HURRY!
Destrutturazione

di

Alessandro Mauri


PERSONAGGI E SCENE


Maschera I, Quello del Giovedì: un uomo;

Maschera II, Il solito: suo figlio;

Azzurra, maitresse di una casa di piacere;

Moretta, lavorante nel bordello di Azzurra.




Scene:

il Bordello di Azzurra;

una Casa;

la Via che li collega. 


Scena I

Una serie di armadietti sul fondo, un quadro. Ovunque numeri scritti con gessetti colorati. In scena due scrivanie, una rivolta al pubblico, una al fondo. Dai cassetti della seconda, debordano fogli scarabocchiati. Alla prima, un uomo – Maschera I – vestito con abiti settecenteschi, i polsini polverosi spuntano dalle maniche. Una vistosa maschera gli copre il viso, lasciando però scoperta la bocca. Alle sue spalle, all’altra scrivania, troviamo Maschera II, Il solito, con vestiti simili, ma più sgualciti. Anch’egli ha una maschera al viso. La II Maschera pare scrivere qualcosa con grande impegno.

Prima Maschera- L’inizio dev’essere un processo spontaneo.

Si ribalta la scena. Gli attori si bloccano, come pietrificati. Parte un pezzo musicale. (assolo di sax) tragico, con note molto acute, straziante, eppure melodico, quasi accattivante, magari con un tema facilmente assimilabile.
Scena II
Finisce l’assolo, ribaltamento.

I Maschera- Se ascolto jazz penso a quando gli insegnavo a contare. Scrivevo “1”, quindi leggevo “Uno”. Poi scrivevo “2”, e “Due”, ad alta voce. Lo stesso col tre. E avanti con il quattro, il cinque, fino a dieci, a venti, a cinquanta. Lui, quando gli chiedevo se avesse capito, mi guardava con gli occhi sbarrati azzurri e mi chiedeva “Poi?”. Poi gli altri numeri. “Ma quali?” Eh, quali… Tanti. “Sì, ma quali?” Cosa fargli? Io scrivevo i numeri dopo, fino a venti, trenta, cinquanta, e Eppoi ci sono gli altri, ma perché non ce la facevo più io e non ce la faceva più la penna e non ce la faceva più il foglio ad andare avanti. E lui, allora Ma ci sono? Ci sono gli altri numeri? “Ce n’è un’infinità” dicevo io. Me lo avevano insegnato a scuola, era vero. Dev’esserlo anche adesso, controllate pure. Ma come fai a sapere che ci sono? E che ci sono tutti? Hai mai contato dopo il cinquanta, per dire che ci sono altri numeri? No, ovviamente. Non in modo ordinale. Non “1,2,3…” fino a dopo cinquanta. “E allora come fai a saperlo?”. Era scritto. E c’era scritto di fidarsi. Lui allora stava zitto. “Magari uno dice due milioni” sospirò una volta, “ma non lo sa che tra uno e due milioni mancano dei numeri.” Così mi diceva che andava già alle elementari. La maestra nelle ore di aritmetica lo mandava fuori. Lui andava al bagno e scriveva col gesso sui muri. Mica le cose dei ragazzi, però: i numeri, scriveva. “1”, e “2”, e “3”. Uno dietro l’altro. Partiva dal primo, andava avanti. Quando arrivava qualcuno con la bacchetta a picchiargli sulle mani lui era soddisfatto: “fino al duecento ci sono tutti”. La volta dopo ripartiva da dove s’era fermato, oppure perdeva il conto e ricominciava. E’ arrivato a vent’anni contando non so quanti milioni. Conta più di quanto cresca.

Partono alcune note di chitarra, ma il musicista è quasi nascosto.

I Maschera- Quando suoni il Jazz è come contare. Fino al dieci ci arrivano tutti; il venti non è lontano. Chi si impegna può arrivare a cinquanta. Ma devi essere malato per andare oltre. 

Musica jam folle, prolungata, intensa.


Scena IIbis

Azzurra sul palco, Maschera I sempre intento a scrivere.
Azzurra- Dovessi, partirei senza problemi. Cosa mi lega a questo posto, in fondo? Le cose. Armadi, buttalà, poltrone rosa. Ma sono arrivata che non avevo niente. Mamma era andata -cara donna anche lei. A far la cara donna mi ha lasciato giusto i fianchi e un po’ di testa svelta per farmeli fruttatre. Ci so fare io, sono brava. I clienti mi vogliono perché sembro di fuori, ma poi parlo come una di qui. Gli uomini cercano le cose diverse, non le cose nuove. Le cose nuove sono faticose. Tutte quelle parole, quelle lezioni, quelle istruzioni. Non c’è bisogno di spremersi le meningi, con me. Pausa La maggior parte di quelli che mi arrivano a casa fanno il soldato. Marciano dalle otto a mezzogiorno, poi dalle due alle sette. In mezzo il rancio. Dopo cena sono qui. Fan la vita del patriota in caserma. Come se la patria avesse bisogno d’esser caplestata, “sinist-dest” o dietro-front! Io ci rimarrei male, se fossi la Patria, per tutte quelle suole. Qualcuno, tra una sveltina e l’altra, sospira di famiglia. “Famiglia” di solito vuol dire la moglie che han trovato in campagna. Uguali alle una mucche. Quelle là. Fanno il latte, la ciccia, ruminano. Se son brave gli riscaldano anche il letto, sennò sono buone per il cuoio. Sono qui per la famiglia, certo. Per non averla nel letto, la famiglia. Per soldi è diverso. Per soldi vale la pena. 

Seconda Maschera si alza e comincia a girare per il palco, come cercando qualcosa.

