Emergency exit

di

Laura Bucciarelli


Personaggi:
Reika
Venditore



Scena prima


In scena, un armadio chiuso. Dall’armadio proviene una voce.

REIKA – C'era Goldrake, c'era Mazinga Z, Gig robot d'acciaio con le lame rotanti, ma il meglio era Daitarn III. C'erano due ragazze formose con lui. Mi piaceva essere Reika, bella, intelligente, decisa, invidiosa della compagna biondona svampita. Attacco solare!
Mi piaceva essere Atena e decidere il destino degli uomini, mi piaceva essere Gesù ed essere il destino degli uomini. (pausa) Incarnato. (lunga pausa) Mi piaceva essere quell'atleta che vinceva tutte le corse di fondo e mezzofondo. Non mi ricordo il nome, era famosa, vinceva tante medaglie. (pausa) Sì, essere. E non è che mi sarebbe piaciuto, mi piaceva proprio perché io diventavo, io ero. Io sentivo. Stavo su un divano rosso che avevamo in sala e si aprivano delle porte. Entravo e... (lunga pausa) Volevo andare a vivere a Milano. Mi pareva sufficientemente grande, anonima e lontana. Una città crepuscolare. Avrebbe potuto essere Copenaghen, ma intorno agli 8 o 9 anni non mi sarebbe mai venuto in mente.
Gesù era estremo. Era il centro del mondo che si era creato. No, che qualcuno gli aveva creato. Era nella pipì a letto quando la zia mi cambiava tutte le lenzuola e poi mi copriva con la trapunta di raso rosa. Ma Gesù era lì? Sul comodino, tenevo tutte le parabole da leggere e rileggere. Mi piaceva il fatto che qualsiasi evento andasse sempre a buon fine. Perché c’era un buon fine verso cui andare. Bei tempi, quelli… (pausa) però non devo esagerare, il buon fine esiste sempre, è eterno. “Accettiamo il suo assegno salvo buon fine.”  E cose simili. Il buon fine del denaro. Del capitale...  (lunga pausa) Comunque, salvo buon fine, mi sono decisa a farmi staccare il telefono. Ancora non l’hanno fatto. Provo. “Bip, bip, bip, bip, ore undici, cinque minuti, cinquantanove secondi.” Riprovo. “Bip, bip, bip, bip, ore undici, sei minuti, venti secondi.” Tanto, se suona, non rispondo.
Quando facevo la baby–sitter, non rispondevo mai al telefono e nemmeno al campanello. Non era mica casa mia. Mettevo le mani sulla bocca ai bambini, tenendoli stretti stretti, e non rispondevo. Quando squillava il telefono, bastava guardare i numeri sul display. Alcuni li conoscevo e comunque nessuna risposta. Tanto eravamo ai giardini, a comprare il pane, in piscina, stavamo rientrando e non abbiamo fatto in tempo, stavo facendo il bagno alla piccola. Poi tutti prima o poi mi hanno mandato via. Sarà stato per quello? Ma che importa. I bambini sono noiosi. Troppe richieste da soddisfare. Ore piene di cibo. Avanzato, che schifo, con tutta quella bava innocente. Non ho mai fatto niente di male. Le madri sono isteriche, qualsiasi cosa facciano. Che siano avvocati o abbiano, a loro volta, la madre morente isterica da assistere.
Iniziò con la mia vicina. “Perché non mi tieni la bambina, tanto non hai niente da fare?” E ti prendono sempre dalla parte del senso di colpa. Non hai niente da fare, renditi utile. Ti pago, anche se non ce ne sarebbe bisogno perché tanto stai tutto il giorno a girare per casa o stesa sul divano. Quindi ti premio, do un senso al tuo tempo. Certo che accetto. È proprio una bellezza la bimba, con quegli occhi a palla e le braccia e le gambe agitate da non so quale scossa elettrica.
Eccomi qui, sono pronta. “La mattina a colazione latte e biscottini, quelli secchi, li trovi nello scaffale a destra in alto. Dopo, una passeggiatina. Non troppo tardi, ché fa caldo. State all’ombra. Portati sempre un biberon con un po’ di acqua e uno con la camomilla. Quando è fuori non si agita, ma non si sa mai. Se piange, la ingozzi di camomilla, così si condiziona da subito e impara che si deve calmare immediatamente.” Forse non mi ha detto proprio così. “A pranzo tienila leggera, i suoi alimenti li trovi in frigorifero, nel ripiano in alto. Se si sporca cambiala immediatamente così non puzza di acido. Sai, la frutta specialmente… prima però aspetta l’eventuale rigurgitino o ruttino o vomitino.” Anche se a me la bimba sembra grandicella e può digerire da sola. “Dopo pranzo, riposino. La metti nel suo lettino e ti accucci a terra accanto a lei cantandole quella canzoncina che le piace tanto. Non so se la conosci. Ti fornisco il testo e un cd che potrai ascoltare a casa per impararla correttamente. Se non riesce a dormire e piange, usa la camomilla. Durante il riposino potrai prepararle la merendina per quando si sveglia. Una mela grattugiata con un po’ di limone. Non prepararla troppo presto sennò diventa nera, ma neanche troppo tardi sennò la piccola si spazientisce e mica le puoi dare la camomilla di continuo. Mi raccomando i tempi. Dopo la merendina, puoi fornirle una serie di giochi didattici che potrai trovare dentro il box. Non sollecitarla più di tanto. La scoperta autonoma ha una grande importanza.” Va bene. Grazie. Vado con il passeggino ai giardini, mi siedo su una panchina, un cane mi lecca l’alluce destro e mi fa il solletico. La piccola si lamenta. Allora riparto. Saluto il peloso.
Questa assenza, assenza non documentabile. Assenza di tutto. Assenza da tutto. Nel prendere il gelato e lasciarlo sciogliere sul passeggino, in testa a questa creatura, a queste creature. Il dolce shampoo che si solidifica in una pellicola appiccicosa piena di formiche in coma glicemico. Tanto, dopo il rientro a casa, si può fare il bagnetto. La dolcezza rende felici i ragazzini. La promessa di un profumo, la carezza del latte, non li rendono infelici, no. La dolcezza li rende felici. Mi riprendo e cammino.
Le madri non avrei voluto conoscerle. Non avrei voluto conoscerne nessuna. Avrebbero dovuto lasciarmi un bigliettino con le istruzioni e tanto basta.

