FUORI DI ME

di

Donatella Diamanti


In verità
in verità vi dico…
che ognuno, noi compresi, padri e madri a nostra volta già figli, 
ognuno ha i suoi bei precedenti
ma il passato non è mica un rosario, che te lo sgrani secondo un ordine stabilito… 

Nell’anno del Signore 1957, in data 3 novembre, avvenne che la donna bionda, non ancora ventenne, nel sentire la storia della cagnetta LAIKA, spedita suo malgrado in orbita a bordo dello SPUTNIK 2°, provò uno struggimento infinito e un infinito desiderio di ribellione, ché a decidere dell’altrui vita sono tutti capaci, pensò, portando una mano sulla pancia a condividere il pensiero con l’acerbo frutto del seno suo e suo soltanto. E poi prese il pennello e il piatto ancora bianco e tradusse il suo sentire in un impasto di cielo plumbeo e ostile…

E avviene
nell’anno del Signore questo, con me già furibonda e proprio fuori di me, 
avviene che, seguissi l’istinto, mi girerei e girerei nel letto, 
nuovo ed ampio e basculante suo malgrado 
e frutto di una recente spedizione famigliare nel magico mondo di Ikea 
e modello, guarda caso, “Galassie”, 
dotato nella testata azzurrina di certe lucette incorporate che,
se lui si ricordasse di comprare le 20 lampadine da 20 ahinoi mancanti dal pacco di mezza tonnellata circa, autonomamente autocaricatoci sul portapacchi montato ad hoc
- ché con le spese di spedizione lo compravi anche da noi, altrimenti, il letto e allora forza… che autonomamente autocarichiamo!-
se lui dunque si ricordasse di comprarle le 20 lampadine da 20, 
potremmo anche accenderle ogni tanto … 
o devo occuparmi anche di quello? 
E chi ha montato il letto? Fa, muovendomisi cautamente accanto più rassegnato che insofferente…
E vorrei dirgli che di letto, infatti, avrebbe dovuto trattarsi 
e non di un dondolo precario, 
che se per caso capita che ho voglia di abbracciarlo e mi porto un po’ troppo a sinistra senza preavviso, 
ci ribaltiamo… 
Ma sono, ahimé, troppo fuori di me per ogni forma di replica o discussione, 
mi limito pertanto a ribadire che adesso forse non sarebbe male, 
per me così fuori di me, 
stare come sto, 
piuttosto che in questo buio, che solo la radiosveglia ferisce, 
immersa invece in una specie di cielo… per quanto finto… 
Perché non si pretenderà che dorma, spero!
A quest’ora - commenta - sarebbe anche normale.
Ma si dà il caso che la radiosveglia rosseggi l’ennesimo ritardo, ché le avevamo detto alle tre e sono passate da un pezzo… 
Allunga la mano in una carezza pesante di sonno e sedativa… E io lo sento… lo sento che è un modo per darle ragione… 
E mi impennerei, se potessi… 
ma il letto sta in piedi per miracolo… sicché…

E in verità
in verità vi dico…
che spesso noi, padri e madri, a nostra volta già figli, ci incamminiamo in punta di piedi lungo il filo sottile che divide la ragione dal torto… 
programmaticamente consapevoli, equilibrati / equilibristi / equidistanti da una parte e dall’altra, 
per non commettere errori…
Il fatto è che ognuno, noi compresi, 
ognuno ha i suoi bei precedenti
ma il passato non è un rosario, che te lo sgrani secondo un ordine stabilito… 
Persino negli album più rigorosi, trovi una foto che è sfuggita al controllo.

Mettiamo una città, una casa, un giorno, un’ora…
Mettiamo un anno… il 1970… mettiamo un disco che suona in sottofondo di fiori rosa e di fiori di pesco,
e mettiamo mia madre che, pennello fra i denti, fa, a me dodicenne, eppure già ? incazzata quanto basta, fa a me che già ero proprio fuori di me, il 7 luglio 1970, mia madre :

- Ti dispiace se non lavo i piatti, Sara?
- Tocca a te!
- Lo so, Sara. Ma – (sprezzante) indica l’ultimo capolavoro col dito affusolato e sporco di colore - voglio finire questo prima di uscire.
- Puoi sempre lavarli quando torni.
- Magari torno tardi, Sara
- E allora restano nel lavandino (fra sé, con rabbia) E sto cazzo di nome che mi hai messo e che ripeti… ‘sto cazzo di nome mi dà sui nervi… e ‘sti cazzo di piatti che dipingi… 
- Fa troppo caldo, nel lavandino puzzano… Sara
- Che palle, ma’! Dipingi anche quelli, così lo sporco si secca sotto lo strato di colore… 
- Chi la madre ferisce da madre perisce… 
mi fa

