Figli di Hamm


Dramma in cinque quadri
di 

Fabio Massimo Franceschelli



Dicembre 2001


Personaggi

Eros
Pittore, circa 60 anni; preferibilmente piccolo di statura.

Ofelia
Moglie di Eros; medesima età e corporatura.

Urlo
Figlio di Eros ed Ofelia; circa 30 anni. Barba incolta. E’ perennemente seduto su una sedia a rotelle (ma è perfettamente in grado di camminare); indossa occhiali scuri (ma non è cieco); in pratica si comporta come il personaggio di Hamm in “Finale di partita” di S. Beckett.

Sarah
Figlia di Eros ed Ofelia; 20-25 anni; un po’ sovrapeso. E’ chiusa nella sua stanza.

“piazzisti”
Quattro-sei uomini di circa trenta-quaranta anni.



Ambientazione

Interno di una stanza; disordine: quadri e cavalletti da pittore dappertutto; i quadri riportano sempre il medesimo soggetto: la vagina di Ofelia, ritratta nelle varie fasi della sua vita. Il fondo sinistro è la zona ove Eros dipinge ed Ofelia posa per lui. All’interno della stanza, sul fondo destro, è stato ricavato uno stanzino molto piccolo ove è rinchiusa Sarah. Una grata in metallo è la porta di ingresso dello stanzino; Sarah si intravede solo quando si avvicina alla grata. Nella parete laterale sinistra vi è la porta di ingresso alla cucina; sulla parete destra un grande specchio e più in alto una finestra.


1


[Buio completo; poi, una voce:]

- Urlo - Voi, che vi affannate alla ricerca di un senso; che vi adoperate per un inutile progetto; che sudate spostando mille volte al giorno il piede destro e mille volte il sinistro. Voi che non avete avuto mai una vostra casa e voi che vi rilassate ingenui nel vostro letto. Voi che danzate e piangete e ridete e godete dei vostri miseri orgasmi; appartenenze inconsistenti nel sostrato della vita. Mio padre che osserva e mia madre che dona. Mia sorella che tasta le pareti della sua stanza pregando che aria nuova vi irrompa. Tutti voi, tristi sostanze condannate ad ignorare. Ed io che invado il buio con la mia corta voce e disturbo la luce opponendo i miei tratti. Tutti noi, colpevoli, siamo figli di Hamm.

[luce. Sul fondo sinistro Eros sta dipingendo; davanti a lui, spostata verso il proscenio e di spalle al pubblico, Ofelia posa nuda (almeno il pube deve essere scoperto). Sulla destra, verso il proscenio, siede immobile Urlo; la posizione di Urlo deve lasciare visibile la grata dello stanzino di Sarah che gli sta alle spalle]

- Eros - Sì! Sì! La luce dona luce e noi tutti doniamo alla luce. L’immagine rimbalza impazzita tra le pareti di questa stanza; altrove non mi interessa. Sbatte e sbatte e sbatte trovando finalmente chi – unico tra flora e fauna – la significhi con atto creativo.
- Ofelia - Fa freddo.
- Eros - E dunque non fa caldo! Capisci il gioco della logica, moglie mia? Ogni parola si chiarisce solo con il suo opposto: caldo e freddo, uomo e donna. La verità è che siamo duali, e da qui traggo la giustificazione all’atto di infilzarti ogni mattina con il mio, sempre meno duro, membro.
- Ofelia - Fa freddo.
- Urlo - Vestiti allora, se hai freddo, e togliti la pelle se hai caldo.
- Eros - Sii meno sgarbato con tua madre.
- Ofelia - Il punto è che subisco uno sbalzo di temperatura tra il calore intenso del mio corpo e l’epidermide che non lo asseconda. Il punto è che durante il pomeriggio la direzione del vento cambia ed investe pienamente la nostra casa filtrando sotto le porte. Il punto è che…
- Urlo - Copriti!
- Eros - Santo cielo, Urlo; possibile tu sia sempre così acido? Io e tua madre diamo tutti noi stessi affinché l’esempio della nostra leggerezza ti contagi.
- Urlo - Leggerezza?
- Eros - Leggerezza, sì!
- Ofelia - Leggerezza! [gira su se stessa] Vibrare come aria nell’aria. Confondersi con le foglie e la polvere in una danza sufi cercando il contatto con Dio.
- Eros - Tesoro! Come posso cogliere i particolari delle tue grandi labbra se ti metti a danzare?
- Ofelia - Perdonami amore. So bene che questo è il momento più delicato della tua opera. Aspetta, che ora le apro di più.
- Eros - Bene così. L’oscuro è lo stato più esigente. Vedi Urlo: se tu non riesci a distinguere l’infinita gradazione dell’oscurità non puoi fare il pittore. Perlomeno il pittore come lo intendo io. A tale proposito debbo dire che ho sempre invidiato il mio pene, perché lui, proprio in quanto non è dotato di occhi, non osserva il buio ma lo coglie nella sua totalità, vi si immerge. E’ una situazione comune anche ai ciechi, non trovi? [nessuna risposta, poi si rivolge alla moglie] Hai dato da mangiare a tua figlia?
- Ofelia - Mio Dio, Urlo per favore, dài da mangiare a tua sorella che starà morendo di fame.
- Urlo - Ha mangiato.
- Ofelia - Quando?
- Urlo - Quando? Anche troppo spesso.
- Eros - Ma ragazzo mio, Sarah è giovane, brucia energie; ha altre esigenze rispetto a te.
- Ofelia - Nostra figlia, che è anche tua sorella, ha una vita davanti a sé; una vita che potrebbe essere dura, sfiancante, drammatica. E’ una donna moderna, ti rendi conto?
- Eros - Deve mangiare, deve mangiare il più possibile. Non può farsi trovare impreparata.
- Ofelia - Stanca.
- Eros - Debole.
- Ofelia - E poi ricorda che il nostro futuro – intendo il futuro di tutti noi, anche il tuo – è affidato a lei.
- Urlo - Quale futuro, madre mia? Voi due siete già morti e non ve ne rendete conto. In quanto a me non ho né futuro né passato; sono totalmente fermo. Dio non ha ancora deciso cosa fare di me.
- Sarah - E’ pronta!

[eccitazione dei genitori]

- Ofelia - E’ pronta! Eros, è già pronta!
- Eros - E’ pronta, è pronta. Sarah, sei grande. Sei veramente mia figlia! Urlo, prendila, presto, prendila!

[Urlo si muove verso Sarah e raccoglie un foglietto di carta che costei ha fatto cadere in terra]

- Eros - Portala qua, presto. Portala a me.

[gliela porta]

- Eros - [legge] “Le dita dei miei piedi sorridono alla spuma marina, la mia bocca accoglie lo sputo dell’uomo. Sono sveglia! E’ un incubo.”.

