Eremo

Commedia in tre atti di

Stefano Milioto


Segnalazione di merito 
al Premio Letterario Nazionale
“Luigi Antonelli” – Castilenti (Teramo)


Personaggi:

Luno
Laltro
Ilterzo
Donna

Ai confini del mondo
Oggi


Primo atto

Una casa in collina, immersa in una vegetazione rigogliosa e fitta. Gli alberi sono coltivati e la terra è pulita. La casa è in gesso, bianca. Ha un ballatoio e un sedile in muratura accanto alla porta. Appesi al muro utensili da lavoro e oggetti strani. Davanti alla porta si apre un piccolo spiazzo che si allarga in un orto con semenzai di varie forme. Due uomini sono intenti a dare forma ad oggetti inanimati: uno è impegnato a fare sculture antropomorfe con barattoli e ceppi d’albero; l’altro con serti e corone di bucce d’uovo e fratte figure strambe. L’uno non si cura dell’altro, calati come sono nell’atmosfera cristallina creata dalla luce profonda di un giorno di mezza estate.

Luno – (prorompendo) Stupidaggini, stupidaggini; cose senza senso,assurdità. Tanto valeva rimanere di là. Ne siamo fuggiti per una nuova vita e non facciamo che replicarla. Serietà, serietà ci vuole. Innanzi tutto, il nome. Via i nomi. Qui non hanno più senso, i nomi. Nulla devono significare ed essere indefiniti, sicché ora l’uno ora l’altro, se vuoi Luno Laltro, scambievolmente. (indicando) Ecco Luno Laltro: ora tu sei Luno ora io Laltro, o al contrario tu Laltro e io Luno…

Laltro – Come sei complicato. Come ti vengono in testa queste cose? Quand’anche tu voglia cambiare i nomi, noi restiamo quali siamo. Io rimarrò sempre io. Non sa proprio di nulla un nome.

Luno – Qui ti sbagli.

Laltro – Ho un’idea…

Luno – Sentiamo.

Laltro – I numeri: uno due, o primo secondo…

Luno – Pazzo.

Laltro – Pazzo tu.

Luno – Pazzi tutt’e due.

Laltro – (rassegnato) Sì… tutt’e due, pazzi.

Nel momento di pausa ciascuno dei due si immerge nel proprio lavoro creativo.

Luno – Oggi è domenica, o sbaglio?

Laltro – Dunque, vediamo un po’. Otto giorni fa c’era la luna. Oggi la luna non c’è più. Ci sono le stelle, tante stelle. Milioni di stelle. L’altro ieri era venerdì. Piovve su questa casa…. Su questa campagna, su questi alberi, sull’erba secca… A dirotto piovve; molte nuvole e noi, soli… sotto il gelso ci riparammo dai tuoni… abbracciati…. Ci bagnammo di rosso, l’acqua del gelso.

Luno – Fai il filosofo?

Laltro – Sono poeta. Ho gli studi, io! I miei compagni furono tutti poeti… cantammo la vita e la morte… l’amore e l’odio, la solitudine e la noia…

Luno – (spazientito) Insomma, che giorno è oggi?

Laltro – Se l’altro ieri era venerdì, e piovve, ieri sabato, non molto bel tempo, oggi bel tempo, domenica… domenica… tempo …eternità…

Luno – Oggi domenica, tocca a me di celebrare la messa.

Laltro – A me!

Luno – (furioso) Nooo!

Laltro – Tocca a me, e tu lo sai.

Luno – Io dirò e tu servirai.

Laltro – Il sacrista lo farai tu; l’hai sempre fatto, il sacrista. Io sono stato in collegio, so il latino, sono istruito… Ho portato la tonaca per tanti anni, e (con voga) se fossi rimasto in collegio sarei diventato vescovo, e poi cardinale e poi papa. Si papa. Papa. Sua Santità…. Io…Io ho gli studi, ho io…

Luno – I tuoi studi t’hanno portato qui, fuori di mente, come me pazzo. Pazzo, pazzo, pazzo. Pazzi, io e te. Io non sono istruito, ma posso lo stesso celebrare la messa. E poi tocca a me. E se non mi tocca, la dico lo stesso perché sono il più anziano, e i più grandi comandano… Va a prendere i paramenti, il calice, le ampolline con acqua e vino e l’ostensorio…

Laltro – Io devo celebrare il sacrificio dell’uomo, il rito solenne della morte, io devo celebrare la messa.

Luno – Vade retro, Satana!

Laltro – Senti, m’è venuta un’idea. Tu sei Remo e io Romolo. Storia romana. Io salgo su quell’albero, tu su quell’altro. Chi riesce a contare più uccelli, celebra messa…

Luno – Ci sto.

I due salgono sugli alberi, cominciano la conta, mimando, non curandosi l’uno dell’altro. Alla fine scendono.

Luno – Ho vinto io. Ho visto…

Laltro – Fermo. Ogni uccello una piccola pietra. Tu dietro, io avanti facciamo un mucchio di uccelli-pietra, e poi contiamo.

I due iniziano a raccattare pietruzze e a metterle insieme. Quando finiscono….

Laltro – Contiamo: uno… due…venticinque…

Luno – Uno, due, tre… venticinque. (costernato) Non ha vinto nessuno. Inutile, tutto vano… anche quassù. Non ho più voglia di dire messa. Dilla tu.

Approntano un rudimentale altare. L’uno aiuta l’altro a indossare i paramenti, che altro non sono che pezzi di sacchi di iuta. Quando tutto è pronto, un tocco di campanella o di mazzuolo che batte una lastra di zinco dà inizio al rito. C’è nell’aria qualcosa di misterioso per un silenzio che quasi si vede…

Laltro – Introibo ad altare Dei…

Luno – Ad Deum qui laetificat juventutem meam…

Laltro – Indulgentiam, absolutionem et remissionem peccatorum nostrorum tribuat nobis omnipotens et misericors Dominus…

Si ferma di botto. Luno lo guarda, poi dirige lo sguardo verso il punto di attenzione dell’altro. Dal fondo della scena sta arrivando un uomo. Alto, capelli e barba lunghi e bianchi, piuttosto al vento, porta dei libri in mano e una piccola bisaccia sulle spalle. Si avvicina con lo sguardo minaccioso. I due, guardinghi, si accostano l’uno all’altro.

Ilterzo – (lasciandosi andare tutto per terra) Figli di puttana! (scatena un pandemonio: con una bracciata demolisce l’altare, scaraventa per terra i due che, alzatisi, vanno a nascondersi dietro la casa) Avete trasformato questo regno in postribolo di miti falsi e superstizioni….

Laltro – (vfc, con timida decisione) Nooo. Noi crediamo in Dio e in Cristo suo figlio… Questa è la verità…

Ilterzo – Dove siete? Venite fuori! Figli di puttana! Vi annienterò con la mia filosofia e la mia metafisica. Vi annienterò…

Bofonchiando, cerca qua e là, poi va a sedersi sul mucchio che prima era l’altare. L’uno e l’altro, facendosi coraggio, titubanti, si avvicinano al terzo.

Laltro – Chi sei tu? Perché sconvolgi i nostri piani? Perché impedisci il rinnovarsi del sommo sacrificio del Golgota?

Ilterzo – Sono messaggero di verità e sapienza e annuncio in ogni angolo della terra la nuova religione. (furioso) Figli di puttana! La vostra (avventandosi contro i due che si allontanano tenendosi a debita distanza) è superstizione! 

Luno – (timidamente ma con fermezza) Dio è l’essere perfettissimo, creatore del cielo e della terra…

Laltro – Non avrai altro Dio fuori di me…

Ilterzo – (gridando minaccioso) Pazzi! Miserabili!

Luno – (rintuzzando) Le sacre scritture!

Laltro – (solennemente) La verità è in quelle pagine.

Ilterzo – (fuori di sé) Zitto, tu non capisci niente, niente… (ricomponendosi) Io sono messaggero di verità e in nome di essa mi dovete ubbidienza. Io illumino le vostre menti come lucciole la notte, di una luce che come quella delle lucciole fende l’oscurità più profonda della notte, l’oscurità della vostra incredulità… (comincia a tremare, e sempre più convulso) Sento in me le forze immani che governano il mondo, mi possiedono… Io sono il Dio.. io sono il Dio… Sono il Dio…. Il Dio… (stramazza per terra con gli occhi fuori delle orbite, stravolto, privo di forze). 

I due, che si erano rincantucciati quasi come fossero dinanzi a una belva inferocita, cominciano prudentemente ad avvicinarsi. Gli sono di sopra, lo toccano per farlo rinvenire. Egli si scuote, rinviene; si rassetta e, come se niente fosse accaduto, chiama i due e se li fa sedere accanto. I due si guardano vicendevolmente.

Ilterzo – Dovete dunque sapere che ci sono tre forze che regolano la nostra esistenza. Il Bene, il Male e il Tempo. Il Tempo non è uniforme e assoluto, ma è –come dice il poeta- “una trama di tempi che si biforcano continuamente verso innumerevoli futuri”; è come un fiore: ogni petalo un frantumo di tempo. Mi spiego meglio. Forse non capite… Il Tempo… Eh, sì… forse… forse non… Cos’è il tempo?… Mi sfugge… Non riesco… è forse l’attimo di un pensiero, il volo di un uccello, l’aprirsi di una corolla… Non so… non riesco…. Mi sfugge… Chissà… Non capisco il poeta…

I due, sentendo parlare Ilterzo e vedendolo tutto assorto nel suo ragionamento, ridono, ma con una smorfia di riso.

Ilterzo – (seccato) Ridete voi di me? Vorrei vedervi al posto mio, con la mente che mi si contorce in un vortice di pensieri ed elucubrazioni, (scandendo) elucubrazioni, filo e teologiche… al posto mio vi vorrei…

C’è una pausa quasi di riflessione in cui i tre si atteggiano.

Luno – Proposta.

Laltro – Accettata.

Ilterzo – Accetti così, senza discutere?

Laltro – Cosa vuoi che me ne importi?

Luno – Dico: perché avvelenarci la vita con questi discorsi? In fondo abbiamo voluto fuggire da quella vita per un’esistenza diversa…

Laltro – Siamo fuggiti perché nessuno ci capiva. (con rancore) Tra noi e gli altri c’era un muro.

Luno – Ci beffeggiavano, ci perseguitavano, ci insultavano…

Laltro – Ci emarginarono

Luno – Ci chiusero nella gabbia dell’incomunicabilità.

Laltro – Tutto è vuoto laggiù. Le cose sono prive di senso e significato.

Luno – Scappammo per questo, inseguiti come pazzi. Trovammo qui il nostro rifugio. Ecco, io dico: passiamo le giornate senza pensare, nutriamoci dei frutti della terra e (mostrando i barattoli e le cianfrusaglie) infondiamo la vita a questa materia inerte. Noi siamo pazzi, lo dicono tutti: siamo pazzi…

Si fa di nuovo silenzio. Poi Ilterzo riprende a esporre la sua filosofia. 

Ilterzo – Il Bene e il Male dominano il mondo e le nostre azioni. Quant’è piccolo l’uomo di fronte all’universo… In balia sempre tra Dio e Diavolo… Guerra, male, odio… Dio e Diavolo in perpetuo conflitto. Ora vince l’uno ora l’altro… Guardatevi intorno, chi può vincere in questo momento? Il Diavolo. Lui ha la meglio in questo momento. Invano mamma natura cerca di ripararci dai colpi violenti dei Due… Forse Dio sbaglia tattica. Fossi io al suo posto colpirei il diavolo in modo da rompergli un ossicino alla volta fino a ridurlo all’impotenza…

Laltro – Allora il Diavolo ha assoggettato Dio?

Ilterzo – Forse non del tutto; ma quel che è certo che Lo lotta senza tregua.

