buio a sinistra

- il nodo di gordio -

di

Alessandro Trigona Occhipinti

 

 

Buio a sinistra.

Penombra a destra: una scrivania di metallo, un vecchio computer, un telefono. Un distributore di acqua in fondo.

Un uomo, entra da destra, il padre di Enrica. Ha un impermeabile e un cappellaccio a coprirgli il volto. Si guarda intorno e, a passi lenti, attraversa la scena spostandosi a sinistra dove, ora, viene illuminata la scena: una branda, un comodino, un armadietto, una sedia. Al centro, la porta. L’uomo siede sulla branda. La porta si apre, entrano due donne: una è Mila, l’altra, Enrica. Enrica ha circa diciotto anni. Mila, trentacinque, quaranta. Nessuna delle due vede, può vedere l’uomo.

 

mila: La camera è questa. (Enrica rimane immobile sulla porta e si guarda intorno con aria diffidente mentre Mila si inoltra per l’ambiente) Certo è un po’ povera. Le pareti sono sporche, umide. Non ci sono grandi mobili ma… in fin dei conti non siamo un albergo a cinque stelle. (Mila avanza ancora, fino a quasi il proscenio. Simula l’apertura di una portafinestra) Questo è il balcone, da’ sul cortile. È piccolo ma… d’estate ci batte il sole fino a tardi. (Mila mima l’apertura della porta ed "esce" sul balcone. Rumori vari) È un po’ rumoroso. A destra c’è il cavalcavia e… attenta a non cadere di sotto. La ringhiera è bassa. (Mila "rientra" e "richiude" dietro di sé la portafinestra) Il bagno, invece, è qui. (Mila vi scompare nel buio e accende una luce neon) È piccolo. Prima non c’era. Lo hanno ricavato da uno sgabuzzino. La doccia e il cesso coincidono. Cioè insomma… (riaffacciandosi) …il bocchettone della doccia è sopra la tazza del cesso, così si può fare la doccia stando anche sedute oppure mentre si… (accenna un sorriso) …insomma, ci siamo capite. Come ti dicevo è… quello che è. Senza pretese. Grande. Spazioso. Comodo. Sembra che non ci sia niente invece… non c’è…

enrica: …niente.

mila: proprio come la vita.

enrica: proprio.

mila: bhe, fai quello che ti pare, sistemati, una doccia, poi scendi sotto che ti faccio vedere l’ufficio, conoscere i ragazzi e… insomma sì, il lavoro. (fa per uscire)

enrica: Mila?

mila: sì?

enrica: grazie.

mila: lascia perdere. (accenna ad uscire, si ferma) E non pensare di portarci dentro qualcuno. Sì, insomma, ragazzi. È pur sempre una comunità per il recupero dei tossicodipendenti questa quindi…

enrica: certo.

mila: …non un albergo.

enrica: no.

 

Rincuorata, Mila esce. Enrica, rimasta sola, si guarda di nuovo intorno. Continua a non vedere l’uomo, il padre che ora si è alzato e avvicinato alla porta al centro. Enrica siede sul letto. Verifica la sofficità del materasso. Il padre esce chiudendo la porta. Il rumore fa voltare Enrica che, sospettosa, cerca di capirne la natura, la provenienza. Di nuovo silenzio. Enrica appare tranquillizzarsi. Si alza. Si guarda ancora intorno. Nota l’ampiezza dell’ambiente. Con decisione, da un angolo del letto, conta tre passi - tre metri – e fissa il punto con una sedia. Dall’altro lato del letto, conta quattro passi – quattro metri – e fissa il punto spostandovi, non senza difficoltà, l’armadietto. Comincia a passeggiare per l’aria così delimitata e giunta al "limite", quasi accarezza e sfiora le ipotetiche pareti che lì "dovrebbero", "potrebbero" esistere. Almeno per lei. Come soddisfatta, torna a sedere sul letto. L’operazione ha richiesto del tempo, tenuto anche conto della cura con la quale l’ha condotta. Cerca qualcosa che… la valigia rimasta desolatamente vicino alla porta, oltre lo spazio da lei delimitato. Si alza per prenderla. Giunta al "limite", non riesce a superarlo. Ci riprova. Lentamente le cresce lo smarrimento. La valigia è lì e lei non ci arriva senza dover superare, con un passo, il "limite". Nervosa comincia a passeggiare per lo spazio delimitato. Decisa, si porta al "limite". Con le mani sembra accarezzare una immaginaria parete. È evidente la paura: la valigia. Costeggia ancora lo spazio delimitato. Con terrore e con grande prudenza porta avanti il piede a superare l’ipotetico "limite": intenso rumore. Spaventata ritira il piede: silenzio. Riprova con l’altro piede: nuovo caos. Enrica torna "dentro", spaventata. Prova una terza volta con lo stesso esito. Come piangente si porta le mani in testa. Gira su se stessa in panico. Si ferma. Fissa disperata la valigia. E decisa, a passi fermi varca il "limite": caos, rumori, l’ira di dio.

Enrica prende la valigia e repentinamente torna nel suo spazio. Silenzio. Enrica, ancora spaventata, si accuccia sul letto e si serra in se stessa. Aspetta.

stacco

Tranquillizzatasi, Enrica si rialza. Perquisisce l’ambiente, alla fine apre la valigia e con calma, con estrema cura, colloca dentro l’armadio i suoi pochi vestiti.