- Ofelia - Mio Dio!
- Eros - Mio Dio Ofelia! Ha creato una vita! Queste non sono parole: è la vita.
- Urlo - La Via, la Verità, la Vita.
- Ofelia - Smettila!
- Urlo - La Via, la Verità, la Vita.
- Ofelia - Smettila!
- Urlo - La Via, la Verità, la Vita.
- Ofelia - Smettila!
- Sarah - Posso mangiare, ora?
- Ofelia - Certo! Subito tesorino di casa. Eros, vai subito in cucina e prendi quel piatto dentro il forno.
- Eros - Santo Cielo Ofelia, di quale piatto parli?
- Ofelia - Come di quale piatto parlo?
- Eros - Ma… vuoi dire…?
- Ofelia - Lo hai mangiato? Hai mangiato il cibo destinato a nostra figlia?
- Eros - Non sapevo…. Ti giuro, non sapevo.
- Ofelia - Schifoso porco! Come hai potuto? [si lancia su di lui con violenza; lo colpisce con le mani]
- Eros - [si difende] Ma cosa fai? Cosa fai? [si divincola ed alza improvvisamente la voce] Cosa fai? Sei nuda? Vergognati! Come puoi agire nuda davanti a tuo figlio?
- Ofelia - [colpita; si ferma] Io… io… scusa.
- Eros - Vergogna! Copriti!

[corre a prendere un velo – posto in terra -; lo indossa e si copre parzialmente]

- Urlo - Questa storia. Questa storia continuamente davanti agli occhi è un lazo intorno al mio collo. Nutre la mia fantasia dagli anni del biberon.
- Eros - Non ti sforzare! Non arriverai mai alle sue altezze.
- Ofelia - Non vale nulla la tua poesia.
- Urlo - Non è la poesia che cerco. Io mi sto disfacendo e non ne capisco il senso.
- Eros - Masturbati più spesso. Non lo fai mai. Un uomo ancora giovane come te ha bisogno di sfoghi sessuali.
- Ofelia - Sì Urlo, tuo padre dice il vero. Vuoi che ti presti qualcuna delle mie riviste?
- Sarah - Ho fame. Voglio mangiare.
- Eros - Ofelia! Tua figlia ha fame, Cristo! Cosa aspetti?
- Ofelia - Ecco bambina mia. Pazienta ancora un attimo. [esce]
- Eros – [ad Urlo] Alla tua età mi svegliavo ogni mattina con il fallo eretto; dritto, lungo, duro. Nemmeno se lo prendevo a schiaffi si abbassava. Tua madre lo adorava e a volte restava ore a guardarlo, annusarlo, leccarlo teneramente. Poi alla fine venivo. Contraevo i muscoli e comprimevo il mio corpo come fosse uno stantuffo. Potevo schizzare sino a tre metri di distanza e ti posso assicurare che dopo mi sentivo l’uomo più buono del mondo. Avrebbero potuto santificarmi.
- Urlo - Poi dipingevi.
- Eros - Dipingevo, certo. Dipingevo con armonia e energia, ma tutto era sotto il mio controllo.
- Urlo - E dipingevi.
- Eros - Dipingevo, certo. Non ho mai saputo fare altro. Non ho mai fatto altro. Io dipingevo e tua madre posava per me. Quando sei nato tu è stata una tragedia. Tutte quelle ore ad allattarti… che perdita di tempo.
- Urlo - Ed ora dipingi.
- Eros - Dipingo. Dipingo!
- Sarah - [urla] Ho fame!
- Eros - Ofelia! Allora?

[Ofelia rientra velocemente con un piatto in mano. Lo porge a Sarah facendolo passare dall’apertura sotto la porta. Sarah lo prende e si ritira all’interno della sua stanza]

- Ofelia - Solo un po’ di tartine al burro. Così velocemente non ho potuto preparare altro.
- Eros - E tra un’ora? Cosa le daremo da mangiare tra un’ora?
- Ofelia - Abbiamo bisogno di cibo. Telefona alla Voce.
- Urlo – No!
- Ofelia - Perché no?
- Urlo - E’ brutta.
- Eros - Non è brutta!
- Urlo - E’ brutta, ti dico!
- Ofelia - E io ti dico di no! Telefona alla Voce.
- Urlo – E’ brutta, fa schifo. La Voce non la vorrà mai.

[Eros prende il telefono e compone un numero; poi resta in ascolto]

- Urlo – Ed io osservo la scena intorno a me: tutto mi sembra inutile e sgraziato; manca il ritmo, manca la poesia, e noi non siamo ben definiti. Le ruote di questa sedia sono triangolari…
- Eros - Sì, pronto? Sono io… certo… certo, è pronta… [pausa] la leggo? [a Ofelia] Vuole che la legga.
- Ofelia - Leggigliela!
- Eros - [alla Voce] Ora la leggo: “le dita dei miei piedi sorridono alla spuma marina, la mia bocca accoglie lo sputo dell’uomo. Sono sveglia! E’ un incubo.”.

[pausa, parla la Voce]

- Eros - Sì? Sì… sì… sì… come al solito, certo… certo… buongiorno. [chiude] Gli è piaciuta!
- Ofelia - Gli è piaciuta!?
- Eros - Gli è piaciuta!
- Ofelia - E… il pagamento?
- Eros - Come al solito. Dal davanzale della cucina.
- Ofelia - Quanta roba?
- Eros - Tanta.
- Ofelia - Tanta?
- Eros - Tanta! Avremo salmone e caviale.
- Ofelia - Tartufi e porcini.
- Eros - Aragosta, ostriche e datteri di mare.
- Ofelia - Capriolo, daino, cacciagione.
- Eros - E poi frutti di mare, pasta, risotti.
- Ofelia - Bruschette calde con paté e olive e Bordeaux e Brunello.
- Urlo – E merda, merda, tanta merda!
- Eros - Merda, sì! Se Dio non avesse voluto la merda ci avrebbe creati pari a Lui.
- Urlo - Ma siamo stati creati a Sua immagine e somiglianza!
- Eros - Nelle aspirazioni! Certo! Ma nelle fattezze Lui è più avanti di noi e non ha bisogno di evacuare.
- Ofelia - L’evacuazione è il segno del nostro limite.
- Eros - Giusto moglie mia! Se noi riuscissimo a comprendere il tutto non avremmo bisogno di elaborare scarti. Finché approssimiamo, defechiamo.
- Ofelia - Devi imparare a vivere, Urlo. Accetta i tuoi limiti.
- Eros - Alzati e cammina.
- Ofelia - Torna ad urlare, come da bambino.
- Eros - Copuliamo, moglie mia; l’evento necessita che io e te ci si unisca per tornare alla forma archetipica.
- Ofelia - Non è possibile, amore mio. Hai dimenticato che lo hai duro solamente la mattina presto, prima di urinare? Perché vuoi umiliarti?
- Urlo - La fine di un’epoca arriva improvvisa: agisce… e quando te ne rendi conto è troppo tardi. La capisci dagli sguardi che non ti dicono nulla di nuovo, da discorsi vecchi, sentiti mille volte ma che ora pesano e puzzano e suonano male. La fine di un’epoca è nell’intolleranza che affiora; è nel già visto e nel già detto. Che tutto vada in merda! Ma d’altronde… è un passaggio obbligato. E la giovinezza è andata. E le strade si dividono. E nulla sarà più come prima. I nostri visi sempre più stanchi, i soliti ruoli che si ripetono, la pesantezza dei gesti, le scelte ormai fatte. Una fine d’epoca in cui hanno vinto i rancori e le incomprensioni. Tutto crolla. E io sono impotente e stanco. Responsabile. In questa fine della nostra epoca ci lasciamo con una implorazione: “non perdiamoci di vista”.
- Ofelia - Con questo cosa vorresti dire?
- Eros - Voglio dipingere! Dipingere! Moglie! Spogliati e apri la vulva. La morte si avvicina ed io devo ancora penetrare il tuo mistero.
- Ofelia - Ma Eros, aspetta. Forse Urlo vuole comunicarci qualcosa.
- Eros - Apri le gambe! Il mio pennello freme. Rosso! Sì, rossa, te la farò rossa, rossa di sangue e di vergogna. Ah, se questo pennello potesse sprizzare sperma la stanza ne sarebbe immersa. Apri!