Si sentono rumori provenienti dall’armadio, come se Reika rovistasse.

REIKA – Non ce n’è quasi più. Ora provo… “Bip, bip, bip, bip, ore undici, nove minuti, sette secondi.” Com’è possibile che ci mettano così tanto a staccarlo? Io tanto non rispondo, non rispondo mai. Mai più. Una volta rispondevo.

Silenzio. Entra Venditore, bussa a un’anta dell’armadio.

VENDITORE – Toc toc toc, salve, sono un socio rappresentante della prima azienda leader di primaria importanza... ma mi faccia prima fare la mia proposta, così ci presentiamo nella pratica. Abbiamo grandi opportunità per lei. Lei ha la possibilità di diventare uno dei nostri trader e guadagnare in piena autonomia 136 Euro in 20 minuti, 5 Euro in 20 secondi, 599 Euro in meno di un’ora e, se spenderà in modo opportuno il suo tempo (capito il gioco? opportunità/opportuno…), presto potrà scalare i nostri grattacieli e volare in alto, molto in alto… non sono solo numeri, è poesia, signora… la poesia dei numeri, l’astrazione totale, il tempo che si dilata e si restringe a suo piacimento… signora… mi risponda, non abbia paura signora… signor… signora…

Si allontana piano piano, torna ad ascoltare all’anta dell’armadio, se ne va.
Silenzio. Una musica proviene dall’interno dell’armadio. “Love me do”, The Beatles.

