L’ESODO ACHEO

di

Mauro Eberspacher



Personaggi

Donne:
FLEGIA:
AURODAMIA:
CERSITE:
CLETO:
DUMEIA:

Uomini:
DIMODOCO:
MENELAO:
AGAMENNONE:
PRIAMO:
NESTORE:
PARIDE:
ACHILLE:
IPEROCLE:
1. GUARDIA:
2. GUARDIA:
 

N.d.A.: in versione ridotta 1° e 2° Guardia potrebbero essere impersonati dagli stessi attori che fanno Achille e Iperocle.



ATTO PRIMO


DIMODOCO – chiacchiere intorno al fuoco

Scena 1

Sera. Intorno al fuoco di un accampamento. Alcune donne sono riunite affaccendate nei lavori di fine giornata e nelle chiacchiere. Sono di varie età. La più anziana, Flegia, di età più avanzata delle altre, la cui persistente avvenenza è mantenuta in vista dal trucco e dagli abiti, sta facendo la maglia; altre due, Aurodamia e Cersite, si stanno aiutando nel filare un tessuto ed infine Cleto e Dumeia, molto giovani, sui quindici, sedici anni, intrecciano fronde e fiori creando ghirlande e ornamenti.
FLEGIA: Ma Achille! Ah, che uomo!
AURODAMIA: È certamente il più valoroso di tutti.
CERSITE: Non è solo forte e potente, è anche bello!
AURODAMIA: Anche Durastiomene non è da buttar via, direi.
CERSITE: Sì, Aurodamia, hai ragione, ma non vorrai paragonarlo ad Achille!
AURODAMIA: Ma è vecchio, Cersite mia. La carovana è piena di uomini giovani e forti; alcuni sono davvero molto belli. Cleto, non sei d’accordo anche tu?
CLETO: Beh, io…non vorrei parlare di questo…
CERSITE: Dài, sbilanciati, dicci se pensi che qualcuno ti sembra più bello di tutti gli altri. Almeno tu, Dumeia…
FLEGIA: Lasciale stare, sono consacrate ad Atena, lo sai benissimo che non possono neanche pensare agli uomini per almeno vent’anni. In fede mia, sei davvero maligna.
CERSITE: Oh, scusa madre Flegia, non mi rendevo conto…
AURODAMIA: Flegia ha ragione: apri bocca e dai fiato. Con la linguaccia che hai c’è da domandarsi come hai fatto a trovare marito.
CERSITE: Ma…insomma!
FLEGIA: Sciocchine. Non smetto di meravigliarmi quando sento quello che son capaci di dire oggigiorno donne sposate e sistemate come voi. Ai miei tempi la prima cosa che una ragazza dabbene imparava era tenere a freno la lingua. Oltre, naturalmente, a saper cucinare, cucire, badare alla casa e scordarsi di poter mai sposare quel meraviglioso stallone di Achille. Adesso lo vedete così, è un uomo fatto, ha sostenuto tante battaglie…
CLETO: È invulnerabile, no?
FLEGIA: Sì, vabbè, e il mio povero Euriloco era ricco sfondato!
DUMEIA: Davvero?
Un momento di silenzio imbarazzato durante il quale le donne si scambiano un lungo sguardo si comprensione
AURODAMIA: Era un’iperbole. (allo sguardo ancora più confuso di Dumeia) Un modo di dire.
DUMEIA: Ah!
FLEGIA: Eh, sì. Il mio sposo è sempre stato più ricco di coraggio che di oro; la lancia prussa che me l’ha portato via non fu fortunata se era avida di ricchezze e ha solo lasciato me ad accudire la sua vecchia madre. Mah… (una scrollata di spalle) Ma, per tornare ad Achille, quando la giovinezza ne riempiva le guance e arrotondava i muscoli… beh, visto una volta non te lo scordavi di sicuro!
CERSITE: Flegia! Ne parli come se ne fossi ancora innamorata!
FLEGIA: (esageratamente scandalizzata) Come qualunque donna della mia generazione che voglia sentirsi degna di tale nome! Ancora oggi, nonostante l’onore e il pudore dell’età, se mi facesse un cenno correrei nella sua tenda senza pensarci un attimo.
CLETO: (risolino) Ma…Flegia!
DUMEIA: Che disonore!
FLEGIA: Già, certo, scusami cara. Dimenticavo che il senso dell’onore e del disonore varia parecchio con l’età. Tu puoi ancora permetterti parecchio orgoglio. Io…
AURODAMIA: Nonostante l’età non ti mancano le occasioni, mi pare.
CERSITE: A me non sembra un bel lavoro quello che fai.
FLEGIA: Te l’ho detto: Euriloco m’ha lasciata povera e così…
CLETO: Insomma!
AURODAMIA: Oh! Il fuoco si sta impoverendo. Ragazze, andreste per piacere a prendere un altro po’ di legna? Ne basta poca. (Cleto e Dumeia si alzano ed escono) Di’ un po’, Flegia, ma…si guadagna bene?
CERSITE: Aurodamia!
AURODAMIA: Zitta tu! Allora?
FLEGIA: Beh, sai… La battaglia li scatena un po’…voi mogli spesso credete che sia più importante rigovernare le tende invece di dargli spago e così… Poi, quando non c’è da menar le mani si annoiano e così…
AURODAMIA: Sì, ma…
FLEGIA: Insomma…per esempio l’ultimo m’ha regalato questo bracciale.
CERSITE: Davvero? Fa’ vedere!
AURODAMIA: Ah, t’interessa adesso, eh?
CERSITE: Che c’entra, è solo che i bracciali mi piacciono. Uh, ma è bello, però!
FLEGIA: Gresione non ti regala mai niente?
CERSITE: (persa nell’ammirazione del bracciale) Mah…ha sempre tanto da fare…
AURODAMIA: E a te piacerebbe averne uno, eh?
CERSITE: A chi non piacerebbe?
FLEGIA: (dopo uno sguardo d’intesa con Aurodamia) E non è il solo! (Cersite la guarda stupita) Cara mia, intravedo per te un luminoso futuro.

Scena 2
Cleto e Dumeia rientrano in scena; ognuna porta sottobraccio una fascina di legna sottile che depongono al centro, vicino al fuoco
CLETO: Ecco qui, va bene così?
DUMEIA: Io gliel’ho detto a Cleto che ne abbiamo presa troppa.
FLEGIA: Ma no, ma no, se avanzerà tornerà utile per domani.
AURODAMIA: Certo. Cersite vorrà saperne di più di certe cose…
CERSITE: Ma la finisci?
CLETO: Quali cose?
CERSITE: Ma niente…
DUMEIA: Madre Flegia, tornando abbiamo visto Dimodoco che veniva da questa parte!
AURODAMIA: Speriamo che non voglia fermarsi qui con noi!
FLEGIA: È un onore accogliere un uomo al nostro piccolo focolare femminile. Così illustre, poi!
AURODAMIA: Ma…e le nostre chiacchiere?
CERSITE: Eh! Come facciamo?
FLEGIA: La primavera è tanto lunga! E poi non siamo mica obbligate a rimanere!
CLETO: Atena vuole che le sue ancelle accudiscano gli anziani valorosi.
FLEGIA: Mi sembra giusto.
CERSITE: Flegia, ma davvero ne hai altri…?
DUMEIA: Di che?
AURODAMIA: Ma…ferri per lavorare la lana.
CLETO: Noi siamo troppo giovani.
FLEGIA: Quant’è vero figlia mia, quant’è vero!
Aurodamia ride


Scena 3

DIMODOCO: (preceduto da un colpo di tosse) Scusate signore, ci sarebbe un posto al vostro fuoco per le fredde ossa di un povero vecchio?
Le donne hanno un moto di sorpresa
CERSITE: Ah!
FLEGIA: Perdonate, non vi avevamo sentito arrivare. (alle altre) Dimodoco, Re di Pilo.
Le altre donne piegano il capo in un inchino.
DIMODOCO: Sono io a scusarmi, non era mia intenzione spaventarvi.
FLEGIA: Il silenzio del vostro passo è proverbiale, Dimodoco, e temuto dai nemici.
DIMODOCO: Ma spero non da voi, mia cara amica.
FLEGIA: Non da me. Il vostro silenzioso arrivo non l’ho mai avvertito come una minaccia.
CERSITE: Ma…
AURODAMIA: Zitta!
Cleto e Dumeia s’inchinano profondamente davanti a Dimodoco.
CLETO: Atena vi guardi e vi curi in ogni istante.
DUMEIA: Amen.
DIMODOCO: Amen, mie care. E così intorno a questo focherello abbiamo niente meno che due sacerdotesse di Atena!
DUMEIA: Solo due umili ancelle…
DIMODOCO: Ma di una bellezza degna del culto di Artemide, direi!
CLETO: Oh! (un’occhiata a Flegia) Ben altre sono degne dei segreti del sesso.
FLEGIA: (divertita, a Cersite) Hai niente da dire?
CERSITE: Io?
FLEGIA: (alzandosi, a Dimodoco) Eroico amico, spero non vorrete risentirvene, ma i comuni obblighi domestici mi obbligano a privarmi della vostra compagnia; mi auguro di avere presto una nuova occasione di scambiare racconti…
DIMODOCO: …e di rinverdire i vecchi tempi! Nessun fuoco scalda di più il pietroso cuore di un vecchietto malandato.
FLEGIA: Tanto malandato, poi… A presto, dunque. Le ancelle di Atena saranno felici di adempiere ai doveri richiesti dalla loro Dea, non è così?
CLETO: Sì.
DUMEIA: Certamente.
DIMODOCO: Che dire, questa volta m’accontenterò dei frutti più luminosi della progenie achea. Per quelli più maturi e saporiti troveremo un nuovo e più consono momento. (un lieve inchino di Flegia) E voi, mie care signore, pensate di trattenervi?
CERSITE: (cercando ispirazione in Aurodamia) Ma…non saprei…
AURODAMIA: Noi siamo attese dalla preparazione del talamo nuziale, in attesa del ritorno dei nostri sposi.
DIMODOCO: Ermes mi sia testimone, non capirò mai perché certi mariti trascurino mogli di tale avvenenza.
CERSITE: (schernendosi) Oh! Lei è un adulatore!
FLEGIA: Ed Ermes è proprio il Dio giusto per un giuramento. Allora, andiamo?
AURODAMIA: (con un lieve inchino) La notte vi sia propizia.
CERSITE: (c.s.) …pizia!
DIMODOCO: Lo sia a voi. (scettico) E ai vostri mariti… Buona notte, cara amica.
FLEGIA: Una di queste mi sorprenderete, almeno spero. Buona notte.
Si avviano
CERSITE: Allora? Me li faresti vedere, un momento?
FLEGIA: (fingendo stupore) Cosa, mia cara?
AURODAMIA: I ferri, i ferri…
Escono


Scena 4
DIMODOCO: Bene, care ragazze, allora, vogliamo vedere cosa vi chiede di fare Atena con un vecchio arnese come me?
CLETO: Eroico Dimodoco, la Dea desidera che noi ti rendiamo la vita più piacevole possibile.
DUMEIA: (ad occhi bassi, arrossendo) Escluse certe cose, puoi disporre di noi come preferisci.
DIMODOCO: Su, andiamo! Le allusioni non sono necessarie. Siete entrambe autentici frutti deliziosi, fresche e profumate. Ma l’età, e certe esperienze passate, mi hanno insegnato che con le ragazzine c’è solo da rimetterci. (Cleto e Dumeia abbassano lo sguardo imbarazzate) Ma non sentitevi mortificate, ve ne prego! C’è molto che potete fare per me, assai più prezioso di un comune accoppiamento.
DUMEIA: Sì?
DIMODOCO: Ma certo! Ad esempio: questa gamba mi fa molto male, alleviare il dolore mi aiuterebbe tanto. Ma tanto!
CLETO: Non c’è problema. Scoprila. Siamo solo delle novizie, ma c’hanno insegnato molti rimedi.
DIMODOCO: Va bene, ecco qua.
DUMEIA: Oh! Ma hai una gran brutta ferita!
CLETO: È cicatrizzata.
DUMEIA: Guarda: gli manca proprio un pezzo!
CLETO: Devi essertela fatta tanto tempo fa!
DIMODOCO: Difatti…
DUMEIA: Dove fu? A Troia, eh?
CLETO: Dumeia, pensiamo prima ad aiutarlo!
DUMEIA: Ah, sì, scusa. Perdono, grande eroe!
DIMODOCO: Ma niente, ma niente…
CLETO: Qui secondo me ci starebbe bene un unguento balsamico… (A Dimodoco) Per assorbire il dolore e tenere lontano il freddo, capisci?
DIMODOCO: Sì, certo.
DUMEIA: Poi un impiastro a base di aglio e cipolla dovrebbe riattivare la circolazione, credo. Che ne pensi?
DIMODOCO: Le sacerdotesse di Atena siete voi. Non importa se si accorgono tutti che sto arrivando: la fama di “silenzioso” me la sono già fatta e non me la toglie nessuno!
DUMEIA: Oh, è vero! Scusa!
DIMODOCO: Non preoccuparti. A suo tempo per curarmi non trovarono di meglio dello sterco di mucca.
DUMEIA: Che schifo!
CLETO: È stata causata da una lancia?
DIMODOCO: Da una specie di spada, corta e tutta seghettata.
CLETO: Ma era l’arma di un demone!
DIMODOCO: No, di un poveraccio. Era appartenuta a suo nonno; agli inizi doveva essersi trattato di un arnese niente male, ma non era di bronzo incorruttibile, era di ferro, quindi a forza di ruggine e di intacche…
CLETO: Come lo sai che era del nonno?
DIMODOCO: Me lo disse lui, mentre gli puntavo il pugnale alla gola. (un brivido tra le due ragazze) Era riuscito a colpirmi approfittando del fatto che avevo sollevato lo scudo per proteggermi; una specie di gigante stava per scagliarmi contro un sasso enorme. Il dolore è venuto dopo; lì per lì ho sentito solo il colpo, mi sono girato e l’ho visto. (ride) Era spaventato a morte! Non aveva mai combattuto prima e credeva che se colpisci qualcuno e gli fai uscire il sangue quello muore subito. Io invece ero vivo, armato e incazzato come un bufalo!
Ridono tutti
CLETO: Che buffo!
DIMODOCO: Poveretto. Mi bastò allungare una mano, afferrarlo per la tunica, o quel diavolo che indossa quella gente lì, e puntargli il pugnale alla gola.
DUMEIA: L’uccidesti? (Dimodoco fa segno di no) Perché non l’uccidesti?
DIMODOCO: E perché avrei dovuto?
DUMEIA: Ti aveva ferito, era un nemico!
DIMODOCO: Sì, certo. Ma era anche un poveraccio! Appena lo presi si…ehm, scusate…se la fece sotto. Una puzza! Mi raccontò che non poteva morire così, aveva un sacco di guai, di cose da sistemare, prima… Ma vi rendete conto che viveva con la moglie, la madre, cinque figlie e la suocera, anche?
Le ragazze ridono
CLETO: Oh, poveretto!
DIMODOCO: Già! Ammazzarlo sarebbe stato un gesto da amico!
CLETO: Ma insomma? Poi?
DIMODOCO: Mi promise che sarebbe tornato a farsi ammazzare appena messe a posto le sue cose, così…
CLETO & DUMEIA: Così ?
DIMODOCO: Lo lasciai andare! Che altro potevo fare?
DUMEIA: Insomma è scappato e chi s’è visto s’è visto!
DIMODOCO: (ride) Magari! Un paio d’anni dopo non me lo rivedo davanti, tutto pulito e sistemato, vestito con una tunica bianca e una corona di fiori al collo?
CLETO: Che voleva?
DIMODOCO: Era venuto a farsi ammazzare, come aveva promesso.
DUMEIA: Davvero?
DIMODOCO: Gli era servito quel tempo per far sposare le sue figlie, seppellire la madre ed appioppare moglie e suocera ad uno che gli doveva un favore. Adesso era lì, pulito, profumato e purificato, pronto per il sacrificio, come un vitello sacro.
CLETO: E tu?
DIMODOCO: Mi sono messo a ridere e gli ho detto che noi non siamo come i Danai, i sacrifici umani ci fanno orrore. L’avessi mai fatto! Quello mi si è buttato alle ginocchia e pretendeva che lo prendessi come schiavo; non sapevo più come togliermelo di mezzo! Allora gli ho offerto da bere e quando s’è addormentato ubriaco fradicio l’ho fatto trasportare al suo villaggio. Ho ordinato di tenerlo addormentato finché non l’avessero steso nella sua capanna. Pare che una volta sveglio volesse per forza corrermi dietro.
DUMEIA: E t’ha raggiunto?
DIMODOCO: Non ha potuto, perché i miei uomini hanno convinto la moglie a tornare con lui, suocera compresa; così, non essendo più libero…!
Ridono