La luce le si "sgonfia" addosso mentre si accende a destra.

 

mila: (mostrando la scrivania) quella è la tua scrivania.

enrica: (spostandosi verso destra) questa?

mila: quello il telefono.

enrica: conosco.

mila: se devi telefonare, devi comporre lo "zero"

enrica: ed è possibile, sempre possibile…?

mila: prima fai lo "zero", poi il prefisso della città.

 

Enrica annuisce, poi, sotto gli occhi dell’altra, si guarda intorno. Sembra anche essere serena.

 

enrica: sembra… (non sa dire)

mila: un ufficio. Piccolo, squallido ma, del resto, con quei quattro soldi che ci passano.

enrica: non certo una reggia.

mila: no. Non certo una reggia. (la guarda) Il lavoro che devi fare… sostanzialmente… rispondere alle telefonate, dire chi sei… (si interrompe incerta) …non proprio chi sei. Sì, il tuo nome. Quello, solo quello, basta. Mica altro… Dici chi siamo. Di cosa ci occupiamo. Chiedi loro chi sono, cosa vogliono e, se è il caso, mi passi la chiamata.

enrica: questo?

mila: non solo questo. C’è altro, molto altro. Ma quello verrà col tempo, imparerai. Col tempo. E se sarai brava, ti darai da fare, vedrai che cresci, eccome cresci.

 

Mila scompare a destra. Enrica, rimasta sola, si guarda intorno. Va al distributore d’acqua, beve. Poi, come colpita, guarda il telefono. Alza la cornetta. Incerta.

 

mila: (rientrando) lo zero. Devi fare lo zero. Se no, non puoi chiamare.

enrica: no. Io… io stavo solo guardando.

mila: è un telefono, solo un telefono. Non ti mangia mica.

enrica: no. Certo.

mila: e se devi chiamare…

enrica: …lo zero…

mila: …chiamate personali, intendo…

enrica: …era solo curiosità, non volevo, non volevo certo…

mila: …puoi farlo. Tranquillamente. Solo tranquillamente. Non ti devi preoccupare. (uscendo) Tanto è sotto controllo.

 

Enrica guarda il telefono e, come spaventata, lo ripone con un gesto improvviso. Si guarda ancora intorno spaventata.

 

mila: (voce fuori scena) è prassi, solo prassi. Il telefono sotto controllo. Non ti stare a preoccupare troppo. Ed ora vieni qui. (Enrica esce e rientra, sorridente, con una piantina) Rende l’ambiente più allegro, vivo.

 

Enrica, con un mezzo sorriso, la poggia sulla scrivania alla quale siede ora anche quasi soddisfatta. Guarda la piantina, il piano e comincia ad accarezzarlo. Lo ammira anche. Forse vi poggia sopra la testa per guardarlo da vicino. Si tira su. Assume un atteggiamento austero. Guarda il telefono che, dopo alcuni istanti, suona.

 

enrica: pronto? Sono… sono Enrica. La nuova… assunta, impiegata, lavoratrice, centralinista, altro. (breve pausa) Desidera?

 

Buio a destra. Luce a neon a sinistra. Dalla porta del bagno provengono diversi rumori: doccia, acqua che corre, sciacquone. Dopo alcuni istanti, sulla porta si materializza Enrica che si ferma a contemplare la stanza: il balcone (il proscenio), la porta d’ingresso, lontana. Passeggia al "limite" del perimetro da lei determinato. Conta i passi e controlla che nulla sia stato spostato. Compiaciuta si guarda ancora intorno. Fissa il letto e si dispiace, come se sulla parete dietro il letto, mancasse qualcosa. Da sotto il letto, prende la valigia. Tira fuori dei cartoncini bianchi che distende per terra. Su di uno vi disegna una finestra con delle sbarre.

 

enrica: (mentre disegna e appende il cartoncino) no. È che io… sì, insomma, quello che volevo dire è che… la cosa mi ha preso la mano e io non ho potuto evitare di… come dire… trascendere.

 

Guarda soddisfatta il disegno fatto. Si guarda intorno come rassicurata. Si mette a letto.

Buio a sinistra, luce sulla destra. Al telefono, Mila.

 

mila: sì, tutto a posto. Nessun problema. Solo che… (pausa) no, non è un problema. No, certo. Solo che… (pausa) Volevo… speravo ci fossi tu. (pausa) Sì, insomma, sei il titolare qui, il capo. E sai… con te… forse… sarebbe stato meglio. Il suo arrivo. Trovarti. (pausa) Certo che non è facile, non è facile no. Per lei, ma anche per me. (pausa) Lo so che devi parlare col sottosegretario, a Roma. Ma… se ci fossi stato tu sarebbe stato sicuramente un’altra cosa. (pausa) No, te l’ho detto, nessun problema, ma… sarebbe stato comunque meglio.

 

Buio a destra. Luce a sinistra. Enrica è in piedi, quasi sull’attenti di fronte alla porta della sua stanza. In attesa. Un orologio batte l’ora. È il via per Enrica per poter passare, oltrepassare il "limite", il suo "limite". Esce dalla porta per poi rientrare da destra e andare alla scrivania e mettersi al lavoro. Entra Mila.

