EDIPO atto 0

di

Gabriele Ametrano



Parte prima


(La scena è separata dalla platea da un velo, abbastanza trasparente da vedere le ombre ma giustamente opaco per non permettere la percezione chiara dei personaggi e dei loro movimenti. Ha un buco tondo nel centro, posizionato all’occorrenza del teatro, per permettere allo spettatore la visibilità parziale della scena) 


L’Oracolo

(Il pubblico entra in sala. Insieme al pubblico, in platea c’è anche l’attore che reciterà la seconda parte – parte del padre-, vestito in modo non riconoscibile. Le luci si spengono, il teatro rimane buio e il monologo comincia con voce fuori campo) 

Quale responso potrà rendere le vostre orecchie fiere delle parole ascoltate? Quale luce vi salverà dal buio dell’innocenza senza schiacciarvi nei bagliori del crudele sapere? 
Avete domandato la ragione dei giorni a venire a colui che torto potrà fare al vostro cuore. Mai visioni più ignobili potevano essere versate a queste terre, che umide saranno di pianto e rammarico nel cieco sapere. 
Coprite gli occhi e oscurate le parole che da voi verranno, poiché solo rovina troverà colui che nella luce interroga l’animo oscuro della verità. 
Miserie, orrori, atrocità: solo questo sarò capace di mostrarvi. 
Null’altro c’è nella storia, null’altro nel futuro.
(pausa)

Lui, che dei figli suoi dovrà scoprirsi fratello e padre insieme, a lungo si pentirà. Nel mondo vacillerà all’oscuro della vita che con tanta forza ha voluto conoscere e con tanto ardore cancellare alla propria vista.
Della donna che lo diede alla luce, figlio e sposo sarà. 
Dal grembo si unirà al bagliore e in esso troverà l’oscurità. 
Di suo padre compagno d’amori sarà, ed uccisore insieme.
Sulla strada troverà la morte colui che vita ha donato,
e sulla stessa via il fato si compierà.
(pausa)

Quale tra gli uomini felicità conosce, oltre la vana parvenza e il sogno?
Ascoltate avete le parole che domani saranno luce. 
Ora tornate al vostro uscio e godete del giorno, 
della semplicità dei gesti vostri e mai venga la voglia di tornare a quest’altare.
Colui che chiese conosce ora la disperazione 
e nella maledizione troverà la sconfitta della sua ricerca. 
(pausa)

La vita interrogata, di verità si vendica.



Il Padre

(Nel teatro buio. L’attore nella platea comincia il monologo del padre mentre, in successione e con continuità, delle luci illuminano posti della platea che sono occupati da uomini. Ogni pausa nel monologo indica un cambio di inquadratura, che una sola volta, alle parole “Da quella madre mai…”, illumina l’attore ) 


- Un urlo straziante -


Quale maledizione nel mio seme!
Quale sciagura il mio destino!
(pausa)

Io, uomo che padre volli divenire.
Io, che procreai la mia stirpe.
Quale maledetto destino ascolto, ora, da questo responso.
(pausa)

A te avrei dato il mio sapere
e nelle tue mani avrei lasciato la mia casa.
Figlio dai sogni benedetto, quale speranza doni al mio avvenire
se non la distruzione del mio lavoro?!
(pausa)

Nei tuoi passi vedevo l’ombra dei miei desideri,
pianto e ingiuria ora lasciano le orme sulla polvere, 
nel cammino che intraprenderai. 
Tragica sorte sarà in quel grembo amato 
ove luce potrai vedere.
Che essa sia la tua tortura!
(pausa)

Da quella madre mai carezza avrai,
infida serpe, che nel ventre suo vorrai rientrare.
Ti abbandonerò alla disperazione, 
ti lascerò marcire lontano da questa casa,
lasciandoti il destino assassino
che la vita proclama alle mie orecchie.
(pausa)

Voglio chiuderti nel buio dei ricordi, 
celando la tua esistenza alla luce del mondo 
poiché d’esso non sei degno, 
affinché d’esso non sarai mai padre! 
(pausa)

(l’attore posizionato in modo utile, uscirà dalla platea e interpreterà la parte quarta – l’Edipo nascituro)



