi, con un giaciglio, lo spuntino e un po’ di vino fresco al punto giusto. Potrei…potrei…

Mima l’apertura di una porticina, si muove come se fosse approdato in un rifugio sicuro seppur provvisorio. Si sdraia anzi per terra per una pennichella, ammicca soddisfatto del proprio segreto e della propria conquista. Sussurra….

Nessuno lo deve sapere, nessuno. Ssssss. Mi piace mantenere per me questi piccoli spazi vitali. Da venirci ogni tanto. O anche solo sapere che ci sono. Mi basta. E’ così dura e difficile ed ingrata la vita obbligatoria che ci tocca e che un tantino ci siamo meritata…così incardinata. E allora puff bruci nel retro rifugio gli ettolitri di veleni assorbiti in un laser di concentrato di rifiuti.

Ora si è saziato della sosta nel suo rifugio segreto. Si rialza, si da’ una sorta di rupulita, richiude con cura la porticina fantasma dopo avere in qualche modo riassettato la sua tana. La sua corsa riparte, e con maggiore lena.

Ugo- Trallallà trallallà, rieccomi in sella lallà a pedalar sul più bello, a pedalar sul più bello, a pedalar fresco come un ruscello. Olà, olì com’è bello essere qui. Solo sì, ma come il vento che va e viene uh uh uh. Che poi perché il vento debba ritrovarsi sempre solo non si sa. E veramente esistono pure I Venti. E questi sono soli ? 

Pausa e stacco improvviso, cambio di tono e di velocità.

Io l’obbiettivo di uno scopo che sia uno principale proprio non ce l’ho, e mi pare già una bella conquista. Ne ho avuti tanti, eh, per carità. Urca quanti scopi, ero gonfio di scopi ed obbiettivi, una rana di Beaumarchais pronta a scoppiare con una punta di spillo pak ! Andavo orgoglioso dei miei scopi e condannavo chi non ne aveva, chi s’accontentava, chi tirava a campare. Compativo altresì gli arrivisti, e anche oggi, i rampanti, quelli del successo a tutti i costi, quelli che pensano a una sola cosa, e venderebbero madri e mogli e figli e tanti l’hanno fatto io li conosco. No. Scopi, ideali, od obbiettivi ? Oppure tuffarsi nella corrente dell’Occasione giusta ? Meglio niente di niente che naufragare fra gli ideali.

Si gonfia davvero come una rana di beaumarchais. Si muove a sbalzi, imita il verso dei ranocchi uah ruah ruah.

Ranugo – Io ero ruah un coacervo di obbiettivi, mi nutrivo di uarh ambizioni che coltivavo a più ruah non posso. Ruarh uarh. Nessuno osava avvicinarsi per pungermi e sgonfiarmi, tale doveva apparire la mia monumentale uarh compattezza che ho dovuto farmi strada senza troppa difficoltà, sul percorso tracciato ruah netto definito. E la puntura di spillo che pak mi sgonfiò definitivamente me la conficcai io, sì proprio io pak il giorno dopo che raggiunsi l’obbiettivo principale. Rah ruarh uarh uarh. Pak, che esplosione. Mi sgonfiai in un attimo, meno di un secondo per afflosciare un pallone gonfiato con tutta la forza dei venti. Finita, ruah. Mi sentii liberato. Rimasi a contemplare l’Obbiettivo dall’esterno come sì uno strumento per vivere o sopravvivere. Ma tutto lì e basta. Libero, sgonfio, uarh uarh. Da allora addio scopi, scoppiate e dissolvetevi, ruah ruah !

Il tripudio della Rana-Ugo si trasforma in una specie di balletto goffo in cui lui mima se stesso prima e dopo la cura-spillo. Finalmente e momentaneamente liberato anche dai propri fantasmi riprende serenamente a parlare poroppò poroppò.

