Don Giovanni

di

Eduardo Fiorito


Premio SIAD 2006

SIAE 2004
Partitura drammaturgica per spettacolo – concerto


Leggenda: la pièce è concepita per essere interpretata da quattro attori, due uomini e due donne. Nei casi in cui viene - come all’inizio del testo - ripetuto a seguire il nome del narratore o dello stesso personaggio, è perché si presuppone un cambio di interprete ma non personaggio. La frammentazione sintattica dello stesso periodo in questo modo (distribuita, interrotta, ripresa e completata quindi da più voci nella bocca di un unico personaggio) esplicita valenze semiologiche che altrimenti resterebbero inespresse. Nella pratica ne consegue che uno stesso attore può immedesimarsi, anche in un lasso di tempo ristretto, nel narratore, in un personaggio come in un altro poiché il suo ruolo non si radica in una singola figura del dramma quanto nell’identità dell’attore come persona che vuole vivere una storia al punto da poterla “diventare”.

Piccola premessa: Il testo è già stato rappresentato dalla mia compagnia, per la quale è stato scritto. Ciò non vuol dire che non possa essere rappresentato da altre formazioni, con un maggiore o minor numero di elementi (attori o musicisti che siano). E’ solo importante sottolineare che le indicazioni che di seguito fornisco sotto forma di didascalie sono relative a quanto accade sulla scena nella mia personale lettura di questo lavoro.

Scenografia: Nello spettacolo che abbiamo realizzato la scenografia è composta da quattro leggii che descrivono una mezza luna attorno al palcoscenico. Nella parte sinistra vi sono gli attori-musicisti (primo e secondo chitarrista) ed il suond engineer/tastierista/percussionista che ha una postazione multimediale sulla scena dalla quale (oltre alle esecuzioni musicali) manda le ambientazioni audio ed ogni forma di suggestione sonora. Al centro, sul fondo, vengono proiettate le immagini video (che sono poi l’unica, vera scenografia dello spettacolo). Lo spazio circoscritto dai leggii a mezza luna (e successivamente, per alcuni momenti, anche la platea) saranno il luogo dove gli attori, staccandosi dai propri leggii, arriveranno per dare corpo e vita alle parole ed ai personaggi prima solamente raccontati. Scenografia e testo vengono incontro così all’obbiettivo di non rappresentare una storia ma la “tensione” verso una storia.


DON GIOVANNI


Nel buio si sentono i suoni di un porto di mare. Lo sciabordare delle paranze. Il vento che fa tintinnare i ganci di metallo delle barche. Voci in lontananza di pescatori (in dialetto napoletano).
Partono le prime proiezioni del porto di Pozzuoli. Esterno notte. I pescatori si accingono a prendere il largo. Sempre in video i dettagli delle reti, delle mani che preparano le barche. Di una in particolare se ne legge il nome: “Quinta Madre”.
I musicisti suonano il tema iniziale. Sullo sfumare della musica gli attori cominciano alternandosi uno alla volta nella lettura del narratore e poi dei personaggi. Resta il sottofondo audio di ambientazione.