REIKA – Ehi… secondo lei l’avranno saputo? Loro… avranno saputo cosa li aspettava, cosa stavano facendo? Qualcuno, non ricordo chi, per la loro prima incisione, aveva preparato un altro pezzo e i 4 insistettero invece per presentare un pezzo scritto da loro. Allora… lo sapevano? Secondo me lo sapevano… Secondo lei? È ancora lì?
(rovista) Non ce n’è quasi più.
A me sarebbe piaciuto sapere. In realtà, tutti sanno. Pure io. “Guarda come ti muovi! Sembri un sacco di patate! Un sacco vuoto, sacco da riempire.” Allora ho cambiato nome. Ho scelto Reika.
Ora però devo cambiare discorso. Cambierò pensiero. Devo concentrarmi e cambiare pensiero. Decido io cosa pensare. So molte cose a memoria. Per esempio “Nature's first green is gold” di Robert Frost. A memoria. “Nature' first green is gold...”, poi continua. Oppure so anche qualche canzone. Tipo “There must be some kind of way out of here” di Bob Dylan, reinterpretata poi da Jimi Hendrix. E fa: “There must be some kind of way out of here...” e così via.

Venditore si avvicina.

VENDITORE – Signora, buongiorno, sento che stavolta è in casa, canticchia, è allegra, benissimo!

Reika si interrompe.

VENDITORE – Signora, abbiamo grandi opportunità per lei. Abbiamo selezionato il suo profilo. Entri, anzi, mi permetta di darle del tu perché siamo alla pari... Abbiamo selezionato il tuo profilo perché ci interessi, noi siamo uguali. Entra… anzi esci per poi entrare... aprimi, esci e poi entra nel mondo della scienza e della tecnologia, proponendo prodotti all’avanguardia… e sarai tu l’avanguardia! (pausa) Signora mi apra, non abbia paura!
REIKA – (canticchia un motivo qualsiasi) Nananananana, nanana, nanana...

Venditore rimane in silenzio per qualche secondo.

VENDITORE – Ecco signora, ho sentito la sua magnifica voce, è una vocazione… (sorride) capito il gioco di parole? Signora, non perda questa occasione (vocazione, occasione… capito?), non faccia finta di niente, anzi, dimenticavo… non fare finta di niente, abbiamo grandi opportunità per te, aprimi e vedrai… ti fornirò ogni informazione necessaria.

Reika rimane in silenzio. Venditore comincia a cantare.

VENDITORE – “There must be some kind of way out of here…”, come dicevi prima, vedi, la conosco anch’io, andiamo, apri, non c’è pericolo, ho solo una proposta da farti, una proposta che ti cambierà la vita. Il tuo profilo ci interessa. Entrerai a far parte della nostra organizzazione e in più avrai la possibilità di effettuare un utilissimo corso di lettura veloce e memorizzazione. Tutto incluso. (pausa) Potrai assimilare tutto quello che desideri.
REIKA – Dylan disse che la versione di Hendrix era migliore della sua. Altro potere di persuasione, altro karma. Non credi?

Venditore si innervosisce e bussa.

VENDITORE – Non puoi perdere questa occasione. Mi hanno mandato qui apposta per te. Ti mostrerò un mondo che non conosci. Abbiamo grandi opportunità… non lo so qual è la versione migliore! Quando due cose sono così diverse non si può giudicare…  

Bussa più forte di prima.

VENDITORE – Non credere di essere furba. Non lascerò che tu perda questa occasione. Non ho tempo per le chiacchiere. Ora me ne vado, ma sappi che tornerò. Tornerò.

Bussa ancora, poi desiste e si allontana velocemente.

REIKA – Ora riprovo. Silenzio. Provo ancora. Ecco. Adesso hanno staccato, finalmente. In silenzio. Un altro ingombro da togliere. (apre di poco l'anta dell'armadio e lancia fuori un telefono) È un vero sollievo recuperare spazio.

Venditore corre verso l'armadio.