Ugo normale- Anche la memoria è un fardello di cui disfarsi, via sciò. Che te ne fai del Tempo ritrovato ? Riuscire a mettere assieme tutti i pezzettini dell’esistenza solo per dimostrare a se stessi ed agli altri di eistere ? Altrimenti quale sarebbe il fine ? La Conoscenza ? E dopo che sai, che concludi ? Ammesso che sai. Tanto sempre lì dobbiamo andare a finire. Tutti. Quelli che sanno e quelli che non sanno. E allora cosa cambierà ad essere inghiottiti coscienti o inconsapevoli ? Metti che fai la scoperta della tua vita prima di saltare il fosso ? A che ti è servita ? Ad andartene col sorriso sulle labbra forse, se hai presenza di spirito al cospetto della Gran Dama bianca. Ad incazzarti oppure digrignando i denti della dentiera: <mannaggia, proprio ora>. Dice: la tua scoperta servirà all’Umanità intera. E se all’inventore-scienziato gliene frega un fico dell’Umanità intera e pensava solo a se stesso, alla pellaccia sua ? E se quello voleva vincere il Nobel e diventare ricco e famoso e godersela la Vita anziché farla godere agli altri ?

Si blocca come preso da una folgorazione, immoto scruta l’aria, se ne sta col naso all’insù; poi compunto si avvicina al ciglio della strada e spiffera sussurrando:

Ugo ventoso – Il Passato, il Presente, il Futuro: granaio di sciocchezze pantagrueliche partorite da un equilibrista scaltro sul filo del trapezio.

Nel frattempo piano piano Ugo pare sollevarsi da terra e si trova ad oscillare come appeso ad un filo, talvolta annaspando, specie all’inizio per prendere la misura, attento. Oscilla.

Ugo trapezista – Tempo, Tempo, dove sei ? Sei forse laddietro ?

Si gira di scatto, e tenta di sorprendere il Tempo alle sue spalle rischiando di perdere l’equilibrio.

Vorresti farmi cadere, eh Tempo ? Precipitare nella tua spirale senza Tempo ?

Ghigna, riprende il gioco dell’equilibrio voltandosi a scatti ora a destra ora a sinistra, ora di colpo all’indietro. Afferra con la mano destra pezzettini di Niente che seziona con cura prima di lasciarli andare con un soffio. Restituisce all’Aria la stessa Aria, sfarfalleggia, muove le braccia come ali rischiando di precipitare davvero, tanto che si salva con una piroetta dal baratro presunto. Si distacca dal filo-fune-cordicella. Adesso procede con cautela, sbircia il baratro nel quale ha rischiato di cadere. Passettino dopo passettino, senza rischiare. Arriva ad un punto da cui non riesce a girarsi. E’ in grandissima difficoltà. E’ sgraziato nel goffo tentativo di voltarsi, tanto che perde l’equilibrio e cade malamente, culo a terra patapuffete.

Ugo dolorante – Ohi ohi ohi, ohi che dolore. Tempo, m’hai fregato ancora, ohi ohi il mio culetto, e che cattiva figura se qualcuno m’avesse visto, meno male che qui non c’è nessuno, almeno pare. Oh, non che tenga particolarmente all’Occhio sociale, è l’Occhio sociale che tiene particolarmente a me. Ohi ohi ohi, Tempo maledetto. Ma me la pagherai, oh sì. Che fai ora, sghignazzi ? Ti prendi gioco di me come di tutti quelli che hanno a che fare con te. Che ridi ? Che bisbigli ? Beh, effettivamente non posso negare che…beh…beh…non sempre l’hai avuta vinta. Anzi, clamorose sconfitte ed eclatanti pesano sulla tua criniera imbastardita. Hai capito, Tempo ? HAI CAPITO ?

Fa incazzare il Tempo invisibile incombente che lo sgrida dal proprio punto di osservazione privilegiato. I due litigano, Ugo gesticolando.

Ugo impaurito – Calmati, che fai ? Vai via ? E se vai via ? Si può vivere senza Tempo ? Già che il Tempo finisce, ma è uguale se va via ? Meglio se resta a bagnomaria. Ehi Tempo, suvvia, soffermati ancora un po’, indugia, placati, rasserenati, fumati una sigaretta, su, pat pat.

Come se Ugo aiutasse Tempo ad accocolarsi sopra un pietrone, e gli offre ed accende una sigaretta. Quindi fra larghi cenni di saluto, si allontana mentre Tempo invisibile fuma. S’allontana in punta di piedi. Guarda in aria, lassù. Riprende a pedalare di malavoglia, sgangherato.

