DOPO LA MORTE… LAS VEGAS!

Commedia in tre atti di 

Marco Vignolo Gargini



PERSONAGGI

Doktor M.
Tilde
Wernher
La Madre



PRIMO ATTO

La scena rappresenta un luogo non ben definito, anonimo. Fondale bianco. Al centro due sedie a sdraio, dove sono seduti Doktor M. e Tilde. In mezzo alle sedie un tavolino da giardino con sopra due bicchieri da cocktail. Doktor M. è vestito completamente di bianco, dalla giacca alle scarpe; il candore del suo abbigliamento contrasta con il nero dei suoi capelli tirati indietro con la brillantina e i baffetti. Tilde ha un abito da sera lungo, blu oltremare, ed è scalza. 

Doktor M.: Un balcone meraviglioso, uno sguardo infinito sulla natura fiera e selvaggia lungo il Paraná. Il mio regno. Se mi abbandonavo per un istante a contemplare i misteriosi nugoli di verde, gli intrecci caotici della creazione, mi sentivo ancora più padrone della mia vita. 

Tilde: Che ne è stato del suo villone?

Doktor M.: Pratica, dunque donna. Mia dolce Tilde, forse tutto sarà stato inghiottito dalla vegetazione. Va bene così. I segreti restano custoditi dai segreti. Nessuno potrà scoprire… Ma, la prego, assaggi il daiquiri che ho fatto appositamente preparare dal mio cameriere personale.

Tilde: Grazie, ma non vorrei fosse troppo forte per me.

Doktor M.: Non deve mica tracannarlo come un bicchiere di vino qualsiasi! Lo sorseggi, lo mastichi come un cibo prelibato, e magari le verranno alla mente i nostri giorni gloriosi. 

Tilde: Me lo auguro. Questo presente che non termina mai mi mette l’angoscia. Ricordare è l’unico modo per sopravvivere quaggiù.

Doktor M.: La mia bella dimora bianca sul Paraná…

Tilde: (sorseggiando il cocktail) Più la guardo e più mi chiedo come hanno potuto dipingerla come un mostro. Così raffinato, così sensibile. Lei è pieno di premure, osserva le piccole cose con l’attenzione tenera di un filantropo, poi ama la natura in un modo… convincente. Io la vedo a scrutare nel microscopio, in adorazione, quasi ci fosse Dio sotto la lente a ricevere i suoi sguardi. No. Lei non è un mostro. Io i mostri li ho conosciuti, avevano le fattezze dell’umiltà e nascondevano l’odio, si dedicavano agli altri, ma guai se gli altri riuscivano a diventare se stessi. Non rinunciavano al male, mai, lo riproducevano pur di riaverlo e fingere di combatterlo. Vorrei conoscere i suoi persecutori.

Doktor M.: Mia cara, che curiosità poco incantevole per una creatura come lei! Si sforzi di immaginarli questi piccoli ottusi burocrati della giustizia umana. Braccare uno scienziato che stava per regalare scoperte immortali alla sua specie. Per loro un sognatore è un criminale da annientare. Ma non annoiamoci ancora. Le voglio raccontare un episodio di quando operavo in uno dei miei esperimenti… Era un’attività affascinante.
(Breve pausa in cui sembra seguire un pensiero improvviso che lo ha distolto) No. Qui è tutto perfetto, non puoi desiderare mai niente perché non c’è niente da desiderare. Mi manca qualcosa che mi contrasti, mi contraddica. Avrei venduto la mia vita per trovarmi così… Ma ora… Cosa è successo? Lei è al corrente…

Tilde: Allora? Non vuole parlarmi dei suoi esperimenti?

Doktor M.: (Si alza di scatto, agitato, punta il dito contro la donna. Durante il suo sfogo passeggia nervosamente qua e là e ogni tanto si piazza davanti alla donna, che resta impassibile, gesticolando in modo frenetico.) Non cambi discorso! Le ho rivolto una domanda, una precisa domanda. Lei è al corrente di quello che mi hanno fatto? Io ricordo un parapiglia nella mia camera da letto, con quattro energumeni che hanno sfondato la porta e… non ho fatto in tempo a prendere la rivoltella dal cassetto del comodino… mi sono balzati addosso immobilizzandomi, uno di loro gridava in ebraico, sì, in ebraico, perché alla fine c’erano riusciti a scovarmi, in combutta con qualche traditore mio compatriota venduto al nemico. (Parla ai suoi antichi assalitori) Lasciatemi, bastardi! Non mi potete toccare, i patti sono di non toccarmi. Io conosco i nomi di quelli che hanno collaborato con me contro di voi e poi sono entrati nei vostri servizi segreti, nel vostro parlamento. Io vi faccio saltare per aria! (Di nuovo rivolto alla donna) Li ho schedati subito ad Auschwitz, e lo sa il motivo? Io non sono mai stato un idiota come quei fottuti spaventapasseri in camicia bruna. Non mi fidavo. E lei pensa che in Argentina ci sia arrivato in cambio di niente? Hanno comprato il mio silenzio.

Tilde: Veramente a me risulta che la lista dei collaborazionisti lei l’abbia ricevuta e non creata.

Doktor M.: Sciocchezze! Sono le menzogne con cui hanno tentato di incastrarmi… (improvvisamente calmo) Vedo che alla fine, mia cara, sta gettando la maschera. Ha retto la parte, complimenti. Dunque, lei sa.

Tilde: Oh, non mi attribuisca un ruolo che non ho.

Doktor M.: Ha finto sin dal primo momento. (Imita il tono usato in precedenza da Tilde) Mi chiedo come hanno potuto dipingerla come un mostro. Lei è pieno di premure. Confessi. Da che parte sta? Lei è tedesca come me…

Tilde: Io conoscevo molto bene Wilma.

Doktor M.: (Torna a sedersi, esausto. Beve il suo cocktail tutto d’un fiato.) Wilma. Meine Liebe. E che ne sa lei di Wilma? 

Tilde: Era mia sorella.

Doktor M.: (Atterrito) Ma… 

Tilde: Doveva proteggermi. Proteggermi da quelli come lei.

Doktor M.: Io, giuro, non le avrei mai torto un capello. Un momento. Sta mentendo ancora! Non vedo alcuna somiglianza con Wilma. Dubito fortemente che lei sia sua sorella. Anzi, ne sono certo. Proteggerla da me! Wilma si fidava di me, mi amava… 

Tilde: Come il boia ama la sua vittima.

Doktor M.: Provocatrice! Ma l’avverto: con me non la spunta. (Vorrebbe bere ancora ma si accorge di avere il bicchiere vuoto). Kellner! Dannato fannullone, non è mai qui quando serve. 

Wernher: (Accorre un cameriere vestito alla francese, con il grembiule nero lungo fin quasi alle caviglie e il classico vassoio ovale) Il signore desidera?

Doktor M.: Non vedi che il bicchiere è vuoto? Riempilo e portamelo, schnell!

Wernher: Ancora daiquiri? 

Doktor M.: Nein. Succo di pompelmo.

Wernher: E la signora?

Doktor M.: Idiota, non vedi che la signora non ha ancora finito di bere? Per lei niente. Vai e portami da bere.

Wernher: Ai suoi ordini. (Esce dando un occhiata di consenso a Tilde)

Tilde: È stato molto sgarbato con me. Una bibita l’avrei gradita. Questo suo cocktail mi disgusta. (Si alza e rovescia platealmente il bicchiere dietro la sua sedia)

Doktor M.: Continui così. Tenti pure di irritarmi. Non andrà molto lontano con questa sua tattica pietosa.

Tilde: Chi le dice che io voglia andare da qualche parte? O che io desideri ottenere qualcosa da lei? Difetta di sangue freddo, Doktor. Prima ha avuto una reazione scomposta, per nulla teutonica. E poi, credere che io sia al corrente della sua fine, dei responsabili della sua fine. Ho solo accettato il suo invito a passare un po’ di tempo sulla plage con lei. Tutto qui. Non ho rivalse, io. (Si siede) 

Doktor M.: Dice sul serio?

Tilde: Perché dovrei dissimulare? Forse lei, Doktor, ha dimenticato che ormai per noi non esistono più conti in sospeso. Dispiace vederla insistere con questa logica da mortali. Siamo arrivati, no? 

Doktor M.: A quanto pare. Ma per me è quasi impossibile rinunciare all’attività. Mi sento vivo, deploro la noia. Se l’arrivo è la rassegnazione… non è il mio luogo.

Tilde: Sono in molti, quasi tutti, a ritenere che non sia il suo luogo, e per ben altri motivi. Però, è stato deciso per il suo trasferimento qui.

Doktor M.: Chi lo ha deciso? Per favore, la pianti con la commedia, mi riferisca cosa sa della mia sorte. 

Tilde: Soltanto che lei è qui con me e non stata io a stabilire la sua collocazione. Fosse dipeso da me… (Con particolare disprezzo) Nemmeno l’Inferno avrebbe dovuto accoglierla, e nemmeno il Limbo.

Doktor M.: Senti, senti. E quale sarebbe, di grazia, la mia giusta posizione?

Tilde: Io l’avrei condannata a vivere in eterno per poterla uccidere continuamente, mein Doktor. 

Doktor M.: (Estrae una pistola dalla giacca e la punta su Tilde)Cosa è successo? 

Tilde: (Impaurita) Ha detto tutto lei. Sono entrati in camera sua. E rimetta a posto quel giocattolo! Vuole uccidermi? 

Doktor M.: Lei è molto fortunata. Magari potessi ammazzarla.

Tilde: Non cambierebbe nulla.

Doktor M.: Una stronza di meno. Come s’è permessa di spacciarsi per la sorella di Wilma? 

Tilde: Senti un po’, mentecatto che non sei altro, dove l’hai mollata la tua amata Wilma? Finché ti ha fatto comodo te la sei tenuta alle tue dipendenze, anzi, diciamo meglio, l’hai sfruttata, e poi te ne sei liberato. E la mogliettina? Brutto bastardo d’un nazista… (Si precipita verso il Doktor M.: tenta di prenderlo per il collo. Il cameriere, appena entrato, molla il vassoio con il bicchiere e separa i due.)
Non toccarmi… Wernher!

Wernher: Calmati. Stai rovinando tutto.

Doktor M.: (Si divincola e esce dalla stretta di Tilde. Raccoglie la pistola che era caduta nella colluttazione e la rimette nella tasca interna della sua giacca.) Tu sei pazza. Pazza. Ora ho capito a che serve la tua presenza. Tu mi controlli, mi spii, e riferisci.

Tilde: Non puoi più fare male a nessuno. Sono finiti i tempi in cui torturavi la gente ad Auschwitz con i tuoi esperimenti dissennati. La tua mente malata ti ha indotto a crederti superiore persino al Terzo Reich, persino a Dio. 
(Al cameriere) E tu, sei sempre lì? Sloggia! 

