GIUSEPPE Z.

di

Peppino Mazzotta


personaggi:

Giuseppe Z.
Dixie
Agente
Pasquale Grandinetti
Giudice



Giuseppe Z. è completamente nudo. Un asciugamano bianco avvolto intorno ai fianchi gli copre le parti intime.

GIUSEPPE Z.
Che volete sapere? Il come, il quando, il perché? Quello che è fatto è fatto. E le cose, tutte le cose, sono finite una volta fatte. Tra il dire e il fare non ci passa il mare e manco un filo d'erba. Un lampo ci passa. Il tempo non cammina. Il tempo è un Giuda falso e traditore che ti bacia per darti torto e farti fesso. Il perché come lo spiego? Il perché è lungo una vita, la mia vita e non si può spiegare così in due parole. Posso dire che tutto è partito da un cavallo. Un cavallo spelacchiato, nero come la notte che gli hanno messo nome Roosevelt. Questa mattina nella seconda corsa “Roosevelt” è arrivato primo, pagando trenta volte la posta a chi lo aveva giocato. Tutti dicevano che era zoppo e pure troppo anziano. Ma questa mattina si è preso una soddisfazione e ha vinto lui. Allora io ho pensato: “vuoi vedere che è il destino che mi parla? Che mi dice sì, con le gambe di un cavallo?”. E mi sono avviato a piedi, con la mia idea in testa e con la pistola in tasca. In giro c’erano questi incappucciati… come li chiamano… cluclukan… che li vedi sempre da tutte le parti appena c’è una cerimonia, pure piccola. Figuriamoci oggi che la cerimonia era bella grossa, per via del presidente che veniva a parlare al parco. Allora io camminavo muro muro, ispezionando bene chi veniva e chi andava, chi avevo dietro e chi davanti, chi mi guardava e chi no. Pensavo solo alla strada da fare senza intoppi per arrivare al parco. Quello era il posto. Il posto dove dovevo arrivare. Una striscia di quaranta acri, lunga un quarto di miglio dove il mondo doveva inciampare sulla mia pistola e finire faccia a terra. Ma questo lo sapete già. Però forse non sapete che quel parco lo hanno fatto con la terra della baia di fronte, ed è costato la bellezza di due milioni e mezzo. Soldi per spostare la terra da qua a là. Soldi pure nostri. Che uno non capisce come ragionate voi ‘mericani, invece di costruire dove c’è la terra, spostate la terra dove volete costruire.
C'è pure un palco tipo teatro per i musicanti che vogliono suonare e per i politicanti che vogliono fare discorsi e quando sono arrivato, le autorità aspettavano su questo palco, come ai matrimoni i parenti aspettano la sposa. A terra invece non trovavi più un centimetro libero per sistemarti ché tutti erano volati là come le api al miele. Io mi sono fatto largo, a forza di gomiti nei fianchi, di chi mi capitava a tiro e pensavo solo alla pistola in tasca. Ci tenevo la mano sopra. Poi uno mi ha detto: “Scusa ma dove pensi di andare?” “Vado proprio avanti” ci ho detto. “Non puoi andare più giù … non lo vedi che è pieno?”. “A me non mi pare. Io sono piccolo e un posto sicuro lo trovo.” Ma lui insiste:“Ci sono molte persone sedute a terra e non è giusto che tu vai a metterti davanti a qualcun altro.” Se continuavo a discutere capace che davo nell'occhio. Allora mi sono fermato dov’ero. Vicino a quello che non si era voluto fare i cazzi suoi. Erano le nove. Ormai era buio. E dal buio, senza cappello, con un abito grigio il presidente è apparso. Giuro, non è stato un arrivo ma proprio un’apparizione: un attimo prima la passerella era vuota e un attimo dopo c’era lui. Sorrideva e salutava tutti con la mano, così. Un po’ a destra, un po’ a sinistra e un po’ al centro. C’era troppa gente, per i miei gusti. Spingevano, urlavano, ridevano… battevano le mani… qualcuno piangeva pure, pareva di stare in un pollaio dove ci è entrata la volpe. Poi un tizio sul palcoha detto al microfono: “Signore e signori il nostro presidente!” Allora hanno perso tutti la lingua e gli è pigliata la paralisi. Mi pareva che non respirava più nessuno, si sentiva solo il respiro del presidente dentro al microfono, respirava lui per tutti. Io cercavo un buco dove infilarmi ma non lo trovavo. Volevo avvicinarmi, mi volevo mettere in modo che potevo sparare bene, dritto per dritto, con una certa precisione. Ma ci fu un impedimento. C'è stata una signora che mi ha portato disturbo. Spostava il peso prima a destra, poi a sinistra, saltellava allungando il collo come una gallina e, con lei davanti, non vedevo proprio niente. Ho pensato ‘adesso si sposta, visto che non sa dove fare l’uovo’ e invece quella è salita su una sedia. Mi stava facendo perdere l’attimo; Ho detto ‘o adesso o mai più’ e sono salito sulla sedia pure io insieme alla signora. Mi sono tirato sulle punte dei piedi e ho buttato il braccio armato avanti, poggiandolo sulla sua spalla. La signora sbraita: “Uccide il presidente!” e io sparo.
QUADRO PRIMO
Giuseppe Z., Dixie

Giuseppe Z. è seduto sulla branda con un asciugamano intorno ai fianchi. E’ notte fonda. Dixi entra con in mano gli abiti della prigione: camicia blu di flanella e pantaloni grigi a strisce. Indossa una divisa che fa pensare a una suora o a un’infermiera. In effetti, i suoi compiti sono vari: attività di segreteria, stenografia, assistenza ai detenuti.

DIXIE
Devi mettere questi.

GIUSEPPE Z.


DIXIE
Mi hai sentito? Se ti serve altro me lo puoi chiedere e io vedo cosa posso fare.

GIUSEPPE Z.
La mia valigia voglio, ché dentro ci sono le mie cose. I miei pantaloni e tutto.

DIXIE
Devi metterti questi di pantaloni, è la regola.

GIUSEPPE Z.
Che cos’è, un pigiama?

DIXIE
Una specie.

GIUSEPPE Z.
Mi serve il sapone.

DIXIE
Domani.

GIUSEPPE Z.
E una ‘sciugamano piccola per la faccia.

DIXIE
Anche quella domani.

GIUSEPPE Z.
Manca uno specchio pure.

DIXIE
Lo specchio non è possibile averlo in cella, è la regola.

GIUSEPPE Z.
E io come faccio a farmi la barba?

DIXIE
Una volta a settimana vai nei lavatoi comuni in fondo al corridoio. Lì ci sono tre specchi.

GIUSEPPE Z.
Non posso andare quando dico io?

DIXIE
No. Una volta a settimana. E’ la regola.

GIUSEPPE Z.
Pure a fare i bisogni devo andare quando dite voi?

DIXIE
No.

GIUSEPPE Z.
Ma qui dentro lavorano pure le femmine?

DIXIE
Tanto quanto i maschi.

GIUSEPPE Z.
Un carcere non è posto per femmine. Le femmine sono delicate e il carcere invece è duro. Non ci sono le mutande.

DIXIE
Lo so. E’ la regola.

GIUSEPPE Z.
Per come la vedo io, l’unica regola è che devi avere rispetto della legge se porta al meglio e se invece ti porta al peggio devi stare fuorilegge. Gli animali non portano le mutande… però io non sono un animale e le mutande le uso.

DIXIE
Passo a riprendere l’asciugamano più tardi.

GIUSEPPE Z.
Andate a prendere la mia valigia… la andate a prendere in albergo e me la portate… l’indirizzo già lo dissi ai suoi colleghi sbirri. Nella valigia c’ho tutto. Tutto quello che mi serve. Pure per farmi la barba e le unghie. Che non voglio fare la fine del barbone qua dentro.

DIXIE
Va bene. Intanto vestiti.

GIUSEPPE Z.
Così mi hanno trattato, come un mendicante di strada, un vagabondo. Mi sono volati addosso come una tonnellata di mattoni. Uno mi voleva strangolare, uno mi dava in testa con uno sfollagente mentre gli altri mi prendevano a calci e pugni perché mi incolpavano di tutto in quel momento, dei loro guai, dei loro morti; ogni calcio, pugno o bastonata aveva il suo motivo da sfogare. Uno dei suoi amici e colleghi mentre mi menava dice che ha perso la sua busta paga e pure di questo mi vogliono incolpare. E allora io, che mi hanno preso la pistola? Non ci ho perso otto dollari? Ma con voi mericani chi ci capisce. Ragionate al rovescio.

DIXIE
Ora sei al sicuro, vestiti.

GIUSEPPE Z.
Sicuro sono se mi date le mutande. Non mi posso vestire.

DIXIE
Io non so se e quando riesco a trovarti delle mutande.

GIUSEPPE Z.
Non è per quello.

DIXIE
E allora perché?

GIUSEPPE Z.
Per i fotografi.

DIXIE
Ti hanno già fatto le foto.

GIUSEPPE Z.
Sì, un migliaio, penso. Ma se devono venire altri fotografi e giornalisti non mi posso vestire.

DIXIE
Li incontrerai vestito.

GIUSEPPE Z.
No, vestito non è buono.

DIXIE
Come?

GIUSEPPE Z.
Giuseppe vestito non va bene sulle fotografie.

DIXIE
Per quale ragione?

GIUSEPPE Z.
I vostri capi e professori e sbirri di questa baracca, non ve lo dissero?

DIXIE
Cosa dovevano dirmi?

GIUSEPPE Z.
Loro vogliono che tutti mi vedono così. Nudo come un verme.

DIXIE
I tuoi vestiti erano strappati e pieni di fango, non te li si poteva lasciare addosso.

GIUSEPPE Z.
I vestiti me li hanno strappati apposta e apposta mi hanno dato questa ‘sciugamano. Perché lo capiscono anche loro che sui giornali non ci posso andare con le intimità in mostra. Ma io, ai professori e sbirri, che magari sono amici vostri, gli ho fatto un dispetto bello grosso: a ogni scatto ridevo a pieni denti e così, sulle fotografie, sono uscito sorridente. Nudo e contento sono uscito, né abbattuto né vinto, come si credevano loro. Ditecelo ai vostri superiori che a me non mi abbatte nessuno, manco le fiamme dell’inferno. Se devono venire ancora a farmi l’intervista e il cinematografo, possono venire, che io di cose da dire ne ho parecchie. Vengono e poi scrivono, così tutti sanno chi sono, cosa ho fatto e perché.

****
“Alle ore nove a.m. l’agente Sinnot è stato sottoposto a un intervento chirurgico programmato, per la rimozione di una scheggia di proiettile conficcata nell’osso parietale. L’intervento è stato eseguito senza alcuna complicazione. Il paziente si è risvegliato dopo poche ore in condizioni ottimali. Le sue attività vitali sono buone. Tuttavia resta iscritto, per il momento, sul registro dei pazienti critici, come d’obbligo per casi come il suo.”
****

QUADRO SECONDO
Agente, Dixie

DIXIE
Non piove più.

AGENTE
Meglio così, non ho portato l’ombrello.

DIXIE
Lampi e tuoni tutta la notte… sembrava che dovesse venire la fine del mondo e invece…

AGENTE
La pioggia la sopporto pure ma questo tempo indeciso, né sole, né acqua, mi dà ai nervi. Posso fumare?

DIXIE
Io…

AGENTE
Dica, senza timore.

DIXIE
Io… il fumo non…

AGENTE
Non posso fumare. Benissimo.

DIXIE
Quanto zucchero?

AGENTE
Nulla. Amaro.

Dixie porge una tazza di caffè all’agente.

AGENTE
Il caffè lo dobbiamo a delle capre, sapete?

DIXIE
No, non lo sapevo.

AGENTE
Pare che un pastore africano porta le capre a mangiare le piante di caffè. Quelle mangiano tutto, bacche e foglie. Si sa come sono fatte le capre… si dice no? “Curiosa come una capra” o “golosa”? Non mi ricordo. Insomma la notte invece di dormire si mettono a saltellare tutte arzille… le capre. Il pastore fa due più due… abbrustolisce i semi, li macina e fa il caffè. E’ una cosa da africani il caffè. Ecco perché in Italia è buono. Il nostro campione ha dormito?

DIXIE
Sì, penso di sì.

AGENTE
Come si è comportato? Ha dato di matto?

DIXIE
No. Tranquillo e collaborativo.

AGENTE
Collaborativo?

DIXIE
Rivuole la sua valigia.

AGENTE
Non è nelle condizioni di fare richieste.

DIXIE
E’ quello che gli ho detto.

AGENTE
E’ tutto storto. Sproporzionato. Non è vero? Se mi devo immaginare il diavolo me lo immagino così. Corto, contratto. Un fascio di nervi. D’ora in poi il diavolo lo immaginerò così.

DIXIE
Ha chiesto un paio di mutande.

AGENTE
Senza mutande non è mai morto nessuno. C’è dell’altro caffè?

DIXIE
Sì, certo.
DIXIE versa il caffè all’agente.

AGENTE
Questa notte è stato un vero caos. Una notte elettrica. Le strade erano piene di gente come a mezzogiorno. Sembrava la fine del mondo. Non dormo da più di ventiquattro ore e la giornata è appena iniziata. Il caffè è una trappola. E’ un richiamo irresistibile per le sigarette. Mi scusi, ma io devo fumare. Mi metto vicino alla finestra, va bene?

DIXIE
Bene, grazie.

AGENTE
Andremo d’accordo io e lei. A che piano stiamo?

DIXIE
Il ventiquattresimo.

AGENTE
Caspita! Non sono mai stato in un edificio così alto. Il colpo d’occhio è da capogiro. Non è un fottuto formicaio là sotto? Un fottuto formicaio impazzito?

DIXIE
Sì, è un po’ insolito vedere tutto questo movimento… tutta questa gente …

AGENTE
E per chi? Per un muratore disoccupato che non sa mettere due parole in fila. Uno che viene da una terra selvaggia che, per quanto ne so, potrebbe anche non esistere. Uno a cui non abbiamo fatto un cazzo di torto, con cui non abbiamo conti in sospeso. Io l’ho sempre detto che questi gumpà sono gentaglia pericolosa, avanzi di galera che non si fermano davanti a niente e a nessuno. E poi puzzano. Si spalmano quintali di brillantina sui capelli, ma puzzano come buoi. Eh, per forza...Non si lavano… vivono in dei letamai. Le epidemie arrivano sempre dai loro quartieri, ci faccia caso.

DIXIE
Lui non puzza.

AGENTE
Vorrà dire che abbiamo arrestato l'eccezione che conferma la regola.

DIXIE
Mi scusi ma mi sembra eccessivo prendersela con tutti, quando la colpa è di uno solo.

AGENTE
Che vuol dire?

DIXIE


AGENTE
Da dove viene lei?

DIXIE
Da Jacksonville.

AGENTE
E lì non avete problemi con gli immigrati e i verdi?

DIXIE
No. Non c'è razzismo dalle nostre parti.

AGENTE
Da quanto tempo lavora qui?

DIXIE
Tre anni.

AGENTE
E chi vede qua dentro?

DIXIE
Come?

AGENTE
Non è pieno di italiani, indiani, ungheresi, irlandesi? No, non ci casco. Troppo comodo. Quando qualcuno dice le cose come stanno arriva la parolina magica che va tanto di moda di questi tempi: "Razzismo". E finisce che un guinea ha più diritti di chiunque altro. Guai a dire che la maggior parte di loro sono galeotti… sei un razzista! Che il loro paese li aiuta a emigrare per liberarsene… sei un razzista! Io, per sua informazione, non sono un razzista ma ho il diritto di dire quello che penso, o no? Di dire le cose per quello che sono. E non per fare bella figura nei salotti. Cosa c’entra il razzismo? E’ vero o non è vero che negli ultimi anni qui sono arrivati solo criminali? Risponda.

DIXIE


AGENTE
Dovremmo negare l’accesso a tutti. Altro che razzismo. Soprattutto a siciliani, napoletani e calabresi. Superstiziosi, ignoranti che non vogliono lavorare e vivono di rapine.

DIXIE


AGENTE
Mettiamo un punto e andiamo accapo. Basta gumpà. Come stai gumpà, tutto a posto gumpà, come ti butta gumpà. La gente onesta ha paura ogni volta che sente dire gumpà. Da quando abbiamo arrestato il nostro amico Joe, hanno cominciato a girare macchine decappottabili piene di “gumpà”… macchine con mitragliatrici. E’ meglio non fare tanto i romantici.

DIXIE
Io non le ho viste.

AGENTE
Cosa?

DIXIE
Le mitragliatrici.

AGENTE
Fa dello spirito?

DIXIE
No, mi scusi, volevo solo dire che noi siamo un popolo civile…

AGENTE
Vuole sapere cosa siamo noi? Siamo quelli che hanno perso. Noi quassù e quelli là sotto. Abbiamo perso tutti. Il nostro Joe, invece, vince il piatto senza neanche fare la puntata. Fino a ieri, se decideva di spararsi un colpo in testa o finiva sotto un tram, non se ne sarebbe accorto nessuno, e adesso è più considerato di Al Capone. Una processione continua di visitatori, giornalisti, fotografi… Un cazzo di formicaio. Anche gente altolocata… uno pare che è andato per chiedergli il permesso di vendere la pistola con cui ha sparato al Parco. Cose da pazzi.

DIXIE
Lo avete lasciato nudo davanti ai fotografi e allora lui per reagire ha fatto lo spavaldo.

AGENTE
Lei è comunista?

DIXIE
No.

AGENTE
E’ di origine italiana?

DIXIE
No.

AGENTE
Ma allora mi spiega che le frega di un immigrato italiano?

DIXIE
E’ un cittadino americano.

AGENTE
Va bene. Che le frega di un italiano naturalizzato?

DIXIE
Nulla… Mi scusi.

AGENTE
Ho capito, lei è una di quella che trova una mosca in ogni minestra… Mi ero sbagliato sul suo conto.

DIXIE
….

AGENTE
Non credo che andremo d’accordo.

****
“La signorina Mabel Gill è stata sottoposta, questa mattina, a un intervento chirurgico ritenuto urgente. I medici hanno rimosso il proiettile che ha perforato il suo intestino e, contestualmente, hanno curato le lesioni interne. L’intervento è perfettamente riuscito. La paziente si è risvegliata e ha chiesto dell’acqua. Rimane iscritta nella lista dei degenti critici per ragioni di sola prudenza.”

****

QUADRO TERZO
Agente, Giuseppe Z., Dixie

AGENTE
Joe, tu mi capisci quando ti parlo?

GIUSEPPE Z.
Certo che ti capisco. (A Dixie) Buongiorno, avete dormito bene?

DIXIE
Sì, grazie.

GIUSEPPE Z.
Mi fa piacere.

AGENTE
La vuoi un po’ d’acqua, Joe?

GIUSEPPE Z.
No, sto bene così. Quando la voglio te la chiedo.

AGENTE
Da dove vieni, Joe?

GIUSEPPE Z.
Sono calabrese.

AGENTE
Italiano.

GIUSEPPE Z.
Italiano di Calabria.