[buio]


2


[Luce; Eros dorme a terra; Ofelia, seduta, parla ad Urlo]

- Ofelia – Ti sei alzato presto stamani?
- Urlo – Sono cinque anni che non mi alzo, madre.
- Ofelia – E hai fatto pipì?
- Urlo – Da quando?
- Ofelia – “Da quando” cosa?
- Urlo – Siccome vorrei rispondere alla tua domanda ho bisogno di sapere da che momento devo iniziare a ricordarmi se ho fatto o meno pipì.
- Ofelia – Ma Urlo, è un modo di dire. Intendo se “ultimamente” hai fatto pipì?
- Urlo – Più precisione, Madre. Più precisione! Che significa “ultimamente”?
- Ofelia – Urlo, sei impossibile!
- Urlo – Ma non capisci che non ho più alcun riferimento logico in testa? Cazzo! Dove è “ultimamente”? E’ prima o dopo di “prossimamente”?
- Ofelia – Sei bello quando ti alteri. Mi ricordi quando non avevi ancora un anno: sembrava che dovessi spaccare il mondo. Quando venivano le mie amiche a trovarmi insieme ai loro bebè piagnucolosi tu li facevi sparire tutti con le tue urla; loro piangevano mentre tu urlavi. Come urlavi. Emettevi urla disumane, rabbiose, piene di promesse. Le mie amiche poi non sono più venute.
- Urlo – Riflessioni in nero… lucido… come una lama… che riflette i vortici della mia anima potente… e inquieta.
- Ofelia – Sei ancora bello, Urlo. Perché non ti alzi da quella sedia e torni a camminare. Nulla te lo impedisce. Alla tua età ci sono stimoli da soddisfare. Il sesso è la cosa più bella del mondo. Io sono molto fortunata ad avere tuo padre. Tuo padre è un uomo forte, e mi soddisfa ogni mattina… oddio, ormai comincia ad essere vecchio. Io non sono ancora così vecchia, non trovi? Cioè, a volte penso che se solo lo volessi potrei ancora attirare un giovane. Anche uno della tua età [ride]. Che scema che sono. Sembra quasi ti stia facendo la corte. Certo che voi giovani avete il cazzo veramente duro.
- Urlo – Povera vecchia.
- Ofelia – Non sei gentile con me. Mi porti astio da sempre! Perché? Perché? [Pausa] Lo sai che il cibo che ci ha fatto trovare la Voce era fantastico?
- Urlo – Inedia è la mia scelta. Come i catari radicali.
- Ofelia – Peggio per te. C’erano tanti tartufi bianchi che odoravano di sesso e un Chianti vellutato che sudava desiderio. Inutile dire che tuo padre si è ubriacato. Senti come russa. Poi ha cercato di prendermi ma lo aveva moscio e non c’è riuscito [ride]; è scoppiato a piangere e poi si è addormentato.
- Urlo – Basta!
- Ofelia – Perché?
- Urlo – Sei patetica!
- Ofelia – Sono viva! E’ questa la mia unica colpa!
- Urlo – E ti pare poco?
- Ofelia – Ora “basta” lo dico io: basta! Basta con questa storia. E’ démodé, non interessa nessuno, non ha mai interessato nessuno. Tutto questo oggi è superato: due vecchi idioti e un giovane disperato che finge un handicap che non ha. Che pena! Oggigiorno la vecchiaia non esiste più: siamo tutti giovani e dobbiamo consumare. Consuma!
- Urlo – A questo punto ci vuole un buono ed oscuro monologo. Vediamo: [pausa] è questo il migliore dei mondi possibili? [ride] Non mi viene in mente un cazzo di buono.

[improvvisamente un boato scuote le pareti. Ofelia salta in piedi; Eros si sveglia; Urlo resta immobile]

- Ofelia – Cosa è stato? Cosa è stato?
- Eros – Cos’era? Urlo, cosa era quel boato?
- Urlo – E’ la prima delle sette trombe! Ora sono cazzi vostri [ride].
- Eros – Smettila con queste stronzate. Ofelia, cosa era quel boato?
- Ofelia – Ma cosa vuoi che ne sappia io?
- Eros – Meglio non uscire, potrebbe essere una trappola.
- Urlo – Di chi?
- Ofelia – Forse della Voce.
- Eros – Stronzate! La Voce ha bisogno di noi.

[una voce si sente giungere dall’esterno: “comunicare!”]