Azzurra- Ma se dovessi me ne anche subito. Certo, non è educato ripartir da niente due volte nella vita. Ma se dovessi… Sarebbe poco conveniente, ma d’uomini ce n’è dappertutto. Cosa cambia? Il letto è il letto, una stanza è una stanza e la maniglia del maschio è suppergiù sempre quella. Si alza, come se avesse sentito qualcuno. Arrivo, arrivo. Ci vuol pazienza: se sono in licenza arrivano prima. E cos’altro dovrebbero fare in una città di famiglie rispettabili, poveretti anche loro? Arrivo, gioia. Cosa mi hai portato oggi? Io lo stesso di ieri… Esce.
Il solito sbircia dal palco. Parte una musica selvaggia, che mima l’atto sessuale.

Scena III

Esce Il solito. Entra Moretta, rassettando e pulendo a terra con una scopa dal manico cortissimo.

Moretta- Io non so niente, io non capisco niente. Se mi chiedono qualcosa, io non so niente, io non capisco niente. Io faccio il mio mestiere. Se hanno i soldi, via le brache, se hanno debiti giù calci negli stinchi. Si lavora, noialtre. Pausa Cos’è poi questa mania ch’è venuta alla gente di voler capire le cose… Cosa ci trova sempre da capire la gente. Uno arriva al salone e mi dice: “La musica è come una sinestesia, capisci?”. No. No che non capisco. Ma niente. Cos’è la sinestesia? Che forma ha la sinestesia? Dove la trovo, vicino alle verdure? “Come quando di un colore assapori il gusto”, mi dice. Si guarda attorno, vede un dipinto in scena. Si avvicina con fare circospetto, si guarda attorno e furtivamente lo lecca Fa schifo, fa. Ma che gusto, meglio guardarlo, che sta tanto bene appeso! Comunque io, a questo tizio, lo prendo e gli faccio “Dài, che pagato ha pagato, e allora finiamo”, ma lui “No, parliamo ancora un poco, vuoi?”quando parla l’interlocutore di Moretta, la voce dell’attrice in scena è “doppiata” da quella calda di un baritono fuori scena (Maschera I) Ma devi pagare una come me per parlare? Ma tu, ma tovati un prete, sulla parola prete un coro di voci dal fondo, da fuori scena, dalla platea urli CENSURA! Coprendo la Moretta che finché ti basta meglio di quelli non ne trovi. Dei preti censura si può dire tutto tranne che non ascoltino. Son da vedere i preti censura quando entrano dalla porta, che sembra debbano ascoltarti pure mentre te li lavori. “Ma io voglio una che non mi capisca, e non faccia finta”. Pausa Allora hai trovato quella buona. Pagato ha pagato, io per me non so niente, non capisco niente. Ma se gli va bene così.
Entra Azzurra
Azzurra- Ho visto che mi spiava ancora.

Moretta- Chi?

Azzurra- Il solito.

Moretta- Oh.

Azzurra- Stava lì in piedi, davanti alla finestra.

Moretta- Chi?

Azzurra- Il solito.

Moretta- Oh.

Azzurra- Ah!

Moretta- Eh…

Azzurra- Credo che chiamerò qualcuno.

Moretta- Come mai?

Azzurra- Ma per il solito!

Moretta- Oh. Pausa Poverino.

Azzurra- Chi?

Moretta- Il solito.

Azzurra- Oh. Pausa Come poverino? Non dovrei chiamar qualcuno?

Moretta- E’ che ad esser “il solito” mi fa pena, tutto qui.

Azzurra- Cosa?

Moretta- Ma sì, esser “il solito”. Il so-li-to. Sembra sia diventato il pesce al venerdì, o un soprammobile, o il panettone a Natale. Ormai quasi ti spiace se non c’è. Prima almeno urlavi, quando lo vedevi. Adesso niente. E’… Il solito.

Azzurra- E’ il prezzo d’esser sempre a fuori a buttar l’occhio dentro. Ma non mi fa piacere, cosa credi? Mi inquieta, a dirtela tutta. Eppoi le persone monotone mica possono pretendere rispetto.

Moretta- “Essere originali è un lavoro a tempo pieno”. come sopra

Azzurra- Questa chi te l’ha detta?

Moretta- Quello che viene qui di giovedì.

Azzurra- Almeno dicesse qualcosa…

Moretta- Non fa altro, con me.

Azzurra- Mi rode un po’ che non entri.

Moretta- A me che non entri non dà mica fastidio. Anzi. Che si chiaccheri e basta fa bene alla pressione. Tutto quel via vai e quello spingere e quel tamponarmi come su una strada del centro, e neanche un semaforo che faccia metter in folle ogni tanto. I motori si cambiano, ma la strada mica la posso riasfaltare ogni sera, diamine.

Azzurra- Di chi parli?

Moretta- Del tizio del giovedì.

Azzurra- Io parlavo del Solito.

Moretta- Poverino. 

Azzurra- Poverina io, poverina io e poverina io.

Moretta- Anche tu. Ma te ti pagano anche per farti passare il malumore.
Escono
Scena IV

Torna in scena la II Maschera,che gira la sua scrivania verso il pubblico. Prende cerimoniosamente una penna e ricomincia a scrivere. Dai cassetti della scrivania traboccano fogli scarabocchiati. Entra la I Maschera, che gira la propria scrivania per dare le spalle alla platea.

I Maschera- Per fortuna avevo una figlia. Non l’ho avuta per molto. Qualche mese. Quasi due anni. La tenevo in braccio e non credevo fosse vera. Una bambola, sembrava. Una di quelle bambole grassocce, coi capelli di tartan. Pausa I capelli erano diversi da quelli delle bambole. Erano neri, sottili sottili. E non erano poi tanti, né folti. Magari è diventata calva, povera stella. Ma credo di no. Una donna calva non si è mai vista. Devono avere qualcosa di più le donne, che non perdono le cose con l’età. Anzi, ne prendono. Gli uomini ne perdono, le donne ne prendono. Io perdo i denti, perdo le giornate, anni fa ho perso mia figlia. Mia moglie, invece, la figlia l’ha guadagnata. Se l’è presa e l’ha portata via. Ah, se l’era meritata, con tutta la fatica che ha fatto per buttarla fuori. Adesso non so dove sia, ma di sicuro ha più capelli di me - e più folti. Le donne hanno queste fortune. Pausa Poi, a furia di aver fortuna loro, la succhiano a te. Loro si trovano sempre qualcosa di nuovo da fare, e a me hanno lasciato il resto, il solito. Scaldargli l’acqua, pulirgli la faccia, smerdare i panni. Sono fatte così, e a mia moglie non posso mica accusarla, se era una donna anche lei. L’ho trovata anche per quello, in effetti. Ma ogni volta che ci penso mi ride tutto l’intestino. 