Luno- Proposta…(gli altri due lo guardano urtati e fanno cenno di sì con la testa) Dico io, non possiamo unire le nostre forze e diamo una mano al Signore? Uno Lui e tre noi…

Ilterzo – (impetuoso) Nooo! Figlio di puttana! (invasato) Io nuovo Messia su questa terra, io vincerò. Io vi farò risorgere a nuova vita… Sarete miei discepoli e apostoli del mio credo e continuerete l’opera mia… Andrete per il mondo a portare la luce del mio verbo.

Luno – Con chi ce l’ha questo?

Laltro – (toccandosi la testa) A me mi sembra un po’…

Ilterzo – C’è un piccolo particolare, una formalità necessaria: mi dovete eleggere re.

Luno – Senti senti…

Laltro – Che novità è questa?

Ilterzo – Solamente un atto formale. Se con le buone, altrimenti…

Laltro – Con le cattive.

Luno – Sei il più forte…

Laltro – La forza la vince sempre…

Luno – E se ci rifiutassimo?

Ilterzo – Suscitereste la mia ira e proveresti il peso della mia mano.

Laltro – Ci devi capire. Noi abbiamo lasciato di là tutte queste cose.

Luno – Rifiuto totale. Quante volte te lo dobbiamo dire?

Laltro – Qui dev’essere un gioco, tutto un gioco. La vita stessa, un gioco.

Luno – Diversamente sarebbe stata inutile la nostra scelta.

Laltro – Io ci avevo una donna…

Luno – Che ci avevi tu? Niente avevi…

Laltro – Ce l’avevo.

Luno – Chi ti voleva avere? Ti guardi allo specchio? Non vedi come sei?

Laltro – Buono, normale.

Luno – Sei anche toccato di testa. 

Laltro – Ho avuto una mazzata.

Luno – Disgrazia. Ma la testa ti è rimasta come ti è rimasta. Dura.

Laltro – Con una fossa nel cranio.

Luno – Vedi, dunque?

Laltro – Non vedo niente.

Ilterzo – Vedo invece io, che se non la smettete vi ammacco le ossa, a tutt’e due.

Luno – La smettiamo, ma non obbligarci a quella pagliacciata.

Ilterzo- Non è una pagliacciata. Un mondo nuovo non può mai essere una pagliacciata.

Luno – Non ce ne frega niente.

Laltro – Niente.

Luno – (a Ilterzo) La vuoi sapere una cosa? (indicando Laltro) Lui non sa nemmeno come è fatta una femmina.

Ilterzo – (scattando urtato) Lo so... me lo immagino. Ma ciò non vuol dire.

Luno – Non sapresti da dove cominciare. 

Laltro – La natura è maestra.

Luno – Ci vuole esperienza.

Laltro – Tu ce l’avevi? Eri ammaestrato?

Luno – Come no? La vecchia ‘Nzula fu maestra a tanti.

Laltro – Andavi con una vecchia?

Luno – Non io solo. Tanti. Ci prendeva ragazzi ai primi avvertimenti e ci avviava. In tanti le dobbiamo il merito.

Laltro – (curioso) Racconta, come iniziava…

Ilterzo – (piccato) La pazienza ha un limite, figuriamoci quella di un re! Inginocchiatevi e gridate: “Viva il re”, “Lunga vita al re”. “Il re viva per sempre”.

Luno e Laltro – “Viva il re”. “Lunga vita al re”. “Il re viva per sempre”.

Luno – Tanto non ce ne frega niente.

Laltro – Forse ci conviene. Lui si sobbarcherà incombenze e daffare e noi ci lasceremo guidare, condurre senza affanni e preoccupazioni.

Luno – Buona l’idea.

Laltro – (vantandosi) E’ venuta a me.

Luno – Che gusto c’è comandare a due come noi?

Laltro – (sospettoso) Non facciamo che…

Luno – Che?

Laltro – Che questo fa sul serio.

Ilterzo – Non siete ancora sazi di ciacolare?

Luno – Ci hai moglie?

Ilterzo – (stendendogli un calcio) Figlio di puttana.

Luno – (toccandosi la coscia colpita) Non t’ho detto se hai le corna. Ho detto semplicemente se hai moglie.

Laltro – (ripetendo) Semplicemente se hai moglie. Hai una moglie?

Ilterzo – (sferrando un calcio nel sedere de Laltro) Figlio di puttana!

Laltro – Una domanda innocente e tu a momenti mi sfondavi il culo.

Luno – Con te non si può ragionare.

Laltro – Qui si può finire male.

Ilterzo – La farò finire male io, se non state nel vostro ruolo.

Laltro – Ce lo siamo scelto noi il posto, in quest’eremo, e ora arrivi tu e ci sconquassi tutto.

Ilterzo – Per cambiare il mondo.

Luno – Che discorsi fa questo?

Laltro – Uno, duemila anni fa, per parlare così l’hanno messo in croce.

Luno – (sarcastico) Vuole cambiare il mondo! In tanti ci hanno provato prima di lui. Il mondo è stato e sarà sempre il mondo: una piccola trottola impastata d’odio e di fango. Gli uomini poi, non ne parliamo… ributtanti!… Facciamo il treno…

Laltro – Bello! Il treno! Tum.. tum… sciu…sciu…cif…ciof… tum…tum…tum… Faccio la motrice, e tu i vagoni. Ecco i binari lunghissimi… le rotaie scivolano sul ferro e scintillano; i freni stridono: fihiii…fihii…ta-ta-tam…ta-ta-tam… Laggiù la stazione, illuminata e nebbiosa. Il semaforo dà via libera cif…ciof… cif…ciof. Avanti. I viaggiatori aspettano sul marciapiede, ma questo non è il treno che si ferma. Va avanti verso la sua destinazione segreta. Cif…ciof…cif…ciof…

Ilterzo – (tra sé) Pazzi, figli di puttana! Vogliono fare uscire pazzo anche me?

Luno – Pazzo hai detto? Anche tu, pazzo? Allora vieni con noi, mettiti in coda.

Ilterzo – Bastardi, non sono pazzo. Voglio cambiare il mondo.

Laltro – La casa? Che bella, la casa! Avevamo una casa laggiù. Era bella la casa, laggiù. Due finestre, un balcone. Nel balcone vasi sempre fioriti, un geranio e una rosa… Che profumo la rosa. Anche agli uccelli piaceva la nostra casa, e vi costruivano nidi. Quanti nidi! E in primavera cip…cip…cip…, e poi volavano nel cielo per l’aria… una nuvola nera lassù…

Luno – Mettevamo chicchi di grano e briciole di pane sul davanzale e loro beccavano… Fihii…fihiii…Fermata. Sosta. Fra due minuti si parte.

Ilterzo – (perentorio) Non si parte! Ho molte cose da dire.

Luno – La nostra corsa continua. Siamo liberi… Siamo pazzi. Cif…ciof…cif…ciof… Ta-ta…pum…pum… Ci hanno scacciati… Agli uccelli chi pensa più? E la rosa di maggio? Senz’acqua si sarà essiccata; e il geranio? Morti…

Laltro – E’ bello qui… Soli, senza padroni. Padroni dell’aria, del vento, del cielo; ed essere tutto, ed essere niente, ora; e un attimo dopo, niente e tutto. Nessuno può comandarci. Che vuole questo col suo messaggio? Se ne vada donde è venuto. Questo non è luogo per te. Le tue prediche, valle a fare laggiù che qualcuno t’ascolta. Ta-ta pum…. Ta-ta pum… Bella la nostra casa quassù…Il balcone, le finestre, gli uccelli. Guarda, la rosa è sbocciata. Che profumo, la rosa!

Luno – Anche il geranio s’è aperto! E’ rosso. Sai come lo chiamavamo laggiù? Fiore dei morti, lo chiamavamo, per il suo profumo che sa di cadavere e perché i poveri lo portavano sulle tombe dei loro cari. Solo e sempre gerani sulle salme: il fiore dei poveri. Il mondo lascialo ai savi di laggiù…

Ilterzo- Voglio rifondare il mondo, un mondo nuovo, un mondo di libertà.

Luno – E’ completamente fuori di sé…

Laltro – Vieni, ti faremo fare la motrice. Cif…ciof…cif…ciof…

Ilterzo – Non è possibile ch’io vi sopporti più a lungo: o mi ubbidite o vi ammazzo.

Scende dal trono e comincia a inseguirli in una sorta di girotondo attorno alla casa. 

Luno – Ecco viene. Si mette con noi a fare il treno…

Laltro – Ci vuole prendere invece. Va più forte.

Luno – Ma no, vedi che ha già buttato il mazzuolo…

Prendono a rimorchio Ilterzo e lo coinvolgono nel giro fino a quando esausti non si fermano e per la stanchezza si buttano giù per terra. Hanno il fiatone che a stento parlano.

Ilterzo – (con voce soffocata ma ferma) Disgraziati! Mi avete preso a tradimento.

Laltro – Ma va che ti è piaciuto.

Luno – A chi non piace andare in giro per il mondo. Non mi stancherei. Ma non ho i mezzi e allora con la fantasia…

Laltro – Basta credere, immaginare, sognare.

Ilterzo – Ma ora siamo qui, e (minacciandoli col mazzuolo) abbiamo dei conti da regolare.

Luno – No, fermo. Che fai?

Laltro – Possiamo sempre trovare una soluzione.

Ilterzo – Giurate fedeltà e ubbidienza al vostro re.

Luno – L’abbiamo già fatto.

Ilterzo – Rifatelo! (alza il mazzuolo).

Laltro – Che ci costa?

Luno – Non ci costa nulla.

Ilterzo – Inginocchiatevi.

Luno e Laltro – (eseguendo) Ti giuriamo fedeltà e ubbidienza.

Ilterzo – Perfetto. C’è una cosa…

Laltro – Ancora?

Luno – Sentiamo la novità…

Ilterzo – Il re non può stare da solo…

Laltro – Non sei il primo e non sarai l’ultimo.

Luno – C’è tanti re soli sulla terra…

Laltro – Per essere soli non è necessario essere re.

Ilterzo – Figli di puttana! Il re è uomo e ha bisogno di una moglie.

Luno – (capendo l’antifona) Dove vuoi arrivare?

Laltro – Già. Dove vuoi arrivare?

Ilterzo – Semplice. Il re ha bisogno di una donna.

Laltro – Ma qua non ci sono donne.

Ilterzo – Il re ha bisogno di passare le notti in compagnia.

Luno – Ci siamo noi…

Ilterzo – Merda! Non voglio stare a letto da solo…

Laltro – Ci fossero donne qui…

Luno – Noi non ne abbiamo volute.

Ilterzo – Non ci sono donne, (guardandoli sottecchi) qualcuno ne farà le veci.

Luno – E chi? Noi?

Laltro – Noi?

I due si guardano negli occhi sconcertati, arretrano, si allontanano da Ilterzo, quasi a mettersi a distanza di sicurezza. 

Ilterzo – Non avete che mettervi d’accordo. Non perdeteci tempo. Il re non aspetta.

Luno – E invece noi vogliamo tempo. Non è facile decidere su due piedi. Ti rendi conto di quello che ci richiedi?

Ilterzo – Non devo giustificarmi davanti a voi. Il re non lo fa mai, altrimenti che re è? Posso darvi del tempo. In fondo avevo già fatto tutto prima di venire qui, e poi su quello io ci so comandare. Un re deve poter comandare anche su quello, altrimenti che re è?

Si avvia verso l’ultima quinta di destra dove si immagina un giaciglio su cui Ilterzo andrà a sdraiarsi per riposare. Luno e Laltro rimangono soli sulla scena e sono sbigottiti per quello che hanno udito, per le richieste assurde del re. Riflettono, poi…

Luno – Hai capito, il re?