Ugo malinconico – Nuvole, ah nuvole. Il carico gravoso delle nuvole\ il carico gravoso delle nuvole\ gobba fardello in cui nascondi con stanchezza\ l’amore che non hai.

Canticchia il motivo di un cantautore bolognese in auge nel Movimento degli anni settanta.

Ugo canticchioso- Difficile ricordare esattamente quel passaggio lontano, quel cantautore ombroso bolognese. Io ti racconto lo squallore \di una vita vissuta ad ore \ di gente che non sa più far l’amore. Dice che dentro le nuvole c’è acqua. Nel senso che le apri ed è come se fossero un contenitore, un recipiente che qualcuno ha prima riempito - sennò come farebbero ad essere piene ? – e che poi svuota per far piovere. Un meccanismo piuttosto complicato, mah. E poi da dove la prende l’acqua il riempitore delle nuvole ? Eh, da qualche parte, un rubinetto, un ruscello ad sì…sì, certo…lassù in cielo tanti ruscelli freschi spumeggianti che sgorgano da praterie sempreverdi, dai Pascoli del Cielo che chi è riuscito a vederli seppure solo un attimo ne racconta mirabilie. Un battito d’incanto, perché sono recintati e l’accesso non è libero. Chissà se un giorno anch’io ne godrò. Fantastici Pascoli del Cielo.

Rimane come incantato a contemplare i suoi Pascoli del Cielo, ma di scatto la sua attenzione viene attratta da un movimento invisibile impercettibile come battito di ciglia. Ugo se ne accorge, segue con lo sguardo l’Invisibile e tac si tuffa a capofitto, come un portiere di calcio che abbranca un pallone.

Ugo portiere- L’ho preso l’ho preso. Stavolta non mi sfuggirai, ah ah ah ! Attimo fuggente, ti ho catturato. Sei qui racchiuso in pugno solido e lungimirante, dalle larghe vedute alle volte ma fermo ed arcigno se necessario. Ed ora, ora Attimo fuggente ti porto al sicuro, da dove non potrai sfuggirmi più.

Col pugno chiuso risale in cella e riprende a pedalare di buona lena ma con evidente difficoltà perché ha un braccio distratto. Capita che un dislivello del terreno o una curva lo costringano ad afferrare il manubrio con entrambe le mani e fff l’Attimo fuggente ffff fugge come un soffio.

Ugo sfarfognante – Massì, vattene, fuggi scappa dileguati ffffuuuu. Altrimenti che Attimo fuggente saresti ? T’ho acchiappato, soppesato, stretto a me, ed ora ti ridò la libertà ffuuuu ! la stessa medesima che tu dovresti ridare a me rendendomi come te, si fuggente come te. Oh, non fuggitivo, né fuggiasco, né scappante. Oh però se ci penso di occasioni per scappare, non è che nel corso finora della mia vita ne abbia avute tante. Oppure sì e avrei potuto scappare in ogniqualsivoglia momento e in qualunque direzione ? In guerra non sono andato chè era finita, e meno male. A militare figurati, sempre punito da quello stronzo di tenente che mi sbatteva sempre in cucina o a lavare cessi oppure a pulire le camerate perché io gli facevo antipatia e lui a me….perché io non lo prendevo sul serio e lui invece si e mi prendeva sul serio; e poi sempre a sbraitare “coglioni di qua e coglioni di là, lavativi di sopra e lavativi di sotto. Io quando avevo vent’anni come voi mi lavavo con l’acqua gelata e saltavo come un grillo”. Però, però non fece niente quella volta lì, la più importante: rimane annichilito e sbalordito e senza fiato, a quell’esercitazione che era primavera e c’erano bellissime distese di papaveri rossi e noi li abbiamo raccolti e inseriti sulle canne dei fucili che così sembravano più belli a vedersi.E lui rimase lì a guardare a bocca aperta ahhhh.

Cambia completamente espressione. Ora si lascia rapire e trasportare dal sapore, dal profumo, dal ricordo di un amore lontano.