La II Maschera comincia a prendere i fogli che ha attorno e a portarli sulla scrivania della I Maschera. Questi li riporta sulla scrivania iniziale. Tra i due inizia un dispettoso balletto, mentre la I Maschera continua a parlare.

I Maschera- Ogni giorno buon umore. Sempre allegro e contento. Fai e rifai e rifai ancora le stesse cose, le stesse frasi, le stesse pulizie dal sangue degli stessi taglietti. A ripeterti smette di essere reale. Non ci perdi più attenzione. Lo fai, ci vivi, lo vedi, ma non è vero. Allora ci ridi. Ci dovrei piangere. Ma come faccio, con lui che ogni scena me la ripete all’infinito, sempre uguale, sempre com’era, che non me la possa scordare mai? Non sono unghie rotte, o tazze sbrecciate, o camice strappate. Sono situazioni. Assurde, a volte. Ma ripetute, perché evidentemente lui ci crede. E credere in qualcosa la rende terribilmente comica. 
Parte una musica malinconica.

I Maschera- Io allora non credo più in niente, con tutto quello che ho da ridere.
Jam.

Scena V

Azzurra e Moretta. La seconda con una scopa dal manico lunghissimo.

Azzurra- Non ci perdo il sonno. Ma se lo potessi prendere saprei io cosa dirgli, al pervertito. Pervertito e scroccone, pure. 

Moretta- Chi?

Azzurra- Il Solito.

Moretta- Oh.

Azzurra- Eh!

Moretta- Ah?

Azzurra- Non può mica guardare gratis, ti pare? Si paga anche quello, nel nostro mestiere.

Moretta- E se avesse i soldi?

Azzurra- Non è solo una questione di soldi. E’ anche educazione.

Moretta- Ma se li avesse, i soldi? 

Azzurra- Se anche avesse i soldi, forse non ci farei niente. Anzi, togli il forse.

Moretta- Ma come?

Azzurra- Gli riderei in faccia, gli direi impotente, gli direi disgraziato tu e disgraziata tua mamma e quanto deve aver penato per farti come sei. Ecco cosa farei. E magari gli piacerebbe pure.

Moretta- E cos’ha che non va, se porta i soldi?

Azzurra- Che non è fare il servizio, che vuole.
Moretta- E cosa vuole, allora?

Azzurra- Non lo so. Ma io non glielo posso dare.

Moretta- Ma se un cliente paga tu devi fare la carina: è la regola!

Azzurra- La tua regola, non la mia.

Moretta- Ma lo hai sempre fatto anche tu!

Azzurra- Coi clienti normali, lui no.

Moretta- Non capisco niente.

Azzurra- Significa che sei tu.

Moretta- Io penso che ti fai troppe regole tue. Nel nostro mestiere regole ce n’è una sola: fatti pagare. Eppoi “le regole che devi seguire sono sempre scritte da qualcun altro” come sopra 

Azzurra- Io mi scrivo le mie invece.

Moretta- Mi fai venire mal di testa. Meno male che non faccio un lavoro di concetto. Guai a fare i politici o gli avvocati.

Azzurra- Son puttane CENSURA! pure loro, ma si fan pagare di più.

Moretta- Un politico puttana?censura Lo voterei di sicuro.

Azzurra- Le puttane non fanno politica: sono i politici censura a farsi le puttane.

Moretta- Comunque, un manico vale l’altro. Anche con gli uomini.

Azzurra- Vallo a dire alle donne sposate. Per loro l’altro varrà di più.

Moretta- ???

Azzurra- Ad averlo sempre sotto gli occhi, il loro manico in prestito d’uso, finisce che si consuma. E se non è consumato, è come se lo fosse.

Moretta- Non è un mio problema.

Azzurra- Il mio, di problema, è quel disgraziato del Solito. Lo vedessi, gli farei sentire.

Moretta- Guarda che ti chiama un cliente. Dev’essere già sera.

Azzurra- Vado. 

Moretta- Vai. E fai la brava.

Azzurra- Sempre.

Esce.(va a sedersi ad un tavolo) Moretta rassetta ancora per qualche istante, poi esce dall’altra parte.

Scena VI

II Maschera si alza lentamente,ripone il libro in uno degli armadietti sul fondo, rimane per qualche istante come nella scena 2.Poi prende un gessetto dal taschino, si ferma un attimo a pensare, quindi inizia a scrivere numeri sulle pareti, sui mobili, sul pavimento, persino scendendo in sala. Lo fa affannandosi molto, con grande concentrazione, e ad un certo punto comincia a sbuffare. 

Il solito- Azzurra...

Parte la musica, stavolta dolce, leggermente malinconica.

Scena VII

Entra Moretta, con una scopa dal manico fosforescente.
Moretta- Oh santa... ! Ma allora sei tu! Il Solito!

Il solito- scosso A... Azzurra.

Moretta- E’ di là, sta lavorando. Ma se vuoi tra poco finisce.

Il solito - A..Azzurra!

Moretta- E che fretta! Mica vi capisco, voialtri innamorati. Ne fate una malattia di ‘sto volere pasticciare con qualcuna. Noi non abbiamo mica fretta, di solito: prima o dopo tocca a tutti. Con l’amore ci vuole solo pazienza. E bezzi, ovvio.

Il solito - ...