 

mila: dormito bene?

enrica: dormito.

mila: sognato qualcosa?

enrica: sogni.

mila: sei un tipo loquace, tu.

enrica: una volta, forse. Neanche tanto, poi.

mila: certo, una volta.

enrica: ho sempre preferito ascoltare.

mila: e magari sorridevi anche.

enrica: all’occorrenza.

 

Le due si scrutano.

 

mila: il capo dice che…

enrica: il capo?

mila: Franco, il capo. Quello che gestisce la baracca, qui. Quello che porta avanti il gruppo, la comunità.

enrica: oh, sì certo, il capo.

mila: lo conosci già.

enrica: mi è venuto a trovare all’Istituto. Poi c’è stato all’udienza in Tribunale. Le varie scartoffie. È simpatico, mi sembra.

mila: è uno che si da un sacco da fare. Se non fosse uomo potrebbe anche aspirare alla santità.

enrica: uomo?

mila: bimba, gli uomini sono quello che sono…

 

Enrica sorride a fatica.

 

enrica: stronzi?

mila: la parola giusta.

enrica: e anche Franco lo è?

mila: un po’ di più degli altri, giusto un po’ di più. Per il resto è simpatico, bravo e… ci sa fare.

enrica: perché dici che è stronzo?

mila: così si evita ogni tipo di illusione.

enrica: non capisco.

mila: spesso uno si attende dalle persone cose, fatti. Ci costruisce sopra idee. Progetta, insomma.

enrica: e non è corretto?

mila: poi quello si rivela essere quello che è e quindi, delusioni, amarezze, lacrime.

enrica: certo.

mila: certo. (esce)

 

Enrica siede alla scrivania. Prende il telefono, ma non compone alcun numero.

 

enrica: pronto? No. No… (riattacca) …non è il caso.

 

Entra Franco.

 

franco: Mila?

enrica: di là. Doveva andare di là, fare delle fotocopie… credo.

franco: fotocopie? (Enrica imita con una mano il passaggio dell’ottica sul foglio) Tu sei… (tace)

enrica: io sono.

franco: nuova.

enrica: fresca di giornata.

franco: ti ricordi di me, vero?

enrica: come non farlo.

franco: certo, come. Bene, allora… benvenuta a bordo.

enrica: si dice così?

franco: è un varo questo. Una nuova scialuppa a disposizione, posta agli ordini del buonsenso.

enrica: mi piace questo.

franco: l’umanità ha ancora bisogno di noi.

enrica: è così malridotta?

franco: peggio non poteva stare.

enrica: confortante.

franco: confortante è vedere te, qui. Non lasciarti andare.

enrica: più di così?

franco: più di così. Quindi… diamoci da fare. Il mondo si aspetta da noi grandi cose e noi non possiamo deluderlo.

enrica: no, certo.

franco: siamo o non siamo gli avvocati delle buone e care cause perse?

enrica: perse?

franco: se no, non sarebbero buone.

enrica: certo.

franco: e allora…

mila: (entrando con tre bicchieri e una bottiglia) un brindisi!

 

Fanno per brindare.

 

enrica: non so neanche se posso.

mila: per una volta…

franco: la prima volta solo.

mila: oggi, per oggi sì. Ma non ci fare l’abitudine. Non te ne capiteranno molte di occasioni per festeggiare.

franco: Enrica, non stare ad ascoltarla. Mila è una musona, rompipalle e tremendamente romantica.

enrica: è carina, però.

mila: grazie.

franco: all’inizio, solo all’inizio poi… diventa un’arpia.

mila: gentile.

 

Buio su di loro. Si accende la luce a neon a sinistra. Rumori dal bagno. Enrica vi si affaccia fermandosi proprio sulla soglia. Sbircia dentro e va verso il letto. Giuntavi si precipita sotto le coperte e si copre tutta. Dopo un po’ si rialza e dal letto misura i passi. Verificato l’esattezza delle distanze, torna a letto. Dopo alcuni istanti, nella penombra generale, entra il padre. Costeggia la branda, si ferma a guardare Enrica dormire, esce a sinistra.

Buio a sinistra, contemporaneamente luce a destra dove suona il telefono. Entra Mila.

 

mila: chi? Come? Cosa? Alessandro? Alessandro chi? (pausa) Ah Magno, sì, Magno. Come no. (riattacca) Idioti!

 

Buio a destra, contemporaneamente suono di una sveglia a sinistra. Enrica si alza ed esce a sinistra.

Buio a sinistra mentre a destra, illuminata, appare Mila.