Scena 5

CLETO: Certo che sono strani questi Troiani.
DIMODOCO: Che Troiani?
CLETO: Non è successo durante la guerra di Troia?
DIMODOCO: (rabbuiato) No, è stato diverso tempo dopo
DUMEIA: Non c’eri a Troia?
DIMODOCO: C’ero, ma non vidi mai le porte Scee e non mi fu mai concesso di combattere in riva allo Scamandro.
CLETO: Oh. Perché?
DIMODOCO: (con rabbia) Perché mio padre, il grande Nestore, mi affidò il delicatissimo, fondamentale incarico di comandare la grande flotta di dieci piccole navi che curava i collegamenti con Antandro, l’isola di fronte alla nebbiosa riva troiana! Portavo i viveri e tornavo via con i feriti peggiori. Portavo cipolle e ripartivo con i segni della sconfitta achea. (un tempo) Tutto qui.
DUMEIA: Non hai combattuto, allora?
DIMODOCO: Non a Troia. No.
DUMEIA: Mi dispiace. Le cose sarebbero andate diversamente se ci fossi stato, ne sono sicura.
DIMODOCO: Grazie, apprezzo molto, ma quello che non è riuscito al passare del tempo non riusciranno a farlo i tuoi buoni sentimenti. Brucia ancora.
Un silenzio imbarazzato
DIMODOCO: Non volevo. Ho dovuto ubbidire, ma fino all’ultimo cercai inutilmente di ribellarmi. L’ho odiato a lungo. Non ho smesso di odiarlo nemmeno sul letto di morte. I fatti poi hanno dimostrato che c’è chi sa fare di meglio. Oreste, per esempio, che ha lavato le armi con il sangue di sua madre.
CLETO: Non avrebbe dovuto tenerti lontano dalla battaglia!
DIMODOCO: Lascia stare. Al suo posto avrei fatto lo stesso.
DUMEIA: Come?
DIMODOCO: Sì. Gli anni di continue battaglie che abbiamo trascorso da quando è cominciata questa grande marcia, mi hanno insegnato l’importanza dei rifornimenti e della fiducia, cieca, che si deve avere nei confronti di chi li amministra. Fece bene, non c’è dubbio, io stesso farei la stessa scelta, ma, per Zeus!, quella scelta ha strappato qualcosa dentro di me…!
CLETO: Se è così, dev’essere segno che ti stimava, che ti voleva bene…
DIMODOCO: Può darsi, può darsi… Ma se fu questo a guidarne le scelte, nel momento in cui il vecchio eroe mi salvava, forse, la pelle, pugnalava a morte il mio amor proprio, annientava la mia ammirazione per lui.
CLETO: Dovevi volergli molto bene, se provi ancora tanto dolore…
DIMODOCO: Hai mai provato ad essere figlia di un eroe conosciuto da tutti?
CLETO: Capisco, scusa…
Le due ragazze tacciono.
DIMODOCO: Ma…su, ragazze, su! Accidenti, vi ho avvilite! Quanto mi dispiace! Ermes mi sia testimone: tutto avrei voluto meno che deprimervi!
CLETO: Flegia dice che giurare su Ermes…
DIMODOCO: Beh, sì, lo ammetto, è un modo di parlare un po’ da osteria, ma…
DUMEIA: Dimodoco?
DIMODOCO: Sì?
DUMEIA: Tu Elena l’hai vista, almeno? È vero che era la donna più bella del mondo?
Dimodoco comincia a ridere, sempre più forte, fino a rischiare di soffocare.
CLETO: (cercando di aiutarlo a respirare) Sire! Non…non fare così! (a Dumeia) Lo vedi che combini?
DUMEIA: Ma…che ho detto?
CLETO: Qualcosa di sbagliato di sicuro! Guarda che hai combinato!
DUMEIA: Io?
DIMODOCO: No…No…(a Cleto) Grazie, cara…Non è colpa sua…
DUMEIA: (a Cleto) Lo vedi?
DIMODOCO: È solo che…questa storia di Elena…(riprende raucamente a ridere)
CLETO: Oh Zeus, ricomincia!
DUMEIA: Elena?
DIMODOCO: Sì…insomma…bella, era bella. Bellissima, anzi!
DUMEIA: Tanto?
DIMODOCO: Aveva un corpo, poi…! Ti saresti aspettato di trovare ogni giorno un pretendente alla sua porta, oppure qualcuno che si batteva per lei…(ride)
CLETO: Che c’è da ridere?
DUMEIA: L’hai conosciuta?
DIMODOCO: Eh, insomma…ero molto giovane, appena un ragazzo, assai più piccolo di lei, ma… Diciamo che notò anche me, ecco.
DUMEIA: Eri bello, tu, eh?
DIMODOCO: Mica tanto. È solo che…che lei…sì, insomma… (ridacchia)
CLETO: Dài, Dimodoco, cosa c’è di tanto divertente?
DUMEIA: Sì, non capisco… se era così bella da causare una guerra per lei…! La fedele, casta Elena!
A queste parole Dimodoco riprende a ridere convulsamente, al punto di cadere a terra mentre Cleto e Dumeia, spaventate, cercano di calmarlo, di farlo tornare in sé.
DIMODOCO: Zeus! Sto perdendo il controllo della vescica! La casta…!(risata; si alza affannosa mente e si dirige a sinistra) Scusate pulzelle, torno subito…Un cespuglio! Il mio regno per un cespuglio! (esce)
DUMEIA: Si sentirà male?
CLETO: Dài, andiamogli dietro. Con questo buio potrebbe cadere in una buca.
Escono da sinistra.
In scena cala il buio mentre sullo sfondo s’illumina Menelao nervosamente seduto sul suo trono.


MENELAO

Scena 6

Sparta: Sala del trono. Sul fondo, al centro, il trono di Menelao, Re di Sparta. Alla sua sinistra un tripode che sostiene un piccolo gong con relativa mazza. Leggermente avanzato rispetto a questi elementi, di poco avanzato rispetto alle quinte di destra, un sedile. Le pareti sono poco o per niente decorate. Primo pomeriggio dell’inizio d’Autunno.
Menelao cammina avanti e indietro dando palesi segni d’impazienza e di segreta furia. È un uomo di robusta corporatura dai capelli biondi lunghi ed incolti, cui il viso brutale e dall’espressione feroce dà l’idea di avere davanti un delinquente, piuttosto che il monarca di una delle più fiorenti, ricche e potenti città-stato del Peloponneso. Indossa una corta tunica su un gonnellino entrambi di pelle; calza stivali foderati e sulle spalle drappeggia una pelliccia lanosa.

Ipèrocle, il Maggiordomo, entra da destra mentre Menelao sta dirigendosi dalla parte opposta.
IPEROCLE: (intimidito, parla velocemente) Vanax, tuo fratello Agamennone, signore di Micene, è giunto e aspetta di essere ricevuto…
MENELAO: Ah! (Menelao si volta sfoderando la spada, raggiunge con due balzi Iperocle e gliela punta alla gola) Come ti permetti di presentarti a tradimento? Sai bene che fine ha fatto Xambro!
IPEROCLE: Mi-mio fratello fu giustamente punito da te, Vanax!
MENELAO: E perché, ricordamelo!
IPEROCLE: Perché ti aveva annunciato l’arrivo del sacerdote di Posèidon…
MENELAO: Solo per questo?
IPEROCLE: N-no… T-tu stavi… ti stavi intrattenendo con la schiava trace.
MENELAO: (dandogli uno strattone e spingendo la punta a ferirlo superficialmente) Per Zeus! Un ostaggio non è uno schiavo!
IPEROCLE: Ahi! Certo, certo! La nobile Silenia stava imparando la… (stimolato dalla spada) …la famosa ospitalità del signore di Sparta, tutto qui!
MENELAO: E allora? Perché l’ho punito, vediamo?
IPEROCLE: Perché…perché t’ha disturbato in un momento in cui non volevi nessuno! Per questo, no?
MENELAO: (Volgendo gli occhi al cielo) Zeus onnipotente! Dev’essere un guasto di tutta la progenie questo di non capire mai niente! Lo mandai nell’Ade perché si presentò a tradimento, come hai fatto tu adesso, hai capito?
IPEROCLE: S-sì, Vanax, ho-ho capito! Adesso ho capito…! Ah, no!
Menelao alza la spada preparandosi ad ucciderlo
IPEROCLE: Pietà! Pietà, Sire! Per la fedeltà con cui ti ho servito!
MENELAO: Basta pagare per ottenerne un’altra uguale.
IPEROCLE: Per il dolore della mia povera madre!
MENELAO: Ligestia? (con un sogghigno) Me la ricordo bene, molto bene… Per l’ironia degli Dèi potresti anche essere un mio bastardo!
IPEROCLE: E allora… Lascia che dia a Sparta qualche altro segno del vostro sangue…
MENELAO: In questo momento mi pare che in gioco ci sia il tuo di sangue! (cambiando voce, come di qualcuno che chiami da lontano) Iperocle! Iperocle! Lo senti Xambro che ti chiama dall’Ade? È ansioso di rivederti, di sapere come vanno le cose, di quella cara vecchia di vostra madre! E io oggi mi sento generoso…
IPEROCLE: (con speranza) Sì?
MENELAO: Credo proprio che vi ricongiungerò. Salutamelo!
Menelao alza la spada pronto a colpire Iperocle che si abbandona alla rassegnazione.



Scena 7

Una risata proveniente da fuori scena blocca la spada di Menelao a mezz’aria.
MENELAO: (ruggendo) Chi è?
Iperocle approfitta della distrazione di Menelao per svincolarsi e fuggire a sinistra correndo e inciampando
MENELAO: (fuori di sé dalla rabbia, senza far caso alla fuga di Iperocle ed agitando la spada in aria) Per l’Olimpo intero, vieni fuori a farti ammazzare!
AGAMENNONE: (entra ridendo ed applaudendo, come se avesse visto uno spettacolo molto comico; finge d’impressionarsi per la furia di Menelao) Oh! Oh! Oh! Molto, molto impressionante davvero! (ride) Davvero, fratello mio, con te la servitù non dura niente!
Agamennone è diverso dal fratello. Ad esso lo accomunano i biondi capelli lunghi ed il vestiario di pelle, ma l’insieme, per i colori e l’accostamento dei tessuti denuncia a prima vista una personalità più raffinata.
MENELAO: (rinfoderando la spada, scontento) Ah, sei tu.
AGAMENNONE: Tolta la muffa che mi si è formata addosso aspettando di essere ricevuto dal grande signore di Sparta, sì, sono io.
MENELAO: Avevo una cosetta da fare…
AGAMENNONE: Ah, sì, ho visto: eri occupato a guadagnarti la fedeltà dei tuoi uomini.
MENELAO: (si siede negligentemente sul trono) Come gestisco la servitù sono fatti miei!
AGAMENNONE: Non metto in dubbio! Soprattutto quando è evidente che ti volevi divertire: invece di scannarlo ti sei messo a chiacchierare.
MENELAO: (dopo uno sbuffo) Non hai annunciato la tua visita!
AGAMENNONE: Il richiamo del sangue non basta?
MENELAO: Avrei provveduto alle solite cerimonie.
AGAMENNONE: Un imprevisto provvidenziale m’ha convinto del fatto che era troppo tempo che non vedevo il mio caro, unico fratellino. La burrasca ha sorpreso la mia nave al largo della Laconia ed è stato tutt’uno pensare a salvarmi la pelle e a renderti visita.
MENELAO: In questo periodo dell’anno dovevi aspettartelo. Comunque…hai fatto bene.
AGAMENNONE: Tutto qui? Nessuna gioia nel rivedermi? Da parte mia avresti avuto i più bei festeggiamenti, avrei chiamato a raccolta la nobiltà, avrei fatto intrecciare ghirlande e preparato una stanza ben comoda piena zeppa di fanciulli in ansiosa attesa.
MENELAO: Parla per te.
AGAMENNONE: Che sciocco! Scusa, dimenticavo che sei uno di quegli eccentrici che preferiscono le donne! Contento te! E…come le preferisci?
MENELAO: Femmine.
AGAMENNONE: Già: laconico! Beh, che si dice in questa parte del Peloponneso?
MENELAO: Non un gran che, dopo i fatti di Pisa.
AGAMENNONE: Ah, ne hai sentito parlare?
MENELAO: Già.
AGAMENNONE: A dirla tutta avrei preferito essere io a parlartene per primo. Sai, Tantalo era in difficoltà con i popoli della Terra e così, visto che Micene aveva un trattato di mutuo soccorso con i Pisesi, mi son sentito in dovere d’intervenire…
MENELAO: I popoli della Terra? Contro Pisa?
AGAMENNONE: Già: finora non avevano mai tentato un’impresa nel Peloponneso, è la prima volta che io sappia… Secondo te?
MENELAO: La prima.
AGAMENNONE: Ecco, appunto. Così, appena l’araldo inviatoci da Tantalo riprende fiato e racconta come i guerrieri di Terra hanno fatto fuori le sentinelle costiere e si sono portati fino alle mura della città…
MENELAO: Quanti.
AGAMENNONE: Eh?
MENELAO: Quanti, i guerrieri di Terra.
AGAMENNONE: Ad occhio e croce, da quel che si è potuto capire, circa due o tremila. Quando sono giunto una parte se n’era già andata e così… D’altronde, capisci, il tempo di radunare la mia guardia personale, richiamare i soldati dei nobili, esaminare gli auspici, organizzare l’esercito…
MENELAO: Sei arrivato a cose fatte, insomma.
AGAMENNONE: Che dici? Per prima cosa ho mandato un drappello di cavalieri con il compito di avvertire e rassicurare l’alleato Pisese sul pronto soccorso dell’invitto esercito miceneo. Pensa, sono stati tanto prodi e ringalluzziti dal nostro prossimo arrivo che quando siamo giunti in vista di Pisa, Tantalo stava impegnando, da solo, in campo aperto Traci, Ciconi, Etiopi e Troiani. Che stupido!
MENELAO: Già. Lasciami indovinare: tu arrivi, lasci che i popoli di Terra lo spazzino via, poi ti fai avanti ad occupare Pisa senza opposizione; anzi, ti accolgono come un salvatore! A quel punto i vincitori erano tanto stanchi che l’idea di affrontare una nuova battaglia non gli andava proprio giù, così si sono accontentati delle armi dei nemici uccisi e se ne sono tornati alle navi. Sbaglio?
AGAMENNONE: Sul mio onore, fai di me un ritratto davvero spregevole!
MENELAO: Avrei fatto lo stesso.
AGAMENNONE: Beh, sì, lo ammetto, ho preso possesso di Pisa perché a quel punto, come dire… meglio Micene che un nobile bifolco mangiapecore di Terra.
MENELAO: E le donne, i bambini…
AGAMENNONE: Che vuoi…cos’è la presa di una città senza un po’ di…confusione? Alcuni dei miei soldati erano curiosi di vedere se quel che si dice delle donne di Pisa è vero almeno in parte; io, poi, ero rimasto un po’ a corto di compagnia, così…
MENELAO: Ai tuoi fanciulli ha cominciato a spuntare la barba, eh?
AGAMENNONE: Il tempo passa per tutti, purtroppo. È una legge di natura! Comunque. Adesso le coste di Pisa sono custodite da guardie micenee e i popoli della Terra ci penseranno dieci volte prima di…
MENELAO: Dunque hai ereditato tutti i segni del comando di Pisa! Hai in mano tua i vessilli, i Penati, i sigilli… Hai il sacro sigillo, sotto la tua tutela, le ossa di Pelope…
AGAMENNONE: Mi sembra una conseguenza naturale!
MENELAO: E cosa mi dici di questo?
Menelao trae dalla veste un oggetto e lo lancia al fratello, che lo prende al volo e lo studia.
AGAMENNONE: Cos’è? Un anello? Vuoi che te lo valuti, che te lo compri? (si volge, spalle al fratello, per esaminarlo con una luce più favorevole.) Sei ridotto così male da dover vendere i gioielli della corona?
Mentre Agamennone parla, Menelao scende silenziosamente dal trono e va alle sue spalle stringendo la mano sull’elsa della spada.
AGAMENNONE: Ma…che strano, sembra raffigurare un serto di serpenti intrecciati, proprio come quello di…di Tantalo. Ma come ce l’hai, tu?
MENELAO: (sfoderando la spada e cercando di colpire alla schiena il fratello) Brutto bugiardo senza vergogna!


Scena 8

Agamennone, fulmineo, si scansa mandando a vuoto il fratello e, con un unico movimento, estrae un pugnale e lo punta alla nuca di Menelao.
AGAMENNONE: (dopo un istante di gelo) Non cambi mai, eh?
MENELAO: (rinfoderando la spada e rialzandosi, sfoggiando noncuranza) Eh, beh, non avresti fatto lo stesso? (torna a sedersi sul trono)
AGAMENNONE: Quando lo faccio non resta nessuno a lamentarsi. A cosa devo queste attenzioni, comunque?
MENELAO: Mentiresti anche di fronte al fantasma di Atreo!
AGAMENNONE: Non credi di esagerare adesso? Che c’entra nostro padre?
MENELAO: Quell’anello…
AGAMENNONE: Sì?
MENELAO: È il sigillo di Tantalo. Avresti dovuto averlo tu, se avessi preso davvero possesso della sua reggia.
AGAMENNONE: (cauto) Come hai fatto ad averlo?
MENELAO: Pare che le cose a Pisa siano andate un po’ diversamente…
AGAMENNONE: Risposte diagonali. Da parte tua, poi! La cosa dev’essere molto, molto seria.
MENELAO: Non sei il solo visitatore, in questi giorni. Un mese fa è ripartita di qui una delegazione troiana.
AGAMENNONE: Da quando fai affari con i popoli della Terra? Coi loro capi, poi.
MENELAO: Dici bene: i loro capi! Paride è figlio di Priamo, il gran sacerdote, il capo indiscusso, il vertice dei popoli della Terra. Da quando Traci, Ciconi, Etiopi e persino Iperborei, forse, si sono raccolti intorno a lui i guai sono aumentati per tutti e adesso muovono eserciti infiniti contro i regni della costa. A nulla serve il valore ed il bronzo delle armature degli scudi! Quei bifolchi arrivano numerosi come formiche e travolgono tutto e tutti. Sai di Tebe, no?
AGAMENNONE: Più e prima di te.
MENELAO: Hanno fatto appena in tempo a ripararsi dietro le mura lasciando le armature sul terreno e nell’Ade gli spiriti della più bella nobiltà della costa. Il giorno dopo, quando i tebani hanno messo il naso fuori a guardare se i nemici si preparavano a sferrare un nuovo attacco, sono rimasti a bocca aperta…
AGAMENNONE: Niente di niente. Solo mucchi di cenere dove le pire funerarie hanno lasciato il segno degli onori resi ai loro morti.
MENELAO: Arrivano come un’onda e come un’onda si ritraggono.
AGAMENNONE: Le cose sono cambiate.
MENELAO: Almeno, fino a qualche tempo fa uno di quei popoli barbari si faceva vedere ai confini di un regno Acheo; il Vanax usciva con la sua guardia d’onore, ne infilzava un buon numero e quelli si ritiravano con la coda fra le gambe. Una cosa giusta, insomma!
AGAMENNONE: Adesso invece?
MENELAO: Ma che mi domandi? Ti pare niente che travolgano un regno dopo l’altro? Che distruggano raccolti, rubino mandrie, inceneriscano città?
AGAMENNONE: Pare che la cosa ti coinvolga…
MENELAO: Certo che m’importa, Agamennone! Gli Ateniesi non li posso soffrire, i Corinzi li butterei tutti a mare, i Lici sono la feccia della terra, ma…In Peloponneso, ti rendi conto? Insomma: prima di tutto se Tirinto, Atene, Tebe mi danno fastidio gli muovo guerra, una per una, e sistemiamo la faccenda… Insomma, una cosa onorevole, c’è un modo, è una cosa fatta come si deve, capisci? (Agamennone assente, comprensivo) Sono affari nostri, sempre di Achei parliamo, conosciamo tutti le regole! Ma che questi bifolchi assaltino all’improvviso, senza uno scambio d’insulti, senza un sacrificio propiziatorio, in numero così oltraggiosamente grande… Guarda, posso sopportare che si pappino tutti i regni achei sulla costa della Grande Terra…ma il Peloponneso!
AGAMENNONE: Sai? Io ho trovato preoccupante il fatto che siano riusciti ad aggredire Pisa con tanti armati…
MENELAO: Che vuol dire tante navi…
AGAMENNONE: E questo vuol dire…
MENELAO: Che nessuno sarà più al sicuro! Ah! Per Zeus! Ci provino ad assalire Sparta e vedranno la differenza!
AGAMENNONE: È solo questione di tempo. Quando avranno finito con i regni sulla costa della Grande Terra, toccherà a noi. È inutile illudersi, fratello: il Peloponneso brulicherà di guerrieri Terricoli, il mare sarà attraversato da navi colme della progenie di contadini e pastori. È solo questione di tempo. Saremo travolti, Menelao.
MENELAO: Il mio scudo fermerà le loro frecce codarde, la mia lancia ne spedirà all’Ade cento al giorno…!
AGAMENNONE: Ed altri mille saranno occupati a bruciarti la casa, a far schiavi i tuoi figli e a farsi apprezzare dalle tue donne.