- Ofelia – “Comunicare!”; che parola gentile.
- Urlo – Comunicare… comunicare… per dirsi cosa?
- Eros – Qualcosa minaccia la nostra civiltà.
- Urlo – Sono io. Perché non mi uccidete?
- Ofelia – Non fare il cretino!
- Eros - Invece a me sembra una buona idea.
- Ofelia – Eros!
- Eros – Rifletti Ofelia! Trovami un motivo per cui ci convenga lasciare in vita questa piaga. E’ sempre triste, noioso, non fa nulla tutto il giorno, ci accusa sempre, ci ricorda che siamo vecchi, mi toglie la concentrazione mentre dipingo e me lo fa ammosciare quando ti scopo.
- Ofelia – Veramente trovi che sia lui?
- Eros - Certo! Cosa credi? Io sarei in grado di possederti almeno quattro volte al giorno se non ci fosse questa mortuaria presenza.
- Ofelia – Urlo! Quindi è colpa tua?
- Urlo – Sei tu che lo dici. Padre: la corda è in cucina e il gancio è sopra la mia testa.
- Eros – Non credere di sfidarmi. Potrei sorprenderti.
- Urlo – Sorprendermi, ah! La corda è in cucina e il gancio è sopra la mia testa.
- Eros – Tra poco la smetterai con la tua aria di superiorità.
- Urlo – Hai solo paura che io ti succeda.
- Eros – Ora vedremo! [esce]
- Ofelia – Se quello che ha detto tuo padre è vero, Urlo, sono molto arrabbiata con te. Meriti una punizione.
- Urlo – Ma sì, in fondo non sarò mai al suo livello.
- Eros – [rientra con una corda in mano; il cappio è già pronto] Ofelia, guarda: scivola ancora. E’ una meraviglia.
- Ofelia – E’ fantastico, amore. Nonostante tutti questi anni è ancora impregnata di burro.
- Eros – E’ lunga come il mio fallo.
- Urlo – Ha anche la stessa flessibilità.
- Eros – Cosa vorresti dire? Ricordati che il sesso di un padre è sempre più duro di quello di un figlio. Ofelia, tu passagli il cappio intorno al collo, io appendo la corda [passa il cappio ad Ofelia, poi prende una sedia e ci sale sopra. Infine tenta di agganciare l’altro capo della corda ad un gancio del soffitto].
- Urlo – La vita è una attività particolare: ciò che si vede è, ma ciò che è non si vede.
- Ofelia – [mentre gli passa il cappio al collo] Urlo, come sei poetico. Nella mia vita nessuna persona mi ha fatto riflettere quanto te. Questo vecchio patetico ha sempre stimolato i miei sensi ma mai il mio spirito. Tra me e tuo padre c’è un legame di fluidi: noi due ci immergeremmo l’uno nell’altra se potessimo, ma sei sempre stato tu la luce del mio intelletto.
- Eros – Fatto! Mi sembra bella solida [scende dalla sedia]. Allora? Cosa aspettate? Urlo! Siamo uomini! Dunque siamo esseri responsabili degli eventi. Per il bene dell’umanità occorre che tu muoia! Nei sei consapevole?
- Urlo – Ottimo e abbondante.
- Eros – Bene! Ofelia, vai a prendere la bandiera della Patria.
- Ofelia – Che bello, la bandiera [esce].
- Eros – Sei orgoglioso di vivere questo momento, figliolo?
- Urlo – Questo cappio puzza di bassa materia organica.
- Eros – Sciocchezze.
- Ofelia – [rientra con la bandiera] Guardate che meraviglia, così ampia e libera. Tieni Urlo. Impugnala [gliela porge].
- Urlo – Ma cazzo! E’ tutta unta! Lo sapete che l’unto mi fa schifo!
- Ofelia – Ma è solo burro, amore. Lo sai che io e papà non usiamo altro.
- Urlo – Che schifo.
- Eros – Urlo, non fare troppe storie. Impugna bene la bandiera e monta sopra la sedia.
- Urlo – In che senso?
- Eros – Che significa “in che senso”? Ti alzi in piedi e monti sopra la sedia, in modo che poi tua madre te la sfilerà da sotto mentre io tirerò la corda.
- Urlo – Mai io non posso alzarmi in piedi. Se sapessi stare in piedi e camminare non avrei bisogno della carrozzella.
- Eros – Non dire idiozie! Tu sai camminare benissimo. La tua è solo una commedia!
- Urlo – Tragedia, padre. Non confondere. Si chiama tragedia.
- Ofelia – Insomma, Urlo. Lo sappiamo tutti che la tua è solo una finzione che dura da anni. All’inizio pensavamo che volessi imitare quel personaggio là… quello del teatro… come si chiama? Ti abbiamo lasciato fare, non gli abbiamo dato importanza perché sapevamo che ti piaceva recitare, ma tu ne hai approfittato. Sono almeno cinque anni che non ti alzi da quella sedia!
- Urlo – E non ho intenzione di farlo nemmeno ora. Se volete ammazzarmi lo farete così come sono.
- Eros – Lascia stare, Ofelia. Lo impicchiamo così. E’ più testardo di un mulo.
- Ofelia – Avanti, Eros. Non ti arrabbiare, in fondo a tutti i condannati a morte è concesso l’ultimo desiderio.
- Urlo – Forza, non perdiamo tempo! Ho fretta di incontrare Dio e rivolgerGli qualche domanda.
- Eros – Urlo, sei consapevole che ti impicchiamo per il tuo bene e per il nostro bene e per il bene della Patria? Capisci che solamente eliminandoti il mondo potrà evolversi tranquillamente?
- Urlo – Sono consapevole. Avanti!
- Eros – Bene, sono orgoglioso di te. Impugna la bandiera e canta insieme a noi. Anche tu, Ofelia, mano sul cuore e canta.

[con postura solenne si dispongono al canto. Canterà solo Eros, mentre Ofelia mimerà una marcia sul posto e Urlo sventolerà la bandiera]

- Eros – “Viva la Patria che sani ci ha fatto, viva la Patria che duri ci ha reso, viva la Patria che eretti ci sveglia, viva la Patria che morti ci veglia”. Attenti! [afferra la corda] Presentarsi a Dio! [tira con forza la corda ma il gancio non regge e viene giù con un pezzo di trave a cui era fissato; la trave colpisce Urlo in testa]
- Urlo – Ma che cazzo fai? Mi devi impiccare, non bastonare!
- Ofelia – Eros, sei un incompetente maldestro!
- Eros – [mortificato] Perdono, perdono, scusate. Scusami Ofelia, e scusa anche tu, Urlo. Non succederà più, lo giuro. Che figura…
- Urlo – Hai fallito di nuovo, padre mio. [pausa, si tocca la testa] Ma che schifo è? Anche la trave è sporca di burro !? [getta il legno]
- Ofelia – [lo raccoglie] Eros, ma è quel vecchio bastone che usavamo quando eravamo giovani. Ci piaceva tanto. Non sapevo l’avessi utilizzato per riparare il tetto.
- Eros – Ma Amore, non ricordi che poi comprammo quello più grande e di questo non sapevamo più cosa fare?
- Urlo – Che famiglia.
- Ofelia – E allora? Cosa vorresti dire? E’ la famiglia che ti meriti, anzi: è la famiglia che hai sempre sognato di avere!
- Sarah - E’ pronta!
- Eros - E’ pronta?
- Ofelia – Di nuovo? Mio Dio, Eros!
- Eros – Sarah! Sei la nostra vita!
- Urlo – E la nostra agonia.
- Sarah – Ho fame. Voglio mangiare.
- Eros – Ma certamente bambina mia. Ofelia, cosa aspetti?
- Ofelia – Subito tesoro, ti preparo subito del salmone al burro.
- Eros – Salmone no! Non ce ne è più.
- Ofelia – Allora degli asparagi al burro.
- Eros – Niente asparagi. Li abbiamo finiti ieri. Non ricordi?
- Ofelia – Mio Dio, allora della pasta al burro.
- Sarah – Non mi piace la pasta!
- Eros – Non le piace la pasta. Cristo, Ofelia, possibile tu non sappia che nostra figlia odia la pasta.
- Ofelia – Sì, sì, certo. Scusami Sarah. Ti preparo subito una deliziosa omelette al burro. [esce]
- Eros – Sarah, bambina mia, dài a papà la tua ultima creazione.
- Sarah – Prima voglio mangiare.
- Eros – Vuoi mangiare, prima? Certo, è giusto, prima mangiare e poi donare. Ofelia, cosa aspetti?
- Ofelia – [dalla cucina] Arrivo!
- Eros – Urlo, sei felice? Tu perdi tempo ma tua sorella continua a produrre. E’ lei la nostra locomotiva, lei porterà in alto il nome di questa nostra famiglia. Noi siamo tre disgraziati ma lei finché è là dentro produce ragioni alla nostra vita.
- Urlo – Cosa intendi per “nostra”?
- Eros – Sarah, dimostra di nuovo al tuo infelice fratello la grandezza del mio sangue. Dove è la tua gemma?
- Sarah – Ho detto che prima voglio mangiare.
- Eros – Ofelia! Allora?
- Ofelia – [rientra con un vassoio] Eccomi, eccomi. Tieni tesoro. Mangia che sei tanto magra.
- Sarah – Cos’è?
- Ofelia - Tartine al burro. Purtroppo non c’è più niente in frigo. Solo burro.

