DIVAGAZIONI LABIRINTI E NAUFRAGI DI SANCIO ERRANTE

 

di

massimo bavastro

 

 

  

Due uomini per venti ore erranti: ai margini di strade piene d’automobili, sotto gli alti monumenti delle piazze, fra gli stretti e bui carruggi, e poi di fronte all’inaudita apertura del mare...

In una città labirintica e "contaminata": fra puzza di piscio e odor di focaccia al formaggio e basilico; fra visioni di prostitute straniere e cani randagi, fra vicoli neri ombrosi e ammuffiti e squarci di cielo.

 

Genova.

 

Tamburi suonati da mani negre e musiche d’archi dalle finestre del Conservatorio.

Saliscendi infinito.

 

Sarà la musica, eseguita dal vivo, a raccontare la città. La musica sarà la città, che si stringe e s’allarga sui due protagonisti, che vortica intorno alle loro teste, che scorre sotto i loro piedi.

Un trio violino fisarmonica e percussioni, per una musica fra terra e cielo. Fra il "basso" dei tanghi e delle percussioni etniche, e l’ "alto" della "Matthaus-passion" di Bach.

 

La scena è deserta. Ma pronte a comparire all’improvviso dal nulla, stanno le "macchine": mulini a vento e altalene vertiginose e congegni metallici dal runore d’inferno.

 

i personaggi

 

Chisciotte ha ventitre anni ed è bello, alto e magro. La barba di tre giorni.

Indossa per pantaloni qualcosa che non ci si sa decidere se sia pigiama o tuta da ginnastica.

Sopra la maglia sportiva rossoblu del Genoa, una vestaglia corta, viola.

Malandati sandali ai piedi senza calzini.

 

Sancio ha quarantacinque anni e li porta male.

Tarchiato, la barba, trascurata, di almeno una settimana; qualche dente in meno del regolamentare.

Indossa una dozzinale tuta blu da ginnastica, con la riga bianca lungo i lati delle maniche e delle gambe. La cerniera della giacca è aperta sul torace colmo di peli, fra i quali quasi si nasconde il pesante crocifisso appeso alla catena dorata. Sopra la giacca della tuta porta un cappottino corto, leggero da quanto è liso, col collo di pellicciotto.

Sandali scassati ai piedi, sopra lerci calzini grigi.

 

 

PROLOGO

alle 10,00 del mattino, lungo il fiume Bisagno, nei pressi della stazione Genova Brignole

 

Chisciotte se ne sta fermo a fumarsi una sigaretta. Sancio se lo guarda, lo scruta con attenzione, ogni tanto gli gira attorno come un giapponese alla torre di Pisa. Mentre Chisciotte sembra quasi neppure accorgersi della sua presenza.

 

SANCIO

Ah!

Io lo so.

Ah!

Lo so, io.

Ah, se lo so, madonna di dio.

Lo so.

Lo so, io, chi sei.

Io lo so, chi sei te, madonna di dio.

Lo so, io.

 

Me, ti conosco.

Ah, se ti conosco, a te.

Io te ti conosco, io.

Te.

Ti conosco, io, ti.

 

Sancio se ne va. Ritorna.

 

Ti conosco, io.

Volavano le scrivanie, dio madonna, le scrivanie dei dottori. Con tutto quello che c’era sopra.

Venivano giù dal soffitto, madonna di dio, come acquazzoni, scrivanie ricette e punture.

 

Ti ho visto, io.

 

 

Pausa. Gira un po’ intorno a Chisciotte. E riprende.

 

Che se c’è qualcuno che non se lo ricorda, quello devi essere te, a forza di Carbolithium nell’organismo: Largactil e Carbolithium per via orale e per via delle vene dei bracci.

Io lo so chi sei. Lo so, io, chi sei te.

 

Te ne ho viste buttare in aria, delle scrivanie, quando arrivavi all’USL coi bracci pieni di Largactil.

Venivano giù come la grandine, scrivanie ricette e punture, all’USL di via Acquarone.

 

Ma sentimi: sei te che avevi ragione. Io ve la dò, a voi la pasticca?

Democrazia, dio madonna! Io la pasticca delle mie non la dò a nessuno, ma non la voglio la vostra, delle pasticche. Libertà, dio madonna, libertà!

Che poi è per quello che i dottori...

Li ho visti mentre scendevamo nell’ascensore dell’USL, tutti lì con le tonache bianche che con una mano tenevano la cartellina e con l’altra mi facevano Bye bye. Perché se non prendo le pasticche è inutile che ci vado: allora ho visto che con le mani dietro alla schiena nell’ascensore dell’USL mi facevano Bye bye. Che loro al limite i sopraccigli scuciti li riaggiustano, e anche i traumi dei ginocchi se cadi dai cornicioni, ma a quelli che non prendono le pasticche loro gli fanno Bye bye.

 

 

Gira intorno a Chisciotte guardandolo con attenzione

 

Sei smagrito. Devono essere stati tutti quei buttamenti in aria di scrivanie.

Alonso. Alonso dalla Figura Triste.

Volavano le scrivanie, volavano. T’ho visto, a te, ti conosco. Madonna se ti conosco.

 

Alonso dalla Figura Triste, nemico degli orchi dei draghi e delle ingiustizie.

 

 

Inginocchiandosi ai suoi piedi

Non sono degno di allacciarti le scarpe.

 

 

Rialzatosi

Gliene abbiamo dati dei morsi e delle bastonate, nei corridoi dell’USL, noi a abbaiare e inseguirli, e le suore a farci gli sgambetti. Ma da quelli che non abbiamo sbudellato, si vede che c’è stato tutto un parto di figli che ora, credimi, sono lì che si puliscono le ali e i coltellini per ricominciare.

Mi hanno svegliato l’altra notte coi loro fuochi e badili, e che non era un incanto l’ho capito dai danni che hanno combinato in casa, incendio e pompieri, rumori polizie e urli e dottori. Allora al CIM c’hanno provato a darmi le pasticche: dico ‘le pasticche no grazie’ dico.

Perché con le pasticche i draghi ci ridono su, e al massimo si fanno un sonnellino, ma se non la prendi tutti i giorni la pasticca, si svegliano prima o poi: coi coltellini e i fuochi.

Quelli lì bisogna che qualcuno trova il fegato di farli svegliare ben bene, altro che pasticche, e quando si son belli stirati e hanno preso catene e torce per scassinarti il cervello, devi farteli venire quasi addosso, e poi incominciare a sbudellare, a strozzare, a ghigliottinare. E dei tanti che ne abbiamo ammazzati là all’USL, tanti, si vede, si erano solo addormentati, che a loro le pasticche li addormentano e li ingrassano ma non li ammazzano, e poi eccoli tutti in fila, che per sgominarli non ci vogliono le pasticche, ma spade, coltellini, incendi, cani da caccia: e è con l’incendio, infatti, l’altra notte, che giuro che sette li ho kaput, e li ho visti che salivano su nel cielo con tanto di poverina giallastra: che è proprio così l’anima di drago mentre sale in cielo kaput.

 

 

pausa

 

CHISCIOTTE

 

(senza mai guardare negli occhi Sancio, ma come svolgendo a voce alta un pensiero solo suo)

Ha detto che ora basta.

Perché lei le palanche che aveva, fra interurbane, offerte libere, acque e francobolli, ce le ha messe tutte, e allora deve finire per forza, ora, coi diavoli i draghi le voci.

Che poi, quando salgo in casa è lì al telefono a far di sì con la testa, -a lei il progresso si vede che gli arriva un pezzo per volta, e in fondo in fondo ha l’idea che se ci parli devono averci anche un qualche modo per vederti-, e allora fa di sì (annuendo): ‘ho capito, ho capito, e come non ho capito?’

Però quando butta giù si sente come se non la vedono più, allora piano piano si mette a fare di no. No no no no con la testa, no no no no.