 

mila: quando vivevo a Roma, avevo una casa dietro piazza del Popolo. Lì, proprio vicino casa di Dacia.

enrica: (entrando da destra) la scrittrice?

mila: lei.

enrica: la conoscevi?

mila: di vista, solo di vista. Una volta le ho anche rivolto la parola e lei…

enrica: ti ha parlato?

mila: mi ha detto l’ora. (Enrica la guarda senza capire) Io quello le avevo chiesto. Quindi lei…

enrica: …ti ha risposto.

mila: che potevo volere di più? Comunque, le abitavo proprio di fronte. Era bello, molto bello vivere a Roma.

enrica: e cosa facevi?

mila: lavoravo alla Camera e… mi sono anche innamorata di un deputato che…

enrica: vi siete sposati?

mila: ci siamo anche amati. Poi lui non è stato rieletto ed è finita.

enrica: come?

mila: si è lasciato andare. Una lagna, era diventato una lagna e quindi…

enrica: avete litigato?

mila: l’ho trovato a letto con una delle mie migliori amiche così…

enrica: divorzio?

mila: (simulando il gesto del tagliare) un taglio secco e… (Mila la guarda con l’aria imbarazzata) …scusa, non volevo.

enrica: (cercando di evitare il discorso) lo hai mollato?

mila: cercavo solo di dire…

enrica: lascia perdere.

mila: un modo di dire, solo quello.

enrica: (con tono perentorio a tagliare via) avete divorziato?

mila: (cercando di riprendere le fila del discorso) sì, sì, certo. Dicevo… l’ho mollato e… eccomi qui.

enrica: già.

 

Mila guarda Enrica in modo affettuoso. Enrica le sorride e imbarazzata finge di sistemare dei fogli.

 

mila: ti piace qui? (Enrica si guarda intorno, annuisce, forse anche sorride) Lo trovi tanto brutto?

enrica: assolutamente no.

mila: come ti trovi con noi?

enrica: bene, bene.

mila: ti pesa?

enrica: no, voi siete gentili, tutti gentili con me.

mila: qualche problema?

enrica: assolutamente no.

mila: e il lavoro?

enrica: grandi parole, grandi passioni, la convinzione di muoversi per il bene dell’umanità e…

mila: ti piace?

enrica: mi fa sentire utile.

mila: ed è bello questo?

enrica: credo, penso di sì.

mila: sei giovane. Hai tutta una vita davanti.

enrica: forse.

mila: gli ideali smuovono i monti.

enrica: ad averne.

mila: cerca di essere forte, sempre forte.

enrica: lo sono, credo di esserlo.

mila: quando avrai acquisito maggiore dimestichezza con quello che è il nostro mondo, ne apprezzerai anche il senso.

enrica: cambiare il mondo?

mila: grandi parole, grandi passioni, il bene dell’umanità. In poche parole una marea di problemi irrisolti, incomprensioni e sangue amaro.

enrica: è solo questo?

mila: riassunto in poche parole, sì. Tutti ti sorridono, ti concedono spazi, ma poi, quando vai a stringere? Parole, solo parole.

enrica: già, parole.

mila: e qualche caso umano.

enrica: io?

mila: non sei la prima.

enrica: e non sarò certo l’ultima.

mila: temo di no.

enrica: no.

 

Buio su di loro. Luce a sinistra, proveniente dal proscenio. Come una furia, da sinistra, entra il padre che getta tutto per aria: la sedia, il disegno, tutto. Ed esce.

Dalla porta d’ingresso della sua stanza entra Enrica. Vede la luce che entra dalla portafinestra che è "aperta" e prova terrore nel vedere il caos nella sua stanza. Si appiattisce contro la porta e terrorizzata si guarda intorno. Facendosi forza, corre verso il proscenio e mima la chiusura della portafinestra. Luce su di lei mentre quella che proveniva da "fuori" si è smorzata. Si guarda sospettosa intorno, rialza la sedia e torna a contare i passi per delimitarne il "limite", appende il disegno al muro, sistema le coperte, tutto. Dopo di che, chiude la porta a chiave tirando un sospiro di sollievo. Si appoggia alla porta ad occhi chiusi. Li riapre. Controlla di nuovo le misure dello spazio da lei delimitato e si sdraia sul letto in posizione fetale.

stacco

Enrica si sveglia. Esce a sinistra dal bagno.

Buio a sinistra, luce a destra. Squilla il telefono, a vuoto.

 

mila: (voce fuori campo) Enrica? Enrica? Rispondi tu? Enrica?

enrica: (voce fuori campo) sono… sono in bagno. Arrivo.

 

Enrica, ancora sistemandosi la gonna, entra da destra e si precipita a rispondere. Parla, finge di parlare, riattacca.

Silenzio. Enrica alza nuovamente la cornetta, compone un numero ma riattacca subito.

 

enrica: no. Ancora, no. Assolutamente no.

 

Entra Franco.

 

franco: qualcuno per me?

enrica: no. No. Solo… solo per me.

franco: importante?

enrica: solo qualcuno che… la libreria. Per un libro che le avevo ordinato.

franco: un libro?

enrica: "creatura di sabbia" di Tahar Ben Jellun.

franco: bel libro!

enrica: uno dei pochi che abbia mai letto.

franco: e lo vuoi? Lo rivuoi?

enrica: tenermi compagnia. Solo questo.

franco: mi sembra giusto…aiuta.

enrica: aiuta sì. Anche solo averlo, lì, chiuso, sigillato, sul comodino.

franco: un modo come un altro.

enrica: un modo, solo un modo. Mica un altro.

franco: Enrica? È successo qualcosa?

enrica: perché?

franco: hai una faccia.

enrica: che faccia?

franco: un’espressione.

enrica: sono stanca, solo stanca.

franco: non riesci a dormire?

enrica: no, non è questo.

franco: lavori troppo?

enrica: no, no. Mi piace, dico, mi piace qui.

franco: allora?

enrica: allora, niente.

franco: pensavo…

enrica: cosa?

franco: niente, niente. Solo niente.