Scena 9

MENELAO: (si slancia su Agamennone) Vigliacco, sei d’accordo con loro…!
AGAMENNONE: (per niente impressionato) Lo Stagno, Menelao, lo Stagno.
MENELAO: Eh?
AGAMENNONE: Se prenderanno il controllo del Grande Mare e dell’Ellesponto, avranno in mano le porte di passaggio dello Stagno. Allora sarà veramente finita e di noi non parleranno né i poeti né i sacerdoti. Non dirmi che Paride non te l’ha detto!
MENELAO: Che Zeus si sbatta quella puttana di Era! Certo che me l’ha detto!
AGAMENNONE: E tu?
MENELAO: L’ho cacciato via prima di oltraggiare il diritto di ospitalità! Sulla mia vita, l’avrei strozzato con le mie mani, quel fighetto! Faceva pure il cascamorto con Elena, figurati!
AGAMENNONE: Strano che non sia stato il contrario. La tua castissima moglie c’ha provato anche con me, ti ricordi?
MENELAO: Si faccia sbattere da chi vuole, basta che non mi metta nei guai!
AGAMENNONE: (sogghignando) Ad occhio e croce direi che siete quasi pari…
MENELAO: Chi se ne frega di Elena, finché mi porta in eredità il regno! Come tu l’hai ottenuto sposando sua sorella, d’altronde!
AGAMENNONE: Clitennestra è tutt’altra indole. Non ha molto di cui vendicarsi, lo sai.
MENELAO: Si circonda di bellissime ancelle. E non cerca altro…
AGAMENNONE: La cosa non m’interessa.
MENELAO: E neanche me, adesso. La tua reputazione è una faccenda ridicola. Devi dirmi come sai della forza raggiunta dai Terricoli, e perché hai mandato in giro la fandonia di aver preso Pisa! Sii convincente se vuoi uscire vivo da qui!
AGAMENNONE: Uh! Sono davvero impressionato! Ebbene: Pisa era già stata presa, bruciata e abbandonata da loro quando arrivai; ricchezze, oggetti sacri, donne e fanciulli, ahimè, compresi. Per inciso: si sono impossessati delle Ossa di Pelope, sai? Sì, mio caro, questo vale più della caduta di dieci Pisa. Mi fu subito chiaro il significato. Ancora sulle alture in vista delle rovine di quella che era stata una delle città più belle e floride, ho costretto al segreto i miei uomini con un giuramento sacro. Sai: sangue affumicato, fumi d’interiora che salgono al cielo, e tutta quella roba lì… Poi ho mandato in giro la storia di averla presa io, anche se a tradimento, per evitare che gli altri Re achei arrivassero da soli alle conclusioni, scegliendo, magari, una resa immediata che c’avrebbe fatto trovare senza alleati nel momento più difficile. Ti sembra che abbia ragionato male?
MENELAO: Mm…no, non saprei, sei sempre stato tu la mente fina della famiglia…
AGAMENNONE: E mi credi tanto stupido da mettermi per mare proprio all’inizio della stagione delle tempeste? Non ero di passaggio per caso: sono stato ad Itaca prima di capitare qui, per vedere se una mia certa idea aveva possibilità di realizzarsi.
MENELAO: Da Ulisse?
AGAMENNONE: E da Telemaco, vorrai dire: quel ragazzo è un fiore!
MENELAO: Hai il cuore troppo tenero! Di cosa avete parlato tu e quell’imbroglione?
AGAMENNONE: Potrei dire di niente, visti i risultati. Ma è stato prezioso per le notizie che ho avuto. Lo Stagno, Menelao, lo Stagno!
MENELAO: Sì, ho capito, me l’hai già detto, lo Stagno, e allora?
AGAMENNONE: La fonte del bronzo, lo Stagno, quello che viene dal Tamigi, dopo essere passato dal cerchio di pietre, lo sai che transita tutto da Itaca, no? (Menelao annuisce, esasperato) Beh, senti questa: lui già lo sapeva ed ha preso provvedimenti.
MENELAO: Sapeva, cosa?
AGAMENNONE: Che i Popoli della Terra avrebbero schiacciato i regni della costa, uno dopo l’altro, l’aveva previsto appena si è saputo che la loro guida era stata presa da Troia. Sono bravi i Troiani, forti, valorosi! E Priamo, poi, è uno degli uomini più validi che lui abbia mai visto.
MENELAO: L’ha conosciuto?
AGAMENNONE: Personalmente, durante l’ultima fiera dello Stagno, nell’isola di Faro, lo scorso anno. A pensarci bene, anche in quell’occasione era accompagnato da Paride… Ad ogni modo, quando si trattò di discutere le quote dei profitti, se non ci fosse stato Priamo si sarebbero scannati tra di loro, senza scampo. Invece lui dominò la situazione e trovò una soluzione buona per tutti, senza escludere nessuno e, senti questa: senza neanche ritagliare qualche vantaggio per Troia.
MENELAO: Imbecille!
AGAMENNONE: Da un certo punto di vista, forse. Ma su un piano più generale ha conquistato il rispetto di tutti. Neanche se Troia avesse sconfitto da sola tutti i regni achei della costa avrebbe ottenuto altrettanto. E questo che significa? Vediamo se ci arrivi.
MENELAO: Che bisogna toglierlo di mezzo.
AGAMENNONE: Giuro che mi lasci senza fiato, fratellino! D’ora in avanti dovrò credere davvero che Sparta non è solo scudi e lance, ma una potenza pericolosa davvero… Risposta esatta! Peccato solo che fra tutti quanti gli unici a trarre le stesse conclusioni siano stati Ulisse e Peleo, altro padre di cospicuo figlio, tra l’altro; ho sentito dire meraviglie del giovane Achille!
MENELAO: Ma Pelèo, non è il Vanax dei Mirmidoni?
AGAMENNONE: L’altro terminale della via dello stagno, appunto, all’estremo opposto dell’Ellesponto. E così entrambi hanno convenuto di mettere in piedi una rotta alternativa sulla costa degli Egizi, in previsione di tempi peggiori. Per adesso si tratta ancora di poca roba, ma se si mettesse male…!
MENELAO: Non ho ancora capito dove cerchi di arrivare.


Scena 10

AGAMENNONE: Unirsi, Menelao. Fare fronte comune. Affrontare i Popoli della Terra unendo le lance di tutti regni achei.
MENELAO: Che c’è di nuovo? È un’alleanza come ne abbiamo sempre fatte…
AGAMENNONE: …e che siamo sempre stati pronti a tradire appena l’alleato fosse in difficoltà, in cui mostrasse la gola mentre lotta anche per noi! No, parlo di una cosa del tutto diversa, l’unione di tutti i Vanax achei e di tutta la nobiltà in un'unica impresa, una flotta immensa, la più grande che si sia mai vista, il mare coperto di nere navi, reso bianco dalla spuma dei remi vigorosamente mossi dai più grandi guerrieri del mondo, che giungono inattesi a terra e che in un’unica battaglia colpiscono a morte il nemico comune.
MENELAO: Troia, Agamennone! Parli di attaccare Troia!
AGAMENNONE: Sì, Menelao. Il bronzo della lama achea cadrà sulla testa della Lega dei Popoli della Terra e la staccherà di netto, sacrificando agli Dèi con il sangue che preferiscono, quello umano!
MENELAO: Ma che schifo! Vuoi fare dei sacrifici umani, come quei mostri dei Dànai, come i Lestrìgoni…!
AGAMENNONE: Uhm…mi rendo conto di aver preteso troppo dal tuo spirito muscoloso. Non intendevo letteralmente ricorrere a sacrifici umani, anche se la partecipazione dei Danai non sarebbe da escludere a priori. Sono minacciati come noi e sono già coinvolti nella ricerca di alternative…
MENELAO: (dopo una pausa meditativa) Ulisse?
AGAMENNONE: Oh! Un risveglio! Sì, carissimo, è Ulisse che ha già avviato i contatti che utilizzeremo per riunire le volontà, poi le navi ed infine le spade. Ma né lui, né Pelèo saranno dell’impresa.
MENELAO: Vigliacchi!
AGAMENNONE: Forse. Anche. Ma bisogna convenire che è molto probabile che i loro regni siano infestati da spie di Troia o dei loro alleati e qualunque movimento di armati nei loro paesi servirebbe solo ad allarmare Priamo e a far saltare per aria tutto quanto. Allora?
MENELAO: Mmm… È una cosa grossa, grossa assai. Non so se ho capito bene…
AGAMENNONE: Vediamo.
MENELAO: (con visibile sforzo) Tu intendi…vuoi dire…
AGAMENNONE: (ironico) Hai bisogno d’aiuto?
Menelao fa un largo gesto di rifiuto
MENELAO: Una flotta. La più grande mai vista. Carica di guerrieri achei. (rivolge lo sguardo al fratello in cerca di approvazione) Con i cavalli, però! I carri! (Agamennone annuisce) Gli scudieri, i servi…tende, mobilia da campo, bracieri, provviste anche…! Per 50 guerrieri potrebbero non bastare due navi…!
AGAMENNONE: Forse tre sarebbero sufficienti.
MENELAO: E tu…tu vorresti prendere Troia! Ho sentito dire che è ben difesa.
AGAMENNONE: Da Ettore in persona, pare che sia imbattibile.
MENELAO: Puah! Me lo mangio a colazione, quello. Il punto è vedere quanti sono loro e se…la città è murata?
AGAMENNONE: Sì. E poi sono tanti, Troia è una città popolosa.
MENELAO: Sì, ma…le mura, come sono le mura?
AGAMENNONE: Abbastanza robuste da resistere da sole ad un assalto.
MENELAO: Zeus! Ci vorranno almeno diecimila uomini!
AGAMENNONE: Diciamo che con cinquantamila ce la dovremmo fare.
MENELAO: Cin…cinquantamila? Ma…ma come…
AGAMENNONE: Ricorda Menelao: tutti i principi achei…
MENELAO: Ma… Agamennone, non bastano…
AGAMENNONE: I Dànai, poi, gli Eubei, gli Elòi, gli Iòni,… tutti i regni costieri forniranno uomini e navi; qualcuno solo uomini, ma ci sarà chi darà solo navi. Uno sforzo colossale, un’impresa mai vista!
MENELAO: Costerà un sacco.
AGAMENNONE: La vittoria garantirà un bottino all’altezza del rischio: Troia è ricca, ha sacri cimeli, oro, bronzo…
MENELAO: Donne!
AGAMENNONE: Fanciulli! E soprattutto…soprattutto, darà la sicurezza per le generazioni che verranno e fama immortale per chi l’ha compiuta. Pensaci, Menelao, non ti vedi sul tuo carro luminoso a correre con l’elmo calato, lo scudo al fianco e la lancia alzata con la punta alla ricerca di sangue troiano? Eh? Comandante in campo, come ti sembra?
MENELAO: Suona bene, suona. Ma…tutta l’impresa richiederà uno sforzo enorme per ogni Vanax…Chi sarà a capo di tutto? Perché scordatelo che mi faccia dare gli ordini da un Beota!


Scena 11

Agamennone simula interesse per una fibbia della sua cintura
MENELAO: No!
AGAMENNONE: Sì.
MENELAO: Brutto scorretto, bugiardo, ipocrita…
AGAMENNONE: Ho già visto quindici capi di stato e qualcuno m’ha detto di peggio. Ammetto che in qualche caso sono dovuto ricorrere a piccole minacce, ma… L’argomento più convincente è stato sempre la presenza di Menelao a guidare la battaglia con i suoi Spartani.
MENELAO: Io? Ma se me l’hai detto solo adesso!
AGAMENNONE: Perché, ti tiri indietro? Quanto pensi che varrebbe la tua parola, d’ora in avanti, in questo caso?
MENELAO: Non te l’ho mai data!
AGAMENNONE: Sì, certo, so bene quel che vale in tempi normali; non farei mai assegnamento sui tuoi giuramenti, conoscendoti come ti conosco. Ma qui si tratta dell’intera nazione achea, della guida in battaglia del più grande e valoroso esercito mai visto, del sacrificio di una giovinetta…
MENELAO: Ehi, ehi, frena! Che giovinetta?
AGAMENNONE: Ifigenìa, mia figlia, che sacrificherò alla partenza per favorirci gli Dèi. Certo che senza Sparta, tanto varrebbe restarsene a casa, non sacrificare neanche una coratella di abbacchio e…
MENELAO: Non confondere le cose: avresti una figlia? Un’altra? Ero rimasto ad Elettra e Oreste…!
AGAMENNONE: Mmm… Sì, già, ci sarebbe questo fatto di altri due figli che mi sono stati attribuiti perché un Re che si rispetti non ne può avere meno di quattro. Hanno fatto tutto un paio di contadini che ho ricompensato a dovere… Ti figuri, poi, io e Clitemnestra che procreiamo come conigli? (ride)
MENELAO: Ti sei assicurato il loro silenzio?
AGAMENNONE: (asciutto) Il più completo.
MENELAO: Capisco. Ma…il sacrificio…?
AGAMENNONE: Ad Artemide. Colpa di quegli assatanati dei Danai, che se non vedono sacrificare qualche essere umano alla Grande Madre non muovono un dito.
MENELAO: Perché non se ne tornano da dove sono venuti con i loro capelli rossi?
AGAMENNONE: Dopo, caro fratello, dopo. Adesso ci servono.
Una pausa
AGAMENNONE: Dunque? Ci pensi ancora?
MENELAO: Il sacrificio umano…
AGAMENNONE: Comandante in campo.
MENELAO: Tante navi a rischio…
AGAMENNONE: Un bottino senza eguali.
MENELAO: Mah, non so…
AGAMENNONE: (illuminandosi d’un tratto) Tutta la nazione achea in guerra per vendicare il tuo onore!
MENELAO: Il mio…ma che t’inventi?
AGAMENNONE: Un’ispirazione: pensa se Paride se ne fosse ripartito con Elena, rapita, sulla sua veloce nave! Il rischio che la tua consorte trasferisca a Troia la potestà sulla Laconia…Noi tutti a combattere, a far strage di Troiani, a tirar giù le loro mura, a violentare i loro ragazzi…pardon, le loro donne… Tutto questo per seguire te alla riconquista del tuo onore. Eh? Come la vedi?
MENELAO: La vedo inverosimile, la vedo. Ma come, se dopo che ad Elena hanno raccontato la favoletta del Minotauro m’è toccato vietarle la strada delle stalle! Tutti sanno che è l’ultima con cui sprecare fatica per rapirla.
AGAMENNONE: Non tutti, fratellino. Rimarresti stupito se sapessi come viene distorta la verità presso chi non ci conosce. Se si dice che come vedo una bella giovinetta…! Bando alle ciance, dunque: cos’hai deciso?
MENELAO: Io capo in battaglia e tu capo di tutto? Mmm…Non so se la cosa mi garba…
AGAMENNONE: Bene. Io ho fatto quello che dovevo fare. Non devi per forza darmi una risposta adesso; prima di tre giorni il tempo non migliora e così…
MENELAO: Puoi tornare via terra.
AGAMENNONE: Sì, bravo, così la grande impresa comincia col naufragio del comandante in capo! Oppure, anche peggio, con la mancanza di coraggio davanti ad un temporale qualunque! Vado. Ti spiace se alloggio come l’ultima volta?
MENELAO: Alla Paidèia?
AGAMENNONE: Sì, non vedo l’ora di dare qualche lezione importante a quelle giovani menti!
MENELAO: Ma fa’ come ti pare!
AGAMENNONE: Grazie. E…ricordati: che ho fatto io?
MENELAO: Tu?
AGAMENNONE: Ho conquistato Pisa…
MENELAO: Pisa? Ma se sono stati…ah, ho capito! Sì, è chiaro, e ti sei passato in rassegna tutte le donne per assicurarti che fossero degne dei tuoi soldati! (ride grossolanamente)
AGAMENNONE: Va bene, va bene, ma non volare troppo con la fantasia; il tuo umorismo non m’è mai sembrato un gran che. Addio. (via da destra)
MENELAO: (più a sé stesso che al fratello ormai uscito) Addio.


