L’EROE

di

Mauro Lorenzini



(v. 2017)



SINOSSI
Novembre 2002. Un uomo dalla vita anonima e scialba si trova casualmente a sventare un attentato che avrebbe potuto causare molte vittime. Il suo momento di notorietà viene sfruttato da un’importante casa editrice che intende pubblicare la storia di un uomo normale diventato eroe per caso.    
Un collaboratore della casa editrice viene incaricato di raccogliere il materiale necessario attraverso una serie di interviste con il protagonista della vicenda. Questi, a mano a mano che i colloqui procedono, è costretto a ricordare cose non piacevoli del suo passato e, in particolare, si trova a fare i conti con un terribile segreto che ha custodito per oltre vent’anni.
Poco prima della stampa del libro l’uomo, in un’animata discussione con la figlia ventenne, le racconta quello che ha taciuto per tanto tempo. La ragazza, spinta dal senso di rettitudine e dall’amore per la verità, fa di tutto – all’insaputa del padre - perché anche quei tragici eventi siano raccontati nel libro.

PERSONAGGI
Enrico Merzani: 50 anni, commerciante di computer, separato dalla moglie, vive da solo.
Stefano Tersi: 40 anni, collaboratore di un’importante casa editrice, sogna di diventare uno scrittore di successo.
Carla: 22 anni, figlia di Enrico, frequenta l’università a Siena, dove vive.
Cristina: giornalista
Operatore TV
Truccatrice

Scena 1

Soggiorno di un appartamento. L’arredamento è piuttosto dozzinale: un divanetto, una poltrona, un mobiletto bar, uno specchio appeso alla parete, un tavolo con due sedie, una libreria con volumi e soprammobili.
A terra c’è una borsa piuttosto voluminosa.
Pomeriggio di un giorno di novembre.
Da un’altra stanza provengono rumori metallici. Stefano Tersi è in piedi, si guarda intorno, osserva la libreria e i soprammobili (compresa una foto incorniciata), va alla finestra e guarda fuori. Ha l’aria di aspettare qualcuno…   
Da fuori giunge la voce di Enrico Merzani.

E:    (da fuori) Ho quasi finito. Ancora un minuto e sono da lei.
S:    (si gira in direzione della voce) Non si preoccupi. Faccia pure.
Stefano guarda l’orologio con impazienza. Dopo un po’ entra Enrico, con una chiave inglese in mano. E’ vestito in modo dozzinale.
E:      Eccomi. Mi deve scusare, signor…?
S:      Tersi, Stefano.
I due uomini si danno la mano. Enrico regge ancora la chiave inglese, sicché l’azione risulta un po’ difficoltosa. I due sorridono d’imbarazzo poi Enrico butta la chiave sulla poltrona e si butta a sedere sul divano, sospirando.
E:    E’ che l’impianto andrebbe rifatto del tutto, ma il padrone di casa non ci sente da quell’orecchio. Tempo fa mi ha mandato un idraulico di sua fiducia che è stato un’ora a trafficare nel bagno e adesso… se non cambiavo quella guarnizione si sarebbe allagato tutto…
Enrico si accorge che l’altro è ancora in piedi.
E:        Ma si accomodi, prego…
Stefano toglie la chiave inglese dalla poltrona. Enrico se ne accorge.
E:        Ah, scusi, dia qua…
S:    (sedendosi) Eppure la casa sembra nuova.
E:    Quando ci sono venuto, tre anni fa, il proprietario mi disse che l’appartamento era stato appena ristrutturato ma io non ci credo per niente. Tutt’al più gli ha fatto dare un’imbiancata. Il palazzo, poi, credo che abbia almeno una trentina d’anni.
S:    Però c’è una splendida vista. (torna a guardare dalla finestra). Siamo all’ottavo piano, vero? Prima si vedeva un tramonto bellissimo sulla campagna romana. Magari nelle giornate limpide si riesce a vedere anche il mare!
E:    Beh, non esageriamo, però è vero, c’è un bel panorama.
S:    E poi qui intorno c’è molto verde, no? Questa zona l’avevo presa in considerazione proprio tre anni fa, quando ho cambiato casa. Io ci sarei venuto di corsa, ma mia moglie ha preferito l’EUR… Alla fine sono sempre le donne a decidere, non crede?
E:    Credo, credo. Se sono qui, anch’io lo devo a mia moglie.
S:    Che le dicevo, sono sempre loro a decidere!
E:    Infatti è lei che ha deciso che era meglio separarci. La casa dove stavamo era sua e quindi…
S:    (imbarazzato) Oh… mi dispiace… non sapevo… (poi tace)
Il silenzio viene rotto da Enrico.
E:    (alzandosi) Ma che svagato, non le ho nemmeno offerto un caffè! O preferisce  un cognac? A quest’ora me ne faccio sempre un goccio, è diventata un’abitudine. Mi fa compagnia?
Enrico si dirige verso il mobile bar.
S:    (titubante) Veramente secondo il mio medico non dovrei, ma per una volta… Vada per il cognac!
Enrico versa il cognac in due bicchieri e ne porge uno a Stefano. Sorseggiano.
(pausa)
E:    E poi sa cos’altro ha un valore inestimabile, almeno per me? Il parcheggio.
S:        Qui non ci sono problemi, mi pare. Dove sto io è una vera tragedia. Ogni volta che trovo un posto decente mi viene voglia di non spostare più la macchina.
E:    Ma guardi, è la stessa voglia che viene a me. Ma non per il parcheggio… proprio per il fastidio di guidare nel traffico, di avere a che fare con gente incivile. I motociclisti, ad esempio. Ti si infilano sotto le ruote, ti superano a destra, a sinistra, e se non gli lasci lo spazio sufficiente a farli passare, ti insultano pure.
 Stefano annuisce per condiscendenza, ma è evidente che queste chiacchiere non gli interessano.
E:     Poi quando arrivi a destinazione, giri tre ore per cercare un parcheggio… tanto vale lasciare la macchina sotto casa…
S:        Già…
Stefano sta per continuare ma viene preceduto da Enrico.
E:    E dei costi, ne vogliamo parlare? Tra benzina e strisce blu se ne partono almeno sei euro al giorno. Io mi sono fatto la tessera annuale dell’autobus e il costo giornaliero si riduce a meno di un euro.
S:    Capisco, è un bel risparmio.
E:         Certo, dipende da quanto è comodo raggiungere il lavoro.
S:        Io non potrei mai fare a meno della macchina… Lei invece ci va coi mezzi pubblici?
E:    (un po’ evasivo) Sì, posso prendermela comoda. Ho un socio che sta in negozio la mattina presto.
S:    Di cosa si occupa, esattamente?
E:    Computer. Ho un negozio… Se non avessi abbandonato l’università farei l’architetto, ma è andata così…
Squilla il telefono. Enrico non risponde.  S. aspetta, incerto, poi…
S:    Non si faccia problemi per me, risponda pure…
E:    No, no… E’ di sicuro il padrone di casa. Sono in ritardo con l’affitto. Questo scocciatore mi chiama tutti i giorni, ma quando deve essere lui a tirare fuori i soldi… (accenna un gesto in direzione del bagno)
Stefano assume un’espressione di circostanza. Poi ne approfitta per parlare lui.
S:         Allora… vogliamo cominciare? (si avvicina alla borsa posta sul pavimento come per aprirla)
E:         Sì…. Anche se, glielo dico subito, io oggi sarei un po’ impegnato…
S:    (continuando ad aprire la borsa) Non si preoccupi, questo è solo il nostro primo incontro, per conoscerci. La prossima volta magari le parlerò più in dettaglio della nostra iniziativa.
E:      No, la prego… cerchi di capirmi… lei è una persona squisita con cui si parla bene… da tempo non mi trovavo così a mio agio nel fare due chiacchiere… in questi ultimi giorni mi è capitato di parlare con gente piuttosto sgradevole. Mi dispiace doverlo dire ma… non sono proprio interessato alla sua proposta…
Stefano comincia a capire che deve esserci stato un fraintendimento e si ferma.
S:       Ma, mi scusi, non era stato informato della mia visita di oggi?
E:    Ma sì, mi ha chiamato una signora… l’altro ieri, mi pare… Mi ha preso alla sprovvista. Facevo meglio a dirle di no. E’ vero che un mese fa ho licenziato la colf… però me la cavo con quello che ho. Non vorrei affrontare nuove spese…
S:    (non capendo) Prego?
E:    Dico… lasci stare. Mi dispiace che sia venuto fin qui per niente ma non stia a perdere tempo. Tirare fuori l’aggeggio, montarlo e mostrarmi quant’è utile… Non mi serve, grazie.
S:           Di che aggeggio parla?
E:    (dubbioso) Ah, non è lei il rappresentante del robot tuttofare?
S:    (sorridendo più rilassato) Ma no, io vengo per conto della Globedit!
E:    Mi deve scusare, signor Tersi. Mi sono confuso perché in questi giorni ho ricevuto parecchie telefonate e perfino qualche visita… cosa che mi capita di rado, tra l’altro…
S:    Non mi sorprende. Chissà quanti vorranno conoscerla, parlare con lei… specialmente adesso…
Enrico è sorpreso. Continua a credere che Stefano sia lì per vendergli qualcosa e rimane di stucco quando capisce che l’altro l’ha riconosciuto. Si schermisce, un po’ si vergogna.
E:    Purtroppo è così, e lo giudico eccessivo... Non mi piace essere al centro dell’attenzione…
S:     (Come facendo una battuta divertente) Con il mio aiuto, suo malgrado, lo sarà ancora di più… Pensa che potremmo incontrarci due o tre volte alla settimana? Capisco che è impegnativo, ma come immaginerà non abbiamo molto tempo.
Enrico capisce che ancora una volta non stanno parlando della stessa cosa.
E:    (sorpreso) Veramente non immagino nulla. La signora al telefono ha detto che mi avrebbe spiegato tutto lei… Comunque due o tre volte alla settimana mi pare uno sproposito… ma che ci dobbiamo dire?
S:    La signora Bielli non le ha detto del libro?
E:     Sì… conosco la Globedit, ma il discorso è lo stesso del robot, e l’ho detto anche alla signora, io non intendo acquistare nessun libro… Le conosco queste cose: fai mille rate e poi ti ritrovi con una inutile enciclopedia… scusi, eh, senza offesa…
S:       (stupito) No… c’è un altro equivoco… che ha capito, io non sono qui per venderle niente.
E:          (sollevato) Ah… scusi, sa, ma con tutti questi importuni che telefonano a ogni ora per venderti qualsiasi cosa…  Con le mie chiacchiere non le ho dato il tempo di spiegare il motivo della sua visita. Le chiedo ancora scusa. (sorridendo tra sé e sé) In effetti se per vendermi qualcosa fosse venuto ogni due giorni l’avrei trovato un po’ troppo insistente…
S:    (sempre sorpreso) Ma no… Sono io che devo scusarmi. Lei mi ha accolto senza fare domande e con una tale cordialità che davvero ho creduto sapesse già tutto. La signora dovrebbe averle accennato ad un progetto culturale…
E:    (sempre poco convinto e non sapendo di cosa parla) Ah sì… adesso mi pare di ricordare... Una cosa di un certo livello… piuttosto laboriosa…
(pausa)
Enrico è pensoso.
S:     Ha ancora dei dubbi?
E:    No… è che… la signora…
S:    Bielli.
E:    Sì, al telefono aveva parlato di un contratto… Non le avevo prestato attenzione convinto che si trattasse di un impegno ad acquistare… ecco, invece… adesso ho capito…
Stefano tira fuori da una borsa una busta e gliela consegna.
S:    Immagino che la signora si riferisse a questo.
Intanto Stefano si sistema: si toglie la giacca, poggia degli oggetti sul tavolino…
Enrico prende la busta, la apre, guarda con molta calma i fogli…  e la sua attenzione cade su un foglio in particolare…
S:         Allora, adesso che abbiamo chiarito tutto, vogliamo iniziare?
Enrico sembra colpito da qualcosa.
E:    No… senta… deve scusarmi di nuovo ma… io non pensavo di trattenerla a lungo e… (è evidente che è una scusa) ho preso un altro impegno…
Stefano è stupito ma incassa con eleganza.
S:     Capisco… Allora, magari, tornerei domani, se è possibile… (intanto raccoglie le sue cose)
E:     (ancora incerto) No, domani no… se facessimo…
S:     Giovedì? Giovedì è perfetto, d’accordo?
Stefano gli tende la mano.
E:     (si vede che non è affatto convinto) D’accordo, a giovedì.
Enrico gli stringe la mano, l’accompagna alla porta e torna a leggere il contratto. Nel posarlo vede un oggetto dimenticato da Stefano e lo prende in mano per guardarlo meglio.
Suonano alla porta. E’ Stefano.
S:    (entrando e guardando verso il tavolino) Mi scusi, ho dimenticato una cosa…
E:    E’ questa, per caso?
S:    (prendendo l’oggetto e mettendolo in tasca frettolosamente) Sì, grazie.
E:    Ma cos’è? Un registratore?
S:    Sì.
E:    (irritato) Non lo avrà mica acceso, spero…
S:    (va via sorridendo) Una buona serata, a giovedì!
E:    (seguendolo) L’avverto che se lei ha intenzione di… (quasi tra sé e sé perché Stefano è uscito) tradire la mia fiducia…