E poi ride, denti bianchi, a stringere il pennello…

Mia madre diceva che un figlio, oltre ad essere un figlio, è una specie di pietra miliare. Diceva: segna un tempo e un momento ben precisi e allora il nome è importante, perché, pur essendo una pietra miliare, un figlio non resta tale e quale a com’è nel momento in cui l’hai messo al mondo… 
Ma il nome, quello non cambia e, se non sei distratta, ogni volta che lo chiami, diceva mia madre, te lo ricordi quel momento e se è stato un momento felice, ricordarlo nelle giornate più schifose può far bene… 
Ogni volta che si rivolgeva a me, mia madre trovava sempre il modo di infilare il mio nome all’inizio o alla fine della frase… 
Ero il suo salvagente in un mare di giornate schifose… 
Sola, ridente… per niente equilibrata, equilibrista, equidistante, lei…

E dunque
in verità, 
in verità vi dico 
che l’odio che non aveva messo in conto, il mio - (come una constatazione improvvisa) - che magari era amore impotente o chissà quale altro sentimento confuso per me, già in quegli anni proprio fuori di me - lo stringeva fra i denti bianchi, come il suo pennello… 
e lo schiacciava come noce con la sua risata…

Mettiamo una città, una casa
Mettiamo un anno… il 1970… Mettiamo un disco che suona in sottofondo di fiori rosa e di fiori di pesco. Mettiamo un giorno… il 7 luglio… mettiamo un’ora: le 15.00 in punto… 
Alle 15.00 in punto il primo piatto della giornata era pronto.
Pennello fra i denti, mia madre me lo mostra
- Che ne dici, Sara?
- E’ pieno di crepe!
- Non sono vere. Sono dipinte, Sara…
- Sì, ma sembra un piatto incollato.
- E’ esattamente quello che volevo. Si intitola “A pezzi”, Sara. Non avrei potuto intitolarlo così se non sembrasse un piatto incollato. C’è qualcosa che non va?
- No. E’ tutto a posto…
- E allora perché fai quella faccia, Sara?

(Fra sé, a denti stretti)
Perché non sono un salvagente, ma’

Nell’anno del signore 1957, in data 16 novembre, avvenne che la donna bionda, venuta a conoscenza dell’apertura della conferenza dei paesi aderenti al Patto Atlantico, presente, fra gli altri, il presidente americano Eisenhower e preso atto della decisione dei suddetti paesi di installare in Europa basi missilistiche atte a contenere la straripante ascesa rossa, in terra, in cielo e nell’universo tutto… provò un senso di smarrimento infinito e un infinito desiderio di cambiare il mondo e lo smarrimento divenne di lì a poco coraggio… Pertanto volle anch’essa tenere a suo modo una piccola conferenza famigliare, nel corso della quale comunicò ai presenti, padre e madre, di aspettare, da un mese o poco più, un figlio o figlia e di non aver intenzione alcuna di rivelare loro il nome del possibile padre… giacché lei, precisò era terra libera e come tale germogliava: senza missili altrui, né regole, né cieca ubbidienza…
Scema / puttana… Puttana / scema… 
lo schiaffo che la colse in pieno viso fu tradotto di lì a poco in uno sfregio rosso in campo nero, poi, con mani ancora sporche di rosso e di nero appunto, raccolti colori, pennelli e qualche vestito, scese due a due i gradini canticchiando di fiori di lillà e casette collocate in terre buone solo a far rima…

E avviene
nell’anno del Signore questo, che, 
adesso, 
vicinissimi, 
al centro,
per una questione di equilibrio del letto o dondolo o catapulta matrimoniale 
e non solo di quello, 
ci teniamo per mano, 
ché la mano della carezza sedativa e pesante di sonno, alla fine l’ho presa, ché metterei il suo nome a inizio e fine di ogni frase, ché anch’io mi dovrò pure aggrappare a qualcosa… Non si pretenderà mica che galleggi da sola?
Ché il tempo passa Dio Cristo e non è solo quella cazzo di radio sveglia che rosseggia il ritardo di lei, sempre più sostanzioso, a segnalarne gli effetti… ché oggi per la prima volta una tizia dal parrucchiere mi ha dato l’età che ho e quindi significa che comincio a dimostrarne almeno quattro di più, perché di solito ci si tiene bassini con certe supposizioni… 
O forse sarà che avendo litigato, pardon discusso, con tua, pardon nostra figlia, ero più tesa e la tensione, pur tendendo, invecchia… 
E lui intreccia le sue dita alle mie e mi dice che domani le compra le lampadine… 40 ne compra, così ne abbiamo 20 di riserva… 
Del resto, se potesse, lo so, mi comprerebbe stelle vere… e la luna mi comprerebbe, ma non è questo il punto… 
Mal impilati sul comodino, 
dalla mia parte, 
una decina di manuali racchiudono risposte a dubbi comportamentali di noi, padri e madri a nostra volta già figli… 
sarà che il buio li distorce o sarà che fuori di me lo sono per davvero, ma mi sembrano dita puntate…
Ognuno dice la sua… 
ne pubblicassero uno che ci discolpa, a noi padri e madri a nostra volta già figli, lo pagherei miliardi… 
Del resto (come se indicasse i libri sul comodino) abbiamo speso tanto per sentirci trattare, con pedagogica eleganza, tutti quanti come un branco di stronzi…