AGENTE
Sei mai stato nei guai?

GIUSEPPE Z.
Guai ne ho avuti sempre.

AGENTE
Voglio dire, hai mai avuto guai con la legge?

GIUSEPPE Z.
No, nessun guaio. Non sono stato carcerato neanche una volta. Questa è la prima e pure l’ultima. Ma la signorina che fa?

AGENTE
Scrive.

GIUSEPPE Z.
Cosa scrive?

AGENTE
Quello che diciamo.

GIUSEPPE Z.
Allora dobbiamo parlare adagio sennò come fa a starci appresso. Giusto signorina?

AGENTE
Non ti preoccupare, lei sa come fare. Dove sei nato, Joe?

GIUSEPPE Z.


AGENTE
Non vuoi rispondere? Ti ripeto la domanda: “Dove tu nascere, Joe?”

GIUSEPPE Z.
Chi te l’ha detto a te che io mi chiamo Joe?

AGENTE
Non ti chiami Joe?

GIUSEPPE Z.
No.

AGENTE
E come ti chiami?

GIUSEPPE Z.
Mi chiamo Giuseppe.

AGENTE
E non è la stessa cosa?

GIUSEPPE Z.
Non è la stessa cosa. Signorina, scrivete che mi chiamo Giuseppe.

AGENTE
Non vuoi che ti chiami Joe?

GIUSEPPE Z.
Tu mi puoi chiamare come vuoi. Però se mi chiami Joe, io penso che stai parlando a qualcun altro e non ti rispondo.

AGENTE
Fa un sorriso come se fosse stato colto in fallo.
Se non vuoi parlare con me, allora sei solo… Joe.

GIUSEPPE Z.
Solo sono stato tutta una vita, ti pare che mi viene scanto proprio adesso?

AGENTE
Se tu rispondi alle domande che ti faccio, io provo ad aiutarti. Ti giuro che faccio di tutto per darti un appiglio.

GIUSEPPE Z.
A me mi hanno imparato che quando uno ti domanda è educazione rispondere. E io sono educato.

AGENTE
Anche se continuo a chiamarti Joe?

GIUSEPPE Z.
Che dobbiamo fare? Parlare tutto il giorno di questi salamalecchi? Chiamami come ti piace, tanto a voi poco vi frega di me e di tutti quelli come me.

AGENTE
Chi sono quelli come te?

GIUSEPPE Z.
Io sono povero e ‘taliano.

AGENTE
E quelli come te sono i poveri italiani?

GIUSEPPE Z.
No, sono i poveri di tutte le razze e i ‘taliani anche.

AGENTE
Joe, dove sei nato?

GIUSEPPE Z.
A Ferruzzano. Provincia di Reggio. Reggio Calabria

AGENTE
Quanti anni hai?

GIUSEPPE Z.


AGENTE
Non ti ricordi quando sei nato?

GIUSEPPE Z.
Perché tu te lo ricordi?

AGENTE
Io me lo ricordo.

GIUSEPPE Z.
Non dire fesserie. Nessuno si ricorda niente di quando è nato. Te lo ricordi perché qualcuno te l’ha detto a un certo punto. E tu ci ha creduto.

AGENTE
Insomma non vuoi riferire la tua data di nascita?

GIUSEPPE Z.
Ti posso riferire il sentito dire: il sentito dire è 7 settembre del 1900.

AGENTE
E quando sei arrivato qui?

GIUSEPPE Z.
Due o tre mesi fa, con l’autobus.

AGENTE
Non a Miami, in America quando sei sbarcato?

GIUSEPPE Z.
Nel ‘23… a settembre.

AGENTE
Quando esattamente?

GIUSEPPE Z.
Non mi ricordo.

AGENTE
Te lo dico io: il primo settembre.

GIUSEPPE Z.
Perché mi fai le domande per sapere le cose, quando le cose le sapete già?

AGENTE
Dove sei alloggiato, Joe?

GIUSEPPE Z.
Ora?

AGENTE
Sì, ora.

GIUSEPPE Z.
Al 126 northeast della 5th Street, vicino al parco, al terzo piano. Pago due dollari a settimana.

AGENTE
La valigia che abbiamo trovato in casa è tua?

GIUSEPPE Z.
Avete visto signorina? L’ha fatto ancora.

AGENTE
Cosa?

GIUSEPPE Z.
Se lo sapete dove abito, perché me lo chiedete?

AGENTE
La valigia è tua?

GIUSEPPE Z.
Penso di sì.

AGENTE
E la roba che c’è dentro è tua?

GIUSEPPE Z.
Se la valigia è mia, pure la roba è mia. Se mi dite che custodiva vi posso dare la conferma.

AGENTE
Vestiti e poi giornali. Tu avevi conservato dei giornali?

GIUSEPPE Z.
Certo, dei ritagli.

AGENTE
Molti sulla visita del presidente?

GIUSEPPE Z.
Sì. C’era pure uno che diceva che si è fatto un’assicurazione di 50.000 dollari sulla vita?

AGENTE
Sì, c’era, insieme a un ritaglio sull’assassinio di Lincoln.

GIUSEPPE Z.
Allora la valigia è mia, sicuro garantito. Me la dovete ridare. Mi serve.

AGENTE
A che ti serve?

GIUSEPPE Z.
Ci sono tre manuali di grammatica.

AGENTE
Devi studiare?

GIUSEPPE Z.
Pure. Ma il fatto è che ci sono affezionato.

AGENTE
Per ora la teniamo noi.

GIUSEPPE Z.
Se ve la trattenete siete disonesti, non è roba vostra.

AGENTE
Joe, hai denaro da parte?

GIUSEPPE Z.
Sì, perché lo vuoi sapere? Me lo sono sudato tutto il denaro che ho.

AGENTE
Dove ce l'hai?

GIUSEPPE Z.
All’ufficio postale.

AGENTE
All’ufficio postale?

GIUSEPPE Z.
Certo. Lì, pure che ti sposti, puoi chiedere i soldi tuoi, ché loro si passano parola da una città all’altra e sanno sempre quanti ne puoi prendere. Se ce li hai oppure no. Per me era comodo.

AGENTE
Quanto?

GIUSEPPE Z.
200 dollari. Avevo pure 45 dollari in tasca; ma i tuoi amici e sbirri hanno fatto sparire i miei pantaloni e pure i dollari che c’erano dentro.

AGENTE
Solo 200 dollari?

GIUSEPPE Z.
2.000 dollari e mezzo erano. Ma con quei soldi ci ho campato gli ultimi due anni. Dovevo mandare pure i soldi a mio padre. Poi il lavoro non c’è stato più e non gli ho mandato più niente. Mi dovevo arrangiare io e perciò si doveva arrangiare macari lui. E vi dovete arrangiare pure voi, 200 dollari sono rimasti. Avete capito? Vi fate bastare 200 dollari. Ché io l’ho intesa la suonata.

AGENTE
Sarebbe?

GIUSEPPE Z.
Mi volete ‘mazzare e tenervi la valigia e i soldi. Scrivete signorina. Scrivete bello grosso.

AGENTE
Detto tra noi Joe, i miei colleghi sono parecchio arrabbiati… non l’hanno proprio digerita la tua bravata al parco. E’ gente pratica e sbrigativa… sono abituati a risolvere le cose a modo loro senza tanti complimenti, mi capisci? Una bella ripassatina te la darebbero molto volentieri. Ma fino a quando tra te e loro ci sono io, nessuno ti torcerà un capello o si prenderà le tue cose.

AGENTE
E perché mi devi usare questa cortesia? Lo dici così la signorina lo scrive che non mi ‘mmazzate e se mi trovano morto avete la scusante e nessuno vi può fare niente!

AGENTE
Io ti garantisco che davanti al giudice ci arrivi tutto intero.

GIUSEPPE Z.
Che pensi, che mi fate scanto? Che dissi quando venimmo qua? “Niente vestito e niente scatolo.”

AGENTE
Quale vestito?

GIUSEPPE Z.
Ah, non lo sapete? Lo sbirro sceriffo che mi portò qua mi disse se volevo che mi mettevano in uno scatolo per portarmi di nascosto. Io ci dissi "niente scatolo". Allora lui mi disse se mi volevo vestire da donna. “Io da donna non mi vesto” ci dissi: “Niente vestito!” Non ho cose da vergognarmi e non mi devo nascondere, se qualcuno mi vuole ammazzare, voi o chi per voi, accomodatevi.

****
“Mr Cermak ha riposato tutta la notte. Le possibilità di complicazioni sembrano remote. Le radiografie rivelano che né il polmone destro, perforato dal proiettile, né il sinistro, mostrano segni di ascesso, nessuna congestione o pus. Il cuore funziona al meglio. E’ guidato a seguire una dieta leggera. Per il momento resta iscritto nella lista dei pazienti critici.”
****

QUADRO QUARTO
Pasquale Grandinetti, Giuseppe Z.

Entra un uomo vestito come Giuseppe Z. e sistema la sua coperta sul tavolaccio libero.

GIUSEPPE Z.
Si avvicina alla porta e urla attraverso la grata.
Mister! Signore guardia! Mister! Che mi avete fatto? Io solo devo stare. Signoreguardia! Signoreguardia!!!

GRANDINETTI
Cumpà, finiscila. U secondino non ti pote rispundere.

GIUSEPPE Z.
Ma si paesanu?

GRANDINETTI
Calabrise.

GIUSEPPE Z.
Macari eu.

GRANDINETTI
Mi chiamu Pasquale.

GIUSEPPE Z.
Pasquale cumu?

GRANDINETTI
Pasquale Grandinetti. Vossia?

GIUSEPPE Z.
Giuseppe.

GRANDINETTI
Giuseppe come?

GIUSEPPE Z.
Giuseppe come Giuseppe.

Pausa

GIUSEPPE Z.
Chi ti mittiu ccà dintra?

GRANDINETTI
Chi 'ndi pozzu sapiri eu? Mi mentunu aundi vogghiunu.

GIUSEPPE Z.
A mia a cumpagnia numm’aggrada.

GRANDINETTI
Ma chi ti cridi ca stai in albergu e ti pigliasti a camera doppia uso singola? Quantu a pagasti?

GIUSEPPE Z.
Nente pagai. E’ na galera.

GRANDINETTI
Ecco, dicisti bonu. E in galera aunde ti mintanu, là stai e mutu.

Pausa.

GRANDINETTI
Voi fumare?

GIUSEPPE Z.
No, tengo già abbastanza guai.

GRANDINETTI
Nunn’hai a passare nessunu guaiu. Chista ma dessi u secundinu ccà fore. Ci promisi nu dollaro. E iddu mi procura sigarette e frospari. Mi dissi: “Si dai fuacu a ri cuoperte, a porta chiusa resta. Te fazzu fare a fine du surice”. Sbirru di merda! Allura nun voi fumare?

GIUSEPPE Z.
No, nun ‘ciu fazzu stu favore ai capitalisti.

GRANDINETTI
Chi dicisti?

GIUSEPPE Z.
U guardia ti dezzi a sigaretta pecchì ti voli ‘mmazzari. E a iddu cia dezzi quacchedunu ca u voli mazzari. Saglia, saglia, tra vendita e acquisto, in cima trovi a chiddu vastasu capitalista chi faci i sordi ammazzandu la gente ccù u tabaccu. Fuma si voi fumari e nun fiatari cchiù.

Pausa. Grandinetti si accende la sigaretta nel silenzio.

GRANDINETTI
E aundi si tu?

GIUSEPPE Z.
Du paise aunde ognuno si faci i cazzi soi.

GRANDINETTI
I sugnu di Straci. In rive e mare. U sai und’è?

GIUSEPPE Z.
No.

GRANDINETTI
Me patri però era di Montebello. E me mamma di Platì.

GIUSEPPE Z.


GRANDINETTI
Stai tranquillo ca a mia ccà pocu mi tenanu. Nun fici dannu grossu. Spanzai du nivuri di merda ca mi volivanu futtere. Ci pensi? Nu calabrise ca si fa futtere di du nivurazzi africani. Mai adda essere.

GIUSEPPE Z.


GRANDINETTI
‘Legittima difesa’ ci disse l’avvocato. Quando cocchedunu ammazza nu nivuru di mmerda è sempre ppè legittima difesa. O no? Ccà funziona così. Sicuru mi fanno nescire in un lampo e pure tante grazie mi dicunu. O no?

GIUSEPPE Z.
A mia i nivuri mi sunnu simpatici.

GRANDINETTI
Chi c’intra, puru a mia mi sunnu simpatici. Ma hanno a stare u loro posto. O no? Mi dispiacia di chiddu chi fici. ‘Un sugnu n’armale eu. Ma oramà è fatta. A verità è chi fici n’omicidio ca nun seppi trattenere ppè disgrazia di vinu. Ma ora ‘mbivu sulu acqua. Chista esti a mi cundanna. Tu chi cumbinasti?

GIUSEPPE Z.
Ti 'ndi futta?

GRANDINETTI
Si non voi dire, sta bene.

GIUSEPPE Z.
Sbagliai.

GRANDINETTI
Supa a chistu nun ci chiova. Ccá intra tutti ficiru nu sbagliu.

GIUSEPPE Z.
Mi ficiru sbagliari. Eu vuliva sparari sulu a unu. Unu sulu aviva a patire ppè tutti.

GRANDINETTI
Nente ci capii.

GIUSEPPE Z.
E nenti ci devi capire.

GRANDINETTI
Si scorbutico forte, tu. Eu nun sugnu u tipo ca s'offende, ma tu ti tiri proprio i "vafanculu". Tra paisani nun ci si comporta cussì.

Pausa

GIUSEPPE Z.
Tu travagghiavi?

GRANDINETTI
U persi u travagliu.

GIUSEPPE Z.
E pecchì?

GRANDINETTI
Mi dissiru ca la crisi mi levau u travagliu a mia.

GIUSEPPE Z.
Eccu appuntu… Eu pensu ca chista crisi è nu pappice di ragnu furbu assai.

GRANDINETTI
Chi vena a significari?

GIUSEPPE Z.
U ragnu chi ffà? Stenna li pappici tra muru e muru e poi si piazza e 'spetta. Chi voli fari? Chiappari li musche. Vena a significare chi u ragnu furbu si mangia li musche. Eu vuliva sparari allu ragnu e piscai na vrancata di musche. Mo capiscisti?

GRANDINETTI
No.

***
“La signorina Mabel Gill comincia a dare segni di ripresa. L’infezione, dovuta all’infiltrazione di liquido fecale nella cavità addominale, sta lentamente regredendo. Le stiamo somministrando calmanti e piccole dosi di sonnifero per permetterle di riposare. Non ha avuto bisogno di trasfusioni. E’ cosciente e mangia cibi solidi. La situazione consente di esprimere speranza, pur rimanendo per il momento un paziente critico.”
***

QUADRO QUINTO
Giuseppe Z., Dixie, Grandinetti

DIXIE
Ecco. Più di questo non posso.

Dixie porge a Giuseppe Z. un notes di fogli ingialliti. Z. lo guarda e sfoglia le pagine bianche.

GIUSEPPE Z.
Me lo faccio bastare. Grazie tante.

GRANDINETTI
Svegliandosi.
Ma che ore sono?

DIXIE
Le sei.

GRANDINETTI
E che dobbiamo andare al cantiere? (A Giuseppe Z.) Chi stati facendu?

GIUSEPPE Z.
Sunno cose ca nun ti riguardanu. A signurina vinne ppè mia no ppè ttia. Ripiglia a durmire.

Grandinetti si copre la testa con la coperta.

GIUSEPPE Z.
Pure una penna mi avete procurato?

DIXIE
No, la penna no. Non posso. Son tutte numerate qui. Ti porto una matita da fuori.

GIUSEPPE Z.
Quando?

DIXIE
Domani ne compro una.

GIUSEPPE Z.
No, non si può.

DIXIE
Cosa?

GIUSEPPE Z.
Non potete comprarmi le cose. Non è giusto.

GRANDINETTI
Da sotto la coperta
Uh, quante storie… Faccilla cumprari, ca una matita nun costa nenti.

GIUSEPPE Z.
Nun avivi a durmire tu?

GRANDINETTI
Si vi stati muti, forse.

GIUSEPPE Z.
Io non vi posso dare i soldi della matita.

DIXIE
Non importa.

GIUSEPPE Z.
Importa eccome. Riprendetevi pure questo. Senza matita non serve. Con che scrivo?

DIXIE
Ti do una matita in prestito. Quando finisci me la restituisci.

GRANDINETTI
Non si può fare.

GIUSEPPPE Z.
Perché?

GRANDINETTI
La matita si consuma e non la puoi restituire sana.

GIUSEPPE Z.
Mi devono ridare i miei soldi. E così ve la pago.

GRANDINETTI
Benissimo, te li tornano 'ndietro ccù tutti gli interessi e così t'accatti na bella matita. Pozzu durmire ora?

GIUSEPPE Z.
Poi durmire a sette cuscini.

GRANDINETTI
Questo non dorme mai, signorina. Fa come i cavalli, riposa una gamba alla volta. La sera lo lascio seduto e la mattina lo trovo dove l'avevo lasciato. Io, se non dormo, esco pazzo. Mi saltano i nervi. Quindi se permettete…
Si copre di nuovo la testa con la coperta.

DIXIE
Se qualcuno ti chiede chi ti ha dato i fogli o la matita non dire che sono stata io. D'accordo?
Fa per andar via.

GIUSEPPE Z.
Voi lo sapete perché non dormo?

DIXIE
No.

GIUSEPPE Z.
Io non dormo per una paura che ho.

DIXIE
Il buio?

GIUSEPPE Z.
No, mio padre. Uno il padre non se lo può scegliere, ti devi tenere quello che ti capita e te lo fai piacere perché è l’unico che hai e se ti fa paura, sopporti. Voi avete pescato bene?

DIXIE
Che cosa?

GIUSEPPE Z.
Il padre. Vostro padre è bravo o luciferino come il mio?

DIXIE
Io… non ce l'ho più il papà...

GIUSEPPE Z.
E’ morto?

DIXIE
Sì, un anno fa.

GIUSEPPE Z.
Avete sofferto?

DIXIE
Ora devo andare.

GIUSEPPE Z.
Mia nonna buonanima diceva che ognuno ha il padre che si merita. Diceva pure che uno il padre se lo sceglie. Quando è ancora un pensiero che deve farsi carne, se li guarda tutti i padri e poi si sceglie quello che gli serve proprio a lui per campare sano quando sarà grande e vaccinato. Così diceva mia nonna. Io però, che a mia nonna ho sempre creduto, pure quando mi ha detto che la notte della befana gli animali parlano nella stalla, a quella cosa del padre no, non ci credo io. Non me lo meritavo un padre come il mio.

DIXIE
Cos’è la befana?

GIUSEPPE Z.
E’ una festività. Voi 'mericani non l’avete?

DIXIE
No.

GIUSEPPE Z.
Il sei di gennaio.

DIXIE
No, da noi il sei di gennaio è un giorno lavorativo.