Moretta- Ma cosa hai scritto, tutto in giro? Guarda che poi devo pulire io!

Il solito - protegge i suoi numeri, fa di no con la testa.

Moretta- Ma scrivi per terra i numeri? Ti sembra il caso?

Il solito - fa no col capo, confusamente Azzurra!

Moretta- Ah, sono per Azzurra? Credo preferirebbe qualcos’altro, sai. Ma sono poi numeri?

Il solito - fa ancora no col capo.

Moretta- E allora…? 

I Maschera- da fuori Poesie, lettere d’amore, conversazioni galanti.

Scena VIII

Entra la I Maschera, si siede alla sua scrivania, rivolta al pubblico. Moretta ascolta rapita, la II Maschera esce alla chetichella.

I Maschera- Poesie, lettere d’amore, conversazioni galanti. Cose che a un uomo tocca di fare, prima o dopo. Tutti meno i preti che sono uomini ma fin dove permette la toga. pausa Abitiamo in un quartiere sporco. C’è un bordello, in fondo alla via. Non c’era quando ci trasferimmo. L’han tirato su saranno due anni. Il posto non era male, prima. Certo, a guardar bene ci si poteva aspettare sarebbe finito così. Ma non era male. A noi calzava. Il quartiere tre anni fa era come mio figlio. Allora non faceva niente di male. Solo, era il momento di tirar giù versi, di scrivere, di cambiare la voce. Invece dava i numeri. 1!. 2!. C’era da sentirlo. 3! 4! O da vederlo. Un senso vale l’altro. Io suonavo male coi miei denti nuovi, dopo le botte dei fascisti in tuta blu. Lui sembrava un vecchio registratore a manovella, di quelli che a schiacciar “totale” spunta fuori il trolley degli incassi. 
Parte una muica disperata

I Maschera- Ma non gliel’hanno ancora schiacciato, il totale. Pausa L’importante è capirsi, comunque. Con lui non succede mai.
Jam. 


Scena IX

Esce la I Maschera. Moretta rimane incantata come se stesse ancora ascoltando. Entra Azzurra.

Azzurra- Cosa fai lì impalata per strada?

Moretta- Ascolto uno che parla.

Azzurra- Ma non sento niente!

Moretta- Adesso ha smesso.

Azzurra- E allora cosa fai ancora lì?

Moretta- Metti che ricominci.

Azzurra- Ma non dirne e rientra dentro, che ti prendi un accidente! 

Moretta- Vengo, vengo!

Azzurra- Ma… si guarda attorno E questi? Cosa sono questi? Numeri? Dappertutto, dappertutto! Ma chi si è messo a… E tu, dimmi, non pulisci?

Moretta- Mica sono numeri. Sembra, ma mica sono numeri!

Azzurra- E cosa sarebbero, allora?

Moretta- con la voce di Maschera II Nella strada mi ci tuffo e le persone sono acqua e come al mare. Senza sale. Come al mare senza sale. Il mare è lontano ma l’acqua è sempre acqua anche quando non c’è il sale dentro. Sembra quasi di nuotarci, tra la gente. Tanti idrogeni ed ossigeni abbracciati, via diversi, e via a parlarsi, e via a star zitti. Con che tono, stanno zitti! Uno solo sparirebbe, tipo nuvola di fumo sotto il sole al calor bianco. Insieme sono battermi le braccia contro il tronco e muovere le gambe quasi a ritmo. Non mi asciugo. Quando esco non mi asciugo e non è niente esserci stato in mezzo.

Azzurra- Cosa stai dicendo?

Moretta- E’ quello che c’è scritto.

Azzurra- Sono numeri!

Moretta- Sembrano numeri, in effetti.

Azzurra- Ma tu cosa ci leggi?

Moretta- Quello che volevano scriverci, con quei numeri.

Azzurra- Chi? Che voleva scrivere delle parole e invece ha scritto i numeri?

Moretta- Un ragazzo che non capisci quando parla.

Azzurra- Ma chi?

Moretta- Uno. Mi pareva ti chiamasse.

Azzurra- Allora lo capisci.

Moretta- Se ti chiama si capisce.

Azzurra- Ah, uno dei tanti!

Moretta- Sai che mi sa sia quello che sbircia dalla finestra…

Azzurra- Il solito? Sai chi è? E’ un cliente? Un passante? Un vicino?

Moretta- Uno di quelli.

Azzurra- Sempre troppi, l’un per l’altro. Sempre uno prima che rallenta ed uno dopo che ti spiccia.

Moretta- con la voce di MII Quanti siamo? Tanti? Tanti è un modo per parlare della gente: cosa sono? Sono tanti. Tanti con i soldi per la cassa, ed il biglietto già vorresti averlo in tasca, ma finisce che ci resti, che l’aspetti, che ci investi. Meno siamo, prima smetto di volere. Il problema è di esser troppi invece di essere da solo.

Azzurra- Dipende da cosa si cerca… E dai soldi che ci metti.

Moretta- Dipende da cosa si cerca. Come sopra

Azzurra- Sei strana. Più del solito, Moretta.

Moretta- Io non mi sento strana. Che vuol dire “strana”? Che non sono “normale”? Ma se normale significa capirci in certe cose allora io normale non lo sono di certo. Ma che me farebbe, essere normale? Alzare la tariffa?

Azzurra- Sarà così. Ora torna dentro. Comincia a fare scuro.

Moretta- D’accordo… fanno per uscire. Oh, non vuoi che pulisca?

Azzurra- Io… No, lascia stare. Magari me li leggi anche domani, i numeri.

Escono.

Scena X

Il solito va alla sua scrivania. Cerca un penna, quindi fa per mettersi a scrivere. Si blocca. Comincia a cercarsi attorno, affannosamente. Butta all’aria i fogli, quindi si ferma, disperato. 

Il solito - Azzurra!

Esce in fretta. 
Breve jam sospesa, né allegra né triste, per sottolineare l’aprirsi di nuove possibilità.