 

Enrica abbozza un sorriso. Si alza. Va a bere. Franco la osserva pensieroso. A sinistra, nella stanza di Enrica entra Mila che si ferma a guardare, preoccupata, il foglio con la finestra con le sbarra appeso alla parete del letto. Esce.

 

franco: volevo dirti…

enrica: sì?

franco: Mila?

enrica: era qui. Solo un momento fa. Qui. Sarà scesa in mensa, per un caffè, solo questo. Vedrà che torna.

franco: volevo chiederle di quel contatto.

mila: (entrando) mi cercavi?

franco: (a Mila) con quello di Amnesty, ci hai parlato tu?

mila: perché?

franco: dice che sei stata brusca. Mi ha detto…

enrica: sono stata io.

 

Gelo.

 

franco: tu?

enrica: io.

franco: perché tu?

enrica: stavamo parlando quando lui… poi lui…

franco: per la campagna contro la pena di morte?

enrica: per quell’incontro al Ministero.

franco: non se ne doveva occupare Mila?

mila: sì. Io.

franco: e allora?

enrica: avevo chiesto a Mila di coinvolgermi.

franco: e perché questo?

mila: me lo ha chiesto.

enrica: volevo sentirmi utile, fare qualcosa di più.

franco: capisco. Ma… tu è da poco che sei qui con noi. Devi avere pazienza.

enrica: un mese. Già un mese.

franco: appunto.

enrica: è tanto.

franco: è niente, solo niente.

mila: ha voglia di fare, sentirsi parte di noi, della comunità, anche con i ragazzi… coinvolgerla.

franco: è una campagna delicata questa. Molto delicata. L’ONU si sta pronunciando, si deve pronunciare sulla moratoria e… la stampa lavora a nostro favore e allora…

mila: non bisogna fallire?

franco: no.

enrica: sentirmi utile, solo utile.

franco: Enrica, noi portiamo avanti campagne di carattere sociale. Roba delicata, scomoda.

enrica: lo so.

franco: non abbiamo grandi risorse. Non possiamo sbagliare, metterci contro.

mila: quello proprio no.

franco: tu sei giovane, molto giovane. Appena maggiorenne.

enrica: diciott’anni li ho fatti già da due mesi.

franco: lascia fare a chi ha più esperienza di te.

enrica: non volevo creare problemi.

franco: non ti preoccupare. Nulla di irrimediabile. Solo che… cerca di non strafare, non volere strafare. Tanto di lavoro, di grosso lavoro ce n’è, ce n’è per tutti. Vedrai, verrà, arriverà anche il tuo turno. Devi solo avere pazienza ed imparare.

enrica: certo, imparare.

franco: conosco quello con cui hai parlato. So che non è un tipo facile, suscettibile, ma…

enrica: non volevo essere scortese, non volevo proprio. Però quello ha insistito, parlava di pena di morte, fatto certi esempi.

franco: gli hai riattaccato il telefono in faccia? (Enrica a testa bassa, annuisce) Ti ha offesa?

enrica: non proprio.

franco: ha fatto qualche riferimento?

enrica: ha detto, solo un accenno, niente di più.

franco: capisco.

enrica: non credo.

franco: ti ci devi abituare, solo che abituare. Di allusioni, riferimenti, parole che a te possono anche sembrare allusioni, ne sentirai, ne sentirai anche tante.

enrica: forse è così.

franco: niente di particolare. Involontarie, non volute ma che ti sembreranno… crederai che siano dei riferimenti, gente che sa. Invece no. Poi, qui dentro, di storie, roba grossa, hai voglia a sentirne. Roba pesante.

enrica: come la mia?

 

Franco la squadra. Enrica lo fissa con determinazione.

 

franco: no. Come la tua, no. Comunque pesanti. Siamo una comunità per il recupero della tossicodipendenza non certo in paradiso.

mila: (cercando di cambiare discorso) a proposito, Giuseppe dice che per i contributi della Regione…

franco: (ignorando Mila) proprio per questo, per quello che ti dicevo che ti devi fare forza, essere forte perché di storie, di cose che ti sembreranno essere allusioni, ne sentirai, anche troppe.

enrica: me ne farò una ragione.

franco: di più di una ragione.

enrica: d’accordo, di più.

franco: per ora, magari soltanto per ora, lascia che di certe cose se ne occupi chi ha…

enrica: …più esperienza di me.

franco: vedi che capisci?

enrica: certo, capisco.

franco: Mila?

mila: sì?

franco: puoi venire di là? Con me?

mila: subito?

franco: solo parlare.

mila: vorrei pure vedere.

franco: due battute e ti lascio.

mila: mi porto lo shampoo?

franco: come?

mila: lavata di testa?

franco: non sono in vena. (esce)

enrica: scusami, Mila. Mi dispiace.

mila: ah. Non ti stare a preoccupare. Franco fa il duro, è duro. Ma è buono. Uno che capisce. E poi una lavata di testa, ogni tanto fa anche bene. Ma tu, non ti stare a preoccupare, angosciare troppo. Sistemo tutto, ci penso io. (esce)

 

Franco e Mila entrano nella stanza di Enrica.