[Sarah prende il vassoio e si ritira all’interno della sua stanza]

- Eros – Burro! Sempre e solo burro. Questa povera nostra figlia non può campare solo di burro. Non ti vergogni? Che razza di madre sei?
- Ofelia – Non è colpa mia! Sei tu che alla Voce chiedi sempre chili e chili di burro.
- Eros – E questo che c’entra? Sai bene che il burro è fondamentale nel nostro rapporto.
- Urlo – Basta!

[improvvisamente un nuovo boato scuote la casa. Eros ed Ofelia urlano e vanno a nascondersi di corsa in qualche angolo della casa; Urlo resta immobile. Subito dopo, dall’esterno, di nuovo altri colpi, meno potenti del primo; poi delle parole urlate: “comunicare!”, “efficace!”, “chiaro!”, “aggiornarsi!”. Poi una lunga pausa]

- Sarah – Ecco il mio muco.

[Eros ed Ofelia restano immobili e rannicchiati a terra; Urlo muove la carrozzella verso lo stanzino di Sarah. Lì giunto, riceve da lei un foglio di carta. Lo prende e va verso il padre; accartoccia il foglio con la mano e glielo getta addosso; poi si allontana. Eros, lentamente, prende il foglio e si rialza; lo legge]

- Eros – “Massa totale rovistata dalle sanguisughe. Là inizio a vedere.”
- Ofelia – [si rialza] E’… molto bella. Cosa vorrà dire?
- Eros – Mi sembra un chiaro riferimento.
- Ofelia – A cosa?
- Eros – Urlo, tu che ami tanto quello scrittore irlandese, cosa ne pensi?
- Urlo – [inizia a ridere, ride forte e a lungo]

[buio]



3


[Luce. Nelle pareti ci sono ormai diverse crepe. Qualche calcinaccio è in terra. Urlo è in carrozzella al solito posto. Ofelia è a terra di fronte ad Eros che la ritrae; indossa una gonna e spalanca le gambe in una posizione da partoriente. Eros la sta osservando con l’ausilio di un piccolo binocolo da teatro]


- Eros - I particolari sono l’aspetto fondamentale. Grande stagione della pittura il Naturalismo. Tutte quelle chiacchiere sulla soggettività dell’artista che interpreta ciò che vede sono solo stronzate. La realtà è superiore e preesistente ad ogni soggettività! Io sono solo uno strumento, purtroppo inadeguato, all’imporsi del reale.
- Ofelia – Va bene, amore. Ma sono stanca: è quasi un’ora che sto in questa posizione.
- Eros – E cosa credi, moglie mia, che sia una cosa semplice rendere giustizia all’intreccio dei tuoi peli pubici? Il pennello vuole i suoi tempi.
- Ofelia – Lento di pennello e veloce di pisello [ride]. Che scema sono [ride ancora]. Non ti offendere, tesoro: era solamente una battuta.
- Eros – Già, una battuta. Ma la colpa è tua, amore mio. Il tuo antro oscuro attira a sé ogni mio fluido.
- Ofelia – Sempre troppo velocemente.
- Eros – Continui?
- Ofelia – Via, lo sai che scherzo. Sei sempre il mio stallone preferito. [si alza]
- Eros – Tuttavia non ho alcuna difficoltà ad ammettere che non sono più quello di una volta. La vecchiaia è veramente crudele: l’uccello si ammoscia mentre il desiderio resta intatto. Credo fermamente che la risposta di tutto sia dentro la tua vagina. Non sto parlando dell’interno in senso anatomico: utero, ovaie e tutta quella roba là. Io penso che la vagina sia inscindibile dall’idea di un buio, di un “oltre” ignoto ove tutto si risolva, e che tutto nell’insieme rappresenti un archetipo, una di quelle reminiscenze dell’età incorrotta di cui ciancia Platone. Questi concetti dovrebbero interessarti, Urlo. Parlo a te! Forse non ci crederai ma io ho letto più volte quel tuo drammaturgo e sono giunto a delle conclusioni.
- Urlo – E sarebbero?
- Eros – Cos’è la “partita” di cui parla? Cosa rappresenta quell’ambiente oscuro ed umido ove tutti sono immobili tranne il servo che gira avanti e indietro e avanti e indietro in tutta casa? La partita, ogni partita, finisce con un risultato, una vittoria, una uscita dallo stato precedente: il servo sta per uscire ma poi si blocca e poi riprende ad uscire e poi si blocca di nuovo ed infine esce. Il risultato finale non è il vecchio che resta sulla sedia ma il giovane che esce! Capisci?
- Urlo – No.
- Eros – Perché sei morto dentro, non hai stimoli fisici e senza stimoli fisici la fantasia e l’immaginazione sono inerti. Tu ti lasci sedurre da implicazioni esistenzialiste che sono esclusivamente intellettuali e non comprendi che l’azione è prioritaria ad ogni significato che la mente le appiccica addosso.
- Urlo – Il buio è denso, padre, denso ed uniforme. Ma su una cosa hai perfettamente ragione: non ci avvolge dall’esterno, ma esce da noi stessi, dai nostri orifizi, per poi allargarsi a tutto il resto. Ormai non vi vedo più.
- Ofelia – Mio Dio, Urlo, come sei noioso. Pesante e noioso.
- Eros – Deprimente. Alla tua età, mentre fottevo a terra tua madre, con la mano sinistra sfogliavo il Trismegisto e con la destra dipingevo ispirandomi a Bosch.
- Ofelia – Ed io venivo cantando a squarciagola l’ “Inno alla gioia”.
- Eros – Questo significa essere artisti. E lo facevamo mentre tu urlavi.
- Ofelia - E’ vero, urlavi, quanto urlavi!
- Eros – Urlavi, urlavi, aaaaaaaaaaaah aaaaaaaaaaah aaaaaaaaaah! [ride]
- Urlo – Il suono è reticente ad ogni mia comprensione: più lo tocco e più si trasforma!
- Eros – “Il suono è reticente ad ogni mia comprensione: più lo tocco e più si trasforma!” Interessante [ironico]. Cosa vorresti dire con questo? Credi di avere lanciato un messaggio ermetico? Cosa credi? Credi che un giorno intellettuali e critici e filosofi di tutto il mondo si spaccheranno il cervello per tentare di penetrare la tua poesia?
- Urlo – Di quale mondo parli; siamo solo noi quattro.
- Eros – Non è vero. Questo è quello che tu credi. Intanto esiste la Voce che si occupa della nostra alimentazione, poi esistono quei quattro o cinque imbecilli che là fuori hanno deciso di sfondarci la casa.

[un boato improvviso scuote la casa; Eros ed Ofelia saltano per la paura. Poi frasi urlate e minacciose accompagnate da altri colpi sparsi: “comunicare!”, “efficace!”, “chiaro!”, “aggiornarsi!”. Infine il silenzio]

- Eros – Maledetti! Vigliacchi! Assassini! Ma il bene vincerà!
- Ofelia – [stupita] Eros, mi piace questa tua improvvisa virilità.
- Eros – E’ nei momenti di pericolo che il vero uomo si manifesta. Ma ora apri le gambe, moglie mia: è giunta l’ora che io scuota le tue pareti.
- Ofelia – Oh tesoro, sì, sono tua.