Narratore: I galleggianti venivano ormai lasciati a bordo da quasi una settimana, incastrati come relitti fra la prua e il cabinotto di legno che Ciro aveva progettato, inchiodato e dipinto al centro del suo barcone da pesca.
Narratore: Gli restava da accendere le luci, controllare la miscela e mollar dagli ormeggi lo scricchiolante ventre della “Quinta Madre” quando
Narratore: Con la coda dell’occhio
Narratore: Sepolto nel cumulo delle reti ancora spiegate sulla battigia, vide
Narratore: Una di quelle cassette bianche di polistirolo, dove ci tengono i pesci
Ciro: Cocche figlio ‘e zoccola che l’ha ittata ‘ncoppe ‘e rreti meie.
Voce: (distante, portata, con forte accento napoletano) Tutto a pòsto?
Narratore: Gridò una voce dall’ultima delle barche rimaste a dover prendere il largo
Voce: (c.s.) A pòsto, Cirù? E’ tutto a pòsto?
Narratore: Ancora due volte, prima che Ciro si scrollasse di dosso quella stanchezza innaturale che rendeva, quella notte, ogni cosa pesante
Ciro: (portata) A pòsto!
Narratore: Lenta
Ciro: (intima) E’ tutto a pòsto…
Narratore: Rispose e mise piede sulla battigia.
Narratore: Affondò le braccia dentro il cumulo delle reti ancora spiegate ai suoi piedi
Narratore: E portò il volto così vicino a quella cassetta bianca
Narratore: Di polistirolo bianco
Narratore: Da notare, riposto in essa, in una lunghissima coperta avviluppato, che ne formava una specie di bozzolo attorno, il corpo di un bambino, la testa luminosa di una piccolissima creatura che senza piangere lo guardava in volto.
Narratore: Guardava il suo volto
Narratore: Sbiancarsi in mezzo alle stelle.
Narratore: Lasciò che le mani scivolassero sotto quel piccolo corpo, sollevandolo. Portandolo al petto, guardò attorno e vide che non c’era nessuno. E invece di portarlo alla prima stazione di polizia…
Narratore: Tornò in barca, accese le luci, controllò la miscela, mollò gli ormeggi, voltò la prua verso sud est e con quanta forza c’era nei motori di quella vecchia ammiraglia, mosse la “Quinta Madre” dritta verso l’isola di Procida.
In video assolve la soggettiva del viaggio notturno per mare di una piccola paranza – la Quinta Madre appunto - verso l’Isola di Procida
Narratore: Da allora, Ciro, sembra non ricordare più nulla: il viaggio per mare, i pensieri, l’attracco. E’ come se, sollevato quel bambino, egli avesse anche allentato la leva della sua lucidità. Restando come assente fino a casa, quando posò quell’ammasso di panni sul letto ove, abitualmente solo, lui dormiva.
Inizia, in audio, il crescendo del pianto di un bambino, dapprima timido poi sempre più forte
Narratore: Fu in quel momento che da quella piccola bocca, come il sole da una crepa nel muro di una cella, irruppe un grido così alto e perfetto da scaraventare Ciro contro l’assurda realtà di cui era divenuto prigioniero
Il pianto del bambino adesso è fortissimo ed il tono degli attori concitato
Narratore: Lui sapeva che quella vocina avrebbe presto svegliato il palazzo intero e che ‘o palazzo sarebbe poi corso a svegliarne degli altri
Narratore: Che una folla si sarebbe presto fatta intorno come a chiedergli una spiegazione che lui ancora non sapeva dare
Narratore: Allora lui corse fuori, scese le scale, bussò alla porta della signora
Il pianto cessa improvvisamente. Fx audio di un uomo che bussa su una vecchia porta di legno. Nessuna risposta. Pausa. Secondo bussare, molto più forte del primo.
Narratore: Bussò ancora più forte
Narratore: Per farsi sentire di notte dalla signora che abitava sotto di lui
Narratore: Una mastodontica tardona che Ciro conobbe negli anni in cui ella riceveva “solo per appuntamento”.
Ciro: Peppì!
Narratore: Gridò forte.
Ciro: Peppì!
Narratore: Gridò
Ciro: Arape!
Peppina: (rispondendo assonnata) Chi è?
Ciro: Peppì! Song’io!
Peppina: Ch’è stato?
Ciro: Aggia ditte, arape!
Due degli attori, un uomo ed una donna, si staccano dai leggii e si posizionano nel centro della scena per interpretare la scena anche fisicamente. Gli altri due attori restano a leggio partecipando alla scena solo vocalmente
Narratore: Alzandosi dal letto, Peppina attraversò la casa in vestaglia da notte ed aprì così la porta al faccione sconvolto ed eccitato di Ciruzzo.
Fx audio di una vecchia porta che si apre.
Peppina: (lo guarda dalla testa ai piedi e sconvolta dall’aria stravolta di Ciro) Maronna mia bella…
Narratore: Disse
Peppina: C’hai cummenato?
Ciro: (la prende per un braccio con l’intento di portarla a casa a mostrarle il bambino) Eh…
Peppina: (che non si capacita, come a chiedere una spiegazione) Cirù!
Ciro: (c.s.) Eh…
Peppina: (si divincola) Gwe!
Ciro: Eh?
Peppina: Sì asciuto pazze?
Ciro: Ma che hai capito?
Peppina: A capa t’è ghiute sott’ncoppe? Va te cocche, Cirù! Che sì venuto a ‘ffà, cà basce?
Ciro: (senza dilungarsi in spiegazioni, indicando il suo appartamento) A te purtà là ‘ncoppe! (la riprende con forza per un braccio)
Peppina: (Peppina si divincola ancora) Gwe!… (alludendo alla sua veste dimessa) M’aggia mettere cocche cosa!
I musicisti iniziano a suonare una musica ritmata e frenetica che può ricordare, alla lontana, una tarantella
Ciro: (la riprende finalmente per un braccio e la trascina per la scena) Accussì comme staie, ‘o ‘vvì!
Peppina: Lasciami! No! Aiuto! Ah! LASCIAMI! Me faie sentì comme ‘na guaglioncella!
Ciro: Nun dicere strunzate!
Peppina: M’aggia pittà!
Ciro: Mò nun te serve
Peppina: Comme sì omme, Cirù!
In video parte una soggettiva di una corsa forsennata per i vicoli di Procida. I musicisti continuano la tarantella, sempre più concitata ed incalzante.
Narratore: Per un braccio, presa la donna con forza la portò su, per le scale… nel buio dentro gli spazi sottili lasciati dalle case. Avrebbe voluto gridare, Peppina, ma portando le braccia al cielo si accorse che la voce non le usciva, strozzata com’era in gola dalla stupefazione per quell’atto: quell’imporsi inaspettato di un uomo conosciuto da tanti anni come nient’altro che un pescatore, solamente un pescatore, che ogni istante della sua vita doveva pensare unicamente al pescato.
Rallentando la sua cadenza, la musica arriva a ricordare il ritmo di un battito cardiaco
Narratore: La fece entrare nello stanzone dove abitava Ciro, e la condusse lungo il corridoio, fino alla stanza e davanti a quel letto dove, per un attimo, il cuore della donna volle fermarsi
La musica si ferma come un cuore che smette di battere. Si riaccende la luce che illumina i due attori che interpretano Ciro e Peppina. Quest’ultima cade a terra svenuta
Ciro: (dandole degli schiaffetti per farla rinvenire) Peppì… Peppina… Peppì… Peppì, iamme belle, nun fa accussì! Peppina… Peppina aizate… iamme belle… Peppina!… Peppì!
Peppina: (Si rià) Eh… e…
Ciro: Madonna do Carmine, m’ha fatte venì ‘nu sintòma!
Fx audio del vagito di un bambino. Simultaneamente si illumina un faro posato a terra in proscenio. Peppina si avvicina carponi per guardarci dentro.
Peppina: Che è…? Che è…? (guardando dentro il faro, alza eccitata il volume della voce) CHE E’?
In audio il vagito scoppia in un pianto altissimo
Ciro: E che è? E’ un bambino! Non lo vedi che è?
Anche Ciro ora si avvicina carponi al faro. Entrambi vi guardano dentro. Parte in audio l’effetto di una pioggia sui fragili tetti della casa. E’ un tamburellare dapprima timido, poi sempre più forte. A questo suono il pianto del bambino si placa in un tenero e tranquillo vagito.
Peppina: (intuendo dal rumore della pioggia) Annamaria…? E’ turnata? Eh…? E’ ‘o figlio di…
Narratore: Annamaria…
Narratore: …era la donna che aveva abbandonato Ciro quando era felice
Narratore: Undici anni fa
Narratore: Quando era felice
Narratore: Era la donna che il pescatore guardò disfarsi nella pioggia buia sul vaporetto che la portava Narratore: Nel mare napoletano.
Narratore: Lontano
Narratore: Da quella notte in cui non se ne seppe più nulla.
Narratore: Da quella notte
Narratore: Ogni volta che l’acqua cade intorno l’isola
Narratore: Lui spera
Narratore: Di vederla tornare a casa
Narratore: Spera
Narratore: Fino ad illudersi
Narratore: Spera
Narratore: Che gli venga data una seconda possibilità.
Peppina: Cirù…
Ciro: Eh?
Peppina: E iammucenne, va… (Si alzano e vanno verso il fondo) Cirù…
Ciro: Eh?
Peppina: Ma comme t’è sagghiuto ‘n capa ‘e piglià stu piccerille senza dicere niente a nisciuno? Sì ‘o ssapene ‘e guardie, finisci dinte ‘o carcere e iettano a chiave a mare!
Ciro: Ma chi se ne fotte!
Narratore: Ma a passi svelti, l’indomani, invece di guardare il mondo da una grata, Ciro se la passeggiava contento fra le viuzze del mercato mentre il sole accendeva i banchi della frutta, del pesce, i vestiti appesi sui tendoni fra cui il pescatore passava, pieno di allegria, spuntando dalla lista quanto Peppina gli aveva raccomandato per accogliere alla grande il nuovo venuto
Nel video partono in video le immagini del mercato di Procida. Le gente che contratta, lavora, sceglie fra i colori della frutta, dei vestiti sospesi, delle chincaglierie accatastate sulle bancarelle.
Coro mercato: (con voce portata sempre dagli attori sulla scena) Tre chili, na lira! – Signò, se move, è vivo! – Toccate, magnate! – Accattate ‘e caramelle, faciteve a bocca doce – due lire, due lire, due lire… - Chiste l’aggia dato a vostro marito, stasera avete a vedé che nuttata – Mozzarella di bufala, a signò, ‘e mozzarelle voste scompaiono vicino alle mie! – Vino, vino, vino frizzante di Gragnano… - ‘O vino fa ‘o sangue e ‘a fatica fa ittà ‘o ssangue…
Ciro nel frattempo è sceso in platea passando per il pubblico come fosse la folla del mercato chiedendo “scusa” e “permesso” finché arriva sotto al proscenio da cui comincia a chiamare gli attori sul palcoscenico
Ciro: Oiné! (nessuno risponde) A voi!
Uno degli attori esce dal suo leggio e si reca in proscenio dove interpreterà il primo dei negozianti
Primo negoziante: Dicite!
Ciro: Me servesse ‘nu pannulino
Primo negoziante: C’hai ‘a fa’ ‘co stu pannolino?
Ciro: E’ pe’ ‘nu favore…
Primo negoziante: Ah, aggia capito… è per la signora ‘e rimpetto?
Ciro: Bravo, per la signora ‘e rimpetto…
Primo negoziante: E chille ‘nu pacco è troppo poco, ce ne vogliono doie, tre, quattro e cinque. Quelli di una volta si reciclavano ma questi. Ebbì ‘ccanne, oì, Pampers!
Porgendogli uno scatolone qualsiasi (quanto più è rimediato meglio è) lo invita a leggere la stampa su di esso.
Ciro: (leggendo) Pampers…
Primo negoziante: ‘E ssaie tu!
Ciro: ‘I nunn’e ssaccio e nunn’è voglio ssapé niente.
Primo negoziante: E’ puortancelle nove!
Ciro: (ironico) ‘e purte tu…
Primo negoziante: ‘A signora v’abita ‘e rimpetto?
Ciro: Eh!
Primo negoziante: E ce puort’io!
Ciro: (preoccupato) Statte ferme!
Primo negoziante: (allusivo e malizioso) Ma pecché? Tiene cocche cosa c’a signora ‘e rimpetto?
Ciro: Statte ferme! Aggia ditte statte ferme e statte ferme!
Primo negoziante: Cirù!
Ciro: Damme accà! Ce vedimme.
Primo negoziante: Mannaggia a puppazza!
Riparte il coro del mercato e Ciro torna di nuovo a farsi largo fra il pubblico finché ritorna sotto al proscenio
Coro mercato: Tre chili, na lira! – Signò, se move, è vivo! – Toccate, magnate! – Accattate ‘e caramelle, faciteve a bocca doce – due lire, due lire, due lire… - Chiste l’aggia dato a vostro marito, stasera avete a vedé che notte – Mozzarella di bufala, a signò, ‘e mozzarelle voste scompaiono vicino alle mie! – Vino, vino, vino frizzante di Gragnano… - ‘O vino fa ‘o sangue e ‘a fatica fa ittà ‘o ssangue
Narratore: Allontanandosi dal banco Ciro
Narratore: Si diresse da Gennaro
Narratore: Il solo di Procida
Narratore: Detto: “ ‘O zompafuosso “
Narratore: Dove tutti
Narratore: Trovavano tutto.
Un attore e un’attrice si recano in proscenio interpretando Gennaro e la moglie
Gennaro: Scupettini po’ cesso, libri antichi, cd, macchine fotografiche, telecamere…
Narratore: Ogni terze do mese, con la sue dolce metà
La Moglie: Lamapade ad olio, piumini, computer…
Narratore: ‘O zompafuosso caricava da Forcella e scaricava a Pozzuoli. ‘E sette manco ‘nu quarto sull’isola, belle belle, ci stavano gli ultimi arrivi della calda metropoli.
Ciro: (chiamando) Gwé!
Gennaro: Cirù! E comme stai? Te serviva cocche cosa?
Ciro: ‘Na carruzzella, ‘a tenite?
Gennaro: Iamme belle, ‘na carruzzella?
La Moglie: ‘Na muzzarella! Ciruzzo vuleva ‘na mozzarella…
Ciro: Ha capito bone ‘o principale. ‘Nu passeggino, ‘na carrozzella, comm’a vulite chiamà?
Gennaro: Ma pe vuie?
Ciro: Azze, “pe’ vuie”… me ne vaco ‘ncoppe ‘o passeggino, io mò?
La Moglie: E scusate, ‘co ‘nu passeggino, c’avite ‘a fa’?
Ciro: Una lampada. L’aggia vista ‘ncoppe ‘nu giurnale. La voglio fare tale e quale. Così… la sposto da una stanza all’altra.
La Moglie: E voi una stanza tenite.
Gennaro: E tu che ne saie?
La Moglie: Ritù, va a la piglià, sta allà derete … (la moglie va in fondo alla scena a rimediare un altro scatolone da affibbiargli, altrettanto rimediato) sono cientomila.
Ciro: Quanto?
Gennaro: Quanto vulite pavà? Novantasette? Novantasette pe’ vuie, iamme belle!
Ciro: A faccia do’ saciccio…
Gennaro: E chella costa
Narratore: Così disse, ‘o zompafuosso
Gennaro: L’arte moderna
Narratore: Così disse
Gennaro: E chella costa.
Riattacca il Coro e Ciro ripassa fra il pubblico dirigendosi nuovamente sotto il proscenio
Coro mercato: Tre chili, na lira! – Signò, se move, è vivo! – Toccate, magnate! – Accattate ‘e caramelle, faciteve a bocca doce – due lire, due lire, due lire… - Chiste l’aggia dato a vostro marito, stasera avete a vedé che notte – Mozzarella di bufala, a signò, ‘e mozzarelle voste scompaiono vicino alle mie! – Vino, vino, vino frizzante di Gragnano… - ‘O vino fa ‘o sangue e ‘a fatica fa ittà ‘o ssangue
Narratore: Cercando nelle tasche il foglio su cui Peppina aveva scritto la spesa
Narratore: Quando arrivò al banco di Tonino
Narratore: Fece un’ultima riga sull’ultima delle voci rimaste
Narratore: Così.
Ciro: ‘Nu poco ‘e… latte di capra, Tonì, ‘o tene?
Lo stesso attore di prima si dirige ancora in proscenio per interpretare Tonino mentre gli altri da dietro fanno brusio
Voci: Uh Gesù, Ciruzzo vole ‘o lattucio – vole ‘o lattuccio, Ciruzzo! (fanno versi di poppate) Ciruzzo lattuccio – lattuccio Ciruzzo – Ciruzzo Ciruzzo! (fanno versi di poppate)
Ciro: (sbottando) Ué, ma io vorrei sapere che v’ha dà tutta ‘sta confidenza!
Tonino: (Inserendosi nella canzonatura) E pigliatella ‘a capra, accussì comme sta, ‘a vvì. Ce leghi ‘o morso ‘ncoppe ‘o palo ca tiene dinte o’ ciardino, asinnò chella è ‘na figlia ‘e zoccola, se ne fuie. ‘E sei manco ‘nu quarto chesta te fa ‘o latte frisco frisco! (risate di sottofondo. L’attore va in fondo alla scena per prendere un terzo scatolone che darà al povero pescatore) Pigliatela, a’ vvì, duecentomila lira, Cirù, addò a truove?
Narratore: E mentre Ciruzzo si allontanava verso la via di casa con otto pacchi di Pampers, quattro in una mano e quattro nell’altra, una carrozzina nuova ed una capra viva.
Narratore: Alle sue spalle, fra i paesani, già cominciavano a girare voci e sospetti sul conto dell’uomo. Dai commercianti ai pescatori, dai pescatori alle mogli e dalle mogli a chiunque altro si trovasse per caso, anche di passaggio, quel giorno sull’isola non si sentiva ripetere che…
Voci: sono gli attori che simulano il sussurrato tipico ed eccitato da pettegolezzo
- Carruzzelle, muzzarelle, pannolini, biberon…
- E’ asciute pazze Ciruzzo!
- S’è mise coccherune rint’a casa.
- Chille, da quand‘a mugliere se n’è ghiuta, ‘e femmene, Ciruzzo, c’ha fatto ‘na croce ‘ncoppe.
- Mo’ fusse addiventato ricchione?
- Uno addiventa ricchione mò, e se puorta ‘e ppannulini rinte ‘a casa?…
- …e’ carruzzelle? I beberon?
- P’o figlio da mugliere sono.
- O’ figlio do’ sicondo marito…
- Do’ sicondo marito, pefforza.
- ‘O primme, ‘o sicondo marito, ‘o figlio do sicondo marito e chella zoccola da mugliera dinte a casa ‘e Ciruzzo
- Madonna mia bella! Sant’Anna mia!
- Manco a Milano ‘e fanne ‘sti fetenzie!