Scena XI

Entra Azzurra.

Azzurra- No, basta per oggi. Se volete, tornate domani. Rivolta all’esterno. Si versa un bicchiere e si lascia andare… Dio benedica la guerra, che fa girare tanti soldi nelle tasche dei clienti. Osserva attentamente i numeri rimasti per tutta la sala. Io ci leggo solo numeri. A trovarci altro, dovrei essere malata. Anch’io.

Entra Il solito, ma alle spalle di Azzurra, che non lo vede. Cerca affannosamente tra gli scaffali, mentre Azzurra continua a parlare.

Azzurra- Non mi sento affatto stanca, nonostante l’ora. Sarà l’abitudine. Forse dovrei far tornare indietro qualche cliente. Sì, mi pare siano ancora per strada. In fondo, oggi o domani cambia solo la data sul calendario. Il corpo della questione è sempre quello.

Il solito trova ciò che andava cercando, il suo libro, e nell’entusiasmo fa cadere il quadro.

Azzurra- Ma cosa…!

Il solito - …

Azzurra- Ah! Sei tu! Il guardone! Il Solito! Il pitocco! Non sai che per guardare si paga? 

Il solito - fa no col capo, confuso

Azzurra- No? Bene, te lo dico io, allora! Sei un po’ toccato, vero? Sei un ritardato, un idiota, un imbecille? Certo che lo sei, non stare a rispondere. Ma non sai neppure parlare? Che delusione devi essere stata per tua madre. Una donna queste cose le capisce, sai? Tutta la fatica di portarti a spasso nove mesi, mal di schiena e gambe gonfie, eppoi ti salta fuori un menomato! Si sarà vergognata. Chissà cosa diranno le mie amiche, avrà pensato. Magari non ti ha manco preso in braccio, non è vero? Sarà scappata. Sei cresciuto con tuo padre, no? Ora che ti guardo bene, tu sei il ragazzo che abita dall’altra parte della strada, con quel vecchio musicista… Sì, sei tu! Tuo padre dovrebbe metterti a catena corta, come si fa coi cani!

Il solito - A… Azzurra…

Azzurra- E’ il mio nome, mi chiamo così, e allora? Cos’hai in mano? Cos’è quel libro?

Il solito - allontana timidamente il libro dal corpo, guardandolo.
Azzurra glielo strappa di mano.

Azzurra- Vediamo… Azzurra, Azzurra,Azzurra… scorre le pagine AzzurraAzzurraAzzurra… ma allora qualcosa sai scrivere…

Il solito - Azzurra…

Azzurra- Ah, questo lo tengo io. C’è il mio nome sopra, no? Eppoi non penso scorderai quel che ci hai scritto dentro! Ma guarda, forse avresti fatto meglio ad imparare a parlare! L’incapacità fa male, più che non potere. Sei così triste ad esser solo e non sapere cosa farci!

Il solito - agitato, prova a riprendere il libro.

Azzurra- Stai buono! Stai lontano! Lasciamelo! Pagherebbero per vederlo? Sapere di qualcuno che sta peggio è la ventata d’aria fresca di una testa sfitta… urlando. AzzurraAzzurra… Appassionato ed intricato e inefficace… Niente! Non c’è niente, qui sopra! Ed è un niente neghittoso, non bastasse! 

Il solito - La prende per un braccio Azzurra! (Mio dDio quanto lo sento sullo sterno d’esser buono a fare nulla, di sapere le parole e non sapere come dirle, di potere e irrimediabilmente non volere e non sapere se volere. Le certezze mi rimangon sulla pelle, i complimenti non arrivano alle orecchie, le occasioni e le mie gioie e le mie feste fanno muover le molecole del braccio. Smetto di scrivere e sarebbe meglio: la cariocinesi della mia immaginazione è l’ultimo capriccio di dDio. Quanto era più romantico da innamorato; non potrei morire oggi? Anzi morire un anno fa? Non potrei voler di nuovo tutto il resto eppure nuovo e differente? Non esiste che non sappia ciò che voglio, visto che ciò che voglio lo so: solo non sono capace di dirlo. E’ tutto terribilmente stonato, terribilmente già detto, terribilmente vuoto e riempito di aspettative. Quand’ero capace di amare mi illudevo di amare una donna, perché non comprendevo di amare l’astrazione e non l’idea. Oggi che non amo dovrei avere dei feticci tutte cosce e seni tronfi e ancora se li trovo non li voglio, Oggi scopro d’esser rotto ad ogni forma di volere e d’essere quindi uno straniero tra le voglie del mio corpo. Oggi scopro che il mio corpo non sono io. Oggi sono così terribilmente vuoto e solo che neppure se mi stringessi tra le braccia starei caldo, perché non sono le mie braccia. Il mio corpo ha decretato il suo apolismo alla mie mente, e giuro che se avessi gli occhi piangerei di gusto e mi sarebbe di conforto. Oggi “io” non ha senso per nulla tranne che per me, perché solo io mi vedo chiaro come sono: solo persino rispetto alla mia pelle. Come tutto è terribilmente relativo: invidio gli occhi a un cieco, le gambe a un paralitico, le dita a un monco. Quale infinita lussuria ticchettante nello scroto secco di un vecchio, quante sinuose parole nel catarro di un muto. Quanta gloria nelle orecchie di dDio che a me non aveva pensato abbastanza se non per diletto, e nel diletto la puzza di rose putrefatte mi riporta della bile in gola e gratta e si stringe la faringe. Neppure brucia, comunque. Quanto putrido e violento e flatulente può essere il divino! Quanto sono solo, oggi, che non parli e non mi hai mai parlato e non ci sei per quanto cerchi e mi ci impegni nel trovarti? Quanto arsenico di latta mi bevo nella mente per uccidermi fingendo di esser vivo? Quante parole servono per dire “muoio”? Se potessi scriverei delle poesie per stare bene. Se potessi caccerei della Bellezza. DDio ridammi indietro la Bellezza! Ma siccome non conosco più i miei piedi e non mi fido dei mie bulbi devo solo stare zitto e stare zitto e stare zitto e Cristosanto stare zitto non vuol dire un cazzo se lo dici cinque volte. Odio non volere abbastanza, che poi è volere in modo inefficace. Oggi sono inefficace, e se ci penso con impegno lo sono stato ieri, e il giorno prima. Senza saperlo perdo continuamente fiducia nell’amore, che, meschino, nel contempo perde fede in me. Odio incolparmi ma devo, è vero. Sono terribilmente e cronicamente terrorizzato dall’incapacità di essere me. E dalla conseguente inefficacia. La paura fa un brutto sapore tra lo stomaco e il diaframma. Ma è sempre il mio cazzo di corpo ridotto e ridondante. Riprendo contatto. CazzoCazzoCazzoCAZZIAZOA ZOA OZ AOKZ Èoapk Zpakjzpòokz AZ ioioioioiooioioio.) nota dell’autore sulla vita dell’autore. 