[Ofelia si sdraia a terra ed apre le gambe ma Eros resta fermo]

- Ofelia – Allora?
- Eros – [si tasta il sesso] Falso allarme.
- Ofelia – [seccata] Eros, un giorno perderò la pazienza e ti tradirò.
- Eros – E con chi?
- Ofelia – Con il primo che mi capiterà davanti.
- Urlo – E’ così “paparino”: tua moglie è da un po’ di tempo che ronza intorno al mio cazzo.
- Ofelia – Urlo!
- Urlo – Voi, madre, avete molto offeso mio padre. Ah no, che mi succede ora? Questo non va bene: confondo i personaggi. Secchi per l’immondizia! Ecco ciò che mi serve. Secchi per l’immondizia che vi siano magione da qui all’eternità. E poi devo liberare il servo. Ti libero! Hai capito? Ti libero ma tu dovrai ubbidirmi altrimenti ti lego al guinzaglio. E no! Continuo ad errare. [in falsetto] “Che fare? Bisogna vivere! E noi vivremo, zio Vanja”. Che stronzata! Il povero zio depresso che trova riscatto nell’amore di Sonja, mentre la nostra Sarah tasta le sue mura.
- Eros – Ma cosa dici?
- Urlo – Zitto! Non parlare. Non devi intralciare il corso del mio disfacimento. A me il fardello, il ruolo di Clara e quello del nunzio. Ma non ne sono all’altezza! Capite? Non lo sono! Tuttavia la Signora sta per tornare e occorre fare presto. [pausa] Ho dimenticato qualcuno?
- Eros – [ad Ofelia] E cosa sarebbe questa storia che tu gli giri intorno?
- Ofelia – Non dire cretinate.
- Eros – Cretinate? Io…
- Ofelia – Tu non capisci. Io sono sua madre e il mio compito è quello di stargli vicino, di volergli bene. Cosa credi che non mi accorgo di quanto soffre? Cerco di tenerlo vivo, di parlargli, di stimolarlo. Lui si sta inaridendo. E’ solo. Ha bisogno di una donna. Io lo stuzzico, cerco di fare quello che posso ma non è colpa mia se sono vecchia, vecchia, vecchia!
- Eros – Potremmo chiuderlo dentro lo stanzino con Sarah. Che ne pensi? Lo aiuterebbe certamente.
- Ofelia – Eros. Potrebbe uscirne un incesto.
- Eros – Incesto, via, che parolona! Endogamia mi sembra più appropriata. Un’endogamia finalizzata alla perpetrazione incorrotta della nostra famiglia.
- Ofelia – Ma sono incompatibili.
- Eros – Perché mai? Potrebbero riprodursi, e magari mettere al mondo un bel bambino. Non è sicuro che venga uno schifo. Potrebbe anche prendere le parti migliori di noi quattro: sarebbe quasi un essere normale.
- Ofelia – Un bambino!
- Eros – Già, un bel bambino piccolo e tondo.
- Ofelia – Un bambino!
- Eros – Un bambino da proteggere e viziare.
- Ofelia – Un bambino!
- Eros – Un bambino da sbaciucchiare e spupazzare.
- Ofelia – Un bambino!

[pausa; ci pensano su]

- Eros – Un bambino da cambiare ogni volta che se la fa addosso.
- Ofelia – Un bambino?
- Eros – Un bambino a cui dar da mangiare ogni tre ore.
- Ofelia – Un bambino?
- Eros – Un bambino da cullare ogni volta che piange.
- Ofelia – Un bambino?
- Eros – Un bambino che ci interrompe quando scopiamo.
- Ofelia – Che ci toglie il cibo dalla bocca.
- Eros – Che ci chiede: “perché questo? Perché quest’altro?”.
- Ofelia – Che quando cresce ci chiude nello stanzino.
- Eros – E non ci dà da mangiare.
- Ofelia – E ci nega il burro.
- Eros – Ah, questo no!
- Ofelia – No no!
- Eros – Assolutamente no!
- Ofelia – E’ un’ipotesi malsana.
- Eros – Totalmente fuori luogo.
- Ofelia – Irresponsabile.
- Eros – Inattuabile.
- Ofelia – Illogica.
- Eros – Illogica! Certo! Completamente antitetica alle logiche che governano il nostro status quo.
- Ofelia – [scoppia a piangere fugge dalla sua posizione vero una parete] Come siamo brutti! Mio Dio!
- Eros – Ofelia! [la raggiunge] Cosa ti prende? Non fare così.
- Urlo – Finalmente.
- Ofelia – Male, male, venuti male!
- Urlo – Tua moglie si è svegliata.
- Eros – [la consola] Succede di essere venuti brutti e malfatti.
- Urlo – Ora sei rimasto solo tu.
- Eros – Non è colpa nostra; siamo stati creati così.
- Urlo – A continuare la partita.
- Eros – E non è nemmeno colpa del Creatore. Magari era stanco.
- Urlo – A fare mosse.
- Eros – Stressato.
- Urlo – Le stesse mosse.
- Eros – Sfiduciato.
- Urlo – [urla] Quelle di sempre!

[buio]



4


[Luce. Tutti dormono: Urlo sulla carrozzella, Eros in poltrona e Ofelia a terra ai suoi piedi. Sparsi per la sala vi sono alcuni resti della cena. Tutto è molto più disordinato rispetto a prima. Poi un boato improvviso. La casa trema e si susseguono altri colpi accompagnati da frasi urlate: “comunicare!”, “efficace!”, “chiaro!”, “aggiornarsi!”. Eros ed Ofelia saltano in piedi terrorizzati; urlano e scappano verso la cucina. Eros alza appena la testa. I colpi seguono più forti; anche le urla. Ofelia rientra in sala dalla cucina; urla e corre verso Urlo; gli si getta addosso come a cercare protezione. Urlo si scuote e la allontana da sé con forza; nel movimento gli occhiali gli cadono; fa per chinarsi e raccoglierli ma si immobilizza davanti allo specchio. Infine tutto si placa. Molte profonde crepe solcano le mura di casa; qualche calcinaccio è caduto]

- Eros – [rientra anche lui dalla cucina] Basta! Basta! Non ce la faccio più! Cosa volete da noi? Cosa? Maledetti…
- Ofelia – Hanno smesso…
- Eros – Già! Hanno smesso… per ora. Poi riprenderanno, riprenderanno sempre più forte.
- Ofelia – Ma allora fai qualcosa!
- Eros – E cosa vuoi che faccia?
- Ofelia – Ma insomma, sei tu l’uomo di casa! Esci fuori e affrontali.
- Eros – Parli bene tu: “affrontali”. Ma non vedi che sono vecchio? Vecchio! Vecchio e debole.
- Ofelia – Non possiamo andare avanti così, Eros. Dobbiamo reagire! Non puoi permettere che gli eventi ci travolgano.
- Eros – La realtà è che ormai è finita. E’ finita. Si sono accorti di noi, capisci? Stanno per contaminarci.
- Ofelia – Sei solo un vecchio piagnucoloso, ecco quello che sei. Urlo, tu sei giovane, sei l’erede designato. Prendi in mano la situazione! [nessuna risposta; Ofelia gli si avvicina e lo scuote] Allora? Urlo?
- Urlo – [inizia lentamente a lamentarsi; poi sempre più forte: qualcosa a metà strada tra un urlo e un lamento; tutto senza staccare gli occhi dallo specchio]
- Ofelia – Urlo! Santo Dio! Che ti succede?
- Urlo – [continua ad urlare sempre più forte]
- Ofelia – [lo abbraccia forte] Urlo, ti prego, non fare così. Parla!
- Eros – Urlo, maledizione, vuoi farci prendere un accidente?
- Urlo – E’ accaduto! E’ accaduto… è accaduto…
- Ofelia – Ma cosa è accaduto?
- Urlo – E’ accaduto… è accaduto anche a me. Madre… mamma… sono cambiato.
- Ofelia – Urlo…
- Urlo – Io non volevo che accadesse… perché? Questi peli sul mio viso… questo sguardo… è vecchio. E’ vecchio, capisci? Vecchio… vecchio… vecchio [piange].
- Ofelia – Non fare così, bambino mio…
- Urlo – Non mi toccare! Via! Via! Andate via tutti … tutti. Perché? Perché c’è la polvere e tutto si disintegra e ho le rughe sulla pelle … perché. Chi sei tu [alla madre]? Cosa vuoi da me? Cosa volete tutti quanti? Via, andate via, non vi conosco. Ma non capite che ogni secondo tutto cambia e io non riesco più a seguirmi… a starmi appresso. Non ci riesco. [piange ancora]