L’ho detto! E rapida mi segno e nel nome di Bollea di Crepet di Andreoli amen e chiedo loro perdono per averli bestemmiati… 
E’ che oggi abbiamo litigato, pardon discusso, io e tua, pardon, nostra figlia e allora sono tesa, pardon stronza… 
Stronza sono! 
Lo ero da figlia, figurarsi da madre…
E vorrei piangere, ma non mi va che mi veda 
E girarmi su un fianco non posso, dovrebbe farlo anche lui… va coordinato il movimento, se no ci si ribalta… 

E non deve succedere! 

Proprio non deve, giacché…
in verità, 
in verità vi dico 
che noi padri e madri a nostra volta già figli
assolutamente politicizzati, programmaticamente permissivi, 
noi popolo di Ikea, ed anche un po’ di Seattle 
tendiamo con l’arrivo dei quaranta, 
(isterica, sorride) (e che saranno mai se non una tappa? Mica si è vecchi a quaranta…
certo meglio sarebbe dimostrarne trentasei)
tendiamo, checché se ne dica, a conclamarlo il sempre più impellente desiderio di stabilità che ci invade
(incazzata, d’un fiato) E dunque perché mai proprio adesso dovremmo ribaltarci?

(risoluta e poi con un crescendo, come in un comizio) Facciamo il punto, piuttosto! Partendo dal principio…
ché in principio, 
- e qua non per me sola parlo,
ma mi faccio portavoce di un’intera e consapevole e programmaticamente permissiva e assolutamente politicizzata generazione e qualcuno provi a smentirmi Cristo Dio -
nel nome dei figli,
ed nel nome senz’altro dei nostri bei precedenti 
fatti di madri bionde o di qualsiasi altro colore 
e padri presenti o inesistenti 
dipende dal destino
noi, anche noi finalmente padri e madri, 
non più figli, ma memori del fatto che lo siamo stati,
noi
in principio
abbiamo messo in campo solo buone intenzioni
e le buone intenzioni si misurano,
in principio, 
con quella concessione di spazio 
programmaticamente studiato fin dallo stato fetale 
e vezzeggiativamente sussurrato: “cameretta” .

Se ne conoscono a migliaia, tutte similmente trionfanti di giochi e pupazzi 
tutte similmente colori pastello ammiccanti a tenerezza e a cura e a un futuro sereno
non più rosa o celesti, 
retaggio di un tempo che fu
ma tenui di asessuati verdi, giallini, lilla… lillà… là 

Là, circa tredici, quattordici, quindici anni dopo,
la prima rivoluzione…
condivisa,
approvata, 
(siamo o no genitori politicizzati e permissivi?)
si misura
con quella appropriazione di spazio 
programmaticamente stravolto fino al ribaltamento totale
e rivendicativamente ringhiato “camera mia”…

Spiazzamento!

Perché ringhia, se siamo politicizzati e permissivi?
(rapidissima, come fossero più voci che si confrontano, frettolose e allarmate) Non lo so. Forse lo deve fare. Sarà previsto nel piano di crescita. A beh!