Narratore: Una folla di volti andava stringendosi attorno la casa di Ciruzzo ondeggiando come fili d’erba nella speranza di scorgere qualcosa
Narratore: Qualsiasi cosa
Narratore: Contro cui indignarsi
Narratore: Qualcosa
Narratore: Da prendere e rigettare in mare. Nel mare che, anno dopo anno, trascinava sull’isola i detriti di un mondo malinconico e imperfetto.
Voci: (in tono di nenia apatica e salmodiante) Arape, Cirù! Arape chesta porta! Facce trasì! C’hai cummenato! Cirù! Nun te mettere scuorno! Simme gente do paese!
Narratore: Continuavano gridando avanti quell’ultima casetta in alto che dava sul mare.
Voci: (identica intonazione di prima) Arape, Cirù! Arape chesta porta!
Narratore: E continuavano
Voci: (c.s.) C’hai cummenato!
Narratore: Continuavano…
Voci: (c.s.) Facce trasì!
Narratore: Come se i muri potessero dare risposta alle loro domande
Voci: (c.s.) Nun te mettere scuorno! Simme gente do paese!
Narratore: Mentre il cielo imbruniva
Voci: (c.s.) Arape chesta porta!
Narratore: Andavano avanti
Voci: (c.s. in crescendo) (Fiato)
Narratore: Finché dall’interno
Voci: (c.s. in crescendo) C’hai cummenato!
Narratore: Una voce delicata.
Voci: (c.s. in crescendo) Un!
Narratore: Soave e delicata
Voci: (c.s. in crescendo) Nun te mettere scuorno!
Narratore: Quasi quella di un angelo
Voci: (c.s. in crescendo) Eh…
Narratore: Parve loro rivolgersi.
Ciro: (irritata, greve, altissima) ‘Nnaccia ‘o pataturco!
Pausa
Narratore: Aprì il portone e tutti tacquero mentre uno dopo l’altro sfilarono in processione chiudendosi attorno quel letto dove avvolto fra gli stracci un piccolo corpo in silenzio cominciò a piangere. A piangere come di liberazione. A piangere come chi dopo secoli si accorge finalmente che l’attesa è finita.
Gli attori avanzano carponi verso il faro a terra in proscenio che illuminando i loro volti torna rappresentare, nella finzione scenica, il bambino
Ciro: L’aggia truate!
(Mormorio di sorpresa fra la folla)
Ciro: ‘Ncoppe ‘e reti meie
(Mormorio di sorpresa fra la folla)
Ciro: Senza un messaggio
(Mormorio di sorpresa fra la folla)
Ciro: ‘Nu straccio ‘e parola
Uomo1: ‘Nu poco ‘e sorde!
Donna3: Tonì, peffavore!
Ciro: Chesta ce steve, a’ vvì
Narratore: Sollevando il cumulo degli stracci in cui l’aveva trovato la notte prima, disse
Ciro: E sta povera criatura dinte a ‘na cassetta! ‘Ncoppe ‘e rete meie! Nun ce steve nisciuno! (pausa) Avimme ‘a esse a fameglia soia.
Narratore: Aggiunse in modo che nessuno ce la fece a contraddirlo
Ciro: (guardando il pubblico) Avimme ‘a esse a fameglia soia.
I musicisti attaccano il tema della ninna nanna mentre gli attori si fanno attorno al faro per cantare

Dint’e rezze, dint’e rezze
Ha truvato a sta criature
Dint’e rezze, dint’e rezze
Na creature abbandonata

Ma chi è che l’ha lasciato
Chi ha truvato stù curagge
Dint’a notte, miezze stelle
L’ha guardate senza chianto

Cumme fai a lasciarle sule
Cumme fai a nun ‘o piglià
da quand’essa se ne ghiute
si rimaste senza core.

Oi siggi ‘e pigliatillo ,
puortatelle a casa toie,
pure tu ssi abbandunato
pure tu te siente sule.

Da quand’essa se ne ghiute,
senza dirte na parola
da quand’essa se ne ghiute
si rimaste senza core.

Ma mo basta ca paura
Ma mo basta co’ silenzio
Dint’a notte, miezze stelle
t’ha guardate senza chianto

Tu ch’a figlie nun n’e avute
Tu c’a niente sai d’ammore
Fai parlà solo stu core
Fai parlà solo stu core

Dint’ a’ notte miezze e stelle
E’ truvata a na’ creature,
Dint’e rezze dint’e rezze
Na’ creature abbandonate.