Lei libera il braccio e gli tira uno schiaffo. Pausa, in cui entrambi si guardano esacerbati.
Maschera II comincia a picchiarla selvaggiamente. Parte una musica violenta e solenne.
Azzurra rimane a terra, col libro stretto al petto. Il solito scappa, disorientato.
Silenzio.


Scena XII

Entra Moretta.
Moretta- Azzurra, ho sentito urlare. Qualcosa non… Azzurra! Lascia la scopa dal manico bitorzoluto e le corre accanto.

Moretta- Azzurra, madonnasanta, cosèsuccesso, comestai, misenti? La gira e le toglie il libro di mano, appoggiandolo a terra.

Azzurra- Sto… Sto bene…

Moretta- Guardati, ti si sta gonfiando un occhio, perdi sangue dal labbro… Tira fuori un fazzoletto e comincia a pulirle le ferite.

Azzurra- Ho visto… Quello…

Moretta- Sì, sì, ma adesso stai buona, che ti asciugo e poi ti metto a letto.

Azzurra- Sto… Sto bene… Voglio… far arrestare il Solito… mandare la guardia.

Moretta- Sai dove abita?

Azzurra- L’ho riconosciuto: abita in fondo alla strada. E’ un maniaco, un criminale…

Moretta- Ci pensiamo dopo, ora stenditi…

Azzurra- No, lo voglio fare subito.

Moretta- D’accordo, ora chiamo qualcuno… ma questo di chi è?

Azzurra- Quello! E’ suo. Avanti, aprilo.

Moretta- prendendo il libro Azzurra, Azzurra… Azzurraazzurraazzurra… C’è scritto solo il tuo nome, su tutte le pagine.

Azzurra- Portalo come prova alle guardie, poi falle venire qui… Trovandomi in questo stato lo porteranno di sicuro dentro.
Moretta esita leggendo il libro. 
Azzurra- Che hai?

Moretta- Non c’è solo il tuo nome, qua sopra.

Azzurra- Ah no?

Moretta- con la voce di Il solito Ti vedo mentre parli come ieri e il giorno prima e ancora indietro. Via, parole in fila come sempre. Poi ti ho vista stare a tavola da sola; l’acquaio, con un piatto ed un cucchiaio da lavare; li strofini e li rimetti nel cassetto.

Azzurra- Ancora?

Moretta- come sopra … Spegni l’acqua, fai una fiamma e tiri l’aria nei polmoni piano, colorata bruna come di terra. Ti asciughi ed hai il cervello spento/ la sigaretta accesa. Poi strofini la sinistra sulla destra, ed il polpaccio piano in cima sulla coscia, via una gamba sotto l’altra… Se hai mai pensato a quanto sesso hai nelle gambe sarà stato nel rimetterle così.


Azzurra-...

Moretta- come sopra Vorrei che non ci fosse tutto il resto. Vorrei che non ci fosse tutti gli altri. Rotolo rotolo e madonna come rotolo per terra e tra i momenti ed il continuo, come te in piedi tra lo strappo e l’altro strappo che lo segue. Sei caduta sul tappeto ed era sangue quella macchia sul ginocchio, o del rossetto e della carne e la parola scritta a mano con il gesso?

Azzurra- Non… parlare così.

Moretta- Non sono parole mie.

Azzurra- Appunto. Smetti. Per favore.

Moretta- come sopra Uno due tre quattro sono un modo per parlarti delle cose senza dire che son cose come te. Cinque è il fiato sulle reni e sette il passo con le gambe molli; nove il giorno che ti ho vista e dieci il fatto che ti veda ancora.

Azzurra- Perché?

Moretta- come sopra Quel che tocco è un altro modo di sentirti: fosse un’asse od un lenzuolo o una coperta. Lo senti d’esser fatta come il legno, sempre atomi e molecole avvinghiate, sempre pollici quadrati di lisciume levigato? Undici le volte che speravo e hai detto no, tredici le volte che volevo e non l’ho fatto, trenta il ticchettare delle macchine al lavoro. Moretta comincia ad inseguire dolcemente Azzurra, che si ritrae.

Moretta- come sopra E vorrei fossi più vera tu del resto. pausa 
Ci sono i numeri, più delle parole. Ci sono tutti, i numeri, sai? Io li ho contati tutti. Iniziano e finiscono.

Azzurri- Non si possono contare tutti i numeri. C’è sempre uno dopo.

Moretta- come sopra L’hanno detto. Non è vero. Non ci credere.

Azzurra- E qual’è l’ultimo numero?

Moretta- Quello che spiega perché gli altri non han senso. 

Azzurra- …?

Moretta- come sopra L’ultimo numero sei tu, Azzurra. La bacia.
Pausa. Le due si separano, e rimangono in silenzio per qualche istante.

Moretta- Ora… Vado dalle guardie.

Azzurra- Aspetta.