E noi, quarantenni, padri e madri, a nostra volta già figli, anche dei fiori fra l’altro, per quanto ormai appassiti, 
realizzati quanto basta per avere un piede poggiato sull’ambizione e uno sul bisogno di fuga
coltivatori diretti di villette a schiera
divisi fra una lampada abbronzante furtivamente consumata “che così bianco/bianca non mi posso vedere” e un cannino, straordinario in straordinarie serate fra amici come noi politicizzati e permissivi e smarriti… “saranno dieci anni che non fumo, dove l’hai preso?” “l’ho sequestrato a mia (soffiando via il fumo) fffffffffff…iglia, se comincia con le canne a quindici anni, a venti che fa?”, “però le abbiamo motivato il sequestro, riteniamo abbia capito” “Non ha replicato” (ridendo) “forse ci vorrebbe un po’ di coca, con tutto ‘sto stress…” E’ una battuta moderna naturalmente… ché non siamo invecchiati affatto… “ma quanto cazzo si lavora?”… “si lavora e basta” … “ forse ci vorrebbe di naufragare su un’isola deserta, con tutto sto stress”… “meglio se la barca resta intatta, con tutto ‘sto stress… che almeno, passato lo stress, uno poi torna ” … “ io, avessi una barca, non ce l’avrei tutto sto stress… “ “io un Prozac ogni tanto me lo prendo, con tutto sto stress”… “noi, nonostante lo stress, il mese prossimo cambiamo macchina”… 
E noi, dunque, padri e madri, politicizzati, permissivi 
e sbandati, Dio Cristo
e divisi fra vecchio e nuovo senso della vita, desiderosi di essere con loro come con noi nessuno è stato, 
ce ne entriamo titubanti, non senza aver bussato prima, nello spazio da loro rivendicativamente ringhiato “camera mia”, 
munifici di comprensiva accondiscendenza
recando un poster arrotolato e ingiallito 
e allunghiamo la mano verso nostra figlia o figlio 
e con un sorriso di complice soddisfazione osiamo un contatto
“Era mio, se vuoi te lo regalo” 
e ne cogliamo lo sguardo scettico, giudicativo, diffidente

Perché diffidente, se siamo politicizzati e permissivi?
(rapidissima, come fossero più voci che si confrontano, frettolose e sempre più allarmate) Non lo so. Forse lo deve fare. Sarà previsto nel piano di crescita. 

Ma forse non è diffidente… E’ curioso, lo sguardo

Di fatti succede che nostro figlio o figlia, momentaneamente sospesa la rivoluzione, allunga la mano e lo afferra quel poster…
e mentre lo afferra pensiamo: “piano, non così… E’ sacro, piano”… 
… 
e già la mano ha srotolato, tutt’altro che piano, la reliquia ed eccolo che compare in primo piano: 
il di lui occhio nero ci rimescola il sangue e basco e sigaro non sono certo da meno e dentro siamo tutti un vibrare intillimano, che la memoria contamina con rigurgiti di Lolli… Guccini… eskimi e vecchie piccole borghesie…
E… Battisti ascoltato di nascosto, che sono di destra le emozioni… 
E un lieve, altrettanto nascosto sentore di Baglioni che si insinua a ricordare, fra il resto, piccoli grandi amori e passerotti implorati di non andare via, al tempo in cui el pueblo sarebbe rimasto, fuori da ogni ragionevole dubbio, sempre e comunque unido…

Ma ecco che la voce di nostra figlio o figlia ci scuote e riproduce acerba e lievemente scettica il tono dello sguardo, fisso sulle sembianze di lui 
chi cazzo è? 

C’è… 
c’è che non sappiamo dire quando la distanza comincia davvero…
e c’è che la distanza è necessaria, pare
e c’è che devono metterci in discussione, pare
e c’è che devono affrancarsi da noi, pare
e c’è che perderli è dura… sicuramente
e c’è che allora forse li detesti perché cominciano ad andarsene, pur restando
e c’è ti fanno anche male
e c’è che si fanno del male… 
e c’è il loro silenzio, ingombrante, insopportabile, inascoltabile più del ritmo battente delle loro stramaledette hause, gabberhouse, underground, jungle, techno, progressive,
che adesso sedici, diciassette, diciotto anni dopo 
sfondano la parete di quello spazio
troppo spesso ormai da noi rabbiosamente rinfacciato “camera tua”…
che non lo ammetti, ma forse, vorresti fosse una riserva quella camera sua,
una riserva in cui stipare tutto quanto di tuo figlio o figlia altrimenti dilaga in insostenibile disordine
in cui vorresti imprigionare la sua rivoluzione
sempre meno condivisa…

E facciamolo il punto
facciamolo nel nome nostro e nel nome dei figli, dei figli, dei figli, dei figli

Figli taroccati, 
che mangiano, calano, strippano, sballano, pippano, sniffano, tirano, 
figli che affrontano la carenza, che scivolano nella fattanza,
figli che si danno ganci, che si fanno storie, che cercano movimenti giusti, che tirano pacchi, che smazzano pastiglie,
figli che viaggiano verso after, aferthours, after tea,
figli che aspettano la piena… 
nel pieno della notte…
senza di noi
che “non ti abbiamo certo messo al mondo per restare soli”… o sì?