GRANDINETTI
Qua da voi è tutto diverso, pure gli animali sono diversi. Ma comunque, è verità. La notte della befana, signorina, gli animali nella stalla li devi governare come principi e principesse: doppia razione di pasto e paglia fresca perché a mezzanotte prendono parola e si parlano come io e voi adesso. Se sono soddisfatti, sazi, dicono bene del padrone ed è buon augurio e buona fortuna per tutto l’anno. Ma, se non sia mai, dicono male e si lamentano, è malasorte per tutti.

GIUSEPPE Z.
Nun riesci a pigghiuari sonnu?

GRANDINETTI
Si tu e ha fari conversazioni, comu fazzu?

GIUSEPPE Z.
Tutte fesserie, signorina, fantasie di gente ignorante.

GRANDINETTI
Eu nun sugnu ignorante, sugnu credente, ch'è diverso.

GIUSEPPE Z.
Ma tu hai mai sentito parlare qualche bestia?

GRANDINETTI
Ca quale! Mai. (A Dixie) Io quella notte bevo forte e vado a letto presto; mi tappo le orecchie e dormo profondo, perché non si sa mai. Capace che un gatto che passa, un cavallo, un passerotto, un topo, si mettono a fare discorsi e ti buttano la mala sorte addoso. Quei discorsi ti vanno nel sangue, te lo guastano e, tempo due giorni, muori. Non sia mai a sentirli parlare quella notte. C’è stato chi, curioso come una capra, si è messo a spiare e a sentire. Non è arrivato al giorno dopo per raccontarlo….

DIXIE
O mio Dio!

GIUSEPPE
Non lo state a sentire, signorina. Sono tutte bugie. Favole che servono a coprire le cattiverie. Le nonne le devono dire ai nipoti; è tradizione. Ché li devono terrorizzare bene bene. A loro solo il terrore gli piace ché, se sei terrorizzato, tuo padre ti governa meglio e ti comanda con meno fatica. E possono succedere cose come questa. (Mostra una ferita sul fianco di circa 12 cm) Guardate, qui mi hanno operato allo stomaco per tutte le ingiustizie che ho dovuto sopportare. Ecco perché non dormo più sereno.

GRANDINETTI
E ta voi pigghiari ccù a befana? Si vide che eri disculu e avivi bisogni di essere raddrizzatu.

GIUSEPPE Z.
Chi voi sapiri tu da vita mia. Eu ero un bravo figghjolo; ma mio padre di storpiarmi non si stancava mai.

GRANDINETTI
Va bene, nun ti 'ncazzare dicevo così ppè dire. Ma i padri hanno l'obbligo... Voglio dire tutti i padri devono bastonare i figli.

GIUSEPPE Z.
Vostro padre vi picchiava?

DIXIE
Mio padre non alzava neanche la voce con me… figuriamoci le mani.

GIUSEPPE Z.
(A Grandinetti) Hai visto? Non tutti i padri sono uguali. (A Dixie) Se moriva il mio e il suo campava non era meglio? Tanto alla morte i conti tornavano lo stesso. Così invece c'è un morto solo ma due infelicità. Venite domani?

DIXIE
A portarti la matita.

GIUSEPPE Z.
Vi aspetto. Portatemi la matita e poi ci regoliamo. I soldi miei me li devono restituire, questo è certo. Quanto è vero che mi chiamo Giuseppe.

Dixie esce.

GRANDINETTI
Ti piacia a figghjola?

GIUSEPPE Z.
Nun dormi cchiù?

GRANDINETTI
Mi svegghiai.

***
“Durante la notte Mr Cermak si presentava con le labbra blu e sembrava non avere battito. Consideriamo abbia avuto un lieve infarto. Ora riposa, le sue condizioni sono buone. Abbiamo per il momento deciso di non rimuovere il proiettile allocato vicino alla spina dorsale per il timore che tale rimozione possa aggravare le condizioni generali del paziente. Rimane iscritto nel registro dei pazienti critici.”
***

QUADRO SESTO
Giuseppe Z., Agente, Dixie

AGENTE
Joe, io una mano te la voglio dare sul serio. Ma tu mi devi dire qualcosa. Qualcosa che mi può servire. Così poi io vado in tribunale e lì… in tribunale, c’è il grande giudice che mi chiede: “Che cosa ha detto Joe?” E io gli dico:"Joe ha detto così e cosà". E lui mi dice che devo fare con Joe. Capisci che voglio dire?

GIUSEPPE Z.
Non mi importa niente a me di tutto questo midicitidico. Nome e cognome lo sapete. Data di nascita pure. Che altro vi serve di sapere?

AGENTE
Sei comunista, Joe?

GIUSEPPE Z.
No.

AGENTE
Ti piace l’anarchia?

GIUSEPPE Z.
No.

AGENTE
Allora il socialismo?

GIUSEPPE Z.
A me manco il fascismo mi piace, né Musolino.

AGENTE
Al comunismo non ci credi, all’anarchia neanche… In Dio, almeno, ci credi?

GIUSEPPE Z.
No.

AGENTE
A cosa credi, Joe?

GIUSEPPE Z.
A quello che vedo.

AGENTE
Ma allora secondo te il mondo chi l’ha fatto?

GIUSEPPE Z.
Nessuno lo sa. Io penso che si è fatto da solo, per conto suo.

AGENTE
Quindi tu a un creatore non ci pensi proprio?

GIUSEPPE Z.
Che vuoi dire, a Dio Onnipotente? No. Non immagino Dio, no, nulla. Solo aria e terra. Dio non lo capisco. La terra e l’aria le capisco.

AGENTE
Ma non c’è solo aria e terra. Guardati intorno, ci sono tante cose.

GIUSEPPE Z.
Sì, tante cose… A me non mi garbano le messe. In chiesa ci sono stato qualche volta con mio padre. Mio padre era cattolico. Io no. Lui andava in chiesa e poi a casa mi spezzava tutte le ossa e mi bestemmiava addosso. Come se uno è cattolico quando va in chiesa e poi per strada è il diavolo in persona. E’ tutto sbagliato. Non era intelligente mio padre; ma era cattolico. Non mi ha dato nessuna educazione a me lui, andava a messa e mi picchiava, basta. Io dico allora: Dio dov’è? E dove sono i giudici e gli avvocati? Loro dovevano punirlo, perché era incapace di fare il padre come si deve. Ma pure gli avvocati e i giudici vanno alla messa la domenica e poi a casa fanno i comodi loro.

AGENTE
Va bene, non credi a nessuno. E allora dove vai quando muori?

GIUSEPPE Z.
Nella terra.

AGENTE
Diciamo allora che credi nella terra.

GIUSEPPE Z.
Ecco bravo.

AGENTE
Quanto tempo fa hai programmato l’attentato?

GIUSEPPE Z.
Non ho capito.

AGENTE
Quando hai pensato, per la prima volta, all’attentato.

GIUSEPPE Z.
Che sarebbe l’attentato?

AGENTE
Il fatto che hai sparato al parco.

GIUSEPPE Z.
E quando ci ho pensato… io ci ho sempre il mio stomaco nella testa. E’ un pensiero grosso e non ci rimane spazio per gli altri.

AGENTE
Hai problemi allo stomaco?

GIUSEPPE Z.
Sono malato di stomaco.

AGENTE
La pistola dove l’hai presa?

GIUSEPPE Z.
L’ho comprata.

AGENTE
Quando?

GIUSEPPE Z.
Il giorno non me lo ricordo.

AGENTE
E dove l’hai comprata?

GIUSEPPE Z.
A un’agenzia di pegni.

AGENTE
Nel negozio dove hai comprato la pistola, c’era un ebreo?

GIUSEPPE Z.
E che ne so io. Mica ce l’aveva scritto in fronte a chi apparteneva?!

AGENTE
E tu gli hai detto perché compravi la pistola?

GIUSEPPE Z.
No.

AGENTE
E lui ti ha chiesto perché la compravi?

GIUSEPPE Z.
No. Mi ha chiesto i soldi. Si è preso 8 dollari. E’ tutto quello che gli interessava.

AGENTE
Hai comprato anche i proiettili?

GIUSEPPE Z.
Certo, sennò che me ne facevo della pistola? Ho preso dieci cartucce.

AGENTE
E’ questa la pistola?

GIUSEPPE Z.
Mi pare di sì.

AGENTE
In tasca avevi tre proiettili. Cinque li hai sparati al parco. Con gli altri due che ci hai fatto?

GIUSEPPE Z.
Ci ho fatto pratica.

AGENTE
Perché, non avevi mai sparato prima?

GIUSEPPE Z.
Era una pistola usata, dovevo vedere se funzionava.

AGENTE
Quando hai sparato, c’era qualcuno con te?

GIUSEPPE Z.
No.

AGENTE
Nessun amigos?

GIUSEPPE Z.
No. Non ce ne ho di amici io. Sono tutti miei amici; ma io solo sono.

AGENTE
Joe, tu hai detto che se non avessi ucciso il presidente, lo avrebbero fatto poi i tuoi amici. Hai detto così?

GIUSEPPE Z.
Quando mai! Di che parli?

AGENTE
E hai detto pure che i tuoi amici ti uccidono, prima o poi?

GIUSEPPE Z.
No. Mai.

AGENTE
Pensi questo?

GIUSEPPE Z.
Non penso niente e non ho detto niente di quello che mi vuoi mettere in bocca.

AGENTE
Non hai detto niente a nessuno?

GIUSEPPE Z.
Nooo! Signorina deve scrivere bene. Deve scrivere che è lui che le dice certe cose, non io.

AGENTE
Hai fatto tutto da solo?

GIUSEPPE Z.
Da solo, con la mia testa. Io faccio solo quello che mi dice questa. E qua dentro non ci entra manco Gesù Cristo a fare imbroglio. E manco tu ci entri.

AGENTE
Ma dei testimoni ti hanno visto con altri tre. Uno era tuo cugino.

GIUSEPPE Z.
Non hanno visto con gli occhi. Hanno detto il "sentito dire", di sicuro.

AGENTE
Quindi hanno mentito?

GIUSEPPE Z.
Garantito. Dice che ero con mio cugino?

AGENTE
Sì, uno dei tre.

GIUSEPPE Z.
Io cugini non ne ho. Come la mettiamo?

AGENTE
Dimmelo tu.

GIUSEPPE Z.
A questi, che dicono che mi hanno visto, non li conosco. Portateli qua e me lo devono dire in faccia che mi conoscono o che mi sono cugini.

AGENTE
Steve Valenti non è tuo cugino?

GIUSEPPE Z.
Ancora con questo cugino… non ho parenti qua, a parte mio zio; i figli suoi mi vengono cugini. Ma lui figli non ne ha fatti.. Fatelo venire qua a questo che si spaccia per parente mio e vediamo chi tiene ragione.

AGENTE
Va bene, lo faremo venire. Così la finisci di prendermi per il culo, Joe!

GIUSEPPE Z.
Signorina. Potete finire di scrivere. Io non parlo più. Mi stancai.

***
“La temperatura di Mr Cermak è oggi al disopra dei 101°F e ha accusato forti dolori intestinali. Abbiamo perciò prescritto una cospicua dose di antidolorifici e di sonniferi. Abbiamo registrato una considerevole perdita di peso corporeo, nell’ordine delle 10 Libbre. A nostro parere, la perdita di peso e i dolori addominali sono dovuti a un’enterite o colite preesistente."

***

QUADRO SETTIMO
Grandinetti, Giuseppe Z.

GRANDINETTI
Chi hai?

GIUSEPPE Z.
Nenti.

GRANDINETTI
Ti stai turciniannu cumu na serpi, ppè nenti?

GIUSEPPE Z.
Fatti i cazzi toi.

GRANDINETTI
Chiamamu u secundinu?

GIUSEPPE Z.
Non mi serve u secundinu.

GRANDINETTI
E chi ti serve?

GIUSEPPE Z.
Ca ti stai mutu e mi lassi futtere.

GRANDINETTI
Ma chi ti senti?

GIUSEPPE Z.
...

GRANDINETTI
Nun mi morire ccà. Eu me 'mpressionu, sai?

GIUSEPPE Z.
...

GRANDINETTI
Secundinu. Guardia. Ccà ci serva nu medicu. Chistu sta murendu.

GIUSEPPE Z.
Ti stai mutu. Non mi servonu i medici.

GRANDINETTI
Male nun ti po' fare. Vena, ti visita e ti dicia.

GIUSEPPE Z.
E che deve dire? Eu sacciu bonu chiddu chi haju.

GRANDINETTI
E chi hai?

GIUSEPPE Z.
A cistifellea.

GRANDINETTI
Comu?

GIUSEPPE Z.
A cistifellea haju.

GRANDINETTI
E chi specie di malatia è?

GIUSEPPE Z.
Ma quale malatia, a cistifellia si trova vicini u stomacu, faci parte d'attributi du ficatu. Avimu tutti dalla nascita.

GRANDINETTI
Puru eu?

GIUSEPPE Z.
Puru tu, certu.

GRANDINETTI
No 'o sapiva.

GIUSEPPE Z.
Pecchì tu stai in salute; a tua fa u dovere suo e tu campi ignorante. Eu no. Eu a mia a sacciu troppu bona. Si lamenta e mi cunsigna pene e patimenti. Non digerisco manco l'acqua. Ogni cosa che mangio m'avvelena.

GRANDINETTI
E non si cura?

GIUSEPPE Z.
No, sugnu malatu cronicu.

GRANDINETTI
E chi vole dire?

GIUSEPPE Z.
Nun sacciu chi vole dire. Cussì mi dissero i medici.

GRANDINETTI
Quando un medicu usa parole strane voli dire sempri cose brutte.

GIUSEPPE Z.
Si i sbirri mi sparavano u parco mi facevano un favore. Murivu a na botta e no a pocu alla volta in soffenza.

GRANDINETTI
C'è ' ncuna cosa chi t'allevia?

GIUSEPPE Z.
Nun ci haju a pensare. Menu ci pensu e megliu sto.

GRANDINETTI
Quale parcu?

GIUSEPPE Z.
Comu?

GRANDINETTI
Dicisti di sbirri u parcu, chi succediu?

GIUSEPPE Z.
Ti 'ndi futta?

GRANDINETTI
No. Era ppè parrari. Avimu e stare assieme forzati. Si parramu passa prima. Nun dicisti chi parrari t'allevia u patimentu?

GIUSEPPE Z.
Dissi ca non haju a pensari. No' ca vogghiu fari conversazione.

GRANDINETTI
Sta bene.

Giuseppe si accascia per un attimo. Grandinetti tenta di distrarlo.

GRANDINETTI
Eu a ttia ti canusciu.

GIUSEPPE Z.
Ah si?

GRANDINETTI
Certu. Mi parivi na faccia canusciuta e mò mi vinni in menti…

GIUSEPPE Z.
E comu mi chiamu?

GRANDINETTI
Giuseppe.

GIUSEPPE Z.
No, di cognome cumu mi chiamu?

GRANDINETTI
Non lo so.

GIUSEPPE Z.
E cumu fai a mi canuscere se nun sai u me cugnome?

GRANDINETTI
Pecchì ti canusciu sulu di vista.

GIUSEPPE Z.
E aunde mi vidisti?

GRANDINETTI
Ppè via del Conte Biancamano.

GIUSEPPE Z.
Mai cunusciuto stu conte. A mia i ‘ristocratici mi fastidianu.

GRANDINETTI
Ma quali ‘ristocraticu. Ti scurdasti già? Ci fici u viaggiu ppè vinire alla ‘Merica.

GIUSEPPE Z.
Eu sulu viaggiai.

GRANDINETTI
A nuoto venisti?

GIUSEPPE Z.
No, certu.

GRANDINETTI
Tu partisti u 16 d’agustu du millenovecentuventitrè.

GIUSEPPE Z.
Sì, precisu.

GRANDINETTI
Eu pure. Pigghiammu u conte Biancamano. Biancamano era u nomi du piroscafu ca ci purtau qua all’America. Là ti ho visto. Nella III classe. Tu di mia nun ti ricordi?

GIUSEPPE Z.
No, troppa gente era. Troppe facce. A finale me parsero tutte uguali e nun mi ricordo a nessunu. L’unica cosa ca mi ricordo è u numero 127 ca mi 'ttaccaru a giacca quandu acchianai a passerella e mi disseru: “Guardati dai paesani che non conosci. Quelli che vengono col sorriso e ti vogliono favorire solo per bontà di cuore.”

GRANDINETTI
Chi c’intra? Questo lo dissero pure a mia, e ci dessuru nu bonu consigliu. Ma u dicivanu ppè lu sbarcu. Ca c’eranu i paisani ca ti volivanu cangiare li sordi e ti ‘mbrugliavanu. Ti vulivanu purtari i bagagli e ti li futtivanu. Ma nun vale in galera. Chi ti pozzu futtere ccà dintra? Sulu nu pocu i tempu. Nent’altru. Chi dannu te pozzu fare? In cella quello che vale fuori nun cunta nu cazzu. Mancu aiutu ni putimu dare l’unu ccù l’atru. Sulu nu pocu e compagnia ni putimu scangiari. Ma tu dissi: si nun voi parrare, fai cumu voi. Mi confermi l’idea chi mi fici allora.

GIUSEPPE Z.
Quali idea?

GRANDINETTI
Stavi sempre per i cazzi toi. Non davi cunfidenza a nessunu.

GIUSEPPE Z.
Veru è.

Pausa

GRANDINETTI
Ma tu aundi si partitu?

GIUSEPPE Z.
Proriu nun ci la fai a starti mutu?

GRANDINETTI
No. Mi mamma mi fici parlatore.

GIUSEPPE Z.
E allura parla, forza. Prima o poi te ha stancare?

GRANDINETTI
Ppè parrare, tu me ha ddare udienza.

GIUSEPPE Z.
Qua sono.

GRANDINETTI
E allura rispunna.

GIUSEPPE Z.
E tu dimanna.

GRANDINETTI
Ta fici già na domanda. De undi si partutu?

GIUSEPPE Z.
Da casa mia.

GRANDINETTI
E poi?

GIUSEPPE Z.
E poi ccù mulu fino a Gioia Tauro. U trenu finu a Napuli e da Napuli u piroscafu. Venti jorni di mare oceanu e poi sugnu arrivatu a Novajorche. E mo basta a parrari. U massimu ti pozzu stare a sentire ma nun mi fare cchiù domande can un ti ripundu. Tu si parlatore, io no.

GRANDINETTI
Io la nave me la stavo perdendo. Pecchì alla stazione di Gioia Tauro ogni vota ca partiva nu trenu per il norditalia u ferroviere fischiava due vote ccù nu fischietto ‘nta vucca e ppò gridava “Signori in carrozza! Signori in carrozza!” Fischiava n’atra vota ‘nta u fischietto, a gente sagliva, u trenu partiva e eu invece rimaniva a terra. Mi segui?

GIUSEPPE Z.
Nu me ha fare domande, ti dissi.