Si vede che qualche palanca dentro ai barattoli della cucina o in qualche posto segreto c’è restata, anche se dice che non ce n’è più: se continua a telefonargli ai preti e ai dottori, si vede che qualche palanca per le interurbane gli è avanzata.

Io faccio i gesti che gli porto la poltrona del tinello se deve starci tutto il giorno a telefonare, anziché stare tutta in punta sulla sedia di cucina, ma lei dice no, che tanto ora ha finito, di palanche per urbane e interurbane non ce n’è più, e ora sono tutti d’accordo, lì al telefono, che sono solo io che devo smetterla con tutti quei draghi e le voci.

 

SANCIO

La femmina è cattiva consigliera. Non sa fare altro che inseguirti per le stanze con le pasticche e i bicchieri dell’acqua in mano...

 

CHISCIOTTE

Sempre a muovere la testa, e ormai anche di notte mentre dorme fa i sì e i no, e fra sì e no parecchi più no che sì...

 

SANCIO

...A farsi spaccare i sopraccigli e farseli aggiustare, scucire e rappezzare, che ormai non sai più come andarci intorno, con i rammendi.

 

CHISCIOTTE

...A nascondere le palanche nei posti segreti, perché gli ci vogliono tutte per acque, francobolli e interurbane...

 

SANCIO

...E a dire Aiuto fra sé e sé mentre che ti viene dietro per le stanze con le pasticche e i bicchieri, Aiuto aiuto, a chiamare il dottore e a dire Aiuto, ma il dottore ci ha fatto Bye bye con la mano, che i ginocchi me li ripara se cado dai cornicioni, ma se non prendo le pasticche per il cervello mi fa Bye bye: e io le pasticche non le prendo, e allora mentre scendevo le scale dell’USL gliel’ho fatto io Bye bye, a quelli lì, e ho fatto Bye bye anche alle scale mentre scendevo, e alla statua di Padre Pio in fondo alle scale: lui benediceva con la mano di marmo e io gli facevo Bye bye, a lui e a tutta l’USL, Bye bye al Serenase e Bye bye al Surmontil e al Valium e a Padre Pio...

E lui lì fermo, a fare finta di benedire con la mano.

E dal sorrisetto lo vedevi che mi faceva Bye bye, Padre Pio: Bye bye anche lui. Bye bye, Bye bye.

 

 

 

PRIMO ATTO

 

 

DOVE SI RACCONTA IL MODO CURIOSO CON CUI DON CHISCIOTTE SI FECE ARMAR CAVALIERE

 

SANCIO

E adesso con quest’acqua di Bisagno marcia e cattiva, e piena di tutto quello che serve per attirare i nemici, come fa l’escremento per le mosche, ti armo Cavaliere errante dalla Triste Figura, sbudellatore e ghigliottinatore di draghi e negri, e benedico le armi con cui li massacrerai, e cioè speroni, colpi di code, cinquecento morsi, trentatre sgambetti e due naufragi. E risme di botte in testa da fargli schizzare il cervello ai calcagni, ganci da danneggiare gli organi interni, e uncini per uncinarli nelle parti molli, e tirare finché la pelle non viene via come una buccia di frutta.

 

CHISCIOTTE

 

(raccolto)

Come agnello in mezzo ai lupi.

 

SANCIO

E mezzo metro, mezzo metro,

macché musse e punture, musse e punture,

mezzo metro di spada, mezzo metro di spada forte nell’organismo, in mezzo all’organismo dell’essere mostruso, e kaput, così la finiamo.

 

CHISCIOTTE

Come agnelli, come agnelli in mezzo ai lupi.

 

SANCIO

E via andare, che stavolta ce lo faccio io Bye bye.

 

(musica ad accompagnare le parole dette come un canto)

E via andare andare andare andare.

Cavalieri a piedi, camminanti.

Viandanti, camminanti che se ne vanno via, e stavolta ce lo faccio io Bye bye, a quella lì coi sopraccigli rotti e i bicchieri e le pasticche in mano; e che glielo vadi a dire al dottore, tanto il dottore non la sente, il dottore a me e a lei ci ha detto Bye bye, ci ha fatto, Bye bye, c’ha fatto con la mano, che fra cucire sopraccigli a lei -che non sarebbe neanche il suo lavoro-, e tirare me giù dai cornicioni quando mi metto a abbaiare e farmi le punture di Largactil -che quello sì è il suo lavoro-, non ce n’ha più voglia, anche se è un mio mezzo parente, e dice che ora basta. L’altra volta è andato via e l’ho visto che dalla macchina faceva Bye bye, che tanto noi non sappiamo dargli nessuna soddisfazione, mai che gli facciamo una bella sorpresa, dice, e siamo sempre daccapo, lei coi sopraccigli rotti e io a abbaiare sui balconi.

 

 

(esaltato) Cavalieri andanti, e via andare...

Che se ti metti la pasticca fra lerfe e gengive e poi la sputi quando il dottore s’è voltato, i mostri non ci mettono niente a arrivare. E noi siamo qua, cavalieri di sventura, e abbiamo abbastanza unghie morsi e tristezze da levarli di mezzo una volta per tutte, i draghi...

 

(musica e parole sfumano in un rumore, come di trapano cupo e gigantesco)

 

 

 

 

BRILLANTE SUCCESSO OTTENUTO DAL VALOROSO DON CHISCIOTTE NELLA SPAVENTOSA AVVENTURA DEI MULINI A VENTO

 

SANCIO

La fortuna guida i nostri piedi. Ecco uno di quei giganti, e nemmeno dei più piccoli: intanto per cominciare.

 

CHISCIOTTE

Che gigante?

 

SANCIO

Avrai mica paura?

 

 

Inizia a staccarsi dal fondale un mastodontico cerchio rotante, che procede lentamente in direzione dei due, con sgradevolissimo rumore di ferraglia

 

CHISCIOTTE

Dov’è il gigante!?...

 

SANCIO

Attacca!

 

CHISCIOTTE

Non è che mi vuoi mandare a ammazzare?

 

SANCIO

Guardala!

 

CHISCIOTTE

Non è che vuoi che mi ammazzo e poi vai a dire a mia mamma che sei me, e ti fai dare tutte le palanche?

Tanto le palanche sono andate tutte via in interurbane.

 

SANCIO

Guardala, e dimmi che non è l’Orca del Sottosuolo.

Non è la prima, dio madonna, non è la prima che vedi!

 

 

CHISCIOTTE

Mi pare la talpa, a me: di quegli attrezzi che scavano i sottoterra per farci passare i treni.

 

SANCIO

C’hai i neuroni del cervello ubriachi di Serenase, Alonso benedetto, e il Serenase gocce nasconde tutto, lo dovresti sapere madonna di dio, che il Serenase se ci sono dieci negri col coltellino che ti sventrano tua mamma, ti fa vedere dieci ragionieri con la cravatta, dieci biondini del Folletto che spiegano l’ultimo modello: ma te lo devi sapere che sotto al Serenase gocce ci sono i negri dai coltellini.

 

CHISCIOTTE

A me mi pare la scavatrice, madonna di dio, mi pare la scavatrice dei sottoterra.

 

SANCIO

Perché c’hai il cervello rotto, benedetto Alonso, c’hai i neuroni del pensiero intasati dalle gocce, che sennò fai volare tutte le scrivanie dei dottori, e loro non c’hanno più voglia di star lì a tenerle ferme le scrivanie: ragion percui ti buttano il Largactil nei bracci e il Serenase nei neuroni del cervello, e tutta la società ha solo da guadagnare da uno così, che se i negri gli appezzano la donna lui gli compera l’aspirapolvere.

Guardala, guardala, l’orca delle budella della terra.

 

CHISCIOTTE

Mi pare la scavatrice, porca puttana!

 

SANCIO

Attacca!

 

CHISCIOTTE

 

(muovendosi vicino al mastodontico macchinario, per studiare il modo di attaccarlo)

Sono così drogato di gocce dei dottori che mi sembra una scavatrice, questa cazza di Orca!