Moretta- Stai male?

Azzurra- Sì. No. Non so. (Questa è per Daniele che inspiegabilmente mi prende sempre.)

Moretta- Ti porto da bere?

Azzurra- Dimmi… Dimmi solo questo: ciò che hai detto… che hai fatto… Era scritto sul libro?

Moretta- Cosa?

Azzurra- Quello che hai detto prima…

Moretta- Non capisco.

Azzurra- Lascia stare.

Moretta- Insomma, vuoi che vada dalle guardie e le mandi alla casa in fondo alla strada?

Azzurra- Io… No, lascia stare. Pensa allo scandalo, l’agitazione. No, un po’ di cipria e non si vedranno neppure, i lividi. Lascia stare, non fa nulla. Nel nostro mestiere due schiaffi ogni tanto fan morale. Altrimenti una s’abitua troppo bene.

Moretta- Non so. Però le guance bruciano, e più che morale a me fan male.

Azzurra- E allora? Non bruciano forse anche le stelle? Cosa sono due guance rosse davanti ad un firmamento? Che ti credi di avere sulla faccia, l’alfa e l’omega del cosmo? Avanti, aiutami ad andar nella mia stanza. Voglio uscire.

Moretta- Uscire? Con quella faccia?

Azzurra- E’ per questo che hanno inventato i trucchi, no? A proposito…

Moretta- Sì?

Azzurra- Il libro…

Moretta- Questo?

Azzurra- Lui… Lascialo sul mio letto, per favore.

Moretta- Lo userai come prova?

Azzurra- Contro chi?

Moretta- Il guardone… Il Solito.

Azzurra- Oh. No, non credo, no.

Moretta- Ma allora…?

Azzurra- Allora qualcosa ci farò.

Moretta- Finché ti capisci tu...

Azzurra- Hai detto bene. Tragicamente bene.
Escono.


Scena XIII

Maschera I dietro la sua scrivania.
Maschera I – Fa avanti indietro per la via, mio figlio. Avanti e indietro. Come facesse sesso con la strada. Quando suonavo da giovane mi immaginavo le onde del suono, invece delle note. Non leggevo i fogli che aveva davanti, mi ricostruivo le onde. Piene di picchi con le note acute, dolci sui medi, profonde nei bassi. Se fossi stato un pittore avrei immaginato i movimenti del pennello? O i colori? Ma che forma hanno i colori? Il rosso è un triangolo, il giallo un cerchio, il blu un rettangolo. O era il contrario? I colori non hanno forma, non hanno un’onda. Per questo ho fatto il musicista. Non potevo immaginarmi l’onda di un di una statua, che suono facesse. Quando è andata via, mia moglie non ha detto neppure una parola. Si è tappata le orecchie, anche, per non sentirmi parlare. Era una donna dolce, sentire la mia voce l’avrebbe fatta restare, poveretta. E sarebbe stato un peccato, con tutto quello che deve aver fatto in questi anni. Io solo una puttana il giovedì, ma simpatica, senza troppe pretese. Solo quello per tutti questi anni. 

Poche note, mentre entra dalla destra Azzurra, vestita con cappellino e mantellina. Ha il libro sotto al braccio, e bussa in silenzio alla porta sulla sinistra.

Maschera I- Fortunatamente, solo quello per tutti questi anni. Altrimenti, quanto tempo avrei passato a raccontare? Il cuore non avrebbe retto. Esce.






Scena XVI

Azzurra vicino alle quinte. Finge di battere ad una porta.

Azzurra- Aprite! C’è nessuno? Avanti, sento le voci, aprite! Pausa Aprimi, ti ho riportato il libro! E’ il tuo libro questo, non vedi? Pausa. Aprimi, per favore. Perché nessuno mi apre mai? Perché tutti pretendono che ad aprire sia io? Io… parla guardando l’uscita laterale volevo chiederti scusa. Non è vero che tua madre era delusa di te. Anch’io sono orfana. Sono cresciuta solo con mia madre, papà non me lo ricordo. Beveva, suonava nei locali, andava a donne, secondo mamma. Lei ha dovuto andarsene. Ma le madri non lasciano indietro i figli, quindi mi ha portato con sé. Non sei stato abbandonato, anche se non sei normale. Alza la voce Mi senti? Io sento parlare! C’è nessuno? Non voglio tenerlo io, questo. Non so leggerlo, cosa me ne faccio? Allora, volete che congeli? Pausa Quando parli non capisco, che colpa ho? Volevo capire tutto, oppure che non ci fosse nulla che non capissi, e non è lo stesso. Ma rimane sempre fuori qualcosa, quando chiudiamo i pacchi. Non volevo restare sola. Non volevo restare sola. Non volevo nessuno, ma non volevo restare sola. Perché non ti capisco quando parli? Perché non mi capisci quando parlo? Pausa. Alza la mano per bussare ancora, ma la riabbassa quasi subito. Lascia il libro a terra, se ne allontana. Si ferma, lo raccoglie ed esce da destra. Buio. Maschera I entra dalla sinistra, si guarda attorno, riesce. 

Il solito compare sul fondo, raggomitolato su sé stesso e singhiozzante.


Scena XV

Entra Moretta, con una scopa dal manico avvolto nella carta stagnola.

Moretta- Eppure oggi è giovedì. E non mi pare sia presto. Si guarda attorno non sarà già arrivato? Urla verso la sala C’è nessuno? Ehilà, c’è nessuno? No, nessuno. Oggi non è venuto. Peccato, mi avrebbe fatto piacere sentirlo parlare. Mi fa star bene. Non capisco, e mi far star bene. Voler capire rovina l’ascolto. pausa Guarda che macello. Ci sono ancora quei numeri. Non si dovrebbe scrivere sui muri, neppure per una giusta causa.

Azzurra- da fuori E quale sarebbe la giusta causa?

Moretta- Azzurra! Entra Azzurra 

Azzurra- Allora, quale sarebbe la giusta causa? Guardarmi di nascosto? Picchiarmi?