La Madre

(Sulla scena si accende una candela. La donna in stato di gravidanza cammina, si siede, gira intorno alla candela sempre accarezzandosi la pancia. Un canone accompagna musicalmente il monologo, ripetendosi fino ad essere ossessivo )


È nella luce che l’uomo si fa cieco.
(pausa)

Nel bagliore della ragione, in quell’aria che riempie i polmoni di consapevolezza. E le orecchie che traboccano della voce della verità, le unghie che solcano la realtà. 
Perché non rimani qui, dentro questo bozzolo che ti protegge? Perché vuoi venir fuori? Tu sarai dannato dal giorno in cui verrai ai miei occhi. Tu che ora scalci, che laceri di
dolore questa donna che ti ha in corpo, perché cerchi la verità?
È stato un sogno vederti fiorire, lasciarti crescere nelle mie carni e poi cullarti con le
mani in grembo. 
Ma ora il tuo destino è vicino e questa voglia che hai di uscire allo scoperto ti renderà cieco di luce, 
ti farà consapevole di cosa è il mondo qui fuori, 
di quali difficoltà avranno le tue gioie a vivere e quanti passi saranno la tua rovina. Smetti di cercare il vuoto, 
di dirigerti in questa fessura che sarà solo la tua maledizione. 
Mai potrai conoscere l’infinità del mondo e la tua curiosità morirà con te nell’attimo esatto in cui ti accorgerai di essere solo. 
Non lasciare il buio, ti perderai nei sentieri del sentimento. 
Ti prodigherai per muovere le tue pulsioni scoprendo il tuo passato e ti accorgerai che
tutto è solo nel buio. 
Allora lascia stare l’uscita, rimani, rimani…
(pausa)

Mai avrei gioito nei baci e le carezze se avessi saputo quali pene porta il tuo vagito. 
Mai avrei cercato di tenerti nell’amore, nel corpo caldo che avido bevve nettare di vita.
Quella voce di note sovrane che svela il patimento, mai l’avrei ascoltata. 
Avrei coperto il suono alle orecchie e tu ora saresti gioia ai miei occhi.
(pausa)

Nega il tuo destino, lascia che la tua testarda vita resti nel buio dell’incosciente felicità.

(La donna spegne la candela ed esce. La scena si fa buia)




Edipo Nascituro

(la scena si riempie di nebbia e un uomo brancola nei fumi, camminando in stato d’ansia avvicinandosi alla tela toccandola con le mani ma mai al buco. Alla frase “Erompa ciò che deve,…” si scaglia contro la tela con vigore. Lo stesso canone del monologo precedente accompagna l’attore, ma il tempo sarà molto più lento e i toni saranno altissimi, quasi dei gridi. La platea viene immersa da luce forte bianca che proviene dalle spalle dell’attore recitante, che lo fa vedere agli spettatori solo come contorno)


Non sia mai, ch’io mai veda quel giorno! 
Voglio uscire dalle tenebre per gettarmi nella luce!
E tu, madre mia, che gridi di terrore, lasciami andare coi miei malsani piedi verso il destino che finalmente ci renderà uniti nel vedere!
(pausa) 

Genti mortali come rassomiglio le vostre vite al nulla. Chi di voi conosce la felicità? Solo nella sua parvenza credete di vivere, voi che nascondete al cuore la realtà.
Non cercar la luce? No, mai: non posso!
Erompa ciò che deve, e squarci il velo: voglio vedere per umile che sia la mia vita!
(pausa)

E tu che m’attendi lascia andar le forze mie, liberami da questo freddo buio che m’avvolge l’anima: permettimi di conoscere l’esistenza che illumina lo spirito.
Voglio scalfire la realtà con le mie unghie, colmare le orecchie delle urla della verità e nel bagliore della ragione riempirmi i polmoni di consapevolezza.
(l’uomo è schiacciato col corpo alla tela)

È nel buio che l’uomo si fa cieco.


(l’uomo scivola a terra abbattuto e la scena si fa buia)




Parte seconda



Proiezione di un video.

Il video rappresenterà in bianco e nero e senza audio una simbolica rappresentazione dell’Edipo Re e dell’Edipo a Colono di Sofocle. 
La danza e dei movimenti scenici saranno la chiave di lettura del testo classico, ripresi in una prospettiva particolareggiata e con tecnica cinematografica a frammenti.

Durata: 10 minuti circa.