Laltro – E’ un re di questa gran coppola di… (fa un gesto con le due mani a coppa verso i genitali).

Luno – (trattenendolo) Zitto, ci ha dato del tempo…

Laltro – Si possono sopportare queste cose?

Luno – No, ma…

Laltro- Vuole compagnia. O tu o io. O una notte tu e una io. Assurdo! Inimmaginabile!

Luno – La situazione è questa e dobbiamo affrontarla con calma. Ce lo dobbiamo studiare. Non facciamo precipitare le cose. Sono sicuro che qualcosa troveremo, una scusa, un motivo per dissuaderlo, per fargli capire che non hanno senso le sue pretese.

Laltro – Non mi pare il tipo. Una persona quadrata non se le fa venire in mente certe cose.

Luno – (ridendo) Una persona quadrata? Tu? Io? Lo siamo? 

Laltro – Venendo qui, non abbiamo pensato certo a quella cosa.

Luno – No. 

Laltro – Eppure sarebbe aggallata. A un certo momento sarebbe venuto il desiderio e allora…

Luno – Oh, dove vuoi arrivare…

Laltro – Per me come per te.

Luno – Così dai ragione al re.

Laltro – No. Era una considerazione la mia.

Luno – E allora dobbiamo scoraggiarlo.

Laltro – Un’idea verrà. (guarda in giro, il cielo, le stelle) E’ calata la sera e non ce ne siamo accorti. Sediamoci.

Si siedono su ceppi di legno. Dagli alberi si odono i rumori degli uccelli notturni, dei grilli, degli animali delle mandrie dei dintorni.

Luno – Sarebbe stata una bella serata, se non fosse arrivato quel maledetto.

Laltro – E’ qui ormai… Ho un pizzico di fame.

Luno annuisce, entra in casa e ne esce con un pane e del formaggio, e un fiasco di vino. Laltro divide tutto a metà e, il fiasco nel mezzo per un sorso alternato, cominciano a consumare la loro cena frugale. Il concerto degli animali, nel silenzio che si è venuto a creare, segna la pausa, è più presente, più intenso ma sommesso. Invade la scena un’atmosfera idilliaca, di sapore dolce e di impalpabile letizia.

Laltro – (con rammarico) Così avrei voluto per sempre.

Luno – Si vede che gli accidenti sono proprio di questo mondo.

Laltro – (non capendo) Che c’entrano gli incidenti?

Luno – No, incidenti; accidenti. Cioè succedono cose senza che uno se lo aspetti. Pensavamo che, ritirandoci qui, saremmo stati al sicuro e protetti contro le evenienze. 

Laltro – Invece quell’animale…

Luno – A proposito, vogliamo vedere che fa?

Laltro – Lasciami mangiare quest’altro boccone. (vedendolo bere dal fiasco) Lasciamene un po’. Quando tu ti metti, non ci fai arrivare nessuno.

Luno – Se ne cala che è una meraviglia. Ho finito e sono sazio.

Laltro – (togliendosi il fiasco dalle labbra) Ora mi sento a posto. Vogliamo vedere, allora? 

Luno – Starà dormendo come un ghiro. Russa, e come russa!

Laltro – Accorti, non facciamo rumori. (timoroso) Va tu avanti.

Luno – No, tu. 

Laltro – Miserabile!

Guardinghi, con accortezza, vanno verso l’ultima quinta a destra. Fanno due passi e si fermano; borbottano, incomprensibilmente. Riprendono, sbirciano, origliano. Fissano lo sguardo oltre la quinta. Laltro ha un sobbalzo e rincula, trascinandosi Luno per un braccio, come per scansarlo da un pericolo. Luno si libera, corre a vedere ma indietreggia, sconcertato e ammirato.

Luno – Impossibile!

Laltro – Se non avessi visto, non avrei creduto.

Luno – L’ottava meraviglia!

Laltro – Chi più chi meno, è normale; ma non così. Enorme.

Luno – Scherzi di natura.

Laltro – Sicuramente, forse ad altro pensava....

Luno – Chi?

Laltro – Ma sua madre! Nel farlo… forse pensava a un cavallo.

Luno – Uno che si proclama re, deve avere per forza un tale scettro!... (alludendo) Ma tu capisci?

Laltro – Non voglio. Mi rifiuto.

Luno – Altro che! Ci dobbiamo fare i conti.

Laltro – Tu, non io.

Luno – E no. A turno. E vuole la risposta.

Laltro – Dagliela.

Luno – Fossi matto. Nemmeno in condizione normale, e nemmeno se mi ammazza. 

Laltro – Con quel “coso” si muore, comunque.

Si ode provenire da dietro le quinte un rumore come di uno che si agita. E’ Ilterzo che si muove sul giaciglio per prendere la giusta posizione. Si acquieta, mentre emette un sospiro sincopato. I due zittiscono, si accostano, si guardano. Ricominciano a parlare sommessamente per paura di essere sentiti.

Luno – Qui dobbiamo prendere un provvedimento.

Laltro – Sediamoci, riflettiamo un po’. La calma porta consiglio.

Così fanno. Luno però si distende, poggia la testa sul masso, strappa da un ciuffo d’erba secca un filo e lo mette in bocca. Il sole se ne è già andato e la sua luce rossastra inonda la scena. 

Luno – Eppure un’idea ce l’avrei.

Laltro – (quasi sputando) Puh, le tue idee!

Luno – Sul serio. 

Laltro – E io non ne ho.

Luno – E’ una cosa semplice che potrebbe metterlo in difficoltà.

Laltro – A te, ti mette in difficoltà, quello. Non vedi che è un demonio? E poi le tue idee non mi piacciano. Sempre che tu sia capace di averne. A me possono venire. Ho gli studi, io.

Luno – A volte anche senza istruzione possono venire le idee. Dunque…

Laltro – Non le voglio sentire.

Luno – E io parlo lo stesso.

Laltro – Io non ti ascolto.

Luno – La mia proposta. Gli dirò: poiché siamo in tre e tutt’e tre maschi, allora a turno. Una volta ciascuno, a turno. Tutt’e tre.

Laltro – Mi viene di fottermi dal ridere. Ce l’ho davanti il quadro. Ci faremo tre alcove e ci scambiamo le visite.

Luno – Hai perfezionato la proposta. Che quasi quasi…

Laltro – Porco. Pregusti. Ti ritornano i bassi istinti, porco.

Luno – L’astinenza…

Laltro – La cosa è seria, e tu pensi all’astinenza? Porco…

Luno – Perché, a te dispiacerebbe?

Laltro – Abbiamo un’emergenza da fronteggiare. Direi che la proposta si può fare. Se non altro per metterlo in difficoltà.

Luno – Se accetta?

Laltro – Saremmo noi in difficoltà. E allora bisognerebbe escogitare qualche altra cosa.

Luno – Per esempio…

Laltro – Per esempio… Al momento no. Che sappiamo la reazione che farà.

Luno – Già me lo immagino. Furioso come un toro, con il fumo che gli esce dalle froge, con gli occhi di fuori avvampati. Apriti cielo!

Laltro – Occhi, occhi hai detto.

Luno – Che c’entrano gli occhi.

Laltro – M’è passata un’idea fulminea nel cervello.

Luno – Ancora con le tue idee. Dille.

Laltro – Non la ricordo più. E’ stato come un lampo. Succede. Tu ti sforzi di trovare una soluzione a qualche tuo problema in cui sei impigliato, non ce n’è, e mentre ti arrovelli hai una percezione, di qualcosa che ti attraversa il cervello ma che non riesci ad afferrare lì per lì; di un qualcosa che sai ti toglierebbe dall’impaccio. Poi a distanza di tempo, senza che tu la solleciti, ti si presenta chiara e ben definita, che forse ti serve o che forse no. 

Luno – (sorridente ironico) Filosofo, ti spieghi come un libro chiuso.

Laltro – Più semplice di così.

Luno – A parole. Intanto quello lì è un pericolo. Non poteva andarsene altrove. Sembrava così bello il nostro piano…

Laltro – Non è detta l’ultima parola. Non gettiamo la spugna. Intanto lui dorme come un ghiro, che neppure ci possono le cannonate. E noi stiamo perdendo il nostro sonno. Perché non ci addormentiamo? Un buon sonno ci gioverà sicuramente.

Luno – Non è male quello che dici. Dopotutto non serve a niente scervellarsi. Qua siamo e aspettiamo. Quello che deve succedere succederà.

Laltro – E allora, dormi.

Si rassettano, prendono posizione, mettono della iuta o della stoppia sui massi per far riposare la testa, si abbandonano al sonno. La notte avanza col suo ritmo di sempre verso la linea in cui passerà il testimone alla luce per l’eterna staffetta. Questo intervallo di tempo è segnato dai rumori della notte che vanno spegnendosi man mano, col farsi della luce. Che si annuncia coi primi chiarori e del sorgere del sole. Luno e Laltro sono ancora beatamente distesi in preda al sonno, ma si svegliano di colpo per l’irrompere furioso di Ilterzo.

Ilterzo – Figli di puttana!

Luno – Ci risiamo.

Ilterzo è scatenato, mette tutto a soqquadro con le mani e coi piedi. Minaccia, si agita, prende tutta la scena. I due sono raccolti in un angolo, paurosi.

Ilterzo – Io sono il re e mi dovete ubbidienza.

Laltro – (timidamente) Lo abbiamo fatto finora. Abbiamo seguito tutti i tuoi ordini. 

Luno – Ci siamo dati questi ruoli.

Laltro – Tu reggi le fila di questo regno… d’opera dei pupi…

Luno – Già, davvero. (nostalgico) Da quando non ne vedo…

Laltro – Noi i pupi, tu il puparo.

Ilterzo – Fesserie!

Luno – Eppure…

Laltro – So a cosa pensi…

Ilterzo – Vi mettete a pensare ora.

Laltro – E’ che lui ha avuto una bella idea. Sai, bisogna passare il tempo qui.

Luno – Che ne puoi sapere delle mie idee. Si, ho avuto una pensata.

Ilterzo – (piccato) Mi state escludendo, ma guardatevi. Attenzione!

Laltro – Possiamo fare l’opera dei pupi.

Luno – Proprio a questo pensavo.

Laltro – T’ho letto nel pensiero. Una bella pensata, non c’è che dire.

Ilterzo – (furioso) Sto perdendo la pazienza. Anzi l’ho persa.

Luno – Calma…

Laltro – Calma! Siamo proprio dentro la tua legge, il tuo statuto. Tu, il puparo; noi i pupi. Perfettamente nei ruoli. Tu tiri i fili e noi ci muoviamo; tu comandi e noi eseguiamo. Non è bello? E racconteremo le gesta dei paladini di Francia, di Orlando, di Rinaldo, di Gano di Magonza il traditore, della bella Angelica…

Luno – (con entusiasmo) Bellissimo! Io sono Orlando…

Laltro – Ci scambieremo i ruoli.

Ilterzo – Io sono sempre il puparo.

Luno – Nessuno ha messo in dubbio il tuo ruolo. 

Ilterzo – (con ira crescente) Io sono il puparo, figli di puttana, e non comando a nessuno. Mi prendete per i fondelli. Ve la do io l’opera dei pupi. Mi avete giocato, mi avete deriso, mi avete fottuto. Avevo dato un ordine, perché non lo avete eseguito? (insegue e prende a calci Luno e lo stesso fa con Laltro) O io non mi sono spiegato, il che è impossibile, o voi non avete capito o fate gli gnorri. 

Laltro – (intuendo dove vuole arrivare, si tiene platealmente con le mani il deretano) Guarda che ti sbagli…

Ilterzo – Non posso sbagliarmi io…

Laltro – E’ successo…

Luno – (ribadisce senza sapere cosa) Successo…

Laltro – Con tuo grande godimento e…

Luno – (completando) Soddisfazione.