Alla fine
? e non parlo per me sola, ma per un’intera e impreparata e come me fuori di sé, generazione
alla fine
le confuse intenzioni 
fanno grumi confusi
dentro e fuori quel sempre più deserto spazio
che l’assenza costringe a rabbiosa e a livida e ad impotente terza persona: camera sua.
E capita che noi, un po’ più quarantenni, a nostra volta già figli, anche dei fiori fra l’altro, per quanto ormai abbondantemente appassiti, 
ci trasciniamo sulla soglia della deserta “camera loro” 
ribelli al sonno, perduto sì, eppure via via incombente
ché siamo politicizzati e permissivi, 
ma umani comunque
e non dormiamo fin che non tornano questi nostri figli o figlie
“non è per ricattarti… è che ci va così”
“ha sbuffato”
“perché ha sbuffato se gli abbiamo spiegato che non è un ricatto?”
“Non lo so… forse lo deve fare… sarà previsto nel piano di crescita”
Ma quanto cazzo dura ‘sta crescita?

E dunque non dormiamo fino a quando non tornano questi nostri figlie o figli
per quanto più volte nel corso della notte ci siamo girati e rigirati in letti precari
e bui di stelle finte e spente
occhi sbarrati e sbarrati pensieri
inchiodati magari, per meglio consumare l’attesa,
davanti al 256.000 pollici parabola munito in nome di tele più chi più ne ha più ne metta, 
noi padri e madri che la vita e l’età e una generazionale ostinazione alla durata
e alla resistenza
e alla sfida del tempo
che passa
(Dio come passa!)
ha reso
gioco forza
fiduciosi nei poteri dell’acido glicolico e in quelli della respirazione addominale e degli addominali in genere
yoga praticanti 
fiduciosi sì, 
ma gioco forza appunto 
e dunque al tempo stesso disposti a tutto in nome di qualcosa che ci sostenga
anima e corpo… 
Noi, abbandonato il mito dell’isola deserta
o solo momentaneamente accantonato
ambiremmo
a
una 
crociera sul Nilo 
ma costa che non si può fare…
“optiamo per le foci del Po!”
“E’ una buona idea… non ci siamo mai stati”

Noi svegli fino a quando non tornano…
ci ritroviamo 
a volte
piccoli piccoli come forse nemmeno da piccoli siamo mai stati
e sbarrati di mente e di occhi,
e immobili sulla soglia,
mentre la radio sveglia rosseggia le 4 e 45 
e da lì
virato lo sguardo oltre il letto decisamente vuoto
traghettiamo verso la parete 

C’è…

C’è che biancheggia la puntina da disegno sul basco nero
E c’è che subito accanto
si confonde la puntina da disegno 
sui capelli un po’ mossi
di quell’ingrandimento di nostro figlio o figlia
in un’età ancora da vezzeggiativi

E c’è che il pugno si solleva… lento
mentre la sveglia rosseggia le 4 e 47 
e c’è che il pugno poi si apre 
perché la mano adesso tende
istintiva
verso capelli in fuga
che giusto lo scatto di una foto immobilizza
che sia l’unico modo per fermarli questi nostri figli o figlie?

E c’è che ci troviamo a navigare in un fiume di nostalgia… gratis!
turisti fai da te perché non c’è agenzia che te le cura certe traversate…

E qualcuno ci provi…
qualcuno fra i dieci, cento, mille padri e madri sbarrati di occhi e di pensieri e come noi confusi, 
ci provi a smentirmi…

E lui mi guarda, adesso
lui salvaniente
per quanto tenga la mano che mi tiene e gliela stringa al punto che sbiancano le nocche
mi guarda e lo sa bene che è arrivato il momento, per me, proprio fuori di me
è arrivato il momento di galleggiare da sola…

La nostalgia è acqua che tracima lenta e silenziosa

Mettiamo un giorno, il 7 luglio… mettiamo un’ora: le 17.30… mettiamo un disco che suona in sottofondo di fiori rosa e fiori di pesco e mettiamo me… proprio fuori di me…
E mia madre, mettiamo. 
Mia madre che porta in trionfo il secondo piatto della giornata, alle 17.30 in punto, il 7 luglio del 1970. 
Soggetto: ciabatte rosse galleggianti in acqua melmosa. Titolo: Addio.
- Davvero le hai buttate, ma’?
Pennello fra i denti, sorride
- Perché?
- Perché erano vecchie, perché puzzavano e perché credo che di tanto in tanto separarsi da qualcosa di caro, faccia bene, Sara…