(Il cameriere raccoglie il vassoio ed esce scotendo la testa)

Doktor M.: (Scoppia in una risata beffarda) Povera ingenua! Ti hanno impartito la lezioncina e tu l’hai bevuta. D’altronde, conviene al mondo intero far credere che fossimo dei paranoici, degli psicopatici, usciti dal consorzio dell’umano intelletto. E invece no. Non siamo stati peggiori di chi ha vinto la guerra. Mettetevi l’animo in pace e giudicateci per ciò che è avvenuto in seguito. Le atrocità non si sono fermate con il nostro ritiro.

Tilde: Tu chiami “ritiro” una sconfitta?

Doktor M.: Quale sconfitta? Dimmi, dolcezza, a che pro si sono mossi i vostri benefattori per salvarci il culetto? Forse non lo sai che coloro ai quali tu hai giurato fedeltà hanno fatto il doppio gioco: dichiaravano di volerci annientare e nel contempo elargivano falsi passaporti, ci indirizzavano… (Si blocca per paura di proseguire)

Tilde: Tu vuoi screditare i difensori della democrazia.

Doktor M.: Democrazia. Quanto suona sinistra questa parola! Un passepartout per imbellettare, coprire e propagandare le nefandezze di sempre. Illudi un popolo d’essere al potere, di avere la scelta di riunire un salotto a cui non partecipa mai. Lo chiamano Parlamento, National congress, Assemblée Nationale, Bundestag, Voulì, e altri nomi da circo. Nessuna forma di governo è la migliore, ma la democrazia è la peggiore perché dà una libertà che non è una libertà, bensì un raggiro compromissorio. 

Tilde: Non sarà la perfezione, però non puoi negare che offre minore sofferenza ai cittadini…

Doktor M.: Sono chiacchiere. Sono chiacchiere. I cittadini iniziarono a gridare “Vive le roi!” per liberare una fortezza che doveva essere abbattuta, dentro la quale non rimanevano che quattro sozzi individui. Era il 14 luglio 1789. Non hanno preso niente.

Tilde: Vallo a dire ai francesi! Ah già, tu il 14 luglio 1940 eri a Parigi a schiavizzarli, i francesi.

Doktor M.: 14 giugno, mia cara. Informati. 14 giugno 1940. I nazisti entrarono a Parigi in quel giorno. E io non c’ero.

Tilde: Un mese prima o dopo, che differenza fa?

Doktor M.: Questo è vero. Sai, talvolta le date servono agli storici per il loro insulso ricamino. (Guarda Tilde con una ritrovata gentilezza) Senza neanche rendercene conto ci siamo dati del tu.

Tilde: Ho iniziato io a prendermi la confidenza… in modo leggermente cruento.

Doktor M.: Ancora un poco e mi strozzavi. (Ride)

Tilde: (Si unisce alla risata) Ce ne siamo dette, eh? Com’è che ti ho chiamato?

Doktor M.: Mentecatto, bastardo, nazista, stronzo…

Tilde: No, stronzo non l’ho detto! 

Doktor M.: L’avrai pensato.

Tilde: Puoi contarci.

Doktor M.: Lo vedi? La sincerità va premiata. Ti ordino da bere.

Tilde: Preferirei un gelatino.

Doktor M.: Vada per il gelatino. I gusti li scelgo io. Per una bella signora come te ci vuole la fragola e qualche frutto di bosco, con uno spruzzo di Kirsch.

Tilde: Niente alcol, per favore.

Doktor M.: Ma è squisito! Su, non fare la sciocchina, fatti servire da un esperto.

Tilde: Visto che l’esperto sei tu… Vada per il Kirsch.

Doktor M.: Kellner! Ora viene il mio cameriere personale. Si chiama Wernher.

Tilde: Lo conosco (Fa un’espressione come se si fosse lasciata scappare qualcosa che non doveva dire).

Doktor M.: Kellner! Ma quanto è lungo, quanto è lungo! Oh, eccoti.

Wernher: (Ricompare con il vassoio) Il signore desidera? 

Doktor M.: Due gelatini alla fragola, ribes, more e mirtilli, con uno spruzzo di Kirsch, per la signora e me.

Wernher: Subito! (Esce guardando Tilde con aria interrogativa e riceve in cambio un gesto di rassicurazione)

In sottofondo si sente una musica.

Doktor M.: (inizia a cantare) Spesso a cuori e picche ansiose bocche chiedono la verità, principi e plebe vengono qua, Madama di Tebe le carte fa.

Tilde: Ma che bella voce!

Doktor M.: Modestamente. Conosci questo grazioso pezzo italiano? È un brano dell’operetta Madama di Tebe. Andava tantissimo ai tempi in cui facevo filosofia all’università di Monaco.

Tilde: Oltre a quella di medicina hai una laurea in filosofia?

Doktor M.: Sì. Gustosissima epoca quella che ho vissuto a Monaco. Vidi Madama di Tebe a teatro con i miei compagni di studi. C’era una cantante che ci faceva andare in visibilio, era la protagonista: Ausonia. Il bel canto italiano e l’avvenenza femminile sono sempre state un mio debole.

Tilde: Sulle donne non avevo dubbi. Credevo ti piacesse di più, che ne so?, Wagner…

Doktor M.: Wagner mi piace…

Tilde: … o Mahler…

Doktor M.: No! No! No!

Tilde: Strano, Mahler è così inquietante…

Doktor M.: Un ebreo convertito è sempre inquietante.

Tilde: Convertito?

Doktor M.: Sì, per ragioni opportunistiche. Ma non mi va di parlarne.

Tilde: Fai un po’ tu.

Doktor M.: A Monaco io mi sono sentito in paradiso. Certo, la città non offriva i divertimenti di Berlino, alcuni dei quali discutibili… Ma Berlino era diventata una Babilonia, la capitale dei pederasti. No, non mi guardare con quell’aria, so già cosa nasconde quell’aria. Troppo tardi per una rimostranza. E voi, piccoli borghesi, lo volete proprio sapere? Vi siete massacrati di parole per ricordare gli ebrei morti nei Lager, non altrettanto avete fatto per i pederasti e gli zingari. Che cos’è questo? Qualcuno merita più considerazione di altri? C’è una graduatoria tra le vittime dello sterminio nazista? In seguito la vostra indifferenza, la vostra pregiudiziale indifferenza, ha imposto il primato della memoria e dei triangoli rosa, rossi, viola, eccetera, non s’è più parlato. Tu stai obiettando che a me non spetta alcuna considerazione sull’argomento. Ti sbagli. Io posso parlarne. Come persecutore ho trattato alla stessa stregua ebrei, zingari, pederasti, comunisti e… asociali. Ho dovuto farlo. La vostra morale zoppa chiede perdono per uno e lascia l’altro a mordere la polvere. Morale piccolo borghese, morale razzista, sì, razzista. Ah, ah, ah! I veri razzisti sono quelli che praticano la pietà dimezzata. Noi, non facendo distinzioni, ammazzavamo chiunque uscisse dai canoni della razza ariana.

Tilde: Le menti perverse praticano un egualitarismo perverso.

Doktor M.: Mia cara, nella vostra bella società noi mettevamo tutti sullo stesso piano.

Tilde: Mi sembra di sentire uno di quei personaggi criminali da romanzo ottocentesco, oppure l’eroe negativo dei fumetti americani, tipo lo scienziato pazzo che sogna di dominare il mondo. 

Doktor M.: Lo abbiamo dominato, per poco, ma lo abbiamo dominato. In fondo è stato dimostrato che un gruppo ben organizzato di menti da manicomio, come le giudicate voi, potevano mettere in scacco l’intera umanità.

Tilde: Anche tu ne facevi parte.

Doktor M.: Io ero al di sopra delle parti. Per i miei esperimenti ho commesso azioni di una crudeltà raffinata, non mi costa niente confessarlo. E già mi ero accorto che le teorie sulla superiorità ariana, sullo slancio vitale, non potevano avere futuro senza il dominio del Terzo Reich. La vostra morale oltretutto è stata sempre così poco pratica, difatti niente ha potuto contro il Male, quando il Male ha trovato clamorosamente impreparati e, diciamolo, indifferenti i tutori delle libertà. 

Tilde: Tu non hai mai avuto una morale?

Doktor M.: Stai scherzando? E che me ne facevo di una morale? Quando sei di fronte ad un interessantissimo caso che necessita di applicazione, di studio, di cimento, devi fottertene delle implicazioni morali. La scienza, la scienza! Wissenschaft über alles!
(Si scuote dalla sua esaltazione ed esclama con forza) I gelatini! Io esigo i miei gelatini!

Tilde: Se li sarà dimenticati.

Doktor M.: Quel rammollito… 

Tilde: Bisogna considerare che il lavoro non gli manca. Avrà le sue ordinazioni…

Doktor M.: D’accordo, voglio essere paziente e attendere. Il tempo non è un problema. Almeno per me non lo è mai stato.

Tilde: Questo è il guaio.

Doktor M.: In che senso?

Tilde: Se tu avessi considerato la tua condizione, diciamo, provvisoria, saresti stato meno assatanato nelle tue ricerche.

Doktor M.: Discorsi da femmina. Non mi si dica che ho preteso di trascendere. Gli studi che ho eseguito sulla genetica sono stati riconosciuti universalmente… sebbene quei pavidi dei ricercatori abbiano avuto il pudore vigliacco di non nominarli mai. Inutile che tu mi guardi così. Pudore vigliacco. Vi sono dei meccanismi alla base…

Tilde: Conosco l’argomento. Non preoccuparti sei passato alla storia per la tua delirante “scienza dei gemelli”.

Doktor M.: Che ne sai tu della “scienza dei gemelli”!

Tilde: Non eri tu quello che cercava di produrre artificialmente dei bambini con gli occhi azzurri…

Doktor M.: Non sei abbastanza edotta sull’argomento. Avrai leggiucchiato qualche testimonianza…

Tilde: Se ne è parlato molto dei tuoi esperimenti, anche lo stesso Simon Wiesenthal…

Doktor M.: Non me ne importa nulla di Wiesenthal.

Tilde: Già. Mi sono sempre chiesta com’è che Wiesenthal si sia mosso molto tardi per trasmettere i tuoi dati…

Doktor M.: (Con grande ironia) Le autorità di Bonn hanno ricevuto il mio indirizzo in Argentina soltanto nel 1959, e il 5 luglio dello stesso anno la procura di Freiburg im Breisgau spiccò un formale mandato di cattura contro di me. Chiesero al governo di Buenos Aires l’estradizione. Peccato. Ero già altrove. Prima in Cile, poi in Perù, e alla fine in Paraguay. (Risata demoniaca)

Tilde: Chi ti aiutò? Adesso lo puoi svelare.

Doktor M.: I morti son morti. A che pro starli a scomodare? 

Tilde: Rimane un mistero il fatto che Eichmann sia stato catturato con tanta facilità, mentre tu…

Doktor M.: Oltretutto te la sei presa persino con Simon Wiesenthal. Non dire di no. Dalle tue frasi si evince una larvata accusa di… complicità.

Tilde: (Con decisione) Non mi permetterei mai!