[Urlo piange e i genitori gli si avvicinano e lo abbracciano; silenzio per qualche secondo. Poi Eros si allontana bruscamente; ha una mano sul sesso, come a nasconderlo]

- Eros – Maledizione, mi è diventato duro.
- Ofelia – Eros! Ma ti pare il momento?
- Eros – E cosa ci posso fare? Tutto questo calore umano… non ci sono più abituato.
- Ofelia – Ma fai schifo! Quale calore umano? Di quale calore umano parli? [va verso il marito minacciosa] Non ti rendi conto che tuo figlio sta male? Sta male, sta male lui e sto male io e stiamo male tutti e tu pensi solo a fartelo venire duro. Non capisci la differenza che passa tra un amore materno e una voglia erotica?
- Eros – Sì, troia mia, fottiamo. [le salta addosso e la sdraia a terra; le monta sopra] Fottiamo con ardore, sublimiamo questo momento di amore e passione in un orgasmo infinito [con ancora i pantaloni addosso le assesta furiosi colpi di bacino].
- Ofelia – Eros, amore mio… sì… sì…
- Eros – Ofelia, finalmente. Ora lo tiro fuori, ora te lo metto dentro!
- Ofelia – Sì, fai presto, presto!
- Eros – E’ grande, è enorme…
- Ofelia – Sì!

[Eros tenta goffamente di togliersi i pantaloni; poi, quando ci è quasi riuscito si blocca]

- Ofelia – No!
- Eros – Si è ammosciato. Non è possibile. Come è successo?
- Ofelia – Miserabile…
- Eros – Non è colpa mia, te lo giuro!
- Ofelia – Bastardo…
- Eros – Era duro, ti giuro, era duro come una sasso, era voglioso… fremente… non so cosa sia successo, non lo so, non lo so [scoppia a piangere].
- Ofelia – [si alza di scatto rovesciando Eros a terra] Sei un verme, un pusillanime, un impotente. [lo colpisce scomposta con mani e piedi]
- Eros – Perdonami… perdonami…
- Ofelia – Mi fai schifo, vecchio!
- Eros – Continua, sì, continua, mi sta tornando duro.

[squilla il telefono. I due si bloccano. Squilla diverse volte ma nessuno si muove. Alla fine si alza da terra Eros e va a rispondere con timore. Nel mentre, Urlo riprende da terra gli occhiali e li indossa; il tutto con uno scatto molto veloce]

- Eros – Sì, pronto? Ah, salve… sì… sì certo… nuova… certo, capisco… buongiorno. [a Ofelia] Vuole una nuova poesia, al più presto.
- Ofelia – Non abbiamo una nuova poesia.
- Eros – Ma potremmo averla. Chiediamola a Sarah.
- Ofelia – Sai bene che Sarah non scrive a comando. E’ un’artista.
- Eros – Una artista? E che significa? Forse l’umanità è giunta dove è giunta grazie agli artisti? L’artista è servo e deve produrre per il suo padrone! Nel mio caso, tesoro, il padrone è la tua fica.
- Ofelia – Che servi molto male. Comunque Sarah non ti darà alcuna poesia. Prima vorrà mangiare.
- Sarah – [non si vede] Giusto!
- Eros – Ma non abbiamo nulla da mangiare. Sarah, non c’è più nulla da mangiare, amore di papà. D’altronde hai mangiato poche ore fa.
- Sarah – Ma era burro, sempre e solo burro mi fate mangiare.
- Eros – E’ burro di prima qualità. Lo sai che io e mamma siamo molto esigenti in queste cose.
- Sarah – Ho fame! Voglio mangiare! Mangiare mangiare mangiare mangiare…
- Eros – Basta! Obbedisci a tuo padre e tira fuori una poesia!
- Sarah – Mangiare mangiare mangiare mangiare…
- Ofelia – Così non otterrai nulla, cretino. Sarah, cucciolo di mamma, l’aria vibra di sapori secchi.
- Eros – Ma che stronzate vai dicendo?
- Ofelia – Sto cercando di ispirarla, deficiente! Dammi una mano piuttosto. Il sole illumina…
- Eros – Le tue pelose intimità.
- Ofelia – Eros!
- Eros – Ah, meglio che stia zitto. Scusa Ofelia ma non riesco a pensare a niente di più poetico della tua fica.
- Ofelia – [torna a rivolgersi a Sarah] Sarah! Sarah mia. Nove mesi, nove anni, nove secoli per i tuoi occhi. Luce nella luce e luce di mia luce. Sei mia. Germoglia. E fatti forte, forte, forte forte come l’albero che è buono e che ospita gli scoiattoli gentili, liberi solo là dove sono e piangono e ridono delle loro buffe bocche che mai hanno visto. Forte chi ti ama non è, perché capire fa troppo paura.

[pausa]

- Urlo – E quindi, capire, annuncia il morire.
- Sarah – [inizia ad urlare in piena crisi isterica; si contorce a terra]
- Eros – Sarah!
- Ofelia - Sarah! Che hai?
- Eros – [alla moglie] Cosa le hai fatto? Disgraziata!
- Ofelia – Non è colpa mia. Sarah, Sarah…
- Sarah – [come una Pizia] Avrete… pezzi da amare… spalmare… io sarò a ingrassare il vostro grasso ma… esploderà [si placa semisvenuta].