 

(Alonso indugia per gli ultimi istanti, poi si butta all’attacco gridando)

Non sono venuto a mettere pace, ma spada!

 

(si appiccica alla grande ruota della talpa e prende a girare in tondo, come appeso alla pala di un mulino a vento)

 

SANCIO

 

(non appena Chisciotte comincia a girare)

Aaaaaaaahhhhhhhh!!!

 

(in un grido guerresco lunghissimo, privo di modulazioni, esaltato)

Buio

 

 

 

 

 

IL QUALE TRATTA DELLA CONDIZIONE E DELLE OCCUPAZIONI DEL FAMOSO GENTILUOMO DON CHISCIOTTE DELLA MANCIA

 

La talpa ora è ferma; Chisciotte è per terra, frullato e malridotto.

 

CHISCIOTTE

...E tutta la vita che c’è stata prima, sono rovine per terra: ora c’è solo quella nota, che prende tutto lo spazio ai quattro angoli. E se posso spiegarla questa nota, direi che è un tamburo gigantesco che rotola giù per una discesa che non finisce mai.

 

All’inizio ci furono questi fagioli fra le federe e il materasso, e queste corde di spago e queste cacchine di gatto, che com’è come non è erano finite lì. Così è arrivata l’Apocalisse: "E il cielo si ritrasse come una pergamena che si arrotola". E rimane questa nota: che si mangia il passato e il futuro, e allora non conta più niente, conta solo che, come implorano i re nascosti nelle rocce, le montagne ti cadano addosso.

 

Così comincia coi fagioli nel letto e con le parole che mi sono venute in bocca: che era la Bibbia, ha detto l’esperto. E va avanti con le acque, che le ho tutte numerate, sante e non, e a doverle pisciare fino all’ultima ci vorrebbero due giorni filati.

 

L’acqua numero uno è quella di Don Riccardo: un due tre, Padre Figlio Spirito. E via.

L’acqua numero due viene da un catino speciale di Ventimiglia.

Con l’acqua numero tre mia mamma mi ci fa gli impacchi in testa nel mentre che dice il rosario.

Nell’acqua numero cinque ci aveva benedetto il fazzoletto che mi ha nascosto nella federa insieme alla reliquia del santo, ma io li trovo subito, neanche che era il pisello della principessa sul pisello, dieci centimetri di reliquia!...

L’acqua sei mi cola in testa e nei capelli quando mi sveglio di soprassalto, ecco perché mi sognavo dell’incidente e delle lamiere incastrate e del sangue che mi usciva dalla fronte.

L’acqua sette me l’ha tutta sparsa per la camera, dice che non è niente, dice, ma io dico ‘Qua siamo a Venezia’; ‘Ci sarà una perdita -dice- non ci fare caso’; ‘Una perdita una pippa -dico-, c’ho le ciabatte zuppe, c’ho i piedi che mi cominciano a andare in muffa -dico-, la perdita sarà quella della pazienza’, e infatti vado di là e che perdo la pazienza te ne accorgi subito dal tavolo rovesciato e dai vetri rotti.

L’acqua nove è gelata: serve per invertire le energie una doccia bella lunga sotto l’acqua gelata, due volte al giorno; al minimo.

Il prete numero quattro viene a casa a dire la messa, mia mamma là in ginocchio, lui a benedire e a fare scialo di acqua della numero dieci, e a me mi viene da immaginarmi i canali e le gondole fra il corridoio e il tinello, così le preghiere le dico con tanto di faccia triste e ginocchia a bagno sul pavimento, ma mi viene da dirle in Venesiàn, tutte le preghiere in dialeto venesiàn, così la messa finisce presto, perché mi soffoco dalle risate e mi devono portare a letto per le convulsioni da risata venesiana.

Benedetti i deserti e le siccità, quella lì delle acque ne porta a valigiate delle migliori, e un giorno dico ‘O la va o la spacca’, e dentro una bottiglia da un litro di un’acqua santa mondiale ci metto l’EN e il Serenase. Quando mi fanno vomitare sono sicuro che sputo via tutti i diavoli che c’avevo nello stomaco, infatti sto meglio, ma la domenica in chiesa da dietro l’altare sbuca la bestia con le bestemmie scritte sulle corna, e il diavolo m’ingrandisce gli occhi per leggerle e la voce per bestemmiare, e le tempie proprio apposta per gli elettroshock.

L’acqua sedici l’ho vista per foto. Per essere precisi, l’ha vista la mia foto, perché l’esorcista messicano sembra che non poteva venire di persona, siccome c’aveva il processo e fra parentesi sembra che poi l’hanno condannato: ma con la foto e l’offerta libera spedita nella busta si poteva fare qualcosa. Non so se il qualcosa sono stati i visi dei sette santi che la settimana dopo ho girato verso la parete, per respirare almeno un po’, sette santi in camera a non perdermi d’occhio nemmeno un secondo, mentre io sto a fare lo spettacolo di sudori bestemmie e rosari, pianti e pippe, un po’ di respiro!... Era l’esorcismo indiretto, e almeno l’acqua sedici io me la sono scampata, se non la mia fotografia.

L’acqua venti se l’è presa in testa qualcun altro, perché l’ho tirata via dalle mani di mia mamma e l’ho buttata giù alla finestra: così abbiamo benedetto un po’ di marciapiede e un cappello marròn, e a giudicare dalle bestemmie che sono arrivate fino a su da quel cappello, o era un’acqua poco efficace o era un’acqua con effetto ritardato.

Deve essere saltato fuori qualche grossista, di quelli che servono i Vaticani, che per spegnermi il fuoco del diavolo mia mamma ha cominciato a tirarmene a secchiate: in casa vengon su le alghe e c’è un via vai di gondole, ormai, di plancton e souvenir e tedeschi con le macchine fotografiche, e gli inquilini di sotto convocano le riunioni di condominio perché c’hanno l’umido, nel soffitto, ma mia mamma non fa entrare in casa nessuno.

Lei quando non spegne gli incendi sta nel tinello a fare i sì e i no con la testa: ce l’ha con quelli là del telefono che ora ne dicono una e ora ne dicono un’altra, e insomma ne dicono troppe per darci retta. Così quella crista sta lì appiccicata alla sedia del tinello a far di sì e di no al telefono, e più che sì e no è finita che sono qualcosa a metà, fra sì e no, che vuol dire ‘Aiuto’, vuol dire, vuol dire ‘Non so più cosa devo fare’, e è l’ultima stazione dei disgraziati, la sedicesima, dopo la croce, dopo i sì e i no.

Buio

 

 

 

 

DOVE SI RACCONTA QUEL CHE SUCCESSE A DON CHISCIOTTE QUANDO ANDO’ A TROVARE MADONNA DULCINEA DEL TOBOSO

alle 13, attraversando Via del Campo

 

Fra le voci dei negozianti che si salutano e chiudono le saracinesche, e musiche e tamburi che s’intrecciano sommessamente

 

SANCIO

E ce l’hai la innamorata?

 

CHISCIOTTE

Si chiama Alda.

 

 

 

SANCIO

Ne conoscevo una, che si chiamava Alda. Lì a Vico San Nicola: ci abitavo prima di andare a Marassi. Avrà quindici anni, ora, questa Alda.

 

CHISCIOTTE

E ci hai parlato con questa Alda? Com’è fatta... sotto i fianchi? e la voce come ce l’ha, e il profumo, a starci vicino?...

 

SANCIO

Per la verità, per quello che mi pare nel ricordo, mandava più che altro una certa puzzina forte. Sapeva sempre un po’ parecchio di ACE: si vede che gli era restato addosso, dàllo oggi e dàllo domani, su tutti quei pavimenti di piazza Ferrari.

Alle prime albe, prima che apre, lei passa l’ACE nella Banca Commerciale, e se quando entri a fare le operazioni bancarie o commerciali vedi tutto quel pulito sui pavimenti, è per lei.