Moretta-Non so, parlare...

Azzurra- Troppo generico. Bisogna sempre farne una questione di puntiglio, delle cose giuste. Come la luce. Certe luci rovinano l’atmosfera, certi silenzi rovinano il rumore. Meglio parlare di niente che tacere. Meglio sentirsi e vedersi che ascoltarsi e guardarsi. Meglio che sia io a dire basta e un altro a dire “ancora”.

Moretta- Forse hai ragione.

Azzurra- Non sarebbe la prima volta.

Moretta- Bhé, comunque ho da pulire.

Azzurra- Ci sono clienti che aspettano?

Moretta- No, nessuno.

Azzurra- Neanche un prete… censura

Moretta- Niente preti.

Azzurra- … O un politico?censura

Moretta- No, quest’oggi neanche quelli

Azzurra- Neppure il tuo vecchio del giovedì?

Moretta- Oggi non è venuto. Non vorrei avesse mal di gola, da non venirmi a palare.

Azzurra- Verrà di venerdì, per questa settimana. A tutti piace cambiare, ogni tanto.

Moretta- Cosa vuoi farne del libro, hai deciso?

Azzurra- Lo avrei riportato al suo proprietario, ma non era in casa.

Moretta- Sei andata a casa di quello che ti ha picchiata? Un bel coraggio. 

Azzurra- Io… Dovevo andarci. Era come andare a trovarmi.

Moretta- Io non ci sarei andata per tutti i clienti del mondo.

Azzurra- Dovevo… Dovevo rispondergli per le rime. Non deve pensare di mettermi le mani addosso un’altra volta!

Moretta- Ma non l’hai trovato?

Azzurra- Secondo me era in casa. Sentivo delle voci. Però ha avuto paura di uscire.

Moretta- Se hai sentito delle voci, non credo fosse lui.

Azzurra- Perché mai? Bussavo a casa sua!

Moretta- Non so con te, ma con me non ha parlato molto.

Azzurra- Hai ragione. Comunque, gliene ho tirate tante che non si farà vedere per un pezzo.

Moretta- E il libro? Cosa te ne fai, adesso?

Azzurra- Lo terrò in camera.

Moretta- Ma non volevi ridarglielo?

Azzurra- Volevo. Prima. Ho cambiato idea. Se lo tengo magari gli passerà la fissazione. 

Moretta- Lo spero per lui.

Azzurra- Lo spero per me. Esce. Moretta rimane a rassettare.



Scena XVI


Entra Maschera I e si siede alla sua scrivania.
Maschera I- Scusate, qualcuno alla porta. Una donna tutti i giovedì, dicevo. Da due anni in qua. Sempre parole nuove. Ne cercavo per tutta la settimana, per portarle fresche alla prostituta nel bordello in fondo alla strada. Ogni giovedì un pensiero nuovo. E lei era lusingata, le brillavano tutte le ciglia. L’unico dramma è non avere nessuno a cui parlare. Le cose sono meno vere a non parlarne. 

Musica intrigante, da chiusura.

Maschera I- D’altronde, si parla oppure si ascolta. Si alza e si inchina.
Parte la jam.

Scena XVII


Moretta rimasta ad ascoltare.
Moretta- Questo giovedì non è venuto qui, ma va bene lo stesso. Che storia triste. Io meno male che continuo a non capire niente, sennò chissà come ci rimarrei strana. Quando capisco le cose poi mi gira tutto, come col vino rosso.

Entra Maschera II, stravolto e con gli abiti stracciati. 
Moretta- Oh! Devo chiamare qualcuno!

Il solito - Azzurra. 

Moretta- Non posso, se vuoi farle ancora male. Vattene o farò venire le guardie!

Il solito - …

Moretta- No, non le vuoi far male. Neanche prima volevi, giusto? Pausa.
Lentamente, Maschera II si tocca la bocca, poi sfiora quelle di Moretta.

Insieme- Il dramma non sono le parole, ma non saperle dire.
Buio. 

Scena XVIII


Moretta e Il solito.
Moretta- Ora la chiamo.
Esce. Dopo un attimo, entra Azzurra, con il libro tra le braccia .Si stupisce di vedere Il solito.

Azzurra- Chi.. Oh! Ancora tu?

Il solito - …

Azzurra- Hai… Sentito quello che ti ho detto da dietro la porta?

Il solito - annuisce

Azzurra- E ora rivuoi il libro?

Il solito - come sopra

Azzurra- E’ tuo, d’altronde. Lo allunga verso di lui.

Si sfiorano le mani. Lei gli si avvicina. 

Azzurra- Non è colpa tua. Pausa Non è colpa mia. 
Lo bacia su una guancia. Il solito comincia a piangere sommessamente.
Azzurra- Se non lo puoi dire, è come se non ci fosse. 
Vociare da fuori. Vengo! Vengo caro, cosa mia hai portato di bello? Io lo stesso di ieri…

Fa per uscire, guarda intensamente Il solito. Esce.
Parte la musica della seconda scena.
Maschera II appoggia cerimoniosamente il libro su uno scaffale, quindi comincia a sbirciare, come nella scena II Bis, e rimane fermo per alcuni secondi.

Buio. Applausi Fine della commedia. All’autore verranno gli occhi lucidi e starà zitto per un po’. Se avesse una donna, a quel punto la vorrebbe vicino.



Finale

Maschera I e Moretta prendono la prima scrivania e la portano sul fondo, guardandosi negli occhi. Escono.
Entrano Il solito e Azzurra, per mano, e spostano l’altra scrivania. Escono.

Escono gli attori, tenendosi per mano.

Baci e abbracci. 

Fine, 4/1/03


Che Steve, Daniele e Fonzo possano vederla in scena e ritrovarcisi almeno un po’.


Tutto diametralmente identico, come i punti di una circonferenza. 
Se parlo non mi senti.