Narratore: Lo chiamarono Giovanni. Scritto Giovanni e letto Giuanne.
Narratore: Ogni giorno della sua infanzia, Juan lo trascorse in una casa diversa
Narratore: Alla bottega ‘e ‘onna Concetta, al panificio ‘e zì Peppina, al ristorante ‘e donna Annunziata Narratore: O in una qualsiasi delle ventisei botteghe gestite dalle altrettanti mogli di pescatori, colleghi di Ciruzzo ed assenti come lui causa lavoro.
Narratore: Dai primi anni della sua vita subito qualcosa parve abitare il corpo di questa piccola creatura. Una luce appena velata che con il corso degli anni andò manifestandosi con evidenza sempre maggiore. Una variazione appena percettibile che lo discostava in maniera definitiva dalla placida normalità in cui viveva. Forse sarà stata quell’aria rapita a sedurre le donne, il sorriso così malinconico, la sensualità che permeava di languore quegli occhi in cui chi lo guardava finiva per smarrire ogni certezza. Forse sarà stato il fatto che il ragazzo sembrava avvertisse quello che c’era dietro le parole, la bellezza riposta nel fondo di ogni essere umano, la dirompente energia dietro la montagna di falsità in cui ci nascondiamo. E più di ogni altra cosa, credo che a far crollare ogni resistenza in chiunque si imbattesse nel suo cammino, fosse la sensazione netta, che i suoi occhi comunicavano, di aver come perduto qualcosa, la nostalgia in fondo alla luce del suo sguardo, il ricordo preciso di un luogo lontano in cui tornare per essere felici.
I musicisti iniziano a suonare una musica nostalgica e spagnola
Narratore: In classe non trascorse un giorno della sua vita. Imparò a leggere le correnti, tracciare le rotte, disegnare le maree ma non riuscì mai a vedere nei libri quello che non c’era. Nella sua mente il passato non aveva lasciato traccia. Era come se tutta la vita per lui fosse cominciata nel momento in cui aveva aperto gli occhi. Quello che non aveva visto, glielo avevano raccontato. Ed è per questo che, più di ogni altra cosa, ogni anno, come un bambino, attendeva che il vaporetto scaricasse nel porto le torme di villeggianti. Folle di turiste, sode, giovani, bionde, leggiadre, mature, puttane, basse, vergini, slanciate, eleganti, sinuose, pudiche, graffianti, preoccupate, more, sorridenti, sognatrici, smarrite, goffe, eccitanti, imprevedibili, confuse, silenziose, dolenti, false, arroganti, beffarde, divertenti, sincere, profondissime, forti, la folla di turiste che in fuga dal mondo civilizzato posava il suo dolce piedino sull’isola di Giovanni.
Narratore: Donne di ogni età, forma, razza, colore che amavano trattenersi con questo pescatore dall’alba al tramonto, dal tramonto all’alba, sedute sul fianco della paranza dove Giovanni ricuciva ormai reti sempre più logore e, di tanto in tanto, sebbene poi il ragazzo finisse per domandarsi come facevano, tutto quel tempo, tutte quelle donne a restare con il sedere completamente sospeso fuori bordo, evitava comunque di chiederlo poiché, temeva, avrebbe così potuto interrompere il filo di quei meravigliosi racconti che facevano lui intorno alla città da cui provenivano, alla gente, ai modi di vivere che c’erano lontano dall’isola. E quando poi il cielo imbruniva, ed una brezza scomponeva le vesti leggere che cadevano dalle spalle, raccontavano a Giovanni i loro sogni, le fantasie che le agitavano di notte, e raccontavano… dello scirocco che batteva sulle imposte delle finestre come a volerle spaccare, delle stanze grigie raccontavano… in cui non riuscivano più a prender sonno, della vergogna, si… di svegliarsi dopo aver sognato di concedere quanto di più segreto tenessero nelle mani di quel giovane con la preghiera di portarlo via… dal marito, dal lavoro, dai figli… via, nel deserto dell’acqua, dove di loro non sarebbe rimasto che desiderio… e libertà di gridare alle stelle il suo nome
La musica si interrompe bruscamente
Donna: (all’acme dell’amplesso) Giuanne!
Gli attori si guardano interdetti. I musicisti riprendono per coprire l’imbarazzo.
Narratore: Lavorava sul peschereccio del padre da mezzanotte alle cinque del mattino. Poi scaricava il pescato, assieme a tutti i suoi colleghi di Procida, nel porto di Pozzuoli, per i venditori che si sarebbero sparsi nei mercati del pesce intorno Napoli. Quello che restava, Ciro e Giovanni, lo vendevano al dettaglio in un banchetto, poco distante dal porto. Restavano lì fino all’ora di pranzo, poi uno andava a preparare la partita di pesca per la notte e l’altro a prendere il motorino per le consegne a domicilio.
La musica sfuma
Narratore: Era il 24 Marzo del ’99 quando Ciro disse a Giovanni di portare sei orate, quindici calamari e un chilo e mezzo di vongole veraci a casa di Don Raffaele. Noto camorrista del napoletano da anni ormai usava rifornirsi al banco di Ciro. Poco distante dal porto di Pozzuoli, Don Raffaele viveva in una bella villa che Giovanni, quel pomeriggio, raggiunse in motorino. Quando fu per tirare fuori dal piccolo portabagagli le orate della consegna, il ragazzo si accorse che la carta in cui le aveva avvolte era divenuta completamente fradicia. Prese allora un paio di bustine, mise i pesci dentro e cercando di sporcarsi il meno possibile andò al cancello che dava accesso alla villa. L’occhio della telecamera si illuminò di un puntino azzurro, la serratura elettronica fece un rumore sordo. Il cancello si aprì.
Narratore: Il selciato del vialetto passava fra le piante di un grande giardino. Vi erano colonne doriche, uomini in lontananza che lo guardavano passare, un silenzio interrotto solo dai latrati di una muta di cani.
Don Raffaele: Viene Guagliò!
Narratore: Fece una voce dall’interno della casa. La porta era aperta e si intravedeva un’ombra affaccendarsi dietro di essa.
Don Raffaele: Chi si tu?
Narratore: Gridò senza aprire
Giovanni: ‘O figlio ‘e Ciruzzo
Don Raffaele: Ah!
Narratore: Disse l’ombra
Don Raffaele: Trase ca mo’ arrivo.
Narratore: E prima che il ragazzo potesse avvicinarsi alla porta, sparì. Così che quando Giovanni entrò in salone, l’unica cosa che vide furono i mobili, i tavoli tutti bianchi, i vasi dappertutto ed una grande libreria che copriva tutta una parete.
Giovanni: Don Raffaele…
Narratore: A voce alta fece Giovanni
Giovanni: Don Raffaele…
Narratore: Sperando che potesse sentirlo aggiunse
Giovanni: Scusate qui si è bagnata la carta…
Don Raffaele: Embé?
Narratore: Fece il camorrista entrando contento in salone, con lo sguardo acceso e i capelli spettinati
Don Raffaele: Scusa, ma stavo finendo di prepararmi.
Narratore: Era un uomo basso con i capelli grigi e abbastanza lunghi. Si muoveva veloce e determinato. I suoi occhi correvano da una parte all’altra e a tratti si inchiodavano in quelli del ragazzo.
Don Raffaele: Oì ‘ccanne! Facimmo ‘o pesce duttore…
Narratore: Disse prendendo un antico volume da uno degli scaffali nel soggiorno. Lo mise sul tavolo. Lo aprì. Ne strappò alcune pagine e ci avvolse le orate, le cozze, i gamberi…
Don Raffaele: ‘O pesce viene ‘do mare e ‘o mare è salato…
In audio il rumore forte di un foglio che si strappa. Il video mostra la soggettiva di un uomo in soggettiva che spara ad altro in ginocchio. In audio il rumore forte dell’esplosione del colpo. L’uomo in ginocchio cade a terra.
Anna: Che fai?
Don Raffaele: Noi c’ho vulimme scurdà e chiudere tutt’e cose dinte a ‘nu cartoccio.
In audio un secondo assordante strappo. In video questa volta è un’altra soggettiva della stessa scena, quella di una persona vicina a quella che sta sparando all’uomo in ginocchio. Il suono, un po’ meno forte, dello stesso sparo della scena di prima.
Anna: Che fai?
Don Raffaele: Ma chella ‘a natura chest’è. Alla fine viene fuori.
Terzo strappo. In video una terza soggettiva di un uomo che da lontano vede la stessa scena. Un uomo che spara ad un altro in ginocchio ed una donna terrorizzata che guarda. Stesso rumore dello sparo, questa volta reverberato da lontano.
Anna: Che fai? (strappa il volume dalle mani del padre)
Don Raffaele: O’ guaglione ha purtato ‘o pesce…
Narratore: Ormai
Don Raffaele: Calmati
Narratore: La figlia di Don Raffaele
Don Raffaele: Calma!
Narratore: Era entrata dalla porta e cercava adesso di liberare le pagine che andavano inzuppandosi dell’acqua delle cozze
Don Raffaele: Annaré…
Narratore: Delle orate, dei gamberi posati su di esse
Narratore: Come ferita sulla pelle
Narratore: L’umidità andava allargandosi.
Don Raffaele: (autoritario) Calmati, Annaré. Calmati…
Anna scende in platea ed attacca le pagine del libro strappate dal padre sulle pareti del teatro, sotto il proscenio, vicino agli spettatori, dappertutto.
Narratore: La ragazza prese il libro
Narratore: Tornò in giardino
Narratore: Il padre la guardò allontanarsi
Don Raffale: (in imbarazzo, verso Giovanni) E’ l’età…
Narratore: Disse quando non poteva più sentirlo
Don Raffaele: Quand’ero guaglione contestavo pur’io a papà. Chille era ‘nu grand’omme, e io lo contestavo… essa pure è ‘na brava guagliona… ma tiene cocche cosa da mamma. (cambiando tono) Vabbuò, quanto t’aggia dà per questi quattro calamari?
Narratore: Ma Giovanni, rimasto con lo sguardo sullo stipite della porta da cui la ragazza era uscita
Don Raffaele: Gwé!
Narratore: Non sentì immediatamente Don Raffaele
Don Raffaele: Gwé!
Narratore: E solo quando questi lo toccò
Giovanni: Sessanta
Narratore: Disse
Giovanni: Sessanta, ‘on Rafé
Don Raffaele: (glieli dà) Ce vedimme.
Moglie: (portato, come venisse da un’altra stanza) Rafé!
Don Raffaele: Eh?
Moglie: Peppino a telefono.
Don Raffaele: Eh?
Moglie: Ci sta Don Peppino a telefono!
Don Raffaele: Ah… ah… mò vengo!
Narratore: Sparì così salendo dalla scala bianca verso i piani superiori
Don Raffaele: (lontano) Don Peppino! Buongiorno…
Narratore: Giovanni era ancora lì mentre un piccolo orologio dentro di lui contava i secondi che scattavano avvicinandosi all’angolo rosso. Come fosse sott’acqua la sua ragione di stare lì andava velocemente esaurendosi.
Narratore: Lì mentre con lo sguardo restava sulla porta a vetro
Narratore: Verso cui cominciò a muoversi, barcollando come smarrito
Anche un altro attore, spostandosi dal leggio e preparandosi ad interpretare Giovanni, si avvicina adesso al proscenio, sotto il quale c’è Anna che continua ad attaccare le pagine del libro dappertutto
Narratore: Verso la vetrata dove sentì la luce entrare nella stanza e di là da questa il vento che spazzava le pagine del libro, sospese da un ramo all’altro, fissate a due fili invisibili che appena si sfioravano. Fogli a decine in cielo come vestiti ad asciugare da una parte all’altra del cortile.
Anna: (dopo essersi calmata) Non devi scusarti.
Anna: Non è colpa tua.
Anna: Non è colpa tua
Giovanni: Si.
Anna: Hm?
Giovanni: E’ colpa… è colpa mia.
Anna: (tornando ad occuparsi delle pagine) Ma addò sì asciute?
Giovanni: (spaesato) Me n’aggia ‘i? (Anna si volta sbalordita) Sta volando tutte cose.
Anna: (sottolineando) Faccio da sola.
Giovanni: Ah (Anna torna a dargli le spalle. Lui comincia a raccogliere i fogli lo stesso)
Anna: (notandolo) Cosa stai facendo?
Giovanni: (spontaneo) Sei bellissima.
Anna: Uh Madonna…
Giovanni: Scusa.
Anna: Damme ‘cca (prende i fogli, le sale un accenno di risata che non riesce a trattenere)
Giovanni: Puozze riccogliere? ‘E puzze riccogliere? (Anna si volta e cerca di trattenere il ridere, i fogli continuano a volare, il video proietta una bufera di fogli ed in audio urla il rumore del vento. In sottofondo leggero il suono di violini e chitarre) Accà vola tutte cose, com’aggia fa. Gwé! E’ parole tuoie, oì! Accussì se ne vanne! Ma che capa, chesta ‘ca tiene! E’ vuò fa volà? Eh? ‘E vuò fa volà? (Anna ride fino alle lacrime e poi lancia nel cielo i fogli che teneva in mano, Giovanni ne prende uno al volo) E ’I vole! Gwé, oì! E ‘i vole, ahahah! Volo! Ahaha! Mannaccia ‘a capa tuoia, che me ‘ffaie fa! (la prende)