 

mila: per quella storia, mi dispiace.

franco: non è questo il problema.

mila: è così spaesata, come confusa che… guarda. (indica il foglio di carta appeso al muro)

franco: è questo quello di cui mi parlavi?

mila: (annuendo) una finestra con sbarre.

franco: lo vedo

mila: sei preoccupato?

franco: lasciami pensare.

 

Franco, pensieroso, guarda il disegno. Mila fissa un po’ il disegno, un po’ Franco che ad un tratto annuisce.

 

mila: sei preoccupato?

franco: non dovrei esserlo?

mila: per questo io ho pensato, cercato di…

franco: capisco le tue intenzioni, le tue buone intenzioni, ma tu… tu dovevi subito avvisarmi.

mila: di quello di Amnesty?

franco: di questo. Di questo disegno appeso.

mila: ho cercato, ti ho anche telefonato per dirtelo. Ma tu… troppe cose da fare, pensare: la pena di morte, il finanziamento alla comunità e…

franco: la gente mi chiama, mi assilla, vuole.

mila: hai una nuova compagna?

franco: no. Che dici?

mila: ci sei andato al cinema.

franco: e allora?

mila: niente, allora niente.

franco: non mi sembra.

mila: non è la tipa per te.

franco: sei gelosa?

mila: mi spiace che tu sprechi il tuo tempo per una come quella.

franco: vuoi farmene una colpa? Mica siamo sposati noi due.

mila: neanche tu, però, puoi farmene una colpa.

franco: per Enrica?

mila: e per chi, se no?

franco: no. Non te voglio fare una colpa, solo che… come per la pena di morte, anzi, peggio. Dobbiamo stare attenti, molto attenti. La ragazza è un problema, può diventare un vero problema.

mila: allora è vero: ti preoccupa.

franco: gestirla. È difficile gestirla. Farle capire, capire lei. Se succede qualcosa…

mila: non mi ci fare pensare.

franco: abbiamo gli occhi di tutti puntati addosso e… un passo falso, un solo passo falso e finiamo sui giornali, su tutti i giornali. E ne va di mezzo la comunità, noi, i ragazzi.

mila: credi che abbiamo sbagliato?

franco: a prendercela in carico? (Mila annuisce) Non vorrei doverlo essere.

mila: scusami.

franco: solo un po’ più di attenzione.

mila: mea culpa.

franco: senza, per questo, dover perdere di vista i nostri obiettivi: la comunità, i ragazzi, gli altri ragazzi, le nostre battaglie.

mila: no, certo.

franco: è anche il miglior modo per aiutarla.

mila: certo. Certo.

franco: ha bisogno di ritrovarsi, di ricostruire un’identità, una sua dignità.

mila: non le sarà certo facile.

franco: sciogliere certi nodi? No.

mila: con un coltello in mano, magari.

franco: anche Alessandro fece così.

mila: come?

franco: Alessandro Magno: quello che gli era impossibile sciogliere, il nodo di Gordio, lui lo tagliò.

mila: proprio come Enrica.

franco: non riuscendo, non potendo gestire tutto, deve aver pensato che l’unica soluzione fosse quella di far saltare tutto.

mila: tagliare il nodo?

franco: quello che per lei era un nodo.

mila: (indicando il foglio) quello?

franco: è un’ipotesi mica…

mila: le parlerai?

franco: appena posso. Appena si calma… "mi" calmo…

mila: (indicando il foglio) di quello?

franco: di lei, solo di lei.

 

Escono. Buio a sinistra. Luce a destra. Enrica è seduta. Entra Mila.

 

enrica: ti ha fatto male?

mila: non ha usato la cinghia stavolta.

enrica: le parole però sì.

mila: e fanno male quelle.

enrica: più degli schiaffi.

mila: mi ha solo richiamato ad una maggiore attenzione.

enrica: sono un problema io?

mila: non più di tanto.

enrica: un problema?

mila: se volessi mentirti, ti direi di no.

enrica: e tu non vuoi farlo?

mila: no.

enrica: perché questo?

mila: sarebbe comodo per te e lo sarebbe, ancor di più, per me.

enrica: quindi niente discorsi ipocriti.

mila: di comodo. È meglio.

enrica: volete che vada via? Torni in prigione?

mila: sei stupida a dirlo.

enrica: risolverei i vostri problemi.

mila: ma non i tuoi.

enrica: sono qui per questo io?

mila: se vuoi…

enrica: voglio.

mila: allora, rispondi al telefono che sta per suonare.

enrica: come?

 

Squilla il telefono. Enrica, sorpresa, lo guarda e poi fissa Mila che le sorride.

 

mila: magia.

 

Enrica risponde.

 

enrica: pronto?

mila: io sono di là, se mi cercano…

 

Buio a destra. A sinistra, nella penombra della stanza di Enrica, il padre della ragazza si aggira, si guarda intorno, soffermandosi davanti al disegno. Entra Enrica che non lo vede. Sotto i suoi occhi, conta i passi, controlla che tutto sia apposto. Entra nel bagno. Rumori di acqua, lo sciacquone. Enrica che rientra in camicia da notte. Si mette a letto. Il padre è rimasto a guardarla. Una volta messasi al letto, la luce a sinistra "scivola" nella penombra. Il padre si china su di lei, la bacia sulla fronte. Nel farlo la sua mano si è poggiata sul disegno lasciando un’impronta di sangue. Il padre fa per uscire.