GRANDINETTI
Va bono, era ppè sapire si stavu parrandu ccù muru. Doppu na decina di treni che partivanu ccù i signori in carrozza, mi feci coraggiu e ci dissi al capo treno ferroviere fischiante “Vedi che io devo andare a Napoli e mi perdo la nave per l’America”. “E che volete da me?” mi fa lui “Il biglietto lo tenete?” “Certu” ci dissi e glielo feci pure vedere. “E allora è tutto a posto” mi fa lui. “A posto una beneamata minchia” ci dissi eu. “E’ da stamatina chi partanu sulu treni per i signori e il treno per i tamarri quannu parte? Nun parte mai?” E così mi disseru che “signori in carrozza” si riferisciva a tutti chiddi ca avivanu u bigliettu. E puru ca eri tamarru analfabeta, si avivi u bigliettu valivi ppè signore. E cussì pigghiai u primu trenu chi partia e arrivai a Napuli.

Pausa

GIUSEPPE Z.
Finiscisti? Ti stancasti e cannarozze?

GRANDINETTI
Cumu ti senti?

GIUSEPPE Z.
Megghiu. Quella è così. Fa na scavuciata e poi si placa.

GIUSEPPE Z.
U vidi ca fici bonu a parrari? La conversazione è curativa. Sia ringraziatu u signuruzzu!

***
“Le condizioni generali di Mr Cermak sono confortanti. La temperatura e scesa sotto valori accettabili. Crediamo che il polmone ferito sia guarito e stia lentamente tornado alle dimensioni normali. Il fegato funziona regolarmente e non c’è alcun segno di polmonite. Restiamo, perciò, ottimisti sulla sua completa guarigione, pur considerandolo ancora tra i pazienti critici."
***

QUADRO OTTAVO
Agente, Giuseppe Z., Dixie

AGENTE
Ti voglio presentare delle persone, posso Joe?

GIUSEPPE Z.
Io tempo da perdere ne ho a quantità.

L’Agente mostra delle foto.

AGENTE
Le conosci?

GIUSEPPE Z.
Sono polaroide e costano care.

AGENTE
Cosa?

GIUSEPPE Z.
Queste sono foto moderne che si sviluppano all’istante che pare un miracolo. Ma non è un miracolo, è la testa fina di chi ci ha pensato, giusto?

AGENTE
No, non sono polaroid, sono foto normali.

GIUSEPPE Z.
Mi parevano polaroidi.

AGENTE
Questa è Mabel Gill, la moglie del presidente della compagnia elettrica, una bella signora di mezza età, ha due figlie grandi. Questa invece è Margaret Kruis, 23 anni del New Jersey, una bella ragazza in età da marito. Questo è Mr Cermak, il sindaco di Chicago. Poi c’è Bill Sinnot, 47 anni di New York, un poliziotto… si è sposato due settimane fa con uno schianto di ragazza, Molly si chiama sua moglie. Russel Caldwell invece fa l’autista e ha 23 anni, pure lui di New York. E infine Robert Clark, un mio collega di 41 anni, scapolo.

GIUSEPPE Z.
Io non conosco a nessuno di questi. Chi sono?

AGENTE
Sono quelli a cui hai sparato al parco.

GIUSEPPE Z.
Feci danno assai?

AGENTE
Un tuo proiettile ha preso allo stomaco la signora Gill. Un altro ha bucato la mano di Margaret Kruise, un terzo le ha trapassato il cappello e portato via un pezzo di fronte. Questo proiettile lo abbiamo trovato nel bavero del sindaco Cermak con ancora attaccato un pezzetto del cappello della signora Kruise. Al quarto colpo hai preso in fronte l’Agente Sinnot, e con il quinto, prima hai sfiorato la fronte del giovane Caldwell, e poi hai centrato allo stomaco il sindaco Cermak.

GIUSEPPE Z.
Quanti sono?

AGENTE
Sei persone. Sei persone in ospedale.

GIUSEPPE Z.
Signorina dovete scrivere così: "L’intenzione di Giuseppe non era malamente… fece sbaglio e si affligge amareggiato".

AGENTE
Possiamo andare avanti?

GIUSEPPE Z.
Avanti certo. Indietro non si torna. Posso avere dell’acqua?

AGENTE
Come no.

L’agente versa dell’acqua a Giuseppe.


AGENTE
Tu sei iscritto ai sindacati, non e vero?

GIUSEPPE Z.
Sono stato iscritto. Ma iscrizione non vuole dire devozione.

AGENTE
E allora se non sei devoto alla lotta sindacale, perché ti sei iscritto?

GIUSEPPE Z.
Per via di mio zio Vincenzo.

AGENTE
Vincenzo Carfaro?

GIUSEPPE Z.
Uno ne tengo di zio qua all’America. E’ il fratello di mia madre buonanima. Noi abbiamo diviso tutto, quando sono arrivato. La stanza, il pane e i patimenti.

AGENTE
Lui era iscritto ai sindacati?

GIUSEPPE Z.
Lui non l’ho capito che lavoro faceva. Usciva presto e tornava tardi. Questo solo so. Ma a me mi mise a fare il muratore in un cantiere e da quello, di cantieri ne ho cambiati parecchi e a un certo momento uno mi disse che non potevo stare, a meno che non entravo nel sindacato e mi chiese 5 dollari.

AGENTE
E tu hai pagato?

GIUSEPPE Z.
Non li avevo 5 dollari, li chiesi a mio zio di prestarmeli … non li aveva manco lui. Il delegato mi ha concesso fino a sabato ed era lunedì. Poi l’ho pagato per cinque settimane; tutti i sabati gli davo 5 dollari a settimana. Quando ho pagato 25 dollari, mio zio mi ha portato alla sede del sindacato e mi hanno dato la tessera.

AGENTE
E alle loro riunioni ci andavi, Joe?

GIUSEPPE Z.
All’inizio sì; tutti ti dicono bisogna andare... e se non vai pare brutto... pare che paghi senza volere il servizio.

AGENTE
Che tipo di discorsi facevate?

GIUSEPPE Z.
Che tipo di discorsi facevano loro. Io ero morto di fatica e di sonno e non tenevo la testa per i discorsi. Niente ci capivo. Un paio di volte mi sono pure abbioccato.

AGENTE
Qualcuno ti ha chiesto di fare delle cose, Joe?

GIUSEPPE Z.
Che cose?

AGENTE
Non lo so, dimmelo tu.

GIUSEPPE Z.
No, niente cose. Sono andato poche volte alle riunioni... Poi mi hanno cacciato.

AGENTE
E perché?

GIUSEPPE Z.
Perché non pagai più.

AGENTE
E come mai? Che ti avevano fatto i compagni del sindacato?

GIUSEPPE Z.
Io compagni non ne ho. E non ne voglio. Non pagai perché non potevo, i soldi scarseggiavano e dovevo pensare all’affitto e al pane, prima. Ecco perché mi hanno cacciato. Io la vedevo diversa la faccenda, gliel’ho detto; ma mi hanno pure maltrattato e io ci strappai la tessera in faccia e tutto.

AGENTE
E come la vedevi tu?

GIUSEPPE Z.
Se fai il muratore devi stare nel sindacato dei muratori, pure se non paghi. Ma se non paghi loro non ti vogliono. E questa è una stortura dei capitalisti che gli vai bene solo se paghi e costringono a fare il male pure agli operai.

AGENTE
Perché ti scaldi tanto? 


GIUSEPPE Z.
Perche io le storture non le sopporto. E pure perché sono due anni che non lavoro.

AGENTE
E perché da due anni non lavori?

GIUSEPPE Z.
Perché non riesco a trovarlo il lavoro.

AGENTE
Ha combinato qualche guaio?

GIUSEPPE Z.
No, nessun guaio. Dice che c’è crisi, siamo depressi. Ma è pure perché non pago più i sindacati che non lavoro. E’ l’uno e l’altro. Di sicuro il lavoro non c’è e non si mangia. E dato che lui non ti viene a cercare, sei tu che devi metterti a girare per acchiapparlo dalla coda.

AGENTE
E tu?

GIUSEPPE Z.
Cosa io?

AGENTE
Ti sei messo a girare?

GIUSEPPE Z.
Mi sono messo in viaggio appresso al lavoro, si capisce; ma capitavano danni grandi. Che prima del ’29 non capitavano mai. Prima non era così, si lavorava bene, specialmente i muratori, ché una casa serve a tutti e tutti lo vogliono un tetto sopra la testa. Pure la paga era buona. Una paga di lusso… arrivavi a prendere 12/14 dollari, che sono soldi. Poi c’è stato il finimondo e la musica è cambiata. Dove andavi andavi, sentivi sempre lo stesso ritornello "Soldi non ne ho, ti pagherò". Poi chiudevano e tu ci perdevi i soldi e pure il lavoro.

AGENTE
Hai girato parecchio negli ultimi due anni.
Leggendo da un plico.
Tampa, Hackensack, New York, Los Angeles, New Orlenans… Pure all’Havana sei stato.

GIUSEPPE Z.
E a te chi te le ha dette queste cose?

AGENTE
Sono scritte qui. C’è scritto tutto.

GIUSEPPE Z.
E c’è scritto pure che a New Orleans mi sono comprato una Chevrolet coupè usata? Rossa?

AGENTE
No.

GIUSEPPE Z.
Allora nelle tue carte non c’è scritto proprio tutto, caro mio.

AGENTE
A che ti serviva la macchina?

GIUSEPPE Z.
A portarmi in giro. Me ne sono andato a trovare dei conoscenti, per scappare dal mio mal di stomaco e per trovare il lavoro. Ma non m’è riuscita nessuna delle due cose. Io lo sapevo che dove faceva più caldo era meglio per il mio stomaco ma non per il lavoro. E quando ho dovuto decidere chi favorire, ho deciso per il mio stomaco.

AGENTE
E questi conoscenti erano italiani come te?

GIUSEPPE Z.
Non tutti. La maggior parte.

AGENTE
E come si chiamano?

GIUSEPPE Z.
Questo non lo posso riferire.

AGENTE
Non puoi o non vuoi?

GIUSEPPE Z.
Non posso. Se faccio i loro nomi gli procuro danno.

AGENTE
Ho capito.

GIUSEPPE Z.
Penso che no, non avete capito, ma non fa niente.

AGENTE
Che cosa non avrei capito?

GIUSEPPE Z.
Voi ce l’avete a morte con noi poveri perché siamo tanti. E dei ‘taliani avete proprio odio. Gente onesta che si suda il pane tutti i giorni e non fa male a nessuno. Gente che nelle vostre miniere e fonderie ci sta buttando la salute per quattro spicci mentre voi vi fate più ricchi di quello che siete. Lo sanno tutti che li prendete dalle case e li ‘mazzate come conigli a dieci, quindici alla volta… ‘taliani specialmente.

AGENTE
Chi ti ha raccontato queste cose?

GIUSEPPE Z.
E chi me le doveva raccontare, chi ci si è trovato in mezzo e ha visto quanto siete ingrati voi 'mericani.

AGENTE
Non so di cosa stai parlando.

GIUSEPPE Z.
Non lo sai o ti sei scordato che la 'Merica l’ha scoperta un ‘taliano? Sennò a quest’ora tutti selvaggi eravate, nudi in carne come i ‘nimali. E questa è verità. Non me la sono inventata io. E’ andata così.

***
“Mr Cermak è afflitto da singhiozzo che non riusciamo a controllare. Non ha febbre e il polso è buono. La crescente irritabilità del paziente ci fa ben sperare rispetto alle sue possibilità di guarigione. Questa mattina ha tenuto una conferenza stampa dal suo letto d’ospedale e con voce debole ha dichiarato: “Dite alla città di Chicago che ce la farò”. Naturalmente non possiamo prevedere cosa possa accadere. Resta perciò tra i pazienti critici”.
***

QUADRO NONO
Giuseppe Z. , Pasquale Grandinetti

Giuseppe Z. sta scrivendo su un notes, con una matita.

GRANDINETTI
A tia chi t’ha mandatu ccà?

GIUSEPPE Z.
….

GRANDINETTI
Si mi rispondi poi vaju avanti ppè contu meu.

GIUSEPPE Z.
Aundi?

GRANDINETTI
Nto meu discorso.

GIUSEPPE Z.
Aundi mi mandarunu.

GRANDINETTI
Ccà alla 'Merica.

GIUSEPPE Z.
Chi m’aviva a mandari? A me testa!

GRANDINETTI
Quantu pagasti?

GIUSEPPE Z.
Tu?

GRANDINETTI
120 lire.

GIUSEPPE Z.
Macari eu.

GRANDINETTI
E i soldi come li hai accucchiati?

GIUSEPPE Z.
120 lire sunnu un anno a zappare sotto padrone.

GRANDINETTI
Veru è. E tu zappasti?

GIUSEPPE Z.
Pure ccù i denti.

GRANDINETTI
A mia m’i dezzeru.

GIUSEPPE Z.
Ti ficeru nu regalu?

GRANDINETTI
Non propriu. Dicimu mi prestaru a buon rendere.

GIUSEPPE Z.
Cu ti dezzi tutti sti sordi?

GRANDINETTI
Certi amici calabrisi che poi mi raccomandaru a certi amici paesani di qua.

GIUSEPPE Z.
Ti pagaru u viaggiu e tuttu?

GRANDINETTI
Sì. E m’aiutarunu ccù travagghiu.

GIUSEPPE Z.
A saperlo ca si potiva fare cussì, l’avarria fatto macari eu.

GRANDINETTI
Mi hannu puru struitu su chiddu che dovevo dire alle visite, appena arrivatu all’isola delle lacrime. Mi disseru “Chistu è u biglietto ppè l’America. Chistu è u biglietto da Novaiorca a Pittiburgo. Chistu è il contratto per il lavoro alla miniera. Quannu arrivi all’ispezioni sanitaria ti fannu l’interrogatorio, ti dicianu hai soldi per mantenerti, e tu ci dici ca sì. Poi ti dicianu si hai ‘ncuna malatia e tu ci dici ca no. Ma nun ci hai a dire ca tieni nu cuntrattu per un lavoru. Devi dire ca u lavuru lu vai a cercare… Ci fai vedere il biglietto ppè Pittiburgo… così capiscono che tieni li sordi per mantenerti intanto che vai in cerca e non fai il vacabondo per le strade.” Eu feci così e così e tutto andò lisciu.

GIUSEPPE Z.
A mia nuddu mi dissi nenti. Alle visiti dissi a verità e mi ficiru passare.

GRANDINETTI
E ti domandaru si eri narchicu?

GIUSEPPE Z.
Pecchì lo voi sapiri?

GRANDINETTI
Cussì, chi è? Segretu i statu?

GIUSEPPE Z.
U domandavanu a tutti.

GRANDINETTI
E tu chi ci dicisti?

GIUSEPPE Z.
No, nun sugnu narchicu né cumunista.

GRANDINETTI
E bravu al fesso.

GIUSEPPE Z.
Ca cumu?

GRANDINETTI
A mia mi dissiru l’amici “si ti fannu chista domanda tu è a cadire da li nuvole, e a rimanere ‘mparpagliatu e hai a ddumandare chi significa ‘narchicu”.

GIUSEPPE Z.
E pecchì avissi dovutu fare tuttu stu raggiru?

GRANDINETTI
Pecchì si sulu sai chi significa 'narchicu, allura pò voleri dire ca narchicu lo sei veramente. Io nun lu sapivo ppè daveru cchi era. E mi vinni facile. E tu?

GIUSEPPE Z.
Cosa?

GRANDINETTI
Tu u sai chi voli diri narchicu?

GIUSEPPE Z.
Eu sì.

GRANDINETTI
E chi voli dire?

GIUSEPPE Z.
Nun sunnu fatti ca ti riguardanu. Se non lo sai, voli dire che non lo devi sapere.

GRANDINETTI
Haju a rimaniri ‘gnorante?

GIUSEPPE Z.
Precisu.

Pausa

GRANDINETTI
Tu invece facisti tuttu da solo?

GIUSEPPE Z.
Già tu dissi. E cu è ca mi dava li sordi senza nenti a ritorno? I toi avivanu a essere amici forti.

GRANDINETTI
Amici chi hannu amici a Napuli. E chi tena amici a Napuli tena amici alla 'Merica. Capiscisti?

GIUSEPPE Z.
Capisciu ca nun fu na cosa pulita. Calabrisi, napulitani e mericani: troppi amici e troppe lingue ca si mmischianu.

GRANDINETTI
Ma ci si capisce. Su certe cose ci potimu capire. Sunnu internazionali certe cosi.

GIUSEPPE Z.
E a mia “certi cosi” su cosi ca nun mi riguardanu. Io appartenenze nun ne pratico, nun ne ho mai avute e non ne voglio avere. Sunnu troppu impegnative. Ppè fari una cosa ca ti interessa a tia, passi na vita a fari cosi ca interessanu a qualcun altro. Mò, si hai finito, eu tengu cchi fare.

Giuseppe Z. riprende a scrivere il suo diario.

***
“La signorina Mabel Gill sta bene. Possiamo a buon titolo considerarla fuori pericolo. Lo stesso crediamo si possa dire per l’agente Sinnot i cui tempi di recupero sono sbalorditivi. Entrambi si nutrono regolarmente e interagiscono con il personale medico. Purtroppo la temperatura di Mr Cermak è risalita al disopra dei 101°F e ha accusato forti dolori al petto e all’inguine. Riceve una somministrazione di antidolorifici ogni tre ore. Le sue condizioni rimangono severe.”
***

QUADRO DECIMO
Grandinetti, Giuseppe Z.

GRANDINETTI
Tu me hai a ddiri chi impiastri supra a chiddu libretto, tuttu o santu jornu.

GIUSEPPE Z.
Chi t’interessa a tia?

GRANDINETTI
Nenti, mi pari chi cunsumi sulu a pinna.

GIUSEPPE Z.
Ti para?

GRANDINETTI
Sì, tu nun sai scivere né leggìri.

GIUSEPPE Z.
Cu tu dissi a tia? Eu fici i scole serali a Losangelos.

GRANDINETTI
A Los Angeles?

GIUSEPPE Z.
Sì, pecchì, nun ci sunu i scole bone là?

GRANDINETTI
E scole sunnu bbone a tutti i vandi, chi c’intra. Mi domandavu, tu chi ci facivi a Los Angeles?

GIUSEPPE Z.
Fici domandi ppè trasiri ai pompieri.

GRANDINETTI
E ti pigliaru?

GIUSEPPE Z.
Prima sì.

GRANDINETTI
E poi?

GIUSEPPE Z.
E poi avivu sempre duluri o stomacu e o pettu e mi cacciaru.

GRANDINETTI
E a scola a finisti?

GIUSEPPE Z.
No, u clima era malamenti ppò me stomacu e mi 'ndi partii.

GRANDINETTI
E chi ti ‘mparasti?

GIUSEPPE Z.
Chiddu chi serva.

GRANDINETTI
Sarebbi?

GIUSEPPE Z.
Ppè tua norma e regola, eu sugnu alfabeta a sufficienza e leggiu u giornali tutti i matini e capisciu bonu.

GRANDINETTI
Chi capisci?

GIUSEPPE Z.
Ca dicianu nu saccu di strunzate i giurnali.

GRANDINETTI
Allura scrivi ‘mericano?