Doktor M.: E allora, non hai forse dei sospetti?

Tilde: Tu vuoi che io affermi cose che non ho mai pensato.

Doktor M.: La nostra è una grande vittoria sulla morale corrente: in pratica abbiamo instillato dubbi in ogni mente. Per apparire umani l’imperativo ipotetico, secondo le forme kantiane, si fonda sul riconoscimento pubblico della malvagità dei malvagi al fine d’ammantare le istanze dei buoni con il colore della pietà, della misericordia. Ma nell’intimo di ciascuno gli interrogativi contrastano l’atteggiamento di parata. Domandati se sei aliena da qualsivoglia attrazione per il genio del Male.

Tilde: Se Wiesenthal s’è mosso in ritardo ciò non implica che io sospetti di lui. Né che io ammiri l’abilità con cui sei riuscito a nasconderti per più di dieci anni. Né che io mi senta segretamente ammirata dalle gesta dei nazisti.

Doktor M.: Puoi essere sincera una volta tanto.

Tilde: Lo sono. 

Doktor M.: Ne dubito. Per esempio… Che rapporti intercorrono tra Wernher e te?

Tilde: Non ti seguo.

Doktor M.: Prima hai detto di conoscerlo.

Tilde: Avrai capito male.

Doktor M.: Il mio udito funziona benissimo, è al di sopra della media e riesce a percepire suoni negati ad altre orecchie. 

Tilde: Io non lo conosco Wernher.

Doktor M.: Eppure, quando ci ha separati lo hai nominato, con il suo nome di battesimo, e lui ha aggiunto che tu stavi rovinando tutto.

Tilde: E dimmi, perché dovrei conoscerlo?

Doktor M.: Sei tu che devi risponderti. Vagliamo un’ipotesi? Il cameriere non è un cameriere. Wernher ha una funzione di controllo sulla mia persona. Tu collabori con lui sotto mentite spoglie. Mi hai adescato approfittando della mia notoria passione per le belle donne. Sei venuta immediatamente con me, senza battere ciglio, come una sgualdrina…

Tilde: Piano con le parole!

Doktor M.: Come una donna disinvolta. Ti piace quest’espressione?

Tilde: No.

Doktor M.: Neppure questa.

Tilde: Non mi piace il gioco.

Doktor M.: Lo credo bene: non sta andando secondo le tue previsioni. I cenni, le frasi ammezzate, gli ammicchi, sono elementi che io non mi lascio sfuggire. Sembro distratto, vagamente rimbecillito, mentre in realtà i miei sensi captano le sfumature, i piccoli dettagli, ogni cosa. Vorrei che tu accettassi un dato: non ero io ad aver bisogno del Terzo Reich, ma era il Terzo Reich che aveva bisogno dei miei servigi. Gli alleati, i tuoi cari alleati, hanno deliberatamente protetto il sottoscritto. Vincere una guerra non è nulla, l’essenziale è accaparrarsi la parte migliore del bottino. Io ero un bocconcino prelibato. Perseguitarmi? Hanno deciso di tutelarmi finché non si sono resi conto che non ero disposto a farmi comprare. Ti è chiaro adesso il concetto? Con il mio compatriota Wernher von Braun sono stati più fortunati… (risatina).

Tilde: Von Braun non era un carnefice!

Doktor M.: Macché! Ha solamente progettato il razzo V-2 con cui sono stati uccisi alcuni cittadini britannici. Questi sudditi di Sua Maestà britannica possono andare fieri d’esser stati immolati per consentire all’uomo di scendere sul suolo lunare. 

Tilde: Mi hai messo addosso una curiosità: quando ti hanno contattato…

Doktor M.: Sei furba, ma non abbastanza. Il mio labbro tace. Come il tuo. Non vuoi parlarmi di Wernher, non ti decidi a svelarmi i retroscena dell’operazione che mi vede coinvolto. 

Tilde: Ti giuro che avrai tutte le delucidazioni che chiedi, e per te sarà una sorpresa scoprire che gli alleati hanno continuato a proteggerti. E che alleati!

Doktor M.: Il genio ha un alleato che ne vale miliardi: la storia. Si può rimproverare Leonardo Da Vinci per aver realizzato macchine da guerra destinate a Lodovico il Moro, si può sputare su Martin Heidegger per la sua posizione ambigua verso la Germania nazista, si può maledire Robert J. Oppenheimer per i suoi esperimenti che hanno contribuito alla realizzazione della bomba atomica, ma la storia farà piazza pulita del moralismo e deciderà che un genio non ha prezzo e non può essere giudicato.

Tilde: Paragonarsi a Leonardo e Heidegger! Un’alta opinione di sé…

Doktor M.: Detesto i falsi modesti.

Tilde: Mi sembri lievemente inferiore rispetto ai geni che hai citato. 

Doktor M.: Io, come Amleto, non conosco “sembrare”. Delle tue graduatorie sugli ingegni umani non so che farmene. Tu non possiedi una riga su nessun testo, non c’è un saggio o un’opera di varia letteratura che ti ricordi.

Tilde: Non mi lamento. La storia s’è disfatta di me. Perfetto! Il giorno che vedrà l’intera umanità riunita quaggiù, sul pianeta Terra non esisterà più un cane che possa leggere le tue fottute testimonianze. Non ci sarà traccia di te. 

Doktor M.: (Applaude beffardo) Brava! Questa piccola orazione merita un brindisi… Ah! Quel deficiente del tuo amico non ha ancora portato i gelatini. 

Tilde: Lo chiamo io il mio amico. Wernher! 

Wernher: (A passo spedito entra) Ecco i due gelatini alla fragola, ribes, more e mirtilli, con uno spruzzo di Kirsch, per la signora e per lei. Scusatemi se vi ho fatto attendere. In segno di ammenda ho aggiunto due calici di champagne, omaggio della casa.

Doktor M.: Mi hai letto nel pensiero, Wernher. Già, avevo desiderato brindare e tu sei venuto subito con due calici di champagne. (Piccola pausa) Che champagne?

Wernher: Il migliore. Un Dom Perignon.

Doktor M.: Quale annata?

Wernher: (Indeciso) Dovrebbe essere…

Doktor M.: Dovrebbe?

Wernher: Sono desolato, ma non mi sono informato.

Doktor M.: Vieni qua, imbecille, e porgimi il vassoio con la bottiglia e il resto.

Wernher: È vero. Sulla bottiglia viene menzionata l’annata…

Doktor M.: Bella scoperta! (Guarda con cura la bottiglia prendendola dal tavolino su cui il cameriere ha poggiato il vassoio) 2013! Non ho gli elementi per giudicare, io nel 2013 non c’ero più. 

Wernher: Dovrebbe essere un’annata favolosa.

Doktor M.: Senti tu, mi hai scocciato con i tuoi “dovrebbe”. Lo deciderò io se l’annata è stata favolosa. Madame, facciamo questo brindisi intanto.

Tilde: Al 2013!

Doktor M.: No. Brindiamo ai nostri segreti, alle nostre reciproche indagini, alla nostra estraneità.

Tilde: Se vuoi… 

(Si alzano e fanno il brindisi)

Doktor M.: Assaggiamo… (Prima di bere esegue le operazioni di un sommelier) Chardonnay schietto. Profumo inconfondibile. Retrogusto ineccepibile. Peccato che sia chambré…

Wernher: Come?

Doktor M.: Lo champagne non va mai servito a questa temperatura. Un intenditore come me percepisce la qualità del vino, nonostante le sue deplorevoli condizioni. Caro Wernher, ho l’impressione che in questo luogo lo champagne non venga servito abitualmente.

Wernher: Ha ragione. Da quando sono in servizio non ricordo un’ordinazione simile.

Doktor M.: Questa casa è popolata da gente senza gusto. 

Tilde: Questa non è una “casa”, o perlomeno non lo è più.

Doktor M.: Sia quel che sia, i dilettanti che la abitano non hanno rispetto per la raffinatezza. Mi fanno bere del piscio di cavallo!

Tilde: Piscio di lusso.

Doktor M.: Incompetenti. Zotici. Ma dove diavolo siamo, che roba è? Chi manda avanti la baracca?

Tilde: Oh, un tempo era semplice rispondere… Un gioco da ragazzi. La questione non si poneva. I nostri interrogativi riguardavano il resto. Di tutto era lecito dubitare, eccezion fatta per questa verità assoluta. Poi avvenne l’imprevedibile. La notizia non giunse mai perché non era una notizia per l’umanità. Non esistevano inviati, reporters, agenzie di stampa sul posto. E senza costoro, nessuna notizia. Eppure, i destini si compirono su un panno verde e a perdere fu colui che non doveva mai partecipare al gioco. L’autentica Apocalisse. I testi non vennero aggiornati, le profezie gestite dai mortali si incartapecorirono, divennero ingombri per gli scaffali, nuvolaglia per la mente degli studiosi. Mentre il mondo proseguiva il suo futile cammino, rimuginando antiche teorie, qualcuno aveva già deciso di cedere… 

Doktor M.: Per la prima volta tu mi incuriosisci.

Tilde: Non mi curo dei tuoi sentimenti. 

Doktor M.: Chi si è seduto a giocare?

Tilde: Non importa. Io ho assistito alla partita, l’unica, vera partita mai disputata. Potrei riferirti come si è svolta, quali puntate sono state sufficienti per spazzare via le illusioni di millenni. Adesso ricordo le mani, la tensione, lo sconforto. Lui doveva rifarsi, c’era un’ultima possibilità. Cambiare. Credito illimitato, vantaggio infinito. Letale capriccio. Senza colpa. Il peggiore capriccio, quello che manda in rovina tutti. Eccolo, lo vedo ora come allora mentre si accomoda spensierato. Non si fingeva sereno. Lo era. Purtroppo. Avesse avuto paura! Invece lanciò le sue fiches... Vinceva sempre. Durava eternamente la sua fortuna. I compagni che accettarono di seguirlo non si dettero pena. Dov’era il pericolo? Piano piano ricomparvero le illusioni che avevamo perduto, si ripopolarono i conforti… Una scommessa! Riportarci là.

Doktor M.: Forse inizio a intuire.

Tilde: È una magra soddisfazione. Tu non hai osservato la puntata, non hai seguito con gli occhi la pallina d’avorio girare e girare e girare. 

Doktor M.: Su quale numero s’è fermata?

Tilde: Naturalmente sullo zero. Che buffo, l’unico che ha lo sfondo verde, il colore della speranza. 

Doktor M.: Così abbiamo perso.

Tilde: Prima o poi doveva accadere.

Doktor M.: Non lo riconquisteremo mai più?

Tilde: Sbagliato. Si può ancora giocare.

Doktor M.: Vorresti ripetere la partita?

Tilde: La perderemo di nuovo. Dobbiamo giocarne un’altra.

Doktor M.: (Sbadiglia) Con altri giocatori…

Tilde: Basta sostituirne uno, quello che ha commesso l’errore.