VENDITORE – Questo è l'atteggiamento giusto. Tutti abbiamo bisogno del nostro spazio nella vita. E noi siamo pronti a offrirtelo. Con tutte le nostre proposte, con tutte le nostre possibilità, con tutti... con tutti i... con tutto. Con tutto. Tutto sarà a tua disposizione se verrai con noi. Avrai un posto. Avrai un posto. (si siede, appoggiandosi all'armadio) Avrai un posto... come me, no? Tu non mi conosci, mi sembra che tu non voglia conoscermi. Io ho un posto, so esattamente cosa fare dalla mattina quando mi alzo alla sera quando mi stendo sul letto. E mi addormento sapendo esattamente quello che farò il giorno dopo. Ho uno spazio in cui muovermi. Ho tutti gli indirizzi a cui rivolgermi. E i numeri di telefono. Ah, già, tu non hai più il telefono. Non importa. So dove trovarti. Sarai sempre qui? (rimane immobile, pensieroso)  
REIKA – Conosco molti esercizi per pensare ad altro. Mi giro dall'altra parte e vedo un albero, un bicchiere, una torta, vedo un film. Ricordo molti film a memoria. Tutti quelli di Hitchcock, per esempio. Posso raccontarmeli dall'inizio alla fine. Si inizia a distrarsi, a volare... d'altra parte togliere il gelato dalla testa di un bambino non è poi così difficile. Il gelato, con l'acqua, si dissolve, lo zucchero sparisce, le formiche pure. L'acqua cancella tutto, come se niente fosse accaduto. Io dimentico, la bambina non si è accorta di niente, il cane è già corso verso un altro cane.
No, non sono sempre qui.
Il profumo resta solo per un po'. Assomiglia a uno shampoo alla vaniglia. “Non avrai preso uno shampoo nuovo? Perché la bambina deve avere il suo, solo quello, sennò la cute si squama. Se lo shampoo finisce, devi avvertire me.” Sì, mi dispiace molto. Me ne sono andata io, quella volta. Lo shampoo avrebbe potuto facilmente finire nella mela grattugiata, per amalgamarla meglio.
Le altre volte mi hanno mandata via loro. Poi c'è stato quel ragazzino di 6 anni. Mi chiede cosa penso del mostro che ha in mano. È buffo. Non è buffo, dice. Macché buffo. E lo guarda. Fauci bianche spalancate. Denti da coccodrillo, corpo, celeste, da dinosauro, muscoli da rinoceronte. Scaglie lungo tutto il corpo e la coda, color giallo pallido. Colori pastello, sa di plastica e primavera. Di nontiscordardime e fiorellini di camomilla. Gli adulti, i suoi genitori, rientrati da poco, banchettano con teste d'agnello tagliate a metà. Lingua e cervello spaccati, bulbi oculari integri. Un occhio salta  fuori dal piatto come un'oliva di gomma marrone. No, grazie dell'invito, devo andare. Il bambino stacca la testa del mostro con un morso solo. Nello sforzo, perde un incisivo. Il collo del mostro, celeste anche nell'anima, si colora di rosso. Una goccia, due. Io lo guardo. Il bambino non piange. Macché buffo. Non è buffo. E io rido, rido. Mi manca il fiato. Se ci penso, mi manca ancora il fiato.
Quella è stata proprio l'ultima volta.
Posso raccontarmi un film dall'inizio alla fine, con tutti i particolari. Mi perdo, nel mezzo, mi distraggo nella distrazione e inizio a raccontarmene un altro. Tutte le cose che sappiamo a memoria ci usano. Siamo solo ospiti. Se frughiamo troppo, finisce... che non si torna più indietro. (rovista) Quasi finita.
Tu, cosa sai? Cosa hai imparato?
VENDITORE – Le regole. (apre la bocca, come se volesse spiegarsi, poi tace) Nanananana, nanana, nanana... (canticchia un motivo qualsiasi)
 
Dopo un po' Reika apre l’anta dell’armadio, da cui scivola fuori una grande quantità di bottiglie di plastica vuote. È in tuta da ginnastica e ha uno zainetto in mano. Lo apre, tira fuori una bottiglia d’acqua semivuota. Beve.

REIKA – È quasi finita. Il corpo mistico della sopravvivenza, il gas che mi tiene in vita, il veleno che mi solleva da terra. (sorride, ride, sorride)

Si guarda intorno. Venditore si alza. Reika sembra non vederlo.

REIKA – Com'è tutto lontano... vedo le case piccolissime, i tetti piatti delle industrie, le righe dei vitigni.