GIUSEPPE Z.
No, scrivu in calabrise che è a lingua mia di nascita.

GRANDINETTI
E si po sapire di chi tratta stu romanzu?

GIUSEPPE Z.
Nessunu romanzu, è pura verità.

GRANDINETTI
E leggimi u ‘ncuminciu.

GIUSEPPE Z.
No.

GRANDINETTI
E jamu, forza, chi d’è, nu segretu i Fatima?

GIUSEPPE Z.
Nessunu segretu. E’ chi ancora haju a finire.

GRANDINETTI
E va bonu, leggimi finu a chi hai scrittu.

GIUSEPPE Z.
Tu me hai a rumpiri i cugghiuni tuttu u tempu? Statti mutu.

GRANDINETTI
Si tu leggi, eu ascortu e staju mutu.

GIUSEPPE Z.
E va bonu. Giustu pochi righi.

GRANDINETTI
M’accuntentu.

GIUSEPPE Z.
Titulu: “A storia vera scritta de Giuseppe Z.”
Suttatitulu: “Chiustu è ru primu capitulu da storia vera scritta di Giuseppe Z.”

GRANDINETTI
Facisti na ripetizione.

GIUSEPPE Z.
Ca quale?

GRANDINETTI
Dicisti du vote Giuseppe Z., o sbagghiu?

GIUSEPPE Z.
Tu e a stare a sentiri, mutu.

GRANDINETTI
Scusassi.

GIUSEPPE Z.
Titulu… Suttutitulu… Ncuminciu: “Mi chiamu Peppe, che sta per Giuseppe a gergo nostro. Così mi chiamo. Z. Giuseppe, fu Salvatore.”

GRANDINETTI
Ci teni propriu a chi si capiscia u to nome. U dicisti quattru vote.

GIUSEPPE Z.
Va bene, basta.

GRANDINETTI
No. Sbagghiai. Tu me ha scusare. Esti cchiù forte di mia. Da ora in poi staju mortu, parola mia.

GIUSEPPE Z.
“Desideru scrivere la me storia dal giorno in cui sugnu natu. Eu di quannu sugnu natu, nente mi ricordo. Ma sacciu ca signu natu malatu. Malatia de’ ricchie e visto ca ero portatori i malatia i medici mi misero accorpu sutti i fierri, ancora mprascatu e partu. Dopo nato, la prima cosa che ho fatto è stare sutti i fiarri di medici 'nfami. Eccu pecchì nun me spagnu cchiù de nente, mancu du diavulu ‘mpersona. E dire che di cose brutte mi'ndi capitaru tante. Me mamma, Rusina Carfaro, quando ha saputo di stu male, disse chi eru sfurtunatu. Ma eu mancu mia mamma mi ricordu, pecchì murju quando tenivu scarsi du anni. E’ morta e s’è purtata puru u criaturu chi stava parturendu: me frate. E allura io mancu a me frate me ricordo. Qui finisce lu primu capitolo della mia vita.”

Pausa

GRANDINETTI
Bellu. Quanti capitoli voi scrivere?

GIUSEPPE Z.
Tutti chiddi chi servanu.

GRANDINETTI
E quanti capitoli scrivisti già?

GIUSEPPE Z.
Mo basta, lassami perdere.

GRANDINETTI
E nun mi lieggi n’autru capitolu?

GIUSEPPE Z.
Chi tinde futta a tia da vita mia?

GRANDINETTI
Se scrivi è pecchì coccheduno poi ti leggi chiddu chi scrivi. O no?

GIUSEPPE Z.
Certu. Leggiri potrai leggiri quandu sarà stampatu.

GRANDINETTI
E cu u stampa nu scrittu in calabrise?

GIUSEPPE Z.
Tu nun t'indi ‘ncarricare.

GRANDINETTI
Se u voi stampare stu capolavoru le hai scrivere in 'mericanu.

GIUSEPPE Z.
E picchì?

GRANDINETTI
Oh signure santu! Pecchì simu in America e a gente parra e legge 'mericanu.

GIUSEPPE Z.
Tu dici?

GRANDINETTI
Si u scrivi in calabrise è tempu persu.

GIUSEPPE Z.
Ma nun sacciu si sugnu capace, u 'mericanu a scrivere è difficoltoso.

GRANDINETTI
Facimu na cosa, tu mu passi e io te fazzu a traduzione. Accussì eu mu leggu intantu, pecchì è scrittu per essere lettu, giustu? E a tia ti vena giovamentu per la publicazione. Se è mericanu, u stampano a nu lampu. D’accordu?

GIUSEPPE Z.
Ma pecchì, tu scrivi u 'mericanu?

GRANDINETTI
Come fosse calabrise. Sunnu 15 anni ca staju ccà.

GIUSEPPE Z.
Io… nun sacciu.

GRANDINETTI
Nun mi devi rispundere subito. Pensaci e poi mi dici. Tanto eu cca sugnu, nun scappu.

***
"Oggi alle 4 p.m. Mr Cermark è stato sistemato in una camera a ossigeno Barach-Thurston, donata all’ospedale dalla sua famiglia. Qui ha ricevuto due trasfusioni indirette. Ha dormito per la maggior parte del tempo. Alternando momenti di lucidità a momenti di incoscienza. La camera contiene ossigeno al 50% e il paziente rimarrà al suo interno nei prossimi giorni. A meno di circostanze impreviste, confidiamo in una sua guarigione. Mr Cermak resta iscritto nella lista dei pazienti critici."
***

QUADRO UNDICESIMO
Agente, Giuseppe Z., Dixie

AGENTE
A te piacciono gli uffici postali, Joe?

GIUSEPPE Z.
Dipende. Perché?

AGENTE
Perché da un anno a questa parte gli uffici postali fanno una brutta fine.

GIUSEPPE Z.
Li chiudono? Con questa crisi, soldi da muovere non ne ha nessuno. E’ normale che li chiudono.

AGENTE
No, saltano in aria. Qualcuno ci entra, mette una bomba, esce, la bomba esplode e delle persone innocenti muoiono.

GIUSEPPE Z.
E perché lo vieni a raccontare a me?

AGENTE
Perché questi “qualcuno” si fanno chiamare ORDINE NUOVO. Lanciano bombe dove capita e uccidono donne e bambini.

GIUSEPPE Z.
E che vuoi da me?

AGENTE
Tu li conosci?

GIUSEPPE Z.
No. Ma se fanno danno a donne e bambini sono gente infame.

AGENTE
Due settimane fa hanno piazzato dodici candelotti di dinamite sui gradini della casa di un venerabile dell’Ordine d’Italia. Di Silvestro, si chiama.

GIUSEPPE Z.
E io che posso farci?

AGENTE
Due settimane dopo i candelotti, tu spari a sei persone in mezzo alla folla. Non pensi che la cosa sia sospetta?

GIUSEPPE Z.
No. Io manco lo sapevo di questo botto.

AGENTE
Il sindaco si è aggravato, Joe e se qualcuno di quelli a cui hai sparato muore, per te si mette molto male. Ti conviene dirmi la verità.

GIUSEPPE Z.
Ma io solo la verità dico.

AGENTE
Benissimo. Perché io mi aspetto di sentire delle cose da te.

GIUSEPPE Z.
A disposizione sono.

AGENTE
Mi aspetto di sentire che sei stato incaricato da quelli di ORDINE NUOVO per riattivare qui una loro cellula.

GIUSEPPE Z.
E perché?

AGENTE
In modo che gli anarchici italiani potessero assassinare il presidente durante l’apertura dei giochi olimpici dell’anno scorso.

GIUSEPPE Z.
(A Dixie) Signorina, ma che dice questo qua?

AGENTE
Mi aspetto di sentire che tu lo hai fatto ma che poi siete stati individuati da una red squad e siete stati costretti a rinunciare…

GIUSEPPE Z.
(A Dixie) Non le scrivete queste fesserie.

AGENTE
Scappati per un anno, avete messo bombe in giro e poi siete tornati per un nuovo attentato...

GIUSEPPE Z.
Ma tu vuoi la verità o la bugia?

AGENTE
La verità.

GIUSEPPE Z.
Allora io tutte queste cose non te le posso far sentire.

AGENTE
No?

GIUSEPPE Z.
No, perché mi metterei in bocca un sacco di menzogne.

AGENTE
Va bene, andiamo per ordine. Hai guardato il giornale per vedere se il presidente sarebbe arrivato e poi hai comprato la pistola?

GIUSEPPE Z.
Non mi ricordo se è stato prima o dopo. Quella sera dovevo sparare perché avevo una possibilità. E’ tutto.

AGENTE
Quante volte hai sparato?

GIUSEPPE Z.
Due o tre volte.

AGENTE
Due o tre?

GIUSEPPE Z.
Non mi ricordo.

AGENTE
Volevi uccidere altre persone?

GIUSEPPE Z.
No, solo lui.

AGENTE
Hai motivi d’odio verso il presidente?

GIUSEPPE Z.
No, come uomo mi piace.

AGENTE
E allora perché gli hai sparato?

GIUSEPPE Z.
Perché fa il presidente.

AGENTE
Se avesse fatto il notaio non gli avresti sparato?

GIUSEPPE Z.
Che spari a fare a un notaio?

AGENTE
A un presidente invece?

GIUSEPPE Z.
Ma io, quando sparo al presidente, non sparo alla persona. Ci vuole tanto a capirlo?

AGENTE
E allora perché volevi uccidere proprio il presidente?

GIUSEPPE Z.
O per la miseria, quante volte lo devo ripetere…?

AGENTE
Tutte le volte che te lo chiedo.

GIUSEPPE Z.
Perché il presidente e i ricchi che lui comanda, mi rovinano a me da quando ho sei anni.

AGENTE
E’ una vendetta?

GIUSEPPE Z.
No, una missione.

AGENTE
Hai una missione?

GIUSEPPE Z.
Ognuno di noi abbiamo una missione. Ognuno nasce con la sua. Quella che solo lui può portare a compimento.

AGENTE
E qual è la tua?

GIUSEPPE Z.
La mia è di eliminare i capitalisti.

AGENTE
Ma se tu avessi ucciso il presidente ne sarebbe stato eletto un altro, a questo ci hai pensato?

GIUSEPPE Z.
Certo, che ti pare che sono fesso?

AGENTE
E allora quello che hai fatto a che è servito?

GIUSEPPE Z.
A dare l’esempio.

AGENTE
A chi?

GIUSEPPE Z.
Non lo so a chi. A uno che spara al presidente nuovo.

AGENTE
E poi ne arriverà un terzo, lo capisci pezzo di troglodita africano?

GIUSEPPE Z.
E arriva pure chi ammazza a questo terzo e poi al prossimo…

AGENTE
È questa la tua idea geniale? Questa la tua cazzo di missione? Una carneficina continua?

GIUSEPPE Z.
No, vedi che a un certo punto nessuno vorrà fare più il presidente. Gli passa il vizio a tutti.

AGENTE
Hai sparato a sei persone!

GIUSEPPE Z.
Lo so e questo è un guaio, ma non riesci a trovare un re o un presidente da solo. Hanno sempre una cricca per sorvegliarli, molta gente gli sta intorno e tu devi cercare un’occasione.

AGENTE
Io me ne frego delle tue idee di missionario. Razza di pervertito bastardo. Io voglio sapere per chi lavori. Perché sei venuto fino a qua. Perché non sei rimasto a casa tua. Cosa credi? Che puoi venire qui e prenderci per il culo a tuo piacimento? Non vuoi dire niente? Non vuoi fare i nomi? Vuoi fare il Gesù Cristo che cammina sulle acque? Benissimo. Peggio per te. Quello che hai fatto lo sappiamo, presto sapremo il resto. Il sindaco è cotto, è questione di ore. E quando morirà tutte le tue stronzate non conteranno un cazzo. A quel punto tu non sarai più un missionario figlio di puttana, sarai un figlio di puttana omicida. E nel paese che hanno scoperto i tuoi fottuti antenati, quelli come te li friggiamo su una sedia di legno. Sono prenotato in prima fila per quel giorno. Stronzo!

***
“MR Cermak la scorsa sera ha accusato un dolore alla spalla destra, associato a mollezza alla parte bassa destra del torace e al fegato. Questo, insieme al suo aspetto generale settico, ci ha indotti a sospettare la presenza sia di un ascesso subfrenico sia di un empirema pleurico. Per questo motivo lo spazio tra il fegato e il diaframma è stato aspirato, con risultati negativi. Dalla cavità pleurica è fuoriuscito fluido sieroso sanguigno, vecchio. Dallo stesso polmone, all’aspirazione, è fuoriuscita aria viziata e fetida, ma non pus, rivelando che nel polmone è in atto un processo di cancrena.”
***

QUADRO DODICESIMO
Giuseppe Z., Pasquale Grandinetti

Giuseppe Z. detta al compagno che traduce.

GIUSEPPE Z.
“A mia nun me piacianu li scale. Tutte, piccule e grandi. Pecchì a tri anni, sulu senza mamma e senza frate, sugnu caduto abbasciu de na scala. Tutti pensarunu ca mi l’era quazata. Mortu stecchito. E invece no. Eu sugnu natu sutti i fiarri e a mia nente me schianta, mancu a morte ‘mpersona.”

GRANDINETTI
Chista cosa di fiarri l’hai già ditta. L’avimu a rripetere?

GIUSEPPE Z.
Ca certu.

GRANDINETTI
Va bene, vai avanti.

GIUSEPPE Z.
A 4 anni sugnu caduto dintr’ o focu. Mi sugnu bruciatu na gamba ma ccà sugnu ancora. All’età di 5 anni….

GRANDINETTI
Aspetta, vai cchiù chianu. Nun ti staju appressu.

GIUSEPPE Z.
All’età di 5 anni, mentre ero in visita a un’amica di mia zia, sugnu caduto nuovamente dalle scale e mi rumpia nu puzu. Mi sono rotto a turno tutto, pure la lingua, pure la faccia e pure il culo mi sono rotto.

GRANDINETTI
Si sicuro ca voj mintìri i parolacci?

GIUSEPPE Z.
Tu è ha fari a traduzioni, no i commenti.

GRANDINETTI
Era pecchì poi magari nun tu stampanu.

GIUSEPPE Z.
Fatti i cazzi toi.

GRANDINETTI
Vai avanti.

GIUSEPPE Z.
Mia zia diciva a tutti che eru sfortunatu. Cuntava sempre e disgrazie che mi capitavanu a mia e a finale diciva sempre “sfurtunatu”. Ma a cchiù grande sfurtuna mia si chiama Salvatore…

GRANDINETTI
Cu è Salvatore?

GIUSEPPE Z.
Me patri.

GRANDINETTI
E’ mortu.

GIUSEPPE Z.
Ca quale? E’ vivu e vegetu.

GRANDINETTI
E aundi abita?

GIUSEPPE Z.
A casa sò.

GRANDINETTI
Aundi?

GIUSEPPE Z.
In Calabria. Mò è anziano ma quando era giovane cumu a mia ora, s’indi venju alla 'Merica pure lui.
Ju e benju quattru vote. E senza mai scrivere mancu du righe ppè dire “sugnu vivu, sugnu mortu.”

GRANDINETTI
Haju a tradurre o mu stai cuntannu a mia?

GIUSEPPE Z.
Tu cuntu a tia si voi sentire. A dettatura è finita.

GRANDINETTI
Certu ca vogghiu.

GIUSEPPE Z.
A prima vota doppu sei mesi da partenza tornò e senza dire che sacciu “bongiorno bellu di papà” mi jettau du liattu a cavuciuni e mi portau supre e terre. Mia zia ci dissi ca eu duviva ire a scola cumu tutti i quatrari dell’età mia; ma mi patri arrispunniu ca iddu era il padrone, iddu a me scola. A casa u masculo tene sempre ragione pure quando tiene torto e tutti vasciammu li corna. Cussì me patri mi cunsignau al mondo, analfabeta.

GRANDINETTI
Analfabeta ma faticatore. Ti 'mparau nu mistieri.

GIUSEPPE Z.
Aspetta, fammi finire lu cuntu. All’epoca sordi cinn’erenu pochi ppè tutti. Eravamo poveri 'ncanna. Papà tirannu all’uassu chiddu pocu ca tenìa e cuntrattannu a filu de curtellu, s’accatau na vacca e n’atra si l’affittau a usufruttu ppè tri anni de Totonnu Romeu, chi u chiamavanu “u pizzardu”. A rata d’affittu ppè chidda vacca era Giuseppe.

GRANDINETTI
Chi vena a significare? Non furu sordi ma cristiani?

GIUSEPPE Z.
Tu issi, sordi non 'ndi giravano. Eru eu a rata di l’affittu, sì. Ppè tri anni lavurai a matina per u pizzardu. Tantu valiva chidda vacca, tri anni da vita mia. Iddu lavorava ccù u bestiame e eu aviva a zappari. Finutu u travagghiu ppu patrune da vacca, cuminciavu ccù travagghiu pò o me patrune: doppu pranzu aviva a badare alle vacche chi s’accattau papà, e spalavu litame tuttu u tempu. Tuttu u tempu 'mprascatu di merda. Tenivu mancu dieci anni. Secondu tia accussì picculi si poti travagghiari? Eu dicu ca chiddu nun era travagghiu per quatrari accussì giovani; era troppu pisante ppe chille età. Ma a chine l’avivu a cuntare?

GRANDINETTI
Va bonu to parte era nu pocu severo ti fici uomo troppu presto, ti misi lu bastu senza aspettare chi facivi le ossa. Ma di sfortune cussì era china ogni famiglia da li parti nostre. A vita era travagghju e u travagghju era la vita. Si campava travagghjandu.

GIUSEPPE Z.
Aspetta, fammi finire lu fattu. Al pascolo a vacca du pizzardu era tranquilla nun n’avia pigliatu du patrune; ma l’autra era maligna. Dorina si chiamava. Mò mangiava queta queta e appena giravu l’uacchi nun c’era cchiu. Se n’era juta a catafutte sutta nu sbalancu, o eru jume ppè bive acqua, o dintra a na vinella mianzu a ru boscu nivuru. Me tuccava ire a la ricoglie, circannula a destra e a manca, certe vote fino a notte funna. Nu jornu, circu, circu, a chiamu ppè mari e munti cumu nu pazzu: Dorina! Dorina! Se fa notte, schiara juarnu e chidda nun si trova. Scunsulatu me ricuogliu a casa sulu, orfano di vacca. Papá, senza mancu addimannare pecchì e per cosa, ca cumu e ca quannu, m’assesta nu cazzottu sanizzu 'nta a faccia. Cadu e dicu “papà”… ma m’arriva nu cavuce dintre ‘e coste chi me fa vide i surici russi, jettu sangu da vucca e pigliu cavuci chi para ca su centu piedi chi me vattanu. Arriva me zia gridannu disperata: "Cussì l'ammazzi" ma ricoglia nu buffettuna chinu puru idda chi le svota u nasu a sangue. Rimasi ottu jorni u letto chidda vota, cchiù morti ca vivo e me patri mancu lu medico fici chiamare. I cavuci e i cazzotti si sprecavanu. Tantu io o u cane, era ru stessu ppè papà. Fatigavu cumu na bestia, e me trattava cumu na bestia. Ero chienu ‘e tagli, croste e cicatrici. Botte chi passavanu du nivuru a ru viola, poi a ru giallu, prima de venire rinnovate e partire daccapu ccù ra colorazione. Allura a pelle m’è diventata cumu fierru e ru stomacu s’è guastatu. Chistu era Salvatore. Na furia chi l'aviva ccù tutto il mondo criatu; nu diavoli chi nun intendeva perdono. U patri chi di patri nun teneva nenti.