Certe foto di mia madre sono virate seppia o ingiallite dal tempo… certe mie, le più segrete, rigorosamente in bianco nero e aleggiano di nebbia artificiale… 
(Alita più volte) Nebbia sull’obiettivo e foto a tette nude, nell’anno del signore 1976.
(Voce da amica scema) Cazzo Sa’, sembra Hamilton… chi te l’ha fatta? 
Claudio… 
Ha messo la calza di nylon o c’ha alitato sull’obiettivo?
Alitato… dice che è meglio…
E Luca lo sa?
Luca ci mette la calza…
Sì… ma io volevo dire… Luca lo sa che Claudio ti ha fatto ‘ste foto?
No… 
(Allude) Ma c’hai… c’haiiii… cioè… eh Sa’?
Con chi? 
Con Claudio…
Solo petting… 
E Luca lo sa?
No… prima di dirglielo aspetto la risposta…
Che risposta, Sa’?
Ho scritto una lettera all’esperto di Due più… 
Una lettera, Sa’? E che c’hai scritto?
Tutto
Anche del fatto che ci siamo baciate con la lingua in gita a Giardino Boboli, Sa’?
Anche quello.
Ma che non siamo lesbiche gliel’hai spiegato a quello di Due Più?
Perché devo negare il mio maschile?
E perché devi sputtanare il mio, scusa eh?… Senti, Sa’ … secondo te la pubblicano? la lettera voglio dire…
Spero di sì…
Spero di no… Sa’… ma secondo te alla maturità ci impalano?
Se ci andiamo fumate no… Io porto una tesina su Porci con le ali…
Porci con le ali? Cazzo Sa’ la profia aveva detto su Manzoni…
O Porci con le ali o se ne va a ‘fan culo…
Secondo me, a te col fatto che sei orfana di madre e figlia di ragazza madre che poi è morta com’è morta… ti fanno un trattamento di favore, Sa’
(Esplode) La smetti di chiamarmi Sa’ e di schiaffare il mio nome spezzato dappertutto? mi dà sui nervi… Mi ricorda mia…
Niente. Non mi ricorda niente… E’ che non si spezza così un salvagente
Che cazzo dici? Hai fatto appena un tiro e già t’è salito l’effetto?
A te piace il mio nome?
E’ un nome, Sa’
No… è una pietra miliare, ma se ci metti l’accento diventa futuro…
(Risatina, affermativa) Sì… t’è salito l’effetto!

La nostalgia è acqua che tracima lenta e silenziosa… 
Lascio la mano che mi tiene… ma non so se galleggio… Davvero non lo so se ne sono capace…

Nell’anno del signore 1961, in data 12 aprile, avvenne che la donna bionda, fendendo pedalante una folla di curiosi con i visi puntati verso l’alto, tutti unanimemente in cerca di un segno, uno almeno, della presenza in cielo della Vostok Prima e dell’unico abitante suo Gagarin, e sentito dalla viva voce di uno di quelli come il futuro non fosse più cosa che sfugge o che sorprende, poiché lo spazio è futuro e l’uomo, era in quel giorno stesso dimostrato, poteva ormai raggiungerlo in volo… volle spaziare col pensiero suo e suo soltanto, attorno a quello stesso tema e, giunta alla convinzione che il futuro è futuro e neppure si sfiora, prese il cappello che teneva in tasca e lo posò di sbieco sulla testa scura della bambina che portava in sella, come fosse un accento che si posa su un nome, poi aumentò la forza della pedalata

(Come se chiamasse) Sara… 
Sarà!

E avviene, nell’anno del signore questo,
in una notte che non passa mai, con me che a galleggiare proprio non ci riesco 
e lei che sembra non volerne sapere di tornare… 
e lei che sembra invece non volerne sapere di andar via… 
- ché anch’io ho miei bei precedenti Dio Cristo… e stanotte sembrano miele e io come una mosca mi ci sono tuffata -
avviene 
nell’anno del signore questo, in questa notte miele senza senza lampadine,
con me ronzante proprio fuori di me,
avviene
? che gli domando se per caso mi somiglia sua, pardon nostra figlia: 
è bionda, fa con una punta di ironia, ché intanto si prepara la stoccata. 
E infatti:
- nei modi però siete tali e quali, aggiunge… Distruibuisce colpe al cinquanta per cento, in pratica… 
Evito ogni commento e gli chiedo piuttosto se per caso le somiglio a mia madre. 
Era bionda… fa. 
Dei modi che ne sa, mica l’ha conosciuta… 
E delle colpe… delle colpe ancora meno… 
Che poi, che colpe mai saranno state le nostre? 
Cercarsi senza sapere dove… 

Cazzo Sa’, tua madre era stonata forte… 

(a parte) nell’anno del signore 1978, con un disco che in sottofondo inneggia alla mancanza di emozione e di ogni altro sentimento affine, per difesa si capisce, ma è esattamente quello che vorrei per me… proprio fuori di me più o meno come sempre… 