Parte terza


Edipo e Giocasta dopo la morte


(cadendo a terra il velo viene tolto dalla scena)


( sulla scena i due personaggi, rivolti verso la platea rimarranno immobili durante tutto il dialogo con le braccia lungo i fianchi. Una luce bianca intermittente di grande intensità comincerà ad illuminarsi dietro gli attori alla frase “Tu, che del piacere condividesti…”, con tempi imprecisi ma veloci, interrompendosi alla frase “Mai potere né ricchezza…” lasciando, così, la scena al buio)


Edipo: Nella notte s’immerge la mia anima,
galleggiando in queste tenebre d’oltremare.
Gli occhi miei la luce han visto nella terra d’orribili sciagure
che il destino mi donò al passo.
Portai su me tutti i mali ma nessuno fu da me prescelto. 
Del padre mio fui la strada per l’Ade 
e del ventre, che nascituro mi vide, fui seme incosciente.
Verità volle la luminosa stella a rischiarar la via 
ed io camminai nel chiarore ch’essa mi rendeva.
S’avverò la sentenza 
e dal baratro le parole risalirono alla soglia dei miei vagiti.
Vietai la vista al mio essere, la luce al mio cuore
che di cecità era corrotto
ed in patria ospitale lasciai cadere il mio corpo errante. 
Ma non paga è ancora colei che in vita mi tolse la felicità.


Giocasta: In questo silenzio d’oblio lasci che le parole scalfiscano l’aria?
Già nel sole ci perdemmo in lamenti e atroci sventure, 
abbandonate ora sono le verità che ci afflissero.
Perché anche qui, 
lontano dai pianti dei cari e dalle orme dei nostri piedi,
condanni il tuo destino? 


Edipo: Tu, che del piacere condividesti la dannazione e della carne la mia
nascita,
non vedi il sangue che copre i simulacri d’oro nella culla dei tuoi figli, miei fratelli?
La maledizione percuote gli arbusti del potere e nella furia solo le foglie cadono dei rami più deboli.
Fabbricando colorati congegni di logica, 
con ogni cosa dissimulano l’audacia violenta dei loro animi 
e del falso unguento ricoprono le orecchie dei primogeniti.
I padri di buio riveston la prole e d’olio di terre lontane inumidiscono le proprie membra che nell’orgoglio brancolano lucide. 


Giocasta: È la guerra dei padri che nei figli prosegue. 
Sacrifico è il liquido che nelle vene scorre di coloro che tardi imboccarono il cammino. 
Il male crollerà sotto la luce della spada che gli anziani donarono ai giovani.

Edipo: Quale malvagio nemico si combatte nelle tenebre? 
Come possono veder la luce gli occhi che chiusi brandiscono l’arma?
Nel miraggio costruiscono il proprio destino,
di diamanti e diademi s’abbigliano e d’essi vanno alla ricerca,
inviando alla conquista schiere di combattenti che nulla conoscono della verità.
Tuoni e lampi furoreggiano nel cielo nero, 
e bagnano le lacrime delle madri la roccia sepolcrale
per quei corpi di cui hanno avuto parte.


Giocasta: È il costo della battaglia il pianto delle donne.
Nei padri risiede il coraggio e la saggezza 
e della luce investono i figli poiché d’essi sarà poi il regno. 
La cieca fiducia delle anziane parole è la purezza dell’animo.


Edipo: L’impuro nel dubbio trova la luce
ed è limpido l’animo di chi conserva incertezza delle parole ascoltate.


Giocasta: Nella luce trovasti il dolore, 
e così vuoi che la stirpe trovi il suo male?


Edipo: Una sola parola tutti gli affanni uccide.
È nell’amore della verità che ogni altare accende i focolari.
Mai nella menzogna i padri immolarono la prole, mai il prezzo degli orpelli dorati raggiungerà il valore del seme che procreò la vita.
Vedo i figli spargere odio e tormento su coloro che figli sono, nel chiarore di un giorno che solo le folgori rischiarano.
Quale saggezza appare nelle menti di coloro che morte coltivano attendendo il frutto sacro degli dei? 
Mai potere né ricchezza potrà nascere dalla sofferenza altrui che nel buio vediamo come nemici. 
Nella luce conosciamo le nostre fattezze e solo con essa riconosceremo la tragedia della nostra stirpe.