Ugo sognatore. “E lontano, lontano nel tempo (intona e danzicchia il motivo di Luigi Tenco) un sorriso sulle labbra di un altro”….Quella volta…quella volta…Ci fu quella volta che battei tutti, ma proprio tutti di tutte le scuole anche del circondario e dei centri vicini. Sì, li battei tutti, li staccai, pure quelli grandi e grossi, io mingherlino. Ne parlò pure il giornale con la foto e l’ordine d’arrivo. Tutti si complimentarono, alla fine, pure i vinti e gli invidiosi. Andai via carico di trofei e di medaglie. Tutti lo sapevano, tranne lei. La trovai in quel cortile di liceo-ginnasio, accovacciata sui bordi della vasca dei pesci rossi che gettava le molliche. Quando la vidi lì, ancora tutto eccitato dal trionfo. Non glielo dissi, non seppi diglierlo, non volli diglierlo. No, no: non seppi, non volli, boh ! “E lontano, lontano nel tempo”….Che sarebbe cambiato ? Boh, chissà…”una sera sarai con un altro”….chissà…

Esce di scena accompagnato da “Lontano Lontano”. E’ quasi l’imbrunire e le luci e le figure si confondono oramai. Ugo rientra e si rivolge nettamente a una figura che si staglia più delle altre nel crepuscolo.

Ugo colloquiale - Ehi, ehilà ehilì, ah ah ah, come va ? Bella serata, nevvero ? Un po’ umida invero, ma non si può avere tutto, no ? Abbiamo già la serata, mica possiamo pretendere che il clima si arroventi e si dislarghi a nostro piacimento, no ? Ne avrebbe di gente da accontentare: e la vecchina coi dolori e la signora coi tacchi, e il marmocchio lentigginoso. Come farebbe ? Non gli basterebbe la santa giornata. Io invece mi accontento, oh, al limite non troppo caldo nè troppo freddo, ma non sono di quelli piagnucolanti che la mattina dicono: uffa. E lei ? Lei piuttosto ?

Deluso dalla mancanza di un sia pur minimo cenno da parte dell’Invisibile, decide di risalire sulla bici, i muove e finalmente scorge una figura certa, che si staglia nell’aria. Ci mette non poco ad accorgersi che si tratta di un albero. Il gioco di luci del crepuscolo, e probabilmente un po’ di stanchezza considerato che adesso è un bel pezzo che pedala, gli hanno giocato un finto effetto. Un albero, semplicemente un bell’albero frondoso e rigoglioso, a cui cocciuto si rivolge come ad una persona, tendendogli persino la mano.

Ugo stralunato- Permette ? Mi chiamo Ugo. Se passo sovente da queste parti ? Oh, non tanto, direi. Solitamente circolo dalla parte della via principale, oggi ho imboccato questa deviazione, se di deviazione si tratta. Ma in questo tratto invero non mi ero mai spinto. Ma è bello, interessante. E lei ? Viene spesso qui ?

L’albero – Sc sc scccccc….
Ugo – Ah, interessante, davvero interessante. Lei qui ci abita.
L’albero – Sc sc scccc….Fffuiiiiii…..
Ugo – Un bel posto davvero, complimenti. Un tantino isolato, se si vuole, ma tutto sommato non distante dalla via principale. E certo qui si respira, altrochè se si respira, ahhhhh…..
L’albero – Fffuiiscc, sc sccccc.
Ugo – E mi dica, signor…signor ?
L’albero – Shuasc…schuasc…
Ugo – Signor, Shuasc, ah dev’essere di origini svizzere. Signor Shuasc, lei che strada fa di solito per reimmettersi sulla Via maestra ?
L’albero – Ffffffffff….
Ugo – Si muove raramente ? e lo credo bene, si sta così bene qui….Tuttavia, e mi perdoni la mia insistenza tipicamente urbana, che non vorrei scambiasse per invadenza, le chiedo se a suo avviso mi conviene tornare indietro oppure continuando troverò una qualche deviazione che mi riporterà sulla grande Via ?
L’albero – Sciuuuuuuuu….
Ugo – Ho capito. La ringrazio molto della sua cortesia e disponibilità. A presto, spero. Magari ora sapendo che lei abita qui verrò qualche volta a salutarla. 
L’albero- Sciuiu sciuio sciaiouo.