GRANDINETTI
Mi facisti aggrizzari li carni. Mo haju capito bonu. Scrivimu tutto.

GIUSEPPE Z.
Chi voi scrivere?

GRANDINETTI
Sti fatti.

GIUSEPPE Z.
No, chiustu nun lu pozzu scrivere.

GRANDINETTI
Invece sì. Adda rimanire memoria di to patri, della sò pripotenza, di chiddu chi ti fici passare.

GIUSEPPE Z.
Di me padre speru ca si perda lu stampu. Ci sono dolori ca nun si ponnu scrivere. Se li scrivi diventano barzellette, cose di niente. Tu dico a tià. Ricordatillu tu che già è na cosa. E nun lu cuntare mai a nessuno si nun voi passare ppè bugiardu.

GRANDINETTI
Era comunista to patri?

GIUSEPPE Z.
Aundi spunta ora stu comunismo?

GRANDINETTI
Nenti, è sulu ca si pensu i comunisti pensu a gente maligna.

GIUSEPPE Z.
A gente chi nascìa curnuta nun s’addirizza, e si è comunista o no, nun conta.

GRANDINETTI
E u pizzardu?

GIUSEPPE Z.
Cosa?

GRANDINETTI
Era comunista u pizzardu?

GIUSEPPE Z.
Ma si fissatu ccù sti comunisti, tu.

GRANDINETTI
Era cussì per dire. Putivu domandare si era spusatu, si aviva figli o altro e invece domandai si era comunista.

GIUSEPPE Z.
No, eri di l’atra sponda.

GRANDINETTI
Ricchiune?

GIUSEPPE Z.
No, capitalista. Teniva appresu nu libru dei so possidimenti ccù la fodera nera di pelle e sopra a chidda pelle c’era scritto grande “La robba mia”. Prima di partire mi dezzi cinque lire.

GRANDINETTI
Era riccu?

GIUSEPPE Z.
Tu issi, riccu assai.

GRANDINETTI
Allura era u capo zona? Affiliatu ‘ndranghetista? O magari propriu capubastune direttu?

GIUSEPPE Z.
Ma cu?

GRANDINETTI
Oppuru era nu camerata i Mussolini…. Chi sacciu, podestà du paise?

GIUSEPPE Z.
Ma ppè tia non ci ponnu essere cristiani normali, ricchi o poveri, hannu a essere per forza comunisti, mafiusi o fascistazzi?

GRANDINETTI
Ti dezzi 5 lire, voli dire ca vuliva qualcosa da tia. A mia per esempiu mi chieseru di portare certi presenti a certi amici. Macari a tia ti disse di portare, che so, n’imbasciata a qualcunu. O magari n’ordine preciso… chi sacciu… mazzari a…

GIUSEPPE Z.
Ma chi ti si rimminchiunitu? A chine avivu d’ammazzari?

GRANDINETTI
Certu cca ddintra non ci stai per scangiu di persona.

GIUSEPPE Z.
Ci staju pecchì sparai di testa mia. Pecchì se non è di testa mia io nenti fazzu, ccù sordi e senza sordi.

GRANDINETTI
Va bonu, allura ti fici nu regalu.

GIUSEPPE Z.
No, mi volli mortificare ccù chidde 5 lire date cussì senza pinseru, mentri dava a mangiari a li cani. Vuliva ricurdarmi ca eru servu e ca, puri si venivu alla 'Merica e facivu li sordi, sempre servu rimanivu. Si puru turnavu ‘mpaise, m’accatavu la terra e diventavu patruni cumu a iddu, sempre u fighiu i Salvatore Z. rimanivu. Poveru di nascita e di spiritu. Forse teniva puru nu pocu di paura ca tutte chiste cose eu le facivu viramente. I capitalisti sunnu accussì… ‘mvidiusi di tutto e di tutti. Pensanu “è tutto mio, tutto mio e ppè l’autri nenti adde restare”. Poveru pizzardu, si avissi saputu cumu la pensu eu si fossi risparmiatu le 5 lire.

GRANDINETTI
Pecchì, chi penseru teni tu?

GIUSEPPE Z.
Pensieri ca pensu ccù a me testa… e a me testa esti assai diversa di chidda du pizzardu. Eu riccu non vogghiu diventare, mai! Pecchì i ricchi capitalisti tenunu lu vizu di fari i patruni e eu vogghiu essere patrune sulu da me vita e no di chidda di autri.

GRANDINETTI
Allura lu vidi ca si narchicu?

GIUSEPPE Z.
Allura lu vidi ca u sapivi chi voli dire narchicu?

GRANDINETTI
Eu? No! Eu nun fazzu politica.

GIUSEPPE Z.
Macari eu.

***
Dopo aver trascorso una nottata agitata, questa mattina alle 6.57 il sindaco Cermak è deceduto. I risultati dell’esame post-mortem hanno chiarito che il peggioramento delle condizioni di Mr Cermak e il suo successivo decesso sono dovuti probabilmente a un’infiammazione intestinale preesistente, causa della colite, che progredendo rapidamente è divenuta ulcerosa. Queste ulcere, secondo il nostro parere, hanno perforato le pareti intestinali provocando una peritonite - infezione dovuta a un versamento di liquido fecale nella cavità toracica - e alla fine una cancrena del tessuto addominale. Tale cancrena si è sviluppata in quella porzione del basso polmone destro perforata dal proiettile. Il corpo senza vita del sindaco è stato portato all’obitorio di Philbrik, dove verrà preparato per il viaggio in treno verso Chicago.
***

Fine primo atto

QUADRO TREDICESIMO
Agente, Dixie

DIXIE
I proiettili non causano la colite.

AGENTE
Buongiorno.

DIXIE
Buongiorno. Lo manderanno a morte?

AGENTE
Ha ucciso una persona.

DIXIE
Un malato di colite.

AGENTE
Un ottimo sindaco a detta di tutti. Che vuole? Ho un po’ da fare.

DIXIE
Ha visionato i verbali dell’autopsia?

AGENTE
Perché avrei dovuto? So di cosa è morto il caro sindaco: Joe gli ha sparato davanti a migliaia di persone.

DIXIE
Allora dobbiamo accettare l’idea che una semplice colite si trasformi da inattiva in ulcerosa, penetri l’intestino, diventi peritonite e incancrenisca gli intestini e il polmone causando la morte del paziente dopo 19 giorni?

AGENTE
Non ho capito una parola.

DIXIE
Enterite, colite, problemi al cuore, ai polmoni, ai reni, al fegato… tutto questo prima del ferimento al parco.

AGENTE
Sono discorsi senza senso. I medici hanno testimoniato sotto giuramento che la ferita provocata dal proiettile è stata la causa della morte.

DIXIE
Infatti. In nove hanno firmato il comunicato.

AGENTE
Lo vede?

DIXIE
Non potevano fare altrimenti. Non possono mettere in pericolo le loro carriere.

AGENTE
Che va blaterando?

DIXIE
I picchi febbrili sono sintomatici della setticemia. Sanno che hanno commesso un errore fatale a non operarlo subito… quando era ancora abbastanza forte da superare l’intervento. Esiste un’operazione specifica, la Resezione Oxner, per ascessi subfrenici classici… una operazione di routine… Ma i suoi medici non l’hanno eseguita.

AGENTE
Anch’io ho fatto i compiti, sa? Non sono un medico per cui leggo: In primo luogo il proiettile è penetrato, provocando il collasso del polmone, l’emorragia e uno shock profondo. Ecc. ecc. ecc… La perforazione finale del colon, con peritonite, ha portato alla morte, come risultato della ferita da proiettile.

DIXIE
Non ha finito. Legga il seguito.

AGENTE
Non c’è un seguito.

DIXIE
E invece sì.

AGENTE
(Legge)
“…Ha portato alla morte come risultato della ferita da proiettile, dell’insufficienza cardiaca, della cancrena del polmone e della peritonite.”

DIXIE
E’ abbastanza per dire che, tecnicamente, il proiettile potrebbe non avere ucciso il sindaco.

AGENTE
Però lui è “tecnicamente” morto. Ora se non le dispiace, avrei da fare: tra tre ore si riunisce il Gran Giurì.

DIXIE
Lei lo vuole morto, questa è la verità. Non le basta l’ergastolo.

AGENTE
Io non voglio proprio niente, non sono un giudice. Faccio solo il mio mestiere.

DIXIE
Avete fatto di tutto per arrivare alla condanna a morte.

AGENTE
Quello che facciamo o non facciamo noi, sono cose fuori dalla sua portata, avvocatessa.

DIXIE


AGENTE
Non è avvocatessa, lei? Aveva un ufficio al 1645 di Malroy Street. Era l’ufficio di suo padre, o mi sbaglio? Un ufficio rinomato… Come mai lo ha chiuso quattro anni fa?

DIXIE


AGENTE
I clienti non erano soddisfatti di lei? Non la ritenevano all’altezza di suo padre?

DIXIE
….

AGENTE
Quanti clienti ha avuto?

DIXIE
....

AGENTE
Neanche uno, vero? Non ha mai professato. Come mai?

DIXIE


AGENTE
Glielo dico io. Perché dietro la scrivania, in un ufficio legale, la gente vuole trovarci un uomo. Come suo padre. Ha fatto bene a fare il corso di stenografia… e venire qua… in fondo lavora sempre per il tribunale.

DIXIE
Come fa a sapere di mio padre?

AGENTE
Me lo ha detto lei.

DIXIE
Io? No di certo. Non parlo mai di mio padre con gli sconosciuti.

AGENTE
Strano. E allora chi me lo ha detto? A me succede così… io so le cose.

DIXIE
Chi è lei?

AGENTE
Perché lo vuole sapere?

DIXIE
Perché sto davanti a qualcuno che mi parla come se mi conoscesse anche se ci siamo visti per la prima volta pochi giorni fa.

AGENTE
Ieri mattina stavo in bagno… mia moglie mi chiama, allarmata, e mi dice di guardare dalla finestra. Io mi affaccio e vedo che sollevano delle persone per i piedi e per le braccia. Le ho detto che dovevano essere degli ubriachi; non era vero. Erano morti. Morti di fame e di freddo. E non erano barboni, erano quelli che un minuto prima lavoravano e il minuto dopo erano fuori, persone oneste che non potevano più pagare l’affitto magari, e tremavano dal freddo. Da quel fottuto martedì nero che ci ha colto alla sprovvista è scesa la notte… Siamo spaventati… Io, lei… tutti. Mi creda, sa quello che c’è da sapere… non cerchi di sapere altro.

DIXIE
Cosa c’è da sapere? Che tutto succede a mia insaputa… mio malgrado… Secondo logiche che mi sfuggono e mi ignorano?

AGENTE
E’ una questione di priorità.

DIXIE
E’ giusto quello che è prioritario?

AGENTE
In un certo senso. Io sono americano… sono nato qui… mio padre e mia madre sono seppelliti qui. L’Italia non significa niente per me. Nel mio lavoro si impara presto a selezionare, distinguere tra quello che serve e quello che non serve sapere. Vede… Quello che mi serve sapere ora è che siamo in mezzo alla tempesta perfetta ed è il momento di liberarsi della zavorra, tirare i remi in barca e chiudere i boccaporti… senza tanti complimenti. Non si raccoglie nessuno… non si bada alle cortesie. Si riduce tutto all’osso. C’è da salvare la nave. Solo quello conta. Io non so se il suo Joe è un mafioso, un anarchico sovversivo, un pazzo scatenato, un povero disperato o un suicida. Quello che so è che è un problema e presto non lo sarà più. E questo mi fa sentire meglio. Ascolti il mio consiglio: si liberi della zavorra e chiuda i boccaporti. Altrimenti incomincerà a imbarcare acqua e finirà annegata. E le assicuro che non ci sarà nessuno che proverà a salvarla.

QUADRO QUATTORDICESIMO
Agente, Grandinetti

GRANDINETTI
“In Italia il servizio militare è obbligatorio. Quando giunsi a 21 anni, toccò anche a me. Non ero fisicamente adatto o abile ma mi presero ugualmente. Fui assegnato alla compagnia 4 del 70° Fanteria. Eravamo stazionati in Toscana. Marciavamo ogni mattina. Era dura per me, perché continuavo a soffrire di stomaco”.

AGENTE
Basta.

GRANDINETTI
Aspettate che ora arriva una cosa pesante.
“Mentre prestavo servizio, sentii dire che il re d’Italia, Vittorio Emanuele, stava venendo a trovare il figlio. Ero alla stazione quando lui arrivò. Avevo con me un’arma. Volevo ucciderlo. Ma le sue guardie mi si sono piazzate davanti e non riuscii a sparargli. Non mi fu possibile nemmeno vederlo perché le guardie erano alte più di un metro e ottanta.”

AGENTE
Finito?

GRANDINETTI
Sì.

AGENTE
E dov’è la cosa pesante?

GRANDINETTI
Voleva ammazzare il re d’Italia.

AGENTE
Tu la nostra Dixie, la conosci?

GRANDINETTI
Si, bella gherl.

AGENTE
Ci faresti all’amore?

GRANDINETTI
Che volete sapere?

AGENTE
Ci hai mai pensato, voglio dire?

GRANDINETTI
Masculo sono.

AGENTE
E lei vuole?

GRANDINETTI
Non lo so.

AGENTE
Allora le hai usato violenza.

GRANDINETTI
No, lo giuro sulla Madonna del Cero.

AGENTE
Se avete fatto all’amore e lei non voleva, tu sei uno stupratore.

GRANDINETTI
Ma non ho fatto all’amore con lei.

AGENTE
Ci hai solo pensato.

GRANDINETTI
Ecco, solo quello.

AGENTE
E, infatti, io non ti posso arrestare per stupro.

GRANDINETTI
Mi avete voluto dire qualcosa con questa storia?

AGENTE
Che in due ore mi hai letto un diario che non mi serve a nulla. Possibile che non ti ha fatto qualche confidenza?

GRANDINETTI
Tante me ne fece. E ve le ho riferite tutte. Ma di complici non ha mai parlato. Lo giuro. Ripete le cose… le sue fissazioni... E’ tutto un delirio. Se posso dire la mia, mister, quello è completamente pazzo. Un pazzo ingegnoso. Non è che sragiona. Ragiona a modo suo. Solo che questo modo suo è completamente sballato. Tu lo capisci che è sballato; ma è difficile dire che ha torto se lo senti parlare.

AGENTE
Insomma ha torto o ha ragione?

GRANDINETTI
Non lo so. Certo è che se gli dai ragione perdi la testa. Diventi matto. E se gli dai torto ti senti di stare tu nel torto.

AGENTE
Ma gli stai facendo le domande giuste? Io voglio sapere cose precise.

GRANDINETTI
Non lo so se sto domandando bene. Mica posso fare richieste dirette? Quello è sveglio e se ne accorge se, ragionando, salto di palo in frasca. Il fatto è che mentre faccio un giro largo per arrivare al dunque che ci interessa… che interessa a voi, mister, lui, molto prima che ci arrivo a quel dunque, mi porta da un’altra parte, in un altro ragionamento. E io manco me ne accorgo e l’occasione è persa. Non è facile mister.

AGENTE
Di che avete parlato per tutto il tempo?

GRANDINETTI
Di cose che a voi non vi interessano. A parte il fatto del re d’Italia che però quello ho capito che è cosa di pensiero e non di mano e le cose di pensiero non vi aggradano perché non contano. Che vi devo dire: o è troppo furbo o dice la verità. E io penso la seconda più che la prima. Quello veramente ha fatto tutto da solo. È un calabrese e quando un calabrese si mette una cosa in testa, trova modo e misura per farla. Quando mi firmate il foglio d’uscita?

AGENTE
Hai tutta questa fretta? E poi che fai? Torni dai tuoi amigos a combinare guai in giro?

GRANDINETTI
Se voi mi liberate, come avete promesso, ve lo giuro su quanto ho di più caro, me ne torno all’Italia… a casa mia. Lì ci ho a mio fratello che ha una terra coltivata a ulivi e cinque figli che mi vengono nipoti. Giuro sulle loro teste che mi metto a campare onestamente.

AGENTE
Allora ti faccio scortare e ti rispedisco al tuo paese, va bene?

GRANDINETTI
No, al mio paese ci devo tornare senza accompagno. Con le mie gambe e di mia volontà.

AGENTE
Lo vedi che non hai intenzione di partire?

GRANDINETTI
In Italia non lo sanno che sono carcerato e non lo devono sapere. Se scendo dalla nave in mezzo a due sbirri, la gente capisce una cosa per un’altra.

AGENTE
Si fanno l’idea giusta, vuoi dire.

GRANDINETTI
No, vi sbagliate. Io una rapina ho combinato. E voi mi avete fatto dire che ho ammazzato delle persone… e questo non corrisponde a verità. Se si viene a sapere all’Italia finisce che patisco per una colpa che non ho. Una cosa è qualche gioco di mano lesta che si fa per campare e altra cosa è ammazzare un cristiano. Io sono una brava persona.

AGENTE
Le brave persone fanno le rapine a mano armata?

GRANDINETTI
E’ capitato, mister.

AGENTE
Dodici volte nell’ultimo anno?

GRANDINETTI
Vi sbagliate. Due volte… solo due volte.

AGENTE
Ti hanno riconosciuto tutti i negozianti che hai rapinato. E sono dodici in tutto.

GRANDINETTI
Due o dodici, che differenza fa? Non ho mai sparato un colpo. Ci hanno rimesso solo qualche spicciolo. Manco un graffio si sono trovati.

AGENTE
Allora cambia tutto.

GRANDINETTI
Ma uno che deve fare? Io prima lavoravo. Ma se le miniere chiudono, le fonderie chiudono, le imprese di costruzioni chiudono, che posso fare? Di mangiare devo mangiare. E’ meglio la galera che morto sotto un ponte di fame e di freddo. A qualcuno è successo. Paesani e ‘mericani, morti tesi come stocchi per mancanza di un piatto caldo. Mi fate uscire o no?

AGENTE
Ti ho promesso che ti facevo uscire e ti farò uscire.

GRANDINETTI
Oggi mi dovete fare uscire. L’accordo era questo.

AGENTE
Se non mi porti niente da riferire ai miei superiori, come faccio… che gli dico… facciamolo uscire per cosa?

GRANDINETTI
Nessuno mi ha parlato a me che dovevo portare qualcosa a qualcuno.

AGENTE
Quindi hai pensato che la libertà te la regalavamo?

GRANDINETTI
Vossia mi ha stretto la mano e mi ha detto così e così, e ora si tira indietro.