Doktor M.: (Continua a sbadigliare) Sì, hai ragione… Che sonno che mi è preso. Non ti spiace se mi riposo un poco?

Tilde: Addormentati. Ci servi in forma. Sarai tu a giocare.

(Doktor M. sta già ronfando. Le luci si abbassano. Cala il sipario.) 




SECONDO ATTO 

A sipario chiuso, sottofondo musicale con volume “brillante”: l’inizio del terzo movimento, Allegro, della sinfonia n° 5 in do minore di Ludwig van Beethoven. Dopo una decina di secondi il sipario si apre sulla scena completamente buia. All’ingresso dei corni nel movimento della sinfonia le luci cominciano, lentamente, ad alzarsi mostrando il tavolo della singolare roulette: Wernher, senza il grembiule da cameriere, fa il croupier; il Doktor M. si trova in mezzo a due donne, Tilde e La Madre, quest’ultima più anziana di Tilde, vestita elegantemente con abito lungo anni trenta. I personaggi si muovono come in una qualsiasi partita di roulette, facendo vedere l’andamento del gioco attraverso la mimica, mentre la luce azzurra cresce d’intensità fino a raggiungere il massimo d’illuminazione della scena quando s’interrompe la musica, esattamente prima del Trio centrale che caratterizza la parte mediana del movimento della sinfonia di Beethoven. Da quello che è possibile intuire, la partita non sta procedendo bene per Doktor M. 

Wernher: Dix-sept, noir, impair, manque! 

Doktor M.: Scheiße!

Tilde: Herr Doktor, non sia volgare!

Doktor M.: Chiedo venia alle signore… anche al croupier. È che ritrovarsi da solo a dover recuperare uno svantaggio colossale mette addosso una certa tensione.

Tilde: Hai tutto il nostro supporto.

Doktor M.: Facile da parte vostra limitarvi al supporto. Ma io devo vincere! Mentre voi potete starvene in panciolle. 

Tilde: Affatto. Ciò che perdiamo non conta; ciò che vinciamo è una goccia nel mare. Dobbiamo sperare nella tua abilità.

Doktor M.: Che non è mai stata assoluta. Anche il più provetto dei giocatori può incappare in una giornata storta.

Tilde: Non si può eccellere in tutto.

Doktor M.: Il numero che è uscito la dice lunga. Diciassette. Un orphelin, un orfano… A voler credere nelle coincidenze…

Tilde: Ci chiedevamo, la signora e io, se non fosse il caso di giocare in modo diverso. Dopo aver puntato sempre sui singoli, potresti provare altre combinazioni.

Doktor M.: Non otterrei molto e l’incerto sarebbe sempre altissimo.

Tilde: Dai, prova un cheval o un transversale.

Doktor M.: (Osservando La Madre con scarsa simpatia) La signora non è molto eloquente. Strano che abbiate potuto scambiare qualche parola.

Tilde: Comunichiamo con gesti convenzionali.

Wernher: Mesdames et Messieurs, faites vos Jeux! 

Doktor M.: Vada per il cheval. (Punta una fiche a cavallo di due numeri)

Tilde: Siamo liete che tu abbia accettato di seguire il nostro consiglio.

Wernher: Les jeux sont faits. Rien ne va plus! 

Durante lo scorrere della pallina i volti dei giocatori sono particolarmente tesi. Doktor M. si accende nervosamente una sigaretta.

Wernher: Vingt-neuf, noir, impair, passe!

Doktor M.: Finalmente!

Tilde: Hai visto? 

Doktor M.: Sono cinquemila dollari moltiplicati per diciassette… Ancora il diciassette!

Tilde: Ottantacinquemila dollari ti sembrano pochi?

Doktor M.: Pochi, molti. Dipende. Se non si ha la conoscenza di quanto ammonta il debito…

Tilde: Non distrarti, concentrati. Insisti. Con questa vincita hai aperto uno spiraglio alla speranza.

Doktor M.: Già. La speranza! La vostra cara speranza. Io non ho mai trascorso uno dei miei giorni appoggiandomi a quel sentimento. La speranza!

Tilde: È ora di farlo. (La Madre fa un cenno a Tilde e le comunica qualcosa con una serie di gesti) Giusto. La signora mi suggerisce, anzi, ti suggerisce di tentare un carré.

Doktor M.: Ma davvero? E accontentiamola. 

Wernher: Mesdames et Messieurs, faites vos Jeux! 

Doktor M. pone una fiche nell’intersezione di quattro numeri, invece La Madre sceglie un numero pieno. Tilde fa la stessa cosa. 

Doktor M.: Dico, siete ammattite?

Tilde: Non ti preoccupare.

Wernher: Les jeux sont faits. Rien ne va plus! 

(Doktor M. ha un moto di stizza)

Wernher: Sept, rouge, impair, manque.

Tilde: La signora ha vinto!

Doktor M.: Quanto ha puntato?

Tilde: Diecimila dollari.

Doktor M.: Piccola incosciente…

Tilde: Rallegriamoci. Sono 350.000 dollari!

All’improvviso la luce dell’ambiente si fa rossastra e si ode una voce fuori campo.

V.f.c.: Leggiadre signore, egregio signore, vi rammento che il debito accumulato è lungi dall’essere saldato. Non posso intervenire direttamente nel gioco, non è nella mia facoltà suggestionarvi, ma confido in voi e, soprattutto, in lei Herr Doktor, che è stato scrupolosamente selezionato per partecipare a questa controversa roulette. 

Doktor M.: Sono onorato per aver ottenuto la sua fiducia e nello stesso tempo sento su di me il peso pressoché insostenibile della sfida a cui venni, mio malgrado, convocato. Se a lei la fortuna non ha arriso, e lei possedeva i mezzi per trionfare su questo tavolo, come potrei io risolvere a vantaggio dell’umanità il problema fatale?

V.f.c.: Nonostante la sua modestia, che mi giunge del tutto nuova, non ho mai dubitato del grado di titanismo che ha guidato i suoi impulsi per tutta la sua vita. È l’ora della riscossa…

Doktor M.: Perché io e non un personaggio meno compromesso?

V.f.c.: Perché lei non si è mai fermato di fronte a nulla. Abbiamo bisogno di spregiudicatezza, di assenza di scrupoli, di amoralità.

Doktor M.: Il Bene chiede aiuto al Male, non è vero?

V.f.c.: Quando occorre.

Doktor M.: E Satana?

V.f.c.: Di lui non ne sappiamo niente. 

Doktor M.: Dov’è andato?

V.f.c.: La domanda va posta in maniera diversa. La domanda è: è mai esistito? 

Doktor M.: Ammetto che mi trova impreparato. Non sono abile negli indovinelli.

V.f.c.: Lei non è tenuto a rispondere. Dimentichi Satana e giochi per riacquistare il bene perduto.

Doktor M.: Perdoni se le ho fatto una domanda del genere, ma d’altronde a noi è sempre stato narrato che le potenze del Maligno possono molto…

V.f.c.: Se avessimo avuto a disposizione queste sedicenti potenze le avremmo immediatamente arruolate per la nostra causa.

Doktor M.: Dunque, mi permetta la licenza, niente Satana, niente Inferno…

V.f.c.: Taccia! Siamo troppo immischiati per poterci trastullare con insulse sottigliezze. Rinnovo il mio invito: la esorto a vincere.

Doktor M.: (Si alza dal tavolo e grida) Non ho tremato di fronte ai russi e non tremerò di fronte a lei e alle sue intimazioni. Se solo volessi potrei abbandonare il tavolo… Lo ha detto lei che sono un titano. Allora, lo abbandono? Ah, non si degna di rispondermi? (Esce dal suo posto e viene verso il proscenio) Si arrangi! Io non voglio cadere in un altro tranello.

Tilde: No, ti scongiuro! Resta. Qualunque sia il risultato non ti succederà nulla.

Doktor M.: E chi me lo assicura?

Tilde: Credimi, è stato stabilito in questo modo. Era una sua disposizione in un primo tempo segreta, ma l’avremmo rivelata qualora tu avessi minacciato di rinunciare. 

Doktor M.: Ho la sua parola?

Tilde: Sì, hai la sua parola.

Doktor M.: Io lo voglio sentire dalla sua voce!

La luce dell’ambiente riacquista il colore azzurro originario. È il segnale che attendeva Doktor M.. 

Doktor M.: (Ritorna dietro il tavolo e si rimette a sedere) La ringrazio. Possiamo riprendere. Questa assicurazione mi trasmette serenità e adesso io continuerò la mia partita con maggior audacia.

Wernher: Mesdames et Messieurs, faites vos Jeux! 

Doktor M. arraffa una pila di fiches e la posa su di un numero. Le due donne lo guardano allibite per un po’.

Doktor M.: Allora? Che avete da osservarmi?

Tilde: Stai puntando 30.000 dollari su un plein… 

Doktor M.: Voi occupatevi del vostro gioco e non badate a me.

Tilde: Veramente, non vedo come.

Doktor M.: So quel che faccio. 

(Dopo un consulto animato tra Tilde e La Madre, le due donne puntano le loro fiches)

Doktor M.: Avanti, croupier, si dia una mossa. 

Wernher: (Con voce incerta) Les jeux sont faits. Rien ne va plus! 

Doktor M.: Su, animo! C’è ancora tempo per rimetterci in sella.

Wernher: Quatre, rouge, pair, manque! 

Doktor M.: (Esultante) Un milione!

Tilde: Più cinquantamila dollari, eccellentissimo Doktor!

Doktor M.: Un milione e cinquantamila dollari. Una sommetta niente male. Quanto manca per raggiungere l’obbiettivo?

Tilde: Veramente non lo sappiamo…

Doktor M.: Che cosa? Ti rendi conto che non è possibile giocare al buio? Occorre un riferimento...

Tilde: Verremo informati quando sarà il momento. Stai calmo. Tutto a posto. È un’altra disposizione.

Doktor M.: Volevo ben dire.

Wernher: Mesdames et Messieurs, faites vos Jeux! 

Appena pronunciata la canonica frase del croupier le luci si abbassano fino a lasciare la scena in penombra. Si ode l’inizio dell’ouverture del Coriolano di Beethoven, a indicare la gravità del momento. Le puntate dei giocatori dovrebbero, se possibile, accompagnare l’andamento della musica. Quando la melodia sfuma, dopo un minuto circa, in concomitanza con la prima variazione degli archi, una figura abbandona il tavolo e si dirige verso il proscenio. È La Madre. I riflettori sono rivolti su di lei, a isolarla dal resto della scena.

