IL FORMICAIO

di 

Marco Andreoli




Personaggi:

· Fernando Modho, ex-dittatore dello Stato Solare. Di mezza età, affascinante, superbo, furbissimo.
· Frida, detta La Gazza. Sua concubina disperata. E’ magra, sfiorita, pallida; ma dev’essere stata molto bella, un tempo. Non ha più di trent’anni.
· Gogò, lo scavatore. Giovane forte e istintivamente simpatico; di bell’aspetto. Non troppo sveglio. E’ l’ultimo rappresentante del popolo maldese. 


1.
Una stanza. Penombra bruna, terra dappertutto. Chiaroscuri.
Le pareti sono irregolari; come fossero quelle di una caverna. 
Al suolo, piccoli sassi, qualche cespuglio secco, libri sparsi. 
Sul fondo un arco-porta che conduce alla “camera da letto”.
Un trono-poltrona occupa l’angolo di sinistra. E’ bruno, terroso.
Di fianco al trono una scrivania con le stesse caratteristiche costitutive.
Sul piano della scrivania, due piccole cataste di libri, carte topografiche spiegazzate e un grande registratore a bobine. 
Anche il tavolo sulla destra sembra fatto di fango essiccato. 
Fittoni bianchi spuntano dovunque: dal soffitto, dai muri terrosi, dagli angoli, da ogni elemento che ‘arreda’ l’ambiente. 
Un tubo di acciaio scende perpendicolarmente giù dal soffitto, terminando con una curva rettangolare a mezz’aria, sopra il trono, come fosse il periscopio di un sottomarino. Fissato ad esso, un campanello elettrico dotato di segnalatore luminoso. 
Sulla parete di fondo, alcuni ritratti incorniciati. 

Frida è a destra, in proscenio. Fissa il vuoto della platea oscurata. Si gratta le braccia e più volte scatta come se delle formiche le mordessero il collo o le gambe. 
Fernando Modho è seduto al suo trono; dall’altra parte. Tra le mani un vecchio microfono collegato al registratore. I gomiti sulla scrivania. 
Le bobine ruotano lente.

Modho - (parlando al microfono; calmo) …Bobina 325, diario del formicaio, capitolo 43, terzo intervento: …(Si schiarisce la voce) Più volte mi sono soffermato a considerare lo stato d’animo di chi un giorno verrà in possesso di questi miei documenti… Del resto le reazioni emotive… così come ogni ponderato ragionamento che mi trovo a dover supporre, appaiono subordinati ad una variabile oggettiva... (Schiarendosi ancora la voce)… Intendo dire, con altre parole, che il valore, il valore storico delle mie ormai pluriennali registrazioni, così come ogni giudizio morale su di esse, dipenderà direttamente dallo sviluppo e dal finale del... Romanzo principale; mi riferisco a quello di cui io stesso, mio malgrado, sono il protagonista assoluto... (Si ferma; osserva una minuscola formica che gli percorre l’avambraccio; quindi, con estrema delicatezza, la prende tra indice e pollice; la guarda per un istante, poi la lascia andare sul piano della scrivania) …Bene… L’ipotesi più probabile è che io morirò qui sotto, tra breve, a forza di respirare terra…. Ormai sono passati 1458 giorni dall’interramento di Osuna …Sì, insomma, siamo alla soglia dei quattro anni e io devo pur confessarla un po’ di stanchezza …Già… Dopotutto i progressi nella direzione di una sorprendente evasione appaiono a tutt’oggi francamente trascurabili... Come diceva il cavalier Galanda? “Laddove non compaiono i raggi, non compare certo il sole”… Dunque… Se, come pare, tra pochissime ore, morirò sepolto, voi, fratellini minori nonchè minorati; voi, giovani scapigliati, piccoli suini dello Stato Solare, al sentire queste mie parole, riderete per giorni, chiamandomi Pazzo, Uomo Delirante, o, con quel minimo di sarcasmo aguzzo che a volte mi è capitato di riconoscervi, Dittatore Talpa… Certo… Come potete vedere parto dal presupposto che la mia fine sia imminente… E’… sì… un doveroso atto di lealtà verso i miei desideri, dopotutto… (Osserva un’altra formica che esplora il dorso della sua mano. Allora muove le dita, ruota il polso, assecondando la curiosità dell’insetto; quindi unisce i palmi per permettere alla piccola viaggiatrice di passare da una mano all’altra. Di fatto, sta esaminando minuziosamente le proprie mani. Continua a parlare vagamente distratto dai percorsi dell’insetto) …Questi chilometri di nastri magnetici, testimoni inconfutabili delle mie parole, abbandonate, pronunciate senza un intento preciso, finiranno, forse, nelle vostre mani… Nelle stesse mani di chi ha insanguinato lo Stato che governavo… L’Impero… Impero che, per diritto naturale e genetico, alimentavo e sostenevo… Già…(Lascia scendere la formica sulla copertina rigida di uno dei libri davanti a sé) …Ma chi può dirlo, eh?… Magari, a dispetto di ogni logica, contro ogni previsione, saranno i miei Illuminati, gli uomini che ancora adesso e da troppo tempo mi attendono, a detenere il possesso futuro di questo umile diario… Posso provare a rivolgermi a voi, allora… Non perdo nulla, no?… Ecco, io, Fernando Modho, unico legittimo reggitore dello Stato Solare, vi saluto… Vi saluto con l’affetto e la grazia di sempre, ma senza gioia, perché immagino bene la vostra condizione… Senatori del Circolo Direttivo, Ufficiali maggiori, Magistrati, Imprenditori, Vescovi… Patrioti!… Se pure avete scampato l’umiliazione dell’esilio, se pure adesso il vostro corpo non giace a centinaia di metri sotto il suolo terrestre, divorato dall’acqua e dagli insetti, so che questa sorte è comunque toccata alle vostre idee, ai giusti principi che, non più di qualche anno fa permisero la realizzazione di un sogno… quello dello Stato Solare… (Frida, ripetendo una precedente azione di Modho, cattura una formica sul proprio avambraccio; tenendola tra indice e pollice la porta a dieci centimetri dalla punta del naso; la guarda zampettare; quindi, inaspettato, sul viso di Frida compare un sorriso terribile e ingiustificato) …In ogni caso lascio ad ognuno di voi il compito di definire… (Modho, alla vista di Frida, si blocca; schiaccia un pulsante sul registratore; le bobine si fermano) …Frida.

Frida non risponde; non sembra accorgersi della voce di Modho. E’ altrove. Come ipnotizzata dal terrore della formica. 

Modho - Frida!
Frida - (lentamente riassume la tristissima espressione dell’inizio. Tuttavia, come incantata, continua a fissare la formica) Sì.
Modho - (con estrema calma) Che cosa stai facendo?
Frida - …E’ quasi ora di pranzo.
Modho - Sì, Frida. E’ quasi ora di pranzo. 
Frida - La piccola avrà fame…
Modho - Lasciala stare.
Frida - Sì che avrà fame: continua a mordermi.
Modho - Tu lasciala stare.
Frida - (piegandosi sulle ginocchia assume la tipica posizione dei bambini che giocano con le biglie; poi avvicina molto lentamente la mano al suolo) Neanche se lo immagina, vero?…Con che facilità potrei… 
Modho - Frida. 

Frida fissa il vuoto-platea. Come risvegliata da un sogno, scuote la mano più volte per cacciare a terra la formica. Si rialza. Si strofina entrambe le mani lungo la veste. Parte verso l’arco di fondo. 

Modho - (ora dolcemente) Frida-Frida. 
Frida - (fermandosi) Sì.
Modho - Che cosa ti succede?
Frida - (abbassando il capo) Niente.
Modho - Ne sei sicura?
Frida - Sì.
Modho - Tanto sicura da farmi sperare di non dover tornare sull’argomento?
Frida - Sì.
Modho - Bene. Questo facilita le cose, non trovi?
Frida - Mi pare di sì.
Modho - Meno male, Frida… Meno male…

Squilla il campanello. Segnale luminoso lampeggiante. La scatola elettrica del campanello emette una strisciolina di carta. 
Frida solleva la testa, di scatto. 