Ma quanti ne ha dipinti?
Una vita 
La mia neanche sa come si tiene un pennello (guarda, masticando) Sono carini… non si capisce un cazzo, ma sono carini… Tipo questo prato, Sa’… questo prato è bellissimo!
E’ un incendio
Verde, Sa’?
Verde…
Nel ’69 si firmava Jan Palach tua madre?
Non è la firma è il titolo… Si chiamava così il tizio che si è dato fuoco (pausa lunga) Tu bruceresti per un ideale?
Io, Sa? No… non credo… O forse sì… Cioè dipende… Più no che sì comunque… E’ che il fuoco a me mi fa impressione… Cioè potrei annegare per un ideale… ma magari non è la stessa cosa (ride stupida) E questo, Sa’?
Lascia stare…
(Già ha capito e riprende a ridere stupidamente) Com’è che il colore è ancora fresco?
Dai… lascia…
(Ride) Ti sei messa a dipingere piatti…
Era solo una prova! 
(Ride) come tua madre…
Era una prova, t’ho detto!
(Ride) Non posso crederci, Sa’! (ride) fa veramente schifo (ride) ma che cazzo è? 

(esasperata) Dolore! E va ‘a fa nculo!


Nell’anno del signore1969, in data 16 dicembre, avvenne che la donna bionda, appresa la notizia del volo verso il basso di tal Giovanni Pinelli detto Pino e immaginatolo inerme, col profilo schiacciato sull’asfalto poroso e gelido e per nulla accogliente, provò una rabbia incontenibile e un incontenibile bisogno di cercare ragioni e volle, lei così curiosa dei più curiosi fatti della terra e del cielo, ? raffrontare la sorte di quel novello Icaro suo malgrado 
con quella ben più gloriosa di tal Neil Armstrong, che a sette mesi da lì, nell’anno del signore 1969, in data 21 luglio, a seguito di un volo verso l’alto preparato con cura, non il profilo, ma il piede aveva posato, esitante e curioso insieme, sul finalmente conquistato suolo lunare… 
E, stringendosi nel maglione pesante, come a dicembre del resto è normale fare, e raffrontando – come del resto si era proposta - tali sorti così diverse e strabilianti insieme, 
prese atto, con doloroso senso di impotenza,
che non vi era verso, 
? in quell’anno così variegato e gravido di ineludibili conseguenze 
di far chiamare le cose con il loro nome e dire i fatti per quel che i fatti sono, ché un omicidio è un omicidio e dicembre è dicembre, 
e immaginò che ciò probabilmente accadeva 
in seguito ad un bizzarro mescolarsi e confondersi delle parole, 
ché magari era una sorta di Babele quell’anno e nessuno, tranne lei, se ne accorgeva…
perché accadeva 
e ne era ella stessa testimone
? accadeva in quello strano e gravido di conseguenze e variegato anno ormai giunto alla fine, 
che qualcuno parlasse di libera scelta o al limite di caso, per certi morti evidentemente ammazzati e di autunno caldo, per un mese che il freddo lo tagliavi col coltello, ché era evidente che l’autunno era finito da un pezzo… 
E dunque, stringendosi nel maglione ancora e ancora
a ulteriore riprova del fatto ché dicembre è dicembre ed a dicembre così è normale fare 
la donna bionda, 
gelida di raffronti e calda di filosofia struggente e struggente di rabbia e frastornata e in cerca di ragioni, 
comprese, con non poco spavento, che la vita diventa morte quando una spinta inattesa ne capolvolge il senso… 

Mettiamo un giorno, il 7 luglio, 
mettiamo un anno… una città… una casa e un’ora: le 18. 40
e mia madre mettiamo che posato il pennello, regala a me, proprio fuori di me, allo scoccare del mio dodicesimo compleanno, il terzo piatto della giornata: soggetto: fuga di capelli biondi e neri e profili accostati…
titolo: Sono contenta che ci sei
E io resto in silenzio 
E lei mi guarda e ripete, rassicurante: 
Sono contenta che ci sei, davvero… 
E poi mi dice:
Esco… 
E… 
Faccio prima che posso, aggiunge…
E in tutto quel suo dire c’è il mio nome che manca e io dico sferzante: 
Com’è che non mi chiami?
E lei non mi risponde
E posa il dito sporco di colore sul mio naso arricciato di rabbia o di chissà quale altro sentimento confuso per me, così fuori di me da perdermi allora come adesso e ride e dilaga la sua risata in parolette bianche come denti su cui barbaglia rugiada di saliva divertita… 
e: sei così buffa adesso
e: sei così carina… 
ma il nome ancora no e non più da allora
e la porta di casa si chiude…

e… 

avrebbe potuto avvertirmi Dio Cristo…
ché… con un naso sporco di colore con quale dignità lo accogli un pugno che frantuma?