Ilterzo – Figli di puttana! Cosa mi volete far credere?

Laltro – Ma niente. Realtà, fatti concreti.

Luno – Proprio come tu volevi, parola d’onore.

Ilterzo – (con spregio) Onore voi?

Laltro – Prima lui, poi io.

Luno – No no. Prima tu, io dopo.

Ilterzo – (arrabbiato) Insomma…

Laltro – Non c’è motivo che ti arrabbi. Nella confusione… Tu hai detto che è stato bello.

Ilterzo – (pensoso) Ho detto così?

Luno – Giuro. Hai detto proprio così. Testuale.

Ilterzo – (minaccioso) Io non ricordo nulla.

Laltro – Per forza! Eri così travolto dal piacere, ti sei talmente sprofondato nella delizia dei sensi, nella lussuria, che non ricordi più nulla.

Ilterzo – Appunto perciò dovrei ricordarmi.

Laltro – E no! Psicologia. Il cervello, vedi, nella furia dei sensi è come addormentato, non registra nulla e perciò non può ricordare nulla.

Luno – Se lo dice lui, ci devi credere. Lui ha gli studi, da prete, ma sempre studi sono.

Ilterzo – (lo guarda storto) Prete?

Luno – (ironico) Solo che non ha preso l’ordine.

Ilterzo – Prete mancato… (irritato) E volete che mi fidi di un prete mancato? Già che non c’è da fidarsi di uno vero.

Laltro – Pensala come vuoi. Ti sei unito a noi…

Ilterzo – Tutta la notte?

Luno – Non proprio. 

Laltro – A turno.

Ilterzo – E allora, a turno anche stanotte. (a Laltro) Prima tu. Mi piaci di più, tu.

Luno – Non possiamo fare…

Ilterzo – (tirandogli addosso un pezzo di legno) Figlio di puttana.

Laltro – Lui voleva dire…

Luno – (indispettito) Non volevo dire, voglio parlare. Qua le cose s’hanno da mettere in chiaro. C’è una gerarchia tra noi, e va bene. Ma in quello siamo tutti uguali. Ci deve essere parità.

Ilterzo – Cos’è ‘sta storia? Di che parità parli? Non ti azzardare… Io ho detto, e tanto basta.

Laltro – (diplomatico) La tua autorità non si discute. Razionalmente, logicamente tu sei tu e noi siamo noi. Ma c’è una cosa che abbiamo uguale. Siamo tutt’e tre uomini, maschi. 

Ilterzo – Maschi, voi?

Luno – Che ci vuoi dire? Non siamo dotati come te, ma…

Laltro – Certo, ma anche noi abbiamo il desiderio, ci si risveglia la voglia, la sensualità; sentiamo il bisogno di una donna…

Luno – (riecheggiando) Di una donna, e siccome qua non ce ne è, allora dobbiamo arrangiarci.

Ilterzo – (permaloso) La state facendo lunga, mi sa che c’è trucco.

Laltro – (ipocrita) Noi ingannarti? Non devi nemmeno pensarlo.

Ilterzo – Allora concludi.

Luno – ( ripetendo con tono diverso) Concludi.

Laltro – Ci arrivo subito. Che il turno non sia a due, ma a tre. Che nella parte della femmina ci entriamo tutt’e tre.

Ilterzo si scatena in una furia devastante da fare rintanare dietro le quinte i due, finché non cade esausto a terra. E’ come svenuto e non dà alcun segno di risveglio. Luno e Laltro fanno capolino, si guardano titubanti, temendo di avere provocato qualcosa di grave.

Luno – (sottovoce) Non dovevi farlo.

Laltro – Io? Ci siamo intesi, tutt’e due. 

Luno – Sembra morto di cent’anni.

Laltro – E che? Ti dispiace? Così si toglie dai piedi.

Prendono coraggio, escono dalle quinte e prudentemente si avvicinano a Ilterzo. Lo osservano.

Luno – Non respira.

Laltro – Che ne sai? 

Luno – Il petto, non gli si gonfia.

Laltro – Può essere che trattiene il respiro.

Luno – Lui è capace. Finge per studiarci.

Laltro – Non può rimanere senza respirare per così lungo tempo. Si muore.

Luno – Se è morto davvero, sono guai. 

Laltro – Dobbiamo fare scomparire il cadavere. 

Luno – Già. Idea! Perché non gli diamo il colpo di grazia? Se è morto, abbiamo la prova che è morto; se è svenuto, l’uccidiamo e ce ne liberiamo per sempre.

Laltro – E il cadavere?

Luno – Lo buttiamo in un pozzo. Chi vuoi che lo venga a cercare?

Laltro – Se qualcuno se ne accorge?

Luno – Quanti se… (accorgendosi che Ilterzo si muove dando segni di risveglio, si accosta a Laltro) O Dio! Siamo morti! 

Laltro – Chi ci salva?

Ilterzo – Figli di puttana! Vi ho sentiti, volevate farmi fuori. (prendendo per il petto Luno) Confessa. (afferrando Laltro) Confessa pure tu, o di voi non rimarranno che quattro ossa. (sferra a Luno, che cerca di liberarsi, un calcio) Tu che la sai lunga.

Luno – (toccandosi la parte colpita) Mi cionchi, e non ti conviene.

Ilterzo – Parli di convenienza tu a me?

Laltro – (intromettendosi) Se lui dice così…

Ilterzo – (prendendolo a calci) L’uno giura e l’altro testimonia. Falsi tutt’e due.

Luno – Nel tuo interesse…

Ilterzo – (furioso) Mio interesse farmi ammazzare?

Laltro – Forse c’è un equivoco…

Luno – Quando tu eri addormentato, noi pensavamo che c’è una cosa che ti dobbiamo dire.

Laltro – Riteniamo che tu lo debba sapere, (indicando Luno) che lui è…

Ilterzo – Che cosa è lui?

Luno – (non sapendo dove vuole andare a parare) Non io, lui. Cioè, lui è infettato.

Laltro – Io? Sbaglio c’è.

Ilterzo – (sbalordito) Che?

Laltro – Infettato io? (avvicinandosi a Luno minaccioso) Cosa ti salta in testa?

Luno- (mettendosi a distanza) Anni fa, lui, mettendosi con una mercenaria, ha contratto…

Ilterzo – (agitandosi e grattandosi come se nella pelle avesse la rogna) Me l’avete fatta, me l’avete fatta. Me la sento addosso…

Luno – Non è detto… Non è detto che ti abbiamo contagiato…

Laltro – Perché io e non tu?

Luno – Perché l’ho pensato prima io. Dicevo (a Ilterzo che continua a grattarsi e a dimenarsi) non è detto e poi è passato tanto tempo. Ma per prudenza è meglio astenersi.

Ilterzo – Io ho bisogno di quello. (minaccioso) Se mi avete infettato vi schiaccerò come due schifosi vermi di fogna. Io ho bisogno di fare quello.

Luno – Ci arrangeremo, e se nel frattempo viene un’idea…

Ilterzo – E’ meglio che te la fai venire, è meglio che te la fai venire, un’idea…

Si allontana e si ritira nel suo rifugio. Luno e Laltro si guardano, scuotono la testa. Restano perplessi sul da fare. 

Laltro – (guardando il cielo) L’abbiamo tirata per le lunghe. Chi si addormenta più?

Intanto si accovacciano per terra. e tuttavia tentano, distendendosi, di prendere sonno. Le stelle sono loro di conforto, e Laltro prende ad inseguirle, segnando con la testa l’itinerario astrale. Si appisolano. Pausa. Questo intervallo di tempo è segnato dai rumori della notte che vanno spegnendosi man mano, col farsi della luce. Che si annuncia coi primi chiarori dell’alba. Luno e Laltro sono ancora beatamente distesi in preda al sonno, ma si svegliano di colpo per l’irrompere furioso di Ilterzo.
E’ sempre più chiaro e, poco a poco, tutt’intorno, si fanno i rumori della vita e la vita stessa con il sorgere del sole. Luno si gira su un fianco, Laltro è immobile nella posizione supina e con le mani intrecciate sul petto. Potrebbero rimanere in quelle posture e nella beatitudine del sonno per tutto il giorno, ma improvvisamente Ilterzo irrompe come una furia.

Ilterzo – (svegliandoli a calci) Figli di puttana! Dormite ancora? Così vi dovete far venire l’idea?

I due si alzano di scatto e si allontanano toccandosi le parti colpite.

Luno – Non ci siamo fissati un orario.

Laltro – Abbiamo detto che ci avremmo pensato…

Luno – … e sicuramente sarebbe venuta una buona idea

Ilterzo – Io l’ho avuta l’idea. Oggi faremo l’opera dei Pupi.

Laltro – A questo avevamo già pensato.

Luno – A noi è venuta.

Ilterzo – Io, e basta. Io sono il puparo. (a Luno) Chi comanda?

Luno – Tu.

Ilterzo – ( a Laltro) Chi comanda?

Laltro – Tu. Ormai è assodato. Hai dei dubbi?

Ilterzo – I dubbi li avete voi e mi sembra che lo dimostriate, ma io vi ammazzo.

Luno – Non c’è motivo, ti dobbiamo obbedienza. Lo sappiamo.

Ilterzo – (calmandosi) Ormai è giorno fatto. Bisogna escogitare qualcosa di forte per passare senza annoiarsi il tempo, fino a stasera. Già il tempo. Nessuno sa cos’è il tempo. Non è eterno, il tempo. E’ il limite di noi stessi. Dico di ciascuno di noi ed è la consapevolezza di essere limitati che abbiamo la cognizione del tempo, dico individualmente. Il resto sono chiacchiere. Ma noi qua dobbiamo rigenerare il mondo e abbiamo bisogno di proseliti. Andremo di là, ci faremo conoscere e vedrete che molti verranno. Per le donne ho in mente un piano che a suo tempo vi esporrò.

Laltro – Non è questo quello che noi vogliamo. Volevamo un po’ di pace.

Ilterzo – L’avrai, e più solida e sicura, una volta fondato il regno. Sotto la mia ala protettrice arriverete lontano.

Luno – Noi qua volevamo arrivare e siamo arrivati. Non puoi tu convertirti alla nostre idee, alla nostra volontà, alla nostra…

Ilterzo – (interrompendo) Io sono il primo e gli altri devono venire a me…

Laltro – (strizzando l’occhio a Luno) Non avevamo deciso di fare un’altra cosa?

Luno – Si, un’altra cosa…

Ilterzo – Chi l’ha deciso?

Laltro – Insieme. (con piaggeria) Tu l’hai deciso. Hai detto che era interessante, che ci avrebbe fatto passare qualche ora spensierata, che ci saremmo rilassati…

Luno – Sì, proprio tu.

Ilterzo –Cosa? (allusivo) Quello?

Laltro – Uh, che testa! Possibile che non riesci a pensare ad altro? Sempre lì il pensiero.

Ilterzo – Stasera a chi tocca? (a Luno) Tu? (a Laltro)Tu?

Luno – Hai dimenticato tutto. Come se non avessimo parlato…

Ilterzo – (riprendendosi) Ricordo benissimo. E’ per mettervi alla prova…

Laltro – (incalzando) Allora, tu ti sei preso una parte importante, una parte che si addice a un leader per natura, a uno che è nato per comandare…

Luno – Come te. Sarai il puparo dell’opera dei pupi che metteremo su. 

Ilterzo – (tronfio) Allora devo dare le parti…

Laltro – Naturalmente…

Luno – Che aspetti…

Ilterzo – (osservandoli) Lasciatemi vedere. (a Laltro) Fammi un’espressione di arrabbiato…

Laltro – Asseconda e fa l’espressione di arrabbiato.