Scena 2

Stessa scena. Stefano è seduto in poltrona, giocherella con un taccuino e una penna. Enrico è in piedi e passeggia lentamente avanti e indietro.

E:    Lei ha figli, signor Tersi?
S:    (stupito dalla domanda) Sì, ho una ragazza di sedici anni, perché?
E:    Allora può capire il mio stato d’animo quando Carla è andata a studiare a Siena, un anno fa.
S:    A sedici anni?
E:    Venti.
S:    Beh, è normale che a quell’età si vada a studiare altrove.
E:    Forse che da Siena si venga a Roma…. ma il contrario… La Facoltà di Storia dell’Arte c’è anche qui.
S:    In effetti...
E:    Comunque non ci ho messo molto a capire il vero motivo della sua scelta … originale.
S:    Non mi dica che...
E:    .. è stato per amore? Proprio così. Disse che avrebbe affittato un appartamento con altre studentesse, ma quando sono andato a trovarla ho visto che divideva la casa con un tizio, un assistente universitario un po’ più grande di lei. Uno che aveva conosciuto l’estate prima in Tunisia. Secondo me è stato lui a convincerla a studiare a Siena.  
S:    Noi padri siamo sempre un po’ gelosi delle nostre figlie, vero signor Merzani? Sono sicuro, comunque, che ha perdonato sua figlia per quella piccola bugia e che adesso tra voi c’è un rapporto molto bello.
E:    Sì, più o meno. Lo so che è una ragazza in gamba.  
S:    Immagino quanto sia orgogliosa ad avere un padre come lei…
Enrico annuisce distrattamente.
S:    Soprattutto dopo quello che ha fatto. E’ raro avere un padre che conquista l’ammirazione di tutti.
E:    (schermendosi) Ma no! Non credo di essere un uomo eccezionale... Ho fatto quello che chiunque avrebbe fatto al mio posto.
S:    Direi proprio di no. Lei è diventato un esempio per tutti. Magari lo è diventato per caso, senza andarselo a cercare…
E:    (un po’ ironico) Già, per caso. Tutto avviene per caso. Se mia figlia non si fosse trasferita non sarei mai diventato… un esempio per tutti!
S:    (fingendo di capire) E già!
Enrico si siede.
E:    (sorridendo fra sé e sé) Che poi, a dirla tutta, all’età di Carla feci la stessa cosa… e non avevo neanche la scusa di dover studiare da un’altra parte. (con enfasi) Solo per la voglia di libertà! Sa, a vent’anni si hanno tante illusioni…
S:    Sembra che se tornasse indietro non lo rifarebbe...
E:    Chi lo sa? Mio padre non la prese bene e dovetti mantenermi da solo. D’altronde non posso dargli torto, in casa entrava solo il suo stipendio di statale. Per un po’ ho provato a guadagnare qualche soldo continuando a studiare, poi non ce l’ho fatta più, troppo faticoso, e così… addio architetto!
S:    Il fatto che lei abbia rinunciato alla laurea per non gravare sull’economia familiare le fa onore, è indice di grande responsabilità. (pausa) I lettori lo apprezzeranno!
E:    Se lo dice lei...
S:    Immagino comunque che lei sia rimasto in buoni rapporti coi suoi genitori, anche andandosene a stare per conto suo.
E:    (poco convinto) Sì.
S:    E poi non li ha lasciati proprio da soli, c’era il suo fratellino...
E:    (improvvisamente incupito) Quale fratellino? Io sono figlio unico.
S:    (imbarazzato) Mi scusi… Avrei giurato… vedendo quella foto…
Stefano indica la foto sullo scaffale della libreria.
E:    (infastidito) Che ne sa lei di quella foto?
Stefano si alza, prende la foto dallo scaffale e la guarda incuriosito.
S:    L’ho vista l’altro giorno. Sembra una fotografia d’altri tempi…
E:    (alzandosi per togliere la foto dalle mani di Stefano e rimetterla al suo posto) Lasci stare. Sono passati molti anni.
S:    L’ho riconosciuta a stento con i capelli lunghi e i baffi alla Gengis Khan.  Scommetto che aveva poco più di vent’anni anche se ne dimostra trenta. E questo ragazzino accanto a lei… Avrei giurato che…
E:    (scocciato) E’ il cuginetto di una ragazza che avevo conosciuto in vacanza… E’ lei che ha scattato la foto.
S:    Che strano, le assomiglia…
Stefano torna a sedersi.
Enrico (agitato) si avvicina al mobile bar e riempia un bicchiere dl cognac.
E:    E’ l’ora del mio cognac.
(pausa)
E:    (più calmo, senza rivolgere lo sguardo all’altro) Ne vuole?
S:    No, grazie. Oggi preferisco non bere.
(pausa)
S:    (timidamente) Visto che ci siamo interrotti… volevo chiederle se ha avuto modo di dare un’occhiata al contratto… L’editore mi ha pregato di riportargliene una copia firmata quanto prima.
E:    (quasi borbottando) Ah, il contratto.
Enrico cerca la busta intorno, sullo scaffale della libreria, nel cassetto del mobiletto. La trova, la apre con calma e comincia a leggere.
E:    (perplesso) Se devo essere sincero… Scrivere addirittura un libro su quello che mi è successo… Non credo che… interessi a qualcuno…
S:    Scherza? E’ la storia di un uomo normale – senza offesa s’intende – che da un giorno all’altro si trova ad essere un idolo. E’ una storia che coinvolgerà emotivamente chiunque la legga.
(pausa)
S:    Ascolti, signor Merzani. La Globedit, che come lei sa appartiene al più importante gruppo editoriale italiano, ha deciso di pubblicare un libro che racconti del suo gesto eroico, grazie al quale sono state salvate molte persone. In tempi come questi è importante dimostrare alla gente che esistono uomini come lei, pronti a rischiare la vita per salvare quella degli altri. Serve un messaggio tranquillizzante, specialmente adesso che molti hanno paura perfino ad uscire da casa. Per farle capire quanto si punta su questo progetto, le dico che è stato il direttore editoriale in persona a darmi l’incarico di incontrarla per raccogliere il materiale necessario. Il libro sarà pubblicato con il suo nome, ovviamente, e lei ne avrà tutti i diritti.
E:    Senta, mi lasci leggere il contratto con calma, sono diverse pagine. Farlo adesso, con lei che mi guarda, mi mette l’ansia. (posa di nuovo la busta sullo scrittoio)
S:    Veramente pensavo che lo avesse già letto.
E:    (vago) Non ho avuto tempo. Però ho visto che si parla di un anticipo sul compenso. Ecco, se intanto potessi avere un assegno…
S:    Non dipende da me. Ne parlerò con l’editore.
Stefano estrae dalla tasca il registratore e lo poggia accanto a sé.
S:    Lei permette, vero?
E:    Ancora quel coso? Ma è proprio necessario registrare tutto? Pure quell’affare mi mette ansia.
S:    (sorridendo per tranquillizzarlo) Ma è solo un modo più comodo di prendere appunti! Se dovessi annotare tutto a penna ci vorrebbe il quadruplo del tempo e di tempo non ne abbiamo molto. Il libro deve essere un instant book e il suo lancio va fatto entro sei, massimo otto settimane dall’avvenimento. Ne sono già passate due… se non sbaglio. Insomma tra una decina di giorni le bozze devono essere pronte.
E:    Quel nastro che gira mi mette ansia lo stesso.
S:    Capisco, ma abbia pazienza, per il momento lo teniamo spento. Possiamo riprendere? Mi stava dicendo che era andato a vivere da solo…
E:    Non proprio da solo…
S:    Ah no? E con chi?