La Madre: Il criminale ha nuovamente vinto. Un milione e settecentocinquantamila dollari. 
Avevo due figli. Durante l’orribile viaggio li ho tenuti stretti a me. Ad Auschwitz, appena scesi dal treno, ci imbattemmo in un giovane soldato di Weißenfels, che per fortuna era nostro amico di famiglia. Mi riconobbe ed ebbe pietà di me, dei miei figli. Ho potuto limitare le nostre sofferenze finché Wernher si è occupato personalmente di noi. Purtroppo una mattina Tilde si allontanò dalla baracca e si mise a vagare per il campo. Fu fermata da un signore molto elegante, gentile, che la carezzò amorevolmente e le chiese da dove veniva. Tilde si fidò e non si accorse che quell’uomo era un aguzzino della peggior specie. 
«Dimmi, ragazzina, non c’è nessuno con te?»
«Oh sì, sono insieme a mia madre e a mio fratello.»
«Hai un fratello? E quanti anni ha?»
«Siamo nati insieme. Siamo gemelli.»
«Che meraviglia! E scommetto dieci marchi che lui ha gli occhi del tuo stesso colore.»
«È vero! Lei è un mago.»
«Me lo faresti conoscere tuo fratello? Ho dei bellissimi giochi a casa mia. Verresti?»
Non si erano perduti, i miei figli. Wernher venne a trovarmi, sconvolto, e mi riferì l’accaduto. Scoprirono che noi avevamo avuto un trattamento di favore rispetto agli altri internati. Io, non più protetta, correvo il pericolo d’essere uccisa nelle camere a gas. E Tilde? E Thomas? Se li era presi l’assassino per i suoi diabolici esperimenti… Non li ho più visti, ma lui non è riuscito ad ammazzarmeli entrambi. Tilde si è salvata miracolosamente. Thomas ha avuto la mia stessa sorte. Non siamo sopravvissuti alle camere a gas. 
(Si volta e indica il tavolo da gioco sullo sfondo) 
Adesso è là! Il mio ruolo è quello di assistere alla sua ennesima illusione, e vi parteciperò senza risparmiarmi. Un giorno qualcuno giocò sulla nostra pelle e a nostre spese. Si è venduto tutto: credibilità, amore, rispetto. Chi accettò sconsideratamente di puntare su quei numeri per veder uscire dalla ruota della roulette la vittoria totale… ha raccolto la nostra sconfitta. Tutti siamo finiti al “tappeto”. 
Lui s’inganna se presume di poter riacquistare il…
Non ce n’è per nessuno.
Il mio nome è La Madre. 
Giocherò. Oh sì, giocherò. Qualunque cifra guadagnata non basterà a risarcire l’orrore patito. Chi non c’è, seduto con noi a quel tavolo, è al corrente. Mi lascia fare. Ormai…

La Madre torna mestamente a sedersi, accompagnata dalla luce che riacquista il colore precedente alla pausa e avvolge l’intera scena.

Wernher: Mesdames et Messieurs, faites vos Jeux! 

Doktor M.: Basta con l’azzardo. Un transversale, un sexain...

Tilde: Un po’ di cautela non guasta. Ah, noto con vera sorpresa che la mia amica ha deciso di giocare forte. 

Doktor M.: La devi dissuadere.

Tilde: Posso tentare… (La Madre lancia un’occhiata di fuoco all’indirizzo di Tilde) Inutile. È proprio determinata.

Doktor M.: È un suicidio. 

Wernher: (Ieratico) Les jeux sont faits. Rien ne va plus! 

Doktor M.: No! Ci sta rovinando. Vecchia stronza…

Wernher: Huit, noir, pair, manque!

Tilde: La vecchia stronza ha vinto! 

Doktor M.: Ritiro l’offesa. E… quanto è l’ammontare della vincita?

Wernher: Un milione e mezzo di dollari… 

Doktor M.: Francamente, credevo di più…

Wernher: Quella era la puntata!

Tilde: Cinquantadue milioni e cinquecentomila dollari. 

Doktor M.: Voglia di nuovo accettare le mie scuse per l’incresciosa espressione…

La Madre fa segno a Doktor M. di tacere.

Wernher: Mesdames et Messieurs, faites vos Jeux! 

Doktor M.: Ma… E va bene. Proseguiamo.

La Madre con un gesto incomprensibile si rivolge al croupier, il quale annuisce.

Doktor M.: Io continuo nella mia tattica dei piccoli passi… (Si accorge in ritardo che l’equivalente della vincita della signora viene piazzato dal croupier su di un numero. Reagisce precipitandosi a bloccare il croupier prima che proferisca la formula temuta. Invano.)

Wernher: Les jeux sont faits. Rien ne va plus! (Quasi soffocato dalle mani di Doktor M.) Mi lasci…

Doktor M.: Ti faccio ingoiare la boule!

Wernher sferra un pugno sotto la cintura a Doktor M., piegandolo in due. Aziona la ruota e tira la biglia. 

Doktor M.: (In ginocchio con la voce smorzata dal dolore) Ve ne pentirete…

Wernher: Trente-et-trois, noir, impair, passe. 

La Madre: Un miliardo, ottocentotrentasette milioni, cinquecentomila dollari! 

Doktor M.: (Si rialza ancora dolorante ma entusiasta per la vincita) Meraviglioso, meraviglioso. Signora, si abbia i miei complimenti. Però, forse, da ora in poi, sarebbe più saggio andarci piano, no? Non ne conviene? 

La Madre: Spiacente, non ne convengo.

Doktor M.: Suvvia, signora, non si faccia accecare dal successo. Detto con tutto il rispetto, lei non mi sembra una professionista del gioco.

La Madre: Non è lei ad aver proferito la seguente frase «Io, come Amleto, non conosco “sembrare”»? 

Doktor M.: Sì, sono stato io. 

Tilde: Il che equivale ad ammettere che la signora non è una giocatrice professionista, perlomeno secondo il tuo parere. 

Doktor M.: Cosa volete che aggiunga, mi sembra, cioè… credo che… mi fanno ancora male i testicoli…

Tilde: Prendi tempo e non rispondi.

Doktor M.: Il mio occhio clinico di rado erra. Aver bazzicato svariate case da gioco mi ha permesso di individuare con sufficiente precisione l’aspetto del professionista…

Tilde: Ma l’aspetto non è tutto. E poi il tuo occhio clinico non è infallibile.

La Madre: Io seguo alla lettera i consigli di alcuni famosi professionisti, e, non essendo una abitué, questo mi è di grande conforto. Li vuole conoscere? (Estrae dall’interno del vestito dei fogli di carta, verosimilmente dei documenti) Ecco, in bella grafia, dei saggi sulla roulette scritti da esperti dell’argomento. Il primo si chiama Heinz Stobert. Mai sentito?

Doktor M.: (Resta di stucco) Non ho la più pallida idea di chi possa essere. 

La Madre: Il secondo, ritengo uno svedese, di nome fa Lars Balström.

Doktor M.: (Si deterge il sudore dalla fronte) No, mai incontrato.

La Madre: Che strano. E di un certo Helmut Gregor-Gregory cosa mi sa dire? Eppure era un luminare del gioco…

Doktor M.: (Sempre più imbarazzato) Può darsi lo abbia incrociato, magari a Venezia, o a Parigi.

La Madre: Se è stato a Venezia sicuramente avrà giocato allo stesso tavolo di Fausto Rendon. È l’ultimo dei miei “suggeritori”.

Doktor M.: Perdonatemi. Non sto bene. Il colpo ricevuto… e il caldo…

Tilde: L’emozione per la vincita e per aver ascoltato i nomi di persone a te note.

Doktor M.: Non le conosco, per Dio! Chi sono? E perché mi guardate con quell’aria strana? 

Tilde: Il croupier sta attendendo…

Doktor M.: Vorrei poter rifiatare, magari bere qualcosa per riavermi. Si potrebbe avere un cognac?

La Madre: Come quello che le portava Maurice al Deux Magot a Parigi?

Doktor M.: Ecco un altro dei vostri personaggi immaginari. Maurice! Da dove l’avete scovato costui? Che fantasia malata.

La Madre: Maurice fu catturato il 4 settembre 1944 e internato ad Auschwitz il 7 settembre. La riconobbe e provò a chiederle, a implorarla di intervenire a suo favore. Lei si mostrò estremamente disponibile e… il 9 dicembre 1944 Maurice fu invitato gentilmente a fare una doccia. Non è così che definivate con un eufemismo la camera a gas? O mi sbaglio?

Doktor M.: Lei farnetica, signora. Insomma, vorrei un cognac, o una birra…

La Madre: Magari una Spaten, come quella che in uno dei pittoreschi locali di Monaco serviva Moses ai suoi clienti, tra i quali figurava lei … Ma come si chiamava quel locale dove lavorava Moses?

Doktor M.: Da bere, da bere…

La Madre: Vediamo un po’. Moses ha fatto il suo ingresso ad Auschwitz il 14 ottobre 1944 e il 17 gennaio 1945 ha preso la sua doccia…

Doktor M.: Basta! (Si alza dal tavolo barcollando e si aggira per la scena cercando una via di uscita) Questa penosa messa in scena ostacola il mio scopo. Ho ricevuto un incarico, un altissimo incarico, e voi interrompete il gioco con dei trucchetti, tentate di distrarmi, di confondermi. Non vi interessa della sorte dell’umanità. Solo vostro obiettivo è quello di sabotare il piano per riacquistare… Se qualcuno mi ascolta, allora mi indichi la strada per andarmene da questo luogo maledetto.

Tilde: Molli tutto?

Doktor M.: Cosa vuoi che faccia? Tu e la signora, che non so nemmeno come caspita si chiama, vi siete messe di mezzo per danneggiare la mia impresa. Mi infastidite con le vostre bestialità, e poi quei nomi…

Tilde: Avanti, torna qua. Stavamo scherzando. 

Doktor M.: Io non amo gli scherzi.

Tilde: Ti prometto che continueremo a giocare e non ti disturberemo.

Doktor M.: Non mi fido. E il croupier? Wernher, cameriere dei miei stivali. Non ha fatto nulla per rendere regolare lo svolgimento della partita. Si pretende da me di partecipare a una roulette che non s’è mai vista, una buffonata senza capo né coda. Lui l’ha definita “controversa”. Per voi sarà pure normale che tutto si compia in tal modo, voi in fondo non avevate spazio nella bella società. Siete plebei, e per i plebei la roulette e la tombola sono la medesima cosa. 

Tilde: In Paraguay esistevano dei casinò?

Doktor M.: Naturalmente. Persone d’alta classe, nobili, professionisti, rigidamente selezionati e rigidamente in smoking. Ovviamente di lingua tedesca. Occupavano i tavoli del chemin de fer, del baccarat, della roulette…

Tilde: Niente poker?

Doktor M.: Buono per i gangster, non per noi.

Tilde: Oltre a te, chi frequentava le sale da gioco di Asunción?

Doktor M.: Vedi che ti riveli per ciò che sei? Una povera plebea. Pensi subito a Asunción perché è la capitale. E secondo te dovevamo andare là a fare la nostra parata…

La Madre: Lei ha ragione. Noi non abbiamo mai visitato quei luoghi di piacere. Già, il piacere! Il guaio è che se anche l’avessimo visitati non ci sarebbe rimasto molto nelle nostre memorie per farcelo rammentare. Ma ora, la prego, torni a sedersi. Ha la mia parola che non le verrà più dato fastidio.