Lei praticamente c’è cresciuta con l’ACE, dice che ci si è trovata bene.

Però, a forza di passarlo sui pavimenti delle banche e degli uffici, gli si è attaccato addosso l’ACE, che quando stai lì a parlarci con lei, del suo lavoro, dei pavimenti, dell’ACE eccetra, è facile che ti distrai, perché ti metti a pensare che non ci crederesti se te lo raccontano, che da una ninina così piccola può dar fuori tutta quella gran ventata d’odore.

Bisognerebbe non respirare, e comunque prendere fiato dalla bocca, anche se poi non lo so se può debilitarti l’organismo, respirare con la bocca tutto quell’ACE.

Per le gambe, dai fianchi in giù, quelle ce le ha più dritte che storte, e un po’ più corte che lunghe; e di voce ce ne ha abbastanza da farsi sentire, metti il caso che deve andare al negozio a comprare uno strofinaccio, metti caso, o dell’ACE; e se non mi ricordo male, è una voce che suona bene.

Alda. Aldonza, la chiamano.

 

CHISCIOTTE

Una voce dolce?

 

SANCIO

Dolce.

 

CHISCIOTTE

Infatti Dulcinea la chiamo fra me e me, quando la vedo dalla mia finestra.

Quando stavo male passavo tutto il giorno in camera a vedere Videomusic. La tele l’avevo messa vicino alla finestra, così se lei usciva sulla terrazza io ero lì in posizione per vederla.

Hai fatto caso che quando stai male, o non riesci nemmeno a pensarci, o vivi solo che per fartene, di pippe. E io, di quei tempi, come pippe potevano mettermi nelle enciclopedie.

Così ero pronto per tutte le volte che usciva sul balcone, perché lei l’ACE lo tiene là fuori, e bisognava tenere sempre il belino all’erta, così nel tempo che lei esce a prendere l’ACE o a rimetterlo a posto, vieni mentre che la guardi, ma è un attimo, quanto credi che ci vuole a prendere l’ACE? E deve essere quell’attimo lì, e non uno o due dopo, che magari poi per sbaglio ti esce in balcone suo fratello o sua nonna, e allora hai fatto il patatrac.

 

SANCIO

Dulcinea.

 

CHISCIOTTE

Dulcinea.

Buio. Musica

 

 

 

 

DIVERTENTE CONVERSAZIONE FRA DON CHISCIOTTE E SANCIO PANZA SUO SCUDIERO

 

SANCIO

Dice che è per via di ‘sto seme scioperato.

Dice che è perché c’ho il seme andato a male: che è mezzo drogato di punture e c’ha le tare bipolari.

Ma è lei che corre a sterilizzarsela con l’acqua santa, si fa i bidet d’acqua benedetta, e funziona quest’acqua santa.

E’ che l’erede non lo vuole: ha paura che gli schizza giù dalla pancia coi sopraccigli già rotti e i coltellini in mano, e che deve cominciare subito a inseguirlo col bicchiere dell’acqua e la pasticca, e lei di andare dietro alla gente coi bicchieri non ce n’ha più voglia.

Così si finisce senza erede, né rotto né aggiustato.

 

CHISCIOTTE

Ci sarrebbero le banche della Svizzera.

Ma per la gente con le disgrazie nel cervello non ce le hanno le fialette. Gli suonano male laggiù punture e pasticche, son gente difficile.

C’hanno i frigoriferi pieni delle fiale, ma di chi ha passato le analisi.

Ci vuole l’esame perché te lo mettano nelle fialette.

Hanno i criteri speciali. Hanno gli addetti che ti mettono il camice e ti portano nelle loro stanze igieniche color verde dottore. Ci pensano loro: non te lo fanno nemmeno sfiorare con le tue mani, l’uccello. Perché c’è l’addetto che ci pensa: è lui che sa il criterio, per scrollartelo.

 

SANCIO

E se per caso me lo voglio scrollare da solo, la fialetta non me la dànno?

 

CHISCIOTTE

Ci vuole il criterio, e te il criterio non puoi avercelo.

Ce l’hanno gli addetti, il criterio, perché lo fanno di lavoro.

 

SANCIO

Se non faccio da solo, con il criterio mio, nelle fialette non mi ce lo mettono.

Il prete chiamano, altro che frigorifero, il prete protestante con la croce chiamano, gli addetti svizzeri.

 

CHISCIOTTE

Se non sai il criterio non puoi fare da te. Lo sanno loro il criterio.

 

SANCIO

Devo fare da me, col criterio mio, che sennò ti vanno a chiamare il prete svizzero protestante, gli addetti alle pippe: che me lo sentono gridare nel mentre che esce. Che dagli orchi e i marciumi e i patimenti che c’ha dentro grida, ‘sto seme minchione.

E allora vedi se me lo mettono nella fialetta, o se fanno venire il prete svizzero protestante con le croci e le acque benedette.

Mi ci vuole solo una fialetta, e poi al resto ci penso io, a darmici una scrollatina dentro con il criterio mio, e a metterla nel frigorifero insieme alle altre senza che se ne accorge nessuno.

L’indomani arriva la femmina davanti al frigorifero e se non c’ho proprio la sfortuna addosso, se lo porta a casa nella fialetta, ‘sto ninino benedetto. L’erede.

 

E così non si sparisce senza aver lasciato niente.

 

 

 

 

 

GENOVA

 

Attraversando i carruggi della città, la musica è prevalentemente quella negra delle percussioni. Il suo ritmo sostenuto contagia quello delle parole di Sancio e Chisciotte: veloci e sincopate.

 

SANCIO

Guarda, guarda in giro.

Chi credi che li ha...?

Chi credi che li ha scoperti?

Noi. Li abbiamo scoperti. A furia di palanche, di venti minchioni e di caravelle.

E questo è il ringraziamento.

Eccoli lì.

Branchi di negri non c’è altro che branchi di negri.

Ormai si sentono che la città è loro. E è loro, ah, se è loro.

Noi, li abbiamo scoperti, e per ringraziamento ci vengono a colonizzare.

A sporcare. A ritinteggiare: tutti i muri e tutte le strade, che dove si appoggiano, se ci fai caso, ci rimane il segno, con tutto quel nero che c’hanno addosso...

 

CHISCIOTTE

Perché è il tempo finale, dove gli empi camminano secondo le loro concupiscenze: gente sensuale che non ha spirito. Di loro dobbiamo avere pietà.

E. (smarrendosi, preso da quel che vede -o immagina- intorno a sé)

(riprende sicuro) Pietà mista a timore. E odiare financo la veste macchiata dalla loro carne.

 

(trasognato) Nuvole senz’acqua portate qua e là dai venti.

Stelle erranti a cui è riservata la caligine. Delle tenebre.

Guai a te, città corrotta, perché se a Tiro e Sidone fossero state fatte le opere potenti compiute fra voi, già anticamente si sarebbero ravvedute, con il cilicio e con la cenere. Nel giorno del giudizio la sorte di Tiro e Sidone sarà più tollerabile della tua, e tu sarai abbassata fino all’Ades! Dov’è pianto e stridore... (di nuovo si smarrisce)

 

SANCIO

 

(cercando di soccorrere come può l’amico incantato)

...E puzza di piscio e di focaccia al formaggio. Couscous al pesto. E merda di elefanti sui carruggi.

Dopodomani qua è tutto un negraio. Lo sai cosa vuol dire? Vuol dire milioni di negri a lavare i vetri. E nemmeno una macchina. E a chi lo lavano il vetro, tutti ‘sti marocchini, se non c’è più manco una macchina?

Staranno a farsi gli sciampi fra loro, ai semafori. A attaccarsi a saponate negli occhi. A frustarsi nei vicoli con gli spazzoloni.

E noi a arrampicarci ancora più su, come se non fosse già assai, ancora più lontano dal mare, a aggiungere i pioli alle scale, a piantare gli orti a precipizio.