Scena 3

Stessa scena. Enrico e Stefano sono seduti.
S:    Vuole raccontarmi di quel giorno? I giornali e la televisione l’hanno descritta come un eroe che ha salvato molte vite, ma non ho trovato da nessuna parte una cronaca dettagliata. Sono davvero curioso di sapere cos’è successo, a parte l’interesse professionale s’intende.  
E:    Da quando è successo sono stato assediato da giornali e televisioni. Tutti mi chiedevano di raccontare, volevano i particolari. Io odio mettermi in mostra. Mi sono chiuso in casa, non rispondevo al telefono. Un fastidio insopportabile.
S:    La capisco, signor Merzani. Spero di non essere proprio io ad infastidirla oltre misura. Se può esserle – diciamo così – di conforto, sappia che se la Globedit avrà l’esclusiva dell’intervista per lei ci sarà un compenso davvero molto molto interessante.
E:    (dopo una pausa) Era il venerdì di due settimane fa. Avevo detto a Carla che sarei andato a passare il week end da lei e così ho preso il pullman che parte dalla stazione Tiburtina. E’ comodo, ci mette tre ore. Era stata proprio Carla a consigliarmelo, sa che non guido volentieri.
Stefano accende il registratore con discrezione.
S:    Bene, andiamo avanti.
E:    Ero arrivato in anticipo, mi succede spesso. Preferisco aspettare leggendo qualcosa anziché arrivare trafelato o, peggio ancora, rischiare di fare tardi. Ho aspettato facendo due passi, ma dopo un po’ ho sentito qualche goccia di pioggia e allora sono salito sul pullman e mi sono seduto in seconda fila. Avevo portato con me un libro ma mi sono assopito quasi subito. Non l’ho neanche aperto. Quando mi sono svegliato era quasi buio. Ho guardato fuori e ho visto il guard rail dell’autostrada che scorreva alla mia destra.
    Ho visto l’ora e ho cercato di capire dov’eravamo. Erano quasi le cinque, quindi più o meno a metà strada. Sentivo un chiacchiericcio confuso dietro di me. Mi sono voltato e ho visto che il pullman era piuttosto affollato. A parte due o tre ragazzi che sghignazzavano, tutti sembravano sonnecchiare. Dopo qualche minuto un uomo mi è passato accanto per avvicinarsi al posto di guida, come per chiedere un’informazione. Lo vedevo di schiena. Si è chinato leggermente verso l’autista e mi è sembrato che subito dopo il pullman rallentasse di botto. L’uomo ha detto qualche altra cosa e il pullman ha ripreso velocità. Ho capito che c’era qualcosa di strano perché l’uomo continuava a restare lì, accanto all’autista, senza tornare al suo posto. E infatti, poco dopo, il pullman è entrato in un’area di sosta.
S:    Non era quindi un’area di servizio, come qualche notiziario si è inventato...
E:    No, era uno spiazzo vuoto, un’area di parcheggio. E in quel momento anche deserto.
S:    Che è successo?
E:    Il pullman si è fermato accanto alla recinzione. E’ stato allora che l’uomo si è voltato gridando qualcosa che non ho capito. Con la mano destra impugnava una pistola e la teneva puntata sull’autista.
S:    Ma cosa diceva? Possibile che non si capisse?
E:    Urlava in modo concitato e con una voce stridula. All’inizio non capivo una parola. Ho afferrato il senso solo quando ha gridato a tutti di stare calmi e di non muoverci. L’ha detto più volte. Guardava l’orologio, come se aspettasse qualcuno.
S:    Al suo posto sarei rimasto impietrito dal terrore. Lei non aveva paura?
E:    Non lo so. Lì per lì non mi rendevo conto... Mi sembrava finto, come la scena di un film…
S:    A un certo punto, però, lei è intervenuto con un gesto coraggioso…
E:    Ho sentito un trambusto alle mie spalle e qualcuno ha gridato. Forse uno dei passeggeri ha tentato di alzarsi ed è stato fermato dagli altri, non lo so. Fatto sta che il tizio con la pistola ha avuto uno scatto di nervi. Ha gridato di nuovo di stare fermi, ha afferrato per un braccio un ragazzino che sedeva in prima fila e con uno strattone l’ha fatto alzare e se l’è tirato addosso. Lo teneva stretto col braccio attorno al collo. Si è spostato un poco di lato in modo da tenere la pistola puntata alla testa del ragazzo e allo stesso tempo non perdere d’occhio l’autista. Ha urlato che al primo movimento avrebbe sparato al ragazzino.
(pausa)
Non so cosa mi è preso… ho afferrato l’ombrello e l’ho spinto con forza verso la faccia dell’uomo. Temevo di essere lento ma evidentemente non è stato così. Ho colpito il delinquente proprio dentro un occhio. Quello ha barcollato imprecando. Mi sono scagliato addosso a lui e la fortuna mi ha assistito perché l’autista ha avuto una prontezza di riflessi straordinaria e ha fatto la stessa cosa. E’ addirittura riuscito a strappargli di mano la pistola e a tenerlo sotto tiro mentre io lo tenevo immobilizzato. Sono pure intervenuti altri due passeggeri. Lo bloccavamo in tre. Lui ha cominciato a gridare come un indemoniato.
S:    Ha reagito con violenza, dunque?
E:    Si agitava, tentava di divincolarsi, ma ho avuto subito l’impressione che stesse cedendo, mentalmente e fisicamente. I suoi strattoni erano deboli e le sue urla a poco a poco erano diventate lamenti. Lo stringevo da dietro col braccio intorno al collo, non potevo vederlo in faccia, ma ad un certo punto l’ho sentito tremare. Era scosso come se stesse singhiozzando.
(pausa)
S:    E la polizia?
E:    La prima volante è arrivata dopo dieci minuti, con tre poliziotti. Si sono buttati addosso all’uomo senza troppi complimenti. Nella foga di ammanettarlo mi hanno dato una spinta e ho sbattuto contro la spalliera dell’autista. Fino a due giorni fa mi faceva ancora male qui (si mette una mano sul fianco). Poco dopo sono arrivate altre due macchine, uno spiegamento di forze addirittura eccessivo, visto che l’uomo aveva rinunciato a qualsiasi reazione.
S:    Era straniero? Qualcuno dice che fosse di origine magrebina.
E:    Gridava e si lamentava. Aveva la voce falsata dall’agitazione, ma non ho sentito alcun accento straniero.
S:    Stanno indagando per scoprire eventuali contatti con organizzazioni terroristiche islamiche.
E:    Non mi sorprende affatto, di questi tempi.
S:    E il ragazzino?
E:    L’ho visto bene solo quando tutto era finito. Era un biondino, mingherlino. Poteva avere dodici o tredici anni.
S:    Sarà stato terrorizzato.
E:    Più che impaurito sembrava imbambolato. Aveva lo sguardo fisso davanti a sé e stringeva in mano uno di quei giochetti elettronici tascabili. Viaggiava da solo. Ho saputo dopo che suo padre l’aveva accompagnato al pullman e i suoi zii l’avrebbero aspettato a destinazione.
(pausa)
S:    Se ho capito bene, lei non è intervenuto nel momento in cui ha visto l’uomo minacciare l’autista, ma dopo, quando è stato il ragazzino a trovarsi sotto tiro… Eppure avrebbe avuto il tempo di agire prima. Perché lo ha fatto solo quando ha visto il ragazzino minacciato?
E:    (leggermente contrariato) Non lo so. E’ stato un gesto istintivo.
S:    Non ha pensato che il ragazzo avrebbe corso un grave rischio proprio a causa del suo gesto?
Non le è venuto in mente che poteva restare ferito o - peggio ancora - ucciso?
E:    (molto contrariato e turbato) No. Non mi è venuto in mente. E con questo?
(pausa)
S:    (scusandosi) Niente, niente, la mia era solo curiosità. Il suo slancio coraggioso nel proteggere un bambino è un elemento che avrà presa sui sentimenti dei lettori. Non sarebbe stato lo stesso se si fosse scagliato su quell’uomo per difendere l’autista, non crede? Parliamoci chiaro, chi avrebbe a cuore la sorte di un anonimo impiegato di un’azienda di trasporti, magari antipatico e sgarbato, più di quella di un ragazzino impaurito?
E:    (ironico) Lei dunque sa che l’autista era sgarbato e antipatico?
S:    (spegnendo il registratore) Ma no che non lo so, però è quello che dobbiamo scrivere!
E:    Pensavo che dovessimo scrivere solo cose vere, ma se non è strettamente necessario…
S:    Non mi consideri un cinico, ma i nostri obiettivi principali al momento sono due: fare presto e scrivere cose che attirino i lettori!
E:    Il primo obiettivo non mi sembra difficile: io posso liberarmi quasi ogni pomeriggio. Sono più scettico sul come attrarre i lettori. La mia vita, anche se raccontata con la sua maestria letteraria, non può suscitare alcun interesse. Ad essere sincero dubito molto che il libro si venda, tuttavia… (prende il contratto e lo agita) sarebbe sciocco che rinunciassi al progetto. A proposito, quella clausola di cui mi parlava, l’esclusiva per la Globedit, è già contemplata nel contratto o bisogna inserirla?
S:    Il libro venderà, non ne dubiti: l’editore è disposto ad investire molto nel suo lancio. Ne parleranno i giornali e lei sarà invitato a partecipare a diverse trasmissioni televisive. E poi cosa le fa pensare di aver avuto una vita poco interessante? Basterebbe il gesto che ha fatto a renderla tale! A proposito, visto che ha in mano il contratto, perché non lo firma? (gli porge una penna) Non voglio metterle fretta. Ha tutto il tempo per leggerlo. Se serve a farla sentire più a suo agio, faccia come se fosse solo. (si alza) Nel frattempo, col suo permesso, dò uno sguardo ai suoi libri, vedo che ha una bella biblioteca. Lei legga pure con calma.
Enrico si mette a leggere il contratto. Stefano osserva attentamente i libri sugli scaffali, si guarda intorno curiosando qua e là. Prende di nuovo in mano la foto incorniciata e l’osserva con attenzione.
Passa qualche secondo.
E:    Vedo che c’è già il titolo: “Io, eroe quasi per caso”. E’ una vera e propria autobiografia…
S:    Sì, certo, uscirà col suo nome e ufficialmente l’avrà scritto lei.
E:    Risulterò essere l’unico autore, vuol dire?
S:    Sì, certo.
E:    E lei che ci guadagna, scusi?
S:    (un po’ piccato) Ci guadagno il mio stipendio di responsabile della collana e le assicuro che non è poco…
E:    (con un pizzico di sarcasmo) Ah!
S:    E poi ho un extra per darle una mano nella stesura, oltre a qualche royalty sulle vendite. Sappiamo tutti che non è facile scrivere un libro per chi non è uno scrittore…
E:    E lei lo è? Ha mai pubblicato un libro tutto suo?
S:    (infastidito) Senta, se ha obiezioni da fare in merito al contratto, è bene che si rivolga alla Direzione Editoriale. Io gliel’ho soltanto portato, non ne conosco i termini e non li voglio conoscere.
E:    Non ho particolari obiezioni, però non vedo che fretta ci sia a firmare. Piuttosto… quell’anticipo che le ho chiesto l’altra volta?
S:    Senta, adesso si è fatto tardi. Se per lei va bene tornerò domani pomeriggio, nel frattempo sentirò l’editore.
E:    D’accordo. A domani.
Stefano si avvia alla porta indicando verso lo scaffale della libreria.
S:    In quella foto… dai vestiti… non sembrate proprio in vacanza lei e… il cuginetto della sua amica… Quella sullo sfondo non è la Basilica di San Pietro? Che strano….

Scena 4

In una zona appartata del palco Stefano ha un colloquio telefonico con il Direttore Editoriale della Globedit.