AGENTE
No, non mi tiro indietro … mi serve ancora che tu passi un po’ di tempo con lui.

GRANDINETTI
Vossia mi disse che se acconsentivo a stare con Giuseppe Z. e parlarci in calabrese voi poi mi facevate uscire e tornare libero.

AGENTE
E come ti ho detto sarà.

GRANDINETTI
Sì, ma il quando non lo dite e sul quando mi fate fesso. Voi a un ‘mericano lo fareste quello che io ho fatto a Giuseppe?

AGENTE
Che cosa?

GRANDINETTI
Io mi sono macchiato di un peccato brutto. Il più brutto. Il peccato di infamità. Perché tra paesani ci si aiuta, non ci si fotte. A voi vi ho fatto un favore. E non mi è costato poco.Però ho dato la parola e quella, una volta data, è legge scritta. Allora mi sono impegnato e tutto… Che non la volevo rubare questa libertà. Grandinetti fai così e Grandinetti fa così, dici cosà e Grandinetti dice cosà… 'Narchici, napoletani, il viaggio del Biancamano”… Grandinetti capisce e ripete… come un pappagallo… presentati come uno scannotore di negri e io mi presto. Che poi per vostra informazione a lui i negri ci stanno pure simpatici e ho fatto la figura del fesso. Ma a voi non vi basta mai… buttate la mollica sempre un metro più avanti. Devo rimanere? Rimango. Ma allora la libertà é poco, non mi basta. Mi dovete pagare anche il viaggio per l’Italia. E cancellare il mio nome dai vostri registri.

AGENTE
Ma che pensi che sei al mercato e puoi tirare sul prezzo? Pensi che stai seduto a capotavola e puoi mangiare il primo boccone? Qui il prezzo del pesce lo decido io, chiaro? Lo peso, lo incarto, e lo mangio pure. Tu aspetti. Se avanza qualcosa la prendi e la paghi quanto dico io. Chiaro?

GRANDINETTI


AGENTE
Chiaro?

GRANDINETTI
Lui a me niente mi dice, lo volete capire, si o no? Ci posso stare anche dieci anni chiuso con lui. Non è tipo parlatore. La verità è che io sono un ladruncolo da quattro soldi e lui è un uomo di ferro. Avete mandato una pecora a spiare un lupo. Non è cosa. Credetemi. Troppo grosso per me. Dovete mandare qualche altro, a me mi liberate e mandate qualcuno che ha veramente ammazzato la gente… così tra loro si intendono.

AGENTE
Continui a darmi indicazioni? Allora non ci siamo capiti.

GRANDINETTI
Siete voi che non mi avete capito a me. Guardate. (Si alza e passeggia zoppicando). Lo vedete?

AGENTE
Cosa?

GRANDINETTI
Sono zoppo.

AGENTE
Sì, lo vedo.

GRANDINETTI
Io ho fatto la guerra. Sono invalido di guerra. Mi hanno dato pure una medaglia.

AGENTE
E allora?

GRANDINETTI
E allora non me la meritavo la medaglia. Il piede non l’ho perso in battaglia. Ho imbrogliato. Il piede l’ho tirato fuori dalla trincea. Lì appena spuntava qualcosa dai buchi, i cecchini gli sparavano e così hanno fatto con il mio piede.

AGENTE
Ti sei fatto sparare a un piede per avere una medaglia?

GRANDINETTI
Delle medaglie me ne fotto. Mi sono fatto sparare perché volevo tornare a casa. Non ci volevo morire lì al norditalia. Avete capito adesso?

AGENTE
Che devo capire?

GRANDINETTI
Non sono la persona giusta per l’incarico che vossia mi ha affidato. Io non gli sto appresso a Giuseppe. Mi pare che tiene sempre ragione lui. Per me due più due fa quattro punto e basta. Ma lui no, lui i numeri se li recita a piacere e trova altre combinazioni. Io parlo parlo ma non concludo. Perché penso solo che voglio tornare a casa.

AGENTE
Devi fare un’ultima cosa e poi ti accompagno io di persona alla stazione.

GRANDINETTI
Io ho finito la tarantella. La mia parola l’ho mantenuta. Ora onorate la vostra.

AGENTE
Se non fai quello che ti dico ti impacchetto, ti metto sulla nave e ti rispedisco a casa come indesiderabile, perché ladro e assassino.

GRANDINETTI
Mi volete rovinare.

AGENTE
Decidi tu.

Pausa

GRANDINETTI
Che devo fare?

AGENTE
Ora ti spiego.

QUADRO QUINDICESIMO
Giudice, Giuseppe Z.

Il giudice è visibilmente ammalato. Tossisce di frequente e ha problemi di respirazione. E’ leggermente indolente.

GIUDICE
Siete stato già condannato a 4 ergastoli per un totale di anni 80 di carcere; è consapevole di questa condanna?

GIUSEPPE Z.
Certo, signore e giudice. Io se vi ricordate vi dissi pure che per me potevate fare cifra tonda e darmene 100 di anni.

GIUDICE
Ora stiamo procedendo per un capo di imputazione più gravoso: omicidio volontario di primo grado e tentata strage. Ha capito quello che le ho detto?

GIUSEPPE Z.
Signore e giudice, questo è un microfono che ci devo parlare dentro?

GIUDICE
Sì.

GIUSEPPE Z.
E mi sentono dalla radio?

GIUDICE
Chi?

GIUSEPPE Z.
La gente che sta a casa.

GIUDICE
No. La sentiamo noi.

GIUSEPPE Z.
E poi si può sentire pure quando io non ci sono?

GIUDICE
Sì.

GIUSEPPE Z.
Mi fa piacere.

GIUDICE
Lei, Joseph Z. si dichiara colpevole o non colpevole?

GIUSEPPE Z.
Io ho sparato; la mano era mia e pure la pistola. Ma ad ammazzare il sindaco è stata la gente che mi ha creato impedimento.

GIUDICE
Quello che ha fatto lo ritiene giusto o sbagliato?

GIUSEPPE Z.
Penso che ho fatto giusto.

GIUDICE
Sapeva che sparando andava contro la legge?

GIUSEPPE Z.
Sì.

GIUDICE
E insiste sul fatto di avere ragione?

GIUSEPPE Z.
Sì. Tengo tanta di quella ragione che posso imbarcarla e spedirla a tutto il mondo e pure me ne avanza.

GIUDICE
Nessuno può farle cambiare questo modo di pensare?

GIUSEPPE Z.
Nessuno.

GIUDICE
Perché ha voluto diventare cittadino americano?

GIUSEPPE Z.
Non ho capito.

GIUDICE
Ha fatto un giuramento quando è diventato cittadino americano.

GIUSEPPE Z.
Al cento per cento. Ho presentato la domanda per la naturalizzazione e l’ufficio l’ha accettata. Poi ho fatto l’esame e l’ho passato… anche se quello che c’era al colloquio parlava difficile per far vedere che non capivo la lingua. Però io, alla faccia sua e di tutti quelli come lui, l’undici di settembre del ‘23 ho fatto il giuramento, sì.

GIUDICE
E ha giurato lealtà alla Nazione e alla bandiera, perciò lealtà al nostro presidente.

GIUSEPPE Z.
Nossignore. La bandiera e la nazione sono una cosa. Il presidente è un’altra.

GIUDICE
Che vuole dire?

GIUSEPPE Z.
La bandiera non fa danno a nessuno. Il presidente invece sì.

GIUDICE
Chi danneggiava il nostro presidente?

GIUSEPPE Z.
A me in primisi.

GIUDICE
C’è stato qualche caso di infermità mentale nella sua famiglia?

GIUSEPPE Z.
No.

GIUDICE
Qualche caso di pazzia nella famiglia di sua madre?

GIUSEPPE Z.
No.

GIUDICE
Nella famiglia di suo padre?

GIUSEPPE Z.
No.

GIUDICE
Qualcuno dei suoi parenti è stato mai ricoverato in un manicomio?

GIUSEPPE Z.
No! Non serve che mi fate sempre la stessa domanda. Non sono pazzo! Nella mia testa la luna non tiene ombre.

GIUDICE
Si può spiegare meglio?

GIUSEPPE Z.
Se hai le ombre sei lunatico, signor giudice. Senza ombre sei limpido e lucido come l’acqua.

GIUDICE
Si ritene un uomo intelligente?

GIUSEPPE Z.
La persona intelligente è quella che non si rassegna mai.

GIUDICE
E lei si rassegna?

GIUSEPPE Z.
Mai.

GIUDICE
L’imputato si può alzare. Potrebbe spostarsi più a destra? Non riesco a vederla. C’è qualcosa che vuole dire al giudice prima che proceda alla lettura della sentenza?

GIUSEPPE Z.
Al giudice?

GIUDICE
Sì a me, e a tutti.

GIUSEPPE Z.
Questa è la mia idea, signor giudice. C’è il capo…e ci sono io con una pistola in mano. Il resto viene da solo. Questa è tutta la mia idea. Se ammazzavo il presidente io facevo un cambiamento. A me i capitalisti non mi gabbano. Che giovamento hanno portato? Vi siete visti come state combinati? Vi mettete in fila per un tozzo di pane, elemosinate un vestito, non potete pagare l’affitto, il lavoro non ce lo avete più, vi hanno buttato in mezzo a una strada e ai mobili gli date fuoco per riscaldarvi. A questo porta il capitalismo. E invece di vedere come fare a risolvere la questione, ve la prendete con Giuseppe. Dite che Giuseppe è pazzo. Ma non è vero. Sono loro i pazzi lunatici. Hanno la testa piena di mosche e sono pericolosi. Bruciano il grano. Per fare il pane ci vuole il grano; ma il capitalista il grano lo brucia pur di non dare pane al povero. Bruciare il pane è peccato mortale. E’ cosa da pazzi. Ma loro, annebbiati come sono, dicono che se c’è tanto grano il prezzo si abbassa, al punto che poi non conviene più coltivarlo. Io dico no, signor giudice. Coltivare il grano conviene sempre se col grano ci devi fare il pane. Ma siccome col grano ci vogliono fare i soldi, allora non conviene più. I capitalisti sono come le mosche cavalline che si attaccano alle palle del mulo e gli succhiano il sangue. Mentre quello si ammazza di fatica, loro ingrassano. Ecco perché al soldo bisogna dargli fuoco una volta e per sempre… Bruciare tutto. Perché i poveri non hanno bisogno del denaro. Solo di pane hanno bisogno. Prova a stare due giorni senza pane e vedi come è brutto. Il pane è una cosa buona. Il soldo, no. Molte persone hanno milioni e molte persone non hanno manco un nichelino. Perché signor Giudice? Perché il soldo ragiona così. Fa le differenze. Fino a che c’è il soldo ci saranno i ricchi e ai ricchi gli serve che ci siano i poveri, non c’è scampo. Però se ai soldi gli fai fare una bella fiammata, bella grossa, liberativa, cambia tutto. Cambia il mondo. Senza terre da comprare e vendere; solo terre da coltivare per mangiare e stare in salute. Ognuno lavora solo per il pane. Tutti allo stesso modo.
Io accuso il governo Capitalista della mia malattia. Perché se avessi avuto le stesse opportunità dei figli dei capitalisti mio padre non mi avrebbe fatto lavorare così giovane e non avrei sofferto di questo stomaco. Ma io sono nato per un motivo, signor giudice. La strada è lunga, tanto lunga dietro di me. Ma io posso dire: “Da qui in avanti. Da me in avanti”. Io cambio. Dico: “diverso”. Ho finito.
Pausa.

GIUDICE
Benissimo. In conseguenza del fatto che lei non ha detto nulla che possa influenzare la corte, nel ritardare la sentenza e l’accluso giudizio procedo alla lettura della stessa. E’ sentenza della legge e giudizio della corte, che lei, Giuseppe Z., sia riconsegnato alla custodia dello sceriffo nella prigione comune della contea fino al momento in cui lei, Giuseppe Z., sarà consegnato al sovraintendente della prigione dello Stato, a Raiford, in Florida, tenuto in condizioni di sicurezza e rinchiuso fino a che il governatore dello stato della Florida con sua propria autorizzazione, disporrà per la sua esecuzione. La condanna a morte sarà mantenuta ed eseguita, in uno dei giorni della settimana fissata dal governatore, come settimana della sua esecuzione. Il momento dell’esecuzione di tale condanna deve essere deciso dal sovraintendente della prigione dello Stato. E a tale tempo e luogo la condanna a morte le sarà inflitta, facendo attraversare il suo corpo da un flusso di corrente elettrica di intensità sufficiente a causarle la morte. Possa Iddio avere misericordia della sua anima. Fatto e ordinato in corte pubblica a Miami. Questo decimo giorno di marzo 1933. Che il giudizio venga registrato.

QUADRO SEDICESIMO
Giuseppe Z., Grandinetti

GRANDINETTI
Comu ti senti?

GIUSEPPE Z.
….

GRANDINETTI
Non voi parrari?

GIUSEPPE Z.
…..

GRANDINETTI
U capisciu. La notizia è grave ppè tia.

GIUSEPPE Z.
….

GRANDINETTI
A California è malamente ppè sti cose, ccà pensanu ccù l’occhiu ppè occhiu e u dente ppè dente. Si fai na cosa le a pagare centu vote u sò valore. Sunnu gente grezza. Caminavanu ccù a pistola attaccata a na coscia fino a l’autru ieri. Ma tu nun te hai preoccupare di nenti. Capisciti?

GIUSEPPE Z.
Io la morte non la calcolo. Se arriva la saluto e una volta che è arrivata bonanotti.

GRANDINETTI
Finiscila i fare u superman, tu tieni paura cumu a tutti e chiustu è normali. A morte è na brutta bestia.

GIUSEPPE Z.
A mia nente mi schianta, mancu a seggia lettrica. Tenatillu a mente… Nun dicu fissarie.

GRANDINETTI
E s’arriva la grazia all’ultimu minutu?

GIUSEPPE Z.
Nun mi interessa di scamparmela. Non ti domandai né a te né a nessuno di farmi campare più del dovuto. Anzi, prima a sbrigamu sa pratica e megghiu è. Perciò tieniti a carota ca eu haju spalle larghe po u vastune.

GRANDINETTI
Nun voi cunfortu?

GIUSEPPE Z.
No.

GRANDINETTI
Nun voi aiutu?

GIUSEPPE Z.
Nun vogghiu nenti.

GRANDINETTI
A voi sapire na cosa? Di chiddu chi voi tu mi 'ndi futtu altamente. Io rispondo a ordini chi stannu supra.

GIUSEPPE Z.
Supra aundi?

GRANDINETTI
Supra i mia, supra i tia e supra a tutti sti sbirri chi fatiganu ppè ci futtere.

GIUSEPPE Z.
Ma tu cu si?

GRANDINETTI
Cu sugnu eu non avi ‘mportanza.

GIUSEPPE Z.
Eu ti chiamai Grandinetti tutti stu tempu e sbagghiai?

GRANDINETTI
No, u nomi corrisponde a verità.

GIUSEPPE Z.
Chistu basta.

GRANDINETTI
Ma non ti issi pecchì sugnu cca dintra.

GIUSEPPE Z.
I du nivuri chi 'mmazzasti eranu janchi?

GRANDINETTI
I du nivuri eranu nivuri cumu a pice.

GIUSEPPE Z.
Nun l’ammazzasti?

GRANDINETTI
No. Mai spanzatu a nu nivuru.

GIUSEPPE Z.
E pecchì mi cuntasti sta fissaria?

GRANDINETTI
Mu dissi nu sbirru.

GIUSEPPE Z.
Ti issi i mi pigliare ppè fissa?

GRANDINETTI
E’ na storia troppu longa e ora tempu non d’avimu. Tu è ha sapiri sulu ca c’è certa gente, paesani nostri, che si addimannano un favore, nessuno gli nega.

GIUSEPPE Z.
E a mia chi mi 'ndi vena?

GRANDINETTI
Eu sugnu ccà ppè te purtare i saluti di nostri compaesani di Chicago.

GIUSEPPE Z.
Mi mandaru i saluti a mia?

GRANDINETTI
Certamente. Sono contenti e soddisfatti del lavoro chi facisti.

GIUSEPPE Z.
Aundi?

GRANDINETTI
O parcu. Fino a chi u sindaco era vivo mi dissero di pigghiare tempu e fari melina ccù tia; ma ora che esti mortu ti vogghiunu aiutari.

GIUSEPPE Z.
A mia?

GRANDINETTI
A tia, certu e a cchì sinnò.

GIUSEPPE Z.
E a guardia u sapi?

GRANDINETTI
A guardi faci tuttu chiddu ca dicu eu. “Loro” ti portanu rispettu.

GIUSEPPE Z.
E pecchì?

GRANDINETTI
Perché hanno visto che agli sbirri non ci dicisti nenti.

GIUSEPPE Z.
E chi avivu a ddire?

GRANDINETTI
Dei compaesani di Chicago e dei problemini loro col sindaco Cermak. “Loro” queste cose le pesano più di tutto.

GIUSEPPE Z.
Avivano problemi co u sindacu?

GRANDINETTI
Certu. Problemi grossi. U sindacu u chiamavanu Tony dieci per centu. Pecchì era chidda a so percentuale fissa. Non c’eranu amici o parenti… a mazzetta era sempre la stessa, uguale ppè tutti.

GIUSEPPE Z.
Chistu sempre è successu. Chi novità esti?

GRANDINETTI
A novità fu che u sindacu aviva i so piani. Vuliva futtere a gente di Al Capone, chi a cumandava Frank Nitti e favorire o so amicu Tedy Newberry. Tant’è veru ca appena eletto u sindacu, nu sbirru sparau a Nitti senza motivu. Tri colpi ci sparau, mentre chiddu stava dandu i polsi alle manette e mancu armatu era. Nitti sa signau u dito sta faccenda… ma cchì mi fai cuntare tuttu. Tu sti cose li sai cchiù e meglio di mia. Ora “loro” sunnu soddisfatti. Tony dieci per centu ha avutu a parta soa.

GIUSEPPE Z.
Tu ci devi diri a loro che…

GRANDINETTI
Che?

GIUSEPPE Z.
Che eu a Chicagu non canusciu cumpaesani.

GRANDINETTI
Chi vena a significare?

GIUSEPPE Z.
Ca si sbagliaru.

GRANDINETTI
Nitti in persona si occupa di tia. U capiscisti? Accussì tu l’offendi. Rifiuti l’aiutu ca ti vena offertu….

GIUSEPPE Z.
Eu li ringraziu; ma a mia aiutu nun mi' ndi serva.

GRANDINETTI
Ti pagaru?

GIUSEPPE Z.
Ti issi che non li conosco. Nun sacciu di cchi stai parrandu.

GRANDINETTI
U facisti senza pagamentu? A mia mu poi diri. Sunnu loro ca mi mandanu.

GIUSEPPE Z.
Ti mandaru dalla persona sbagliata. Eu nun sacciu nenti.

GRANDINETTI
Mo mi scassasti i cugghiuni ccù sa recita. Si voi nesciri sanu e salvu di sta cella eu sugnu l’unicu toi riferimento. Si mi tratti cumu nu babbu allura e cose cangianu: eu mi 'ndi lavu li mani, e loro s’arrangianu.