Mettiamo una città, una casa…
mettiamo un giorno, il 7 luglio, 
mettiamo un anno: questo
e mettiamo dentro di me, sempre più fuori di me e madida di nostalgia e dei miei bei precedenti, tutto il tempo passato 
e questa notte intera mettiamo
e l’alba, che già formicolante toglie alla notte un po’ del suo livore
mentre lievita il mio
in nome di una data sberleffo che unisce vita e morte
ché oggi hai un anno di più, bella!
e un altro anno oggi segna la distanza dall’ultima voce di mia madre 
monca del mio nome
(sarcastica) che magari proprio quel giorno aveva deciso di cominciare a galleggiare da sola…

E mettiamo la porta di casa che si apre… 

E lui mi dice: (a voce bassa, ma imperioso) fa finta di dormire 
mentre la sento mia, pardon nostra figlia
la sento che muove passi sottili come aghi
e lui ancora: Non dirle niente, chiudi gli occhi e fa finta - ripete
(carica di rabbia e dispettosa, ma a voce bassa, per non farsi sentire dalla figlia ) E io mi impenno, invece!
di sconcencertanti banalità m’impenno, che questa casa non è un albergo e lei ci deve quanto meno rispetto
che sono politicizzata, permissiva, ma piena di contraddizioni sono e le rivendico tutte quante Dio Cristo
che l’ammazzerei mia, pardon, nostra figlia
con quel suo ostinato, stramaledetto, languido, adolescenziale silenzio
che non mi sono forse rimboccata le maniche, 
che non ho forse provato a gestirlo?
Certo non saranno un gran che le mie domande, 
Ma sono pur sempre un modo per cercare un contatto, Cristo Dio,
che a questo vorrei arrivare, anche quando le chiedo semplicemente…

Tutto bene? 

Come ieri, per esempio…

Tutto bene?

Il movimento della testa lascia intravedere un sì… Non le credo, ma devo cercare un contatto, appunto e allora guai a darlo a vedere e così mi adeguo al silenzio e la mia risposta è un sorriso di ostentata soddisfazione… e continuo a sorridere, mentre mia, pardon nostra figlia allunga l’occhio liquido, un po’ troppo liquido sul piatto di pasta fumante… ma a tavola non siede, alzo le sopracciglia come a dire: non mangi? Il movimento della testa lascia intravedere un no, e annuisco pacata e sorrido amichevole e ancora con lo sguardo oso una debole supposizione: non hai fame? E lei di nuovo ondeggia il capo e mi stringo nelle spalle come a dire: pazienza

Se andiamo avanti così possiamo metter su insieme un bello spettacolo di mimo… io, te e tuo padre … 

Mi impenno 
Nel nome di lei e dei miei precedenti 
e di chissà quali altri sentimenti confusi per me proprio fuori di me
che non l’ho certo messa al mondo per restare sola 
e il letto o dondolo o catapulta matrimoniale dà sfogo alla sua precarietà capriolandoci beffardo
e ci troviamo a terra, imprigionati fra macerie di stelle finte e brandelli di lenzuola bassetti
mentre la luce nel corridoio si accende e la incornicia la soglia luminosa 
e lei ci guarda
e qualcosa scintilla sui suoi denti bianchi
forse un barbaglio di saliva divertita
e mi sfioro la punta del naso, ché pagherei adesso per una goccia di colore…

nell’anno del signore 1970, in data sette luglio avvenne che la donna bionda di un biondo di cui solo l’estate è capace, percossa alle spalle da una fulminea e inaspettata foga di banale lamiera, fra un lamento di freni e un gridare tutto intorno, volle protendere le braccia verso il cielo, ambendo a trasformare in volo quella grossolana, per lei così ambiziosa, occasione di morte… e sorrise lieve nel farlo, teorizzando che rende piccole e inadeguate persino le aquile, la morte, e simili le rende più che a regine dei cieli, a galline, in quel loro inevitabilmente frenetico e disperato aleggiare a vuoto nel goffo tentativo di non precipitare poi, com’ella adesso precipitava… 
e le sembrò chiaro che la morte alfine è quanto di più spietatemente ridicolo la vita ha in serbo… è uno sgambetto la morte pensò, sbattendo il profilo sul tappeto di catrame, madido di afa e della sua saliva spaventata… 

E lei ci guarda, ferma sulla soglia
Bionda di un biondo di cui solo mia madre era capace

Cazzo fate così? 

Anneghiamo qua dove sì può, rispondo
che tanto alla crociera anche quest’anno c’abbiamo rinunciato…

E ride 

E mi sfioro la punta del naso 

E rido anch’io…