S:    Sì, tranquillo, procede tutto secondo i piani.
VFC:    Sei sicuro? Ti ricordo che il libro deve uscire     al massimo tra un mese.
S:    Non c’è problema. Stiamo andando avanti velocemente.
VFC:    Merzani collabora?
S:    Abbastanza. A volte sembra un po’ reticente su certi argomenti, ma io vado avanti senza perdere tempo ad indagare.
VFC:    Bravo. E’ così che devi fare. Al limite, quando certi particolari sono funzionali alla storia, inventali, purché siano verosimili.
S:    Naturalmente.
VFC:    Se è necessario, chiedi informazioni a qualcuno che lo conosce bene, alla ex moglie, per esempio.
S:    Lo farò, ma spero non sia indispensabile.
VFC:    Senti, una cosa importante. Sta venendo fuori che quel tizio che voleva sequestrare il pullman è un poveraccio che sta fuori di testa. Non è nemmeno straniero, è di un posto vicino a Rieti. La pistola, poi, era finta.
S:    Sì, ho sentito qualcosa ma sinceramente non ho avuto tempo di approfondire.
VFC:    Ecco, non approfondire. Noi dobbiamo sostenere la versione che è un pericoloso terrorista legato ad al-Qaeda. Questo dobbiamo scrivere. Chiaro?
S:    D’accordo. Stai tranquillo.
VFC:    Allora continua così, sbrigati. Buon lavoro.

Seguono altre brevi scene, accompagnate da brani musicali, in cui si vedono Enrico e Stefano continuare i loro incontri. I due si muovono e parlano senza che il pubblico senta la loro voce. L’effetto che si intende ottenere è quello usato nei film quando si vuol far capire che passa del tempo.

Scena 5

Stessa scena. Un venerdì verso sera, qualche giorno dopo. Enrico e la figlia Carla, appena arrivata da fuori.  

C:    Non ti avrei disturbato, ma la mamma era fuori per tutto il weekend e non poteva ospitarmi. Come te la passi? (si guarda intorno) Sempre uguale, mi pare…
E:    Non preoccuparti, nessun disturbo. Mi fa piacere averti qui.
C:    E’ solo per due notti. Non mi andava di fare una levataccia domattina… Ho appuntamento con gli altri alle 8 e mezza.
E:    Gli altri?
C:    Papà, te l’ho detto che andiamo alla manifestazione…
E:    Sì, ma chi sono questi altri?
C:    Amici. Gente del collettivo incazzata nera.
E:    E per cosa?
C:    (un po’ delusa) Una volta l’avresti saputo… i tagli all’università! Non leggi più i giornali?
E:    A proposito, come va? Non avevi un esame la scorsa settimana?
C:    E’ stato più di un mese fa… Ventotto.
E:    E col tizio, come si chiama, tutto bene?
C:    E’ uno stronzo. L’ho mollato.
E:    (non troppo sorpreso) Ah. (pausa) E i tuoi amici, quelli che vedi domani… li conosci bene? Sono persone… fidate?
C:    Ascolta papà, tra poco faccio ventidue anni. Non ti sembro capace di scegliere chi frequentare?
E:    Mi riferivo alla manifestazione. A volte c’è chi esagera…
C:    In compenso domenica, prima di ripartire, mi vedo con i compagni del liceo e quelli (ironica) li conosco benissimo, ci sono stata cinque anni insieme…
Carla si avvicina al divano e affonda la mano nel cuscino.
C:    Hai fatto aggiustare la rete? L’altra volta ho dormito malissimo.
E:    (un po’ imbarazzato) Me ne sono dimenticato… non lo usa mai nessuno…
Carla scuote la testa con rassegnazione.
E:    Senti Carla, per la cena dobbiamo arrangiarci… Non ho avuto tempo di fare la spesa. Se ti accontenti di un piatto di pasta…
C:    Vedo che si può fare... ed esce verso la cucina.
Enrico rimane in piedi e guarda fuori dalla finestra, pensieroso.
Rientra Carla con il necessario per apparecchiare il tavolo. Comincia ad apparecchiare.
C:    Ma quella tizia che veniva per le pulizie non viene più?
E:    (evasivo) No… mi ha mollato su due piedi…
C:     (mentre ritorna in cucina) Si vede…
E:    (quando Carla è già fuori, quasi tra sé e sé) Ne sto cercando un’altra…
Enrico sembra inquieto. Si avvicina al mobiletto e osserva per l’ennesima volta il contratto editoriale, lo sfoglia velocemente soffermandosi qua e là, poi lo riposa.  
Rientra Carla con altre stoviglie e continua a sistemare la tavola.
C:    Ho messo su l’acqua. Mangiamo farfalle alla carbonara, è una cosa obbrobriosa ma non c’è altro. Ho buttato mezzo barattolo di pomodoro perché c’era la muffa, e non oso chiedermi a quando risalgono le uova…
Enrico sembra non ascoltarla. Si versa un po’ di vino dalla bottiglia che è stata portata in tavola.
C:    Quant’è che vivi da solo? Due anni? Di più, tre. E in tre anni non sei stato capace di organizzarti una vita meno squallida… Guarda la mamma: vive in una bella casa, ha un nuovo fidanzato, ha amici interessanti, viaggia, si diverte… E tu? Sempre buttato qui dentro… Almeno avessi fatto i soldi… nemmeno quello.
Enrico sorseggia il vino.
E:    Cosa vuoi che ti dica? Le cose a volte vanno diversamente da come si vorrebbe…
(pausa)
E:    A proposito della manifestazione di domani… Dov’è che ti vedi coi tuoi amici?
C:    Alla Piramide, poi andiamo in corteo fino a viale Trastevere… perché?
E:    (impensierito) Così… mi preoccupa un po’ saperti in mezzo alla folla… c’è sempre qualche scalmanato… qualcuno che provoca… poi finisce che la polizia reagisce e sono botte… se non peggio.
C:    Guarda che sono tutti ragazzi come me. Magari si fa un po’ di casino, ma se c’è qualche violento viene subito isolato. Ma te lo sei dimenticato di quando eri giovane? Ti ci tuffavi a capofitto in queste cose, me l’hai raccontato tu! E ai tuoi tempi l’ideologia, la rabbia, la tensione politica erano molto più esasperate di adesso, e quindi non ti preoccupare…  
E:    Già, è proprio così, le grandi passioni si sono stemperate e non saprei se è un bene o un male. E comunque tranquilla, non mi sono dimenticato di quando ero giovane, anche se spesso vorrei davvero non ricordare più niente. (ironico) Ottima salute e pessima memoria: ecco il segreto della felicità…
C:    (stupita) Parli come uno che non ha bei ricordi… Non ci posso credere. Tutti quelli della tua generazione non fanno altro che rimpiangere i tempi passati… il movimento studentesco, non si chiamava così?
E:    Ma certo che ho bei ricordi… (pausa) ma li devo andare a scovare uno ad uno… mentre quelli brutti sono sempre lì come macigni…
Squilla il cellulare di Carla. Lei guarda chi la sta chiamando e sbuffa infastidita senza rispondere.
E:    Chi è? Qualche scocciatore?
C:    Già… E’ lui. Ma perché gli uomini non sanno capire che quando è finita è finita? Eppure gliel’ho detto chiaramente!
E:    Beh, lo posso capire… non è facile rassegnarsi, specialmente all’inizio… Ma cos’è che non ti va bene di lui?
C:    Tutto. E’ possessivo, geloso, egoista, certe volte pure violento…
E:    Magari non se ne rende conto…
C:    Peggio per lui. La colpa è solo sua.
E:    Lo so. Essere lasciati è comunque una cosa dolorosa, anche quando si hanno tutte le colpe… (si fa pensoso) E puoi immaginare la rabbia che si prova quando si viene lasciati per colpa di altri…
(pausa)
E:    La pasta sarà cotta…
Carla si avvia verso la cucina e ritorna con due piatti di pasta. Si siedono a tavola e mangiano.
C:    Fa schifo, vero?
E:    No, per niente… è buona.
C:    Senti… parlando di essere lasciati per colpa di altri… alludevi per caso alla mamma?
E:    (con un sorriso triste) Ma no, figurati… il quel caso posso dire tutto tranne che non sia stata colpa mia. No, mi riferivo a uno di quei macigni di prima…
C:    Non ne so niente. Qualche tua fidanzata di quando eri giovane?
Enrico è pensieroso.
E:    Non sai tante cose di quando ero giovane. Che ero un ribelle lo sai, che facevo litigate furibonde con mio padre, che andavo in piazza a manifestare non appena se ne presentava l’occasione. Ti avrò detto di quante volte mi hanno portato in commissariato… poi vedevano chi era mio padre e mi lasciavano andare. Tutto questo te l’ho raccontato tante volte, ma quante altre cose non ti ho detto?
C:    (incuriosita) Per esempio?
E:    (senza guardarla) Per esempio di Francesca…
(pausa)
E:    Aveva circa l’età che hai tu adesso, e io avevo due anni di più. Era alta, il corpo sottile, la pelle bianca, i capelli lunghi fino alla vita, gli occhi che sorridevano sempre e che cambiavano colore a seconda del tempo. Quando c’era il sole erano due smeraldi… E quel giorno c’era il sole. Me lo ricordo bene, il sole di quando scoppia la primavera… (pausa) Stavamo insieme solo da tre mesi. Io ero innamorato, forse per la prima volta… e credo che lo fosse anche lei. Era il mio unico pensiero, volevo averla sempre accanto.
Si interrompe per bere ancora.
C:    E allora?
E:    E allora… L’hai detto tu che quando c’era da ribellarsi mi ci tuffavo a capofitto. Be’, è stato così anche quella mattina di primavera. C’era un bel sole caldo, ci tenevamo per mano in mezzo a migliaia di ragazzi come noi che camminavano, cantavano, ballavano. Era un fiume colorato che aveva invaso le strade e le piazze. E’ vero, qualcuno urlava a brutto muso, non aveva un aspetto pacifico, ma tanti, tantissimi sorridevano, si abbracciavano…
Carla lo fissa con aria interrogativa.
E:    Poi dei colpi, il fumo dei lacrimogeni, gente che corre da tutte le parti, qualcuno cade… Io e Francesca non avevamo paura, però ci siamo messi a correre come gli altri, le tenevo la mano stretta nella mia e me la tiravo dietro… attento a non farla cadere … però…
Enrico ha la voce incrinata dalla commozione.
E:    … però … è caduta… sul bordo del marciapiede… ho pensato che fosse inciampata… mi sono chinato per rialzarla… c’è stata una carica dei carabinieri… sono caduto a terra anch’io… ho intravisto i manganelli abbattersi a casaccio su tutti… ho visto che perdeva sangue dalla tempia, dall’orecchio…  ho avuto paura, per lei, non per me, per lei…
(pausa)
E:    … poi non l’ho vista più… mi sono rialzato, l’ho cercata con lo sguardo … niente … l’avevano portata via …  
Carla l’ha ascoltato senza fiatare, presa dalla drammaticità del racconto. Si avvicina al padre e gli mette una mano sulla spalla.
Enrico si calma.
E:    Ecco, questa cosa non te l’avevo mai detta…
C:    Dev’essere stato terribile…  e Francesca?
E:    Ho passato quattro giorni di angoscia… non ne sapevo più niente … poi l’ho rivista…
C:    Che le era successo?
E:    Era stata denunciata per resistenza e si era fatta quattro giorni di carcere…  
C:    E dopo… vi siete lasciati?
E:    Quando la rividi, dopo che l’avevano rilasciata, era cambiata. Disse che mi voleva bene ma che non se la sentiva più di stare con me. L’ho pregata di ripensarci… di riflettere bene… la sua poteva essere una reazione impulsiva al trauma di quello che le era successo… ma non c’è stato niente da fare. Da quel giorno non l’ho più vista…
C:    Deve essere stato un brutto colpo. (pausa) Ma com’è possibile che tu non l’abbia più vista, né sentita?
E:    Ho provato a cercarla, a chiamarla. Era complicato, allora non c’erano i cellulari. Le telefonavo a casa ma lei si faceva negare sempre.
C:    Mi dispiace, davvero. Però avresti dovuto insistere, magari dopo un po’ di tempo. Non ti credevo così arrendevole.
E:    (un po’ piccato) Evidentemente in quell’occasione lo sono stato.
C:    Peccato. (pausa) Non sei stato molto fortunato con le donne. Guarda com’è finita anche con mamma.
E:    (arrabbiandosi) No, non sono stato fortunato. E allora?
C:    Niente, per carità. Però adesso mi dispiace vederti così rassegnato, senza stimoli, in una casa che stai lasciando andare in malora…
E:    Io sto bene così. E comunque pensi che questo… (si guarda intorno, arrabbiato) ma sì, squallore - è il termine giusto, no? - dipenda dalla mia sfortuna con le donne?
Si calma, si alza da tavola e si versa un altro bicchiere di liquore.
E:    Non posso darti torto… E da quando tua madre se n’è andata è sempre peggio…
Suonano alla porta. Enrico sembra sorpreso per l’interruzione inaspettata. Resta un po’ indeciso.
C:    Aspettavi qualcuno?
E:    No. (va ad aprire).
Entra Stefano con aria soddisfatta.
S:    Ho portato le bozze finali. Abbiamo fatto un ottimo lavoro…
Si interrompe nel vedere Carla.
E:    Questa è mia figlia Carla.
S:    (sorridendo) Molto lieto, sono Stefano Tersi. Tuo padre mi ha parlato molto di te.
Carla gli stringe la mano senza capire.    
S:    (accorgendosi di aver interrotto il dialogo tra padre e figlia) Scusate, forse sono capitato in un momento sbagliato… (rivolto a Enrico) Avrei dovuto avvertirti che sarei passato, ma credevo…
E:    (un po’ imbarazzato) Non ti preoccupare. Accomodati.
Stefano di siede sul divano ed Enrico sulla poltrona.
S:    (rivolto a Carla) E’ davvero un piacere conoscerla, Carla. Immagino che sia fiera di avere un padre come Enrico…
Carla lo guarda senza capire, Enrico è sempre più imbarazzato.
S:    (rivolto a Carla con aria sorridente e bonaria) Lei è dunque la ragazzina un po’ capricciosetta che quando usciva col papà voleva sempre qualche vestitino all’ultima moda…
Carla è esterrefatta.
E:    (a disagio) Sciocchezze di adolescenti. Carla neanche se lo ricorderà.
S:    Bene. Dicevo che sono soddisfatto del risultato. Le bozze sono pronte e basta il tuo benestare per mandarle in stampa. (apre la borsa, ne estrae un fascicolo e lo porge a Enrico insieme ad una busta) E questo è l’anticipo che aspettavi…
Enrico poggia le bozze su un mobile, poi apre la busta, guarda l’assegno e se lo mette in tasca.
S:    Abbiamo rispettato i tempi. Il libro può uscire tra due settimane. (si rende conto dell’imbarazzo di Enrico e di Carla) Be’, adesso vado. Scusatemi ancora per questa irruzione senza preavviso. (saluta Carla con un baciamano) Sono davvero onorato di aver fatto la sua conoscenza. (poi rivolto a Enrico) Ci sentiamo quanto prima. A presto.
Stefano esce, accompagnato da Enrico.