Doktor M.: Voglio un’altra garanzia. La pretendo. Cara signora, sarà bene che da adesso in poi lei la pianti di menare le danze con le sue puntate sfrenate. Condurrò io il gioco, giacché spetta a me l’incombenza. Sono un uomo d’onore, quindi porterò a termine il mio compito, vada come vada. Ci siamo capiti? (La Madre annuisce) Molto bene. Come potete vedere mi sento meglio e torno al mio posto. Ah, un’altra cosa gradirei con tutto il cuore…

Tilde: Dì pure.

Doktor M.: Il vostro silenzio. E poniamo anche un’ultima condizione… Tilde, tra noi due opterei per il ripristino del “lei”, o del “voi”. Voi vi siete presa una confidenza eccessiva. È bene che ognuno stia al posto suo.

Tilde: (Guarda il croupier e riceve l’assenso; La Madre posa una mano sul suo braccio come dire ‘fa’ come dice lui’) Se ciò le aggrada.

Doktor M.: Mi aggrada. Senza dubbio. E tu? Che aspetti, deficiente? Schnell, recita quelle quattro parole pronunciate orribilmente che hai imparato in fretta e furia. Sbrigati! 

Wernher: Mesdames et Messieurs, faites vos Jeux! 

Doktor M.: Sei un bravo bambino quando ti ci metti. Così mi piaci. Vediamo un po’. Ho qui trentamila dollari e li punto tutti su… questo numero. E voi non azzardatevi a copiarmi. Andate liscio.

Tilde: Però mi sembra eccessivo che lei…

Doktor M.: Ho detto silenzio! Puntate, poco, ma puntate. Sta a me risolvere la questione.

Tilde: Finora non è stato così brillante.

Doktor M.: Vuole chiudere quella bocca?

Tilde: Obbedisco.

Doktor M.: Sehr gut. 

Wernher: Les jeux sont faits. Rien ne va plus!

Doktor M.: Vedo con piacere che avete accettato i miei consigli.

Wernher: Quatorze, rouge, pair, manque! 

Doktor M.: Vai, ritira i tuoi trentamila dollari. E dai alla signora il corrispondente del suo transversale.

Wernher: Sono cinquantacinquemila dollari.

Doktor M.: Tu pensa a darglieli e ricominciamo.

Wernher: Mesdames et Messieurs, faites vos Jeux! 

Adesso tutto avviene nel più completo silenzio, le puntate, il rollio della biglia, la dichiarazione del numero uscito.

Wernher: Les jeux sont faits. Rien ne va plus!

Doktor M. si accende una sigaretta.

Wernher: Vingt, noir, pair, passe!

Nuovamente si abbassano le luci e Tilde avanza verso il proscenio.

Tilde: Sta perdendo. Ma a cosa è servito tutto questo? Lo lasceremo in balia dei suoi risentimenti. Non fa altro che rimpiangere la sua gioventù infinita, l’infinita chimera. Ha lavorato una vita a realizzare un mostro, e quel mostro è lui, nemmeno ben riuscito, tra l’altro. Credo non gli importi nulla di vincere, dal momento che non è mai stato presente nei suoi giochi passati. Poverino, ha eseguito gli ordini della sua immaginazione irrimediabilmente compromessa. Non la riagguanterà più. Né ora, né mai. Impossibile riacquistare una beatitudine promessa e mai realizzata. Quando una giornata non si riscatta e ti arrovelli disperatamente per vivere una o un milione di vite, con tentativi inutili, assurdi, effimeri, hai l’eternità di contro che si prostituisce gratis, o a prezzi proibitivi, o svendendosi per cessata attività… Non si riscatta. E lui è quel giorno. Lui vi viene a trovare di notte, nei vostri sonni inquieti, come chi non c’è più, ma da straniero della luce del sole vi ammonisce: «Non sono terminati i miei effetti in voi, non potete considerarmi prigioniero dei vostri incubi. Io sono i vostri incubi, e li tengo sotto stretta sorveglianza. Io vi scruto dall’alto della mia assenza perché sono la coscienza abortita. Non torna, non può tornare ciò che non nasce, non s’incenerisce assieme al mio corpo scomparso; non giaccio inerte sui lenzuoli di carta sollevati da mani pigre per destarvi dai torpori dell’oblio; non mi sciolgo nell’acqua che deglutite ma resto invisibile in fondo al bicchiere… Eppure, cercate di prendermi con un cucchiaino, vorreste liquidarmi, mandarmi giù. Io sono il deposito incorporeo che non si mischia e troneggia nel cavo dei calici, si fa beffe della schiuma in superficie, testimonia l’imperfetta soluzione.»
Avete visto un gioco che si è svolto per occupare lo spazio svuotato della speranza, la speranza di riguadagnare la speranza. Sono stati minuti per voi, per noi gocce sospese che non cadranno mai. Le immagini apparse e svanite, quelle che appariranno ancora e ancora svaniranno, tutte riproveranno a rimestare i vostri sentimenti, a sciacquarvi la bocca dai sapori aciduli, a ripulire le mani che il sangue ha macchiato. 

Dal buio della scena non illuminata Doktor M. urla. 

Doktor M.: Il mio gioco si è spento. Questa è una fase delicata, lo riconosco. Se solo avessi meno dilettanti al mio tavolo a ostacolarmi. Ma io non mi lascio coinvolgere. Avanti, c’è tempo per rifarsi… 

Wernher: Mi dispiace, la partita è finita.

Doktor M.: Finita? Non ho ancora vinto…

Wernher: Lei ha perso. 

Doktor M.: No. Questa interruzione è arbitraria… 

Wernher: Si faccia i conti da solo. Per saldare il debito lei dovrebbe giocare senza rimessa fino alla fine del tempo concesso al genere umano. 

Doktor M.: Quanti anni, quanti secoli, quanti millenni?

Wernher: È impossibile. Lei è troppo sotto. Due minuti fa avrebbe potuto farcela, poi è iniziato il crollo.

Doktor M.: Due minuti soltanto? Io in un minuto sbanco tutto.

Wernher: Lei in un minuto ha decretato la fine di tutto.

Cala il sipario. 



TERZO ATTO

La scena si presenta adesso come un’insolita aula di tribunale: il tavolo usato nel secondo atto per la roulette ospita Tilde e La Madre, che siedono dietro nelle posizioni occupate esattamente in precedenza. C’è in mezzo un posto vuoto, quello dove sedeva Doktor M.. In alto campeggiano, appesi come bandiere, sei enormi triangoli di diverso colore (viola, nero, blu, rosso, rosa e verde) con in mezzo una stella di David gialla della stessa dimensione dei triangoli. Doktor M., di lato a destra e davanti a Tilde e La Madre, è seduto in qualità di imputato sulla sedia a sdraio del primo atto, con il solito tavolino accanto. Wernher, anch’egli di lato e davanti rispetto alle due donne, ma a sinistra, rappresenterebbe la pubblica accusa. 

Doktor M.: Come potete pretendere che io accetti questa ritorsione? Che fine ha fatto quella disposizione che garantiva la mia incolumità? Io non ho niente da aggiungere e non mi debbo difendere. Ho fatto il mio dovere. Non è dipeso da me l’esito della partita. E questo baraccone cos’è? Hanno messo anche le bandiere… (si accorge della stella di David e la indica) Ah, è un processo sionista! 

Tilde: Nessun processo sionista.

La Madre: Non è un processo.

Tilde: Anche se ne ha tutta la forma. 

Doktor M.: E la sostanza! Secondo voi il mio trasferimento in questo luogo è normale? La somma da raggiungere in caso di vittoria era ignota, o perlomeno non specificata, però, caso strano, la sconfitta è stata decretata praticamente subito.

Tilde: Non siamo qui per parlare della sua sconfitta alla roulette. Ha notato questa donna che è qui con me? La riconosce? 

Doktor M.: Siamo di nuovo agli indovinelli. Io non la conosco. Io non la riconosco. Non so chi diavolo sia. Io soffro di prosopoagnosia.

Tilde: Cosa sarebbe?

Doktor M.: È una benedizione che mi impedisce di riconoscere i volti delle persone note e non. Io dimentico subito la fisionomia degli individui.

Tilde: Non ci prenda in giro!

Doktor M.: E se volessi? Voi siete ridicole. E quel cameriere arruolato come pubblico ministero è un’oscenità. Non avete alcun diritto di fare un processo. Chi di voi è laureato in Giurisprudenza?

Tilde: Qui la laurea non ha corso.

Doktor M.: Naturale! Questo è il regno dei poveri di spirito, la repubblica degli stolti. E il giudice supremo dov’è? Lui potrebbe farne a meno di una laurea, però si rimpiatta sempre… (ride sguaiatamente)

Tilde: Assassino e blasfemo!

Doktor M.: Modera i termini, donnetta!

Tilde: Continui pure a fare il gradasso. È finita la sua fortuna. Definitivamente finita. Non può opporsi.

Doktor M.: Io non mi oppongo. Io non mi pongo. Me ne resterò qua ad infinitum a sorseggiare le mie bevande. Alla vostra salute…

Tilde: Schiatterà di sete!

Doktor M.: Sei proprio cretina. Non posso schiattare. Io rispetto a voi rimango immortale, perché… (si alza e cammina lentamente verso il tavolo con aria di sfida) perché non potrete mai fare a meno di me. Chi si spoglia della sua angoscia in questa landa depressa e deprimente? Io incarno la cattiva coscienza; sono l’ambasciatore della perversione che si realizza; l’araldo di un popolo che finge di non sapere, di non ricordare; io sono l’aspirazione segreta dei mediocri che come me avrebbero voluto giocarsela la propria fetta di malvagità; io sono la bile di tutti coloro che hanno messo a cuccia i desideri più indicibili con il narcotico delle pie intenzioni. Però niente e nessuno dorme eternamente. Il risveglio avviene, ed è peggiore del sonno. Ve li vorrei introdurre questi mostri, uno a uno, presentarveli, e la fila sarebbe interminabile. Le cosiddette anime belle, i buoni samaritani, i misericordiosi. (si volta verso il suo posto) A quanto pare là sopra c’è un delizioso cocktail. Con permesso. (torna a sedersi e beve provocatoriamente). Preparato come si deve! Bravo Wernher! Allora, cosa stavo dicendo? Ah, i misericordiosi. La lunga schiera dei personaggi, dei pavoni spennati, allineati per dimostrare che la loro vocazione è il bene del prossimo. Si atteggiano con quella postura pretesca, con la pantomima della loro umiltà, così smaccatamente affettata, così ostentata, così esibita! Io ho conosciuto un grande benefattore, un collega che s’è ritirato per curare i poveri appestati del continente africano. Abbiamo discusso da pari a pari. Eravamo d’accordo su tutto. Mi fece intendere che per lui salvare, riscattare, e quant’altro, le povere anime piagate dalle malattie assumeva un valore diametralmente opposto a quello ritenuto ufficiale. Lo volete sapere, signore e signori? Lui era un grande, un profondo razzista. Una sera mi colpì molto una sua espressione. “Senza la nostra cultura la terra sarebbe già un deserto. Noi siamo qui a dispetto di quel pasticcione che ha creato un pianeta invivibile, e siamo favoriti da un intelletto forgiato dai nostri studi superiori. La scienza è nata in occidente, con ciò noi possiamo sperare di difendere una vita oppressa dalla maledizione di una natura all’apparenza rigogliosa, paradisiaca, in realtà infernale. Latet anguis in herba. Se non interveniamo lasciamo alla morte la libertà di commettere le sue porcherie”. Capito? Noi uomini occidentali, di razza bianca, noi nordici che il sole non ha ammorbato con il suo volgare calore, con i suoi raggi che riducono l’encefalo in poltiglia! Guardate come si è sviluppata la civiltà, quali sono le vette raggiunte dall’ingegno umano, dov’è che il pensiero ha tramutato in atti le sue fantasie? Geograficamente, c’è una parte del globo che ha prodotto il genio, in tutte le sue manifestazioni. La natura, sì la natura, ha scelto chi favorire. 