Modho - Pardon.

Si alza dal trono e va a prendere il foglietto; quindi avvicina la bocca al tubo d’acciaio.

Modho - (leggendo il foglietto ad alta voce ma con percepibile indifferenza) “Modho, maiale / Affonda nel caviale!; Modho, maiale / Affonda nel caviale!”

La luce del campanello si spegne. Modho, più annoiato che rabbioso, accartoccia il biglietto e lo lancia sul piano della scrivania; quindi torna a sedersi. Per un po’, resta fermo, lì, in silenzio. Sembra stanco.
Frida esce attraversando l’arco; rientra tenendo tra le braccia una dozzina di grossi fittoni bianchi del tutto simili a quelli che spuntano dalle pareti; li lascia cadere sul tavolo; quindi, sfilato uno strano coltello dalla tasca, comincia a tagliuzzare le radici. Nervosamente. 

Modho - “…Affonda nel caviale!”… Ma che significa “affonda nel caviale”?… I tuoi amici non hanno più fantasia, te lo dico io… Nei primi mesi mandavano giù frasette divertenti… C’erano carica, energia, forza dirompente, cattiveria… Quante volte il popolo, riunito nella piazza, davanti alla bocca di questo tubo d'acciaio, avrà esultato nel sentire Fernando Modho, l’Onnipotente, urlare “Gloria ai becchini!” o “Salvatemi dai vermi!” o “L’impero è sotto i piedi!”…Chissà… Magari a quest’ora si saranno stancati di ascoltarmi… Come dargli torto, del resto? L’entusiasmo per il Nuovo Ordine cede presto il posto alla rassegnazione; mugnai, fattori, contadini capiscono in fretta di non poter governare uno Stato… Me lo immagino, qualcuno di loro… Dietro il vetro di una baracca, a guardarsi i campi secchi, gli animali ammalati, i pozzi prosciugati: mi starà rimpiangendo; ma non potrà dirlo a nessuno… Come diceva il cavalier Galanda, “se perdi le chiavi, il cancello resta chiuso”… 
Frida - (ferendosi la mano nell’atto di tagliuzzare i fittoni) Ah. (Si succhia il dito con chiara espressione di dolore)
Modho - …Male?

Frida annuisce. 

Modho - Non ci sarà del sangue nel mio pranzo, vero?

Frida incassa immobile. Poi fa di no con la testa; è un movimento lento, esasperato.

Modho - (alzandosi e raggiungendo il centro della stanza; con la solita calma) Bene… Cos’è che stai preparando? Zuppa? Stufato?
Frida - Zuppa.
Modho - Meglio lo stufato. Ultimamente la zuppa ti riesce male… 
Frida - E’ la stessa… E’ sempre la stessa…
Modho - Già… Tu filtri l’acqua, raccogli i soliti sterpi, sminuzzi le radici ed ecco: il pranzo è pronto. Non funziona così, Frida… Le cose vanno fatte per bene. Con amore. O, per lo meno, con un minimo di dedizione… Non ho ragione? 
Frida - Sì. 
Modho - E allora? 
Frida - Cosa?
Modho - …Ti stai lasciando andare, Frida; e questo, te lo garantisco, mi procura un dolore enorme… Avanti, parla: c’è qualcosa che non va?
Frida - No.
Modho - Se le cose non sono come desideri, con chi credi di dovertela prendere?
Frida - Con me stessa.
Modho - E con nessun altro? 
Frida - No. Solo con me.
Modho - Appunto. Non ti stai lasciando andare, vero?
Frida - No.
Modho - E perché la tua zuppa non ha più sapore?
Frida - Non lo so.
Modho - Sì che lo sai… E’ che non ti vuoi più bene. Non è vero, Frida?
Frida - Io non…
Modho - Allora è deciso: stufato. (Andando verso il trono) Dai retta a me: lo stufato ti viene meglio.

Frida guarda la ferita sulla mano sinistra. Poi, morsa forte al collo da una formica, si colpisce con il palmo della destra, producendo un forte schiocco.
Al suono dello schiaffo, Modho, diretto verso il fondo, si ferma.
Frida si guarda il palmo: c’è una formica morta, schiacciata.

Modho - (sospirando) Cosa devo fare con te, Frida? 

Frida, alzando lo sguardo verso il vuoto-platea, si strofina la mano assassina sulla veste. 

Modho - (voltandosi) Eh, Frida? Me lo dici tu cosa devo fare?

Frida, lentamente, torna a succhiarsi il dito ferito. 

Modho - Io ci sto provando, ci sto provando in tutti i modi… Ho cercato di capire, di ascoltare, di pensare cosa mai ti passasse per la testa… Non è così?
Frida - Sì.
Modho - Ma tu niente… Nessuna risposta. Sempre tesa, immobile, scurissima, ghiacciata… Cos’è, Frida? Sei morta e non m’hai detto niente?… Tu non vuoi che si ripeta quello che è capitato ieri?
Frida - (spaventata) No!
Modho - Ecco, appunto… Però ne hai uccisa un’altra. L’hai fatto ancora… Come credi che mi debba regolare se non fai nulla per evitarlo? Puoi immaginarti, solo lontanamente, fino a che punto io sia in grado di arrivare?
Frida - Credo di sì.
Modho - Molto bene. Facciamo progressi. Hai qualche cosa da aggiungere?
Frida - No.
Modho - No?… Meglio così: dobbiamo occuparci ancora di molte cose, se non sbaglio… (Fa per andarsene)
Frida - (trovando il coraggio) Fernando.
Modho - (fermandosi; appena sorpreso) Si?
Frida - (disperata, senza lacrime) Le formiche… Mi mordono… Mi mordono più forte… Ormai staccano via brandelli di pelle ad ogni passaggio… Tu non puoi…? Fernando…
Modho - Che cosa, Frida? Cosa vuoi che faccia?
Frida - …Pensavo che tu potessi… Che potessi farle smettere…
Modho - Io? Diomio; e in che modo, perdonami?
Frida - Con te non lo fanno. Non l’hanno mai fatto… Quando stai riposando, vanno via, vanno via tutte insieme; e quando lavori non si avvicinano neanche ai tuoi piedi. Lo so, Fernando: basta che tu dica di essere stanco e loro si incolonnano, ordinate, una dietro l’altra; e un istante dopo sono da un’altra parte… Non lo vedi? Non lo vedi che io ce le ho sempre addosso?
Modho - (ironico) Guarda che dipende da te, solo da te… non crederai mica di aver di fronte il re degli insetti? Che vuoi che ti dica? Che mi rispettano?… Apri gli occhi, Frida: abbiamo di nuovo a che fare con una massa di individui dal cervello minuscolo; in fondo non è troppo diverso da quanto succedeva in superficie…
Frida - Quindi ho ragione; tu sei in grado…
Modho - No. Non sono in grado di fare niente. Sepolto, come te, nel pieno dello splendore, cosa vuoi che faccia se non sperare in una serie di miracoli concatenati?
Frida - (disperata) Continuano a mordermi. Anche in questo momento. Falle smettere, ti prego.
Modho - Smetteranno da sole. Non appena mostrerai di volermi un po’ di bene. Credo siano molto sensibili, al riguardo. Ma tu mi odi, Frida, non è vero? Puoi sorridere, essere gentile; riusciresti ad ingannare me, forse; ma le loro minuscole antenne, no. E’ per questo che non ti daranno mai tregua. 

Squillo del campanello e luce lampeggiante. Con conseguente emissione di un nuovo biglietto.

Modho - Pardon.

Modho raggiunge la zona del tubo. Prende il biglietto e lo legge tra sé.

Modho - Ma guarda un pò, Frida… E tu credevi che i tuoi amici ti avessero dimenticato…(Avvicinando il viso alla bocca del tubo) “Frida puttana / crepa nella tana!; Frida puttana / crepa nella tana!…” 

Il lampeggiante si spegne; Modho la smette e ripiega il foglietto.