Autocompiaciuto di avere effettivamente sviluppato un dialogo col Signor Albero, si muove titubante. Solo adesso si accorge di avere ancora addosso la mantella della pioggia. Si ferma. Compie alla rovescia i gesti, specialmente si libera della mantella che tuttavia, ovviamente, non riesce a comprimere del tutto nel suo autoinvolucro, e ciò nonostante imprecazioni, pugni, sputi. La scaraventa per terra calpestandola per assottigliarla, con esito mediocre. Alla fine alla bell’e meglio se la poggia a tracolla, mezza dentro e mezza fuori, pencolante. Assomiglia sempre più ad un ciclista dell’era epica, quelli coi copertoni di ricambio allacciati addosso.

Ugo – Certo, bel tipo che se ne sta sempre lì e pare un albero. Sgarbato non era, ma…ma un po’ compunto, beh del resto con quel cognome…rispondeva a monosillabi, bah….E’ che dovrei darmi una regolata. Stabilire il punto del ritorno, o al limite del Non- ritorno. Bisognerà rifocillarsi bene per completare la tappa, e altre me ne attendono persino più imperve e più dure. Questa qui è all’avventura, che sai quando parti e non sai quando e dove arrivi. L’Orizzonte dietro e quell’altro Orizzonte all’Orizzonte. Toh un gattino. Che ci fai tu micino da solo in questa strada ombreggiante ? Micio vieni, non scappare, micio….


Si muove a passettini per non far impaurire il Micio che si rivela una scarpa vecchia che Ugo accarezza e con cui confabula. La ripone al riparo. Saluta con moine e sdolcinature. Riparte.

Ugo confabuloso- Non posso portarti con me, non posso portarti con me. 


Il Tempo vola
La Strada è ancora lunga
i battiti intensificano la scansione del ritmo
facezie scintillanti s’accovacciano raggianti
barlumi di parvenze
apparenze
uno stradone sorridente pure in controcorrente
Ora un muriciattolo svampito espone sbrecciolino stinto
Ora un lastrone lastricato rimesso a lucido da recente rovescio
Ora un viottolo incantato
Una svolta inattesa
Un preludio una scia
Miscugli, nuvolaglie di laghetti,
latrine in confezione sotto vuoto spinto
rimanenze
scatoloni svuotati da ogni effettivo contenuto
e riempiti di inutili affetti
bisacce colme di rimorsi
intercapedini
confini, orli, intermittenze


La strada inaspettatamente tende alla salita, il che stupisce Ugo che non è pronto ad affrontare percorsi particolarmente impegnativi. Lui è perplesso.

Ugo scrutatore guardingo – Ehi, ma qui si sale, altroché se si sale. Salita, solo salita fino a…a dove ? A lassopra forse. E dopo ? Dopo quella curva c’è salita ancora ? E se si trattasse di un Inferno bianco all’incontrario ? Se la strada finisse in salita, su uno spiazzo uno slargo una radura ? Ma poi manco una traversa, una scorciatoia, una deviazione. Qjuel tipo lì, tutto sciscì.

Uff, pant, fatica di sudore di fatica. Il viso di Ugo modifica l’espressione fin qui completamente serena e financo ironica e distaccata per trasformarsi poco a poco in una maschera di concentrato di fatica e nervi tesi. Ghigno e grinta, però, esce fuuori la grinta. Uffff. La grinta di chi non si arrende e vuole continuare malgrado le avverse circostanze.

Ugo scalatore – Ffff, non si può programmare tutto nella vita, fff. Mica uno si può partire sempre con la cartina altimetrica, le combinazioni vincenti, le previsioni meteorologiche, malie talkie, bussola, strumentazioni di bordo, radar. Sono qui invece io, Uomo, il mio mezzo meccanico, le mie gambe il mio cuore i miei muscoli che pulsano e strepitano e schiattano. Io uomo solo, assolutamente solo alle prese con un percorso sconosciuto.