Tira fuori un rotolo di scotch dallo zaino. Posa lo zaino a terra. Passa lo scotch sull’armadio, facendo tre giri per sigillarlo: in alto, in mezzo, in basso. Per sicurezza mette altri pezzi di scotch lungo la chiusura.
Guarda lontano.

REIKA – Gli uomini sono minuscoli... hanno gambe minuscole... domani non li vedrò più. Non vanno da nessuna parte. Li vedo aggirarsi in mucchi scomposti, uno dietro l’altro o uno sull’altro. Qualcuno ha i capelli, altri no. Non hanno luce propria. Non sono trasparenti. Non riflettono. È solo il movimento che li fa distinguere da lontano. Non vanno da nessuna parte. Si possono impacchettare e studiare fino alla fine del mondo e alla fine verranno squartati, utilizzando puntaspilli per reggerne la pelle aperta. Dall’interno usciranno i colori base e le loro variazioni.
Io non capirò mai quello che si vede perché vedo solo da lontano, da una lontananza che si fa sempre più grande man mano che mi avvicino. Come se i miei occhi andassero nella direzione opposta alla mia. Io non guardo indietro, guardo attraverso un binocolo al contrario.

Mette a posto lo scotch, beve l’ultimo sorso d’acqua e chiude lo zaino. Guarda Venditore.

REIKA – Ora è proprio finita. (pausa) Non è vero che conosco molte cosa a memoria. Alcune le ho dimenticate per scarso allenamento. (pausa. Indica oltre il palcoscenico) Per quegli uomini minuscoli, con le gambette, le manine, con dentro ridicoli organi e i loro liquidi… dentro stanze bianche… l’unica è l’abbandono. Lasciar andare. Lasciar perdere. Chiudere tutto nello zaino. L’acqua, che ora è finita. Un cambio di biancheria. Soldi? Documenti? (pausa) Non so. (pausa, poi tra sé e sé) Quello che è necessario. Bisognerebbe rifletterci bene per saperlo. Ma non c’è tempo e poi il pensiero inganna. Meglio non riflettere e portare con sé quello che capita. (pausa) Il meno possibile. Lasciar andare. Lasciar perdere.   

Mette lo zaino sulle spalle. Si guarda intorno. Guarda Venditore.

VENDITORE – Ci sono molte opportunità, abbiamo molte opportunità...
REIKA – L'acqua è finita. Vado a prenderla. Vieni.

Si guardano per qualche secondo. Escono. Buio.



Scena seconda


Venditore entra di corsa. Si guarda intorno. Toglie lo scotch dall'armadio, facendo molto rumore, ed entra. Alcune bottiglie vuote cadono fuori. Mentre chiude l'anta, Reika entra in scena, lo vede, corre, bussa. Nessuna risposta. Bussa sempre più forte.

REIKA – Che fai? Che hai fatto? Esci! Esci! Esci! È casa mia. Esci! Dove vado io adesso?

Si accascia. Cerca di ritrovare un respiro regolare. Si alza di scatto e va a bussare all'armadio.

REIKA – Apri! Apri! Apri! Esci! Esci! Esci!

Silenzio. Reika bussa dolcemente.

REIKA – Che fai là dentro? Eh?

Silenzio. Reika mette lo zaino a terra. Si siede appoggiando la schiena all'armadio.

REIKA – Sarà questione di tempo. Io aspetto. So aspettare. Sono tranquilla.

Tira fuori diverse bottigliette d'acqua dallo zaino.

REIKA – L'acqua ce l'ho io. Bevo. Mi senti?

Apre una bottiglia beve.

REIKA – Mi senti? Glu glu glu.
VENDITORE – Ancora con i cartoni animati? I fumetti, anzi...
REIKA – Come faresti tu? Sentiamo...

Venditore fa dei rumori schioccando la lingua in bocca.

REIKA – E questo ti sembra appropriato?

Rumori dall'armadio come se Venditore frugasse tra le bottiglie vuote.