Ilterzo – Sei un cane…

Laltro – Appunto. Un cane arrabbiato…

Ilterzo – (a Luno) E tu fammi un guerriero ferito…

Luno – Esegue goffamente, toccandosi le gambe e trascinandosi sulle gambe.

Ilterzo – Anche tu, un cane..

Luno – Appunto, un cane zoppo…

Ilterzo – L’opera dei pupi è una cosa seria, il teatro è una cosa seria, ma dobbiamo accontentarci. (a Laltro) Tu mi fai Rinaldo, (a Luno) e tu potresti essere Angelica…

Luno – (risentito) Io?

Ilterzo – Hai qualche mossa di femmina…

Laltro sbotta a ridere, suscitando un gesto di reazione in Luno.

Ilterzo – Ma mi fai Gano, Gano di Magonza. Dunque all’opera. Fornitevi di elmo, scudo e spada e subito qui.

Luno – Dove ce li procuriamo?

Ilterzo – Lo vuoi sapere da me?

Laltro – Ci vorrebbe Guarneri…

Ilterzo – Chi è questo Guarneri? Andatelo a chiamare.

Laltro – Quello che fa i pupi a Santa Croce. (strizzando l’occhio a Luno) Ma qua non potrebbe venire…

Luno – Proprio no, è invalido, poveraccio. Inchiodato sulla sedia che manco si può muovere. Ha solo le mani libere e con quelle crea dei capolavori.

Ilterzo – (sospettoso) Voi mi prendete per il culo. Siete affiatati come due imbonitori alle fiere. Ma, occhio! e procuratevi l’occorrente.

Luno e Laltro cominciano a raccattare dal suolo tutto ciò che potrebbe fare al loro caso: qualche pezzo di legno, della iuta, della latta. Non ce ne è abbastanza sulla scena e pertanto vanno dietro le quinte. Ilterzo resta fermo nel suo atteggiamento di dominatore e appare sussiegoso, altezzoso. Con lo sguardo acuto osserva, perlustra come per preparare il campo per una battaglia; si tasta nel corpo, si tocca la fronte, sospira verso la luna che sembra ridergli in faccia.

Ilterzo – (rammaricato) Potevo essere un grand’uomo, e invece qui… con due sciagurati ai confini del mondo. La sorte o il destino, ma uno il proprio se lo crea. Io me lo sono creato per il fallimento mio personale. Sono un fuggiasco, da chi poi fuggo non so. E cosa vado cercando, non so. Perché uno, una volta fallito nell’intento, è perso. Convinto che nella vita si deve fare un progetto, io me lo sono fatto, nell’intento di poterlo realizzare. Ci ho messo volontà e denaro, ma non sono bastati. Perché? Perché non si è soli. Ci sono gli altri, e l’affermazione vale quanto il torto fatto al prossimo. Voglio dire che nessuno scopo si raggiunge impunemente, nel senso che al vincitore sta una vittima. Provate, anche in cose banali. Per un utile che ve ne viene, si produce un danno a terzi. Non mi feci scrupolo e andai diritto per la mia strada, vedendo prossimo il fine. C’era una donna con me, eccezionale come nessun’altra. Dovrei dire subito un gran meretrice, una puttana senza pari. Tutte le donne… o non lo dico, perché… però guardarsi. Trame e tradimenti. Il fatto che se ne andava con altri uomini è ben poca cosa rispetto a quello che mi ha fatto. Col giudizio di poi, sono convinto che mi fu affibbiata dai miei nemici per la mia totale rovina. Mi carpì i segreti del piano. Le donne sanno quando devono chiedere, quando vogliono farti svelare i segreti più segreti, che manco se ti ammazzano sveleresti. Lei ci riuscì nel modo più banale durante un amplesso. E io che mi fidavo! Come un allocco, rivelai tutto. Diceva di amarmi sopra ogni cosa, che le mie parole la incantavano, che come sapevo dire io “Ti amo” nessuno. Con quegli occhi castani ammaliava come un serpente una rondine. Ti riduceva all’impotenza con quel sorriso luminoso di verginella spaurita. Così lungo la via trovai uno sbarramento contro cui andarono a infrangersi i miei sogni. I miei nemici arrivarono prima di me e io rimasi a mani vuote. Mi presi però la magra soddisfazione di vedere realizzato in tutti i minimi particolari ciò che avevo progettato, che era frutto della mia fantasia e della mia scienza. Sarei arrivato in alto, molto in alto… Lei non la vidi più, la traditrice. Però sento ancora la dolcezza dei suoi baci e come mi ha amato lei, perché sapeva amare, nessun’altra. Non potevo stare dove stavo. Mi allontanai nottetempo e andai ramingo di città in città, da mendico o barbone; mangiare quello che riuscivo nelle mense dei poveri; dormire anche sotto i ponti. Per autopunizione. Dovevo riscattarmi davanti a me stesso. Se qualcuno mi riconosceva, io negavo di averlo mai visto. “Tu mi dici che non sei tu. Ma quand’anche fosse vero, nessuno mi leva dalla testa che sei tu”. Così mi disse uno che io conoscevo benissimo. Se ne andò sconcertato. Una cosa mi fu subito chiara, che dovevo scappare da quel mondo, nascondermi, crearmi possibilmente un’altra realtà. Per quanto facessi, ero sempre io, non mi potevo scrollare dalle spalle la miseria morale in cui vivevo personificato: io e la mia abiezione eravamo la stessa cosa. Forse esageravo, forse mi era venuta meno la capacità di valutare nel giusto senso la realtà; forse non ero più la misura di tutte le cose che prima mi ero compiaciuto di essere; o forse questo non lo ero stato mai. Fuggire e inventarmi, e per caso sono capitato qui. E chi ti trovo? Due esuli, che fra l’altro non ci stanno bene con la testa. Mi adeguo e li assecondo. Può essere che alla fine questo si rivela essere la meta agognata, l’approdo finale. (al rumore che proviene da dietro le quinte) Eccoli che arrivano, quei due sciagurati.

Luno e Laltro entrano in scena parati da paladini di Francia: due caricature di Orlando e Rinaldo dentro armature goffe e improvvisate con materiale di raccatto. Sono impacciati, ridicoli, farseschi.

Laltro – (con circospezione) Assecondiamolo…

Luno – (bisbigliando) Facciano come dice lui.

Ilterzo – (li squadra, li osserva) Figli di puttana! Così volete vincere la guerra? Cosa ci farà di voi Carlo Magno? Buffoni. Toglietevi di mezzo, buffoni. E io che vi do retta… 

I due si guardano sottecchi e si ritirano obbedendo dietro le quinte. Ilterzo si mette al centro della scena e assume una postura impettita, da dominatore con la testa protesa in alto, la braccia ai fianchi e le gambe divaricate. Su questa figura si abbassa la luce e cala il sipario segnando la fine del Primo Atto.


Secondo Atto

La facciata, un muro alto levigato orrido, di un palazzo dal portone serrato e dalle finestre chiuse: il potere che si nega alle istanze degli umili e si afferma e soffoca qualsiasi anelito. E’ l’espressione di qualcosa di sovrumano, siderale nel suo lividore che toglie a chiunque speranze e aspettative. I tre, Luno Laltro e Ilterzo, sono accovacciati davanti al portone. Indossano abiti da mendicanti pellegrini per un viaggio… Hanno nei volti i segni dell’attesa, e ne Luno e ne Laltro quelli dell’insofferenza per una presenza che mal sopportano e che ha stravolto i loro piani. Arrendevoli e pazienti, ne sono succubi.

Ilterzo – ( a Luno) Provaci ora tu. Bussa forte.

Luno – (alzandosi) E’ inutile. (afferrando il battaglio fissato al portone) Io busso fortissimo (si odono forti due colpi) loro non sentono. Si insiste invano.

Laltro – Figurati se quelli hanno la testa a noi. Non gli interessa nulla di chi chiede, di chi grida. Del tuo piano poi…

Ilterzo – Non sanno cos’è…

Laltro – (ironico) Noi che lo sappiamo invece…

Ilterzo – (urtato) Cos’hai da dirci…

Luno, la faccia contro il portone, batte ancora due colpi che rintronano cavernosi e si prolungano perdendosi poi lontano.

Luno – Ci ho messo tutta la mia forza.

Ilterzo – L’abbiamo sentito, e anche loro l’hanno sentito. Apriranno e quando saremo ricevuti, vedrete se sarò convincente.

Laltro – Ti sei incaponito. La vuoi vinta tu, per forza. Non c’è niente da fare. Non era meglio restare dove eravamo?

Luno – Già, non era meglio? Nemmeno ti immagini il danno che ci hai fatto.

Ilterzo – Femminucce! Sempre a brontolare. Dovevo tirare avanti alla mia strada anziché fermarvi da voi.

Luno – (sospiroso) L’avessi fatto!…

Ilterzo – Vi voglio fare diventare cristiani…

Laltro – Lo eravamo, e tu lo sai. Perché ci vuoi ricondurre là da dove siamo scappati?

Ilterzo - Io farò di voi…

Luno – (interrompendo) Noi non vogliamo essere niente. Non siamo niente, non ci importa di nulla: vogliamo stare lontani da tutti: questo solo vogliamo.

Laltro – Campare di cielo e d’aria, vogliamo; senza controlli, condizioni; senza sguardi addosso di nessuno. Che male facciamo?

Ilterzo – Piangete l’annata! Se quelli ci danno retta…

Luno – Manco ti pensano quelli.

Laltro – Col loro daffare, figuriamoci! (facendo cenno di alzarsi) Direi che è meglio andare.

Ilterzo – (bloccandolo con la punta del bastone) Fermo lì. 

Luno – (indicando in avanti, da dove provengono risate stridule e sghignazzi) Non vedi come ridono di noi?

Laltro – Non senti gli sberleffi?

Ilterzo – Non me ne importa. Loro non faranno mai parte della schiera degli eletti. Fidatevi e abbiate pazienza. Ve lo dico con le buone, che non è del mio, e ricordate: ubbidienza.

Ma d’un tratto la loro attenzione viene attratta dall’approssimarsi, dalla parte de Ilterzo, di una donna, scalza e in abito dimesso. A prima vista, dà l’impressione di persona anziana per la trasandatezza e per la luce incerta, ma poi la vicinanza e una migliore condizione di luce, rivela un fisico interessante dalle forme ancora sode di donna ancora nel fiore degli anni che vince la sfida col tempo. Si siede per terra a fianco de Ilterzo, a qualche metro di distanza. Fra i tre girano sguardi di sorpresa, curiosità e diffidenza.

Ilterzo – (come a rispondere) Che ce ne importa? Ognuno per la sua strada.

Laltro – (come disturbato) Con tanto spazio, proprio qua!

Luno – (urtato) Nemmeno si può parlare.

Si scostano verso il lato opposto e si accostano Luno a Laltro a mo’ di difesa nei confronti dell’intrusa. Ilterzo rimane nella sua postura, ma tradisce con le espressioni del volto un certo interesse per la donna.

Luno – (a Laltro nell’orecchio) A momenti attacca.

Laltro (annuendo) Non si può smentire.

Luno – Troverà una scusa. Lo sappiamo. Un millantatore con la fissa del sesso.

Laltro – Quella non mi pare nulla di buono. Lui ha fiutato e ha puntato la preda, come un cane bracco…

Ilterzo – (accogliendo i bisbigli) Mormorate, al solito, miserabili e erba di vento!

Luno e Laltro – (raccogliendosi nelle spalle e nelle gambe) Quando mai! Nulla, nulla…

Laltro – Non c’è ragione.

Donna – (con voce come partita da lontano) Non avete ragione… di rimanere qua…

I tre restano colti di sorpresa per l’improvviso esordio di Donna, che appare rassegnata a un risultato negativo, alla mancanza di una risposta.

Ilterzo - (sbottando) Tu chi sei? Ti che t’impicci? Aspetta almeno che sia io a rivolgerti la parola. 