E i carruggi, qua, casbe, bazar.

 

Ma io ce l’ho con quei figli di puttane di banchieri e di regine e di marinai che ci si son messi d’impegno per scoprirli.

Il mare è un elemento estraneo all’uomo. Il mare è fatto per i pesci. E lo vedi il risultato. Butti le navi in mare, e quando ritornano eccotele cariche di questo bel bottino, questa piovra gigante di gambe e braccia negre in moto perpetuo per i carruggi e i moli.

E ora non ci resta che da mischiarci.

Infilzare musse nere come pozzi di petrolio.

E far diluviare sulle pance bianche delle femmine fiumi di seme negro.

Che intanto i bastimenti ne portano da levarsi la voglia, a container pieni, i bastimenti ci si sfondano le nasse, a furia di pescato negro.

 

(sfumando nella musica che cresce)

E mischiamoci, e mischiamoci...

Buio e musica

 

 

 

 

 

DOVE SI CONTINUA A RACCONTARE LE GENTILI IMPRESE CHE IN QUALITA’ D’INNAMORATO FECE DON CHISCIOTTE FECE NELLA SIERRA MORENA

ore 22: Spianata Castelletto

 

La musica di tango evoca una pista da ballo, le cui dame belle e accaldate Sancio e Chisciotte si mettono a guardare sognanti, rapiti.

 

SANCIO

Alonso, sognante, davanti alla mussa.

 

Ti piacerebbe farci due giretti di ballo con qualche femmina di quelle?

 

CHISCIOTTE

 

(dopo una pausa. Facendo di no col capo)

Io c’ho Dulcinea.

 

(pausa)

E poi di scompagnate non ce n’è.

 

SANCIO

Conosco le maniere, io.

 

(fa delle giravolte di ballo, portandosi al "centro della pista". E bevendo a garganella dalla bottiglia di vino: dando gli ultimi colpi alla sua sbronza.

Un profondo inchino all’"invisibile" dama.

E’ incerto, le parole tentennanti; accentua in particolare quelle più "esotiche" per il suo vocabolario -le dotte e le galanti- che suonano così in bocca sua davvero grottesche.

Ma parlerà sempre più spedito e sciolto, in un crescente delirio logorroico)

Lorsignora permettete, il mio giovane amico è inesperto di galanterie, e desidererebbe assai... incrociare i suoi passi di danza con i vostri, e è per questo che io, il suo scudiero, vi porto tale ambascia, se gradireste...

 

 

(Si allontana prostrandosi, camminando all’indietro per non dare le spalle alla donna che evidentemente ha appena rifiutato l’invito. Finché qualcosa come una spallata di un invisibile ballerino spezza il suo ossequioso arretrare raddrizzandogli la schiena e facendolo ruotare su di sé, nella parodia di qualche giravolta tanghesca.

Eccolo inchinarsi, un po’ meno servilmente di prima, di fronte a un’altra "dama")

Illustrissima dama di questa pista di ballo, sono l’emissario di un giovine timido ma di bell’aspetto, uno di quei sognanti che amano la femmina e la mirerebbero per anni senza il coraggio di presentarsi, e di ritorno a casa è tutto un piangerci su dal rimpianto e un commuoversi dall’emozione, e un debilitarsi l’organismo a furia di lacrime e pippe. Se lei sarebbe così gentile da...

 

(Rifiuto della donna e dietrofront di Sancio, col solito inchino in retromarcia.

 

Continuano entrambi a bere, e fantasia e realtà si confondono, anche per lo spettatore, immerso nel loro delirio, che consente a Sancio e a Chisciotte di pronunciare -o d’immaginare di pronunciare- parole che neanche conoscono...)

Gentile signora che mi guarda con occhi vispi, non sarò io stasera, purtroppo per me, il suo compagno di sudori e mugolii, ma il giovine che vede laggiù, il quale mi ha pregato di...

Addio.

 

(Idem: dietrofront)

 

Bella donna dallo sguardo intenso e dalle mani massacrate dal tempo, in quest’ora ormai avanzata della sera giunge per voi la salvezza insperata, perché incantato dalla malinconia straziante dei vostri occhi il mio pupillo ha scelto voi, per mettere fine alla sua castità.

 

(Idem)

 

Femmina tanghera che non ti sei fermata un attimo da un ballerino a quell’altro per ubriacare la tua vogliaccia. Siccome vedo che nessuno ti sopporta oltre il primo ballo, mi dico che devi essere affetta da un qualche grave difetto. E poiché nel supplizio dell’ultima ora sono rimasti com’è naturale solo i peggiori, ti propongo di avvicinarti al mio giovane amico: per terminare così la tua furibonda ricerca di chi sia molto più che di bocca buona.

 

CHISCIOTTE

Orrenda femmina che siete rimasta sola sulla pista, mentre le coppie che il tango stasera ha creato ormai bagnano i sedili reclinati delle loro Alfe Romeo coi sudori del secondo orgasmo, il vostro difetto è troppo sciagurato per trovare occhi talmente minchioni da trascurarlo...

 

SANCIO

 

(avvicinandosi a Chisciotte per rivolgersi alla medesima dama)

...Ma stasera questo bellissimo vergine ha posato il suo sguardo ammattito sulle vostre dis...grazie, e non vuol sentire ragioni, e solo per mezzo del vostro corpo indecente è intenzionato a diventare uomo.

 

CHISCIOTTE

 

(le parole cominciano pian piano a sfumare sotto il volume crescente del tango)

Femmina cana, servendosi dei tratti del vostro corpo privi di qualsiasi ordine e armonia, Dio comunica agli uomini la propria inesistenza... (inginocchiandosi)

 

SANCIO

...E non so perché proprio a voi questo bellissimo vergine sta affidando la sua...

 

 

Volume e ritmo del tango sono cresciuti di pari passo con l’intensità delle battute.

Il finale coincide con l’acme di musica e parole. Che terminano esattamente insieme.

Immediatamente dopo, BUIO.

 

Al riaccendersi delle luci, nel silenzio, Sancio e Chisciotte ballano. Si sente solo il fruscio dei loro vestiti.

 

Quindi, sul loro ballo muto, salgono le note del "Bel Danubio blu", e quello fra Sancio e Chisciotte diventa un ballo quasi violento, furioso.

Al termine del quale, come sfiniti, restano appoggiati, in piedi, l’uno all’altro. Come sacchi mezzo vuoti che si tengono su reciprocamente. Staranno in quest’identica posizione -ciascuno col capo sulla spalla dell’altro- fino alla fine della scena.

 

SANCIO

 

(con calma assoluta, senza un filo di rabbia, ma semmai con tono paterno)

Non è che...

 

CHISCIOTTE

 

(dopo una pausa)

No.

 

SANCIO

Mi è sembrato...

 

CHISCIOTTE

No.

No...

 

SANCIO

Eppure ci scommetterei... (con immutata calma) Cretino testone, testa cretina che sei, che ti porto in giro da stamattina e c’avevo la serpe nel grembo, serpe dalla testa cretina che non riconosce la femmina dal maschio, cretino di testone che fa come i cani, che gli basta una gamba, di femmina o di maschio o di tavolo o di carega, ‘ste teste bulicce di cani finocchi, che cominciano a volersela becciare.

 

CHISCIOTTE

 

(con la stessa calma di Sancio)

No.

 

SANCIO

L’ho sentito bestia testona, ma testa di bestia buliccia non mi vedi che le femmine sono diverse?

 

CHISCIOTTE

Ce l’avevo così da prima, da quando le stavo a guardare. Bastava un pochino di pazienza dio mio bastava. Ma non ce ne hai di pazienza, ti conosco che non ce l’hai neanche un minuto di pazienza, di aspettare che il pensiero della femmina mi va via da tutto il corpo.