[pausa]

- Eros- [inizia a saltellare felice] Abbiamo la poesia, la poesia, la poesia. [abbraccia la moglie e la fa ballare; canta le frasi] Abbiamo la poesia, che splendida poesia. Finalmente potremo mangiare. E mangeremo tutti. [si blocca] Certo che è un po’ bruttina; non trovi?
- Ofelia – Mah, non so, le poesie di Sarah sono sempre tanto strane.
- Eros – [ad Urlo] Tu che ne dici?
- Urlo – Muori.
- Eros – Alla Voce piacerà! [si dirige verso il telefono e compone il numero della Voce. Qualche secondo d’attesa, poi:] “Avrete… pezzi di amore… spalmare… io sarò a ingrassare il vostro grasso ma… esploderà”. [pausa] Cosa significa? Ma, ecco… [sottovoce alla moglie] che significa?
- Ofelia – Ma non è così! E’: “avrete… pezzi da amare… spalmare… io sarò a ingrassare il vostro grasso ma… esploderà”.
- Eros – Certo! [alla Voce] Volevo dire: “da amare”, non “di amore”. Capito? “Avrete pezzi da amare”. [pausa; ascolta la Voce] Ma è… ermetica. Esprime la volontà inconscia della bambina – oddio, bambina non proprio – di… porre in essere un sostrato archetipo che… come… le tubature del gas – sì, le tubature del gas! - come le tubature del gas espandono il loro calore dalle fondamenta della casa donando alla casa essa stessa quel calore di atavica memoria attraverso cui i termosifoni riscaldano il cuore che dell’essere è simulacro e sineddoche… [si blocca; ascolta la Voce] sì… sì… come? [sottovoce alla moglie] Non è convinto; ne vuole un’altra. [subito torna a rispondere alla Voce] Ma un momento: un piccolo anticipo potrebbe anche darcelo. D’altronde la bambina non crea se non mangia e qui non c’è più nulla da mangiare. Avanti, non sia tirchio, le prometto una poesia coi fiocchi. [pausa] Sì… va bene… va bene, d’accordo così. Tra due ore circa. Arrivederci. [Attacca. Poi, alla moglie:] Tra poco ci manda un anticipo e tra due ore al massimo vuole un’altra poesia. [ad alta voce] Un’altra poesia! Hai capito bambina viziata? Se vuoi mangiare devi creare.

[buio]


5


[Luce. A sinistra, Eros dorme seminudo a terra. Ai suoi piedi dorme Ofelia. Intorno a loro stoviglie sporche e bottiglie vuote. Sul piano di una sedia vicino loro c’è un vassoio con burro e coltello. Nel fondo destro si vede Sarah dietro la grata: è in piedi e afferra la grata con le due mani; si muove con il corpo avanti e indietro, quasi toccando la grata con la testa. Più a destra, verso il proscenio, Urlo, di profilo, sembra armonizzarsi con il movimento della sorella muovendo ritmicamente la testa e le ruote della carrozzella. E’ una scena muta che può anche durare sensibilmente. Poi si sente un colpo dall’esterno, non molto potente. Con pause costanti altri colpi si susseguono insieme alle solite frasi urlate. Poi i colpi aumentano di velocità ed intensità sino ad un boato conclusivo. Crollano grossi calcinacci. Nulla cambia negli atteggiamenti di Sarah ed Urlo, mentre Eros e Ofelia si svegliano urlando e saltano in piedi; poi si accucciano a terra proteggendosi la nuca con le mani. Ora inizia il lungo urlo di Sarah]

- Sarah – Ho fame! Voglio mangiare!
- Urlo – La pappa! Dalle la pappa!
- Eros – [si alza di scatto] Non c’è pappa, non c’è più pappa.
- Sarah – Voglio mangiare! Ho fame, fame!
- Urlo – Vuole la pappa, la pappa!
- Eros – Non c’è più pappa! Nulla! E’ finito tutto!
- Sarah – Fatemi mangiare! Mangiare!
- Urlo – Dalle la pappa! Avanti! La sua pappa!
- Eros – E’ finito tutto! Solo burro! Solo burro per te.
- Sarah – No burro! No burro!
- Urlo – Niente burro solo pappa!
- Eros – Niente pappa solo burro!
- Sarah – No burro!
- Urlo – Solo pappa!
- Eros – Solo burro!
- Sarah – La mia pappa!
- Urlo – La sua pappa!
- Sarah – La mia pappa!
- Eros – Basta! [prende il vassoio con burro e coltello e glielo getta]
- Ofelia – No! Non il coltello!

[Sarah afferra il coltello e urlando lo impugna verso di sé; fa per piantarselo nel petto ma nel produrre il movimento delle braccia indietreggia e sparisce alla vista di tutti. Quindi l’atto del suicidio si intuisce ma non si vede. Contemporaneamente si ode un enorme boato e le mura della casa crollano in più punti. Dalle pareti crollate entrano velocemente diversi uomini (almeno 4): sono tutti molto simili tra loro; possibilmente della stessa altezza e pettinati uguali; vestiti eleganti, con quei completi grigio scuro molto in uso negli uffici; hanno tutti in mano una 24 ore; si muovono molto velocemente e a scatti; alternano, ad alta voce come fossero piazzisti, queste frasi:
“comunicare!”;
“efficace!”;
“chiaro!”;
“aggiornarsi!”.
In pochi secondi dal loro ingresso saranno addosso ad Urlo, Ofelia ed Eros. Continueranno a scandire seccamente le loro frasi sbattendo contemporaneamente le proprie 24 ore in testa ai tre. I colpi saranno violenti ma dai gesti dei “piazzisti” non deve trasparire violenza o cattiveria: il colpire la testa dei tre con le valigie deve, semmai, armonizzarsi con la frasi che vengono pronunciate, quasi come se il colpo fisico dovesse rendere la frase più convincente. In definitiva ogni frase urlata sarà accompagnata da un colpo in testa, e ciò durerà (a piacimento del regista) sino a quando Urlo, Ofelia ed Eros cadranno sanguinanti a terra e morranno. Alla morte contemporanea dei tre, i “piazzisti” escono velocemente dalle pareti crollate; segue un lungo e profondo silenzio]

- Sarah – [sporge il capo da un varco che si è creato nella parete della sua camera] Allora, timidamente, sporse il capo fuori e guardò quel luogo che solo aveva immaginato. Con un passo varcò il limite della sua stanza ma sentì forte il bisogno di chinarsi carponi. Lo fece. Avanzò così verso l’interno, lentamente, e fu colpita da un cattivo odore che mai aveva sentito. C’erano molti oggetti disposti nella stanza, oggetti di cui non capiva il senso. Alcuni erano in terra, altri sembravano più importanti. Li toccò tutti, a lungo, con ansia, ma non capiva… non capiva. Poi vide i corpi di suo padre, sua madre, suo fratello, ma non riuscì a spiegarsi perché fossero sporchi di rosso. Le piacque molto quel colore; ne raccolse un poco da suo fratello e si segnò viso e corpo. Ne sentì anche il sapore, ma non lo apprezzò. Continuò a guardarsi attorno e si stupì accorgendosi che molte persone, tutte sedute, la guardavano fissa. “Chi siete?” domandò, ma nessuna risposta ne seguì. Allora la sua attenzione fu attratta verso la sua sinistra, da dove le arrivava luce e calore. Una parete era crollata e oltre intravedeva una figura contorta. Era qualcosa che non aveva mai visto prima: pensò che potesse essere un albero. Aveva spesso sentito parlare degli alberi ma mai ne aveva veduto uno. Doveva certamente essere un albero. Così si ricordò di quello che le aveva detto sua madre: che gli alberi sono buoni e che dentro gli alberi abitano gli scoiattoli e che gli scoiattoli sono esseri gentili. Si alzò in piedi e si mosse verso l’albero: aveva deciso che avrebbe parlato con gli scoiattoli.

[Sarah esce dalla parete e il telefono inizia a squillare: è la Voce che chiama. Buio]