Luno – (con soddisfazione, ridendo) Gliel’ha fatta!

Laltro – Gli ha tolto la soddisfazione…

Ilterzo – (irritato del loro ridacchiare) Non so cosa vi farò, ma è certo che ve li strapperò e vi tapperò la bocca. (raccoglie un sassolino da terra e glielo scaglia contro).

Donna – E’ inutile scornarvi. Nessuno vi prenderà in considerazione.

Ilterzo – Noi ci prenderanno e ascolteranno le nostre ragioni.

Donna – Ognuno ha le sue di ragioni…

Ilterzo – Ma le nostre, ah le nostre!, se sono grandi! Non potranno negarsi di ascoltarle.

Donna – Per ciascuno, anche se minime agli occhi dei più, sono immense. Le mie per me più delle vostre…

Ilterzo – Ne va dell’avvenire, della rigenerazione del mondo…

Donna – (smemorata) Riparare a un torto patito.

Luno – Quella la sa lunga e lui ha trovato il pane per i suoi denti.

Laltro – Pare anche a me.

Luno – Ho il presentimento che ne vedremo delle belle.

Laltro – Noi siamo qui.

Donna – (tirandosi sulle spalle per appoggiarsi meglio al muretto) Un sordo ci sente meglio di quelli là. Chi sei tu? Chi sono io? poveracci siamo, che non contiamo nulla, non abbiamo voce abbastanza forte per farci sentire.

Ilterzo – Qui è l’errore. Devi gridare finché t’ascoltano. Anzi, ti dico una cosa: più gridi, più ragione ti fai. Ne conosco io. Se hai torto, grida più forte, e la verità sarà dalla tua parte…

Laltro – Senti l’amico! 

Luno – Applica bene, lui, la regola!

Ilterzo – (cont.) Se uno è di bocca molle, ne conterà passargli avanti. Ma noi (guarda miseramente i due), io (sottolineando) no. Ho la verità incontestabile di un progetto e mi farò valere.

Donna – Ho dentro di me la ferita aperta di un dramma insanabile. Qui vengo ogni giorno, perché il mio sangue vuole vendetta.

Luno – (a Laltro) Le sarà capitato qualcosa di serio.

Laltro – Una disgrazia, di certo…

Ilterzo – Vendetta, di che? Altrove devi rivolgerti.

Donna - Qui, ma non mi arrendo. Non ho più nulla da perdere e vivo soltanto nella speranza di riscattare finalmente il mio nome.

Ilterzo – L’onore non si perde mai, a meno che non lo si voglia. (guardando con disprezzo i due che si agitano) Questi due figli di puttana non lo possono perdere per una sola ragione, che non ne hanno. (Guarda Donna; la guarda con interesse nelle gambe piegate alle ginocchia, lasciate inavvertitamente scoperte) E, comunque, occasioni la vita ne dà per rifarsi e avanti andare a testa alta.

Luno – Mi puzza di bruciato il suo discorso.

Laltro – E’ un maestro in millanterie. Infinocchierà anche lei.

Ilterzo – (cont.) Io dico: se la vita, o il destino, o gli altri – perché la vita e il destino sono anche gli altri- mi impediscono di realizzare un progetto, mi mettono i bastoni tra le ruote, mi umiliano, o, (alla Donna) come posso immaginare sia capitato a te, esercitano violenza sul morale e sul fisico, la stessa vita, o destino, o il prossimo ti offriranno la possibilità di rifarti e, forse, guadagnarci. Conosco un’infinità di simili fatti.

Donna – Per me tarda il riscontro e il dolore si incrancrenisce.

Ilterzo – E sfido! Pazienza! Non si sa né il giorno né l’ora. Sono sicuro che accadrà. Per me è accaduto e si sta compiendo l’opera.

Laltro – Giusto con noi doveva accadere.

Luno – Per nostra disgrazia…

Donna – A me, le cose che dici, sembrano follie.

Laltro – Pazzie!

Luno – Corbellerie, grosse quanto la sua testa.

Ilterzo – (minaccioso, digrignando i denti) Figli di puttana!

Donna – (cont.) Le parole non sono sostanza. L’offesa mi rimane dentro radicata.

Ilterzo – (esultante) E’ arrivato il tuo momento. Il destino; non per nulla ci ha fatto incontrare qui. Sei tu, forse, la pedina che mancava…

Luno – (ammiccando) L’avevamo detto prima.

Laltro – Già, raggiungerà lo scopo.

Donna – Non illuderti. Avuta la mia soddisfazione, mi ritirerò a fare la romita, appenderò al chiodo lo scialle e piangerò senza fine la mia dignità offesa.

Luno – (sorpreso) Ma chi è questa che parla così?

Laltro – Sembra una stracciona.

Luno – Osserva… ha i tratti nobili.

Ilterzo – Un’era nuova inizierà per te. 

Donna – (desolata) Nessuna prospettiva per me.

Ilterzo – Mai chiudersi alla speranza di giorni lieti e diversi. Se mi fossi arreso, se mi fossi chiuso nella disperazione e nel pessimismo, allora veramente sarebbe stata la fine. Che credi? Ne ho patite io di umiliazioni. Se proprio vuoi sapere, la mia storia, pur non sapendo nulla di te, non dev’essere diversa dalla tua. Devi sapere…

Donna – Devo; non voglio…

Ilterzo – Ti gioverà. Stammi a sentire.

Laltro – La sua storia… Buffone!

Luno – Ce l’abbiamo fradicia in testa…

Ilterzo – (redarguendo) Voi, zitti! Dunque, avevo preso i voti convinto di fare la scelta che facevo. Nessun altro orizzonte avevo innanzi, se non la vita alla quale mi stavo votando. Sacerdote, volevo essere sacerdote e pastore, una guida per tante pecorelle.

Luno e Laltro sgranano gli occhi per la meraviglia e la sorpresa di un racconto nuovo e inaudito.

Ilterzo – (cont.) L’ordinazione avviene nel duomo di Iesi. L’esaltazione è così grande in me che mi sembra essere a contatto con Dio. Pieno di fervore e di spirito pastorale, prendo possesso di una parrocchia di un paesino sperduto. I parrocchiani mi accolgono a gran festa e subito mi adopero per la loro salute spirituale. Quanti drammi risolvo, quante liti appiano, quante malattie dell’animo riesco a sanare. E’ piccola la parrocchia, ma i peccati ci sono tutti. E una peste spirituale si accanisce sopra di essa. Ma riesco a vincerla, da meritarmi la fama di prete santo, di uno che fa miracoli. Mi vengono a trovare anche da fuori…

Laltro – Millantatore!

Luno – Imbroglione, bugiardo!

Ilterzo – (cont.) … a espormi i loro problemi. Io faccio quello che può fare un prete. Una parola buona, un consiglio, un’esortazione e il risultato è sicuro. Mi piace stare in mezzo a quella gente. Ascoltato, ubbidito, portato alle stelle. Guai a chi mi procura un dispiacere. Naturalmente qualcuno si affezione come non deve…

Luno – Una giovane?

Laltro – Una giovane? A noi hai raccontato un’altra storia. O questa o quella è vera; o nessuna delle due?

Luno – Ti conosciamo bene…

Ilterzo – (alzandosi e andando verso di loro in modo aggressivo) Non vi ho raccontato nulla, se non verità. (furioso) La lingua di radica vi tiro, intesi? (calmandosi e riprendendosi, con nostalgia) Era la condizione ideale, avevo tutto. Finché la fama non arriva in curia. Ricevo una visita, del vicario. Poi mi vuole conoscere il vescovo in persona. Ci vado. Un trionfo. Sua Eccellenza mi affida la parrocchia più grande e più ricca della città, quella delle gente bene. Anche lì mi adopero e riesco a vivificare lo spirito smorto dei parrocchiani, (riportandosi lontano con la memoria, compiacendosi) al punto che quando si parlava di Don Corrado…

Luno – Per lo meno sappiamo il nome.

Laltro – (determinato) Falso anche quello. 

Ilterzo – (cont.) Si levavano il cappello. L’ammirazione che suscitavo era tanta e la Città assurgeva a importanza per questo. Si mormorava perfino che mi avrebbero fatto vescovo. Non ci badavo, non avevo quell’ambizione.

Luno e Laltro si sgomitano.

Ilterzo – (cont.) Ero contento com’ero. Fra l’altro… non sempre si può resistere agli impulsi. (alla Donna) Tu ne sai qualcosa…

La Donna reagisce schifandolo.

Ilterzo – (cont.) Una donna, una donna che dire bella le si fa torto, di un casato nobile e antico, una Ammirata-De Tullis, diventammo amanti. Giustificai in me e davanti al Signore la deviazione, il peccato, in grazia del mio prodigarmi per il prossimo. Andammo avanti per alcun tempo, mentre le voci di una mia prossima nomina a vescovo di una diocesi importante si facevano sempre più insistenti. Ma succede…

Laltro – (curioso e divertito) Dove vuole andare a parare?

Luno – Che gran figlio di buona madre!

Ilterzo – (cont.) Prova ad immaginare (si accosta a Donna) cosa succede…

Donna – Per quello che mi possa importare…

Ilterzo – Te lo dico io, allora, che succede. Mi sento telefonare dal vescovo in persona.

Luno – E chi se no, per lui?

Ilterzo – (cont.) Immagino che si tratta della nomina. Mi sentii tronfio, non lo nego; peccatuccio di superbia, veniale, perdonabile. Debolezza della natura umana. Mi presento in curia il giorno fissato, all’ora fissata. Vengo introdotto, fatto aspettare in anticamera e finalmente ammesso in sua presenza. Appena entro, ho un abbaglio. Gli occhi mi girano, la mente mi fa mulinello. Uno choc vero e proprio. Quando mi riprendo, vedo accanto al vescovo lei, la principessa Ammirata-De Tullis. Resto senza fiato e, nell’atto di allentare il collare, anziché scostarlo dal collo, lo strappo, glielo lo butto sulla scrivania e scappo.

Laltro – Bel colpo di teatro!

Luno – Commediante! Falso fino alla radice dei capelli.

Ilterzo – (accosto a Donna) Dimmi, se non ho avuto coraggio. Dimmi, che ho avuto coraggio.

Donna – (accontentandolo) Hai avuto coraggio.

Ilterzo – L’ho fatta grossa. Abbandonai l’abito talare e con esso la prospettiva di un avvenire ricco di risvolti vantaggiosi. Mi fu subito chiaro che il vescovo e la principessa erano amanti. Sua Eccellenza, scoperta la tresca tra me e lei, non potendomi togliere di mezzo con la violenza e non volendo lo scandalo, mi aveva fatto promuovere, ma per rimuovermi, - lui, aveva amicizie altolocate in Vaticano -, facendomi assegnare una grande diocesi.

Luno – Guarda come la racconta, come la rigira. 

Laltro - E’ così convinto che ci crede.

Ilterzo – (cont.) Il mio gesto impulsivo ha segnato la fine di una grande carriera. (sognante) Sarei diventato cardinale e…Papa… Solo se avessi capito e fossi stato al gioco

Laltro – Buumm!

Luno – (a Donna) Non ci credere. Nemmeno una parola è vera…

Donna – (indifferente) Se ci crede lui…

Ilterzo – (infuriato) Vi cavo gli occhi e vi scippo le palle. Ringraziate la presenza della Signora.

Laltro – Galante…

Luno – Da principe della chiesa.

Laltro – Da futuro, mancato Papa.

Ilterzo – (rassegnato) Mi servite, nonostante tutto. Per portarvi davanti a quelli là (indica il palazzo).

Donna – Perdici le speranze. Non ti riceve.

Ilterzo – Cederanno, finiranno per riconoscere il nostro grande progetto. Pazienza! Pazienza ci vuole e noi ne abbiamo da vendere. E per passare il tempo abbiamo le nostre cose da raccontarci.