Scena 6

C:    (sorpresa e ironica) Un libro? Stai scherzando, vero? C’è qualcuno disposto a immortalare la tua vita?
E:    Proprio così. Vedi, a volte l’ironia della sorte… anche un uomo da nulla, un inetto come me può trovare qualcuno che lo apprezza al punto tale da scriverci un libro… Un libro che parlerà della mia vita…
C:    E chi sarebbe ‘sto genio?
E:    La Globedit.
C:    Quelli? Ah, allora si spiega tutto…
E:    Sì, sì, anch’io mi sono stupito quando me l’hanno detto, ma secondo loro sono diventato una specie di idolo nazionale…
C:    (sarcastica) Lo immagino! Dopo l’azione temeraria che hai fatto… è giusto che qualcuno esalti le tue gesta eroiche.
E:    Senti, del libro non me ne importa niente, però mi pagano bene …
C:    E certo che ti pagano bene! Bisogna che il paese non si distragga dall’incubo del terrorismo… Se non si batte il ferro quando è caldo magari la gente comincia a pensare che i problemi veri siano altri… Addirittura potrebbe convincersi che può uscire di casa senza paura … Tu lo sai chi c’è dietro alla Globedit, vero?
Enrico non risponde.
C:    Per carità, non fraintendermi, non voglio dire che su quell’autobus hai fatto una cosa sbagliata, anzi! Almeno uno slancio di altruismo ce l’hai avuto! Come quando eri giovane … Però strumentalizzare questa cosa a fini propagandistici… Comunque non c’è da meravigliarsi. Ormai qualunque fatto violento è attribuito a gruppi terroristici (con enfasi) collegati con al-Qaeda…
(pausa)
C:    Scusa un po’, ma quella cazzata della ragazzina capricciosetta che voleva i vestitini alla moda da dove è uscita?
E:    (evasivo) Ma niente, una stupidaggine.
C:    Che è una stupidaggine lo so. Ti ho chiesto come mai l’ho sentita dire da quel bellimbusto.
E:    Non lo so. E’ venuto qui parecchie volte, mi ha chiesto tutto della mia vita… Voleva che la mia storia fosse pubblicata in pochi giorni. Gli ho detto quello che mi ricordavo, può darsi che qualcosa l’abbia un po’ colorita… Tutte sciocchezze.
C:    (arrabbiata) Ma come ti sei permesso? Chissà quante altre stronzate gli hai detto su di me!
E:    (scaldandosi) Sentimi bene. Quel tizio ha fatto irruzione a casa mia quasi due mesi fa, mi ha proposto un contratto di cinquecentomila euro più i diritti sulle vendite per far uscire un libro con la mia storia: la storia di un eroe! Secondo te c’erano da scrivere duecento pagine sulla mia vita? E’ chiaro che qualche cosa l’ho dovuta… (si interrompe per cercare il termine giusto)
C:    Inventare, giusto?
E:    (gridando) Sì, inventare!
C:    (furiosa) Cristo! E quante altre cose ti sei inventato?
E:    Non sono affari tuoi!
C:    Stai per pubblicare un libro di menzogne! Non ti vergogni neanche un po’? Ti credevo una persona onesta. Ti sei venduto al potere per quattro soldi.
E:    Non provocarmi, Carla!
C:    Una volta il potere lo combattevi. Stavi sempre dalla parte dei più deboli, degli sfruttati. Odiavi l’arroganza e la prepotenza, me l’hai detto così tante volte che non ne ho mai dubitato. E adesso? Ti vendi proprio alla Globedit, la vetrina propagandistica del potere governativo!
E:    Ti ripeto che ci sono cose che non conosci, quindi non ti permettere di giudicarmi, è chiaro?
Carla cerca di recuperare un po’ di calma.
C:    D’accordo, d’accordo. Diciamo che non te la sei sentita di rifiutare una bella ricompensa. In fondo quella disavventura è finita bene, nessuno si è fatto male, ed è quello che conta.
E:    Una ricompensa? E chi me l’avrebbe offerta, e per quale motivo?
C:    Non ci arrivi da solo?
Enrico la guarda senza capire.
C:    Toscani.
E:    (sbalordito) Toscani, il ministro?
C:    (ironica) Bravo! Proprio lui.
E:    E perché? Che c’entra Toscani?
C:    Come, non lo sai?
E:    Cosa?
C:    Che su quel pullman c’era la figlia di Toscani. E tu le hai salvato la vita.
E:    La figlia di Toscani? E che ci faceva? La figlia di un ministro che viaggia in corriera…
C:    Pare che avesse litigato col padre che non aveva voluto farla accompagnare a trovare un amico…
E:    E tu che ne sai?
C:    Lo dicevano al collettivo… qualcuno che conosceva un’amica della ragazza… pensa che c’è stato pure chi se l’è presa con te perché le avevi salvato la vita… e non lo so mica quanto scherzasse…
E:    Ma sei sicura? Non ne sapevo nulla. Non ne ha parlato nessuno.
C:    Ovvio, la cosa è stata taciuta, tutto nascosto per motivi di sicurezza…  
E:    (pensieroso) Se è così, forse hai ragione tu: in questa storia del libro c’è lo zampino di Toscani… Ma sì, sarà stato lui a chiedere – o meglio a imporre – alla Globedit di pubblicare il libro: un modo di ricompensarmi per aver salvato la figlia, ammesso che sia stata davvero in pericolo. E in maniera riservata e anonima!
C:    Esatto. Tutto conferma quanto dicevo prima: chi c’è dietro – anzi “sopra” – alla Globedit? (pausa) A proposito … il libro è già in stampa, ho capito bene?
E:    Non ancora, ma siamo alle ultime correzioni. Devo rivedere le bozze che mi hanno portato oggi e, se vanno bene, dò il benestare alla stampa.
C:    Quindi nel libro non si fa alcun cenno alla figlia di Toscani…
E:    No, io non lo sapevo.
C:    Ma bisogna che si sappia! (ironica) L’operazione non è nata forse per glorificare un eroe? E quale onore più grande può essere tributato a chi rischia la pelle per difendere i rappresentanti delle istituzioni?
E:    Continua pure col tuo sarcasmo, se ti diverte. Non l’hai ancora capito che di questo libro non me ne frega niente? Domattina vado in banca e verso l’assegno che mi hanno dato, così posso dare una sistemata a questa casa e compro anche un divano letto nuovo.
C:    (continuando nel suo ragionamento) Quel tizio, quello delle bozze, sapeva di sicuro che su quel pullman c’era la figlia di Toscani, no? Perché non l’ha voluto scrivere?
E:    Non lo so, forse lo sapeva solo il suo capo e non glielo ha detto.
C:    Ma adesso che lo sai, potresti dirglielo tu.
E:    Basta, Carla. Mi hai scocciato.
Enrico prende il cellulare e compone un numero.
E:    Stefano, sì. Nessun problema. Ho riletto tutto velocemente. Va bene così. Si può procedere con la stampa. Sì, sì, non ti preoccupare. Ci sentiamo presto.
Sparecchia la tavola. Carla approfitta per guardare sul suo cellulare l’ultimo numero chiamato. Lo annota.
E:    Vado a dormire. Sono stanco.
C:    Aspetta. C’è una cosa che voglio chiederti dal giorno del pullman.
Enrico si ferma per ascoltarla, in silenzio, senza guardarla.
C:    Quel ragazzino, quello che è stato preso in ostaggio dal dirottatore, ti ha ricordato qualcuno, vero?
E:    (infastidito) No, non mi ha ricordato nessuno.
C:    Invece io sono convinta che se non fosse stato per quel ragazzino te ne saresti rimasto al posto tuo. E io ti avrei capito, sai, non bisogna essere eroi per forza…
E:    (nervoso) E’ stato un gesto istintivo, niente altro!
C:    Mi vuoi far credere che quel ragazzino minacciato non ti ha fatto rivivere la tragedia di tuo fratello?
E:    (furioso) No!
C:    (incalzandolo) Venticinque anni fa lo zio Alberto era poco più di un bambino ed è stato ucciso per sbaglio durante l’attentato a tuo padre.
E:    (esasperato) Lo so, perdio!
C:    (sempre più aggressiva) E l’hai messo nel libro? Hai scritto che hai difeso quel ragazzino sul pullman perché ti ha ricordato la fine di tuo fratello? Oppure hai mentito anche su questo?
Enrico trattiene a stento la sua rabbia, poi esce dalla stanza.
C:    (urlando arrabbiata) Sono dieci anni che non parliamo, papà! Stai scrivendo la tua storia, stai scavando nel tuo passato e io sono qui. Quando ricapiterà un’occasione come questa? Tutte le cose che mi hai raccontato di te quando ero piccola… erano tutte stronzate? Come quelle che hai messo nel libro? Dimmi che ti è successo! Dimmi perché sei finito così! Certe volte penso che mia madre ha fatto bene a lasciarti!
E:    (torna indietro infuriato) Non mettere in mezzo tua madre! Quello che è successo tra lei e me non ti riguarda! Sei abbastanza grande da capire che le cose non vanno sempre come vorremmo!
Esce di nuovo.
C:    (incalzandolo) E allora continua a scappare! Evita il dialogo, anche adesso che sono qui da te! (più calma ma sprezzante) Vai, vattene a dormire. Sei stanco... Di cosa sei stanco? Di ciondolare per casa a bere? Sei un vigliacco, ecco cosa sei: un vigliacco.
Carla aspetta un po’, poi chiama il numero.
C:    Buonasera. Sono Carla, la figlia di Stefano. Ci siamo conosciuti oggi. Vorrei incontrarla, appena possibile. Sì… sì, va bene… d’accordo. Grazie.