Buio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SECONDO ATTO

 

 

LABIRINTI E NAUFRAGI DI SANCIO E ALONSO

ore 2,00: Porta Siberia

 

SANCIO

E qua dove siamo?

 

CHISCIOTTE

Lo chiedi a me?

 

SANCIO

Ci sono nato da queste parti, o qua intorno, ma non lo so più da che parte si passa per arrivare... in quei posti dove si vuole andare. Dov’è il ponente e dov’è il levante; sinistra e destra è tutto un labirinto, madonna mia, un labirinto garantito, potresti starci un anno a girare tre strade e ricominciare ogni ora daccapo, a girare in tondo senza sapere niente di dove sei, strette e buie, salita e discesa, e non trovare più il bandolo, e farci naufragio. (la circolarità ripetitiva delle frasi e del groviglio dei vicoli è la stessa dei labirinti della loro mente) Quando a poterti alzare di dieci metri vedresti tutta la mappa dell’intrico: a salire un po’, tutte le vie giuste. Un labirinto, madonna mia, un circolo vizioso, cristo dio, un girare intorno senza arrivare, un incarognirsi sulle stesse tre strade buie senza uscire mai fuori, e fare naufragio, alla fine, in un angolo vicino a un portone da dove esce una nota sempre quella nota minchiona.

Arrancare in tondo per questa città faticosa, salire e scendere senza sapere dove sei, senza un segnale, un fischio di bastimento che ti orienta; o il bianco per aria di un controvelaccio: troppo in basso anche per intravedere il riflesso della lanterna, o il vapore del fumaiolo.

 

CHISCIOTTE

O per sentire lo sferraglìo del tramvia a cremagliera che ti dice dov’è che si sale al monte.

O gli schioppi d’incendio di qualche battaglia navale, di un fasciame infuocato alla deriva, o il tonfo di un pennone che si schianta sull’acqua, e i fiotti del mare che spalanca le falle e si porta dietro un terremoto di pesci capovolti e alghe attorcigliate.

 

SANCIO

Allora vedi io potrei fermarmi qui. Sarei il rinoceronte bianco, l’ultimo della terra.

Senza discendenti fermarmi in questo angolo e estinguermi.

Io sono l’ultimo rinoceronte. Sto fermo in un posto a caso senza sapere nemmeno chi sono.

Poi c’è una specie di risveglio. Avanzo di due passi. E mi incaglio di nuovo e mi riaddormento. Proprio lì da dov’ero partito.

 

CHISCIOTTE

Anch’io mi fermo. Mi addormento così tanto che i negri mi fanno a tocchetti senza che mi sveglio, e dànno ai topi, sulle punte dei coltellini, un pezzo dopo l’altro di me.

Tanto io sono in fondo al mare. E mentre i fasciami incendiati corrono alla deriva sulle onde cattive, io ballo con la polena sul fondale, e sto incantato, lento lento, con il braccio intorno alla sua schiena.

 

 

Un mormorio indefinibile -il placido suono di fondale sottomarino?-

Sancio e Chisciotte vi si abbandonano sognanti.

 

Il volume del suono cresce. E cambia di qualità.

Trasformandosi in un rumore d’inferno.

 

Sancio e Chisciotte ascoltano muti, sempre più spaventati.

 

 

 

 

INAUDITA E MAI PIÙ’ VISTA AVVENTURA, CONDOTTA A TERMINE DAL VALOROSO DON CHISCIOTTE DELLA MANCIA, CON MOLTO MINOR PERICOLO CHE NON NE ABBIA MAI CORSO IN SIMILI CONGIUNTURE CAVALIERE FAMOSO NEL MONDO

 

Il rumore ora è un ibrido terrorizzante fra lamiere che s’intrecciano e miagolii e ragli di bestie disperate. Infine Chisciotte si fa coraggio.

 

CHISCIOTTE

 

(gridando)

Sono Alonso dalla Figura Triste, camminante di ventura!

Fatevi avanti, diavoli!

 

 

Il rumore continua a intensificarsi. Impotenti, Sancio e Chisciotte si abbracciano, cercando protezione l’uno nell’altro. Mentre questo suono misterioso e angosciante è un’aggressione insostenibile.

 

CHISCIOTTE

 

(il viso rivolto verso il cielo)

Dio ascoltaci, poiché sta scritto "Se due di voi sulla terra s’accordano a domandare una cosa qualsiasi quella sarà loro concessa dal Padre che è al Cielo". Allora soccorrici contro questi mostri, e aiutaci a cacciarli!

 

SANCIO

E aiuta e sostieni i nostri organismi debilitati dalle tristezze e dai farmaci e dalle pippe, dalle legnate e dalle punture, dalle notti nei porti e dai dottori dell’USL.

 

CHISCIOTTE

Noi che ci siamo opposti all’ingiustizia e al male...

 

SANCIO

...Ma non per superbia: noi che non abbiamo avuto né forza né testa per fare ingiustizie e mali.

 

CHISCIOTTE

Noi che abbiamo vissuto in continenza sessuale e non ci siamo contaminati con la carne della femmina...

 

SANCIO

...Noi che ci siamo squartati inguini cazzo e budella a suon di pippe, che la femmina a noi non ci ha mai visto troppo bene, anzi ci ha sempre guardato di traverso, anche se era una femmina ch’era meglio perderla che trovarla.

 

CHISCIOTTE

Noi che non abbiamo ammazzato...

 

SANCIO

...Perché i coltellini a serramanico si sono inceppati quando eran da usare, o qualche negrone con un calcio ce li ha fatti finire in un tombino, ottantamila franchi di frosone originale d’acciaio inox nei tombini, negri maledetti, o nell’acqua del Caricamento.

 

CHISCIOTTE

Noi che non abbiamo mai rubato, e se l’abbiamo fatto ce ne siamo pentiti, perché chi li rubava sei pacchetti di Nazionali semplici sapendo di farsi annegare di calci dal tabacchino di Vico Santa Maria, e ce ne siamo pentiti quando il fruttarolo di Vicolo Speranza ci ha chiuso i bracci nella sarcinesca come la gogna, per farci piangere mentre la gente passava e guardava, le vecchie con le sporte piene e i piedi microscopici che facevano tic tic tic veloce veloce per non sentir piangere.

Per tre mele da due e due, nemmeno la Golden da quattromila franchi.

 

SANCIO

...E per qualche aradio delle macchine, ma poche, che quella volta mi hanno inseguito il babbo e il figlio e poi anche i passanti, tutti a abbaiare e a rincorrere, che l’unica cosa da fare è stato mettersi sdraiato sotto una macchina come un gatto, e questi fino al tramonto a dire ‘Esci di lì sotto che ti anneghiamo di botte’, e non era per l’aradio Pioneer, che quella l’avevo mollata subito, era per stare tutti lì intorno, e io vedevo i piedi e i musi di chi c’aveva voglia di sporcarsi i pantaloni e le mani per mettersi in ginocchio a abbaiarmi, e c’era quello che cercava il padrone della macchina per fargliela spostare, e quello che la voleva rovesciare a mano, e chi voleva tirarmi fuori coi bastoni o le scope, ma di bastoni lì non ce n’erano. E da quando se ne sono andati via, alla sera, io ci sono rimasto un’altra ora là sotto, tante volte mi volevano fare lo scherzo di andar via e invece erano sempre là nascosti...

 

CHISCIOTTE

Noi che non abbiamo nominato il tuo nome invano...

 

 

SANCIO

...Ma solo le volte che c’era bisogno, e ce n’era bisogno di nominare il tuo nome, di metterselo sotto i piedi quando c’erano quelle notti di cacce, di guardie, di negri, di diavoli e di dottori, se ce n’era bisogno, di squassarlo il tuo nome.

 

CHISCIOTTE

Noi che abbiamo onorato il padre, chiunque sia stato, se mai per caso un giorno l’abbiamo incrociato per qualche strada, ma è difficile perché dice che sta lontano, dice che a Brignole non s’è più fatto vedere.

