Esco un quarto d’ora

monologo -racconto di

Alberto Patelli

Avevo voglia di uscire a fare quattro passi. Non mi sentivo granché bene; in mattinata avevo ricevuto una brutta notizia, una di quelle che ti lasciano di sasso ed un peso dentro destinato ad alleggerirsi solo col passare del tempo e con la forzata considerazione dell’impotenza umana contro il destino.
Camminare e, nella fresca aria estiva di quella comunità montana, andare incontro a volti, pensieri e sensazioni che, speravo, mi avrebbero smosso da quell’inerte “galleggiamento” dell’essere nel quale mi sentivo calato.
Andavo verso la piazzetta. Sapevo che a quell’ora, circa le dieci di sera, ci sarebbe stata una piccola sfilata di moda organizzata per vivacizzare il soggiorno dei villeggianti. Non che avessi alcun interesse per quel fatto, ma il vociare proveniente dalla piazzetta era un debole richiamo, tuttavia sufficiente per attirarmi in quella direzione. 
Camminavo lentamente senza prestare particolare attenzione alle persone che incrociavo sulla strada. Solo in prossimità delle scale che danno sulla piazzetta, dove era sistemata una lunga passerella, alzai lo sguardo. Un signore con il naso schiacciato, sulla cinquantina o poco più, andava in direzione opposta alla mia in compagnia di una donna e di un ragazzo sui venti anni. 
Il viso di quell’uomo dal naso schiacciato non mi era nuovo. Probabilmente, come me, fa parte di quell’esiguo gruppo di persone che per primi decisero, anni fa, di fare di quel piccolo paesino, ora rinomata località turistica, il loro luogo di riposo estivo. Mi è capitato di incontrarlo poche volte ma ho una istintiva simpatia per lui provocata dai tratti del suo viso. I lineamenti, l’espressione degli occhi, il disegno delle sopracciglia mi danno come la certezza della semplicità, della genuinità della persona. Il naso fa subito pensare ad un ex pugile ed in effetti mi sembra di ricordare che anni fa qualcuno accennò alle sue giovanili imprese pugilistiche. Ora, non so perché, quella sera, nell’attesa dell’inizio della sfilata, la mia mente si incaponiva ad intuire cosa si nascondesse nell’anima di quell’uomo, un uomo che probabilmente non calamitava l’attenzione di alcuno se non la mia. Chissà quanti pugni dati e presi nel suo passato…e tutte le volte che aveva respirato la tensione prima dell’incontro…e il tortuoso percorso dei suoi pensieri mentre il coach gli fasciava le mani prima di infilare i guantoni e ancora...il breve sorriso dietro al quale si nascondeva una smorfia nervosa nel momento di salire sul ring e …gli occhi negli occhi del rivale in uno scambio di implacabile espressione di sfida che dissimulava il profondo, reciproco rispetto per il coraggio di affrontare un combattimento, per la capacità di lottare contro un nemico che, di fatto, non esiste. Ebbene, quanto e in che modo tutto questo aveva formato quell’uomo ormai maturo incrociato poc’anzi? ..Il ritrovarsi solo, dopo un incontro vinto o perso, con quella sensazione che dà alla fatica, al dolore, un qualcosa di epico..esperienze, emozioni di cui va fiero ma che resteranno solo dentro di lui; che non è possibile comunicare ad altri se non con il modo di affrontare la vita, così diverso in ognuno di noi...Un refolo di vento favorì lo svanire di queste riflessioni e mi ritrovai a ridere amaro considerando la scarsa attenzione che spesso abbiamo del prossimo ignorando quanto il prossimo, come il signore dal naso schiacciato, si porta dentro.
Ma ecco, annunciata da una musica dal ritmo enfatizzato, aveva inizio la sfilata. Le teste che mi si paravano davanti disturbavano la vista del conturbante incedere della prima modella. Mi spostai in cerca di un sito migliore..ora sì che vedevo bene e potevo, una volta di più, rendermi conto di quanta noia susciti in me quel tipo di spettacolo...Perché non andarsene, non tornare a casa? Mentre me lo stavo chiedendo, il presentatore, un giovane elegante dai capelli lucidi di gelatina, annunziò il défilé della biancheria intima. Un vago sentore di soddisfazione sembrò levarsi dal pubblico maschile ed io, potevo dissociarmi? Dopo