 

enrica: grazie, papà.

 

L’uomo si ferma. Come sorpreso, per un attimo, si volta verso di lei. Esce.

Stacco

È mattino. Enrica si sveglia, si guarda intorno, si alza. Va in bagno. Anche la parte destra è illuminata. Mila entra e riassetta la scrivania, controlla degli appunti. Entra il padre di Enrica. Mila non lo vede, non lo può vedere. L’uomo le gira intorno, come a studiarla, come a rendersi conto di chi sia quella donna, cosa quell’ambiente. Enrica rientra dal bagno. É vestita, pronta per andare al lavoro. Si porta al "limite" della sua aria. Aspetta. Suona una sveglia. Enrica esce dalla porta. Mila a sinistra si da ancora da fare a sistemare carte ed oggetti. Il padre di Enrica, uscendo a destra, si incrocia con Enrica. I due si scrutano.

 

enrica: buongiorno.

 

L’uomo non risponde. Esce. Mila si volta verso Enrica e pensa, crede che quel saluto sia rivolto a lei.

 

mila: buongiorno.

enrica: ‘ngiorno.

mila: dormito bene?

enrica: dormito.

mila: fatto sogni?

enrica: sogni.

 

Mila raccoglie il segnale e torna su questioni di lavoro.

 

mila: oggi dovrebbero portare quell’elefante che abbiamo ordinato.

enrica: colore?

mila: le ruote d’ottone…

enrica: passo doppio?

mila: porta gli occhiali ed inevitabilmente crede di essere dio.

enrica: proprio come dio.

mila: in un certo senso.

enrica: e se lo fosse sul serio?

mila: cosa?

enrica: dio.

mila: è una supposizione interessante. Ne parlerò con chi di dovere.

enrica: "chi" di dovere?

mila: poi devi portare l’imbuto dal carpentiere e…

enrica: e…?

mila: Franco aspetta alcune telefonate importanti.

enrica: importanti come?

mila: dipende da te.

enrica: starò attenta.

mila: attenta?

enrica: attenta.

mila: bene. (esce)

 

Enrica scrive, sistema appunti. Si ferma. Guarda il telefono. Solleva appena la cornetta.

 

enrica: No. Non è ancora il caso.

 

Riattacca e si concentra sul lavoro. A sinistra entrano nella stanza di Enrica, Franco e Mila.

 

franco: ieri sera, ho parlato con il padre.

mila: ti ha detto?

franco: voleva sapere. Come vanno le cose.

mila: gli hai detto?

franco: ho cercato di tranquillizzarlo. Gli ho detto che tutto va per il meglio. Il recupero.

mila: ed è così? Va tutto per il meglio?

franco: apparentemente, sì.

mila: vuoi dire? (Franco le indica il disegno sul muro con l’impronta di sangue) Credi che…?

franco: ieri non c’era.

mila: me ne sarei accorta.

franco: sono segnali.

mila: solo segnali.

franco: è urgente, c’è bisogno proprio che le parli. Presto. (fa per uscire)

mila: e il padre?

franco: (fermandosi) cosa?

mila: che ti ha detto ancora il padre?

franco: non sa che fare.

mila: lui?

franco: e non è il solo.

mila: eppure sono passati già quasi due anni.

franco: hai detto bene… quasi.

 

Franco esce. Mila rimane alcuni istanti a guardarsi intorno, a fissare il disegno. Esce. A destra squilla il telefono, Enrica risponde.

 

enrica: comunità di… (pausa) Chi? (pausa) Il senatore? Ah, sì. Il sottosegretario. Sì. Mi dica. (pausa) Franco? No. Il dottore Meloni non è qui, non può essere qui e… (pausa) sì, riferirò, dirò, illustrerò. Buona… buona giornata, senatore… (Enrica riattacca. Come in trance, guarda il distributore dell’acqua. Dopo alcuni istanti va’ al distributore, beve e torna a sedersi guardando fisso davanti a sé. Fissa il telefono. Che suona, suona. Enrica lo guarda ma non risponde. Silenzio. Enrica solleva la cornetta, comincia a comporre un numero. Desiste) No. Meglio di no. Non ora, non subito. Non è il caso. (riattacca. Appena riattaccato quello suona spaventando Enrica che comunque risponde) Qui è la comunità di… (pausa) Sono Enrica. Desidera? (pausa) Il vescovo di… Buonasera Eminenza. (pausa) No. Il dottore non è in sede ma può trovarlo, parlargli al telefonino che… (pausa) sì. Sono io. Quella. Io proprio io. Solo io. Per sempre… io.

 

Enrica riattacca e si mette a piangere. Dietro di lei, Franco.