Narratore: Le parole…
Anna: Bravo.
Narratore: …avrebbero così resistito allo scirocco che ad ogni colpo tentava la filigrana fragile rimasta a tenere legati i sogni del vecchio poeta londinese.
Narratore: Quello che infatti Giovanni teneva fra le mani
Anna: Non è un libro qualsiasi. Una persona lo diede a mamma quando faceva l’attrice. E’ un’edizione del Don Juan. Ha più di un secolo. Le pagine si spezzano da sole. Conosci Byron? (guarda Giovanni che non risponde. Poi sfiorando le pagine) …sembrano delle rughe. (porta la mano di Giovanni sulle pagine) Toccale (un moto di pianto le sale agli occhi)
Giovanni: (se ne accorge) Gwe…
Anna: Non è niente. Non è niente, non ti preoccupare. (non regge l’emozione. Dopo una lunga pausa)
Anna: Era così infelice
Narratore: Pensò.
Anna: Era così…
Anna: …felice
Narratore: Disse
Anna: Ed aveva così paura.
Narratore: Così…
Anna: (a Giovanni) Da dove vieni?
Giovanni: Eh?
Anna: Da dove vieni?
Giovanni: Eh, io… io vengo… vengo da…
Anna: Vieni da Procida?
Giovanni: Eh?
Anna: Sì ‘nu pescatore!
Giovanni: Hm…
Anna: E come ti chiami?
Giovanni: Me chiamme… me chiame Giuanne.
In video, per una frazione di secondo, un Sivigliano getta il mantello dietro le spalle su una accordo palesemente flamenco
Anna: (in spagnolo) Te ‘llami Juan…
Giovanni: (specificando) Gio-van-ni
Anna: Appunto, come nel libro.
Narratore: Disse
Anna: Juan
Narratore: E delicatamente richiuse il volume fra le mani mostrando al ragazzo l’incisione sulla copertina. Lui restò lì a guardarla. Poi ne sfiorò con le dita le lettere dorate, i bordi scavati nella pelle, le forme che tracciavano sotto le sue mani
Anna: Così
Narratore: Sperando che un’immagine potesse rompere il silenzio nella sua mente.
Narratore: Sentì la mano della ragazza chiudersi delicatamente attorno la sua.
Anna: Vieni…
I due saltano giù in platea e si dirigono verso una parete del teatro dove precedentemente l’attrice aveva attaccato delle pagine strappate dal libro
Anna: Qui c’è un palazzo… ha più di seicento stanze. La gente del paese può guardarlo solo da lontano. E’ abitato da una sultana
Anna: Vieni.
I due raggiungono un’altra parete dove vi sono altre pagine sospese ad asciugare
Anna: C’è la guerra qui… Juan cerca di salvarsi ma non sa più cosa fare. Non riesce a parlare con nessuno perché tutti hanno paura.
Anna: Vieni.
I due corrono verso altri fogli che Anna continua a descrivere a Giovanni
Anna: Qui c’è il mare, lo vedi? Juan lo attraversa per fuggire agli uomini di Don Ferdinando che vogliono ucciderlo perché Juan lo ha sfidato davanti a tutti. Juan non ha paura.
Anna: Vieni.
I due raggiungono un quarto gruppo di pagine, disperse a terra, in proscenio
Anna: Qui c’è l’isola che lo ha raccolto quando la nave è andata distrutta. Le tavole che l’hanno portato sulla spiaggia… (si ferma non riuscendo a continuare, guarda Giovanni negli occhi)
Anna: La donna che si è innamorata di lui
Don Raffaele: Annaré, vieni, bell’e papà.
Narratore: Fece la voce di Don Raffaele dall’interno.
Don Raffaele: Ce sta Micheluccio tuoie! (chiamando) Michè!
Si accende una forte luce di taglio che abbaglia i due. In audio l’effetto di una porta che si apre
Don Raffaele: Gwé!
Narratore: Ma
Don Raffaele: Gwé!
Narratore: Esclamò
Don Raffaele: E tu ancora qua staie?
Narratore: Vedendo il pescivendolo accanto a sua figlia
Don Raffaele: Eh… ave ragione piccerì
Narratore: La sua unica figlia
Don Raffaele: Chella capa ‘e provola (riferito ad Anna) m’ha fatto scurdà…
Narratore: Per nascondere l’imbarazzo davanti al figlio di Peppino Sette Bagni
Don Raffaele: Vieni…
Narratore: Disse
Don Raffaele: Che ti dò qualcosa, mannaccia ‘a capa toia.
Narratore: Iddio pregando che lo tenesse buono davanti a quel pescatore che gli aveva mancato di rispetto
Don Raffaele: Vieni.
Giovanni: Avete già provveduto, ‘on Rafé
Don Raffaele: Aggia ditte vieni! (tra sé) Chiste è asciuto scemo. (ostentato) E’ la mancia che vuoi, è accussì o no? Sei dinte a casa mia perché vuoi la mancia, è accussì o no?
Anna: Piscatò!
Narratore: Gridò una voce così stentorea e greve che persino Don Raffaele dovette fermarsi. Quella voce che a stento Giovanni poté riconoscere, tanto intima l’aveva sentita poco fa quanto estranea adesso e per certi versi fedele a quel modo di esprimersi che avevano le persone intorno a lui.
Anna: Fa ‘o finte scemo!
Narratore: Disse
Anna: Nunn’hai capito niente? Eh?
Don Raffaele: Anna…
Narratore: Adesso pareva trasfigurata quasi anche nel volto. Si muoveva in maniera goffa e maschile, come un gorilla mentre a grandi passi si avvicinava verso Giovanni e gli sbatteva contro il libro.
Anna: Adda turnà cumm’era prima! Asinnò ‘o ‘ssaie arò t’o faccia arrivà? ‘Inte a na semmana… ‘o voglio vedé… ‘ncoppe ‘do libraio. Zanam. ‘O cunosce?
I musicisti suonano il tema musicale ispirato alla figura di Vincenzo
Narratore: Come da un po’ di tempo a quella parte, l’indomani, il banco del pesce straripava di clienti. L’incasso della vendita al dettaglio non era certo quello delle consegne a domicilio ma da quando Giovanni si era messo a lavorare con Ciruzzo anche la mattina, non faceva che correre da una casa all’altra, da una cliente all’altra spesso rifiutando, con grave imbarazzo delle signore benestanti, mance ed offerte che superavano di gran lunga l’importo dovuto per il pesce ordinato.
Vincenzo: Permesso!
Narratore: Faceva il vecchio drammaturgo che si apriva un varco fra la folla.
Vincenzo: Permesso! (Via musica)
Narratore: Incredulo, continuava passando fra donne di ogni tipo strette attorno il banco del pesce di Ciruzzo.
Vincenzo: Santo dio! E non finite mai? Giovanni, buon giorno. Ciro non c’è? Io gli avevo chiesto se poteva mettermi da parte …
Giovanni: A spigoletta… frisca, frisca, ‘sta là ‘ncoppe, abbì? L’aggia tenuta apposta per vuie.
Vincenzo: Ah.
Giovanni: (dando a Vincenzo la spigola) Tenite.
Vincenzo: Quanto vi devo?
Giovanni: Niente, ‘on Vincè.
Vincenzo: E perché?
Giovanni: Perché, se permettete, questa ve la offro io.
Vincenzo: Me la offri tu? Grazie.
Giovanni: Andate e buon appetito.
Vincenzo: Permesso! Permesso!
Narratore: Tornò a gridare il vecchio drammaturgo cercando di rompere l’anello di femmine che andava stringendosi attorno il banco del pesce e quando ormai il mercato andava fondendosi con la città dietro di lui.
Giovanni: ‘On Vincé!
Vincenzo: Gli parve di sentire una voce
Giovanni: ‘on Vincenzo!
Narratore: Delinearsi nel vociare indistinto che andava spegnendosi alle sue spalle.
I due attori maschi si allontanano dai leggii e si avviano camminando lungo il corridoio centrale della platea preparandosi ad interpretare Vincenzo e Giovanni
Vincenzo: Giovanni, che è successo? Ho dimenticato qualche cosa?
Giovanni: Sì…
Vincenzo: Cosa?
Giovanni: No…
Vincenzo: Calmati. Prendi fiato. Che è?
Giovanni: Dovete… io… voi dovete fare una cosa per me.
Narratore: Estraendo da uno zaino un libro avvolto in un panno bianco
Vincenzo: Che devo farci?
Narratore: Chiese Vincenzo ritrovandoselo fra le mani
Giovanni: E’ grave?
Vincenzo: Gente è morta per molto meno.
Giovanni: Voglio dicere… ‘o danno, è grave, si può aggiustare?
Vincenzo: E che ne so? Io faccio lo scrittore, mica il libraio…
Giovanni: (sbuffa)
Vincenzo: Che c’è?
Giovanni: (smaneggiando col libro quasi in esso cercasse la domanda giusta da fare) Ma comme si fa… sta cosa… accà derinte… comme…
Narratore: E così Vincenzo capì che tra quelle parole
Giovanni: Comme… sta cose… sti carte…
Narratore: Dette così farfugliate
Giovanni: Ma… che d’è… ma a che serve?
Narratore: Giovanni voleva conoscere la storia che raccontavano quelle pagine e allora lo prese con sé il ragazzo, gli mise un braccio attorno alle spalle e cominciarono a parlare così, come due amici. Lungo il porto, camminando, parlarono con quel po’ di sole che si fermava sul viso e ridevano tutti e due dei viaggi assurdi, della comica ingenuità, del candore seducente, delle mille amanti e di quel solo amore, perduto una volta e cercato ogni giorno
Narratore: Fino al primo
Narratore: Del resto…
Vincenzo: Dei tuoi giorni. Perché a camminare così vedi, prima o poi qualcosa lo perdi. Perdi tutto ciò che non ti accorgi di avere. Credi che non ne valga la pena fermarsi a raccoglierlo e allora vai avanti e la notte passa e da giovane e bello che eri diventi vecchio e stronzo come me… questo vecchio che si guarda intorno come ubriaco e cerca di capire dov’è. Dov’è che l’ha perduto. (Pausa. sorride) Lo vedi?
Giovanni: Cosa, Don Vincé?
Vincenzo: Questo sorriso, lo vedi?
Giovanni: Si, Don Vincenzo.
Vincenzo: E’ il sorriso che hanno i morti. Questo. Questo sorriso qui. Guardalo bene… perché se un giorno ti venisse anche a te, questa smorfia da idiota, ricordati che ce l’ha un uomo che non riesce a vivere. (Urla per spaventarlo) Ah! (Giovanni si allontana) Va! Va via! Fuggi! Che perdi tempo con un vecchio bavoso (Parafrasando Montale) “Trova una maglia rotta nella rete che ti stringe, (Giovanni è ormai lontano) va fuggi, per te l’ho pregato” (Vincenzo parla tra sé) E raccontale la tua di storia. Non hai bisogno di un mito. Don Giovanni, amico mio, sei tu.
Narratore: Don Giovanni…
Narratore: Lo guardò allontanarsi e a Vincenzo venne come l’impressione di aver parlato a sé stesso, se avesse potuto incontrarsi quando aveva ancora ventitré anni. Che questa poi non fosse la verità poco importava, dal momento che anche Giovanni, in cuor suo, sentiva di essersi incontrato a settantatré anni e che anche lui, come l’anziano drammaturgo, sapeva di aver avuto la possibilità di parlarsi da un tempo così lontano.
Cambiando completamente atmosfera il percussionista inizia un ritmo tribale cui gli attori progressivamente iniziano vocalmente a sovrapporsi
Giovanni: Zanam…
Narratore: Continuava a ripetere Giovanni mentre con i capelli al vento, sul motorino senza casco
Giovanni: Zanam….
Narratore: correva sulla tangenziale
Giovanni: Zanam….
Narratore: con negli occhi sempre più grande la città di Napoli e alle spalle
Giovanni: Zanam….
Narratore: Posillipo, San Martino
Giovanni: Zanam….
Narratore: il centro storico
Giovanni: Zanam….
Narratore: Port’Alba
Giovanni: Zanam….
Narratore: le librerie
Giovanni: Zanam….
Narratore: una dopo l’altra
Giovanni: Zanam….
Narratore: una dopo l’altra
Giovanni: Zanam….
Narratore: una dopo l’altra
Giovanni: Zanam
Narratore: Fino all’ultima…
Giovanni: Zanam!
Narratore: Di cui la ragazza gli aveva detto il giorno prima negli improbabili panni di una vaiassa, indossati per non destare sospetti e gettare al dolce seduttore la rosa da raccogliere.
Narratore: Quando entrò nella libreria, Giovanni vide un piccolo uomo farsi dinnanzi quasi avesse l’aria di riconoscerlo.
Giovanni: Cercavo…
Libraio: ‘O ‘ssaccio… Anna! Vogliono a te.
Anna: Vieni.
Narratore: Disse lei spuntando da una porticina nel retrobottega, andando verso il pescatore.
Anna: C’è troppa gente qui…
Narratore: Portò fuori dal libraio il ragazzo
Anna: E’ il tuo?
Narratore: Disse vedendo il motorino
Narratore: O quello che ne restava. Appoggiato sul muro senza cavalletto
Giovanni: Beh, si… è…
Anna: Andiamo
Narratore: Montarono in sella
Narratore: sciolsero le briglie
Narratore: corsero verso il molo.
Parte in audio l’effetto del motorino che sfreccia per la città trafficata e caotica
Giovanni: Come faceva a sapere che cercavo te?