 

SANCIO

Per santificare le feste non c’è problema, che nemmeno gli altri giorno abbiamo mai lavorato troppo, perché all’Italsider c’erano sempre i problemi con me, dice, e allora è meglio la pensione d’invalidità; e per il santificare poi basta chiedere a Padre Mario, di tutte le volte che ci sono andato a prendere i minestroni alla parrocchia.

 

CHISCIOTTE

Noi che siamo andati al contrario di tutti gli altri...

 

SANCIO

...Ma non per cattiveria o anarchia, ma solo per il non capire bene qual era quella giusta, delle strade.

Noi che non usiamo anticontraccettivi profilattici preservativi e né goldoni, come vuole la religione, che le poche volte che alla notte una femmina ci allarga le cosce, per sbaglio o per ubriacatura o per troppa tristezza, non ci viene nemmeno in mente di prendere il goldone.

 

E allora aiutaci Dio, noi che abbiamo sempre bestemmiato di queste preghiere infinite che sotto i terrazzi ti fan prendere le secchiate d’acqua; e aiutaci per questa preghiera così lunga e urlata, che se hai sentimento deve farti venire la pelle d’oca, e tiraci via da qui, se hai sentimento, o fai venire subito l’alba, o ammazza questi mostri e cani e somari nascosti, che tanto a noi che tanto a noi non ci riesce di fargli nemmeno il solletico.

 

 

Attendono di essere esauditi. Ma il frastuono mostruoso non scema.

 

CHISCIOTTE

Dio!

Dio!

Perché ci hai abbandonato?!

 

L’alba.

S’illumina appena, nella tenue luce del primo chiarore, la fonte dell’orrendo frastuono.

Chisciotte e Sancio le si avvicinano titubanti.

 

E’ la grande lama diamantata di una segheria, che sta tagliando un poderoso blocco di marmo.

Sancio e Chisciotte la scrutano, accorgendosi via via che è un oggetto innocuo.

Così si guardano un po’, vergognandosi della scena appena recitata; un po’ osservano l’oggetto sempre meno misterioso. Un po’ sorridono di sollievo.

Infine ridono, una risata matta e gioiosa.

Una risata folle che diventa per le nostre orecchie più inquietante e angosciosa di quanto non lo sia appena stato il rumore della "macchina".

 

La risata sfuma nella musica e nel buio.

 

 

 

 

 

 

 

SI CONTINUANO A NARRARE GLI INNUMEREVOLI TRAVAGLI CHE IL FIERO DON CHISCIOTTE COL SUO BUON SCUDIERO SANCIO PANSA EBBE A SOFFRIRE

ore 6,00. Piazza Caricamento

 

SANCIO

Eccoli, alle prime albe, usciti salvi dall’avventura, Sancio e Alonso dalla Figura Triste: a balenare nel Caricamento. Camminanti di sventura: a traballare come camalli carichi, come somari davanti al mare.

 

 

(con entusiasmo che smentisce paradossalmente il senso stesso delle sue parole)

E via andare, cavalieri appiedati, cavalieri andanti, camminanti a buon mercato.

Cavalieri erranti.

Cavalieri sbaglianti.

Erranti,

così tanto erranti che vien quasi da piangere quasi dagli errori, vien quasi da bestemmiare quasi.

 

 

Compare un’altalena vertiginosa, alta fino al profondissimo soffitto.

 

Eccola l’altalena, dove i figli volano, davanti al mare, e se si dànno lo slancio bene in alto vedono dall’altra parte: altro che Arbatax, fino all’Africa.

 

E via andare,

bere e camminare e sbagliare.

Cavalieri erranti: che di tutte le strade prendono quelle sbagliate. Che la mappa la guardano sempre alla rovescia, se ce l’hanno mai avuta.

Erranti: che ci sbagliamo andando, ci sbagliamo di dove andare, un passo un errore, un errore a passo.

 

Si ingrigiscono le nuvole, ci si ammassano sulle teste e si ingrigiscono quando mettiamo i passi uno dietro l’altro, perché li sanno già prima gli sbagli, bella forza da lassù; ma noi incastrati nei vicoli neri siamo troppo in basso per capire le vie giuste.

 

 

Chisciotte sale in piedi sull’altalena e cominicia a dondolare. Guarda davanti a sé, un po’ verso l’alto: lo sguardo fisso, forse verso le nuvole descritte da Sancio, forse verso un nemico invisibile in mezzo all’aria.

La musica "descrive" le parole di Sancio.

 

Le senti? con quella musicaccia di lamiere che s’intrecciano, e poi di fisarmoniche che cadono dal cielo coi mantici che sbuffano quel suono là d’aria e di congegni, e di altri strumenti che precipitano, chitarre e pianoforti che rotolano giù dal cielo, e la loro musica è di attriti fra legno e atmosfera, di rotolamenti e colpi di vento contro casse armoniche.

 

 

Chisciotte aumenta lievemente l’intensità del dondolio e mena un colpo all’invisibile nemico, incombente là per aria.

 

Niente, niente, non c’è niente.

 

(un po’ scherzoso)

E con la fortuna che c’abbiamo, vengono a fracassarcisi sulla testa: a me e a te. E con la fortuna che c’ho, a me mi capitano i pianoforti, i pianoforti giù come comete nere tutti sulla mia testa, con la fortuna che c’ho, giù dal cielo con tanto di sei metri di sei metri di coda.

E a te qualche flauto dolce, o due o tre mandolini in croce.

 

 

Chisciotte mena qualche colpo rado e non violentissimo; e schiva occasionali fendenti del nemico: è ancora una fase di studio fra i "contendenti"

 

Niente, non c’è niente.

 

 

Chisciotte lancia un grido di battaglia e comincia a brandire le braccia, come armi che percuotono diavoli e fantasmi, localizzati proprio davanti a lui, là nell’aria trasparente

 

C’è solo il farsi male. C’è solo l’esser nati disgraziati.

 

CHISCIOTTE

 

(a Sancio)

Ti tiri indietro...

 

SANCIO

 

(con crescente scoramento)

C’è solo l’avere qualche stanza disabitata là all’ultimo piano. C’è solo le botte e le punture prese e da pigliare.

 

CHISCIOTTE

 

(a Sancio, mentre lotta con sempre maggior intensità)

Vigliacco d’un vigliacco...

 

SANCIO

C’è solo il dimagrire la madre dalla pena.

 

CHISCIOTTE

Hai troppa paura di liberare i cani neri...

Ti fa paura lasciarli arrivare e vedere che non arriva nessuno...

 

SANCIO

Preciso: nessuno e niente! Solo la fame e le botte, solo i sopraccigli della moglie spaccati nelle guerre con i draghi invisibili.

 

 

CHISCIOTTE

Hai paura che alla fine intorno si muovano solo le ombre dei rami e dei cani; e che di questo sbatacchiamento di rami nelle burrasche e abbaiate di cani, il cervello matto faccia il suo teatrino pauroso per il minchione che gli dà retta; e che di tutti questi negri diavoli e somari ci sia nella realtà solo qualche cosa morta mossa dal vento...

 

SANCIO

Perché ti sto a ascoltare, che non capisco nemmeno cosa dici?

 

CHISCIOTTE

 

(nella furia di una battaglia che è diventata violentissima, si dondola con grande intensità, punta in alto verso i nemici i suoi occhi e le sue armi immaginarie, spranghe e spade, colpisce e schiva)

...E allora sappi Sancio sappi che non è così, che dietro tutti gli scenari c’è la furia dei diavoli, c’è il mondo in mano ai mostri; che le femmine cane possono portarti il caffè a letto come mogli, ma sotto sono femmine cane mostre.

C’è solo l’uomo che vuole sopravvivere, e ci sono le medicine che gli uomini ciechi dànno a quelli che ci vedono, per accecarli. E io ti dico Sancio, ti giuro che io ora i mostri ce li ho davanti con la loro puzza immonda, e li batto in testa, e forse ora mi riesce anche di ricacciarli tutti via, nel loro sottoterra...