Scena 12

Menelao percuote il piccolo gong con un martelletto. Una pausa, poi Menelao, dopo aver dato segni d’impazienza suona ancora.
IPEROCLE: (presentandosi timoroso da sinistra) V-Vanax?
MENELAO: Cosa aspettavi a farti vivo? Ho dovuto chiamare due volte!
IPEROCLE: T-temevo di disturbare…
MENELAO: Però! Chissà se per quel sacrificio invece di una fanciulla di stirpe reale si accontenterebbero di un maggiordomo di Sparta…
IPEROCLE: Come?
MENELAO: Da bere.
IPEROCLE: Corro!
MENELAO: Aspetta! Fai preparare un banchetto in onore del signore di Sparta e di tutto il suo seguito.
IPEROCLE: Vado!
MENELAO: Aspetta! Vedi che le loro camere siano piene di ogni genere di comodità. Hai capito?
IPEROCLE: Ehm…le solite, ehm, comodità?
MENELAO: Le solite, le solite. Che non si dica che Sparta non sa essere ospitale! Beh? Che aspetti?
IPEROCLE: Credevo che ci fosse altro. Vado.
MENELAO: Aspetta! Cosa fai per prima?
IPEROCLE: Ti porto da bere, Sire!
MENELAO: Va bene, per stavolta non ti taglio la testa. Puoi andare.
IPEROCLE: Grazie, Vanax. Molto generoso, Vanax. Lunga vita al Signore di Sparta…
MENELAO: (Grida) Vai! (Iperocle corre fuori) La servitù! Meglio affrontare cento giganti che dover lottare notte e giorno con questi buoni a nulla! Bah! Vuoi vedere che adesso nel bagno non c’è acqua calda? E con che cosa me le lavo le dita, io? (esce a destra)

In scena cala il buio mentre sulla scena di Menelao e torna ad illuminarsi sulla sinistra da dove torna Dimodoco sorretto da Cleto e Dumeia.


DIMODOCO 2 – il mare e la ricchezza degli Achei

Scena 13

Dimodoco, confuso e malfermo sulle gambe, rientra sorretto da Cleto e Dumeia. Le due ragazze si scambiano un cenno e Dumeia corre a sistemare un ceppo di legno da far usare come sedile, poi torna indietro ad aiutare Cleto; insieme accompagnano l’anziano ad accomodarsi davanti al fuoco, poi gli si accovacciano vicino.

CLETO: Allora? Come ti senti?
DIMODOCO: Un momento, un momento…
DUMEIA: Ti gira ancora la testa?
DIMODOCO: Ecco…ecco…
DUMEIA: Ma come hai fatto…?
DIMODOCO: Non lo so. Ero in piedi che andavo a…e un attimo dopo stavo per terra con voi che mi tiravate su.
CLETO: C’era una buca…
DUMEIA: Devi aver messo male il piede!
DIMODOCO: Va bene, va bene, non è successo niente… Tutto a posto, devo solo aver messo male un piede.
DUMEIA: Lo dicevo, io!
CLETO: Vuoi bere un goccio d’acqua?
DIMODOCO: (allarmato) Acqua? (si guarda intorno, poi si tranquillizza) Ehm…sì, grazie.
CLETO: Torno subito.
Si alza ed esce a destra
DUMEIA: Di che ti sei spaventato?
DIMODOCO: Eh? Ah…sì…è che continuo ad aver paura di affondare… Una volta la mia nave… eravamo quasi arrivati ad Antandro… cominciò a prendere acqua. Così, all’improvviso! Era tutto a posto e un attimo dopo stavamo nell’acqua fino al ginocchio! Ci vedemmo tutti a cena da Poseidone, fu davvero un brutto momento! Cominciammo subito a remare e a buttare secchiate in mare, rema e butta, rema e butta, senza nemmeno il tempo di respirare. Ad ogni modo, se Eolo non avesse mandato Noto a darci una spintarella, questa conversazione non la staremmo facendo, che peccato, eh? (risatina)
DUMEIA: (un tempo) Dimodoco, com’è il mare?
DIMODOCO: Com’è cosa?
DUMEIA: Il mare.
DIMODOCO: Non conosci il mare?
DUMEIA: Non l’ho mai visto.

Scena 14

DIMODOCO: Sei una figlia dell’esodo, eh? (Dumeia annuisce) Niente mare. (Dumeia nega) Sembra incredibile. Quindi non hai mai visto la sua mobilità senza tregua, il bianco della spuma delle onde, la furia di una tempesta, la calma di una bonaccia quando l’acqua è così ferma che ti ci puoi specchiare… I pesci, non hai mai visto i pesci?
DUMEIA: Quelli li ho visti. Nei laghi, Sire… Il mare è come un grande lago?
DIMODOCO: Di più, molto di più. Non si vedono le sponde, capisci? Una volta partito ci sei solo tu, la nave e tanta acqua intorno.
DUMEIA: E come si fa a capire dove si sta andando?
DIMODOCO: Con il Sole, a seconda di dove si trova e che ora è del giorno.
DUMEIA: Ma di notte il Sole non c’è!
DIMODOCO: E allora ci sono le stelle, che sono ancora meglio perché stanno ferme e non si muovono mai… O meglio…certi poemi parlano di quando le costellazioni erano in posizioni un po’ diverse… Bah, può essere, non me ne intendo molto… Comunque, quel che è sicuro è che l’acqua è fredda.
DUMEIA: D’estate no, però.
DIMODOCO: Anche d’estate. Forse una volta, tanto tempo prima che nascessi io, era come dici, forse l’acqua del mare sotto il Sole d’estate diventava calda come la pelle di Venere. Quando ero piccolo c’erano vecchi che raccontavano di estati sempre calde, l’autunno pure e a volte anche l’inverno… Ma da troppo tempo ormai faceva freddo tutto l’anno. Capitava che il ghiaccio durasse fino ad estate inoltrata… Che poi è il motivo per cui i Popoli della Grande Terra si sono mossi e tutto è successo.
DUMEIA: In che senso?
DIMODOCO: Beh…noi…cioè: i regni della costa, quelli che davano sul mare, avevamo, sì, terreni fertili, pascoli profumati percorsi dalle mandrie più belle che si fossero mai viste, ma soprattutto, (marcando la parola) soprattutto, avevamo lo sbocco a mare. Andavamo avanti e indietro con le veloci navi spinte dal vento, quando c’era, o rendendo bianca di spuma l’acqua con la forza dei remi; riempivamo le reti di pesce forte e nutriente, trasportavamo avanti e indietro merci che scambiavamo con profitto con altri popoli, lo stagno soprattutto.
DUMEIA: Quello che si usa per fare il bronzo?
DIMODOCO: Esatto. Di rame se ne trova quanto vuoi. Hai presente la montagna che abbiamo lasciato, marciando con la carovana, alla nostra sinistra, la scorsa estate, quella con due picchi uguali? Ecco: quella era piena di rame; la brutta gente che l’abita ce ne ha dato dieci carri in cambio della promessa di non rubare bestie dalle loro mandrie e di aiutarli a far fuori un’altra popolazione che gli dava fastidio, brutta come loro.
DUMEIA: Ma non è giusto! Quelli non erano fatti nostri!
DIMODOCO: Chi può dire cosa sia giusto? Achille ha pensato che un coinvolgimento in un minuscolo conflitto locale ci risparmiava l’ennesima dura battaglia per aprirci la strada ed inoltre ci ricavavamo un bel po’ di rame; io ero d’accordo. Certo un carro di stagno sarebbe stato molto meglio, ma…
DUMEIA: Lo stagno è prezioso?
DIMODOCO: Altroché! Quello che trattavamo noi, poi, nelle nostre terre d’origine, era il migliore! Ci si facevano le armi, gli scudi, le corazze e gli utensili da cucina più belli!
DUMEIA: Anche per i gioielli non è male…
DIMODOCO: Vero. Lo stagno dei Tamesi veniva da Occidente, sbucava da Itaca, passava lungo tutta la costa imboccando la strada del Sud nella terra dei Mirmidoni; ogni popolo se ne ritrovava un pochino appiccicato alle dita, non so se mi spiego…! Eh, bei tempi!
DUMEIA: Eravamo ricchi, allora?
DIMODOCO: Sì, ricchi! (si rabbuia) E ciechi. Per noi semplicemente il tempo era volto al peggio, si raccoglieva un po’ meno grano, sopravvivevano qualche agnello e qualche vitello in meno; in ogni caso la ricchezza del commercio compensava tutte le sofferenze, bastava cedere un po’ di quel guadagno in cambio del grano e degli agnelli che mancavano. Ma altri non le potevano compensare, queste mancanze. Cercarono di sopravvivere. Nessuno capì bene la situazione, nessuno. E così, dapprima si trattava di un po’ di cenciosi che supplicavano di che sfamare i loro figli; poi fu la volta di interi villaggi che tentavano di entrare e che il Vanax locale respingeva spargendo il sangue che gli garbava; poi, ancora, si presentavano ai confini popoli interi mal nutriti e peggio armati, ma numerosi e lì la faccenda si faceva un po’ più difficile. Infine impararono a combattere, si armarono, si allearono. Merito dei Troiani e di Priamo soprattutto, che li unì, diede un senso comune a genti che non si conoscevano affatto, alleando tra di loro anche i nemici storici in nome della sopravvivenza. Ettore li organizzò militarmente e gli insegnò a combattere in quel modo fulmineo cui nessuno sapeva opporsi. E nessuno capiva niente… Ciechi, ciechi! Quale Dio accecò quegli stupidi, valorosi, orgogliosi Principi delle coste? In nome di quale oltraggio? Ma dove s’è vista mai spingersi così avanti la collera divina?
Dimodoco tace sopraffatto dall’emozione.
DUMEIA: Ma…Sire, non si fecero sacrifici, riti propiziatorii…?
DIMODOCO: Quando ci si pensò era già troppo tardi. L’intelligenza di un uomo aveva sconfitto il coraggio di tanti; dove uno aveva realizzato una forza collettiva, tanti correvano alla morte da soli, orgogliosamente chiusi nella loro armatura di bronzo.
DUMEIA: Se ci fosse stato Achille…
DIMODOCO: Sarebbe stato solamente uno in più. E poi era troppo giovane, un giovincello vivace e temerario, carne buona per la lancia di un guerriero di terz’ordine. No. Ci volle la caduta di Pisa, il furto delle spoglie di Pelope per aprire gli occhi dei più avveduti…
DUMEIA: Ma Pisa fu conquistata da Agamennone, non da Ettore!
DIMODOCO: Ah, già. Adesso si dice così. Beh, diciamo allora che un Dio infuse all’orecchio di Agamennone l’idea di unire le forze degli antichi e nobili popoli costieri in un’azione militare mai vista, né concepita prima...
DUMEIA: Dimodoco…!
DIMODOCO: Sì?
DUMEIA: Non ti mettere a ridere, ma…
DIMODOCO: (ironico) Elena e la sua fuga con Paride? (Dumeia fa di sì) Va bene, diciamo pure che si trattò solo di aiutare Menelao a riconquistare il suo onore…Eh, come cambiano le cose, purché le si lasci viaggiare di bocca in bocca per qualche tempo! Quando tornano alle tue orecchie sono come un figlio perduto da bambino, che ti si ripresenta davanti cresciuto, adulto, con la barba e qualche ferita, anche; se non ti dice lui chi è, non lo riconosceresti mai.
DUMEIA: Pare che Paride fosse molto bello, tanto che avrebbe potuto essere scelto dalle Dee per decidere quale fosse la più bella!
DIMODOCO: Questo è troppo! Ma l’amica tua dov’è andata a prenderla l’acqua?
DUMEIA: Non era bello?
DIMODOCO: Eh! Come, no? Tutte le donne lo scambiavano per Zeus!
DUMEIA: (sognante) Davvero?
DIMODOCO: Sì, sembrava Zeus quando si trasforma in un bufalo peloso e con le corna intrecciate! Era moro, almeno questo suggerivano i pochi capelli che aveva in testa! In compenso il pettine gli serviva per i lunghi fitti peli che gli crescevano in ogni parte del corpo!
DUMEIA: Oh! Non può essere!
DIMODOCO: Io l’ho conosciuto, l’ho visto!
DUMEIA: Ma non è possibile! Non è vero niente, allora! (scoppia a piangere)
DIMODOCO: Oh, no, mi dispiace. Giuro su Ermes che… Beh, facciamo su Poseidone! Giuro che non volevo deluderti nei sogni che ti sono stati insegnati. Posso dirti che ho conosciuto Agamennone, Menelao, tutti i più grandi capi achei! Venivano in continuazione sulla nostra nave, durante il viaggio verso Troia. Sai, la nostra nave, la nave di Nestore, era stata scelta come quella di riferimento durante la traversata finale.
DUMEIA: Li…li hai visti?
DIMODOCO: Tutti. Come vedo te adesso. E li ricordo perfettamente, com’erano e come credevano di essere prima dell’assalto alle sponde troiane. Fieri, impazienti, nervosi, orgogliosi dello spettacolo dell’Ellesponto coperto di navi…
DUMEIA: Tante? Tante navi?
DIMODOCO: La Grande Flotta, la più grande messa insieme a memoria d’uomo. Anche solo per questo dovremmo essere ricordati. Mai più ci sarà niente di simile. Io lo so. L’ho vista.
La luce sfuma.



LA GRANDE FLOTTA

Scena 15

Plancia di comando della nave di Nestore, a capo della Grande Flotta achea. Nestore, Agamennone e Protesilao. Nestore, vestito con semplicità avvolto in una tunica bianca pesante coperta da un rustico vello lanoso, è solo sulla plancia con lo sguardo perso all’orizzonte.