Narratore: Cercava di urlare Giovanni da sotto il casco che i due avevano indossato allo scopo di non farsi riconoscere
Anna: Il libraio come faceva a saperlo?
Giovanni: Eh!
Anna: Gliel’ho detto io.
Giovanni: Cosa?
Anna: Gliel’ho detto io che saresti venuto.
Giovanni: Ah!
Anna: E’ lui che mi copre.
Giovanni: Come?
Anna: Se Michele viene a cercarmi. E’ lui… gira qui.
Giovanni: Dove…
Anna: Qui!
Giovanni: Dove stiamo andando?
Sfuma fx motorino
Narratore: In cuor suo, Anna aveva sempre saputo dove quel pomeriggio avrebbe portato Giovanni, anche se lì per lì non seppe dargli alcuna risposta. Aveva tenuto ben chiuso nella sua memoria, quanto di lei avesse potuto attrarla verso quel giovane. Se non fosse stata così attenta, avrebbe rischiato che suo padre, o Michele o qualsiasi altro membro della famiglia, avrebbe magari potuto fare delle congetture, avanzare dei sospetti sulla natura della relazione fra lei e quel ragazzo e se questo fosse accaduto…
Narratore: …beh, se questo fosse accaduto, sarebbero stati cazzi. Anche perché da qualche anno la famiglia del padre aveva visto man mano ridursi il proprio giro d’affari e si era quindi trovata a cedere fette sempre più importanti della sua torta di potere alla famiglia di Don Peppino, nell’ambiente meglio conosciuto come…
Narratore: Peppino “Sette Bagni”. Figlio di “Sette Bagni” era, appunto, Michele che di Don Raffaele, come abbiamo visto, era intenzionatissimo a sposarne la figlia. Il matrimonio fra i due avrebbe fatto lievitare il giro d’affari e riconsegnato il prestigio del noto camorrista agli albori di un tempo. Chi più di lui quindi avrebbe dovuto inorridire nel vedere sua figlia andar dietro a qualunque uomo che non fosse Michele.
Narratore: Avrebbe Don Raffaele dovuto metter da parte le sue responsabilità, sopportare lo scherno, l’oltraggio ricevuto da un ragazzino, un piccolissimo puttaniere venuto a fare il faggiano in casa sua, con sua figlia, mentre lui non lo vedeva
Narratore: Non lo poteva vedere perché lo aveva fatto entrare come un amico.
Narratore: E lo avrebbe dovuto lasciar andare? E continuare a toccare il viso d’angelo della sua creatura
Narratore: Come non puzzasse oramai del pesce di uno sconosciuto?
Narratore: O avrebbe piuttosto preparato, con la specializzata assistenza del suo cognato Peppino, l’ “ottavo bagno” in cui assicurare le disgraziate ambizioni del malcapitato seduttore?
Ritorna in assolvenza l’effetto audio del motorino
Anna: Siamo arrivati.
Narratore: Nei pressi di una spiaggetta sotto un’alta parete di roccia Anna gli disse
Anna: Siamo arrivati.
Dissolvenza effetto-audio motorino
Anna: E’ qui che volevo portarti.
Effetto audio dello scrosciare del mare. Un attore ed un attrice si spostano verso il proscenio per interpretare Anna e Giovanni che camminano verso il limitare della spiaggia
Giovanni: (rendendole il libro) T’aggia riportato ‘o libbre.
Anna: (prendendolo) Ah. Comm’è bello. Più tenta di distruggerlo e più lui si fa sentire. Più se ne vuole liberare, quello stronzo, e più lui resta nella mia vita. Mio padre è come uno di quei cani da combattimento, lui non molla la preda finché non muore.
Giovanni: Non è sempre la preda che muore.
Anna: Si…
Narratore: Si.
Anna: Ci credi tu ai fantasmi? (tocca il libro) Ce ne sta uno qui dentro, libero e meraviglioso, lo spirito di un uomo che torna ogni volta che qualcuno lo legge che vive ogni volta in chi lo legge. Tu?
Giovanni: E io l’ho letto.
Anna: E io lo sapevo. Sei già diverso.
Giovanni: Si?
Anna: Dove sei arrivato?
Giovanni: A metà… pagina. Uno.
Anna: Chiero un heroes…
Giovanni: Chi?
Anna: “Voglio un eroe” E’ così che comincia, ti ricordi? (sempre più sensuale) “Voglio un eroe”… voglio un eroe… voglio un eroe… voglio…
Giovanni: (d’impulso, comico) Eccomi…
Anna: Non ti è venuta voglia di continuare?
Giovanni: (sospira)
Anna: Di capire, assaporare sulla tua pelle questa storia
Giovanni: Si…
Anna: Di sentirla crescere dentro di te, vivere una sua vita nella tua vita, lasciarla abitare nella tua testa
Giovanni: Eh…
Anna: Provare nello spirito, nella carne quello che c’è in questa vita
Giovanni: Si…
Anna: Nel cuore di questa vita che urla come un guerriero
Giovanni: Ah…
Anna: Il senso, la ragione per la quale non abbiamo ancora gettato la spugna …
Giovanni: Mai…
Anna: Il segreto che teniamo qui dentro (gli mette un pugno nello sterno) e che aspetta solo di essere ascoltato, aspetta solo un tuo sguardo per fiorire come una rosa e cambiarti la vita (gli dà un fugace bacio sulle labbra).
Giovanni: (in ispanico rapimento) Dona Ana… (lei sorride in un leggero accordo di flamenco) E’ bello…
Anna: Qui?
Giovanni: Anche, si.
Anna: Non ci eri mai stato? E’ un posto che conoscono in pochi.
Giovanni: Io non ero mai stato a Napoli. Io non sono mai stato ‘a nisciuna parte. Di gente ne ho incontrata che mi parlava e mi raccontava tutt’e ‘ccose, addò steva… e io ascoltavo a tutte quante loro perché io quei posti li volevo vedere, i segni che gli lasciavano addosso, dentro: ‘a giente, ‘a città, la notte, la solitudine, le promesse tradite, in miezz’o mare, co’ nu pescatore ‘ Procida. Ma s’i saccio che dopo quel mare ‘o munno ce steva è solo perché me lo hanno raccontato loro, che si sognavano una notte diversa quando il mio di sogno era quello di incontrare un giorno la ragazza che mi avrebbe portato via da quello che per esse era un attimo di follia… ma che per me era la vita.
Anna: E adesso che il mondo lo hai visto? Ti piace?
Giovanni: Qui, è come se io stessi a casa. Anche se qui non ci sono mai stato. Non è la prima volta che lo vedo questo posto. Non so come spiegarti… ma qualcuno non ha pulito bene prima di rimettermi al mondo. (quasi si commuove e per non farsi scorgere prende un sassolino e lo fa saltare sulla superficie dell’acqua)
Anna: (prendendo anche lei un sassolino) Facciamo a gara?
Giovanni: Siente! Il rumore. Prima che affonda, l’ultimo salto, senti! Dai! (lei fa saltare un sassolino) Sentuto?
Anna: Forse.
Giovanni: E devi farci attenzione. Prima che affonda. Prova! E’ un rumore così (fa il segno di ‘piccolo’ fra le dita) e tu ti devi fare (idem) per sentire. Vai, tira! (Anna lancia un sassolino) Hai sentuto? E’ un attimo, è ‘nu fruscio d’ali, è ‘na goccia che cade, è…
Anna: Una voce di donna.
Giovanni: Una voce…
Anna: Che non mi abbandona mai, ogni notte, ogni giorno io le parlo. Io le parlo sempre (In video parte il filmato di un guardrail spezzato nei pressi di una panoramica che viaggia sopra la spiaggia dove i due ragazzi sono distesi) E lei mi ha raccontato che la sua macchina è da lì che è volata, proprio lì su. Questo libro lei lo ha regalato a me e qualcuno lo ha regalato a lei, ma chi sia questa persona non me l’ha mai detto. (guarda l’alto della parete rocciosa dove prima stava guardando Giovanni)
Giovanni: Lo farà. E tu, qui, ci torni spesso?
Narratore: (da notare il cambio di voce) Quando mi sento…
Giovanni: Ci sono io. Non sei sola.
Narratore: Allora Giovanni portò la sua sopra le mani di lei che la strinsero forte sul dorso del volume ancora sulle ginocchia
Giovanni: Fammi vedere. Ià! Famme vedé!
Breve intermezzo musicale
Narratore: Nel salotto di Don Raffaele, la sera, c’era aria di festa. Anna arrivò giusto in tempo per la cena che il papà aveva organizzato in onore di un avvocato poco incline a cooperare con la famiglia.
Don Raffaele: Cooperare, è una bella parola, avvocà! Cooperare…
Narratore: Alle sei orate e quindici calamari Don Raffaele avrebbe poi fatto seguire una serie di offerte preparate per oliare il meccanismo tributario della procura napoletana e servite in modo da non poter essere rifiutate.
Don Raffaele: Passamelle ‘nu poco ‘e limone
Compare: Eh, eh, nu poco ‘e limone.
Narratore: Faceva eco il compare
Don Raffaele: Miette accà, miette… non troppo asinnò ci toglie ‘o ‘ssapore.
Compare: E’ ‘nu zucchero. Siente, siente…
Don Raffaele: All’avvocato ‘o piezze meglio.
Avvocato: Don Raffaele, non vi dovete dis…
Don Raffaele: Non devo. Io non devo niente a nessuno. Quello che faccio, lo faccio perché lo voglio fare. E piglitevelle, avvocà, che l’aggia ordinato apposta pe’ vuie!
Compare: E addò è che l’avete pigliato?
Don Raffaele: ‘O primme bancone, comme trase inte ‘o mercato ‘e Pozzuoli…
Compare: Do’ scornamuorto!
Don Raffaele: ‘O scornamuorto sta a destra.
Compare: Eh!
Don Raffaele: ‘A sinistra! C’è sta n’omme…
Compare: E ‘nu guaglione!
Don Raffaele: Oì ‘lloche.
Compare: Ce va mugliereme.
Don Raffaele: (pausa. Intuendo che probabilmente anche il compare è cornuto) Ah.
Compare: Si fa portare il pesce a casa.
Don Raffaele: Il pesce a casa?
Compare: E’ bravo.
Don Raffaele: Uh, assaie…
Compare: E tiene a ‘rrobba bone…
Don Raffaele: Hm…
Compare: Buonissimo
Don Raffaele: ‘O vero.
Compare: Se scioglie ‘ncoppe a lingua
Don Raffaele: E’ ‘nu zucchero!
Compare: ‘O veramente, ‘on Rafé!
Anna: (gelida, ironica) Se move arint’o piatto.
Don Raffaele: Che è, tene cocche cosa ca nun te sta ‘bone?
Compare: (come invitandola a trattenersi) Annarè…
Don Raffaele: Ti stai annoiando? Avvocà, e lei solo l’arte, la cultura, noi gente del popolo facimme schife. Intanto se non era per papà tuo, Annaré, a scuola a San Martino non ci andavi, le feste con gli amici non le facevi, la casa, chinne ‘e chesti libri ’ro cazzo…
Anna: Di questi libri non ti devi preoccupare.
Don Raffaele: Ah, ah… e pecché?
Anna: Perché non sono tuoi.
Don Raffaele: Song ‘e l’anima e chi t’è muorto!
Anna: Bravo. Appartengono all’anima di chi è morto
Compare: Hmmm… ‘on Rafé, lasciate stare. (ad Anna) E tu, cerca di tenere un po’ più di rispetto per tuo padre. E… e basta! Ah! Certe cose, tra persone di famiglia non si devono neanche sentire. E basta! Scusate se mi permetto ‘on Rafé ma è così o no?
Don Raffaele: L’aiva lassà ‘nmiezo a ‘nu porto, comme ‘o farenello ‘e l’ammico soie…
Anna: Quale amico mio?
Don Raffaele: (raggiunge Anna a leggio) ‘O figlio ‘ e Ciruzzo. Nunn’è amico toie? Chille ‘nmieze a ‘nu porto l’hanno truato. Che te credive? E’ ‘o figlio ‘e nisciuno. Cocche zoccola che l’ha ittato ‘nmiezo a ‘na strada. Manco a mamma ‘o vuliva. (sottolineando) E tu cu isse te ce truove, è accussì o no? E’ accusì o no? (la prende per un braccio)
Anna: (divincolandosi) Lasciami!
Narratore: Era quasi mezzanotte quando Anna senza dire altro si alzò dal tavolo, scese giù in garage, entrò nella macchina e corse fino a Pozzuoli. Lì le barche stavano preparandosi a prendere il largo e solo su uno sgabello, sotto una lampadina semifulminata, con un piede contro il fianco della paranza ed una maglia della rete avvolta attorno al pollicione, il suo pescatore stava lì (luce su Giovanni seduto in proscenio con una maglia della rete avvolta attorno al piede) come da centinaia di anni, ad aspettarla.
Anche l’attrice adesso è in proscenio ed interpreta Anna
Anna: No mi hai detto nulla…
Giovanni: (vedendola) Anna…
Anna: Perché?
Giovanni: Non ti aspettavo? (va verso di lei)
Anna: Avresti potuto dirmelo. (nota il cumulo delle reti accanto a loro sulla battigia, si ferma a guardarle. Si china, prende in mano un lembo della rete, si fissa su di esso) Me lo avresti potuto dire che anche tu…
Giovanni: (le ferma una mano) Io non mi ricordo niente. Io non lo so. Non lo so che faccia avevano, e perché… perché…
Anna: Hai mai sognato…
Giovanni: Si.
Anna: Lo hai mai sognato…
Giovanni: Si.
Anna: Aspetta.
Giovanni: Vieni!
Anna: Tu non hai mai sognato - almeno - di vedere quando vai in barca… quando vai in barca la notte non hai mai visto qualcosa… qualcosa che la notte, nel mare…
Anna: Sparisce.
Anna: Nel mare… (i due si avvicinano lentamente)