REIKA – È inutile. Non ne è rimasta neanche una goccia. Non sopravviverai.
VENDITORE – Davvero?
REIKA – Che ci fai lì dentro?
VENDITORE – Quello che ci facevi tu.
REIKA – Che ne sai? Perché sei entrato? Ci vedi lì dentro? Cosa vedi? Perché io vedevo... vedevo l'alba. Ascoltavo i gabbiani.
VENDITORE – Basta chiudere gli occhi.
REIKA – No! Ah ah. No! Questo dimostra che non sai di cosa si tratta. Bisogna aprirli, gli occhi. Stare a occhi aperti sempre, fino alla fine del mondo. Allenarsi a non battere le ciglia, ché quel frammento di secondo può costarti la vita. Che ne sai tu della distrazione? Hai sete? Spremi le tue bottiglie. Forse un paio di gocce...
VENDITORE – Farò la pipì...
REIKA – Sì... se non sai nemmeno dove sei. Non vedi dove sei? Guardati intorno. Guarda...

Reika si alza e gira intorno all'armadio facendo vari rumori da diverse angolazioni.

REIKA – Abbiamo grandi opportunità... (gli fa il verso) non vuoi tornare?
VENDITORE – Sto bene dove sto.
REIKA – Dove stai?
VENDITORE – Qui.
REIKA – Che ci fai lì?
VENDITORE – Quello che ci facevi tu.
REIKA – Che ne sai? Perché sei entrato? Ci vedi? Cosa vedi? Io vedevo la notte. Dicevo i nomi delle stelle. Li conosci?

Silenzio.

REIKA – Certo che no. Hai mai guardato in alto?
VENDITORE – No, però...
REIKA – Allora guarda, guarda adesso. Cosa vedi?
VENDITORE – La luna. I crateri, i mari, le montagne. Marte brilla rosso e Saturno, Saturno...
REIKA – Stai fingendo. Quando sono entrata lì, anch'io fingevo. Bisogna staccarsi. Lasciar perdere. Lasciar andare.
VENDITORE – Le pleiadi...
REIKA – Smettila di fingere! Una volta camminavo anch'io come te, per la strada. Salutavo, a volte. Non sempre. Hai visto come ti guarda la gente? Sospettosa. Velenosa. Anche i bambini... dopo un po'.
VENDITORE – Le pleiadi, conosciute anche come “Sette sorelle”, sono un ammasso che conta centinaia di stelle, ma ne sono visibili a occhio nudo solo, al massimo, in un luogo proprio buio buio... in campagna, per intenderci... dodici... e quelle visibili sono stelle blu o bianche. Noi possiamo vederle di colore azzurro. Sono un ammasso giovane, di circa 100 milioni di anni e avrà vita breve, altri 250 milioni di anni...  circa...  
REIKA – Continua pure a fingere… Lo sai che da piccola scrivevo storie di fantasmi? C'era un'abitazione infestata e io ci andavo ad abitare. C'erano apparizioni bianche e trasparenti, di solito donne con i capelli fluttuanti che finivano sempre per comunicare sfasciando vasi di terracotta o aprendo cassetti segreti. I fantasmi vogliono sempre dire qualcosa ai vivi.
VENDITORE – Ci sono anche dei telefilm in merito...

Reika si sente offesa. Si rannicchia. Sta in silenzio.

REIKA – Io ero piccola, io sono piccola.
VENDITORE – Ti piace esserlo.
REIKA – (bussa) Apri. Esci. Che ci fai lì?

Si ferma, si allontana, poi torna. Bussa piano.

REIKA – Toc toc...
VENDITORE – Chi è?
REIKA – Sono il luuuupo! Tu quale porcellino sei?
VENDITORE – Quello furbo.
REIKA – Davvero? (inizia a soffiare e a correre intorno all'armadio. Batte e ulula)
VENDITORE – (urla) Non mi fai paura!
REIKA – (canta saltellando intorno all'armadio) Siam tre piccoli porcellin, siamo tre fratellin, mai nessun ci dividerà, trallallallallà! Siam tre piccoli porcellin, siamo tre fratellin, mai nessun ci dividerà, trallallallallà! Siam tre piccoli porcellin... (ride, poi si ferma a riprendere fiato) Dai esci, giochiamo insieme! (ride) Ti preparo la merendina!
VENDITORE – Avrai sete...

Reika beve.