AGAMENNONE: (vestito in modo più semplice rispetto a prima, senza rinunciare a fermagli e spille d’oro sulla pelliccia più elaborata) Eccoti, nobile Nestore, Dimodoco ha diretto bene i miei passi!
NESTORE: Zeus ti protegga, grande Agamennone.
AGAMENNONE: Me e tutta la gente achea. Anche se…(un gesto ad indicare l’enorme flotta che li circonda)
NESTORE: Il favore degli Dei non va mai dato per scontato.
AGAMENNONE: Ad occhio e croce, però, mi sembra che gli stiamo dando una bella mano, no?
NESTORE: Proprio per questo corriamo il rischio d’incorrere nell’ira di un Dio che trovi offensiva questa nostra predominanza. Poi…se bastasse il numero…!
AGAMENNONE: Abbiamo molte lance di valore, senza contare il tuo braccio leggendario!
NESTORE: Appunto: di leggenda in leggenda le mie avventure giovanili sono diventate un affronto al buon senso!
AGAMENNONE: Il viaggio con Giasone, però, c’è stato davvero! Com’era il Vello d’Oro?
NESTORE: Smettila di prendermi in giro! Se la tua intelligenza fosse anche solo un quarto di quella che t’attribuisco, dovrei offendermi per una presa in giro così smaccata!
AGAMENNONE: La gente lo crede ed il rispetto che ti si riconosce è in buona parte fondato su quelle storie.
NESTORE: Ci manca solo che sia andato a visitare gli Inferi con Teseo, o che abbia affrontato i Ciclopi!
AGAMENNONE: Quindi Scilla e Cariddi li lasciamo alle storie per i bambini e alle filastrocche per far ricordare ai marinai i pericoli che li aspettano su certe coste?
NESTORE: No, lì ci sono stato davvero. Me la sono anche vista brutta, ma ho invocato Orione e le Pleiadi e sono scampato ad un’orribile fine. Il gorgo di Cariddi m’aveva quasi preso; se non fosse stato per un soffio di Eolo non ci sarebbe stato niente da fare. Una volta tornato a Pilo ho sacrificato ben tre candidi vitelli.
AGAMENNONE: Che bel banchetto mi sono perso!
NESTORE: Attento, Agamennone: la tua scarsa fede negli Dei può attirare la loro ira su tutti noi!
AGAMENNONE: Va bene, va bene, mi scuso. Con te, con gli Dei dell’acqua, con quelli dell’aria ed anche, guarda un po’, con quelli della terra, se riusciremo una buona volta a metterci il piede sopra.
NESTORE: Manca poco, vedrai.
AGAMENNONE: L’hai già detto tre volte.
NESTORE: Tre volte l’hai domandato e con questa, quattro.
AGAMENNONE: È che quest’attesa mi uccide, me e tutti i guerrieri sulle navi. Ah, se non fosse per la drammaticità della situazione, ci sarebbe da ridere! Non sanno stare fermi: si allenano, camminano avanti e indietro nella stretta nave, urlano, giocano a “destino”… Aiace Telamonio ha rischiato di causare una collisione perché s’è voluto sfogare mettendosi a remare come un forsennato senza che ce ne fosse bisogno; la nave ha cominciato a virare e a momenti finiva addosso a quella di Diomede. (ride) Se ne sono dette di tutti i colori! Se Zeus non ha mandato un fulmine in quel momento, non lo manda più!
NESTORE: Non ci vedo niente da ridere.
AGAMENNONE: (serio) Sono tre giorni che navighiamo senza vedere la costa, è troppo!
NESTORE: Non c’è alternativa, lo sai bene. Non possiamo rischiare di essere visti e di mettere Troia in allarme.
AGAMENNONE: Potremmo trovarci dovunque!
NESTORE: I Danai hanno i segni di Dana che li guidano; dobbiamo solo seguirli.
AGAMENNONE: E se avessero perso la rotta?
NESTORE: Se entro stasera non saremo in vista della costa troiana, organizzerò un sacrificio speciale all’Olimpo tutto.
AGAMENNONE: Ecco, così saremo al sicuro!
NESTORE: Tranquillo. Si è fatto tutto quel che si poteva. L’idea di simulare lo sbarco è stata buona. Adesso dobbiamo solo aspettare lo svolgersi degli eventi ed il favore degli Dei.
AGAMENNONE: Senza offesa: piuttosto dell’intervento di un Dio, spero nell’idea geniale di un mortale. Se non ti fosse venuto in mente di fare una prova assalendo Trettia, saremmo andati incontro al disastro! Le navi di Tirinto e quelle di Pidauro con i remi incastrati mentre i re litigavano come comari su chi avesse la precedenza! Aiace d’Oileo salvato per un pelo da una morte vergognosa perché s’era buttato all’assalto direttamente dalla nave con tutta l’armatura, ma finendo a testa in giù in due palmi d’acqua! Filottete che viene urtato da Ippolito mentre sta per scagliare una freccia e se la caccia nel piede…!
NESTORE: L’abbiamo dovuto lasciare a Lemno. Una grave perdita. Brutto segno.
AGAMENNONE: …e i Tebani, che da bravi Beoti vanno a cercare aiuto per trascinare in secca la nave; e a chi lo chiedono? Agli abitanti di Trettia, quelli che eravamo andati ad assalire! (ride) Che faccia hanno fatto quando, dopo essere accorsi tutti come se fosse una festa, alla domanda cosa ci facessero tutte quelle navi sulla loro costa, si son sentiti rispondere che era per bruciargli le case!
NESTORE: Se al posto dei Mesi avessimo avuto davanti i Troiani non ci sarebbe stato scampo… Mi dispiace per loro.
AGAMENNONE: Già. Ma che s’aspettavano? Devono prendersela con sé stessi, per aver stretto legami commerciali con i Teucri.
NESTORE: Nessuno li ha avvisati di questo genere di punizione. Non è stata un’azione onorevole.
AGAMENNONE: Ma è stata un’azione utile. Adesso abbiamo stabilito chi sbarcherà prima e chi dopo; ognuno conosce il suo posto nello schieramento in battaglia; abbiamo convinto chi dovrà restare in seconda fila promettendogli una parte del bottino…
NESTORE: Rimane un’azione poco onorevole, gli Dei non saranno contenti.
AGAMENNONE: (ha uno scatto) Gli Dei! (un tempo per reprimere l’ira) Certo, certo, nobile Nestore, nessuno è disposto a fare qualcosa d’importante, tanto meno rischiare la vita, se pensasse d’incorrere nell’ira di un Dio o una Dea. Ma tutta questa impresa è stata messa in piedi in nome della necessità e del calcolo e (un ampio gesto ad indicare la flotta) tutto questo non l’ha organizzato un Dio; quando un filo di fumo si alzerà al cielo al posto delle mura di Troia, non sarà per un fulmine divino! Sono certo che un giorno gli uomini avranno un po’ più fiducia nelle loro capacità e un po’ meno timore degli Dei.
NESTORE: Le tue parole suonano blasfeme!
AGAMENNONE: E tu ti guarderai bene dal riferirle in giro! Si tratta solo di riflessioni personali, non mi sottraggo mai ai miei doveri sacri e non diffondo scetticismo tra gli Achei. Ma sarebbe molto grave se tu, o chiunque altro, mandasse in giro delle voci che potrebbero togliere coraggio e forza alle nostre lance, non credi?
NESTORE: (un tempo) Agamennone, sono troppo anziano ed esperto per cadere nei tranelli tesi dai tuoi giri di parole. Non mi intimidisci. Se passerai il segno, non avrò scelta: prima indosserò la corazza per evitare di essere pugnalato alle spalle da te o da qualche tuo sgherro, poi denuncerò ad alta voce le tue offese agli Dei. Gli uomini potrebbero anche decidere di andare avanti senza di te, purché sentano di avere nelle proprie vele il vento divino. Diversamente, cambieranno verso ai loro remi e torneranno a casa. Dopo aver raso al suolo Micene, è chiaro. (un tempo) Da soli basterebbero i tuoi atteggiamenti da dominatore! Non dimenticare: sei un Re tra i Re, nient’altro. È molto probabile che se non fossero state rubate le Sacre Ossa di Pelope non sarebbe bastato tutto il tuo caro stagno a farci muovere.
Un silenzio teso, poi Agamennone comincia a ridere piano, tra sé, crescendo fino a farla diventare una risata fragorosa
AGAMENNONE: (riprendendo fiato) Giuro, Nestore, con nessun altro ho altrettanta soddisfazione a scambiare due chiacchiere come con te! Sei una persona molto intelligente…un po’ bacchettone, ma hai una mente più sveglia di tanti forzuti giovanotti. Sei troppo prezioso come alleato per lasciarti diventare un nemico. Vuoi che m’inginocchi adesso? Chi devo pregare? Dimmelo, dimmelo tu!
NESTORE: (infastidito e vagamente nauseato) Il vecchio Giasone era un fanfarone, ma innocuo, almeno. Spero di non dover mai scoprire del pericolo nei tuoi comportamenti da buffone, (marcando ironicamente) intelligentissimo Atride.
AGAMENNONE: Giaccio sconfitto! Credo che nella tua adulazione ci siano elementi per sentirmi offeso, ma sono troppo stupido per capirli, dunque…non mi resta che ringraziarti ed augurarti lo stesso apprezzamento da parte degli Dei che invochi tanto spesso.
Nestore sta per replicare, gonfio d’ira, quando irrompe Protesilao.
PROTESILAO: Grande Nestore, non si sa niente di… Oh, Agamennone, non sapevo d’incontrarti. (lo saluta inchinando la testa, col pugno sul cuore)
AGAMENNONE: Grazie, giovane Protesilao…(con lo sguardo volto a Nestore) Parla pure, la tua favella e l’agilità del tuo pensiero sono favoriti dagli Dei, illuminaci.
PROTESILAO: Eh? Con che dovrei illuminarvi? È giorno…!
NESTORE: A che dobbiamo questa tua visita?
PROTESILAO: Ho bisogno di sapere quanto manca ancora. I miei uomini sono pronti da un pezzo, non ce la fanno più ad aspettare.
AGAMENNONE: Ecco, Nestore, dicci.
NESTORE: Non può mancare molto; aspettiamo l’annuncio da un momento all’altro.
PROTESILAO: Sì, ma…la giornata procede! Se mi avvertite troppo tardi, non potrò guidare a terra i miei prima dell’alba. Avevamo detto a che avrei dovuto menare le mani al crepuscolo, non è la stessa cosa!
NESTORE: Pazienza, Protesilao, e fiducia negli Dei.
AGAMENNONE: Amen. (a Protesilao) Hai portato le tue navi all’estremità, sull’ala sinistra?
PROTESILAO: Sì, capo!
NESTORE: (sdegnato) “Capo”?
AGAMENNONE: (fa un segno per minimizzare e rimandare la spiegazione a più tardi) Hai capito bene quello che devi fare, sì? L’importante è che nessuno avverta Troia del nostro arrivo; tutto l’effetto sorpresa si basa sul lavoro dei tuoi uomini.
PROTESILAO: Li faremo fuori tutti in un baleno! Quando sentiranno suonare le nostre trombe saranno già nell’Ade…!
NESTORE: Ahem…”trombe” ?
AGAMENNONE: (a Protesilao, calmo, dominando la contrarietà) Avevamo detto di ridurre al minimo qualunque strepito e clamore.
PROTESILAO: Sì, ma, non si può entrare in battaglia senza trombe, flauti e…
AGAMENNONE: Senza, Protesilao, senza.
PROTESILAO: Non siamo volgari banditi!
AGAMENNONE: Non sentirti obbligato dalla presenza degli altri Principi achei a rispettare le regole, combatti come t’è solito; non t’avrei scelto se non sapessi come t’è naturale l’agguato.
PROTESILAO: Sì, ma, Capo…!
NESTORE: E due!
AGAMENNONE: Poche storie! Pensa solo alla gloria che te ne deriverà: senza il tuo intervento, tutto lo sbarco e l’intera missione sono a rischio. Al nostro arrivo sulla costa non deve esserci un Troiano vivo, è chiaro?
PROTESILAO: Come, no?
AGAMENNONE: Niente trombe, cimbali, tamburi o altro.
PROTESILAO: Niente!
AGAMENNONE: Niente Troiani vivi.
PROTESILAO: Niente!
AGAMENNONE: Niente perdite di tempo con sacrifici propiziatori, invocazioni, o altro, chiaro?
Nestore segue queste parole con sconcerto.
PROTESILAO: Ho capito, ma…
AGAMENNONE: Nessuno delle altre navi deve capire cosa state facendo. Direte che avete un guasto alla tua nave e che dovete riparare a terra.
PROTESILAO: …”a terra”, sì.
AGAMENNONE: Bene, poi…
NESTORE: Un momento! Un segnale dai Danai!
Tutti guardano nella direzione indicata da Nestore.
NESTORE: Ci siamo! Zeus ci protegga, terra!
PROTESILAO: Finalmente! Corro a dare il segnale ai miei! (ad Agamennone) Niente trombe, niente sacrifici, zitti con tutti!
AGAMENNONE: Bravo. Vai.
Protesilao esce con un cenno di saluto.
NESTORE: (Dopo un momento) Dei pirati, insomma!
AGAMENNONE: In un certo senso…
NESTORE: Non era questo che avevamo concordato. Doveva esserci il grande rito con tutti i Vanax…
AGAMENNONE: (un gran sospiro) È davvero indomabile quel ragazzo! Lo sai, non ha pazienza! Avrà agito di testa sua.
NESTORE: Cosa? Ma se sei stato tu che…!
AGAMENNONE: Purtroppo, sarà il primo a cadere. È davvero un peccato, ma si sa che la giovine età è grata agli Dei!
NESTORE: Hai pensato a tutto, vedo. Chi…?
AGAMENNONE: Il suo aiutante di campo. Non è stato facile procurargli una vile freccia troiana…
NESTORE: Non temi la vendetta divina…?
AGAMENNONE: Basta, vecchio! Vuoi salvare il trono per te e i tuoi figli? Vuoi che le terre di Pilo restino in tuo potere? Vuoi che il commercio dello stagno continui a lasciarti i suoi lauti guadagni? Vuoi che la vita scorra sulle tue coste? Allora accetta in silenzio la necessità di un’azione poco santa e tanto utile! Protesilao avrà i suoi peana, sarà ricordato a lungo come il primo eroico caduto di questa memorabile impresa; col suo sacrificio avrà salvato la vita di qualche più nobile guerriero e ne avrà lasciato intatto il destino!
NESTORE: Non puoi sostituirti agli Dei!
AGAMENNONE: Per quello basti tu e gli arrosti rituali che organizzi! Io mi limito a pensare agli uomini che sono qui adesso e a quelli che verranno.
NESTORE: (vibrante d’indignazione) Io ti…
AGAMENNONE: (dirigendosi all’uscita) Ora perdonami, pio Nestore; le mie genti e tutta la flotta attendono il segnale che dia un senso a questa snervante attesa. Gli scudi achei splenderanno, le lance achee voleranno, Troia brucerà! Gloria per tutti! Addio.
Agamennone esce lasciando Nestore pallido e tremante per l’indignazione.
La luce sfuma.
Buio



ATTO SECONDO


DIMODOCO 3 – Che è successo?

Scena 16

Dimodoco e Dumeia sono nella situazione precedente. Fuori scena si ode il rumore di foglie e rami calpestati. I due si volgono in direzione del rumore.

DUMEIA: (allarmata) Viene qualcuno! Chi sarà?
DIMODOCO: (vagamente divertito) Zeus, è chiaro!
DUMEIA: Zeus?
DIMODOCO: Ma certo! In una delle sue migliori imitazioni, l’imitazione di…
Dal buio, a sinistra, entra Flegia, eretta, severa, le mani riposte nelle pieghe della veste. I due scoppiano a ridere, ma la donna, che s’arresta dopo non più di due passi, gela la loro allegria con la sua fissa serietà. Mentre il riso dei due s’insterilisce e muore, entrano e si fermano al limitare dell’ombra Aurodamia e Cersite.
DUMEIA: (incerta) Scusa, Flegia, non volevo ridere di te, è solo che…
DIMODOCO: Credevamo che fosse Cleto.
FLEGIA: Cleto?
DUMEIA: Sì, sai…è andata a prendere dell’acqua per Dimodoco e… e così…
FLEGIA: (rivolta alle altre due) Cleto è andata a prendere l’acqua. (a Dumeia) Al ruscello, immagino.
DUMEIA: Penso di sì, sarebbe sciocco andare più lontano. Ma è andata via da così tanto tempo che non so dove sia andata.
Flegia rivolge uno sguardo significativo alle altre due che a questo punto, parlando, avanzano verso Dumeia
AURODAMIA: Cara Dumeia, Cleto si trova al tempio di Atena, per questo non è tornata!
DUMEIA: Così lontano?
CERSITE: (ad uno sguardo d’incoraggiamento di Aurodamia) Eh, sì, è andata al tempio perché…perché…
AURODAMIA: Perché sono venute due ancelle a cercarvi. La grande Madre vi vuole subito tutte quante là.
DUMEIA: E Cleto è già andata da sola? Poteva venire a chiamarmi!
CERSITE: Già, ma…Non è venuta a chiamarti perché…non ha potuto e così…
AURODAMIA: (sottovoce) Cersite!
FLEGIA: La tua amica ha seguito fedelmente il richiamo del dovere più alto. Faresti bene a raggiungerla, al Tempio.
DUMEIA: Ma…io…non posso, sto prendendomi cura di Dimodoco e…
DIMODOCO: Vai pure, cara, hai un dovere da assolvere. Io non ho problemi. In ogni caso ci sarà Flegia a tenermi compagnia. (a Flegia) Non è così?
FLEGIA: Certo. Aurodamia e Cersite ti faranno compagnia. Andate adesso.
CERSITE: Ci sono anche i nostri mariti che ci aspettano per accompagnarci.
AURODAMIA: Non devi preoccuparti di niente.
DUMEIA: Perché? Di cosa dovrei preoccuparmi?
DIMODOCO: Insomma, vuoi che ti caccino dal tempio per un semplice ritardo?
DUMEIA: Davvero non le dispiace?
DIMODOCO: Assolutamente no. Approfitta dei tuoi compagni di viaggio per farti rischiarare la strada ed evitare di presentarti tutta inzaccherata. Grazie della compagnia. (dà le spalle a Dumeia e si rivolge platealmente a Flegia) Dunque Flegia, dimmi le ultime novità!
Dumeia, affiancata da Aurodamia e Cersite, s’incammina verso sinistra.
AURODAMIA: Andiamo, siamo curiose di vedere i riti di Atena.
DUMEIA: Ma sono segreti!
CERSITE: Sennò che gusto ci sarebbe a sbirciare?
Escono

Scena 17

Flegia e Dimodoco rimangono soli. Il vecchio guerriero ha colto la strana atmosfera; aspetta che Flegia parli; ella dapprima è combattuta tra restare ed andarsene, anche se ogni volta che accenna ad allontanarsi si guarda intorno inquieta ed infine si siede silenziosa, dall’altra parte del fuoco.
DIMODOCO: (asciutto) Dimmi.
FLEGIA: Di che?
DIMODOCO: Cosa c’è?
FLEGIA: Non capisco…
DIMODOCO: (un tempo) Flegia.
FLEGIA: (fatua) Sì?
DIMODOCO: Non essere evasiva. Dev’essere successo qualcosa e per questo sei venuta con le altre a prelevare la ragazza. Per portarla al sicuro, immagino. Perché?
FLEGIA: Ma cosa vai a pensare…
DIMODOCO: Ancora neghi… Deve trattarsi di qualcosa di grave, è così? (con forza) Parla: è così, è successo qualcosa?
FLEGIA: (sconfitta) Sì, è successo qualcosa.
DIMODOCO: Qualcosa di grave… (costernato) Olimpo! Una sciagura sul vecchio Ulisse e la nostra gente rimane senza guida! No, avrei sentito voci ovunque… (gioioso) Achille! È tornato Achille dai paesi del Sud ad annunciare la conquista della nostra nuova patria…! È questo, vero? (Flegia nega, mestamente e lui prosegue, confuso) No, le vostre facce non portavano gioia. E allora cosa…(irritato) Per tutte le saette di Efesto, parla, donna!
Flegia, a testa bassa, non risponde
DIMODOCO: (con tono più sommesso) È a te…è a te che è successo qualcosa… Che cosa…?
FLEGIA: Non…non a me.
DIMODOCO: E allora cosa… Cleto!
FLEGIA: Cleto.
DIMODOCO: (un tempo, poi calmo) Dimmi.
Flegia ha un momento di commozione; nasconde una lacrima con la sinistra.
FLEGIA: Ero uscita con Glauco, il mio domestico, per andare da…da certi amici; ad un certo punto sentiamo come un grido soffocato, poi ancora qualcosa, non si capiva, sembrava un singhiozzo di paura coperto dal rumore di una belva. Glauco voleva mandarmi via, ma ho insistito e sono andata con lui. Il sentiero, lì, costeggia il ruscello. Ci siamo avvicinati alla piccola riva e proprio nel punto in cui la Madre Terra e le ninfe dell’acqua si contendono il mondo, un misterioso mucchio si agitava, confuso. Quando la torcia di Glauco si è avvicinata, il mucchio selvaggio si è aperto: una fragile figura femminile era stesa a terra ed un maschio grosso e stravolto girava verso di noi gli occhi sgranati; si sono fissati nei miei; ho sentito in essi il fuoco di un demone avido e insaziabile. Lo sguardo di quest’orribile Gorgone mi ha paralizzata mentre ansimava, orrido, avvicinando le sue mani adunche, a passi lenti, pesanti…! La bastonata che Glauco gli ha dato sulla testa e che l’ha abbattuto con la faccia nel fango, è stata una scossa anche per il mio sangue. Mio vecchio amico, l’anima m’aveva già salutata!