Scena 7

Stessa scena. Sabato tardo pomeriggio. Carla rincasa dopo la manifestazione. E’ stanca e si siede sul divano. Poco dopo entra Enrico in accappatoio asciugandosi i capelli.
E:    Com’è andata? Pensavo che saresti tornata prima. La manifestazione non era solo stamattina?
C:    Sono andata a bere una cosa con i miei amici.
E:    C’era molta gente?
C:    Sì, abbastanza… speravo di più.
E:    Se vuoi sdraiarti un po’ me ne vado di là. A proposito, com’è andata stanotte? Hai dormito bene?
C:    No. Ho dormito pochissimo.
E:    Mi dispiace. Colpa del divano letto, vero? Ne prenderò uno nuovo, te l’ho detto.
C:    E’ che sono stata sveglia fino a tardi…
E:    Non riuscivi a prendere sonno?
C:    Non è questo. Ho letto le bozze del tuo libro. (indica il mobile dietro al divano)  
E:    Ah… e così l’hai letto…
C:    Sì.
E:    Tutto?
C:    Fino alla fine. Ho fatto le tre.
Enrico resta in silenzio.
C:    Quello che ho letto l’hai scritto tu?
E:    Non di mio pugno, se è questo che intendi. Ho raccontato un po’ di cose a Tersi. Le ha scritte lui.
C:    (ironica) Gli hai raccontato un po’ di cose… Ho visto… Mi pare però che ce ne stanno un sacco che non gli hai raccontato… o sbaglio?
E:    (imbarazzato) E’ vero. Qualcosa l’ho tralasciata…
C:    (ironica) Qualcosa l’hai tralasciata! Già il fatto di scrivere un libro su questa storia per me è una grossa stronzata. Ero sicura che quelli della Globedit ci avrebbero costruito sopra una speculazione volgare… (con enfasi) Un uomo tranquillo che sventa un attentato e salva la vita a decine di persone! (arrabbiata) Già tutto questo era sufficiente a farmi incazzare, e invece le cose stanno pure peggio… Avevo visto giusto: sull’uccisione di Alberto nemmeno una parola…
E:    Non mi è sembrato il caso di parlarne.
C:    (sorpresa) Non ti è sembrato il caso?
E:    No.
C:    (sorpresa e irritata) C’è un libro tutto costruito su un uomo che salva un ragazzino da un terrorista… e non si sa che venticinque anni prima suo fratello fu ucciso proprio da terroristi? Che cosa hai raccontato a quel tizio di Alberto? Che era morto… per un incidente stradale?
E:    Gli ho detto che ero figlio unico.
(pausa)
C:    (delusa) Credevo che si trattasse di una biografia… che si volesse mettere in luce la nobiltà d’animo di un uomo generoso e idealista… un libro magari intriso di demagogia, ma che almeno raccontasse cose vere…
E:    E’ così.
C:    E allora gli avrai pur raccontato la tua vita! E mi risulta che il tuo idealismo giovanile era bello che svanito molto prima che io nascessi… Che cavolo gli hai raccontato allora? (sarcastica) Che vendi computer?
E:    (cominciando a innervosirsi) E se anche fosse? Certe cose non le ho volute dire.
C:    E di tuo padre? Neanche quello hai raccontato?
E:    (evasivo) Ma sì...
C:    Gli hai detto che mestiere faceva? Gli hai detto che lo odiavi?
E:    (arrabbiato) Senti Carla, a me di questo libro non me ne frega niente, lo faccio solo perché mi danno dei bei soldi. E’ venuto quello della Globedit a farmi un po’ di domande e si è bevuto tutto quello che gli ho raccontato. A lui interessava soltanto finire il prima possibile…
C:    (alzandosi in piedi) Ma è assurdo! Tuo padre era commissario di polizia… faceva manganellare gli studenti…è stato gambizzato da Prima Linea… tuo fratello ci ha lasciato le penne… e a te… non te ne frega niente che si scriva tutto questo? Hai l’occasione per raccontare una tragedia che ti ha toccato da vicino… e tu niente!
(pausa)
C:    (agitata) E poi la storia di Francesca… Non c’è una sola parola su di lei… L’unica donna di cui forse sei stato innamorato…  che ti ha lasciato per colpa di…  (si interrompe calmandosi un po’) Pensi che non sappia perché è finita tra di voi? Mi credi davvero così ingenua? Un po’ di cronaca di quegli anni me la sono studiata, sai? Gli anni di piombo! E tu racconti della famigliola felice! Ma la storia, la tensione, la politica, la verità… dov’è un briciolo di verità in questo libro?   
Enrico resta in piedi a guardare fuori dalla finestra. Ha l’aria di un uomo distrutto.
E:    La verità… Ma che ne sai tu della verità? Lo sai fino a che punto si può odiare qualcuno… anche il proprio padre…
    Il ricordo di quel giorno non mi dà pace. Me lo sento ancora addosso, quella luce, quel sole caldo, quell’amore. Il 12 maggio del ’76. Il giorno in cui Francesca è stata ferita e poi arrestata… Non ti credo un’ingenua, Carla. Lo so che hai letto di quegli anni, che ti sei documentata. E allora saprai che quelli che quel giorno ci caricarono con una violenza non giustificabile non furono carabinieri, come ti ho raccontato ieri. Fu un reparto mobile della polizia. (pausa) Hai avuto un’intuizione giusta, quel reparto era comandato dal commissario Merzani, mio padre… E’ stato lui a ordinare la carica e poi a far portare Francesca in questura.
C:    Oh, cristo!
(pausa)
E:    Ho passato dieci giorni terribili. Non riuscivo a sapere niente di lei: come stava, dove la tenevano, cosa le stavano facendo. Poi la rividi, dopo che l’avevano rilasciata, e mi illusi che tutto fosse rimasto come prima. La strinsi a me, la baciai, le chiesi se le avevano fatto del male… aveva il segno di una brutta cicatrice sulla tempia. Non vedevo l’ora di portarla a casa, di tenermela accanto tutto il giorno e tutta la notte… (pausa) Ma lei era distaccata, fredda… io cercavo i suoi occhi e lei mi sfuggiva… Non sapevo cosa pensare, credevo solo che non si fosse ancora ripresa dallo shock. Alla fine ebbe il coraggio di dirmi quello che io, come un idiota, non avevo neanche immaginato: che non poteva stare insieme al figlio di un infame! Le giurai che da tre anni avevo troncato ogni legame con mio padre… che me ne ero andato da casa proprio per non aver più niente da spartire con lui. Lo odiavo. Le ho detto che non potevo vivere senza di lei… Niente. Mi ha chiesto di non cercarla. Se col tempo avesse avuto un ripensamento mi avrebbe cercato lei. Per un po’ ho aspettato che lo facesse, ho sperato, mi sono illuso… Tutto inutile.
(pausa)
C:    Deve essere stato un brutto colpo.
E:    Lo puoi immaginare.
C:    Ma è proprio per questo che non riesco a capire… come è possibile…
E:    Che vuoi dire?
C:    Voglio dire che dopo un’esperienza così devastante si può reagire con rabbia, con determinazione, con l’impegno politico, anche con violenza… E tu invece … come hai reagito tu? (con un certo disgusto) Guardati intorno, ti sei rassegnato, hai rinunciato a lottare... ti sei rifugiato nella tua squallida vita di borghesuccio da quattro soldi … ecco quello che hai fatto tu.
E:    (con tono beffardo) E già, una vita squallida! (accalorandosi) Ma che ne sai tu di come ho reagito io? E’ stato quasi trent’anni fa. C’eri, forse? (calmandosi un poco) E’ facile adesso fare la rivoluzionaria, no? Ci si vede alla Piramide con gli amici, magari si fa colazione col maritozzo con la panna, e poi si fa una bella passeggiata fino a Trastevere…
C:    (proseguendo nel suo pensiero) Gran bastardo mio nonno, il diligente commissario Merzani! Se fosse ancora vivo oggi avrebbe più o meno ottant’anni, credo, ma dubito che proverei per lui l’affetto che si prova per un tenero nonnino… A te e a quella ragazza ha rovinato gli anni più belli della vita. Non so davvero cosa sarei stata capace di fare al posto tuo per fargliela pagare.
E:    L’ho odiato profondamente. Per colpa sua me ne sono andato da casa che avevo solo vent’anni. Non ci parlavamo più da tempo, ma non sopportavo nemmeno di condividere con lui lo stesso tetto.
C:    Era il minimo che potessi fare.
E:    Da allora non l’ho più visto né sentito. Non sono nemmeno andato a trovarlo in ospedale, dopo l’attentato. (pausa) E un anno più tardi, quando un tumore se l’è portato via, al suo funerale non c’ero.
C:    (sarcastica) Oh certo, un comportamento di dignitoso distacco! Be’, sai che ti dico? Che se avesse distrutto il grande amore della mia vita come ha fatto con te, sarei andata a prenderlo di petto, sarei riuscita a vendicarmi. A fargli male! (schernendolo) Ma tu non gli hai più parlato, non l’hai più visto, e in fondo è una bella vendetta anche quella, o no? Complimenti per la tua grinta!
Enrico resta in silenzio, cupo e meditabondo.
Carla prende la borsa da viaggio con cui era arrivata e si accinge a ripartire.
C:    Devo andare, l’ultimo pullman per Siena parte tra un’ora. Tanto ci siamo detti tutto, no? Buona fortuna per il tuo libro.
Carla ha quasi raggiunto la porta quando il padre, con uno scatto improvviso, le si avvicina e la strattona per un braccio.
E:    (urlando) No! Non ci siamo detti tutto. Adesso mi stai a sentire!
La sbatte sul divano. Carla è allibita e impaurita.
C:    Ma sei impazzito? Mi fai male!
E:    (fuori di sé) Mi hai stufato con le tue critiche, le tue accuse, le tue insinuazioni! Sono stato troppo debole con mio padre? Allora ti racconto bene la storia. Te l’avrei risparmiata, come ho fatto in tutti questi anni, ma al punto in cui siamo è meglio arrivare in fondo!
C:    (impaurita) Io devo partire…
E:    Stai zitta! Hai parlato anche troppo. Adesso tocca a me!
Carla è immobile e spaventata.
Enrico cerca di calmarsi, si riempie un bicchiere di cognac e lo tracanna d’un fiato.
E:    (più calmo) Cosa sai di quando hanno sparato a mio padre? Quello che ti ho raccontato io… fatti che nessuno conosce bene… cose imprecise e superficiali che scrissero a quel tempo i giornali… “Commissario di polizia ferito da un commando di Prima Linea. (pausa) Nella sparatoria resta ucciso il figlio di dodici anni.” Che ne sai di come mi sono sentito quel giorno, quando mi ha telefonato mia madre? Sono corso da lei. Era una statua. Immobile, muta, con lo sguardo fisso davanti a sé. C’era la polizia, sono stati loro a dirmi cos’era successo. Nessuno, però, aveva il coraggio di dirmi di Alberto. Io ero convinto che fosse a scuola. Mi sono preoccupato di come dargli la notizia dell’attentato… non sapevo come l’avrebbe presa, era legatissimo a suo padre. Cercavo le parole giuste… in fondo avevano detto che mio padre non era in pericolo di vita… Io non riuscivo a ragionare, stavo male, malissimo.
(pausa)
Quando la polizia se ne è andata mi sono seduto sul divano, accanto a mia madre che era rimasta ferma e zitta per tutto il tempo… osservavo la sua maschera di cera… non puoi sapere che cosa sentivo dentro… Ad un tratto mi ha preso la mano e l’ha stretta, senza girare lo sguardo… Le ho detto che sarei andato a prendere Alberto a scuola e avremmo fatto una passeggiata. Gli avrei parlato con calma… l’avrei tranquillizzato. Solo quando anche lei si fosse ripresa dallo shock lo avrei riportato a casa…
(pausa)
    Pensavo che le mie parole la calmassero, le dessero un qualche conforto, e invece lei, all’improvviso, mi si è buttata addosso singhiozzando. Mi abbracciava, piangeva, scuoteva la testa. Era una donna forte, sapevo che quella reazione non poteva essere solo per mio padre. Non capivo. Le ho chiesto se Alberto fosse a scuola. Lei ha gridato “no, no, no” con la voce strozzata. Allora ho cominciato a capire.
Enrico prende la foto incorniciata e la guarda in silenzio.
E:    Ad Alberto piaceva la scuola. Me ne parlava spesso. Quando prendeva un bel voto mi telefonava apposta per dirmelo. Ci teneva a non perdere mai un giorno di lezione. Eppure quella mattina non ci andò. Mio padre doveva presenziare ad una manifestazione sportiva e ha voluto che Alberto lo accompagnasse. Non era grave saltare un giorno di scuola e così erano usciti di casa insieme. Alberto mi raccontava sempre tutto, quando qualcosa lo eccitava, quando sperava di andare in un posto piacevole, quando stava per fare una cosa interessante… (con tono agitato) Ma quella volta no. Quella volta non mi disse niente. E io ero sicuro che sarebbe andato a scuola come tutti gli altri giorni, che sarebbe uscito di casa prima di mio padre… e invece no, è uscito insieme a lui, mano nella mano, contento… (quasi disperato) E io non lo sapevo, capisci? Non lo sapevo… altrimenti glielo avrei detto a quei bastardi…
Enrico scoppia a piangere.
C:        (esterrefatta) Ma che vuoi dire? Di chi parli?
E:    Di quelli con cui dividevo il casale, non ti ricordi? Da quando ero andato via da casa vivevo in periferia insieme a un compagno di università e ad altri due… All’inizio mi sembravano ragazzi normali, solo un po’ arrabbiati come capitava spesso a quei tempi. Ma era gente politicizzata… non ci ho messo molto a capire che frequentavano persone pericolose. Erano anni terribili… qualcuno aveva preso la via della lotta armata… Preparavano attentati… e mio padre era uno degli obiettivi… Era conosciuto come uno dal pugno di ferro, uno che non si faceva scrupoli a far massacrare di botte gli studenti. Lo odiavano per motivi ideologici, loro; io lo odiavo per motivi personali.
(pausa)
Insomma, per farla breve mi sono offerto di dargli informazioni su mio padre… orari, movimenti, abitudini… e loro si sono fidati, sapevano quello che era successo a Francesca…
Enrico si butta a sedere sulla poltrona. Carla resta in silenzio.