[…] saw each other’s dark eyes darting light
into each other, and beholding this,
their lips drew near and clung into a kiss.

(I due si baciano. Sulla musica la versione italiana e quella inglese si intrecciano)

A long kiss, a kiss of youth and love
And beauty, all concentrating like rays
Into one focus, kindled from above

[…]

They had not spoken, but they felt allured,
as if their souls and lips each other beckoned,
which, being joined, like swarming bees they clung,

[…]

They were alone, but not alone as they
Who shut in chambers think it loneliness,
the silent ocean and the starlight bay,
the twilight glow, wich momently grew less,
the voiceless sand and dropping caves, that lay
around them, made them to each other press,
As if there were no life beneath the sky
Save theirs, and their life could never die.


Their intense soul, into each other poured,
if souls could die, had perished in that passion

Si guardarono negli occhi scuri che si inviarono
luminosi raggi, e vedendo questo,
s’avvicinarono le loro labbra e si fusero in un bacio.

…Un bacio infinito di amore e giovinezza
e beltà, in cui tutto confluì come i raggi
in un fuoco, che bruciava nel cielo…

Non avevano parole, ma si sentirono attratti
come se le loro anime e labbra si fossero invocate,
e una volta unite, come sciamanti api s’avvinsero

Erano soli, ma non soli come coloro
che chiusi in camere si considerano in solitudine.
l’oceano silenzioso, e la baia illuminata dalle stelle […]
la muta sabbia e le umide grotte, che si estendevano
intorno a loro, li fece stringere l’un l’altra
come se non vi fosse vita sotto il cielo
eccetto la loro, e come se la loro fosse immortale

Le loro anime intense si riversarono una nell’altra,
se le anime potessero morire, sarebbero perite in quella passione.

Narratore: Fu nello sguardo di uno dei compari di Don Raffaele, quello che vide Anna scendere dalla paranza di Giovanni sul farsi della mattina, fu con quegli occhi ottusi e senza vita che il destino scelse di recidere la corda che avrebbe abbandonato i due alla deriva più cupa del loro viaggio.
Narratore: Quando un compare corse da Raffaele a dirgli
Narratore: Di aver visto scendere
Don Raffaele: Addò?
Compare: D’a paranza do piscatore Giuanne.
Narratore: Quando un compare corse da Raffaele
Don Raffaele: ‘A Madonna do Carmine!
Narratore: Disse
Don Raffaele: ‘Chella zoccola!
Compare: Gwé!
Don Raffaele: Comme chell’ate zoccola da mamma!
Compare: Ma che dice?
Don Raffaele: Proprio accussì! Chell’ate zoccola da mamma soia!
Narratore: Chiamò cinque dei suoi uomini Raffaele.
Narratore: E disse loro di far visita
Don Raffaele: A chille piezze ‘e carogna che sta mandando a farsi fottere la reputazione d’Annarella, la pace con i Sette Bagni e
Narratore: Qualcos’altro, ancora, che Raffaele si era tanto sforzato di dimenticare quell’incancellabile notte di undici anni fa.
Fx audio di passi che si muovono in un esterno notturno. Un attore passa fra il pubblico con una torcia come se cercasse qualcuno. E’ tutto buio. Quando arriva nei pressi del proscenio, dove l’attore che interpreta Giovanni è inginocchiato, salta sul palco e partono le battute, tutte preregistrate. La simulazione delle percosse avverrà al buio con il solo effetto della torcia che si muove ed il corpo di Giovanni che incassa
Capo scagnozzi: T’a facce passà a forza ‘e mazzate a voglia ‘e fa ‘o Farenello! (pugno)
Ciro: Lasci’o ‘i!
Narratore: Urlava Ciro mentre, fra i banchi dismessi del pesce, gli uomini di Raffaele gli tenevano la testa costringendolo a guardare mentre abbuffavano il ragazzo di mazzate.
Scagnozzo: (pugno) Statte zitto, cornuto! Chistu figlie ‘e zoccola tra ‘e ‘ffemmine soie, ce ne vò metté a coccheruna ca nonn’è cosa… (pugno) Ué Farené! Hai letto i vangeli! E comme sta scritte ‘ncoppe? (prende per i capelli il ragazzo) Avanti dillo! Dillo! (strattona) Non la sai? La parola di Nostro Signore? Allora te la dico io, vabbé? Poi non te la scordare, però… Nostro Signore ci ha detto: “Non desiderare la donna d’altri”. Allora? Che fai Ti converti? Ti converti? Ti vuoi convertire o no?
Giovanni: (in un grido disperato e lacerante) No. No! No! No!
Fx audio di calci a volontà - Giovanni resta a terra semisvenuto
Capo scagnozzi: A’ prossima vota ‘o ‘cciro!
Ciro: Giovanni. Giuanne. Ma che hai fatto? Giuanne, figli’ mì, ma che te sì mise ‘n capo? Giuanne, rispondi! Rispondi! Maronna! Chell’anne fatte a chesta criatura! Figlio mio, che t’hanne fatte!
Narratore: “Figlio mio” era la prima volta che Ciro chiamava Giovanni. Non lo aveva mai chiamato né pensato come tale anche se un motivo c’era per cui vent’anni prima aveva trovato quel bambino in una rete. Ciro questo lo sapeva. Quello che aveva ignorato fino a quella notte era quale fosse questo motivo. Per anni se l’era domandato avvicinandosi a quel ragazzo, un passo dopo l’altro fino a quello in cui cadde in ginocchio Ciro e vide suo figlio, tenuto per i capelli, sputare in faccia ai camorristi quel “No” che avrebbe segnato la sua vita. Fu allora che sentì di non essere mai stato capace di trovare qualcosa per cui davvero valesse la pena lottare, qualcosa senza la quale la vita non fosse più vita.
Narratore: Era mattina inoltrata quando Ciro stava ancora cercando di riparare il banco del pesce mandato in frantumi la notte avanti e passò di lì il vecchio
Narratore: Il vecchio che scriveva.
Vincenzo: Cos’è successo?
Narratore: Lì per lì Ciro non ce la fece neanche a rispondere ma di fronte alle insistenze di Vincenzo alla fine il pescatore trovò la forza per dirgli che il figlio era stato abbuffato ‘e mazzate dagli uomini di Raffaele e, a sentire quel nome, il vecchio ebbe come l’impressione che, da trentasei anni a questa parte, il tempo non fosse più andato avanti. Allora si allontanò. Entrò in una macchina.
Vincenzo: Al centro storico
Narratore: Disse
Vincenzo: Port’Alba.
Narratore: Quando davanti l’antica libreria
Narratore: La macchina si fermò.
Narratore: Vide il proprietario di Zanam correre felicemente verso di lui.
Libraio: Buonasera! (nel frattempo Vincenzo si guarda attorno non curandosi del principale, cercando Anna) E’ un onore averla. (presentandosi) Piacere, Ferdinando.
Vincenzo: (stringendogli la mano) Vincenzo, buonasera
Libraio: (mostrandogli un libro) L’hanno appena portato. E’ lui? Lo aspettiamo da un mese. Ne ho sei casse di là. Per fine settimana li abbiamo venduti tutti. E guardi… Guardi, guardi! (gli mostra uno scaffale) venga… eh! Mi trovi uno che ne manca. Uno! Ce li abbiamo tutti, qui! Io sono un suo grandissimo estimatore, non ammiratore ma se mi permettete “estimatore”… a teatro, quando c’è qualcosa di suo io vado sempre. Le altre mi piacciono, si, ma come vedo “testo di Vincenzo Capuana” Cuncé, faccio a mia moglie - si chiama Concetta – Cuncé, le faccio, vai a prendere dei biglietti! Eh! Hai capì. Eh… Eh… Signor Capuana…. ma ditemi, posso esservi utile in qualche modo?
Vincenzo: Deve esserci una ragazza che lavora qui. (Si guarda attorno) Una ragazza… (si ferma con lo sguardo si di Anna)
Libraio: Anna? Quella ragazza? Quella ragazza lì?
Vincenzo: Si. Credo di si.
Libraio: Quella è la figlia di Eliana Sodani, l’attrice poverella… quella che ha fatto l’incidente con la macchina, lo sapevate? Ma figuriamoci, voi l’avrete conosciuta magari. Era bravissima, mi ricordo, aveva una voce… il marito, Don Raffaele, c’ha messo sei anni per risposarsi di nuovo. E’ un uomo… che deve averne sofferto. Volete che ve la chiami?
Vincenzo: Si
Libraio: Anna! Puoi venire un attimo?
Anna: (arriva) Si?
Libraio: Lo conosci tu al Signor Capuana…
Anna: Si…
Vincenzo: Ci siamo conosciuti quando ancora eri piccola. Sono un po’ cambiato. (Pausa) Ti va… di fare due passi. (al proprietario) A lei ‘spiace?
Libraio: No… vai Anna, vai! Arrivederci Signor Capuana, spero di rivederla presto. Qui ci fa sempre piacere, se passate. (stringendola per le spalle amichevolmente) E’ così Anna, o no?
Anna: Torno subito.
Narratore: Si incamminarono verso il porto i due.
Intro musicale al monologo di Vincenzo. L’attore che lo interpreta si sposta verso il centro del palco. L’attrice che interpreta Anna rimane dietro di lui, un po’ discosta.
Vincenzo: Fu Bernardo a farmela vedere.
Narratore: Disse Vincenzo camminando lungo i bordi della città.
Vincenzo: Tuo padre mandò una macchina a prenderla ed io la vidi voltarsi verso di lui. Era l’autore dello spettacolo che stavano portando in scena. Si conobbero così. Bernardo non capiva più niente, avrebbe fatto di tutto per lei. Ogni giorno inventavano un sogno diverso che potesse distrarli da quello che vivevano, che non potevano cambiare. E lui scriveva pagine a tonnellate, le regalava non so quanti libri, per non lasciarla mai sola, per essere con lei anche quando lei era con tuo padre. Poi un giorno qualcuno li vide e Don Raffaele scoprì tutto quanto. Mandò due macchine a prenderli e li fece portare su, dove tu sai. Io li seguii, senza farmi vedere, senza pensarci. C’era tuo padre e due suoi uomini. Fece inginocchiare Bernardo e gli mise tua madre davanti. Le diede una pistola e le disse di ucciderlo. Bernardo cominciò a piangere, non per paura credo, ma perché non riusciva a credere che tutto dovesse finire così. Tua madre non faceva niente e Raffaele cominciò a sparare a Bernardo sulle gambe, sulle braccia e disse che sarebbe andato avanti tutta la notte se Eliana non si fosse sbrigata a finirlo. Lei iniziò ad urlare, faceva paura tanto del dolore… ma fu Raffaele a sparargli, poi fece chiudere tua madre dentro la macchina e la mandò giù dalla scarpata. I giornali scrissero che lei aveva bevuto, che era uscita di strada. Di lui misero in giro la voce che era finito a scrivere per qualche compagnia in Inghilterra e nessuno chiese altro. Io sapevo che se avessi parlato mi avrebbero ucciso e sono stato zitto, sono stato zitto per tutti questi anni. (si volta verso Anna che assente e senza espressione guarda nel vuoto. Prova a toccarle pietosamente il viso)
Anna: (come destandosi da un incubo) Non mi tocchi! Se ne vada!
Narratore: Anna si allontanò. Velocemente affrettò il passo lasciando quell’uomo guardarla andare via. (buio) Le strade le case, le macchine si avvolgevano attorno il suo corpo e scivolavano lontano. Poi, come un mare, la città fra di loro si richiuse e Anna alzò gli occhi da terra e vide, per un ultima volta, la stessa città di sempre.
Narratore: Tirò fuori dalla borsa il cellulare e chiamò Michele. Gli disse che lo avrebbe raggiunto, al locale di suo cugino, come d’accordo. Attaccò. Accese una sigaretta. Spostò dalla fronte i capelli, batté le palpebre, cercando di non chiuderle…
Voce off: Sta bene? Signorina?
Peppina: Stai bene.
Giovanni: Ce la faccio.
Narratore: Disse Giovanni a Peppina mentre con le braccia faceva leva da un lato e poi dall’altro, come un bambino, cercando la forza di alzarsi.
Peppina: Me vuò fa venì ‘nu dulore ‘n pietto? Chiste vò ascì!
Giovanni: Peppina…
Peppina: Eh?
Giovanni: Lasciate stare.
Peppina: Non ti muovere!
Giovanni: Ma io ce la faccio.
Peppina: Devi stare a letto!
Giovanni: Ma ce la faccio
Peppina: Aggia ditte che hai ‘a sta dinte ‘o lietto.
Giovanni: Non voi non vi preoccupate
Peppina: Io mi preoccupo, hai capì?
Giovanni: Ma stong buone
Peppina: Ma quando mai?
Giovanni: Peppì
Peppina: Gwe?
Giovanni: Tengo che ‘ffa.
Peppina: No.
Giovanni: No… azze, no.
Peppina: Hai ‘a sta a casa.
Giovanni: M’aggia vedé ‘co coccheduno
Peppina: Ma che t’importa!
Giovanni: E’ a vita mia.
Peppina: Uh, gesù, ‘a vita soia. Ma che dici, figlio mie? Ma te vuò fa ‘e fatte tuoie?
Giovanni: E sò fatte mie.
Peppina: Ma statte zitte, ca me so fatte viecchia. Tu viecchia comm’a me non te vuò fa? No? Si? E fatte ‘e fatte tuoie, va. Ca te costa? Vuoi andartene con le turiste? Vattenne co’ ‘e turiste. Te vuò fa ‘a notte chiara chiara ‘nmiezo ‘o mare? E statte ‘nmiezo ‘o mare co chi vuoi tu, però m’hai a fa ‘nu favore… certa gente per te, non deve esistere, non la devi considerare, non c’è. Certa gente non la devi vedere e se la vedi te la devi dimenticare. Dimenticatela, Giuanne, chella guagliona nunn’è fatte d’o tuoie…
Giovanni: E nun se po’ vive accussì.
Peppina: Si vuò vivere, accussì hai ‘a vivere
Giovanni: Prima o poi toccherà anche a voi, Peppì, pure se facite finta ‘e niente, toccherà pure a voi. Perché non siete una donna sola.
Peppina: Comme?
Giovanni: Non siete sola. Conoscete a cheste, a chille, a chill’ate ancora, e a qualcuno prima o poi… e voi dovrete stare zitta perché lo siete stata quand’o fatto nunn’era ‘o vostre. Lo sarete anche quando vi riguarderà. Inizierete a morire dentro, che non vuol dire farsi vecchia. Vuol dire non vivere più, e stare male. Arapete chesta porta, Peppì, fatemi ascì e venite. Ascite pure vuie. Che ve chiudete a ‘ffa? Quelli esistono. Guardateli in faccia perché loro vi guardano a voi. Parlate Peppì, che so fatte vuostre perché il giorno che capita qualcosa a coccheduno ‘e nuie, nessuno s’adda vultà a chell’ata parte.
Narratore: Diceva Giovanni mentre con passo malfermo usciva di casa diretto al molo Procidano, dove la “Quinta madre”, sospesa sull’acqua come il dorso di una creatura marina, lo attendeva per l’ultimo dei suoi viaggi.
Narratore: I motori rintoccavano lenti colpi come passi verso il porto che Juan vedeva stendersi sulla linea all’orizzonte, allargarsi davanti ai suoi occhi e chiudersi come l’abbraccio della donna amata attorno le proprie spalle.
Narratore: A terra salì sul motorino parcheggiato dappresso il molo…
Narratore: Sferzò le briglie d’acciaio verso il cuore di Dona Ana.
Giovanni: Addò sta?
Narratore: Disse all’uomo a guardia della villa di Don Raffaele.
Uomo: E chi sì tu?
Narratore: (in spagnolo) Jo soy Don Juan Armando Guerrilla Fuentes de la Su erte (schitarrata spagnola) he nacido a Sevilla de Don Jose Armando Guerrilla y Dona Inez Fuentes de la Suerte. Estoy aquì para vengar mi honor, defendèr mi pueblo y llevar de vuestras manos ensangrentadas mi perdidamente amada Dona Ana. (fine chitarra)
Narratore: Questo pensò.
Giovanni: Scusate ma, dovrei riportarle un libro.
Narratore: E questo disse
Uomo: Anna non c’è.
Giovanni: Ha detto che se non ce l’ha per mezza notte lo viene a prendere col padre.
Uomo: Così ha detto? E’ a Bagnoli. Nel locale del cugino.
Narratore: Un cosacco non avrebbe saputo essere più veloce mentre con gli occhi pieni di lacrime, Giovanni volava sopra le strade che, come steli di una rosa, si intrecciano attorno il golfo partenopeo.
Narratore: A pochi passi dalla famigerata locanda, non tentò neanche di assicurare il morso dell’imbizzarrito cavallo al palo lì vicino, dal momento che nessuno, oltre lui, avrebbe poi osato domarlo
Narratore: Facendosi largo fra la folla che s’accalcava innanzi all’ingresso della taverna riuscì infine penetrare nel Covo. (inizio fx musica locale - sordina) Tale, bisogna dirlo, era il puzzo di gentaglia e attaccabrighe che ne usciva, che solo per un attimo, Don Giovanni considerò seriamente di girar sui tacchi e tornarsene dov’era venuto. Fu il pensiero di un secondo però, dal momento che cercando di mantenere il suo viso nascosto tra la folla, cominciò a farsi largo nel pantano di briganti e giungendo là dove la sala finiva, come un raggio di luce impregnato sulla polvere
Narratore: Vide il volto triste della perdutamente amata Dona Ana. Non parlava, né ascoltava le voci intorno, le battute, le risate che rumoreggiavano tra i fumi dell’alcool e del tabacco di contrabbando. Quando fu abbastanza vicino da sentirlo sulla pelle, Ana lo vide e, temendo che il suo sposo promesso potesse accorgersi del malcapitato e sfidarlo a duello, si avvicinò all’impavido Don Juan per portarlo lontano.
Luce. Avvicinamento fx audio della musica del locale, delle voci, del rumore di fondo. Giovanni è solo al centro della scena, smarrito.
Anna: Chi è stato? Giovanni! Giovanni! Cosa ti hanno fatto? Ripondi! E’ stato mio padre?
Michele: (Entrando in scena si accorge di Giovanni. E’ completamente ubriaco) Ué Ué… e chi ci abbiamo qua…
Una voce: (dalla folla) Don Giuanne ‘o piscatore!
Michele: (risate) E comme t’hanno cumbinato! Lievete a’lloche, bellezza, asinnò la vesta ti si impregna! Ti si impregna di pesce! Eh! E che sì, surde! Vieni, vieni! Mò t’o faccio vedé io! Ué piezze ‘e carogna! I’ te lievo ‘ro munne! (si avvicina per colpirlo, Giovanni lo scalza e Michele cade. Come se i compari facessero per intervenire, lui li ferma con la mano) Ahhh, deve essere una cosa tra me e chistu figlie ‘e zoccola! Perché cheste sì tu, Farenelle! Tua madre la zoccola faceva, pe’ cheste t’ha ittate ‘ncoppe ‘e rreti ‘e ‘nu piscatore. La zoccola! (tira fuori il coltello) Avanti, che vuò fa? Arò t’aggia accirere? ‘Npietto? (tira il primo colpo, che va a vuoto) inte a ‘na coscia (il secondo) chell’ata coscia, addò? (il terzo) Inte… (si lancia contro Giovanni che gli prende la mano con il coltello, la rigira contro di lui e gliela ficca nelle budella. La gente urla. Anna lo porta via. La folla soccorre Michele. Anna e Giovanni fuggono)
Sulla lenta caduta del corpo di Michele la musica del locale si fa sempre più forte fino a diventare assordante. Poi, quando il corpo tocca terra cade il buio e la musica si allontana
Narratore: Michele si accasciò a terra, con un rumore sordo. Alcuni dissero, quelli che si poterono avvicinare dopo che Giovanni e Anna erano fuggiti, che con un filo di voce lo sentirono piangere mentre cercava con entrambe le mani di togliersi dallo stomaco la lama conficcata. La pozza di sangue si allargava a terra come un’ombra, gli bagnava i pantaloni, i capelli, che ne rimasero intrisi, anche quando fu caricato sulla macchina di suo cugino e portato all’ospedale. Le due notizie fecero il giro di Napoli in pochissimo tempo. Quella dell’accoltellamento del figlio di Sette bagni e, dopo qualche minuto, quella della sua morte. La famiglia Sette Bagni, la famiglia Sodani e chiunque fosse intorno ai loro affari, cominciarono a muoversi per porre termine a quella fuga straziante, quella corsa impazzita di Anna e Giovanni che cercavano un posto dove nascondersi. Furono più di una decina le macchine che cercavano di farsi largo nel traffico, dieci e poi quindici, venti, le moto che si avvicinavano sempre di più a quel motorino scassato dove i due, piegati in avanti, cercavano di farsi piccoli piccoli fra le macchine che intasavano le strade trafficate d’intorno Pozzuoli. E quando finalmente raggiunsero il molo si può dire che gli uomini della camorra fossero tutti lì ad attenderli, pronti a lavare con il sangue ciò che era stato violato. Fu in quel momento però, che accadde qualcosa che nessuno avrebbe creduto possibile.