Adesso sì che Ugo s’impianta sulla bici come un vero ciclista di alta classe, il Pantani dei sogni, quello che conquistò di botto maglia rosa e maglia gialla lo stesso anno. E Ugo va, stringendo i denti, digrignando maledizioni e strepiti, sputacchiando, tentando di bere da una borraccia vuota, di trovar sollievo stropicciandosi gli occhi. Vai Ugo che sei solo nella tua fantastica avventura senza spettatori, di cui nessuno saprà mai, senza riprese televisive e medaglie, senza il podio del vincitore.

Ugo scatenato - Un uomo solo, un uomo solo è al comando. E sono io, sì io, Ugo, solo al comando. Ho staccato tutti (si volta a controllare sui tornanti in basso), pure quell’ultimo spagnolo rognoso soprannominato il bel tenebroso, quel francese tutto oui oui coi capelli impomatati che si vanta tombeur des femmes, quel tedesco con l’orecchino che pare una SS con l’orecchino, l’altro italiano subdolo e doppiogiochista che qualche volta gli faccio un occhio nero. Siete tutti laddietro, in fila, dietro di me. Ah l’ebbrezza della soddisfazione. Vi vedo, sì (si volta in continuazione), mi vedete pure voi, ma forse ma forse dopo questo tornante mi vedrete sempre meno, e poi non mi vedrete più. Oppure col naso all’insù, lassù mentre voi annaspate ancora quaggiù.

Vai Ugo che sei solo. Nessuno ti vede, nessuno lo saprà mai. Quando un giorno lo racconterai ti prenderanno per pazzo. Invece è vero. Sei solo, sei solo, hai staccato il gruppo dei migliori, delle teste blasonate, dei campioni ultrapagati, dei rampanti ultragonfiati. 

Ugo svettante. Sei il migliore, Ugo, sei il migliore. L’ho attesa, ho sputato, ho pianto, ho maledetto ed ora sono ad un passo dal trionfo. Non figurerò negli annali, non ci apriranno i telegiornali, non mi verranno a fotografare la mia giornata ideale da quando mi alzo a quando caco: “Qui caca Ugo il campione”. No. Nulla di tutte le sofferenze e le frustrazioni e le competizioni e le imboscate subite: nulla di tutto vale quando vedi il traguardo e capisci che ce la puoi fare e l’energia si triplica e le gambe girano a mille, il cuore romba come un motore supersonico. 

Ansima, gli si spalancano davanti altri paesaggi, arranca, scatta, un turbinio di sensazioni e movimenti.

Ugo titubante- La strada non finisce, la salita infinita. Eppure vedo la vetta, è lì, sembra dietro quella curva. Ehhh, accipicchia si allontana, la vetta si allontana ad ogni metri che mi avvicino. O non ci vedo più bene ? E sì, che vedo, puff pant, la vedo, rieccola la vetta, il traguardo, fine. Un colpo s’allontana e un colpo s’avvicina, un soffio e uno spazio, una accelerazione, una vertigine. Un senso smisurato. E dopo quella vetta continuare o fermarsi ? Fare i conti con le proprie forze (scandisce a denti stretti come un motto o un rosario), fare i conti con le proprie forze.

E’ effettivamente stremato, quasi non ce la fa più, ha un attimo di sbandamento, forte è la tentazione di rinunziare sul più bello, ma si riprende bene perché la Vetta, la vera Vetta, è in vista.

Ugo svettante – Il tratto più duro, il tratto più duro, acc…com’è dura la salita qui, però…però… ma sì, ma è vero: ECCOLA, ECCOLA, ECCO LA VETTA ! ANCORA UN CENTO METRI SI’ ! Cento, novanta, ottanta uff pant….VETTA, ARRIVO ! MI ASPETTAVI ? O NON TE L’ASPETTAVI CHE SAREI ARRIVATO ? Eccomi, uff cinquanta, quaranta, trenta, pant pant…ECCO IL TRAGUARDO, HO VINTO ! HO VINTOOOOOOOOOOO ! 

Urla a squarciagola e taglia il traguardo a braccia alzate come i grandi campioni del ciclismo, e della vita.

La chiusura del sipario sancisce solennemente il solitario trionfo di Ugo, il corridore ciclistico.

Fine