Tilde: Non mi stupiscono le sue affermazioni. Lei, come tutti i criminali, tira in ballo la natura per giustificare i suoi delitti. Questa è un’altra idea delirante della sua teoria barbara, omicida. È la sua filosofia, la filosofia della bestia trionfante che gode a veder schizzare il sangue dalle ferite delle sue vittime. Ma il razzista di cui lei parla non sarebbe mai stato d’accordo con le sue idee malate.

Doktor M.: Sai solo piagnucolare, come un povera femminuccia sentimentale.

Tilde: Taccia, assassino! Io sono una persona, mentre lei ha rinunciato a esserlo.

Doktor M.: Chi sei tu che osi giudicarmi?

Tilde: Basta! La smetta di darmi del tu con quel tono di disprezzo. Lo dico subito chi sono, o meglio, chi ero. Vi fu una bambina ad Auschwitz che giocava con il fratello tra l’immondizia e il fetore dei morti. Si chiamava Tilde… Thomas era suo fratello… Una mattina io, da sola, correvo tra una baracca e l’altra e urtai contro un signore che usciva da una casupola. Questo signore portava sulla divisa nazista un camice bianco. Distinto, ben nutrito, lo si vedeva dalle gote paffute. Mi raccolse da terra e mi chiese se mi ero fatta male. Interrogava, con gentilezza, ma rivelando una curiosità che non riuscivo proprio a comprendere… Mi scappò detto che avevo un fratello gemello, e a lui si illuminarono gli occhi. Fece promesse di giochi, di cibi, di tutto, a patto che lo andassi a trovare assieme a mio fratello. Non dissi niente a mia madre, mi comportai come una vera egoista, vedevo già le merende, le bambole, i giocattoli che non avevo nella baracca… e coinvolsi Thomas in quello che sarebbe stato il suo tragico epilogo. Per un po’ di pane e marmellata, per qualche caramella, lui ci tratteneva… ci drogava, ci faceva delle iniezioni, ci dava in pasto alle più basse libidini dei suoi compagni aguzzini. Io fui stuprata, obbligata a eseguire pratiche sessuali d’ogni tipo. Thomas finì nelle grinfie di un grasso gerarca dagli occhi porcini. Abusò di lui finché non si lasciò prendere dalla paura d’esser scoperto. Non l’avrebbe passata liscia se fosse stato accusato di farsela con un bambino, ebreo per giunta. L’unico modo per non correre rischi era eliminare l’unico testimone. Thomas. Mio fratello. Intanto il signore distinto con il camice bianco non mosse un dito. Aveva perso una cavia, pur preziosa, ma si mise immediatamente alla ricerca di un’altra coppia di gemelli. Peccato, i russi erano ormai alle porte, e lui pensò bene di far fagotto. Io fui scaricata. Ricordo quando tornai da mia madre e… e non la vidi. Restai sola in mezzo al campo a osservare con le lacrime agli occhi la liberazione… Un soldato russo mi prese con sé e m’affidò a una donna che si occupava del recupero dei bambini superstiti. 
Basta. Non mi va di spendere una parola di più. Credo che adesso tu abbia capito il perché io oso giudicarti.

Doktor M.: Non ti piacevano, pardon, non le piacevano le caramelle? Le pupattole non erano di suo gusto?

Tilde: Bastardo! Lei è quel macellaio con il camice bianco. 

Doktor M.: Finalmente abbiamo scoperto chi sono.

Tilde: E lei, la riconosce?

Doktor M.: È una che non sa giocare alla roulette!

Tilde: Non è qui per scherzare, assassino! Questa signora è mia madre.

Doktor M.: Abbiamo riunito la famiglia!

Tilde: Mancherebbe solo mio fratello, Thomas.

Doktor M.: Già. Perché non è qui con voi?

Tilde: Non è presente, però esiste. Lei non lo vede, ma lui è una scheggia ficcata nelle sue carni.

Doktor M.: Insomma, che volete da me? Togliervi qualche soddisfazione? Troppo tardi. Niente potrà restituirvi Thomas.

Tilde: Noi abbiamo raccolto molto materiale. Madre, porgimi, per favore, le tue carte. (La Madre consegna a Tilde i fogli che aveva esibito nel secondo atto) Bene. Le piacerebbe dare un’occhiata al dossier che ne è venuto fuori? Ma io invece lo consegno al pubblico ministero. (Wernher va a prendere gli incartamenti su invito di Tilde) Un po’ di atmosfera, prego. (si abbassano le luci generali, mentre rimangono due spot su Doktor M. e su Wernher).

Wernher: (legge) Nato il 16 marzo 1911 a Günzburg, secondogenito di Karl, noto industriale bavarese, e Walli.

Doktor M.: Confermo. 

Wernher: Nel 1928 si iscrisse al Partito Nazionalsocialista, entrò tre anni più tardi nelle Sturm Abteilungen, da cui uscì, dopo la ben nota epurazione del 30 giugno 1934… 

Doktor M.: Epurazione! La chiami con il suo nome.

Wernher:… dopo la ben nota epurazione del 30 giugno 1934, passata alla storia come “la notte dei lunghi coltelli”.

Doktor M.: Oh! Ci voleva tanto? Comunque io non ho mai approvato le tendenze sessuali di Röhm e compagni… 

Wernher: Laurea in medicina a Francoforte e in filosofia a Monaco, titoli che le saranno revocati dopo la guerra dalle autorità accademiche. (pausa) Nulla da eccepire?

Doktor M.: I titoli restano miei. Delle autorità accademiche me ne fotto.