due biondine dal passo felino e comunque di un felino in mutande, fu il turno di una ragazza bruna con slip e reggiseno rosso, tinta che valorizzava il colorito piuttosto scuro della sua pelle. Bella, ma di un bello interessante..ricca di un fascino via via crescente man mano che il suo avanzare sulla passerella l’avvicinava a me. Mi sentivo fortemente attratto da lei; ovviamente non era la prima volta che mi succedeva con una donna, ma fino ad allora avevo subito allontanato dalla mia mente ogni disegno fantastico ritenendolo assolutamente inutile. Evidentemente però quella sera il mio subconscio aveva deciso di concedersi una certa libertà. La bella mora a pochi metri dall’estremità della pedana gettò lo sguardo nella mia direzione..c’era feeling tra di noi? Da parte mia senz’altro. Ci voleva decisione, un atto di coraggio misto a follia poteva cambiare la mia vita. Ma bisognava farlo subito! Prima che la ragazza sparisse dietro alle quinte e con lei svanisse anche la seduzione di quel momento. Salire sulla pedana, prenderla per mano lì davanti a tutti provocando uno choc generale..fuggire immediatamente con lei verso l’aeroporto. Convincerla a salire così, seminuda, su un jet e ritrovarsi insieme mano nella mano sotto il sole di un’isola tropicale sorseggiando un tamarindo e fregandosene di giustificare l’assenza dal lavoro. La sera, portarla, sempre con l’intimo rosso, in posti romantici e scambiare con lei baci appassionati, preludio di indimenticabili notti d’amore alla faccia di chi mi ha sempre sottovalutato! Chiedersi insieme a lei come fare a vivere solo d’amore e trovare una soluzione..cercare di convincerla a non cambiare mai biancheria, ad indossare sempre e soltanto quel coordinato rosso..indurla a sopportare i miei sbalzi d’umore, il mio russare da elefante...trovare i quattrini per pagargli il viaggio di ritorno qualora non fosse soddisfatta di tutto questo. Ancora il vento ed un sorriso mi riportarono alla realtà e, inspiegabilmente, prima che la ragazza mora si congedasse dal pubblico, ripresi a camminare allontanandomi dalla piazzetta. Lento era il procedere dei miei passi ma veloce il dileguarsi di quelle strambe ed allettanti fantasie spinte via da un affollarsi nella mente di nuvolaglie nere. Tornava a battermi dentro il peso di quell’assenza...una assenza per me improvvisa e casualmente scoperta quella stessa mattina. Un amico morto prematuramente..un compagno che nel quadro dei miei anni avevo inserito in uno spazio felice di gioventù e spensieratezza, in un angolo di vita ormai trascorso ma ancora capace di suscitare nei ricordi lampi di vitalità. Un male incurabile lo aveva ucciso e voleva rovinare, annerire quel gaio colore nella mia memoria. Negli ultimi anni ci vedevamo saltuariamente, di solito in occasione delle vacanze estive, e ci raccontavamo, magari davanti ad una buona pietanza e ad un bicchiere di vino, di come ci era passato il tempo tra un incontro ed un altro. Discorsi semplici conditi spesso di risate rese facili dalla constatazione del reciproco piacere di trovarsi ancora insieme. E poi saluti che erano quanto ci fosse di più lontano da un addio. E adesso ? Adesso il non vederlo sarà diverso...Nella valigia che porto dentro, quella piena di cose, di persone, di emozioni, lui, silenzioso, fino a poche ore prima era riposto in un angolo sicuro, in quello stesso punto lacerato ora da una crepa che con l’aiuto del tempo minacciava di estendersi facendo smarrire i particolari del suo volto, il suono delle sue parole...Camminando lottavo contro le nubi nere sforzandomi di scacciare l’immagine del calvario impietoso di un amico e il senso di colpa per non essere stato, seppure involontariamente, presente durante i suoi ultimi passi.
Ormai ero di nuovo sotto casa e mentre aprivo il portone mi raggiunse la buffa musichetta dell’orchestrina di un albergo. Guardai l’orologio. La mia passeggiata era durata appena un quarto d’ora e il motivetto allegro, da comiche di inizio secolo, sembrò racchiudere tutti i pensieri di quella breve uscita in una sintesi che fa della vita un impasto di assurdità.