Modho - …Ah, Frida-Frida… E pensare che una volta i tuoi occhi erano bellissimi… 

Frida riprende a grattarsi. Modho si siede.
Buio.


2.
Stessa scena. Nessun cambiamento.
Le bobine sono tornate a ruotare.
Frida è appoggiata alla scrivania. Tiene il microfono vicino alle labbra.

Frida - (Tentando di non fare rumore; sottovoce, con la cautela del sabotatore: sapendo bene quale rischio stia correndo. Le formiche, coalizzate contro l’abuso in atto, attaccano Frida senza sosta. La loro azione aumenta progressivamente di intensità. Frida, come sempre, si gratta e si strofina le mani sulle braccia) Messaggio nella bottiglia ‘numero uno’; settimo tentativo… Il mio nome è Frida Salgado, sono nata il 7 novembre del ’32 nei pressi del porto di Antes; mio padre, Ramon Salgado, era falegname; mia madre, Maria Numàs, vendeva fiori alla stazione centrale. Con questo messaggio denuncio l’incredibile errore commesso dalla Federazione dei ribelli nei miei confronti. Nella speranza di un giudizio sereno e incontaminato, mi rivolgo a chiunque sarà venuto in possesso di questo nastro. …Come voi ho assistito, senza voce, alla favolosa ascesa di Fernando Modho: prima come capo dell’opposizione, poi come Governatore Decisionale, fino al broglio del ’49 quando ottenne il potere assoluto. Come ognuno di voi, ho visto saltare in aria la sede dei Dissidenti dell’Arancio e ho visto la sanguinosa deportazione degli Scribi, dei Maldesi e di tutte le popolazioni del Nord-Ovest. Come voi, sono testimone del saccheggio indiscriminato, dello stupro fisico e morale, della lacerazione dell’identità, perpetrata contro ogni anima dello Stato Solare. …Mi chiamo Frida Salgado e dal ’50 faccio parte del Nucleo di Liberazione Attivo. E questo è quanto avete dimenticato… (Deglutisce, prende forza; come se quanto sta per dire debba essere rivestito di un’importanza superiore. Tenta di ignorare i morsi delle formiche. Parte lenta; solenne, quasi) …Ma c’è ancora qualcosa, …C’è una storia che nessuno di voi ha voluto che raccontassi… (Tremando; volendo essere chiara e rapida insieme) …E’ l’agosto del ’53; i commercianti di Antes hanno organizzato una piccola fiera; la piazza è colorata, i bambini corrono ridacchiando tra la gente; noi non pensiamo a nulla, balliamo, cantiamo… Per un momento il dolore e la rabbia si sono nascosti… Sono circa le sei del pomeriggio quando una lunga automobile nera, circondata da sette blindati, penetra nella piazza e si ferma… 

Modho compare sulla soglia dell’arco. Si mette in ascolto. Frida non se ne accorge. 

Frida - …E’ la macchina dell’Imperatore Modho. L’imperatore scende e passeggia. Lui sorride, la gente ammutolisce, i soldati tengono l’indice sui grilletti. Nessuna nuvola in cielo, giornata serena, sole sulla faccia della gente. Si ferma ad un metro di distanza e resta lì, a guardarmi. Io rimango in silenzio. Lui no. “L’ho sempre detto che i frutti migliori nascono in campagna”… (Dolorosamente) Non passa un minuto e io sono già nella sua macchina a sentirlo parlare del tempo, che cambierà, e del prossimo autunno, che si prevede freddo e cupo… Un’ora dopo sono legata ad una sedia dorata imboccata a caviale dalla governante obesa… Nell’immagine successiva piango e urlo e mi dibatto nel suo letto di seta nera. All’alba del giorno dopo, un’iniezione di ramè e poi subito le nozze… (Sempre più rabbiosa, sull’orlo del pianto; anche perché esasperata dall’ormai enorme quantità di formiche che le percorrono il corpo) …Sono stata chiamata in tutti i modi; tra questi traditrice è sicuramente il più delicato… Mi ricordate come La Gazza, per via degli incredibili gioielli che il mio dolce Fernando mi costringeva ad indossare in pubblico… Eppure ho esultato, in silenzio, quando il mondo è stato capovolto e quando la voglia di libertà ha vinto sulla paura… (Pausa; cambio verso un pianto contenuto a stento) Io vi aspettavo come il naufraugo attende il pennone di un veliero… Ma nessuno ha trovato il tempo per ascoltare questa storia. In fondo è bastato che qualcuno urlasse “Seppelliamo La Gazza!” e… (Non ce la fa a proseguire; si ferma. Poi cerca di calmarsi, inghiottendo le lacrime) Mi chiamo Frida Salgado, sono nata il 7 novembre del ’32 nei pressi del porto di Antes, dal ’50 faccio parte del Nucleo di Liberazione Attivo; da quattro anni vivo in un formicaio. E questo è tutto.

Frida schiaccia un tasto sul registratore. Le bobine si fermano.

Modho - (applaudendola e avanzando verso di lei; sarcastico) Brava, Frida, brava davvero… 

Frida resta immobile, terrorizzata. Non si gratta neanche.

Modho - …Commovente che la povera Gazza Incompresa sia stata sepolta con l’Orco Cattivo… Dopotutto è un vero peccato che basti schiacciare un pulsante perché le tue belle parole tornino ad essere polvere… (Schiaccia un pulsante; le bobine ruotano veloci al contrario; poi tornano avanti per un pò; quindi si fermano di nuovo).

Frida - Fernando…
Modho - Tuo padre almeno su una cosa aveva ragione. La mia piccola Frida, diceva, è cocciuta come una cagna… 
Frida - Fernando… Io…
Modho - Le mie amiche rosse ti tormentano ancora?

Frida annuisce.

Modho - Beh, è nella natura delle cose, non credi? …Ho voglia di un buon caffè, Frida. Avanti.

Frida si dirige verso il tavolo.

Modho - (senza guardarla) Anzi, no. (Frida si ferma) Ho cambiato idea. Non mi va più il caffè. Voglio fumarmi una bella sigaretta. Devo aver lasciato il pacchetto sul letto.

Frida va verso l’arco.

Modho - Davvero? (Frida si ferma di nuovo) Ti pare che io stia fumando troppo, ultimamente? Mi commuove che la mia salute ti stia tanto a cuore… Sai, invece, cosa ci vorrebbe adesso? Un bel massaggio… (Si siede senza guardarla) …Un bel massaggio per la mia povera schiena.

Frida resta ferma.

Modho - Già, uno di quei meravigliosi massaggi che solo le tue mani sanno fare…

Frida, molto lentamente, si avvicina al trono.
Squilla il campanello. Segnale luminoso. Emissione del biglietto.

Modho - Pardon.

Buio.


3.
Solita scena.
Modho è in piedi, fermo al centro. Tiene aperta tra le mani una grande carta topografica. Sembra molto concentrato a studiarne i particolari più minuti.
Anche Frida è in piedi, sul lato destro del proscenio. Nella mano sinistra tiene un piattino e una piccola tazza da caffè. Con l’altra gira un cucchiaino nella tazzina. Molto lentamente. Il suo sguardo è fisso sul vuoto-platea. E’ uno sguardo altrove; sempre più preoccupante. E’ lo sguardo di una persona sulla soglia di un’esplosione.
Modho ripiega la mappa e se la infila in tasca. Quindi guarda il soffitto come a valutarne la distanza dal suolo. Fa tre passi verso il lato sinistro. Poi ripete l’operazione di calcolo sommario. Sul suo viso ora spunta un sorriso soddisfatto.
Frida va verso di lui e gli porge la tazzina. 

Modho - Oh, grazie…

Frida torna al suo posto. Modho avvicina la tazzina alle labbra e la inclina per un primo sorso. Immediatamente, di scatto, sputa per terra, più volte; poi si passa il dorso della mano sulle labbra e sputa di nuovo.