Scena 18

DIMODOCO: Mi spiace, dev’essere stato molto difficile per te. E la ragazza?
Aurodamia e Cersite tornano in scena e si dispongono sul fondo della scena
FLEGIA: Arrivarono Aurodamia e Cersite, richiamate dal rumore. Io ero ferma, congelata, con quell’uomo ai miei piedi. Loro mi passarono a fianco e corsero da Cleto.
AURODAMIA: Giaceva con fiato penoso e sottile
CERSITE: Gli occhi appannati alla notte rivolti
AURODAMIA: le vesti ridotte a stracci divelti
CERSITE: con labbra strappate parole sussurra.
FLEGIA: Era ancora viva. In mezzo ai rantoli sussurrava piano piano parole senza senso, in lieve conversazione con qualche spirito invisibile. Si sporsero ad ascoltare…
AURODAMIA: Un roco respiro si piega in parole
CERSITE: di lingua nota soltanto agli Dei
AURODAMIA: Tra i fili confusi di lieve sussurro
le chiedo: “Perché qui venisti?”
CERSITE: “Fu il caso e la sete d’anziano guerriero
ch’in riva portarono me e il mio destino”
AURODAMIA: E poi, un silenzio e poi nuovi sospiri.
“Che accadde?” domando al suo orecchio vicina.
CERSITE: “Seppi d’un tratto che cosa l’amore non è
e come giocattolo mal regalato
tutta m’usò per giochi sbagliati.
Mi ruppi ed ei mi picchiò
poi intorno si mise a girare
ruggendo la voglia di rompermi ancora.
Tentai di chiamare, se alcun mi sentisse.
Né amici né Atena, ma lui mi sentì
Tornò a me di sopra, ma non per giocare
il collo mi cinse stringendo, stringendo…”
FLEGIA: Mi riscossi. Piangevano inginocchiate al suo fianco e allora le chiamai: “Andate a cercare qualcuno! Non vedete che l’anima la sta lasciando? Presto, sciocche che siete, correte a cercare qualcuno, mago o strega che sia, che tenga l’anima sua o l’accompagni consolandola, ma presto!”
AURODAMIA: Coi fiati suoi tenui ancor nell’orecchie
via presto corremmo a cercar dell’aiuto.
CERSITE: Chi l’anima sua potesse fermare
col piede sul ciglio dell’Ade profondo.
AUR.& CERSITE: Aiuto! Qualcuno che parli con Ade,
qualcuno ch’indietro la faccia tornare!
Che spieghi che tempo ancora non è
Che ‘l fil di sua vita s’abbia a spezzare!

Scena 19

DIMODOCO: Lo trovarono? Tornarono con qualcuno…o no?
CERSITE: Nessuno che udisse.
AURODAMIA: Nessun ch’aiutasse.
CERSITE: Morfeo dentro al campo cullava gli Achei
esausti ed ignari del viaggio di Cleto.
AUR.& CERSITE: Tornammo, le spalle piegate dall’ansia
Ma prima che voce pur disperata
spiegare potesse il nostro fallire
Flegia vedemmo.
CERSITE: E più non parlammo.
DIMODOCO: Cosa era successo? Che cosa?
FLEGIA: Io…io non lo so…non so come sia successo…
AURODAMIA: In terra quell’uomo giaceva ghignante
in osceno riso coperto di sangue…
CERSITE: ma a rider la bocca di prima non era
Un’altra alla gola adesso era aperta
AUR.& CERSITE: Né fiato né voce, ma sangue sgorgava
E Flegia muta, Flegia immobile
fissava e taceva
CERSITE: fissava e taceva.
La luce si abbassa su Aurodamia e Cersite.


Scena 20

DIMODOCO: Com’è accaduto?
FLEGIA: Non…non so… In attesa che tornassero, m’ero inginocchiata vicino a lei. Cercavo di cogliere qualche altro sussurro, ma…niente, niente di niente! All’improvviso una voce alle mie spalle, forte e virile, domanda: “Cos’è stato?”. Io glielo racconto. Quell’uomo comincia a ruggire…davvero: sembrava un leone scatenato dalle Furie! Grida cose tipo: ”Indegnità!”, “Vergogna su tutti gli Achei!” e poi: “Vendetta, vendetta!”. Sfilò dal fodero il pugnale del vile lascivo, poi l’afferrò per gli unti capelli, lo svegliò, gli mostrò il pugnale affilato, come le dita, il naso, la lingua gli tagliava ed infine col gesto dell’aquila che apre le ali, un filo profondo gl’incise nella gola. Udii un ultimo orrendo fiato uscire, e con esso la vita del grasso vigliacco. Cadde riverso. Quando alzai gli occhi lo sconosciuto vendicatore non c’era più.
DIMODOCO: (un tempo) Mmm… Non sei riuscita a riconoscerlo? Conosci molta gente, tu.
FLEGIA: Nel buio il terrore non m’ha aiutata. Dal timbro di voce, dall’altezza e dalla forza indifferente con cui aveva tirato su quell’uomo pesante, doveva essere un Dio offeso dall’oltraggio ad una sacra ancella!
AURODAMIA: Certo: un Dio!
CERSITE: Cleto è stata vendicata da un Dio mutatosi in uomo!
DIMODOCO: (ad Aurodamia e Cersite) Scusate. Non avete visto nessuno allontanarsi mentre tornavate?
CERSITE: No, nessuno!
AURODAMIA: Gli Dei se ne vanno senza farsi vedere da chi non è destinato a vederli, si sa!
DIMODOCO: Capisco. Allora non avrete altro da raccontare. Bene, tornate alle vostre case nel modo più sicuro possibile, ma vi faccio una raccomandazione: non parlate con nessuno di questa faccenda di un Dio che sarebbe sceso a vendicare lo stupro di Cleto! Sapete bene che prima devono esprimersi i religiosi. Sarebbe pericolosissimo mandare in giro voci del genere, se poi i preti non fossero d’accordo, le pene sono terribili.
AURODAMIA: Lo sappiamo, grande duce degli Epèi. Andremo dritte a casa senza parlare con nessuno.
CERSITE: Sì, ci aspettano qui dietro i nostri mariti.
DIMODOCO: Andate e…mi raccomando: silenzio, almeno fino a domani!
Aurodamia e Cersite s’avviano all’uscita
AURODAMIA: Fino a domani!
CERSITE: …silenzio!
Escono

Scena 21
FLEGIA: Racconteranno subito a tutti quello ch’è accaduto.
DIMODOCO: Lo so, ma non potevo non dirglielo.
Un silenzio
DIMODOCO: Brutta storia.
FLEGIA: Sì.
DIMODOCO: E…si sa chi è il morto?
FLEGIA: È…era Cimarione.
DIMODOCO: Cimarione?
FLEGIA: Sì.
DIMODOCO: Zeus potente! Si fosse trattato di un indigeno…! Ma Cimarione!
FLEGIA: Non è la prima volta che salta addosso ad una donna sola, approfittando della notte…
DIMODOCO: Donna sole, di notte, non ce ne dovrebbero essere.
FLEGIA: Ne ha già ridotte male diverse.
DIMODOCO: Immagino che ogni volta abbia risarcito le famiglie!
FLEGIA: Certo che l’ha fatto. È ricco di famiglia!
DIMODOCO: E allora non ha colpe sulla coscienza! Ma…una delle famiglie corinzie più potenti… Dannazione! Ora cercheranno il colpevole, colpiranno a casaccio, avrà inizio una faida spietata…E non ce la possiamo permettere! A giorni si riparte, è un momento delicato, importante… Avremo già abbastanza confusione e disordine, dovremo viaggiare facendo attenzione agli attacchi delle genti del luogo, alle imboscate dei banditi, ad un sacco di cose…! Non possiamo stare in pensiero per una freccia tirata alle spalle da uno di noi, non possiamo! Quando Ulisse lo saprà…!
FLEGIA: Certo, se si stabilisse che è stato un Dio sotto forma di uomo…
DIMODOCO: Storie per i bambini! Ma cosa mi dici, Flegia? Eppure sei una donna d’esperienza, ne hai viste tante! Come puoi credere che qualcuno si beva questa storia dell’intervento divino?
Flegia tace.
DIMODOCO: Sei sicura di non poter dare un nome a questo oscuro vendicatore? (Flegia nega mestamente) Un nome, un nome qualsiasi, su cui attirare la giusta rabbia dei parenti…
FLEGIA: Di Cleto?
DIMODOCO: Di Cimarione, è logico! Un nome che non abbia alle spalle una storia particolare…un umile silenzioso…uno che se anche si mette a strillare la sua innocenza non l’ascolta nessuno…Chi…?
FLEGIA: Mah…
DIMODOCO: Nessuno ha visto andar via quell’uomo, vero?
FLEGIA: Così sembra.
Un silenzio
DIMODOCO: (con un sospiro, rassegnato) Fammelo vedere.
FLEGIA: Cosa?
DIMODOCO: Dài…
FLEGIA: Non capisco!
DIMODOCO: Il pugnale. Flegia, tiralo fuori.
Flegia s’irrigidisce, poi china il capo e da sotto la veste estrae la destra che impugna ancora un pugnale sporco di sangue.

LA TENDA DI PRIAMO

Scena 22
Nella tenda da campagna del grande Re Priamo. Un braciere al centro, semplici sedili disposti lungo la parete semicircolare di fondo.

1a GUARDIA: (armato e corazzato, con una spada in mano, entra da sinistra e si rivolge all’esterno) Entrate.
Entrano Menelao e Agamennone. Sono ridotti male: Menelao, claudicante, indossa una cotta di bronzo ed un gonnellino protettivo a strisce metalliche, è sporco di sangue sul viso e su un braccio ed ha una gamba fasciata con bende anch’esse intrise di sangue rappreso; Agamennone, senza corazza tranne un corpetto di cuoio, ha un braccio fasciato ed appeso al collo, ma la composizione dei colori ed il portamento ne rispettano l’abituale distinzione
MENELAO: Allora?
1a GUARDIA: Un istante di pazienza, nobile Menelao.
AGAMENNONE: Siamo venuti perché c’era qualcuno che aveva qualcosa di urgente da dirci, ma se non dobbiamo ascoltare niente ce ne torniamo al nostro accampamento.
1a GUARDIA: È questione di poco. Priamo sarà qui a momenti, ne sono sicuro.
MENELAO: Basta, fratello! Questo damerino sta solo cercando di guadagnare tempo. Torniamo ad affrontare la morte; non vedo l’ora di risparmiare lavoro alle Moire, voglio tagliare per loro il filo della vita di un bel mucchietto di codardi Troiani.
AGAMENNONE: Sì, andiamocene. Dì a Priamo che l’aspettiamo nell’Ade.
1a GUARDIA: (frapponendosi davanti all’uscita) Ma no! Fermi! Ho l’ordine di trattenervi e non farvi andare via! Non costringete la mia spada…
MENELAO: Se non mi tiri via quel ferro da calza dal naso, te lo faccio assaggiare quant’è lungo!
AGAMENNONE: Che truculenza, fratello! È sufficiente infilarglielo su per il…
PRIAMO: (entra da destra. È abbigliato semplicemente, ma tutto in lui trasmette un’autorità indiscutibile) Espressioni tanto triviali non si addicono alla rispettabilità che ti sei costruito, grande Agamennone.
Tutti si volgono verso il nuovo venuto. La guardia gli si precipita davanti chinando il capo.
1a GUARDIA: Ho eseguito i tuoi ordini, ma i nobili figli di Atreo non volevano saperne di…
AGAMENNONE: Il grande Priamo!
MENELAO: Ah, finalmente! Proprio non vedevo l’ora!
Trambusto. Menelao muove verso Priamo con l’intenzione di ucciderlo, Agamennone lo trattiene per un braccio e la Guardia si frappone puntando la spada verso il Re di Sparta.
MENELAO: (al fratello) Lasciami andare! Se me lo lasci sbudellare un pochino, poi faccio tutto quello che vuoi!
1a GUARDIA: Attento, Vanax, ho anch’io qualcuno da vendicare!
PRIAMO: (alza la mano, ad alta voce) Fermi! Un incontro di questo livello è sotto l’attenzione diretta di Zeus e non può essere profanato da uno spargimento di sangue!
AGAMENNONE: Parole sante. Fratellino, ci sono di mezzo gli Dei! Poi, visto che ci hanno disarmati prima di entrare…
PRIAMO: Non ho chiesto io di offendere la vostra buona fede con una precauzione così puerile. Me ne scuso. Prego: accomodatevi.
MENELAO: (si spolvera, siede contegnoso; burbero) E va bene. Scuse accettate.
AGAMENNONE: Bene, Priamo, hai messo alla prova la nostra buona fede. D’altronde non è che non ti fossi attrezzato: sono convinto che se avessimo fatto un solo passo in più non l’avremmo potuto raccontare.
PRIAMO: Perché dici questo?
AGAMENNONE: Per due motivi: il primo è che avrei fatto lo stesso e magari con questa scusa mi sarei liberato di due nemici ingombranti, e il secondo…beh, si vedono i piedi dei tuoi uomini lì, subito fuori la tenda.
MENELAO: (ringhia a mezza voce) Brutto malfidato!
PRIAMO: (un tempo) Sono soddisfatto. Quello che avete detto e fatto coincide appieno con le descrizioni che avevo ricevuto. La Forza e l’Astuzia. Atridi! Non è un caso che siate a capo di questa folle impresa! (Agamennone china il capo in segno di ringraziamento) Manca soltanto la Pìetas.
AGAMENNONE: Per ora ne faremo a meno. Perché hai voluto incontrarci?
PRIAMO: Un momento. (si gira verso destra e fa un cenno a qualcuno che è rimasto sinora in attesa) Entra, Paride.
Paride fa il suo ingresso. È vestito da guerra, ma con un’armatura che più che incutere terrore, suscita ammirazione per la bellezza e la composta eleganza con cui è portata.
MENELAO: Il fighetto!
AGAMENNONE: (valutandolo) Mmm…E così ecco l’uomo che avrebbe rapito Elena e causato tutto questo trambusto! Francamente speravo d’incontrarti prima, sul campo di battaglia. Si vede che certi ambienti ti si addicono meno dell’alcova!
Invece di rispondere all’offesa, Paride si volge al padre
PRIAMO: Paride non risponderà alle vostre provocazioni; gli ho dato istruzioni precise in questo senso.
AGAMENNONE: Peccato!
PRIAMO: Vi ho convocato per discutere della situazione. La vostra spedizione è fallita, l’arrivo dei nostri alleati vi ha respinti all’interno dell’accampamento, a ridosso delle navi, e appena sarà dato il segnale che questa tregua è finita, sarete seppelliti sotto il nostro numero.
MENELAO: E con questo?
PRIAMO: Ho avuto un’idea, un segnale divino, potremmo dire.
AGAMENNONE: Potremmo dirlo…
PRIAMO: Davvero, Atride: non t’ha mai detto nessuno che il tuo atteggiamento verso gli Dei ha bisogno di una correzione?
AGAMENNONE: Sì, qualcuno…