Luno – Non abbiamo nulla da raccontare.

Laltro – Vite insignificanti le nostre, (a Donna) Non pensare chissà cosa. Due miseri tapini, stufi di stare qui, in questo paese, e desiderosi di passare il resto dei giorni appartati in un eremo, in collina, compagni ai campi, ai monti, alle stelle. Tutto qui, finché non arriva lui…

Luno – Demonio tentatore.

Ilterzo – Balordi ributti di società, escrementi di pecore e capre, sterco di vacca! (a Donna) L’alto dei cieli, con me, toccheranno questi vermi luridi e anonimi ripugnanti. (affettato) Non trovi anche tu?

Donna – No, perché? Normali.

Ilterzo – Perché ancora non sai… (pausa) Ma dimmi la tua vicenda, il fatto che ti ha portato qui. Di noi, di me t’ho detto la mia storia. Non puoi dirci la tua?

Donna ha come un fremito, comincia a tremare, a scuotersi, a strapparsi i capelli tra le lacrime. Si blocca di un tratto. Ha gli occhi persi nel vuoto. Smarriti, paurosi. 

Ilterzo – Se non vuoi…Ti avrebbe aiutato. Avresti trovato solidarietà, perché avrei compreso. Mi sarei compenetrato della tua disgrazia. Questi imbecilli no, sono creature, lo vedi anche tu.

Luno – Meno male…

Laltro- Non siamo almeno due ... Ce la siamo risparmiata.

Ilterzo – Due inetti, ma innocui.

Laltro – Abbiamo fatto presto a parlare.

Luno – Mai fidarsi di quello.

Ilterzo – (conciliante) Non dirla, se ti fa male, la tua storia. D’accordo, va bene così.

Donna dà qualche segno di fastidio e, trascinandosi sul suolo, si scosta di un po’ da lui.

Laltro – Non vuole.

Luno – (a Ilterzo) Lascia perdere. Non le va.

Ilterzo – (irritato) So io quando e se lasciare perdere.

Laltro – Non gradisce.

Luno – Ognuno con le proprie cose. Raccontarle poi a sconosciuti, via.

Ilterzo – Non sono uno sconosciuto qualunque… E poi.. posso immaginargliela una storia; posso, come niente, farne un romanzo e sarà tanto più vera, quanto più la si crederà, da lei e da noi. Più vera di quella che ha vissuto, che le ha attraversato i giorni.

Laltro – Le solite fanfaluche!

Luno – Macché! Non ci sta proprio con la testa.

Ilterzo – (assorto, quasi pesando le parole. Lungo il racconto, a soggetto, alla voce de Ilterzo si può sovrapporre, come echeggiando per rimembranza, quella di Donna) Ventidue anni avevo… bella…diritta…asciutta con due bottoncini di seno; occhi viola tigrati e scatti di gatta, mente svelta. Tutta agile era la mia persona, e rivestito di pelle di seta il mio corpo. Attirava gli uomini il mio corpo e in tanti mi giravano attorno. Non sapevo perché, non mi rendevo conto. Non capivo il senso di certi gesti, sorrisi, parole. Ero beata nella mia innocenza. Qualcuno alludeva, faceva proposte… Non sapevo, non volevo. Il desiderio era desiderio, puro e semplice, di natura; e ci giocavo col mio corpo. Gioco innocente che calmava il sangue quando ribolliva. Il piacere di quegli attimi, il piacere dei sogni, il piacere di vivere senza pensare di condividere un giorno la vita. Libera nel godimento del poco; libera in una vita amica; libera nei trastulli degli anni giovani. Talvolta nei sogni si insinuavano a scompigliarli brividi di morte. Non proprio di morti, ma guizzi neri che mi angosciavano, mi facevano mordere i cuscini, mi atterrivano nella notte sola. Non gridavo, non potevo, come se avessi la gola serrata. Tremavo, sudavo. A chi chiedere aiuto? A mia madre, no. Non aveva reagito; aveva accettato, permesso. Vittima lei stessa della sua mente malata e del suo corpo. Maledizione, maledizione può essere un corpo? Guai a chi se lo ritrova con eccessi di grazia e flussi. Meglio storpio, che nessuno lo guardi. Un cane quel suo fratello, una bestia. Quando si vive in luoghi selvaggi, non si è più uomini, scompaiono i legami di sangue. Abitavamo in una campagna solitaria, in una vallata tra monti deserti. Non c’era anima via. Animali e uomini in una vita comuni ove, spesso, non si distinguevano gli uni dagli altri. Mia madre, il suo uomo l’aveva abbandonata, stava nella vana attesa di un suo ritorno. Ah, come fremeva certe notti! “Chissà dove gli luccicano gli occhi”, le dicevano ma lei era ferma nella sua speranza. S’era fissata in quell’atteggiamento che non le era di difesa, di scudo; non le risparmiava gli assalti di suo fratello, demonio scatenato che più volte tentò di possederla senza riuscirci. Gli altri sapevano e tacevano: chi si sarebbe risicato a mettersi contro una belva assatanata? Non ci potè con mia madre. Crescevo io frattanto, e su di me cominciò a posare gli occhi. Ero timida, mite, incapace di reagire e lui fu prudente, cauto, attento a non farsi scoprire, a suscitare sospetti, perché tanto non poteva durare a lungo. Accadde. Fece di me il suo laido trastullo. Tutto tastò del mio corpo per il suo sporco piacere e cosa non mi fece col suo… Io zitta, sopportavo in silenzio, non capivo; dimenticai tutto dopo che lui partì per soldato. Dentro mi lasciò una cosa, che covava, un rancore non spiegato che rodeva. Tutto m’era successo che ero una bambina, ma nel crescere stavo ereditando da mia madre il calore della carne che scatenava gli istinti. Non capivo se qualcuno mi metteva le mani addosso. Dopo un certo tempo mio nonno si ammalò. Il prete, che aveva portato il viatico al nonno in punto di morte, disse che non era bene rimanere sole in campagna una volta che il nonno se ne fosse andato. Così, dopo il lutto, raccolto tutto quanto poteva servire, ci stabilimmo in paese. Io, per interessamento del prete, fui data a servizio presso la casa di un notaio. La padrona era una santa cristiana, lui non lo vedevo quasi mai. Avevano un figlio che non somigliava né al padre né alla madre, brutto e piccolo com’era. Era d’animo malvagio, si vedeva in ogni suo gesto. Studiava all’università per diventare medico. Tornava a casa per le feste e in estate. Gli piacevo, mi toccava, mi palpava; mi spiava - l’avevo capito dal raspio alla porta una sera- dal buco della serratura. Se non si spingeva più oltre, era perché tenuto in soggezione dai genitori. Io non reagivo, e ora so perché: quel tremore, quel silenzio antico, l’abitudine a mani fameliche che avevano rovistato lungo tutto il mio corpo, io passiva… ecco questo…comportamento lo incoraggiò una sera che i genitori erano usciti. Mi ero chiusa a chiave in camera… quattro mandate avevo date. Ma lui spingeva, forzava lo scoppo con un cacciavite. Tremavo tutta raccolta in un angolo, e lo vedevo, vedevo dietro la porta una belva, con la schiuma in bocca e i denti di fuori. La porta cedeva, i battenti si allargavano, finché la serratura non fu divelta. Entrò lui, mi cercò con gli occhi e, appena mi vide, si tolse tutto sfoderando un arnese di bestia. Il terrore mi serrò la gola e mi mancò la parola; lo implorai con gli occhi ma lui mi fu sopra con violenza, mi prese per il collo, mi buttò sul letto; mi strappò la camicia da notte, gli altri indumenti. Mi muovevo per vana difesa e nulla potevo contro un indiavolato che mi teneva ferma per i capelli, e mi mordeva la pelle, il seno e con una mano mi chiudeva la bocca. Poi cominciò la manovra per possedermi in pieno…Mi contorcevo per il dolore e gli affondai le unghia nella carne. Soffrivo. Poi d’un tratto lui con tutta la forza…

Donna – (prorompendo in un grido di dolore astioso, rancoroso, come per il rinnovarsi della violenza subita) Ah, ah… 

E’ disperata, le mani tra i capelli. Il grido è prolungato, infinito come può esserlo per un dolore mai sanato e sempre bruciante.

Ilterzo – Chi mi poteva sentire nel palazzo vuoto? Quella sera fece strazio, lui, della mia carne.

Luno – Incredibile… La sua storia… Come ha fatto?

Laltro – Altro che fantasia. E’ un mago.

Ilterzo – Ho dato voce e corpo con le parole ai suoi pensieri.

Luno – (dubbioso) Ma è vero?

Laltro – Possibile?

Ilterzo – Se lei lo crede, è quella la sua verità.

Donna – Dissero che mi ero inventato tutto. (indicando l’edificio) Ora è lì nella poltrona del potere, temuto da tutti, e io qui che aspetto riparazione al torto subito.

Ilterzo – Aspetteremo…

Donna – Inutile…

Un rumore improvviso, forte e aspro, come per una saracinesca abbassata con violenza, si rovescia sulla scena mentre si va amplificando in onde siderali. E’ il Palazzo che si nega loro, richiudendosi nella impenetrabilità dei suoi misteri, della sua disumanità. Il buio che ne succede segna la fine del secondo atto.




TERZO ATTO

Si immagina passati alcuni giorni, durante i quali Donna, avendo seguito i tre ed essendo rimasta con loro, ma compagna esclusiva de Ilterzo, scompare. Lui, al risveglio, non trovandosela accanto, esce dal rifugio, investe Luno e Laltro e li costringe ad andarla a cercare. Il sipario si alza svelando lo spiazzo davanti alla casa del primo atto nell’ora dell’imbrunire. Ilterzo è seduto in mezzo alla scena in ansiosa attesa. Ha le mani nei capelli. Si mette in piedi, fa dei movimenti. E’ nervoso, impaziente.

Ilterzo – Chi manda minchioni, minchioni si trova. Imbecilli e figli di puttana, incapaci di farne una giusta. Avrebbero potuto ritrovarla a quest’ora, non è passato molto tempo dalla sua fuga. Sola e indifesa, non può essere andata lontana…

Fanno capolino nella scena da una delle quinte Luno e Laltro. Timorosi al solito, si sgomitano e accennano all’invasato, che, scorgendoli, vi si avventa contro. Afferra ciascuno per un braccio, li strattona per la camicia e li trascina nel mezzo del palco, gridando

Ilterzo – Dov’è? Dov’è? L’avete fatta scappare.

Luno – La donna è donna.

Laltro – Non è oggetto o schiava.

Luno – Tu ne hai fatto un oggetto e una schiava.

Laltro – Una pezza da piedi.

Luno – Sempre a dar giù con il tuo marruggio (manico di zappa, fa un gesto allusivo).

Laltro – Non ne ha potuto più ed è scappata.

Luno – La donna è donna.

Laltro – (placidamente) Non l’abbiamo trovata.

Ilterzo – (furioso) Vi ho mandati a cercarla e ora mi state dicendo che non l’avete trovata?

Luno – (placidamente) E’ così! Non ce l’abbiamo in tasca. (tirandosi fuori le tasche) Ecco, niente donna.

Laltro – (c.s.) Se l’avessimo trovata, sarebbe stata qui, con noi, con te.

Ilterzo – (spingendoli a distanza) Voi mi volete giocare, prendere per i fondelli, ma badate: quanto è vero Dio, vi uccido e vi mangio il cuore.

Laltro – (ironico) Tu pensi che abbiamo motivo…

Luno – Nessun motivo, né di prenderti in giro né di offenderti.

Ilterzo – Voi, con quest’aria innocente, so io di che cosa siete capaci.