Modho - E’ terra!
Frida - Terra.
Modho - Ma come la filtri quest’acqua, Frida?
Frida - Più di così non si può.
Modho - Ah no?
Frida - No.
Modho - Vuoi dire che non poteva essere filtrata ancora una volta? Eh, Frida?
Frida - Non lo so.
Modho - Quante volte la passi?
Frida - Dieci… Venti, forse.
Modho - Venti è il massimo?
Frida - Trenta, quaranta…
Modho - Anche fossero cento volte, si può pur sempre andare avanti, non credi?
Frida - Sì.
Modho - Ne sei sicura?
Frida - Sì.
Modho - Bene. (lascia cadere la tazzina per terra; va in mille pezzi) Ora, da brava, ricomincia da capo.

Improvvisamente si sente un forte ronzio.

Modho - E questo ora che cos’è?
Frida - (sorridendo come un fantasma; lo sguardo sempre più perso) Morirete, formichine, morirete tutte…

Il ronzio cresce di intensità. Modho si guarda intorno, preoccupato, per capire da dove venga. Frida ridacchia.

Frida - (canticchiando sulla melodia di una ninna-nanna) “Tutte morte, tutte morte, tutte morte….”
Modho - Smettila, perdio!

Frida ride. Poi, di colpo, il suono cessa. Frida “si sveglia” e si volta verso Modho. Si sente tossire dalla stanza attigua.

Modho - Ma chi è? Cosa sta succedendo?

Sulla soglia dell’arco, in una nuvola di terra, compare Gogò. Tossendo.
Indossa occhiali da pilota e un elmetto con il faro, di quelli usati dai minatori. Tra le mani tiene uno strano aggeggio, molto simile ad una trivella.
Si guarda intorno cercando di capire dove sia finito. Finalmente, diradata la nuvola di polvere, si avccorge della presenza di Modho e di Frida. Allora indietreggia di scatto, facendosi scudo della trivella. Sembra molto spaventato.

Modho - E tu? Chi saresti, tu? 
Gogò - (tremando e balbettando) No-non si avvicini, signore. Stia lontano. Po-posso essere molto pericoloso…
Modho - (lunga pausa; cercando di capire; scrutando anche Frida: nella speranza si lasci sfuggire una reazione indicativa; poi calmo, attento alle parole; cauto, come chi tratta con un sequestratore) Hai… Hai scavato un tunnel per arrivare fin qua?
Gogò - Sissignore.
Modho - Quindi hai… sfondato la parete della stanza?
Gogò - (col senso di colpa dei bambini) Sì. Mi dispiace, signore. 
Modho - E… Non vuoi dirci chi sei… cosa ci fai qui…?
Gogò - (terrorizzato; cercando di simulare sicurezza) Passavo. Passavo… per caso. 
Modho - Già, certo. …Guarda che ho capito. Sei uno di loro. Non è così? 
Gogò - (deglutendo; assolutamente fuori gioco) Loro chi?
Modho - (avvicinandosi a Gogò) Cosa sei venuto a fare?
Gogò - Le ripeto di stare lontano da me, signore…
Modho - (fermandosi) D’accordo. …D’accordo.
Gogò - Bene, mo-molto bene… Se-se starete buoni non accadrà niente…
Modho - Hai sentito Frida? Non devi muoverti.
Gogò - Già. E’…E’ per il suo bene, signora… Nessuno vuole farle del male…
Modho - (squadrando il nuovo arrivato) Chi ti manda? (Rivolto a Frida) Non sarà mica uno dei tuoi vecchi amici, eh, Frida? Se è così devo confessarti di essere lievemente deluso. (Di nuovo verso Gogò) Niente di personale, amico caro, ci mancherebbe…
Gogò - Si figuri.
Modho - (ora sorridendo; cercando di capire) Tu non sei un ribelle. Non è così? 
Gogò - (a disagio) Non lo so, signore. Ribelle rispetto a-a cosa, esattamente?
Modho - (tra il divertito e il sorpreso; rivolto a Frida) Hai sentito? Il nostro ospite si chiede giustamente quale debba essere la funzione di un’organizzazione ribelle. Vuoi spiegarglielo tu, Frida?
Frida - …Io… (si blocca)
Modho - (rivolto a Gogò) Mi dispiace. Del resto, solo di rado, la piccola Frida si esprime più chiaramente… (Guardando altrove; con il peso di una domanda difficile) Mi chiedevo… Straniero…Se per caso io e te non ci fossimo già visti da qualche altra parte…
Gogò - (con un mezzo sorriso; leggermente più rilassato, ora) Credo proprio di no, signore.
Modho - Dunque non ci conosciamo…? Voglio dire: la mia faccia non ti dice nulla…? 
Gogò - Mi perdoni, signore. Ma, sa, è da molto tempo che non vedo più gente.
Modho - Capisco… (Improvvisamente cordiale) Beh, allora, presentiamoci… Puoi anche posarla la tua…cosa…
Gogò - (diffidente) Trivella. E’ una trivella, signore.
Modho - Sì, ecco… Puoi metterla giù… Come vedi non hai proprio nulla da temere…
Gogò - Non si sa mai: la prudenza, signore, non è mai troppa, dopotutto.
Modho - Certo, certo… Molto saggio… Eppure dovrai riconoscere che sei stato tu, non io, a sfondare una parete della nostra umile casa, a piombare in questa stanza armato fino ai denti...
Gogò - (offeso) Ma questa è solo una trivella, signore.
Modho - Sì, beh, d’accordo… Ma è come un’arma che la impugni…
Gogò - (persuaso) Ha ragione… (Sciogliendosi, posando la trivella a terra) …Sono proprio un maleducato. Mi scusi tanto; e mi scusi anche lei, signora…
Modho - Figurati. Bene, se non hai nulla in contrario, possiamo passare alle presentazioni. Eh, Frida, che ne dici? Non sei curiosa di sapere chi sia il nostro ospite?
Gogò - (fiero) Mi chiamo Gogò.
Modho - Gogò.
Gogò - Sissignore. 
Modho - E…Dunque, hai detto, passavi di qui per caso…
Gogò - In un certo senso, sì. A dire il vero, ecco, è molto tempo che passo per caso un pò dappertutto. Sottoterra, voglio dire.
Modho - Ah sì? 
Gogò - Sì, signore. (Incupendosi) In realtà è una storia triste.
Modho - (incupendosi di rimando) Credimi… Anche la nostra lo è.
Gogò - Davvero, signore?
Modho - Certo. Beh, a noi farebbe piacere conoscerla…, (Rivolto a Frida) non è così, tesoro? … (Rivolto a Gogò) Sempre che tu voglia… ‘Gogò’, giusto?
Gogò - Sissignore.
Modho - Bene. Accomodati, prego…Frida! Le sedie.

Frida esce.

Modho - …Gogò… (Indicando la trivella) Bell’aggeggio!

Rientra Frida con una coppia di sedie di terra. 

Gogò - L’ho fatta io, signore; con le mie mani.
Modho - Ma che bravo! 

Frida posa le sedie al centro della stanza. Quindi ritorna nella zona avanzata di destra.
Gogò e Modho si siedono.

Gogò - Ma…E la signora non si siede con noi?
Modho - (confidenziale) Non farci caso… E’ un po’…(Batte tre volte l’indice destro sulla tempia) 
Gogò - Ah…Ho capito… Io pure avevo una sorella così…
Modho - (fintamente addolorato) Sì? (Sospirando) Sono disgrazie…
Gogò - Già.
Modho - E che fine ha fatto?
Gogò - Chi?
Modho - Tua sorella.
Gogò - Ah. E’ morta. Come tutti gli altri, del resto.
Modho - Tutti gli altri?
Gogò - I maldesi. 

Frida sussulta.