Scena 8

Stessa scena. Domenica tarda mattinata. Enrico sta sistemando dei documenti. Carla rientra a casa da fuori.

E:    Ah, sei ancora qui. Credevo fossi partita.
C:    No. Ho fatto una passeggiata. Visto che non sono partita ieri, ormai non c’è motivo per affrettarmi. Partirò nel pomeriggio.
E:    D’accordo, ma se vuoi fermarti un’altra notte…
C:    No, devo essere a Siena per l’ora di cena.
E:    (imbarazzato) Avrei voluto parlare un po’… Quello che ti ho raccontato ieri… me lo tenevo dentro da venticinque anni… Non l’ho mai detto a nessuno…
C:    Lo immagino…
E:    Tu sei rimasta in silenzio, impassibile… non mi hai detto più niente… non so cosa pensi…
C:    (indifferente) Non penso niente.
E:    Sai, mi sento un po’ più sollevato. Non ce la facevo più a portare questo peso sulla coscienza. Mi dispiace però di averne scaricato una parte su di te. Forse sarebbe stato meglio se non avessi saputo mai niente.
C:    Non ti preoccupare per me.
E:    Non mi giudicare un delinquente, ti prego.
C:    (con freddezza) E’ stato un incidente.
E:    Senti, vorrei passare qualche ora con te, in serenità, se ci riesce. Che ne dici se usciamo? Ce ne andiamo al mare, ti offro un pranzo di pesce e dopo ti accompagno alla stazione dei pullman. Ti va?
C:    Non lo so. Non credo di essere una compagnia brillante.
E:    (recuperando un pizzico di entusiasmo) Dai, su. Mi metto qualcosa addosso e andiamo. Faccio in un attimo!
Enrico esce dalla stanza. Dopo qualche secondo suonano alla porta.
E:    (da fuori) Carla, ti dispiace aprire? Dev’essere il padrone di casa. Lo pago e ce lo leviamo di torno subito.
Carla apre la porta. E’ Stefano. Nessuno dei due sembra sorpreso di vedere l’altro.
E:    (da fuori) Eccomi!
Entra Enrico e rimane sorpreso nel vedere Stefano.
E:    Ah, sei tu! Ti aspettavo la prossima settimana.
S:    Scusami, forse stavate uscendo…
E:    C’è qualche novità?
S:    (gli mostra soddisfatto una copia del libro) Eccola la novità! E’ la prima stampa del libro. E’ ancora una bozza ma è del tutto identica a come sarà la versione definitiva.
Enrico la prende e la guarda.
S:    Ti piace la copertina?
E:    (dà un’occhiata sbrigativa e distratta) Sì, è bella.
S:    Vedrai che sarà un successo. Storie come la tua appassionano il pubblico più di quanto tu possa immaginare.
E:    Se lo dici tu…
S:    Ma certo. La cosa più avvincente, secondo me, è la svolta repentina della tua vita. Un colpo di scena. Un gesto eroico, uno slancio di altruismo e di generosità che ha sventato quella che poteva essere una tragedia, e che è scoppiato all’improvviso, dopo una vita – lo dico senza alcuna offesa, per carità – tranquilla, conformista, senza momenti – diciamo così – complicati.
Mentre Stefano parla, Enrico mostra disagio e insofferenza.
E:    (vuole tagliare corto) Va bene. D’accordo. Ho capito.
S:    Voglio farti un esempio che chiarisca meglio quello che intendo dire. (sfogliando il libro e leggendo) Ecco, qui, ad esempio, un’immagine rassicurante di Enrico bambino durante le feste di Natale. “La sera della vigilia non si faceva festa…”
E:    (avviandosi alla porta) Non è necessario, so quello che c’è scritto. E poi sto uscendo con mia figlia…
S:    Certo, scusate, non voglio farvi perdere tempo. Magari usciamo insieme, ci tenevo a leggere una pagina o due a Carla, può darsi che ci trovi qualche episodio che non conosce.
Mentre escono Stefano continua a leggere quello che aveva iniziato.
S:    “La sera della vigilia non si faceva festa. Una cena più leggera del solito e subito a letto, con mia madre a ricordarmi che a mezzanotte sarebbe arrivato Babbo Natale.”
La voce di Stefano che legge continua a sentirsi anche dopo che i tre sono usciti. Sono brani tratti dal testo che segue, alternati con pezzi musicali. Devono rendere l’idea della vita felice del giovane Stefano descritta nel libro, evitando di leggere tutte le pagine che seguono.
E qui, quando Enrico ventenne lascia la casa paterna e va ad abitare con altri ragazzi.
“Il senso di libertà era inebriante. Passavo giornate intere girando con la cinquecento di seconda mano che mio padre mi aveva regalato per la maturità. Adesso una macchinetta come quella farebbe sorridere, ma allora possederla era un privilegio. Quasi tutti i miei amici si muovevano in autobus o al massimo in lambretta.”
E qui, dove si parla della vita quotidiana in comune.
“Con Diego, Renato e Gianluca non avevamo stabilito regole rigide, come turni di cucina o di pulizia. Avevamo tutti la testa sulle spalle e l’aria di libertà che respiravamo non ci impediva di collaborare all’andamento delle faccende domestiche. Ci ingegnavamo pure per fare qualche soldo. Diego, che era il più creativo tra noi, si era inventato di fabbricare enormi fiori di carta colorata montati su lunghi steli di fil di ferro ricoperto anch’esso di carta verde. Andavamo a venderli alle boutique del centro come addobbo per le vetrine.”