Canzone

‘E ciente case e Procida
Song ‘na casa sola
‘E ciente mamme e Procida
Nu solo figlio tenene
‘E ciente varche e Procida
Nu solo marenaro
E tutte n’zieme vanno
Int’a la notte chiara
Chistu figlio ch’è pazze,
chistu figlie perduto
chistu figlio truvato
mo ci’o’ iamme a piglià
sempe c’a prepotenza
sta camorra c’accire
chesta gente che spara
pecché vo cumannà
e si nuie ce fermammo
e si avimmo paura
a speranze perdimmo
e puterce salvà
nuie stu figlie tenimmo
che de tutti e lu figlio
e chi le vo fa male
ci’ adda primme ammazzà.
simmo o popolo e Procida
simme gente d’o mare
int’a l’uocchie guardammo
a tempesta do’ munno
e accussi simmo a ciente,
mmane annure tenimmo
pe’ salvare chistu figlio
nun avimmo sparà

nun tuccate e’ guagliune
nun tuccate e’ creature
simmo o popolo e Procida
nun avimmo paura

‘E ciente case e Procida
Song ‘na casa sola
‘E ciente mamme e Procida
Nu solo figlio tenene
‘E ciente varche e Procida
Nu solo marenaro
E tutte n’zieme vanno
Int’a la notte chiara

Narratore: Erano venuti da Procida con le loro barche, in cerca del ragazzo. Avevano smesso di riparare le reti, di pulire i ponti dai residui del pesce, di annodare i tramagli sui pescherecci che portavano i nomi delle loro donne.
Narratore: Queste si erano chiamate dalle finestre: Carmela, Assunta, Annunziata e le altre cento mamme sparse su per i vicoli dell’isola,
Narratore: quando avevano sentito il grido di Ciro che volevano ammazzare Giovanni.
Narratore: Erano scese, con in braccio i ragazzini, da via del Paradiso, dai contrafforti del carcere, da via della Libertà e dalle tante stradine che circondano il porto
Narratore: si erano ritrovate tutte insieme a correre verso le barche, per salvare il loro figlio Narratore: il figlio dell’isola
Narratore: Juan.
Narratore: Ed ora quel fiume di silenziosi corpi di uomini, di donne, di ragazzini, si serrava dietro il passaggio dei due separando la gente della camorra con la città da un lato e Giovanni con il mare dall’altro.
Narratore: La barca navigò percorrendo la strada d’argento che bagnava la luna sollevando la chiglia come nel cielo.
Narratore: La città rimase ad osservarla fino a quando sparì.
Narratore: Poi un suono, leggero, delicato, lasciò una scia luminosa, lontano, prima del sole.


Fine