Modho - (irrigidendosi; serio, nervoso, cauto) …Che io sappia… La popolazione maldese è stata completamente sterminata.
Gogò - Già. Gliel’avevo detto, signore, che la mia storia è molto triste.
Modho - (in sospensione) Tu sei un maldese?
Gogò - L’ultimo. L’unico sopravvissuto alla strage del ’53.
Modho - Ero convinto che l’imperatore Modho vi avesse completamente annientato…(Quasi tradendosi, ora) Che vi avesse schiacciato come sporchi, luridi…
Gogò - (interrompendolo; non cogliendo l’uscita di Modho) Così pensava quel porco maledetto… Almeno avessi avuto una sola volta la soddisfazione di vedere che faccia avesse, la carogna… Ma dopo la morte di mio padre, di mia madre, della mia prima sorella, della mia seconda sorella - la pazza - , di mia sorella la maggiore, di mio nonno paterno, di mia nonna paterna, dell’altro mio nonno, quello materno, di mio zio, di mio cugino, di mia nipote, del suo piccolo fratellino, anche lui mio nipote, della cognata di mia madre…
Modho - (duro) Ebbene?
Gogò - Tutti morti, signore… Modho aveva dichiarato pubblicamente l’intenzione di sterminare la razza maldese. 
Modho - Proposito fallito, mi par di capire.
Gogò - La mattina successiva all’ultima deportazione mi sono detto “Gli uomini mi fanno schifo; più dei vermi della terra”; e allora ho costruito questa trivella e ho iniziato a scavare, a scavare, come una talpa…Non sono più risbucato da quel giorno. Sarà passato quasi un anno…
Modho - Sei.
Gogò - Come “sei”? 
Modho - Lo sterminio… Voglio dire, il “quasi-sterminio” dei maldesi è avvenuto nell’aprile del ’53, dico bene?
Gogò - Esatto.
Modho - Oggi è l’otto febbraio del ’59.
Gogò - (conta con le dita fino a sei; poi, incredulo, si risiede) Sei anni? (Triste; si alza sospirando) Eh…Mio padre adesso avrebbe sessant’anni; mia madre…43; la mia prima sorella, 24; la seconda, quella matta, 26; la maggiore era del ’31 quindi, vediamo, avrebbe avuto ventotto anni; il nonno… dunque… Il nonno era del ’70… 
Modho - (irritato; tuttavia contenendosi) Magari sarebbe morto comunque, a quest’ora.
Gogò - Chissà… (Rivolto al soffitto; piagnucolando) Povero nonno… Forse adesso mi stai guardando, eh, nonnino?
Modho - Vuoi dell’acqua, Gogò?
Gogò - No, grazie. Anzi, scusatemi tanto.
Modho - Bene. Forse è il caso di completare le presentazioni. Io mi chiamo Luis, Luis De Rege; lei è la mia signora, Frida. Entrambi facciamo parte del… del Nucleo Sotterraneo Anti-modhista.

Frida è incredula; non sembra capire dove Modho voglia arrivare.

Gogò - Quindi anche voi…
Modho - Sì, caro Gogò, proprio così. Fernando Modho è il nostro nemico; si può dire che abbiamo sacrificato la nostra vita alla sua distruzione e alla riconquista della libertà. 
Gogò - (commosso; piangendo) Posso darti del tu, Luis…? 
Modho - (infastidito) Certo.
Gogò - E posso abbracciarti?
Modho - Sicuro.

Si abbracciano. Modho ha la faccia schifata. Gogò parte per abbracciare anche la signora Frida; ma Modho gli fa segno che è meglio di no, che è pazza. Gogò si ferma.

Gogò - (imbarazzato) Signora. (Frida lo guarda) …Tante, tante congratulazioni, signora…
Modho - Vieni, ti mostro gli apparecchi… (si dirige verso il tubo)
Gogò - Sì, compagno Luis … (Gli dà una pacca sulla spalla; Modho sembra molto infastidito) 
Modho - (deglutendo il disappunto) Vedi questo tubo? E’ direttamente collegato con la piazza di Osuna. Ad intervalli più o meno regolari i compagni ci trasmettono una serie di messaggi, diciamo così, sovversivi; il nostro compito è quello di diffonderli nella piazza affinchè resti viva la voce libera del disappunto. Ci troviamo a parecchie centinaia di metri sotto il livello del mare; nessuno dei modhisti sa dove finisca questo tubo. Capisci, Gogò? Abbiamo sacrificato l’aria, il sole, il cielo per gridare la nostra rabbia.
Gogò - (di nuovo commosso) E’ …meraviglioso! (Abbraccia di nuovo Modho; poi va di slancio verso Frida ma si ferma quasi subito; imbarazzato) Che bella cosa, signora… (Ricomponendosi; rivolto a Modho) E voi, da quanto tempo siete qui?
Modho - Quattro anni, ormai. Niente male, no?
Gogò - Quattro anni, tu; quattro anni tua moglie; io, sei… quattordici anni in tutto. Accidenti: un’adolescente sottoterra!
Modho - (imbarazzato) Già. Non ci avevo pensato… E dimmi, Gogò, non ti manca mai, che so, il mare? 
Gogò - Bello, il mare.
Modho - …O i boschi delle vostre regioni…
Gogò - Come no? Gli abeti, gli olmi, i frassini, i castagni, le betulle, le quercie, i pini…
Modho - (interrompendolo) I pini, certo! Come tutto il resto, immagino. 
Gogò - Sì.
Modho - E’ buffo no? Incontrarci sottoterra con un destino così simile… (Annuisce tra sé; sospira; poi, guarda Frida; amorevolmente) …Sai, io e Frida ci sentiamo molto soli qua sotto… (Fintamente imbarazzato dalla proposta che sta per avanzare) …Per questo vorrei chiederti se hai voglia di fermarti per qualche giorno. A noi farebbe piacere, non è vero Frida?

Frida annuisce a comando.

Gogò - Oddio… Non saprei… Certo non mi dispiacerebbe un attimo di pausa ma…
Modho - Bene, allora. Frida, tesoro, prepara la stanza di là, per favore…; sarà un po’ di disordine, immagino… 

Frida esce.

Modho - Amico mio. Abbiamo un sacco di cose da raccontarci, non credi?
Gogò - Luis.
Modho - Dimmi.
Gogò - Luis… ti voglio bene. 

Gogò, in lacrime, abbraccia Modho. Modho, come al solito seccato, ricambia rigidamente l’abbraccio.

Buio. 


4.
Frida è in piedi, davanti al tavolo. Respira con estremo affanno. 
Accanto al tavolo c’è una sedia.
Fissa il suolo; come seguendo con lo sguardo una lunga fila di insetti che, attraversando la stanza, sfiora la punta dei suoi piedi. 
Sul tavolo, la fiamma di un piccolo fornello a gas sta riscaldando una pentola arruginita. 
Frida alza lo sguardo verso il vuoto-platea; dopo un istante, girando intorno al tavolo, va a prendere la pentola fumante e torna davanti. Osserva di nuovo il passaggio lineare delle formiche. Quindi comincia, molto lentamente, a inclinare la pentola verso terra. 

Modho - (comparendo sulla soglia della seconda stanza) Zuppa o stufato?
Frida - (bloccandosi) Stufato.
Midho - (avanzando con calma, si avvicina a Frida; la guarda; poi, osservando l’inclinazione della pentola) E’ una ricetta nuova?
Frida - Sì.
Modho - E in cosa consiste?
Frida - L’acqua non va filtrata; neanche una volta. Dev’essere portata all’ebollizione molto lentamente, a fuoco basso. Una volta levata è però fondamentale che venga versata ancora bollente. Si deve tentare una distribuzione uniforme. Ma a quel punto il più è fatto. E’ possibile guarnire a piacere. Salvia, rosmarino, aglio, prezzemolo…: in genere basta assecondare i propri gusti, non trovi?
Modho - Certo.
Frida - (inclinando ulteriormente la pentola sulla sottostante fila di formiche) Vedrai che buon odore…
Modho - Frida.
Frida - (fermandosi; dispiaciuta) Non hai più fame?
Modho - Metti giù quella pentola. 
Frida - Oh, no. Non posso.
Modho - Frida.
Frida - Ma te l’ho detto: la cosa più importante è che l’acqua sia versata bollente.
Modho - Lo so. Ma, vedi, Frida… Il nostro giovane ospite non è ancora tornato…
Frida - Ah, no?
Modho - Mettila giù, avanti.
Frida - E dov’è andato?
Modho - Non lo so. Ha detto che vuole farci assaggiare delle nuove radici; più dolci delle nostre, più saporite…
Frida - (riportando la pentola in posizione verticale; sarcastica) Magnifico!