GIUSEPPE Z.
Ancora ccù sti “loru”…

GRANDINETTI
Loru sì, loru. Chiddi chi, tempu du jorni, ti fannu trovare libberu cumu nu passeru e campagna. Ma si non voi l’aiuto chi ti damu nessunu tu voli dari ppè forza. Ppè loro vali cchiù mortu ca vivu. Pecchì i morti tenanu a vocca chiusa. Si tu voi murire, a loro sta bene uguale. Ci vuoi fare questo favore? Faccelo. Voi crepare ppè loro? Crepa. Ma a mia mi le hai a ddire se sugnu venuto ppè nenti. Chistu sì, me lo devi.

GIUSEPPE Z.
Me dispiace si ti fici arraggiari. Eu ivi u parcu di capo mia. Ivu là ppè sparare u presidente. U sindacu si trovai in mezzu. Chista è stata a so curpa. Chista a so mancanza. Se ne teniva autre di mancanze, questo non lo so; ma di certi nun le teniva ccù mia. Chi ti mandau ccà u fici ppè cugghiunarti. Sordi non ne ho visto io e nun li vedrai manco tu.

Pausa

GRANDINETTI
Stammi a sentire, basta ccù li chiacchiere e li ‘mbruagli… eu te rispettu… tu si persona onorata… me dispiacìa ca li cose si sunni mise di traverso… ppè tia forse non c’è cchiu nenti da fare… è veru… aiuti nun ne arriverannu… e tu u capiscisti subitu… nessuno ti po’ aiutare a tia, ora come ora… ma tu n’aiutu u poi ancora dare.

GIUSEPPE Z.
A chi?

GRANDINETTI
A mia. Se tu mi dici chista cosa chi vogghiu sapire.

GIUSEPPE Z.
Quali cosa?

GRANDINETTI
Cu ti mandò a sparari al parco, a chi e pecchì.

GIUSEPPE Z.
Già tu issi centu vote.

GRANDINETTI
Ripetammillu.

GIUSEPPE Z.
A – me - te - sta.

GRANDINETTI
Mussolini?

GIUSEPPE Z.
Chi fici?

GRANDINETTI
Si nu surdatu in 'cognitu di Mussolini?

GIUSEPPE Z.
U surdatu u fici a tempo suo e mi bastò.

GRANDINETTI
Ti mandau Mussolini?

GIUSEPPE Z.
A mia?

GRANDINETTI
U sai almenu cu è Mussulini?

GIUSEPPE Z.
Certu ca lu sacciu. Mussolino lo volevo morto… sugnu jutu puru a Roma ppè llu sparari macari a lui ma era sempre copertu, girava cu nu saccu di persone ‘ntornu. Nun truvai mai a mira libera.

GRANDINETTI
E allura sa chi ti dico: “Vafanculu. Vafanculo tu, i comunisti, i camurristi, i sbirri e tutta a razza toa”. Nenti mi voi dire? Si cchiù furbu de na vurpa. O cchiù fissa de nu voe. Guardia! Guardia!!! Vogghiu nescire. Basta, mi rumpìa i cugghiuni. Tantu u sapiva ca nun ce escia nenti ppè mia. Quando hai a cchi fare ccù calabrisi sempre sfruntatu finisci. Guardia!!! Per Dio chistu mi fici nesciri pazzu. Rapriti sta porta o quantu è veru Gesu Cristu a sfundu a cavuci!!! Guardia!!! Eu mantinni a parola. Ora mantiniti la vostra!!! Guardia!!! Lu sapivu ca stu ‘mbruagliu finiva a me dannu. Sbirri di merda. Guardia!!!

QUADRO DICIASSETTESIMO
Giuseppe Z., Dixie

GIUSEPPE Z.
I fiori mi avete portato? Allora si avvicina il mio funerale.

DIXIE
È biancospino, sono i fiori della speranza.

GIUSEPPE Z.
La speranza ne ha fatti fessi parecchi.

DIXIE
E’ il fiore di quando si aspetta una risposta importante.

GIUSEPPE Z.
L’ho già avuta la risposta io. Avete saputo la novità?

DIXIE
Quale?

GIUSEPPE Z.
Che mi hanno dato la sedia elettrica.

DIXIE
Sì, ho saputo.

GIUSEPPE Z.
Domani mattina… alle nove. Che ore sono?

DIXIE
Le sette.

GIUSEPPE Z.
Chissà che viene a dire le sette. Il tempo mica conta le ore. Il mondo è tutto qui nella nostra testa. Fuori non c’è niente. Ognuno ci ha il suo tempo. Ognuno batte il suo. Gli orologi li fanno per sfotterci. Non ve lo scordate mai. In questi giorni ho campato un’altra vita. Mi sono parsi cento anni. E cento anni a me mi bastano. Niente voglio più. Ora mi poggio qua con la testa sul cuscino, mi cala il sonno e quando mi sveglio è giorno di festa. Non è così?

DIXIE
Che festa è?

GIUSEPPE Z.
Capodanno e Pasqua assieme. E pure un compleanno. Che io non l’ho mai festeggiato, era un giorno come un altro e passava come tutti gli altri. Domani invece no… Tutto il mondo dice: “Hai visto? Quello è Giuseppe Z., vedeva il mondo fuori-sesto e voleva porci rimedio.” E tutti che salutano. E si informano, paternità, maternità, figliolanza… che poi i figli non ce li ho. Ma fa lo stesso. E così vogliono le foto da mettere sul comodino e ci accendono una candela la sera. E i giornali lo dicono a tutti chi era Giuseppe Z. che quando è nato non se n’è accorto nessuno ma quando è morto lo hanno saputo tutti. Allora tutti sanno pure dov’è Ferruzzano. Si vanno a vedere le carte e scoprono che è in Calabria e che la Calabria appartiene all’Italia e magari lo capiscono una volta e per sempre che Italia e l’Africa sono due terre diverse. "Giuseppe Z. era ‘taliano" dice la folla “ed è passato sulla terra per ricordare alle persone oneste che il mondo pende a manca e qualcuno lo deve rimettere a livella”. Questa è la festa. E’ festa grande. Non è festa questa?

DIXIE


GIUSEPPE Z.
E che fate con questi occhi lucidi? Vi è morto il gatto?

DIXIE
No, non ce l’ho un gatto.

GIUSEPPE Z.
Come siete bella oggi. Precisa identica a mia madre. Lei aveva sempre gli occhi tristi come voi. Io di mia mamma mi ricordo solo gli occhi. Avevo due anni quando se n’è andata. Ma gli occhi me li ricordo bene.

DIXIE
Mi dispiace.

GIUSEPPE Z.
Ma a voi vi dispiace di tutto? Ogni cosa vi impressiona. Prendete la vita sempre di punta. Non va bene così. Finisce che vi ammalate o che tutti vi mettono i piedi in testa. Io non ci sarò sempre a guardarvi le spalle e darvi una mano di conforto… d’ora in poi dovete viaggiare con le vostre gambe. La conoscevate mia mamma voi?

DIXIE
No.

GIUSEPPE Z.
Per mia mamma solo io mi devo dispiacere… voi no, non la conoscevate mia mamma. D’accordo?

DIXIE
D’accordo.

GIUSEPPE Z.
E fatemi un sorrido. Che quando ridete per me è ferragosto e Natale tutti insieme.

Dixie accenna a un sorriso.

GIUSEPPE Z.
Oh, sia ringraziato il padreterno, anche se non esiste. Lo vedete? Un sorriso che viene, un peso che se ne va. Così si campa. Senza paura.

DIXIE
Io… Io penso che non siamo stati giusti con te.

GIUSEPPE Z.
Chi?

DIXIE
Tutti. Lo sai che il Gran Giurì è stato nominato prima che morisse il sindaco?

GIUSEPPE Z.
Io di queste cose poco ci capisco.

DIXIE
Si sono anticipati, perché lo sapevano che il sindaco sarebbe morto.

GIUSEPPE Z.
E vuole dire che stavano allerta.

DIXIE
I tuoi avvocati li ha nominati il giudice, era già tutto deciso. In quell’aula potevi anche non andarci. Avevano già deciso tutto.

GIUSEPPE Z.
Gli avvocati erano bravi. Quando ci parlavo, io facevo le battute e loro ridevano.

DIXIE
Io non so che fare...

GIUSEPPE Z.
E che dovete fare? Loro vogliono andare sui giornali e pure io. Siamo contenti tutti.

DIXIE
Non dire così.

GIUSEPPE Z.
Se dobbiamo parlare di queste cose è meglio che la finiamo qua.

DIXIE
Va bene, di cosa vuoi parlare?

GIUSEPPE Z.
Di mio fratello.

DIXIE
Hai un fratello?

GIUSEPPE Z.
Sì.

DIXIE
Come si chiama?

GIUSEPPE Z.
Non lo tiene un nome.

DIXIE
Non capisco.

GIUSEPPE Z.
E che c’è da capire? Mia mamma ha fatto due figli. Io e mio fratello. Ma lui il nome non ce l’ha, perché non ci ha tenuto a nascere.

DIXIE
Perché mi racconti questa cosa?

GIUSEPPE Z.
Perché penso che un poco è colpa mia se ha preso questa decisione. E prima di morire voglio sgravarmi di ogni peso.

DIXIE
Va bene, ti ascolto.

GIUSEPPE Z.
L’ho pensato tanto ultimamente. Perché l’ho sempre odiato io a lui. Ha fatto il pari e il dispari e ha capito che era meglio non farlo questo sforzo di nascere. Poi però ha fatto una cosa che non me l’aspettavo… ci ha pensato meglio e si è portato pure a mamma… lui l’avrà fatto a fin di bene… per salvarla da una vita sacrificata. Ma a me mi ha levato un conforto. E questo non gliel’ho potuto perdonare. Avevo odio in corpo tutto rivolto a lui. E l’odio è una colpa. Una colpa grossa che ti pesa sul cuore e sullo stomaco fino a che non te ne liberi.

DIXIE
Che colpa è questa? Eri un bambino. Ci pensiamo noi a caricarti di colpe che non hai, non farlo anche tu.

GIUSEPPE Z.
Sapete che vi dico? Ora perdono a tutti. Pure a mio fratello. Anzi lui per primo.

DIXIE
Posso dirti una cosa?

GIUSEPPE Z.
Certo. Tutto potete voi con me.

DIXIE
Fuori c’è il cappellano, è venuto per… potresti parlare un po’ con lui. Lo posso far entrare?

GIUSEPPE Z.
No.

DIXIE
Non può entrare?

GIUSEPPE Z.
Assolutamente no. Chi l’ha mai visto? Ora viene e fa l’amico? Lasciamolo fuori a prendere un po’ di solitudine che male non gli fa. Non lo voglio vedere.

DIXIE
Non lo faresti neanche per me?

GIUSEPPE Z.
Risparmiatevi la fatica. Io non ci credo a certe cose.

DIXIE
Ma tu hai detto che vuoi liberarti dei tuoi pesi.

GIUSEPPE Z.
E non ci ho bisogno di aiuto.

DIXIE
Non posso insistere un poco? E’ importante.

GIUSEPPE Z.
Signore pietà, Cristo pietà, non è cosa per me. Io credevo che potevo sgravarmi con voi… ma visto che non vi aggrada… pensate a voi che a me ci penso io.

DIXIE
Non volevo offenderti… è solo che lui ha più…

GIUSEPPE Z.
Ti dissi NOOO!!! La coscienza te la sei lavata, hai fatto il dovere tuo. Tutto a posto, dormi sonni tranquilli ora.

Pausa

GIUSEPPE Z.
(improvvisamente calmo) Quando dovevo partire per venire qui alla 'Merica mia nonna mi disse che dovevo andare a farmi segnare con l’olio da una vecchia magara. Cata si chiamava. Abitava sopra al paese in una casa ben attrezzata con porte e finestre e tutto. Gli portavi una pezzotta di formaggio e lei ti purgava dal malocchio. Ci andavano tutti quelli che partivano e secondo mia nonna ci dovevo andare pure io. Ma io non ci sono andato. Chi lo butta il malocchio sulla nostra miseria? Ho pensato. Solo a Cata gli può venire in mente; così poi, levandolo, ci guadagna una pezza di formaggio. Con i preti è la stessa canzone. Ti riempiono di peccati così tu gli porti il formaggio per farteli levare. Loro levano e loro mettono. Sanno che per cose così vale il ragionamento: Che ti costa? Tu ti fai passare con l’olio e se funziona, bene, se non funziona, pazienza! Danno non ti fa. E invece no. Io dico che mi fa danno di una pezzotta di formaggio. La pezzotta di formaggio torna più utile a me… mi ci sazio la pancia invece di saziarla a Cata che campa imbrogliando i fessi, tale quale ai preti.

DIXIE
Scusami tanto.

GIUSEPPE Z.
Io mi devo scusare, che ti ho alzato la voce in faccia e non si fa. Il fatto è che i preti mi fanno andare il sangue in testa. Bugiardi e doppi, con quell’aria che sanno tutto loro e ci hanno la fissa dei poveri. Ma di te povero non se ne fottono proprio. Manco sanno chi sei… Sanno solo che sei povero… uno qualsiasi… uno che devono arruolare all’idea che se soffri è meglio… e se gioisci ti devi vergognare… E con questo ritornello vogliono aiutare i poveri a rimanere poveri, e a sopportare senza lamentarsi; così i capitalisti posso fare i comodi loro. Ecco chi sono i preti.

DIXIE
Va bene, ho capito.

GIUSEPPE Z.
Sicuro?

DIXIE
Cosa?

GIUSEPPE Z.
A me il prete non mi serve. Ma voi potete fare una cosa che lui non può fare. E che a me mi vale come mille estreme unzioni.

DIXIE
Farò tutto il possibile.

GIUSEPPE Z.
Prima una domanda.

DIXIE
Dimmi.

GIUSEPPE Z.
Nel mare Oceano ci sono i pesci rondine?

DIXIE
Non lo so. Io non li ho mai sentiti nominare.

GIUSEPPE Z.
Dovete parlare coi pescatori. Se andate al porto e domandate, loro li conoscono di sicuro. Non sono buoni da mangiare. La carne è dissapita, ha un gusto paglino. I pescatori non ci perdono tempo perché è un pesce che non vale un soldo e se ve li trovano, sicuro che poi ve li regalano.

DIXIE
Ma a che ti servono?

GIUSEPPE Z.
Il pesce rondine è un pesce piccolo, più che altro da vista. Una specie di sardona, solo che è bianca e blu con le pinne a uso ali perché son pesci che volano… un poco nuotano sott’acqua e un poco volano sopracqua. A me per questo mi servono. La femmina è più grossa del maschio e voi la potete riconoscere per questo motivo.

DIXIE
Ma… che ci devi fare?

GIUSEPPE Z.
Io niente, voi piuttosto.

DIXIE
Io?

GIUSEPPE Z.
Sì. Voi. Cercate la femmina gravida, una volta trovata la dovete aprire e prendere le uova, che sono argentate, tipo blu e poi… quando sarà il momento le dovete spalmare sulle mie labbra… sopra e sotto.

DIXIE
E quando sarà il momento?

GIUSEPPE Z.
Dopo. Io l’ho fatto pure con mia madre e con mia nonna. E voi ora lo dovete fare con me. Tra tutti i pesci del mare, il pesce rondine è quello che giova ai morti perché ha le ali come pinne. Così l’anima se c’è, una volta che i pesci rondine mettono le ali tra le mie labbra, ne può approfittare: ha le ali e vola se deve volare e ha le pinne e nuota se deve nuotare.

DIXIE
Non ti voglio far dispiacere. Ma stanotte non saprei dove andare a cercare questo pesce.

GIUSEPPE Z.
Avete ragione non me lo potete fare questo favore. Sia perché è tardi, sia perché i pesci rondine stanno da me nello stretto di Messina e qua alla 'Merica non ci sono e sia perché è un peso che non tocca a voi portare. Quindi mi dispiace che ve l’ho chiesta questa cosa. Però un favore me lo dovete fare lo stesso.

DIXIE
Cosa?

GIUSEPPE Z.
Non vi dispiacete per me. Neanche un minuto. Io finisco la musica come volevo finirla.
Pausa
Ora se non vi faccio offesa, vi saluto e mi metto a dormire. C’è la notte da portare a mattino.

EPILOGO
Giuseppe Z. è seduto sulla sedia elettrica con i polsi e le caviglie immobilizzati da cinghie di cuoio.

Al destino con la testa di cavallo ci voglio dire che con me ha sbagliato tutto. Quella sera dovevo morire. Quella sera al parco, cinque settimane fa. Quello era il tempo giusto. Il posto giusto. Lì a terra, in mezzo al fango e sotto gli occhi di tutti. Ormai ero nudo e tutto infangato. Una specie di Cristo in croce. Ho pensato “ora mi ammazzano e pace”. Invece no. Hanno trascinato il corpo di Cristo verso la macchina più vicina e lo hanno caricato sul baule di fuori che dentro non c’era posto. Allora ho capito che non sarei morto quel giorno. Che dovevo aspettare. Poi siamo passati in mezzo alla folla come in mezzo al mare e il mare della folla si apriva davanti a noi. Mi sono ricordato il prete al paese che mi aveva detto che la stessa cosa era successa a uno nella Bibbia che ora non me lo ricordo il nome, ma era uno importante. Tutti si scansavano per farci passare e parecchi, mentre passavamo, mi davano pugni e calci alle gambe. Qualcuno mi sputava. Ho fatto il conto, tra i quattro dentro, l’autista, i due sbirri piegati sopra di me che mi tenevano stretto, i due in piedi a destra e a manca e un tizio sopra al tetto, eravamo in undici su quella macchina. Pareva il carro della festa di San Giuseppe. E allora ho pensato che il santo ero io, che pure mi chiamo Giuseppe, e loro sulla macchina, tutti i preti e chirichetti che lo portano in processione. Mentre quelli a piedi erano i devoti che guardano il santo passare e si allungano per toccarlo. E tutto quell’odio me lo figuravo come amore votivo.
Tra il dire e il dettofatto non c'è un primo e non c'è un dopo. Così pure tra i vivi e i morti. Che sono la stessa pasta. È andata così, come vanno tutte le cose: sono finite una volta fatte. Quel giorno che ha cambiato il mondo... Quel giorno è tutti i giorni della mia vita e della vostra. E’ ora che vi parlo e quando non vi parlerò più. È sempre. È tutto.
Dove sono quelli delle fotografie? Non li avete fatti entrare? Non me la fate una fotografia? E perché me la volete negare proprio ora? Sta bene. Al presidente Roosevelt ci voglio dire che come uomo mi è simpatico, ché pure lui è stato sfortunato come me e ha sofferto di malattia. Però se rinasco gli sparo un'altra volta, questo è sicuro. A mio padre invece ci lascio l'infamia di essere sopravvissuto ai figli. A voi tutti il torto di averglielo permesso. Arrivederci ai poveri del mondo! Viva l’Italia!

Fine