REIKA – Dovresti dormire. Non sei stanco?
VENDITORE – Sto bene come sto.
REIKA – Come stai?
VENDITORE – Seduto.
REIKA – Che ci fai lì dentro?
VENDITORE – Quello che ci facevi tu.
REIKA – Che ne sai? Perché sei entrato? Io... lì dentro... lì dentro sono appagata, come in una vetrina luccicante, i capelli grigi con la tintura nero-blu che prendono solo il blu, gli occhi verdi ma anche ambra, la pelle bianchissima, muta e fissa come una bambola sul letto senza abito di pizzo, impolverata di sconti stagionali, sopra un cuscino di velluto rosso e poi, ancora, denudata, arrugginita per lo stare troppo ferma, con la pelle disegnata in arabeschi di incisioni di mercurocromo, i capelli intrecciati di intestini di pesce. Se avessi due tette normali, mi sentirei anche troppo a mio agio, lì, dentro, in quell'anfratto carnoso; invece ho due mammelle di vacca piene di vermi che si affannano a succhiare latte, già panna acida da vendere per la nouvelle cuisine. Penso di aprire... penso di aprire e sono immediatamente affogata da un nugolo di coccinelle portafortuna che mi agguantano la pelle senza lasciarne un millimetro scoperto e mi salvano da un noiosissimo e inutile tentativo. Armata di cucchiaio e martello, mi batto ritmicamente ogni parte del corpo. Le dolci fatine colorate si alzano in volo per poi posarsi di nuovo, ferme nel loro proposito di felicità. Non mi scoraggio e non smetto finché non le vedo dissolte in una pozzanghera rossa e nera, scricchiolante e ancora parzialmente vitale. Ascolto piccole ali che frullano, poi niente. Raccolgo zampette, ali e testoline con pazienza amorevole in una ciotola di coccio. Cotte in acqua e zucchero, saranno la marmellata per la mia colazione dei campioni. Durante la preghiera della buonanotte, esprimo gratitudine per l'opportunità di vivere  addomesticata dal sonno.
E non hai pietà tu di me?
VENDITORE – È un film, è la battuta di un film. Non sai dire niente di tuo.
REIKA – E tu?

Silenzio. Reika beve.

VENDITORE – Non succede niente qui dentro.
REIKA – Cosa dovrebbe succedere?
VENDITORE – Non lo so. Non sono abituato.
REIKA – Appunto.
VENDITORE – Non dovrebbe succedere qualcosa?
REIKA – Cosa vedi?
VENDITORE – La luna?
REIKA – Stai ancora mentendo?
VENDITORE – C'era un film del 1980, “Stati di allucinazione”...
REIKA – (in crescendo) Ti vorresti trasformare? Pensi di riuscire a farlo? Di raggiungere qualche stadio primordiale dell'uomo? Di poter conoscere la tua anima e l'anima del mondo?
VENDITORE – Era solo un'idea.
REIKA – Esci e basta. Non hai alcun motivo per stare lì. Non ne hai bisogno.
VENDITORE – Tu sì?

Silenzio. Reika beve.

REIKA – Non ci sono domani. Il tempo continua. Vedo l'alba e il tramonto. Il mare cresce e cala. Ma non ci sono domani. Ci sono alternanze. Di momenti simili. Colori diversi. Buio e luce. Ma nessuno sbalzo di temperatura. Non ci sono domani. Il tempo continua. Dentro. Lì. (pausa) Ladro, devi uscire.
VENDITORE - “There must be some kind of way out of here…” Ti ricordi?

Venditore canta, anche Reika inizia a cantare e poi a ballare. Reika è sempre più sguaiata e alza la voce. Entra in sottofondo la stessa canzone, nella versione di Jimi Hendrix. Reika si ferma.

REIKA – La senti? La riconosci? È proprio quella...
VENDITORE – Sì, la sento. Un po' attutita. Non distinguo bene gli alti e i bassi.
REIKA – Prova ad aprire un po'... solo una fessura.
VENDITORE – Vuoi solo approfittartene.
REIKA – No...

La musica sfuma.

REIKA – Ecco, hai perso un'occasione. La tua occasione (gli fa il verso).
VENDITORE – (serio) E perché? Possiamo cantare ancora.
REIKA – Non mi va.