Squillo del campanello e luce lampeggiante. Emissione del biglietto.

Modho - Pardon.

Modho raggiunge la zona del tubo. Prende il biglietto e lo legge ad alta voce.

Modho - “Sottoterra che bella vita / Peccato solo sia già finita!; Sottoterra che bella vita / Peccato solo sia già finita!…”

La luce del campanello si spegne. Modho resta un istante fermo, pensando a quanto ha appena pronunciato. 

Modho - (guardando il foglietto) Divertente… Si direbbe che ci siano nuovi autori dietro le ultime rime.

Modho accartoccia il biglietto e lo getta a terra. Quindi tira fuori dal taschino della giacca un pacchetto di sigarette. Ne sfila una con le labbra. Raggiunge il tavolo e si china ad accendere la sigaretta col fuoco del fornello a gas. Quindi torna vicino a Frida.

Modho - (soffiando una nuvola di fumo) Di chi erano quei versi…? (Sforzandosi di ricordare) “Nel fumo finiranno le mie… polverose parole”? Eh, Frida?
Frida - Non lo so. 
Modho - Dici “non lo so” e neanche ci pensi. Era uno dei vostri…
Frida - (guardando nella pentola) L’acqua non bolle più. 
Modho - Già. In fondo non si trattava certo di versi memorabili. Ora metti giù quella pentola.

Frida questa volta obbedisce. Dopo aver appoggiato la pentola sul piano del tavolo, si siede. 

Frida - Fernando, io non…
Modho - A-ah!… Ti sei già dimenticata che il mio nome è Luis, dolcezza?
Frida - Luis. 
Modho - Brava! Sai bene che sarei più tollerante se solo fosse lecito; ma pare proprio che non possiamo permetterci errori. Lo capisci, questo? Vero, Frida?
Frida - Sì.
Modho - Meno male. 

Si sente, in lontananza, il ronzio della trivella di Gogò.

Modho - Oh, bene. Sembra che il nostro amico sia già di ritorno. 

Modho getta la sigaretta a terra e si sistema il vestito.

Frida - Fernando.

Modho la gela con lo sguardo.

Frida - Luis.
Modho - (crudele) Sono qui, tesoromio…
Frida - Dimmi che vuoi fare, prima che arrivi; ti prego.
Modho - Riguardo a cosa?
Frida - Riguardo a cosa? Ormai sono… Quante? Tre, quattro settimane che è qui con noi?
Modho - Sì; e allora?
Frida - Io non capisco cosa hai in mente.
Modho - Beh, non è una novità.
Frida - Ti prego.
Modho - Tu che faresti?

Il ronzio della trivella aumenta costantemente.

Frida - …Io? …Niente.
Modho - No, dico sul serio; mi interessa saperlo …
Frida - …Insomma…Quell’uomo può portarci fuori di qui, non è così?
Modho - E’ vero.
Frida - E allora? …Luis!… Cosa stiamo aspettando, ancora?
Modho - Fammi capire. Dici che dovremmo chiedere al nostro Gogò se, per favore, potesse riportarci in superficie, di nuovo alla luce del sole, dopo tanti anni?
Frida - Tu riusciresti a convincerlo.
Modho - E’ vero anche questo.
Frida - Cos’è che non capisco, allora?
Modho - Non capisci che i tuoi vecchi amici sono ancora molto in collera con noi due. E che l’ipotesi della nostra evasione hanno dovuto metterla in conto fin dall’inizio. Cosa credi che accadrebbe se dal tubo della piazza non uscisse più la mia voce?
Frida - Dimmelo tu.

Suono vicinissimo. Modho deve alzare la voce per forza di cose.

Modho - Si griderebbe che Modho e la sua Gazza sono fuggiti. Oppure che sono morti. Ma una squadra di giovani ribelli verrebbe inviata nel sottosuolo e scoprirebbe che non ci sono cadaveri. Allora le piccole armate comincerebbero a setacciare tutta la provincia; avendo l’ordine di far saltare ogni testa che sbuchi dalla terra… In realtà potremmo anche essere fortunati; potremmo venirne fuori senza che i soldati se ne accorgano. Ma poi, Frida? Sarebbe solo questione di tempo. Le nostre facce sono davvero troppo famose.

Cessa il ronzio. Compare Gogò sulla soglia. Tra le mani tiene la sua trivella; sulle spalle porta un cesto pieno di strani frutti.

Modho - Gogò, amico mio, bentornato!
Gogò - Grazie, Luis, grazie… (Vedendo Frida seduta al tavolo; con imbarazzo) Signora Frida, buongiorno.

Frida non muove neanche un muscolo. Modho fa segno a Gogò di lasciar stare.

Gogò - Beh? Che si dice? Il lavoro prosegue?
Modho - Certo. Tu, piuttosto; mi sembra che l’uscita sia stata proficua.
Gogò - Oh, sì, davvero. Non è stato facile, ma la radice rossa che volevo farti assaggiare alla fine l’ho trovata.
Modho - Bene.
Gogò - …E non solo quella… (Cominciando a tirar fuori i frutti dal cesto) …Ho trovato la radice bianca zigrinata, la radice dolce, quella coi buchi, quella verde che sa un po’ di insalata, quest’altra grigiastra… Ah, la radice di mare, il fittone-vaniglia, la radice del ferro caldo, quella…
Modho - (nervoso; come sempre agli elenchi di Gogò) Un sacco di roba! 
Gogò - Sì. Infatti. 
Modho - (rivolto a Frida) Hai visto? Eh, Frida? Quante buone radici ci ha portato Gogò?
Gogò - (rivolto a Frida; visibilmente imbarazzato) Si possono tutte bollire; tranne la grigiastra che andrebbe saltata in padella…

Frida si volta. Fissa Gogò negli occhi. 

Gogò - (spaventato) Ma, pe-pensandoci bene, una volta ho-ho bollito anche quella e non era niente male.

Frida, con un sorriso amarissimo, abbassa lo sguardo.

Gogò - (a Modho) Ce l’ha con me, non è vero?
Modho - No. Non credo. Sai, è un brutto momento per lei. Qualche volta ho anche paura che possa diventare pericolosa. In ogni caso ti coinsiglierei di starle lontano; solo per precauzione.
Gogò - (preoccupato) Dici, eh? 
Modho - Per precauzione.
Gogò - (provando un sorriso) Sì, certo.
Modho - (sdrammatizzando con un sorriso amichevole) Il mio caro amico… Ascoltami, Gogò…

Modho prende Gogò per la spalla e lo porta sul lato sinistro della stanza. Frida si volta.

Modho - Ecco... Volevo dirti che ho pensato molto alla tua richiesta.
Gogò - (pieno di speranza) Davvero?
Modho - Sì, certo. Ero molto scettico, all’inizio, te lo confesso; devi perdonarmi, Gogò: è un ruolo di grande responsabilità, il mio. Non si può sbagliare. Questo lo capisci, vero?
Gogò - (incupito) Sì, certo.
Modho - Bene. Non avevo dubbi… Tuttavia, in questi giorni, ho capito veramente che tipo di persona sei…
Gogò - (spaesato) Ah, sì?
Modho - Sì. …Vedi, Gogò; ormai ho la certezza che tra noi due si sia creato un legame indissolubile; qualcosa di più della semplice condivisione di un’idea.
Gogò - (quasi commosso) Sul serio?
Modho - Che Fernando Modho, l’imperatore, sia il nostro nemico comune ormai è solo un dettaglio. Noi, in fondo, non lottiamo contro di lui; noi lottiamo per un sogno, Gogò: quello di un mondo libero, pulito, dove ogni uomo abbia la possibilità di vivere degnamente, certo che la propria identità non venga mai violata e che il nome paterno si rifletta con gioia nella vita dei figli. E’ perché vogliamo questo che io e te siamo uniti; è per questo che tu sei mio fratello.
Gogò - (al culmine della commozione) Oh, Luis… E’ così bello essere qui con te, fratello mio! (Scoppia a piangere, gettandosi tra le braccia di Modho)
Modho - (staccandosi dall’abbraccio) Sei…Sei un ragazzo con la testa sulle spalle, Gogò. E’ per questo che ho deciso: potrai sostituirmi al tubo; potrai farlo ogni volta che vorrai. 
Gogò - Ti voglio bene, Luis. Ti voglio tanto bene.
Modho - Però, mi raccomando; non mi deludere: ne va dei nostri sogni comuni.
Gogò - Oh, puoi starne certo. Non ti deluderò.
Modho - Bene. Molto bene. Sono fiero di te, fratellino.
Gogò - Posso abbracciarti di nuovo?
Modho - No. Meglio di no. Devi cominciare a concentrarti. Non voglio che prenda questa cosa alla leggera.
Gogò - Sì, giusto. Mi preparo. 