Scena 9

Due mesi dopo. Soggiorno dell’appartamento di Enrico. L’arredamento è più elegante e moderno.
Enrico è seduto in poltrona, ben vestito e si sta facendo truccare da una signora. Un’altra donna si accinge ad intervistarlo. Un giovane sistema un riflettore e una telecamera con un monitor, poi fa segno alla truccatrice di fare presto.
Quest’ultima dà un ultimo ritocco e si allontana per non essere inquadrata dalla telecamera.
OPERATORE:     (rivolto all’intervistatrice) Quando vuoi, Cristina.
Si sente una sigla musicale.
CRI:    Buon pomeriggio ai nostri amici a casa. Oggi abbiamo voluto incontrare una persona fuori dal comune. Si tratta dell’uomo che pochi mesi fa è balzato agli onori della cronaca per essersi reso protagonista di un vero e proprio atto eroico. Questo signore da tre settimane è in testa alle classifiche dei libri più venduti con un romanzo autobiografico che racconta tutti i particolari della sua incredibile avventura, ma non solo quelli…
(pausa) Avrete già capito che si tratta di Enrico Merzani.
Buonasera, signor Merzani e grazie per aver accettato l’invito della nostra trasmissione a fare due chiacchiere con noi.
E:    Buonasera a lei e a chi ci sta guardando.
CRI:    Dunque il suo libro, prego Marco di inquadrarlo… dal titolo “Io, eroe quasi per caso” è uscito solo da un mese ed è già diventato un best seller. Si aspettava questo successo?
E:    Sinceramente no, non l’avrei mai immaginato.
CRI:    Si è parlato molto sui giornali e in televisione del suo gesto coraggioso che ha permesso di far arrestare un pericoloso terrorista di al-Qaeda e di salvare diverse decine di vite umane. Il suo libro, però, prima di arrivare a raccontarci questo episodio che le cambiato la vita, parla di lei, della sua giovinezza, dei suoi ricordi…
E:    Sì, è così. Diciamo che più che un romanzo si tratta di una vera e propria autobiografia.
CRI:    Devo dire che si legge tutto d’un fiato. La sua è stata una vita davvero avventurosa…
E:    Come molti altri della mia generazione ho vissuto una giovinezza piuttosto turbolenta.
CRI:    E per la prima volta viene rivelato un episodio tragico legato proprio a quegli anni drammatici… un fatto che lei ha tenuto nascosto per oltre venticinque anni e che riguarda la morte del suo fratellino Alberto. Come mai nel libro ha deciso di confessare questo terribile segreto?
E:    Ecco, vede… certe cose col passare del tempo vengono accantonate in un angolo della memoria con l’illusione di dimenticarle e così è stato per tanti anni, fino al giorno in cui mi sono trovato su quel pullman e ho visto quel ragazzino di dodici anni minacciato di morte. In quel preciso momento è stato come se Alberto fosse lì davanti a me e mi chiedesse aiuto. Da quell’attimo è stato un susseguirsi di eventi… il mio scatto rabbioso, la cattura del delinquente, i verbali della polizia, le domande dei giornalisti… e poi il bisogno di scrivere quello che mi era successo… questo fatto che aveva sconvolto la mia vita… Ecco, scrivere il libro è stata una necessità. Ho dovuto ripercorrere tutta la mia vita e per la prima volta dopo tanti anni mi sono trovato a fare i conti col passato. Come avrei potuto raccontare di mio padre, dell’attentato, della morte di Alberto, continuando a tenere nascosta la mia colpa? Non me la sono sentita. Ho dovuto, ho voluto, dire tutto.
CRI:    Ecco, ricordiamo ai nostri telespettatori che il padre di Enrico, Luigi Merzani, nella seconda metà degli anni Settanta era un commissario di polizia che fu vittima di un attentato messo a segno da un gruppo armato di Prima Linea. Come molti ricorderanno, Prima Linea fu un’organizzazione estremista che nei famigerati Anni di Piombo intraprese la lotta armata contro istituzioni e rappresentanti dello Stato. Nella sparatoria il commissario Merzani rimase ferito, ma purtroppo fu colpito a morte il fratellino di Enrico, Alberto, che all’epoca aveva solo tredici anni.
La donna mostra un certo imbarazzo.
A questo terribile fatto non fu del tutto estraneo proprio Enrico, che da allora convive con un atroce senso di colpa. Signor Merzani, se la sente di raccontarci quale fu la sua colpa e in che modo è collegata alla tragica fine di Alberto?
E:    (con aria contrita) Come capirà è molto doloroso ricordare quegli avvenimenti… Proverò a farlo nel modo più obiettivo possibile. Credo che la causa di tutto sia stato il rapporto con mio padre: non sono mai riuscito ad accettare il suo dispotismo. Era un uomo arrogante, violento, che disprezzava qualunque principio di giustizia sociale. Con lui era impossibile avere un dialogo. Anche mia madre era costretta a subire le sue angherie. Vivere sotto lo stesso tetto era una vera sofferenza. Mio fratello Alberto era l’unico che sembrava trovarsi bene con lui, ma era ancora troppo piccolo per poterne avvertire la prepotenza.
CRI:    Si può affermare, dunque, che verso suo padre lei provasse un vero e proprio odio?
E:    E’ spiacevole ammetterlo, ma purtroppo è così…
CRI:    E quest’odio l’ha portata al punto di desiderare la morte di suo padre, è vero?
E:    Se dicessi che la sua morte mi avrebbe addolorato, direi una bugia…
CRI:    Nell’attentato che suo padre subì rimanendo ferito, e nel quale purtroppo perse la vita suo fratello minore, lei ebbe un qualche ruolo?
Enrico non risponde subito. Assume un’aria contrita e sofferente.
E:    Sì.
(pausa)
E:    Da un paio d’anni avevo lasciato la casa dei miei e vivevo insieme ad altri giovani. Insieme a loro mi è capitato di frequentare persone che avevano fatto la tragica scelta, appunto, della lotta armata; così la chiamavano loro… Sapevo che intendevano colpire personaggi simbolo di quello che ritenevano un regime totalitario e repressivo. Mio padre era uno di quelli. Il suo nome da tempo circolava in certi ambienti, probabilmente a causa della fama che si era fatto nel reprimere con violenza ogni manifestazione di protesta. Io stesso avevo motivi personali per vendicarmi di mio padre, e quando ho capito che era uno degli obiettivi da colpire ho facilitato il compito a quella gente, informandola su indirizzi, orari, movimenti e abitudini di mio padre… Il piano dell’attentato non prevedeva di ammazzarlo, ma di sparargli alle gambe. Purtroppo il destino volle che proprio il giorno stabilito lui uscisse di casa tenendo per mano Alberto, cosa che non era mai successa prima…
La voce di Enrico è soffocata dai singhiozzi. Si nasconde il viso con la mano.
CRI:    Credo sia importante sottolineare che Enrico non ha mai fatto parte di una banda armata e non ha mai partecipato a nessuna azione terroristica, neanche a quella del ferimento di suo padre. Cosa ha provato quando ha saputo del coinvolgimento di Alberto nella sparatoria?
E:    Avrei voluto morire...
CRI:    Gli autori di quell’attentato non sono mai stati scoperti e nessuno ha mai avuto sospetti neanche su di lei, è così?
E:    Sì.
CRI:    Non teme che adesso, dopo questa confessione resa pubblica con il suo libro, lei possa avere guai con la giustizia?
E:    Non lo so, è un problema che non mi pongo. Era troppo importante per me liberarmi di quel peso.
CRI:    Bene, noi ringraziamo il signor Merzani per il suo intervento e invitiamo a leggere “Io, eroe quasi per caso” chiunque sia interessato a conoscere tutti i dettagli e i retroscena di questa storia e del suo coraggioso protagonista. Prima di salutarla, Enrico, però, vorremmo rivolgerle un’ultima domanda…
E:    Prego.
CRI:    Lei ci ha detto di essere riuscito per molto tempo a tenere lontana dalla mente la tragica morte del suo fratellino, e di averla avuta di nuovo all’improvviso dinanzi agli occhi durante il tentativo di sequestro del pullman…
E:    Sì.
CRI:    Ecco… Andando indietro nel tempo, quando è stata l’ultima volta che ha pianto per il rimorso?
Enrico ci pensa un po’.
E:    (con aria addolorata) Quindici anni fa, quando morì mia madre. Erano passati dieci anni dalla morte di Alberto e mia madre, che già da qualche tempo viveva in condizioni di salute precarie, si aggravò. Andavo a trovarla in ospedale tutti i giorni e mi rendevo conto che si stava spegnendo a poco a poco. Lei alternava momenti di sufficiente lucidità ad altri di quasi totale assenza, ma sembrava comunque rendersi conto che non ne avrebbe avuto ancora per molto. Il giorno prima di morire volle che mi chinassi su di lei per potermi abbracciare. Sentivo le sue braccia deboli, ridotte a pelle e ossa, che cercavano di stringermi senza riuscirci. Aveva le mani scheletriche appoggiate sulle mie spalle e mormorava parole che non distinguevo. Ho avvicinato il mio viso al suo e allora ho sentito la sua voce flebile che mi diceva: io ti ho perdonato…
Di nuovo Enrico si commuove.
CRI:    Ringraziamo Enrico per la sua commovente testimonianza e restituiamo la linea allo studio, dove la nostra Barbara è pronta ad incontrare un altro personaggio la cui storia farà discutere i nostri telespettatori…
Fa un cenno all’operatore.
TRUCC:    (a Enrico) Resti seduto che le tolgo il trucco.
E:    Non si preoccupi, faccio da solo.
Enrico si fa dare un batuffolo di cotone, si alza e comincia a pulirsi il viso davanti allo specchio a parete. La troupe raccoglie il materiale e si appresta a lasciare la casa.
CRI:     (a Enrico) Grazie mille signor Merzani. Sarà contattato quanto prima dalla nostra amministrazione per il compenso pattuito. Arrivederci e ancora buona fortuna per il suo libro.
Si danno la mano, poi Enrico accompagna tutti alla porta.

Scena 10

Enrico rimane solo. Squilla il telefono. Sembra non voler rispondere, poi si decide.
E:    Pronto. (pausa) Pronto. Chi è? (pausa) Non sento bene. Sì, sono io… mi scusi… (pausa) Sì… (pausa) veramente non mi pare… (pausa) Come? (pausa) Hai detto… (strabiliato) Sei… sei tu?
La voce sfuma insieme alla luce sulle note di “Que reste-t-il de nos amours?”


FINE