Reika beve.

REIKA – Sta finendo.
VENDITORE – Tu e la tua sete...
REIKA – Esci. Che ci fai lì?
VENDITORE – Quello che ci facevi tu.
REIKA – Perché sei entrato?

Silenzio.

REIKA – È rimasta solo mezza bottiglietta.

Silenzio.

REIKA – Dovremmo andare a prenderla. Vieni?

Silenzio.

REIKA – Hai perso l’ottimismo? La tua grande azienda ti starà cercando…
VENDITORE – Nessuno mi cerca. (pausa) Spero.
REIKA – Che fai lì dentro?
VENDITORE – Mi riposo.
REIKA – Dovremmo andare a prenderla. Vieni?
VENDITORE – Occhi di vetro su cui scivola il tuo liquido benedetto. Sto pensando a questo. Il segno della croce e il senso del tempo a braccetto verso il mare di luna, la tranquillità. Ti vedo lanciare nel buio i tuoi pesi. Mi scanso per rimanerti accanto. Scriverai sul mio corpo i tuoi racconti con uno sfilettatore di lusso, forgiato e rivettato, in acciaio inox? Non mi apparecchierò con posate d'argento perché tu possa infilzare i miei occhi.
REIKA – Parli con parole non tue.
VENDITORE – Mi adeguo.
REIKA – Stai leggendo?
VENDITORE – Non vedo niente qui.
REIKA – Ecco, ora non menti più. (pausa) Non potresti farlo ancora un po'?
VENDITORE – Le pleiadi, conosciute anche come “Sette sorelle”, sono un ammasso che conta centinaia di stelle, ma ne sono visibili a occhio nudo solo, al massimo, in un luogo proprio buio... buio... in campagna, magari... dodici... e quelle visibili sono stelle blu o bianche. Noi possiamo vederle di colore azzurro. Sono un ammasso giovane, di circa 100 milioni di anni e avrà vita breve, altri 250 milioni di anni.
REIKA – (dopo “Sette sorelle”, si sovrappone a Venditore e continua da sola dopo che lui ha finito) Ho pelle di madonnina fosforescente e cresta di capelli viola. Sono fatta per giacere su un comodino. Non c'è che il cuore e solo il cuore da pensare e rime di chewing-gum appiccicato e indurito sulle pareti, lì... dentro. Vado a velocità siderali, i nomi delle stelle mi inseguono come alfabeti in composizioni linguistiche inerti. Posso frenarmi solo tappando tutte le ferite e le feritoie. Se scoppio, pace. Pace. Non si trattengono schegge di ossa, ossa tritate, polvere di ossa e midollo osseo. Però ho un tampax che filtra il nero di seppia dello scheletro. Lo conservo tra le carte e i Lepisma saccharina, detti pesciolini d'argento. Ne conosci la descrizione? Odiano la luce e mangiano zucchero. Anch'io mangio cibi bianchi e vesto di nero. Le vedi le carte? Lì dentro? Leggi? Stai leggendo? Perché io non so quello che dico. Il si dice passa su di me e dentro e, a volte, fuori, mi avvolge come edera secca ancora colma di vitali ventose, ami sulla pelle. (canta) Guarda che luna, guarda che mare, in questa notte io inizio a scricchiolare... (ride)
Esci?
Esci?
Esci?

Reika aspetta, poi esce di scena lentamente continuando a ridere e canticchiare “Guarda che luna”. Buio. Rumori. Venditore esce dall'armadio.
 


Scena terza


L'armadio è aperto, all'interno si vedono solo alcune bottiglie vuote.
Venditore e Reika entrano in scena trascinando una valigia per uno.
Tolgono le bottiglie vuote dall'armadio.
Aprono le valigie, che contengono bottiglie piene di acqua.
Sistemano le bottiglie piene, in modo ordinato, dentro l'armadio. Quando hanno finito, chiudono le ante, le sigillano con lo scotch, si guardano.
Si sente “All along the watchtower”, nella versione di Jimi Hendrix.
Lentamente, buio.
La musica sfuma.