Gogò si mette sull’attenti davanti al tubo. Modho raggiunge Frida nei pressi del tavolo.

Modho - Allora, dolcezzamia? Il quadro ti è più chiaro?

Frida non risponde.

Modho - (scherzosamente incredulo) Non ancora?

Va verso le radici di Gogò. Ne prende una, la guarda.

Modho - Radice del mare… 

Guarda Gogò immobile davanti al tubo. Poi osserva Frida, seduta con gli occhi fissi su una nuova fila di formiche. Sorride. Dà un grosso morso alla radice. 

Buio.
Squillo del campanello.


5.
Modho ha preso posto su una delle sedie di terra bruna già viste in precedenza. Sistemato sul lato destro della stanza, a circa un metro dalla linea di proscenio, tiene sulle gambe il registratore a bobine. 
La sua mano destra stringe il microfono, mentre la sinistra è posata sul dorso dell’apparecchio.
Le bobine ruotano con la solita, inquietante regolarità.

Modho - …Nessuna formica può vivere da sola: la vita comunitaria per loro rappresenta una necessità. E l’esigenza sociale si manifesta attraverso numerosi aspetti tra i quali evidentemente spicca un fatto essenziale: il linguaggio… 

Sulla soglia compare Gogò, in alta uniforme. In realtà indossa il solito, ridicolo costume da aviatore. Ma brevi file di nastri dorati, simili a certi simboli dei gradi militari, hanno fatto la loro comparsa sulle spalle e sulle maniche della giacca. L’elmetto, su cui ora oscilla una piccola bandierina rosso-blu, è stato completamente lucidato; così pure gli stivali, che scintillano nella penombra del formicaio.
Gogò è troppo preso dal suo compito per ascoltare quello che dice Modho. Per lo stesso motivo, Modho non si accorge dell’entrata di Gogò.

Modho - …Si tratta di un linguaggio per gran parte incomprensibile, è chiaro…; (Gogò, fiero in viso, si dirige verso la zona del tubo)…Ciò non toglie che la conservazione del sistema gerarchico deve rappresentare il vero scopo di ogni tipo di azione (Gogò alita un paio di volte nel palmo della mano curvato a cucchiaio e inspira; quindi, visibilmente deluso, estrae dal taschino uno spray al mentolo e se lo spruzza in bocca). Sono naturalmente portate ad una credenza assoluta, esclusiva… (Gogò si siede sul trono di Modho; ma immediatamente viene morso da centinaia di formiche. Salta in piedi cercando di togliersi di dosso i piccoli insetti); ribadiscono quotidianamente la propria fedeltà nei confronti di un essere superiore; sanno bene che l’armonia sociale dipende direttamente dalla disponibilità al servizio di ogni individuo. (Gogò, che sembra essersi appena liberato dagli assalti delle formiche, spolvera energicamente la giacca e recupera l’espressione di fiera consapevolezza, sicuramente più adeguata all’importanza del momento; quindi resta in attesa). Che meraviglia, i meccanismi perfetti! Nessun bisogno di manutenzioni. E una suprema comunanza d’intenti che annulla ogni possibilità di fallimento… (Nella pausa naturale del discorso, Modho si accorge della presenza di Gogò. D’ora in poi il suo tono cambia in maniera sensibile. Tutto ciò che dirà da qui in avanti sarà più solenne e sembrerà meno sincero). …Amici miei, compatrioti, è il vostro… (Pensando al sostantivo da utilizzare) …compagno che vi parla. Ormai cosciente del vero spirito, dell’unico ideale su cui dovrà essere fondato il Nuovo Stato… So bene che ogni parola, a questo punto, lascia il tempo che trova; ma tuttavia sento l’urgenza di annunciare con estrema gioia che mai come ora i nostri sogni sono stati così vicini dalla realizzazione… Sono sereno, sono tranquillo; e il mio non è entusiasmo di facciata, credetemi; rappresenta piuttosto l’inevitabile effetto di un’osservazione attenta. Se non commetteremo errori, tra poco saremo di nuovo insieme, pronti a ricominciare tutto da capo. Questo malgrado la mia condizione di interrato dimostri senza scampo come nulla sia prevedibile fino in fondo. 

Squilla il campanello; la luce lampeggia. Modho blocca la registrazione. Gogò, molto concentrato, si schiarisce la voce e allunga la mano per staccare il biglietto che viene emesso. Lo legge tra sé e, con un minimo di concitazione, prende fiato.

Gogò - (nel tubo) “Ecco Modho, ecco la carogna / eccolo sepolto dentro questa fogna!”

Si spegne la luce del campanello. Gogò, emozionato, si volta verso Modho. Sospensione. Modho non si volta.

Modho - …Sai cosa diceva il cavalier Galanda, Gogò?
Gogò - No.
Modho - Diceva che la libertà passa per la voce dei naufraghi.
Gogò - (non capendo; imbarazzato) Ah. 
Modho - In un certo senso anche tu sei un naufrago, no?
Gogò - (continuando a non capire) Sì, certo. Ma…(Temendo la risposta) Vuol dire che andava bene?
Modho - (dolce) Oh, sì! Sei stato bravissimo, amico mio.
Gogò - Dici davvero, Luis?
Modho - Certo. Vieni; voglio che ti sieda qui con me; ho quasi finito…

Gogò, felicissimo, prende una sedia e la sistema accanto a quella di Modho. Quindi si accomoda. 

Gogò - (indicando il registratore) Cosa stai facendo?
Modho - Un diario. 
Gogò - Un diario?
Modho - Sì. Registro quel poco che succede qui dentro. 
Gogò - E a cosa ti serve?
Modho - Beh, a documentare il mio lavoro… Ma serve anche per invecchiare più lentamente.
Gogò - Ah. Allora ci sono anche io qui dentro?
Modho - Certo che ci sei.
Gogò - Hai raccontato anche del giorno che sono arrivato?
Modho - Sì.
Gogò - E anche di quando sono andato a prendere le radici, e di quando ti ho fatto vedere come funziona la mia trivella, e di quando abbiamo giocato a dadi, e di quando ho perso…
Modho - (interrompendolo; serrando tra i denti la rabbia) Vedi, Gogò… Registro un po’ tutto nel mio diario. Ti è chiaro? 
Gogò - Chiaro.
Modho - Bene. Ora però… (Gli fa segno di starsene zitto; con l’indice verticale davanti alla punta del naso) …“shhh”.
Gogò - (ripetendo il gesto e annuendo) “Shhh”.
Modho - Bravo. (Schiaccia un pulsante; le bobine riprendono a ruotare) …Dunque si diceva… La situazione qui sotto resta piuttosto tranquilla… A dire il vero andrebbe tutto meglio se le condizioni della piccola Frida non mi preoccupassero così tanto. Eh, già… Ormai non ragiona proprio più… (Voltandosi per un istante verso Gogò) Cos’è che gridava, oggi? Ah,sì; che file di formiche rosse marciano sulle pareti del suo cuore. Come se non bastasse, già quattro volte, questa settimana… (Gogò apre la mano, indicando a Modho il numero cinque) …Cinque? (Gogò annuisce)… (In un sospiro) Diomio… Già cinque volte, dunque, questa settimana, la dolce Frida ha cercato di fuggire per uno dei cunicoli scavati dal nostro amico Gogò. I tentativi di spiegarle che nessuna di quelle vie sotterranee porta in superficie risultano assolutamente vani. Speriamo di non perderla per sempre un giorno o l’altro. Povera piccola… ora sta dormendo: le radici sedative hanno fatto effetto. Del resto conosco da tempo la malattia di mia moglie: è una brutta bestia. (Guardando Gogò con affetto simulato) Fortuna che il mio amico Gogò mi sia vicino in questi momenti. (La faccia di Gogò si illumina). Da solo non so davvero come avrei fatto. Ultima nota: il giovane Gogò quest’oggi ha dimostrato di poter lottare insieme a tutti noi per un mondo più giusto. Nel tubo di Osuna risuonano ancora le sue parole contro il tiranno. Passo e chiudo. Firmato: Luis De Rege. 