 

franco: il tempo è neve solo neve che poi si lascia andare, si scioglie, come… come neve, neve al sole.

enrica: dottore…? Franco? Io…?

franco: le lucciole, la strada ferrata. Poi il freddo. Un cavalcavia che scivola lontano. Un sasso che cade. Una persona che poi, magari, appesa ad un fusto di canone, non canta più.

enrica: lo ha sentito anche lei?

franco: avrei voluto, potuto. Inevitabilmente confuso.

enrica: ha chiamato il sottosegretario.

franco: vuole i nostri voti.

enrica: e li avrà i nostri voti?

franco: questo dipende da lui, dal sostegno che ci può fare avere, gli aiuti e…

enrica: siamo a questo?

franco: è il mercato delle vacche, le leggi di mercato: tu dai una cosa a me ed io poi…

enrica: perché mi parla così?

franco: vorrei che tu crescessi. Uscissi da te stessa, anche solo per un attimo, per renderti conto che attorno a te, esiste un mondo, un universo fatto di persone, esseri umani con le loro attese, pretese, volontà.

enrica: la vita?

franco: siamo solo una parte dell’universo. Una parte. Non tutto l’universo.

enrica: è un rimprovero?

franco: è voglia di scendere agli inferi e risalire.

enrica: io?

franco: vuoi forse tornare ad essere tutto tu?

enrica: non è così, non può essere così, vero?

franco: parte, siamo solo parte di un tutto.

enrica: e devo imparare a convivere con tutto questo?

franco: è inevitabile.

enrica: e se uno ha paura, anche solo paura?

franco: viverci, conviverci.

enrica: ci si ritrova da soli e forse lo si è… soli?

franco: quando attraversi una strada, prima di farlo, ti guardi intorno.

enrica: è questo, solo questo?

franco: diciamo che è un inizio, un buon inizio.

enrica: pensavo qualcosa di meglio.

franco: passo dopo passo, si attraversa.

enrica: basta solo questo?

franco: è solo questo.

enrica: ed io?

franco: tu sei già dall’altra parte.

enrica: ed ora? Che dovrei fare, secondo te?

franco: tornare indietro.

enrica: indietro?

franco: passo dopo passo, devi farlo.

enrica: di nuovo? Ancora?

franco: ti spaventa l’idea?

enrica: e a lei la spaventa?

franco: mi spaventi di più tu.

enrica: per quello che ho fatto? Allora?

franco: quel foglio, quello che hai appeso in camera.

enrica: la finestra, le sbarre?

franco: chiusa, sigillata.

enrica: a me invece mi tranquillizza. Mi rassicura.

franco: è questo il punto.

enrica: un modo di sentire, di essere, esistere ancora. Esistere sempre. Se è vero che nulla può uscire da lì e anche vero che niente vi può entrare.

franco: rimanere chiusa?

enrica: viva.

franco: come morta.

enrica: dopo tutto quello che hanno detto di me.

franco: cazzate.

enrica: che lascino stare Enrica ed Enrica non li disturberà più, non esisterà neanche più. Dietro quelle sbarre.

franco: disegnate?

enrica: appagati. Come appagati. Peggio… rassicurati.

franco: vuoi questo?

enrica: sono loro, gli altri a volere questo.

franco: e tu li accontenterai?

enrica: non mi rimane altro.

franco: e il mondo?

enrica: si fotta.

 

Franco annuisce, fa per uscire.

 

enrica: l’ha cercata il senatore.

franco: c’ho già parlato.

enrica: il vescovo. Ha chiamato anche il vescovo.

franco: hai parlato direttamente con lui?

enrica: voleva sapere, mi ha chiesto.

franco: ti ha dato fastidio?

enrica: deve avermi riconosciuta.

franco: sapeva chi eri.

enrica: dovevo immaginarlo.

franco: e tu? Lo sai chi sei tu?

enrica: me lo dica lei chi sono, me lo ripeta perché io… io non devo averlo capito molto bene.

franco: questa è una "tua" domanda, non certo mia.

enrica: "mia"?

franco: prova ora a risponderti e poi dimmi che sapore ha il silenzio.

 

Franco esce. Enrica siede alla scrivania. Riflette. Afferra decisa il telefono e chiama. Sulla sinistra, al centro della stanza di Enrica, nella penombra appare il padre. É di spalle. Squilla il suo cellulare. Risponde.

 

enrica: pronto?

padre: sì?

enrica: sono io.

 

Lunga pausa.

 

padre: aspettavo.

enrica: volevo dirti…

padre: (interrompendola) cosa?

enrica: perché.

padre: ce n’è forse uno?

enrica: anche troppi.

padre: anche solo uno, è uno di troppo.

 

Lunga pausa.

 

enrica: non potevo più sopportare quella situazione. Quelle ossessioni: chiedere, volere, pretendere.

padre: la mamma?

enrica: sì, certo, lei. Poi, tutto il resto.

padre: un nodo gordiano?

enrica: bisognava scioglierlo…

padre: tagliarlo. È più appropriato.

enrica: sì. Tagliarlo è più appropriato.

 

Lunga pausa.

 

padre: e tuo fratello?

enrica: in quel contesto non potevo non odiare anche lui.

padre: e me? Avresti odiato anche me?

enrica: tu non c’eri quella sera a casa.

padre: altrimenti?

enrica: non avrei potuto non farlo.

padre: anche me.

enrica: nodo gordiano.

padre: tagliarlo.

enrica: tagliarti.

 

Enrica riattacca il telefono. Tira su con il naso. Buio su di lei.

Il padre rimane solo nella penombra.

 

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