Luno – (sarcastico) Hai avuto modo finora di sperimentarci capaci di qualcosa?

Ilterzo – (urtato) Sperimentarci?! Parole difficili anche! Non me la conti giusta, tu. Sperimentarci…

Laltro – Manco se ti avesse dato una schioppettata.

Ilterzo – La parola è importante e chi la sa usare comanda, e siccome a comandare qui sono soltanto io, nessuno si azzardi a parlare difficile. Le parole difficili sono un utile strumento per sottomettere gli altri! Intesi?

Laltro – Altro che!

Luno- Non lo sapevamo, ora che lo sappiamo, ora che lo so, lui non ha scuola, ci starò attento. Parole terra terra, solo per capirci.

Ilterzo – (guardingo) Tu a me mi provochi, quando parli tu mi fai salire il sangue alla testa. C’è sempre qualcosa dietro quello che dici.

Laltro – Lui ha studiato… greco e latino.

Ilterzo – Ma voi state menando il can per l’aia. Me la state facendo, sicuro come la morte. (minacciando) Vi avviso che…

Laltro – Non ci hai avvisato già abbastanza?

Luno – Da quando ci hai trascinato qui.

Ilterzo – (fortemente nervoso) Vi avviso che se è vero quello che penso, vi farò pentire di essere nati.

Luno – Non avremo nulla di che pentirci…

Laltro – Con la coscienza a posto.

Ilterzo – Voi me la tenete nascosta. (afferra Luno, lo lega al piede con una corda e lo trascina verso la casa).

Luno – (accennando a una reazione subito domata) Che vuoi fare?

Laltro corre in cerca di un riparo, mentre il terzo lega Luno a un anello di roccia conficcato al muro.

Ilterzo – (afferrando Laltro e facendogli lo stesso servizio) Così non potrete andare da nessuna parte, cani. Cani siete e come cani dovete essere trattati. 

Laltro – (remissivo) Dicci almeno la ragione?

Luno – Non ti facciamo pietà?

Ilterzo – Pietà voi a me? La morte meritate!

Laltro – Ma insomma…

Luno – Se ci deve succedere qualcosa, se dobbiamo morire, dicci almeno per quale colpa, quale delitto.

Ilterzo – (schiaffeggiandolo) Mi fai scuotere i nervi con questo tono, è irritante la tua lingua, fai rodere… (pausa) Colpa? Me l’avete fatta, ecco. Il vostro piano è diabolico, perfetto, ma non per me. L’avete nascosta, in una grotta, o in una casa di queste qui intorno per farvela, la donna; a turno, o tutt’e due insieme.

Luno – Non è vero!

Laltro – Che vai pensando?

Ilterzo – Esattamente questo.

Luno – (beffardo) Ma ti pare possibile? A me non interessa, (indicando ironico Laltro) lui sai com’è, e dunque…

Laltro – (risentito, tenta di colpire col piede Luno) Io sono normale, è che con l’età si perde il vigore…

Ilterzo – Voi non vi si può prendere né per la testa né per la coda. Intanto state lì, a digiuno. Vi farò morire di fame e mangiati dalle formiche. Se lei ritorna, è bene accetta.

Si guarda intorno come per impossessarsi dello spazio e del tempo, e si accorge che già il buio della sera, lo stormire delle foglie per una leggera tramontana, i versi degli uccelli notturni hanno ripreso il loro dominio su quella landa. Sotto lo sguardo curioso e spaurito dei due, si aggira un po’ per la scena a raccogliere fuscelli di legna e, avendone fatto un bel mucchio, si ritira. Accende il fuoco e il bagliore si spande nella scena accompagnato dal vivace crepitio della fiamma.

Ilterzo – (rientrando, con calma) Mi preparo da mangiare. Mi ci devo abituare per quando non ci sarete più e io resterò da solo…

Luno – Bella prospettiva…

Ilterzo – Per me, bella… Non vi avrò più fra i piedi, mondezza!

Laltro – Un futuro roseo…

Ilterzo – Per me, roseo… Un Paradiso terrestre, e io Adamo…

Luno – Sempre il primo!

Ilterzo – (rammaricato) Ma Adamo non esiste senza Eva.

Laltro – E Donna?

Ilterzo – Me ne fotto. Peggio per lei che se ne è andata. Non ha creduto in me. Mi farò un’altra Eva.

Luno – Dove?

Ilterzo – Ne trovo quante ne voglio.

Laltro – Di Eva ce ne fu una sola.

Ilterzo – E tutte le altre… (porgendo l’orecchio verso le quinte) Sentite come crepita la fiamma?

Luno e Laltro si guardano, ammiccando.

Luno – E allora?

Ilterzo – Il fuoco purifica… e cuoce. (avviandosi) Vado a metterci un pezzo di carne.

Laltro – Non ne abbiamo.

Ilterzo – (bloccandosi) Un fagiano…

Luno – ( sornione a Laltro) L’hai forse cacciato tu?…

Ilterzo – (in crescendo) Un pollo, un coniglio, una lepre, (montando su tutte le furie, li colpisce con una verga che ha in mano) O il diavolo che vi porti nelle fiamme dell’inferno. Ah, ecco! Ci metto te ad arrostire…

Luno – Io sono quattr’ossa…

Ilterzo – E allora, tu.

Laltro – Sono tutto pellaccia…

Ilterzo – Il giorno non deve spuntare che morirete.

Luno – Non possiamo esprimere le nostre ultime volontà?

Laltro – Ai condannati a morte si concede.

Ilterzo – Certo, sul come volete che vi uccida: fucile, forca, accetta, coltello…

Laltro – (sottovoce a Luno) Questo non scherza…

Luno – (c.s.) Mi sa veramente giunto il momento.

Ilterzo – (sospettoso) Cosa andate farfugliando?

Laltro – Che siamo rassegnati.

Ilterzo – Forse…

Luno – (sorpreso) Forse, che?…

Laltro – (premuroso) Hai un’idea?

Ilterzo – Forse sì, forse no. Prima voglio mangiare.

Luno – (premuroso) Nella sacca c’è un pezzo di pane, mangi e poi…

Ilterzo – V’ammazzo.

Laltro – Dicesti che forse…

Luno – Una nuova idea…

Ilterzo, il pezzo di pane in mano, li ignora. Si siede su un sasso e comincia ad addentare il pane con fatica.

Ilterzo – (irritato) Una pietra è, non pane. Lo fate apposta.

Luno – No, no… Ce ne siamo privati per te.

Laltro – Magari l’avessimo noi. Non sai che fame. E’ tanto che non mettiamo niente dentro (toccandosi lo stomaco) qui.

Luno – (piagnucoloso) Ho l’acquolina in bocca. Vedendoti masticare, mi vengono i crampi allo stomaco.

C’è un momento di silenzio. I rumori e i suoni della sera si amplificano e si espandono. Anche la fiamma del focolare dietro le quinte si ravviva sicché i bagliori e il crepitio sembrano inseguirsi sul fondale. Ilterzo ha finito di mangiare e, mentre si risucchia in bocca le briciole impigliate tra i denti, si distende al suolo.

Luno – (azzardando) T’è bastato?

Ilterzo – Ho tappato un buco.

Laltro – Meglio di niente.

Ilterzo – Ne hai più?

Laltro – Magari!

Luno – Te l’avremmo dato prima.

Ilterzo – Mangiando, ho pensato…

Laltro – (ammiccando a Luno) Novità…

Luno – (c.s.) Sentiamo che gli scappa dalla bocca.

Ilterzo – Un grande progetto. Mi ci volete voi, perciò non vi ammazzo.

Laltro – (risollevato) E’ già una cosa.

Luno – Slegaci.

Ilterzo – Al tempo. Prima dovete accettare il piano.

Laltro – (ironico) Senza condizioni, non è vero?

Luno – (assecondando) Verissimo. Parola d’onore…

Ilterzo – (perdendo la pazienza) Di imbecilli, e figli di puttana.

Laltro – Hai tardato a dircelo.

Luno – Tarda, ma arriva. La solita solfa, (imitando) figli di puttana, di puttana…

Ilterzo – Stronzi!

Laltro – Davvero questa ci mancava!

Pausa. Luno e Laltro non sanno cosa pensare e si rimandano sguardi interrogativi, perplessi, in attesa di un pronunciamento de Ilterzo.

Ilterzo – (prorompendo) Ulisse…

Luno – (sorpreso) Ulisse?

Laltro – (ribadendo) Ulisse?

Ma i due si guardano con astuzia e complicità, come per un’idea risolutoria che si accende improvvisa.

Ilterzo – Ulisse, proprio il distruttore di Troia. Come lui, andremo alla scoperta di un nuovo mondo. Salperemo, solcheremo il mare, supereremo le Colonne d’Ercole…

Laltro – (ispirato) Fatti non foste a viver come bruti, ma…

Ilterzo – (irritato) Tu che ne sai?

Luno – (sollecitamente) Ha studiato, lui, da prete. Te l’abbiamo detto.

Ilterzo – Queste saranno le avventure del novello Ulisse, cioè mia, e passerò alla storia.

Laltro – Tu solo, naturalmente.

Luno – Nemmeno a parlarne.

Ilterzo – Parliamone. Vi racconterò la storia…

Laltro – Sappiamo di Ulisse. So anche a memoria dei versi in greco. Te li recito?

Luno – Recitali! Saranno incomprensibili, ma la curiosità di sentir parlare come duemila anni fa è grande.

Ilterzo – Non serve ai fini della realizzazione del progetto. La preparazione è importante quanto la messa in atto. Curerò ogni particolare, metterò a punto ogni cosa: nulla deve essere trascurato, pena e guai per voi. Saprò vincere tutte le difficoltà e alla fine sarà un trionfo per noi, cioè per me. La gloria sarà tutta nostra, cioè mia. Voi mi tirerete i piedi. Ora è notte e il corpo ha bisogno di dormire. (si alza)Vado nel capanno, per una buona e profonda dormita. La notte porta consiglio –si dice- ma io non ne ho bisogno. Non ho bisogno della notte per attingere all’altezza eccelsa cui soltanto può il mio pensiero. Mi sia compagno il sonno fino all’alba di domani che risplenderà di luce nuova.

Si avvia verso il fondo della scena, mentre i due chiedono invano di essere liberati.

Luno e Laltro – Liberaci… slegaci…liberaci…

Ma ormai Ilterzo scompare per andare a distendersi sul giaciglio nel capanno. I due, aiutandosi a vicenda, riescono a liberarsi e, accortamente origliando, spiando semmai Ilterzo sia ancora desto, udendo il suo pesante ronfare, entrano dietro le quinte, nella parte da dove provengono i bagliori della fiamma che, per i movimenti che fanno, diventano intermittenti sulla scena. L’atmosfera strana, surreale, sottolineata da una melodia composta dei rumori e dei versi che la notte produce, e dei tocchi appena percettibili di una musica metallica, deve creare negli spettatori una curiosa aspettativa.
Straziato, improvvisamente, si leva un grido di morte e rimbomba un sordo tonfo come di corpo abbattuto. Luno e Laltro si fanno sulla scena, trasportando sottobraccio, in fila, una pertica d’agave, fumigante nell’estremità di testa. Attraversano lentamente il palco, per uscire dalla prima quinta del lato opposto, paghi nel volto per avere conquistato, alla fine, la scelta di una libertà che Ilterzo, simbolo eterno della prevaricazione sugli altri, avrebbe voluto soffocare per ridurli servi ed emarginati. Usciti loro, la fiamma dietro le quinte ha un sussulto che avvampa violentemente il fondale e la cavea tutta. Ma un’ombra (di Ilterzo? di Donna?) si scorge seguirli lentamente nel chiarore residuo che prende a scemare e spegnersi, lasciando avanzare il buio sulla scena e il sipario sulle carrucole per chiudersi.

FINE