 

SANCIO

Tanto non ti sto a sentire, che non so nemmeno cosa dici...

Perché ti sono venuto dietro? per strade che non sono strade perché non vanno da nessuna parte, labirinti madonna!

Così ora vado a casa, appena capisco da che parte è.

A casa, dio madonna.

 

 

Ma Sancio non se ne va: continua a girare intorno a Chisciotte, come il cane intorno all’albero su cui s’è rifugiato il gatto. Chisciotte che ora, nel suo guerreggiare furioso, attenta talvolta allo stesso Sancio -quando gli s’avvicina troppo-, identificandolo con qualcuno dei mostri in battaglia.

 

In giro con un vergine che più che vergine dev’essere buliccio, con l’età che c’ha.

Un mezzo indemoniato e mezzo santo, se al mondo c’è dei santi e degl’indemoniati.

Che poteva andarmi anche bene come figliolo, io che i semi li ho buttati ai quattro venti ma non m’hanno attecchito da nessuna parte.

Che poteva anche essere mio figlio, che da un seme come il mio giusto così poteva sviluppare, un figliolo.

Mezzo matto e mezzo buliccio, che a sognarla troppo la mussa e troppo da lontano, bulicci si va a finire.

Che potrebbe anche essere un figliolo, ma s’arrampica sull’aria, matto spaccato, a cacciare i diavoli, e non ci puoi nemmeno scambiare un ragionamento.

 

 

Chisciotte inarca la schiena lanciando un grido, come colpito mortalmente da un mostro, e frana giù dall’altalena.

 

Buio

 

 

 

DEI SENSATI DISCORSI CHE SANCIO FACEVA AL SUO PADRONE

 

Sancio tiene Chisciotte fra le braccia, come una madonna barbuta.

Come una Pietà scarcassata.

 

SANCIO

Ecco.

Sul molo a tenere ‘sto figliolo Gesù matto scalcinato.

Come una madonna marina sfasciata.

Di quelle madonne che se gli occhi non glieli hanno puliti via dal muso tutte le lacrime, di sicuro ce li hai chiusi e spappolati a botte negli episodi maniacali.

Quelle addolorate che stanno a casa coi bicchieri dell’acqua in una mano e le pasticche nell’altra, ferme così come se fossero sugli altari. Bisognerebbe inginocchiarsi, dalla santità e dalla stanchezza di queste madonne, che sembra che ti benedicono, con le braccia in avanti mezze aperte, ma se guardi bene vedi che nelle mani c’hanno sempre quelle robe lì, medicine e bicchiere, le madonne dai bicchieri e dalle medicine in mano, e vorresti inginocchiarti dalla pietà e dalla fatica, invece come niente ci spacchi anche l’altro, di sopracciglio, perché c’hai l’episodio psicotico.

 

CHISCIOTTE

E la tieni su con un filo d’erba, da quanto l’hai smagrita con tutti quei stralunamenti. E non ci capisce niente lei e allora telefona al prete, che il prete glielo spiega, e siccome anche dopo che il prete gliel’ha spiegato lei non ha capito proprio bene, allora rimane davanti al telefono a rifletterci un po’, e poi si decide e infatti alza il telefono e ritelefona al prete e glielo richiede tutto daccapo, per essere proprio sicura che non ha perso dei passaggi.

E quando il prete non c’è lei se lo fa spiegare dalla perpetua, che lo sa anche lei, e se non c’è la perpetua chiama al convento di Santa Chiara, e la segretaria suora dice che hanno pregato per me e spiega il mio caso. Mia mamma fa di sì con la testa, ma quando ha buttato giù fa la faccia di chi ne sa quanto prima.

Prima telefonava anche ai dottori, ma si vede che loro hanno meno pazienza, così devono avergli spiegato tutto alle segretarie e alle mogli, perché quando mia mamma telefona e dice il nome, com’è come non è, il dottore pare che non c’è mai.

Sempre a muovere la testa, e ormai anche di notte mentre dorme sono sicuro che fa la ginnastica.

E quando è attaccata al telefono con padre Riccardo o con la perpetua o con la suora di Santa Chiara o con la moglie del dottore fa di sì, e poi mette giù, e quel sì sbanda, si confonde, e diventa sempre di più no. Così quando è staccata dall’apparecchio è sempre no, e davanti allo sceneggiato e al rischiatutto è tutto un no, e ai fornelli e sulla tazza del gabinetto è tutto un no, finché non riprende in mano il telefono, e appena Don Riccardo incomoncia a parlare, forse a lei gli sembra che stavolta ne capisce qualcosa, allora è tutto un sì, è tutta una frana di sì, tutta una cascata di sì.

E beate le sterili, cristo dio, e le pance che non hanno partorito e i petti che non hanno allattato.

 

SANCIO

Ci sarebbe solo da inginocchiarsi davanti a quella fatica, a quella faccia di madonna brutta come il peccato, e da metterla sull’altare, e invece come niente ci rompi un sopracciglio, e ti tocca chiamare il dottore e inventarti lo spigolo del comò dov’è scivolata.

 

 

 

MALATTIA, TESTAMENTO E MORTE DI DON CHISCIOTTE

 

Sancio e Chisciotte in piedi sulla banchina del porto

 

SANCIO

 

(in tono sommesso e non lamentoso)

Ecco.

Il mare.

Qui finisce...

 

 

Chisciotte, di spalle, guarda verso il mare

E com’è che questa fatica... è così tanto più grande della nostra vita?

Mi pare che tutta ‘sta passione... è esagerata, per le nostre vite piccoline.

 

 

Chisciotte comincia a masturbarsi con movimento molto lento e delicato: in modo quasi impercettibile

 

E fattela ‘sta pippa, vai che te la sei meritata.

Che semmai, magari, che semmai ti faccio compagnia, che in fin dei conti me la merito anch’io una santa pippa.

E non è per il desiderio della femmina, ma di quello che puoi lasciare.

Branchi e branchi di muggini, tutti fratelli. Tutti magri e con gli occhi chiari come me. O una platessa. Fecondare una platessa bellissima, che porti nella pancia il mio seme, e poi partorisca bestie veloci, figli miei, in giro per tutti i mari.

 

 

Sancio si volta verso il mare, affiancandosi a Chisciotte, e comincia a masturbarsi

 

CHISCIOTTE

Tanto noi siam di quelli che rimangono sul pontile. Che si sporgono dall’ultimo metro, verso il mare, con la mano sulla fronte, e sotto il busto piegato le onde. E i piedi sul molo: che noi, i piedi, chissà perché, ce li abbiamo inchiodati sul porto di Genova, e son le navi e le onde e i marinai e i pesci, a andare e venire. Ma noi, per conto nostro, chi lo sa come mai, siamo di quelli che rimangono. Siamo di quelli che la sera ci vuole i muri e il Serenase, e una mano sulla fronte, se c’è, di un’infermiera o di una femmina, per tenerci calmi, come quando eravamo ninini; perché noi c’abbiamo gli episodi psicotici e spacchiamo i comodini; e diciamo che ce ne andiamo via, ma è solo perché c’abbiamo i muri intorno, perché dacci una strada, a noi, dacci il mare, e non sappiamo cosa farci, ci vien da vomitare, ci vien da prendere il Carbolithium e da dire Aiuto a quelle povere madonne che c’hanno messo al mondo, Aiuto aiuto vorrebbero dirlo loro Aiuto, quelle povere madonne che c’hanno messo al mondo.

Allora tanto vale che sia il nostro seme a scorrazzare per i mari, e i nostri branchi di figli a andare per correnti e acque, e noi qui, a aspettarli dal pontile le volte che ritornano, sarghi terroni di Sicilia e acciughe della Provenza e bughe mezze negre africane.

E a riconoscerli dalle figure secche, e dalle codate improvvise da bestie tarate.