Wernher: Aderì opportunisticamente alle SS e ottenne i favori dei vertici del Partito per le sue doti scientifiche. 
Doktor M.: Per caso in quei brogliacci vengono menzionate le mie opere?
Wernher: Abbia la compiacenza di ascoltare. Dov’ero rimasto? (riprende a leggere) Aderì opportunisticamente alle SS e ottenne i favori dei vertici del Partito per le sue doti scientifiche tanto da ottenere un primo incarico nel Lager di Buchenwald. 
Doktor M.: Possibile non vi sia scritto nulla dei miei brillanti studi universitari?
Wernher: (cerca il punto sul foglio che riguarda la carriera universitaria di Doktor M.. Lo trova) Nei suoi studi universitari si dedicò alla ricerca sull’antropologia fisica e sulla genetica. Pare abbia lavorato sotto la direzione di Otmar von Verschuer all’Istituto di Biologia ereditaria e Igiene della razza all’Università di Francoforte. Era questo che desiderava sentire?
Doktor M.: Più o meno.
Wernher: Fu poi trasferito ad Auschwitz con la qualifica di Hauptsturmführer-SS e di medico. Nel campo di concentramento di Auschwitz si contraddistinse per i suoi aberranti esperimenti nell’ambito della dottrina dello slancio vitale e della biologia della cosiddetta razza ariana. La sua attività criminosa in tale contesto è certa e ampiamente documentata. 
Doktor M.: Questi documenti sono di una reticenza vergognosa. O è lei che li legge saltando le parti che meno la interessano?
Wernher: (si rivolge a Tilde e a La Madre) Debbo riferire anche dei suoi articoli cosiddetti scientifici?
Tilde: Riferisca.
Wernher: È con vero imbarazzo che mi tocca pronunciare simili nefandezze. Non posso esimermi dal farlo. Citiamo dai documenti pervenutici tre titoli di articoli pubblicati di argomento “scientifico”: Esame razziale-morfologico della porzione anteriore della mascella inferiore di quattro gruppi razziali… 
Doktor M.: Questa era la mia dissertazione all’Istituto Antropologico presso l’Università di Monaco.
Wernher:. Il secondo si intitolava Studi genealogici sui casi di fenditura del labbro, della mascella, e del palato… 
Doktor M.: Anomalia congenita più nota con il termine volgare di labbro leporino, ossia la labioschisi che io ho analizzato in riferimento alla analoga mancata unione delle due metà dell’osso mascellare, nonché del palato, ovvero la palatoschisi. Uno studio genetico davvero interessante… 
Wernher: E poi abbiamo Trasmissione ereditaria delle Fistulae Auris, pubblicazione da considerarsi congiunta con le ricerche effettuate sul principio di Lenz-Vershuer riguardo l’irregolarità del processo ereditario dominante.
Doktor M.: Sarei entrato nell’Accademia con questo studio…
Wernher: Sennonché tra il 1938 e il 1939 ebbe inizio la sua carriera militare, con una prima esperienza di sei mesi presso un reggimento di fanteria leggera. Nel 1940 venne collocato nel corpo medico di riserva e per tre anni fu al servizio di un’unità Waffen SS. Ferito in combattimento, fu dichiarato inabile…
Doktor M.: Specificare, prego. Fu durante la campagna di Russia che venni ferito in uno scontro con il nemico, e per questo, per il mio valore militare dimostrato, nominato capitano... Mi guadagnai sul campo la più alta onorificenza: la Croce di ferro.
Wernher: Siamo giunti al capitolo del suo arrivo ad Auschwitz. Nel 1943. Intanto, risponda a questa domanda: perché Auschwitz? 
Doktor M.: Perché mi offriva la possibilità di proseguire le mie ricerche.
Wernher: È vero che ha ricevuto dalle autorità dei finanziamenti per i suoi studi?
Doktor M.: Normali supporti economici che venivano elargiti a chiunque operasse nell’ambito del programma statale.
Wernher: E il programma statale prevedeva anche di minacciare un suo collega affinché collaborasse con lei? 
Doktor M.: E chi sarebbe stato questo collega?
Wernher: Lei offrì al Professor Epstein l’opportunità di veder prolungare la propria vita, si badi bene, ho detto prolungare e non salvare, in cambio della stesura di un documento scientifico che lei avrebbe poi pubblicato con il suo nome…
Doktor M.: Che bestialità! 
Wernher: Questo per evitare d’essere richiamato al fronte e giustificare la sua presenza ad Auschwitz come quella di uno scienziato.
Doktor M.: (si alza furioso) Non tollero queste offese! Mai avuto bisogno di tali mezzucci per lavorare ai miei esperimenti, e mai, mai, mai sono ricorso all’estorsione dell’intelletto altrui. Il mio non aveva e non ha eguali. Figuriamoci, io che rubo una pubblicazione e la firmo con il mio nome! (si siede con aria strafottente) Vada a vedere quello che succede nelle università dei vostri dannati stati democratici, andate a prenderli là i professorucoli che spacciano per propri gli scritti degli studenti.
Tilde: Continua a giustificarsi? Lei che è stato accusato per crimini contro l’umanità, lei che ha selezionato, ucciso con iniezioni letali, torturato le sue vittime? Ad accusarla ci sono i sopravvissuti ai suoi esperimenti, tra cui io.
Wernher: Vostro onore, mi permetto di interromperla per dedicarmi alla lettura della sezione chiave di questo dossier, quella che descrive i suoi esperimenti.
Tilde: Vorrei poterla non ascoltare. Ma è bene che lei la legga.
Wernher: (legge) Per poter approfondire le sue ricerche sulla cosiddetta “scienza dei gemelli”, l’imputato selezionò un numero esorbitante di bambini che presentassero le caratteristiche da lui richieste. Non esistono cifre esatte, però pare che furono 3000… o almeno 1500 coppie di gemelli, ad essere presi nel campo, portati in apposite baracche e sottoposti ai suoi esperimenti. (si ferma visibilmente scosso e beve un po’ d’acqua)
Doktor M.: Già, avrei sete anch’io…
Tilde: Taccia! Il pubblico ministero non ha ancora finito.
Wernher: Posso continuare. Allora… (riprende la lettura) I bambini venivano portati in un grande edificio e sottoposti per tre giorni a esami di natura psicologica e per altri tre a esperimenti di laboratorio. Le vittime erano costrette a spogliarsi, a farsi fotografare, ad essere visitate in ogni parte del loro corpo, a subire estenuanti misurazioni, quali la circonferenza del cranio, la lunghezza delle braccia, delle gambe, eccetera. L’esame poteva durare otto ore. La parte dedicata agli esperimenti di laboratorio includeva il prelievo di sangue e l’iniezione di sostanze tossiche, nella fattispecie fenolo. A seguito del decesso, i corpi delle vittime erano trattenuti e sezionati per altri esperimenti… (esausto) Scusatemi, ma non ce la faccio più… È troppo! 
Doktor M.: Una storia avvincente, non c’è che dire. Non capisco il motivo per cui voi ve la prendiate tanto con me. Provate a riflettere su ciò che avviene normalmente nei paesi democratici, con tutti i crismi della scienza medica. Non per apparire monotono, ma vorrei sottolineare che accadono cose ben più gravi nelle cliniche, negli ospedali psichiatrici e non dei paesi civili, e tutto sotto l’egida dei ministeri della Sanità pubblica… 
Tilde: Continua a sottrarsi alle sue responsabilità?
Doktor M.: No. Non mi sottraggo. Ciò che ho commesso in passato non lo rinnego. E lo rifarei. Il problema è un altro: a voi non interessa accusarmi d’aver perduto la partita che dovevo vincere, perché tanto non l’avrei mai vinta. Perché non era una partita. Mi avete preso per un deficiente? Il vostro intento mi è chiaro ormai. Sono giunto alla conclusione che spiega il vostro accanimento: non essendo stato condannato da chi doveva farlo, da chi si presumeva avesse avuto l’autorità e il prestigio per farlo, avete organizzato una messinscena fin troppo evidente nelle sue mire: farmi pagare l’impunità di cui ho goduto. Approfittando dello stato attuale di vacanza di potere, di anarchia vigente in questo luogo, vi siete adoperati per provocare un evento artificiale, una finzione per poter scaricare su di me, a posteriori, i motivi di questa perdita fatale. 
Tilde: Ammettiamo che sia così.
Doktor M.: Ma è così! Non esistono altre spiegazioni. La tesi della sparizione di un miraggio prende forma. Riproponiamo pure la vostra immagine, la vostra metafora. Un bel giorno ci accorgiamo di aver creduto soltanto a una nostra intima ambizione: veder pagare il male compiuto. Che significa? Significa che le incongruenze del sistema, il Caos prevalente sull’ordine, o supposto tale, non hanno più un riscontro in termini di risarcimento per chi subisce un torto incomprensibile. Morire per niente, assistere alla violazione dei corpi, delle anime senza poter intervenire, e senza alcuna garanzia che il delitto venga castigato. Allora, ecco la trovata più squallida per legittimare ciò che si è perduto: l’eternità giusta per i giusti e dannata per i dannati, la quale finisce su di un panno verde e… (fa un gesto a indicare la scomparsa di questa eternità) Non c’è più! (risatina cinica) Non commentate, eh? Sfido io, è impossibile, e dunque è vero! Il regno dei cieli? Ci deve essere dopo la morte un regno dei cieli che esalti la dolcezza, la mitezza, la generosità, la benignità, la gentilezza, la magnanimità, la pietà, la carità… Promesse, promesse, promesse. La fede rende beati, gli empi si scotteranno il culo al fuoco dell’inferno, e bla, bla, bla. E invece… dopo la morte… Las Vegas! Un tavolo da gioco, una roulette, una slot machine, un circo sfavillante con tutti quanti, ma proprio tutti! E in questo casinò globale ancora sconfitte per gli sconfitti della vita, ancora trionfi per i criminali, o perlomeno nessun privilegio secondo la logica dei mortali che prevede premi per la rettitudine e pene per l’iniquità.
Tilde: Non doveva sopravvivere alle sue stragi. Non doveva.
Doktor M.: Cara mia, non dipende da me. Vuole la vendetta? Vuole la vendetta!
Tilde: Io voglio giustizia per la morte di mio fratello, di mia madre…
Doktor M.: Sono stato salvato dai promotori della sua giustizia! E lo sa. Mai sentito parlare della “pista romana”? 
Tilde: Certo, sappiamo che molti sopravvissuti del Terzo Reich furono aiutati da ambienti ecclesiastici…
Doktor M.: Vede, politicamente io ero un’ottima merce di scambio. Conoscevano la reale natura dei miei crimini. Quei quattro incartamenti luridi che sono stati letti adesso sono sciocchezze al confronto con i documenti in loro possesso. I crimini per fini scientifici, ideologici, religiosi, cosa diventano allora? Argomenti da trattare a seconda delle convenienze. Ma, basta. Io non sono l’autore della commedia. E se non vi piace, peggio per voi. 
La Madre: Noi non cerchiamo vendetta. Lei si sbaglia, perché ha delle aspettative sbagliate, e ha ragione perché non è mai esistita una partita… e non stiamo tenendo un processo, né qui, né lassù, o laggiù. In verità, noi non siamo qui, non siamo stati lassù, non andremo laggiù. Ma lei è dappertutto, e da nessuna parte. Ha ucciso, è scappato, le hanno donato un lasciapassare con cui ha potuto riparare in America del Sud… 
Doktor M.: Ce l’ho ancora, se vi interessa. Tuttora ha la sua validità.
Tilde: È evidente! E adesso dove si trova con il suo lasciapassare? A discutere, a tentare disperatamente di dare un senso a ciò che non è riuscito a realizzare. Lei è condannato a rimanere eternamente con i suoi insuccessi, che considera delle affermazioni.
Doktor M.: Condannato? Io? I condannati siete voi! Voi che non avete ottenuto giustizia in terra e nemmeno quaggiù…
La Madre: Lei è condannato a essere un nome, con i suoi attributi delinquenziali. Non creda di vedere in me un giudice che opera sotto l’egida di un diritto universale. Io ho rinunciato a giudicarla, l’ho fatto subito quando ho visto che i promotori della giustizia, che non è mia, non è nostra, si stracciavano le vesti scendendo al suo livello con il loro fanatismo ipocrita. Considerarla dal punto di vista morale è l’errore che permetterà a lei d’essere conservato come perseguitato, ma spogliato della sua umanità, annullato come persona. No, non sono morta per questo. Non sono morta per sentire sbraitare i filistei che mi strumentalizzano e niente hanno appreso dalla mia tragedia. Lei per me è un uomo e sempre lo sarà. 
Doktor M.: Porge l’altra guancia, eh?
La Madre: Un teschio porge solo le ossa. 
Doktor M.: Se questo non è un dibattimento processuale, se non ho giocato alcuna partita per riscattare un bene perduto… Cosa significano queste, non so come definirle…
La Madre: Queste azioni? Intanto non v’è lo scopo che lei hai prospettato in principio. La nostra Las Vegas è falsa, falsa l’aula di tribunale dove siede attualmente. Non esiste niente che sia autentico in questa ricostruzione. L’unico vero elemento è lei, con le sue rovine, con i suoi delitti, con i suoi titoli imbrattati di sangue. Noi viviamo adesso e poi torneremo a riposare. Per noi il riposo è l’oblio. Per lei no. Stavolta è stato convocato come buffone in questo spettacolo, come fenomeno da baraccone…
Tilde: (con il tono di un presentatore del circo) Ed ecco a voi il sanguinario Dottor Josif Mengele!
La Madre: La tragedia vera è che lei, Doktor Mengele, ha detto cose giuste, terribilmente giuste. No, non mi riferisco alle sue visioni paranoiche sulla superiorità della razza ariana, sullo slancio vitale, sulla scienza dei gemelli. Lei ci hai confermato che una partita, una almeno, si è giocata e tutti abbiamo perduto. Ci troviamo, dopo la nostra estinzione, su quest’isola senza nome. Inutile battezzarla. Fatica sprecata. Nessuno può più ambire a una collocazione adeguata. Siamo ospiti di una casa che non è nostra, né mai lo diventerà. Stranieri lo eravamo, stranieri lo siamo tuttora. 
Wernher: C’è una cinica Provvidenza in tutto questo. Non le succederà nulla, come le è stato promesso. Ma neanche a noi succederà niente. Nulla. Niente. 
Tilde: Abbiamo giocato l’unico gioco che ci lasciano giocare: sognare di condannare un’anima maledetta.
Doktor M.: Un sogno agitato.
Tilde: Meglio il nostro sogno agitato del silenzio che ha preceduto e seguito la strage. Un silenzio che travalica l’umanità. E invece, ecco il clamore, il clamore che nel 1985 si fece quando trovarono i resti di un uomo e li identificarono frettolosamente come quelli del Doktor Mengele.
Doktor M.: Non erano i miei, lo sanno tutti.
Tilde: Non lo sarebbero stati comunque, anche se fossero stati i suoi. Lei è stato ucciso dai sicari del silenzio. 
Doktor M.: Chi li ha mandati questi sicari? Dio?
Tilde: No. 
Doktor M.: Allora… Satana!
Tilde: Nemmeno. Non c’è un nome per il mandante. Si rassegni. Lei è condannato a non sapere mai chi è stato. L’unica cosa che può fare e starsene qui a sorseggiare i suoi cocktail.