Scena 23
Si sentono delle voci provenire da sinistra. Entra la 2a Guardia
2 a GUARDIA: Grande Re! Ho eseguito il tuo ordine.
PRIAMO: Bene, grazie, fatelo entrare.
La 2a Guardia si fa da parte e lascia passare Nestore, poi va a disporsi a fianco alla prima. Il vecchio Re acheo sulla tunica bianca, ora sporca e macchiata in più punti, indossa cintura e cinghie per le armi. Nell’insieme appare stanco e disordinato, ma se non fosse per questo potrebbe essere scambiato per un fratello di Priamo.
NESTORE: (senza inchinarsi) Il cielo e la Terra ti concedano il loro favore, in misura uguale alla tua considerazione del volere degli Dei.
PRIAMO: L’Acqua e il Fuoco proteggano i tuoi pii pensieri, o Nestore.
AGAMENNONE: (ironico) Amen!
I due Re si volgono perplessi ad Agamennone.
NESTORE: Non farci caso. Finirà col far del male a sé stesso.
PRIAMO: Lo credo anch’io. Prego, dovrebbe esserci un sedile anche per te.
MENELAO: Sono previsti altri?
AGAMENNONE: Sì. Se volevi farci venire tutti, a parte il fatto che la tenda mi sembra troppo piccola, era meglio fare un bel corteo, almeno risparmiavamo tempo; così ci vorranno due giorni!
PRIAMO: Potrebbero anche non bastare. Ma non preoccuparti: siamo tutti.
NESTORE: Di cosa stavate parlando?
AGAMENNONE: Niente che già non sapessimo.
MENELAO: Già.
PRIAMO: Riassumevo la situazione; ho anche detto di aver avuto un’idea…
AGAMENNONE: “Un segnale divino”, ha detto.
NESTORE: (ad Agamennone) Non ho bisogno che lo si dica per pensarlo da me. (a Priamo) Parla, Grande Re, il nostro tempo scorre lentamente, ormai; non abbiamo fretta.
PRIAMO: Sarò breve e conciso, non per una questione di tempo, ma per evitare fraintendimenti. Siamo stati ciechi e sordi gli uni con gli altri fin troppo a lungo. Ora è il suono delle armi a riempirci le orecchie, per le parole rimane poco spazio. (un tempo) Morirete, lo sapete…
MENELAO: Ce ne porteremo dietro un bel po’!
PRIAMO: Lo so, e questo mi ha fatto riflettere. Molti dei miei figli e buona parte delle nobili stirpi dei miei alleati vi seguiranno negli Inferi. Quest’idea mi fa soffrire.
Priamo tace. Gli Atridi si guardano perplessi.
MENELAO: E con questo?
AGAMENNONE: (scrolla le spalle) Boh! (a Priamo) Soffri meno, allora: arrenditi!
NESTORE: Scusali. Non riescono proprio ad evitare di offendere. Siamo in attesa delle tue parole.
PRIAMO: Le vostre terre saranno private in un sol colpo del Re e dei nobili e piomberanno nella confusione. I Popoli della Terra le occuperanno senza sforzo e tutto ciò che era vostro diventerà di qualcun altro. Ma il sangue… (ispirato) Vedo come se fosse qui, adesso, il sangue che raggiunge le chiglie delle navi achee, le circonda e sale come se fosse l’acqua di un nuovo mare mentre i pennoni, i remi, poi le nere fiancate bruciano sacrificando la promessa di future generazioni… È troppo!
Priamo tace commosso.
MENELAO: Che noia…
AGAMENNONE: (a Priamo ironico) Non avevo mai pensato di pitturare la nave di rosso!
NESTORE: Basta, stupidi! Priamo parla spinto da un Dio, è evidente! Nella sua sacra ispirazione vede cose che noi non riusciremmo a conoscere neanche in un sogno premonitore. Vergognatevi della vostra empietà!
PRIAMO: Grazie Nestore, la fama della tua saggezza non è usurpata davvero. Prego il Cielo che la tua esistenza continui ad essere ancora a lungo una benedizione per chi ti è attorno. (a tutti) Ciò che vorrei evitare è un sacrificio inutile, che non sarebbe gradito agli Dei. Noi abbiamo bisogno di nuove terre perché il gelo s’è ormai preso le nostre; voi non volete cedere le vostre che tanta ricchezza v’hanno dato per una lunga collana di generazioni… Voi avete perduto la guerra. (un tempo) Andatevene.
Gli Achei si guardano perplessi.
MENELAO: (alzandosi) Ecco, giusto m’ero stufato di sentire tante coglionate!
AGAMENNONE: (lo trattiene) No, aspetta…(a Priamo) In che senso? Cosa intendi dire?
NESTORE: Spiegati, Priamo!
PRIAMO: Raccogliete quello che volete, portate con voi chiunque sia disposto a seguirvi, attrezzatevi per un lungo viaggio, poi…lasciate le vostre terre. Partite! (via via più profetico) Prenderete la strada dell’Ambra e porterete le vostre stirpi a Sud, al grande mare le cui genti vivono nell’oro e nell’incenso, con terre sempre verdi e prodighe di frutti. Mandrie, poi, e greggi che aspettano solo uomini forti che le facciano crescere; pianure e montagne pronte ad accogliere le città che fonderete e sponde ricche di approdi per le veloci navi e rotte facili da percorrere. Genti, infine, che giacciono nella propria prosperità e che, grazie ad Apollo, sono ignare della forza dei nostri popoli e non sanno di essere destinate a soggiacere al vostro potere!
Un silenzio teso accoglie le parole di Priamo.
MENELAO: Non c’ho capito niente. Per me quest’uomo è pazzo. Nestore, che ne pensi?
NESTORE: Non so…questa visione mi supera.
Menelao si volge ad Agamennone aspettandone l’opinione.
AGAMENNONE: Neanch’io afferro tutti gli elementi dell’idea. Priamo, non dico che accettiamo, anzi, se dipendesse da me considererei finita la faccenda: abbiamo tentato di por fine alla guerra distruggendo Troia, non ci siamo riusciti e moriremo tutti in un’ultima eroica battaglia…
MENELAO: Giusto!
AGAMENNONE: …Però tu dici che si potrebbe fare anche in un altro modo: via tutti, gente, cose e tutto il resto e giù verso il Sud a conquistare il paese dell’abbondanza. Giusto? (Priamo annuisce) Beh, che dire, un sacco di cose mi sono oscure, ma intanto mi salta alla mente una domanda: perché, conoscendo questa meravigliosa opportunità non ne avete approfittato voi, invece di muovere guerra ai nostri regni?
PRIAMO: (rivolto a Paride che annuisce) Eh? Avessimo avuto una testa come la sua tra i nostri Re! (ad Agamennone) In un momento hai compreso cose che molti dei nostri alleati non hanno capito. Abbiamo tentato, ma non siamo riusciti a metterli d’accordo; avremmo continuato, ma gli Dei, poi, hanno cominciato a manifestare il loro favore verso le nostre armi e di questo progetto non è più stato necessario parlare.
AGAMENNONE: (dopo aver scambiato un’occhiata con Nestore e Menelao si alza) E va bene, mi sembra una prospettiva piena di vantaggi se messa di fronte alla rovina più completa. Dunque, visto che reali alternative non ce ne sono, non resta che fare buon viso a cattivo gioco! Noi metteremo le navi in mare e salperemo domani all’alba. Avrai nostre notizie molto presto. Arrivederci e grazie!
Agamennone fa un passo verso l’uscita della tenda; Nestore e Menelao si alzano per imitarlo; le guardie e Paride mettono mano alle spade.
PRIAMO: Fermo, fermi tutti! Non abbiamo finito, non così. Sedetevi, prego!
Eseguono con diversi atteggiamenti: Menelao rabbioso, Nestore fatalista, Agamennone annoiato.
PRIAMO: Grazie. (un tempo) Naturalmente non crederete che vi lasceremo andar via tutti insieme, un’intera armata che prende il mare, anche se sconfitta, rappresenta una minaccia che non posso permettere di lasciar aggirare sulle nostre teste. Potreste in qualsiasi momento decidere di tentare di nuovo il colpo, subito o nella prossima stagione di navigazione!
NESTORE: Giureremmo davanti agli Dei.
PRIAMO: Sì, pio Nestore, dei tuoi giuramenti potremmo fidarci. Purtroppo abbiamo già in questa stanza una rappresentanza sufficiente di Re capaci di non onorarli.
Paride si schiarisce la voce; Priamo s’interrompe e si volge al figlio che s’appresta a parlare
MENELAO: (al fratello) Che faccio, m’arrabbio?
AGAMENNONE: (interessato alle proprie unghie) Nooo…
PARIDE: Salperete un po’ per volta, secondo le nostre decisioni. Di quelli che rimarranno, gli uomini di più alto lignaggio saranno trattati come ospiti, in modo che non abbiano a lamentarsi, anzi a desiderare di rimanere. Degli altri non so dire, salvo che al momento della partenza saranno liberati da qualsiasi vincolo abbiano contratto nel frattempo.
NESTORE: Non so se otterremo l’appoggio del consiglio dei Re.
MENELAO: E noi?
AGAMENNONE: Già: noi, per esempio?
PARIDE: Voi siete Vanax, di grande fama e valore; sarà nostra cura ospitarvi in modo degno.
AGAMENNONE: Per cortesia, niente donne per me: ho a casa una mogliettina molto gelosa che non vede l’ora del mio ritorno!
Paride trae un sospiro, poi con lo sguardo lascia la parola a Priamo
PRIAMO: Bene. Molte cose devono essere definite, tra queste il traffico dello stagno che passerà interamente nelle nostre mani…
Gli Achei si guardano allarmati.
PRIAMO: Spiacente, ma sempre nella condizione di vinti vi trovate! Siate grati del trattamento che vi riserveremo e del viaggio che vi prospetto, fonte di salvezza e futura gloria per le vostre genti. L’alternativa è la fine del vostro mondo e per tutti voi la discesa agli Inferi…
MENELAO: (scatta in piedi) Meglio una morte gloriosa, piuttosto che una fuga disonorevole!
AGAMENNONE: (stancamente) Menelao, siediti.
MENELAO: Mentre un vecchio bacucco ci dice che dovremmo caricarci sulle spalle tutto quello che abbiamo e in più un bel carico di vergogna, ed avviarci facendoci largo con le armi per territori sconosciuti, tra popoli barbari e ferocissimi, lungo una strada che non conosciamo? Te lo puoi scordare!
Nestore e Agamennone lo guardano a bocca aperta.
MENELAO: Che c’è? Che ho detto?
NESTORE: Sì, Priamo. Nessuno di noi conosce la strada. Come potremmo arrivare in quei paesi di cui parli?
Priamo s’interrompe e si volge al figlio
PARIDE: Abbiamo pensato anche a questo.




DIMODOCO 4 – il dovere e i ricordi

Scena 24

Dimodoco e Flegia si guardano. Lui osserva che il suo dovere, e Flegia lo sa benissimo, è di denunciarla per far sì che la prendano e la giustizino come è giusto che sia, non in qualità di omicida, ma per il fatto di essere una donna che ha ucciso un uomo. Non procede subito, ma si abbandona a rievocare il passato. Tanti anni prima, alla morte di Euriloco, Dimodoco si presentò a consolarla e tanto teneramente e a lungo lo fece che rimasero more uxorio per circa due anni; non era obbligato a trattenersi con lei e difatti l’abbandonò per un’ambasceria affidatagli da Ulisse presso un popolo che si trovava sulla strada della carovana achea. Il distacco si preannunciava lungo e difatti durò più di un anno. Nel lasciarla, povera com’era, le consigliò di mettere a frutto le sue capacità amatorie per le quali aveva dimostrato a sorpresa un talento fuori del comune; soprattutto a quello, difatti, era dovuto il lungo legame tra i due, trattenendo Dimodoco ed impedendogli di affrontare gli impegni che la sua posizione preminente richiedeva.

Dimodoco e Flegia si guardano; la donna impugna ancora il pugnale sporco di sangue. Flegia tiene lo sguardo a terra Dimodoco si schiarisce la voce.
DIMODOCO: Donna, che hai fatto? Sai che...
FLEGIA: Lo so.
DIMODOCO: Il tuo è un delitto enorme. Come hai potuto? Flegia, proprio tu...
FLEGIA: Già: io.
DIMODOCO: L'assassinio in sé sarebbe grave, ma è niente di fronte ad una mano di donna che uccide un uomo, un nobile, poi! (guarda in alto) Si annuvola. Lo vedi? Anche gli Dei stanno rabbrividendo per il crimine che hai commesso. Flegia. Flegia, Flegia, Flegia... Ho un solo dovere. (si guardano) Devo farlo.
FLEGIA: Fallo.
DIMODOCO: Devo denunciarti. Appena mi allontanerò da qui mi recherò direttamente da Ulisse. È saggio, sarà comprensivo. La ragazza era giovane, Cimarione era conosciuto per i suoi vizi... Cercherò di ottenere per te l'esecuzione più rapida possibile. Di più non posso fare.
FLEGIA: Lo so. Ti ringrazio.
Si guardano
DIMODOCO: Quando andrò. Quando.
Dimodoco prende un respiro profondo, poi prende una posa più rilassata.
DIMODOCO: Eri così bella. Ti trovai nella vostra tenda. Stavi accovacciata a cucire.
FLEGIA: “Per chi stai cucendo?”, mi domandasti.
DIMODOCO: “Euriloco è proprio un gran pasticcione.” rispondesti. “Un giorno di questi prendo una delle tuniche che mi riporta rotte, ce lo lego come un salame e gli ci faccio fare il giro di tutto l'accampamento, così impara!” (ride fra sé)
FLEGIA: Poi mi desti la notizia. Svenni.
DIMODOCO: Temetti che fossi morta. Ti presi fra le braccia, ti cullai.
FLEGIA: Mi svegliai senza ricordare nulla, sapevo solo di essere con te, nel tuo sguardo. Che occhi grandi avevi...
DIMODOCO: Fu la prima volta. Non riuscii più ad andare via.
FLEGIA: Due anni, durò quell'abbraccio.
DIMODOCO: Nessuno trovò niente da ridire: ero semplicemente succeduto al mio migliore amico.
FLEGIA: Poi, però, te ne andasti.
DIMODOCO: Sarei dovuto andar via già da molto tempo. Aritoo approfittò di questa mia…vacanza per soffiarmi il ruolo di primo consigliere di Ulisse.
FLEGIA: Mi dispiace.
DIMODOCO: Non importò niente allora e non m'importa adesso: io ci guadagnai una compagna e lui una coppa di vino avvelenato. (un tempo) Sapevo solo che eri una cuoca eccezionale, non avrei mai sospettato che il vero grande dono te l'aveva fatto Afrodite.
FLEGIA: Non lo sapevo neanche io, prima. Con Euriloco non era mai... Oggi, con quello che so, posso dire che non era tutta colpa sua; non funzionavamo proprio e io, allora, ero troppo inesperta per...per aiutarlo... In battaglia era diverso, credo, no?
DIMODOCO: Eh? Sì, certo...certo... Poi venne il brutto giorno in cui dovetti lasciarti. Pregai tutti gli Dei dell'Olimpo di aiutarti: ti lasciavo troppo povera...
FLEGIA: Non mi sarei lamentata.
DIMODOCO: T'è dispiaciuto che ti abbia proposto... eh? È stata un'idea fulminea, così, all'improvviso. Lì per lì pensai che era un abominio, ma poi mi dissi che sarei potuto non tornare mai più e allora... Una volta nell'Ade, scoprire attraverso un sogno che mi eri rimasta fedele non sarebbe stata una grande soddisfazione, così povera, poi... Mi hai odiato, immagino.
FLEGIA: È stato il regalo più azzeccato che m'avessi mai fatto. Con i fiori, le stoffe, i monili, non c'hai mai indovinato, ma con quell'idea...! Davvero dev'esserti stata ispirata da un soffio divino!
DIMODOCO: Forse avresti preferito...
FLEGIA: (dignitosa) Sono la meretrice più apprezzata e stimata. Ho una tenda bellissima, domestici, tappeti, i vestiti più belli e gli amici più influenti. A quest'ora sarei stata una povera vecchia schiava, senza denti né cibo da masticare. Cos'avrei da preferire?
DIMODOCO: No, dico... a volte ci si può chiedere come sarebbero andate le cose se...
Flegia si alza.
FLEGIA: ...se...?
DIMODOCO: È una debolezza, lo so, ma alla mia età a volte si indulge a comportamenti che in altre epoche sarebbero da evitare… Riemergono ricordi, così, a tradimento, rivedi persone che non ci sono più, sapori, odori… Ma quel che è peggio sono i bivi in cui hai svoltato di qua e invece, se avessi svoltato di là…
FLEGIA: A volte non si ha scelta…
DIMODOCO: …o si crede di non averla.



IN MORTE DI NESTORE
Scena 25

Sul fondo, al centro, la luce illumina la figura di Nestore, molto invecchiato e visibilmente sofferente; tiene lo sguardo fisso davanti a sé. Da adesso Dimodoco, senza cambiare posizione, si rivolge al padre con voce più giovanile e risponde a Flegia con quella abituale.
NESTORE: Sei giunto, alla fine!
DIMODOCO: Mi hai fatto chiamare e sono venuto.
NESTORE: Hai fatto con comodo.
DIMODOCO: Dimmi cosa vuoi.
NESTORE: Mettiti seduto, non mi piace avere qualcuno che incombe.
DIMODOCO: Preferisco restare in piedi.
NESTORE: Sempre come ti pare, fai, sempre così.
DIMODOCO: Padre, ho da fare. Se vuoi ripasso dopo.
NESTORE: Aspetta!
FLEGIA: Che vuoi dire?
DIMODOCO: Basta scegliere di sedersi, una volta, invece di andarsene.
FLEGIA: Non capisco.
NESTORE: È l’ultima richiesta che ti faccio. Vieni qui, siedi e ascolta.
DIMODOCO: Ho da fare, ti ho detto.
NESTORE: Siedi. Se te ne vai non mi vedrai mai più e non sarai più mio figlio. Vuoi che si dica questo di te?
DIMODOCO: Va bene, ma ho poco tempo.
NESTORE: Siedi, ho detto!
DIMODOCO: L’ho già fatto, ma…non mi vedi?
NESTORE: No… La notte s’è presa i miei occhi. Gli altri sensi sono avvolti in una nuvola densa e fitta, che nasconde sapori, odori… Respiro, ma non m’illudo: la notte mi ha anche messo germi di ghiaccio nelle ossa ed il fiato sembra farsi meno lieve. Ho già visto queste cose, in altri. Riconoscerle dentro di me non mi consola. Non lotterò inutilmente, ma alcune cose vanno fatte prima che sia troppo tardi. (un tempo) Ci sei?
DIMODOCO: Sono qui.
NESTORE: (un lieve sorriso) Bene. Bene.
FLEGIA: Di cosa parli? Tutti sanno che il nostro destino è scritto nelle stelle, è in mano agli Dei, è deciso altrove. Noi possiamo solo seguirlo, anche quando…
DIMODOCO: Ti sarà di conforto saperlo, quando starai per essere giustiziata?
Flegia porta la mano al collo e tace.
NESTORE: C’è un compito molto, molto importante che devo affidarti…
DIMODOCO: Un altro? Padre, quando hai da svuotare un orinatoio pieno di compiti fetidi chiami sempre me! A che ti servono gli aiutanti…
NESTORE: Tu sei mio figlio.
DIMODOCO: Destino infame!
NESTORE: Tu sei mio figlio, questa è la risposta. Davanti agli incarichi importanti, ma difficili e inconfessabili, in cui la fiducia è la prima virtù, tutti si tirano indietro se possono. Tu non puoi. E io mi fido. Non ti piace, ma è così.
DIMODOCO: Potessi liberarmi da questa corda che mi sega il collo!
FLEGIA: Non…non c’è scampo, vero?
DIMODOCO: Il tuo destino è nelle mie mani. Ma solo per il tempo che resta, poi…non sarà più affar mio. Non posso farci niente.
NESTORE: Nessuno può. Sarebbe come poter scegliere di non nascere… Ricordi il viaggio a Ftia?
DIMODOCO: Da Peleo? Sì, lo ricordo. Era bella la reggia di Peleo. (rabbuiato) Non mi lasciasti entrare.
NESTORE: Gli avvenimenti importanti fosti tu a raccontarli a me.
La luce si attenua su Nestore.