Modho schiaccia un pulsante. Le bobine si bloccano.

Gogò - Luis.
Modho - (con l’aria di chi sa cosa lo aspetta) Dimmi, Gogò.
Gogò - Lo sai? Tu sei un uomo meraviglioso… (Lo abbraccia piangendo)
Modho - (dandogli qualche pacca sulla spalla) Anche tu, Gogò… Anche tu…

Buio.


6.
Gogò è seduto a centro-scena. Sempre in “alta uniforme”.
Gioca con una piccola formica facendola passare da una mano all’altra. Canticchia.
Dopo qualche istante entra Frida. Tra le braccia i soliti fittoni bianchi.
Gogò non se ne accorge.
Frida lo guarda per un attimo; poi torna sulla soglia della porta e si affaccia nella seconda stanza. Quindi si avvicina nuovamente al tavolo di destra sul piano del quale posa le radici. 

Frida - Gogò.
Gogò - (saltando dalla sedia e allontanandosi rapidamente; terrorizzato) Oh! Si-signora De Rege! 
Frida - Cosa stavi facendo?
Gogò - I-io? Ni-niente.
Frida - Stavi giocando con una formica.
Gogò - Sì, beh… Ma ora se n’è andata… (Cercando aiuto; alzando la voce per farsi sentire da Modho). Ma dov’è suo marito? Eh? Il signor Luis, dico, dov’e? 
Frida - Smettila!
Gogò - (spaventato) La smetto, la smetto… 
Frida - (avvicinandosi) Non ti ha morso?
Gogò - (nervosamente) Chi?
Frida - La formica che ti camminava sulla mano. Ti ha morso?
Gogò - No.
Frida - Lo sapevo. E’ lui che decide.
Gogò - Lui, chi?

Frida Torna nei pressi del tavolo. Prende i fittoni e li comincia a tagliuzzare. Poi, piano piano, rallenta e si ferma. Gogò, passeggiando, si avvicina alla scrivania. Apre qualche libro a caso. A disagio.

Frida - (altrove) Cosa pensi che accada?
Gogò - Quando?
Frida - Domani, dopodomani…
Gogò - Non ci penso.
Frida - Eppure qualcosa accadrà.
Gogò - Ah, sì? Bene.
Frida - (subendo chiaramente i primi morsi delle formiche) Sì. (Avanzando verso Gogò; risoluta) Perché vedi… Gogò… Luis De Rege è un nome completamente inventato.
Gogò - (indietreggiando impaurito) Deve calmarsi, signora…
Frida - (continuando ad avanzare) Ci sto provando. Ma come vedi cominciano a mordermi non appena parlo del tuo amico Luis.
Gogò - Andiamo, si sieda… La prego.
Frida - (stendendo le braccia verso Gogò) Guarda! Guardami le braccia! Guarda cosa stanno facendo!
Gogò - (terrorizzato dalla vista) Dio.
Frida - (avanzando) Chiediti perché a te non succede. Avanti!
Gogò - (chiamando) Luis! …Luis!
Frida - (ancora avanzando; cercando di togliersi come può le formiche di dosso; tremando, vibrando di dolore; sugli spasmi) Te lo dico io perché… Perché io mi chiamo Frida Salgado…; perché sono nata il 7 novembre del ’32 nei pressi del porto di Antes; perché mio padre, Ramon Salgado, era falegname. Perchè Dal ’50 faccio parte del Nucleo di Liberazione Attivo. …Perché, come sai bene, tra il ’52 e il ’53 i popoli del Nord-Ovest sono stati completamente eliminati dalla faccia della terra. E perché nel ’55, dopo una sanguinosa battaglia, il dittatore dello Stato Solare, il magnifico Fernando Modho è stato rovesciato e successivamente condannato all’esilio a vita in un formicaio sotterraneo. Ecco perché mi divorano… Mi chiamo Frida Salgado. Non sono sposata. E non esiste nessun Luis De Rege… 

Frida si gratta forte. Si dibatte. Le formiche la stanno massacrando.
Gogò raggiunge il tavolo di destra e prende uno straccio. Frida crolla al suolo. Gogò torna correndo da Frida e comincia a batterle contro lo straccio.

Gogò - (battendo lo straccio) Luis! Ti, prego, Luis!

Modho compare sulla soglia della porta. Indossa una tuta bianca e un paio di occhiali scuri; tra le mani tiene stretta la trivella di Gogò.

Modho - (freddo, lontano) Gogò, amico mio. Cosa succede?
Gogò - Tua moglie… E’ piena di formiche; devi aiutarmi, Luis… Devi… (Si accorge della trivella; cambiando, con un mezzo sorriso) Luis… E’ la mia trivella…
Modho - Sì.
Gogò - (sorridendo; poi cominciando a grattarsi anche lui) Cosa devi farci?
Modho - (con naturalezza) Devo andar via di qui.
Gogò - (senza ancora realizzare) Devi andar via?
Modho - Sì.
Gogò - Ma…E il tubo?
Modho - Ah, beh; quello non è un problema. Ormai puoi pensarci tu; o no?
Gogò - Luis. Io… (Voltandosi a guardare Frida; poi tornando su Modho) …Io non capisco.
Modho - Perché sei uno stupido; nulla di nuovo, del resto: i Maldesi da sempre sono stupidi per definizione.
Gogò - Ma che vuol dire?
Modho - La dolce Frida non ha fatto in tempo a raccontarti tutto?
Gogò - No, Luis, no… Lei ha delirato, ha detto che suo padre era falegname e che…(Capendo solo ora) …Tu non sei…
Modho - Già. 
Gogò - (tra sé, colpito, tremando) No…No…
Modho - Coraggio, maldese; non te la prendere: puoi pensare che, in fondo, hai vissuto più del dovuto…
Gogò - (grattandosi forte; con le lacrime agli occhi) Non andrai via… Non con la mia trivella…
Modho - Ah, no? 
Gogò - (disperato) No.
Modho - (invulnerabile) E come farai ad impedirmelo?

Gogò gli si scaglia contro; urlando. Ma deve fermarsi; morso da mille formiche. Cade a terra.
Modho raggiunge il corpo riverso di Gogò.

Modho - Ora però stai calmo. Le mie piccole amiche devono mangiare… devono trasformare uno stupido maldese nel corpo massacrato dell’imperatore. (Ridacchiando) Non credere che sia così semplice…

Modho torna nei pressi della porta.

Modho - Addio piccola Gazza; non dimenticherò mai le tue mani… E dico addio anche a te, amico scavatore; sperando che tu sia davvero l’ultimo della razza.

Modho esce. Si sente il ronzio della trivella. Prima molto forte, poi sempre più lontano. 
Frida è ormai immobile al suolo. Gogò, di fianco a lei, si contorce di dolore. 
Squilla il campanello. Lampeggia la luce. Biglietto in uscita.
Gogò trova la forza di alzarsi sui gomiti; e di strisciare verso il tubo.
Il campanello non smette di squillare.
Gogò si aggrappa alla scrivania, si tira su e si allunga a strappare il biglietto. Lo legge.

Gogò - (con la forza della disperazione) “Modho senza speranza / mangia terra nella sua stanza; Modho senza speranza…” (Non ce la fa più; crolla a terra)

Il campanello si blocca; la sirena si spegne.
Buio.