Scena 26

Da sinistra entra Paride guardandosi intorno in cerca di Achille.
PARIDE: (ad alta voce) Achille! Achille, dove sei? Tuo padre mi ha concesso l’onore di potermi recare a cercarti. Te ne prego, esci fuori!
Achille si mostra da dietro una quinta di destra, imbronciato. È molto giovane, avrà al massimo sedici, diciassette anni
ACHILLE: (scontroso) Poteva venire lui.
PARIDE: Il colloquio con Nestore e Menelao assorbe tutte le sue facoltà. In particolare il nobile signore di Sparta sembra…molto nervoso. Ho chiesto io l’onore di parlarti direttamente.
ACHILLE: Cos’hai da dirmi?
PARIDE: La proposta di Priamo, di cui sono indegno ambasciatore…
ACHILLE: Parla come mangi.
PARIDE: Prego?
ACHILLE: Parla semplice, sennò me ne vado.
PARIDE: (un tempo) Senza di te non se ne fa niente.
ACHILLE: Spiegati.
PARIDE: Ftia e Itaca detengono la quasi totalità delle stazioni commerciali lungo la via dell’ambra; gli Achei non riusciranno mai ad arrivare a destinazione senza la guida di Peleo e di Ulisse. Ma Peleo è…molto anziano…
ACHILLE: Mio padre è vecchio. Sta già con un piede nella tomba.
PARIDE: E tu sei il suo erede. Nonostante la giovane età hai già una notevole esperienza del percorso avendolo fatto una volta di recente, in entrambe le direzioni. Ulisse stesso, pur essendo esperto, non ha mai attraversato tutti i territori; è più giovane di Peleo e non c’è motivo di credere che non riesca ad arrivare a destinazione in un’età valida…
ACHILLE: Troiano, perdi tempo: non lo farò.
PARIDE: Tuo padre…
ACHILLE: Mio padre potete anche infinocchiarlo. Con me non ci riuscirete mai. Noi a Troia non c’eravamo, Itaca nemmeno, quindi non abbiamo nessun dovere di subire le conseguenze della sconfitta di altri!
PARIDE: Voi avete dato appoggio all’armata achea: l’alleanza è stata costituita sulla base delle intese commerciali che avevate intessuto voi…
ACHILLE: Dimostralo!
PARIDE: …sulla riva in secca, tra quelle di Sparta e di Micene, c’erano navi di Itaca e di Ftia…
ACHILLE: Quei ladri! Ce le hanno rubate!
PARIDE: Nella tenda di Agamennone abbiamo trovato questo anello: il sigillo di Peleo!
ACHILLE: Chi dice che gliel’abbiamo concesso noi?
FLEGIA: Dimodoco, ma devi proprio…?
DIMODOCO: È un dovere più importante della mia stessa vita. Io solo so, ma è come se sapessero anche altri; il tempo di recarmi da Ulisse…
FLEGIA: Ma poco fa dicevi…ricordavi…
DIMODOCO: Quante cose si ricordano e non lo si vorrebbe…
PARIDE: È il sigillo reale, intenderesti negarlo? Peleo ha ammesso di averlo dato ad Agamennone perché i suoi marinai gli ubbidissero.
ACHILLE: E va bene, e con questo?
PARIDE: Partirete il prossimo anno e tu li guiderai.
ACHILLE: Perché il prossimo anno, o quello dopo, e non subito?
PARIDE: Perché i Vanax achei stanno tornando alle loro case solo in questi giorni; li stiamo lasciando partire uno alla volta per evitare che gli venga in mente di non rispettare i patti e di riprovarci. Gli servirà l’inverno per prepararsi; a primavera cominceranno a giungere sulle vostre coste; ci metteranno del tempo ad arrivare tutti, nel frattempo dovrete preoccuparvi di ospitarli e sfamarli. Quando avranno finito di radunarsi sarete pronti a partire. Se l’inverno sarà troppo vicino dovrete aspettare la primavera seguente, altrimenti partirete senza altre attese.
ACHILLE: (un tempo) Chi ti dice che Ulisse ci stia?
PARIDE: Mio padre, insieme ad Agamennone e Diomede, ci sta parlando in questo momento. Lo convinceranno.
Minaccioso si avvicina a Paride
ACHILLE: E se ti ammazzassi e mandassi la tua testa a Troia, come risposta?
PARIDE: (impassibile) Morireste tutti.
ACHILLE: Voi Troiani non mi fate paura!
PARIDE: Non solo Troia devi temere, non solo tutti i Popoli della Grande Terra, ma anche, e soprattutto, gli Achei. Sono disperati, la loro unica speranza di sopravvivere è questo viaggio; non vedono l’ora di prendersela con qualcuno. Menelao lo sta spiegando a tuo padre.
ACHILLE: Li avete in pugno! (Paride annuisce) Ma…come avete fatto? Non può bastare la sconfitta…
PARIDE: Le ossa di Pelope sono in mano nostra. Il simbolo sacrale dell’identità achea riposa in una cella a fianco al Palladio.
ACHILLE: Ma non è possibile! Pisa…
PARIDE: …l’abbiamo presa noi; Agamennone ha nascosto la cosa. In fondo quest’atroce guerra è stata fatta per un mucchietto di ossa.
ACHILLE: Ma tu…Elena…
PARIDE: (ride) Ah, caro ragazzo! Sei ancora troppo vicino all’età delle favole! Ma ti pare proprio possibile che tante navi vengano armate per i begli occhi di una donna? (Achille confuso non risponde) Ho avuto con la bellissima Elena un paio di serate piuttosto interessanti, ma… Povera donna, lotta per non prendere le abitudini della sorella; passa da un uomo all’altro, anche quattro insieme, ma il letto lo riscalda meglio una statua di marmo!
ACHILLE: Non…capisco…
PARIDE: Capirai.
Dimodoco ride.
ACHILLE: Chi è? Chi si nasconde in quel cespuglio?
DIMODOCO: Scusate, nobili signori, non era mia intenzione tradire il segreto della vostra conversazione, ma m’ero steso a riposare sotto le fronde profumate di questo alloro e le vostre voci m’hanno riportato alla triste realtà.
PARIDE: Dimodoco! Hai sentito tutto?
DIMODOCO: Tutte le parole, ma nessuna novità. L’unica sorpresa è stata l’arrendevolezza di questo giovane. Davvero, Achille, corriamo il rischio di vederti cantare dai poeti come una persona ragionevole!
ACHILLE: Non sarà mai!
DIMODOCO: Se va bene per te…
PARIDE: Allora Dimodoco sarà testimone del nostro accordo. Ti rifiuti di guidare gli Achei nella Terra Promessa? Di diventare il loro eroe più luminoso, capace di offuscare tra i posteri il nome di uomini e semidei oggi mitici? Ti rifiuti?
ACHILLE: (a mezza voce) No…
PARIDE: Prenderai la spada e la lancia e sgombrerai la strada per le genti che ti seguiranno?
ACHILLE: Sì. Ma…
PARIDE e DIMODOCO: Ma?
ACHILLE: Le ossa di Pelope. Ce le consegnerete il prossimo anno, in vista della partenza. Nessuno mi seguirebbe se non fossero in mio possesso.
Paride stende le mani
PARIDE: (un tempo) Così sarà. (Achille gliele stringe) Dimodoco, il tuo sigillo. (Dimodoco aggiunge le sue. Ad Achille) Sarai un grande Vanax.
DIMODOCO: Lo credo anch’io.
La luce si spegne su Paride e Achille che si ritirano da parti opposte lasciando Dimodoco con le mani protese nel vuoto

Scena 27
La luce si rialza su Nestore.
NESTORE: La tua mano suggella l’intesa che ha dato al viaggio dell’intero popolo acheo il suo motivo di unione.
DIMODOCO: Non dirlo, padre, è un fardello troppo pesante, troppo!
FLEGIA: Non sei il solo a ricordare cose che non vorrebbe.
NESTORE: E sarà la tua mano a restituirci il talismano.
DIMODOCO: La mia mano…che intendi dire?
NESTORE: La tua mano domani condurrà in battaglia gli Achei; con te ci saranno Sparta, Tirinto e quel che resta dei Feaci. Porterai Euriloco con te.
FLEGIA: Ricordi Euriloco, mio marito?
DIMODOCO: Padre, è tornato appena una settimana fà, ha rivisto sua moglie dopo due mesi di assenza… Non è necessario, che differenza vuoi che faccia un uomo in più o in meno!
FLEGIA: Ricordi? Morì in battaglia. Per difenderti, dicesti.
NESTORE: Gerione ha confessato.
DIMODOCO: Chi?
NESTORE: Inseguito dalle Arpie, tormentato dai Tafani, si è recato al tempio di Atena e lì, davanti alle sacerdotesse, è crollato a terra e, in un fiume di lacrime, ha raccontato il furto dell’arca di Pelope.
DIMODOCO: Le ossa di Pelope sono state rubate?
NESTORE: …era incaricato dal suo blasfemo complice di portare una richiesta di riscatto, ma non ha retto alla tensione…
FLEGIA: Prima di partire mi disse: “Ho una cosa bellissima da dirti”.
DIMODOCO: Un complice? Chi?
FLEGIA: La sua voce suona ancora nelle mie orecchie mentre me lo dice…
NESTORE: Tu lo conosci bene. È il tuo amico più caro.
DIMODOCO: No!
FLEGIA: “Saremo ricchi, amore mio, come non hai neppure mai immaginato!”
NESTORE: La tua mano, figlio mio, la stessa che garantì al nostro popolo e a tutti gli Achei la consegna delle sacre ossa, dovrà costringere il colpevole a confessare e dargli la punizione richiesta dagli Dei. Quella mano, senza l’aiuto di altre, dovrà trasportare l’arca recuperata e deporla senza danni nel sacello di Apollo. Penseranno loro a trasportarla fino alla nuova Delfi e lì a riporla nel luogo più segreto.
DIMODOCO: Ma come pensi… Euriloco è un guerriero esperto, conosce tutti i tranelli…Io stesso potrei tradire la tensione…L’amo più di un fratello… Non puoi chiedermi questo!
NESTORE: È tutto preparato. Tutti via ad inseguire il nemico che fugge. Un piccolo bosco vicino al grande fiume, voi due e dieci spartani. Lo prenderanno. Poi toccherà alla tua mano.
DIMODOCO: Ma…dopo…come potrò guardare in faccia la donna che tanto l’ama?
FLEGIA: Gli uomini parlano.
NESTORE: Dovrai assicurarti il silenzio di tutti i testimoni.
FLEGIA: Nella comodità dell’alcova …
NESTORE: Il silenzio, con ogni mezzo, ad ogni costo.
FLEGIA: … nel silenzio che segue l’amore, si ricompongono le grida del giorno…
DIMODOCO: Cosa mi stai chiedendo?
NESTORE: Tutti, figlio, tutti i guerrieri. Nessun testimone.
FLEGIA: …le porte dei loro segreti si aprono con facilità…
DIMODOCO: È troppo! Vuoi fare di me un assassino!
NESTORE: Il sacro forziere riposto nel buio dalla tua mano…
DIMODOCO: La mia mano!
FLEGIA: …a volte è solo uno spiraglio…
DIMODOCO: …coperta di sangue…
NESTORE: …affonderà nell’oblio, nel profondo silenzio…
FLEGIA: .. ma bastano poche domande indifferenti per lasciar sfuggire due parole...
NESTORE: Ora và, figlio. A te spetta l’azione, a me l’immobile attesa. Già vedo Giasone ed i miei mitici compagni chiamarmi per un altro viaggio.
(sui versi che seguono, la luce di Nestore scende fino a spegnersi, insieme alla sua voce)
Ferma è la nave nel placido mare,
fiacca la vela in attesa del vento.
Giungo al sorriso del vecchio compagno,
impugno il mio remo, l’impugno ancora…


DIMODOCO 5 – una vita

Scena 28
DIMODOCO: Che parole? A cosa ti riferisci?
FLEGIA: Sai, tutti quelli che avevano partecipato all’ultima battaglia di Euriloco sono morti…
DIMODOCO: È naturale…
FLEGIA: No, caro. In ogni battaglia capitano gli episodi disgraziati, le mogli lo sanno bene, costrette come sono ad imparare l’arte di consumarsi in un’attesa piena d’incertezza. Credi che sia facile aspettare senza sapere se sarà più utile il talamo o la cerimonia funebre?
DIMODOCO: Mi rendo conto.
FLEGIA: Faccio finta di crederlo. Anche alla tua versione dei fatti avevo creduto. Inoltre, si capisce, la passione che ci aveva travolti…
DIMODOCO: Flegia…
FLEGIA: (durante questa battuta Flegia si alza e va a portarsi dietro a Dimodoco) Poi iniziai a fare questo lavoro ed ebbi altro a cui pensare. Ma una sera d’estate, giacendo con un sacerdote di Apollo, lo sentii irrigidire quando gli dissi di chi ero stata la sposa. Feci finta di niente; come tutti i preti era troppo abituato a mentire perché potessi sperare di avere da lui una risposta chiara alle mille domande che avevo in testa. Cominciò un lavoro lungo, paziente, fatto di sussurri, occhiate sbieche, silenzi eloquenti… Quante carezze e quanti baci sono serviti per far tornare in superficie il sangue di mio marito!
DIMODOCO: Il passato può essere un nemico terribile.
FLEGIA: Ma la verità alla fine s’è ricomposta.
DIMODOCO: Quale verità?
FLEGIA: Tu uccidesti Euriloco.
DIMODOCO: Che dici?
FLEGIA: Poi venisti da me.
DIMODOCO: E perché l’avrei fatto?
FLEGIA: Per avermi.
DIMODOCO: Ah.
FLEGIA: E per trovare le sue ricchezze di cui doveva averti confidato qualcosa.
DIMODOCO: …le sue ricchezze…
FLEGIA: Ti fermasti due anni con me; di sicuro passavi tutto il tempo che non ero in casa a cercare, finché un bel giorno ti arrendesti ed obbedisti al richiamo del dovere. Divertente la cosa: in fondo entrambi offrivamo il corpo per la causa comune! (ride amaramente)
DIMODOCO: …già…
Flegia con un improvviso gesto brutale prende Dimodoco per i capelli, gli tira indietro la testa e pone la lama del pugnale sulla gola
FLEGIA: (roca) Confessa, Dimodoco: hai ucciso inutilmente il tuo migliore amico per un tesoro mai esistito! Hai distrutto il calore del mio focolare per un pugno d’oro, che neanche esisteva! Hai privato mio marito del suo respiro per godere del mio. (un tempo) Sento vibrare nella lama il grido terribile delle Erinni che chiamano vendetta. Vendetta! Vendetta per una vita che mi hai impedito di vivere! Hai paura della morte, sì?
DIMODOCO: No.
FLEGIA: Cimarione ne aveva.
DIMODOCO: Sono vecchio, Flegia. Stai dandomi una meravigliosa opportunità…
FLEGIA: Quale?
DIMODOCO: Mi risparmi le infermità e le amarezze dell’ultima età. Inoltre questo regalo me lo fai tu, che sei l’unica persona cui non posso rimproverare cattiverie nei miei confronti. Inoltre…
FLEGIA: Beh? Inoltre, cosa?
DIMODOCO: Niente. Affonda il pugnale.
FLEGIA: Cos’altro? Vuoi farmi credere che ti faccio un favore? Che mezzi meschini! Non mi confondi con le tue astuzie, l’indignazione che tenevo in serbo governa il mio braccio, ormai. Nessuna pietà per un assassino.
DIMODOCO: Affonda.
FLEGIA: Non hai richieste dell’ultimo momento? Qualche volontà da eseguire dopo la tua morte?
DIMODOCO: Affonda, dài, facciamola finita.
FLEGIA: E va bene… (si ferma un attimo prima) No, aspetta. È tutto troppo semplice. Perché sei così remissivo? Una piccola lotta per l’ultimo respiro, almeno!
DIMODOCO: (grida) Donna, la smetti di spettegolare e mi scanni, una buona volta?
FLEGIA: È questo! Perché corri così deciso verso la morte, perché? Quasi quasi…
DIMODOCO: Che fai?
FLEGIA: …mi sa che potrei lasciarti vivere, guarda un po’!
DIMODOCO: (spaventato) No, Flegia, pensaci! Se muoio nessuno potrà accusarti di omicidio, ma se vivo non avrai scampo!
FLEGIA: È vero.
DIMODOCO: Basterà che butti via il pugnale e racconti di aver visto di nuovo l’oscuro vendicatore divino… Non preoccuparti, di cose indegne ne ho fatte, anche senza contare Euriloco. Ti crederanno, la voce si sta già diffondendo.
FLEGIA: (un tempo) Come può un uomo così retto e logico essersi macchiato di un crimine tanto orrendo e di dubbio ricavo?
DIMODOCO: Ora basta, non pensarci più. Flegia, è vero, ho ammazzato Euriloco con le stesse mani che hanno svegliato la tua pelle. (Flegia rabbrividisce) Lo vedi? Ti faccio abbastanza orrore adesso, no? Combatti la ripugnanza per pochi momenti e sarà tutto finito. Il pugnale, dài!
FLEGIA: Non posso più…
DIMODOCO: Obbedisci!
Dimodoco afferra il polso della mano che impugna l’arma e lo torce fino a puntarsela alla gola.
FLEGIA: Ahi!
DIMODOCO: Ora, Flegia, mi appello allo spirito pratico della donna che sa come gira il mondo. Se mi ammazzi ottieni un sacco di vantaggi: scampi alla condanna, vendichi Euriloco e, visto che ci siamo, fai un piccolo favore anche a me. Una sola vita uscirà di qui. Allora?
FLEGIA: Sei così pronto a morire?
DIMODOCO: Come non potrò mai esserlo.
FLEGIA: Ora… non so se sarò capace…
DIMODOCO: Mandami agli Inferi, il mio tempo è finito. (Flegia si ricompone) Fallo per il tempo dell’amore, per quello dell’odio, (Flegia prende un respiro profondo) per la passione che continua ad unirci, nel bacio e nel pugnale, (Flegia solleva l’arma) ora come allora e per sempre. Per questo, Flegia, e per nient’altro…
Dimodoco chiude gli occhi e…

Buio

SIPARIO