La Classe
Ritratto di uno di noi

di Francesco Ferrara

© 2018. Tutti i diritti sono riservati

 

 

PERSONAGGI

Andrea
Arianna
Chiara
Claudia
Eleonora
Gigi
Luigi
Manuel
Maria Francesca
Michele
Rosita
Salvatore
Sasi
Simone

Nomi e generi dei personaggi corrispondono a nomi e generi degli attori che hanno contribuito alla creazione del testo e accompagnato lo spettacolo al debutto. Come tali, pertanto, rappresentano solo una proposta che può essere cambiata in base alle esigenze.

L’azione si svolge all’interno di un’aula di recitazione. Quattordici sedie per quattordici attori. Un fucile finto piuttosto malridotto. Un cuscino su cui va a sedere Eleonora, la ritardataria della classe. Ognuno ha il suo copione e poco altro: zaini, magliette, smartphone. Gli attori hanno tra i diciotto e i venticinque anni. In scena sono se stessi e, quando serve o capita o lo decidono, molti altri.

 

 

1. L’abbraccio

 

La corrente elettrica è saltata. L’aula è in penombra. Gli attori illuminano lo spazio con le torce dei propri cellulari. Andrea e Salvatore sono al centro, tutti gli altri disposti intorno a formare un semicerchio. Andrea si avvicina a Salvatore e lo abbraccia.

SALVATORE ~ No.
ANDREA ~ No?
CLAUDIA ~ (al pubblico) Giorno tre. L’abbraccio.
SALVATORE ~ Continui a essere troppo coinvolta.
SIMONE ~ Anche secondo me.
ANDREA ~ Sì, può darsi.
SALVATORE ~ Ci serve una donna più ambigua.
ANDREA ~ Lo so.
SALVATORE ~ Ne abbiamo già parlato.
ANDREA ~ Aspetta però, fammi riprovare. (Prova di nuovo l’abbraccio)
SALVATORE ~ È ancora troppo.
ANDREA ~ Dici?
SIMONE ~ Sembri Andrea che abbraccia Salvatore.
LUIGI ~ Forse dovresti essere un po’ meno… come dire?
CLAUDIA ~ Tenera?
LUIGI ~ Ecco, tenera.
ANDREA ~ Sì sì, lei deve mostrarsi più distaccata.
LUIGI ~ Esatto.
ANDREA ~ Più controllata.
SALVATORE ~ Questa è la direzione giusta.
SIMONE ~ Perché non stiamo parlando di due persone normali.
ROSITA ~ (a Salvatore) È anche vero che tu con questa faccia non la aiuti.
SALVATORE ~ Perché?
ROSITA ~ Sembra che hai problemi di digestione.
SALVATORE ~ Ah sì?
ROSITA ~ Sì.
GIGI ~ In effetti.
SIMONE ~ Un po’ ha ragione.
SALVATORE ~ E quale sarebbe la faccia giusta?
ROSITA ~ Io mica lo so.
SALVATORE ~ Fammi vedere, invece, visto che ti credi tanto brava.
ROSITA ~ Lo dicevo solo per dare una mano.
SALVATORE ~ No, avanti, sono curioso.

Rosita fa una faccia buffa, un po’ da squilibrata, per scherzo.

SALVATORE ~ Ma per favore!
ROSITA ~ Mai che accettasse un consiglio.
SALVATORE ~ Possiamo fare da soli, io e Andrea. Non ci serve una mano, ok?
ROSITA ~ Continuate pure.
SALVATORE ~ Grazie.
ROSITA ~ Ma figurati.

Torna la corrente elettrica, l’aula si illumina.

GIGI ~ (urlando, all’improvviso) Ragazzi! Ho avuto un’illuminazione!
MANUEL ~ Gigi.
SASI ~ Ma uccidetelo.
SALVATORE ~ (ad Andrea) Allora proviamo a ragionarci su. In questa scena tu sei mia madre…
ANDREA ~ La madre, la madre, sempre la madre sono costretta a fare! E poi non vedo come possa riuscire a trovare il corpo e la condizione di una madre, io che di anni ne ho venticinque e probabilmente nella vita non potrò neanche mai esserlo, una madre!
SALVATORE ~ Ma non sei una madre come tutte le altre; non sei, che ne so, una madre che riabbraccia suo figlio in aeroporto al ritorno da un viaggio di lavoro. È una cosa un po’ diversa quella che stiamo cercando, no?
ANDREA ~ Questo l’ho capito.
SALVATORE ~ Va bene, ma da attrice dovrebbe motivarti, stimolarti tutta questa difficoltà a entrare nel personaggio.
ANDREA ~ Certo, ma…
SALVATORE ~ Invece ti preoccupi, ti blocchi, ti limiti.
ANDREA ~ Non è così.
SALVATORE ~ Se non è così, allora dai, riproviamo.

Pausa.

ANDREA ~ Non possiamo toglierlo dalla scena?
SALVATORE ~ Cosa?
ANDREA ~ L’abbraccio.
MANUEL ~ E dai.
MARIA FRANCESCA ~ Ti sembra una soluzione?
ANDREA ~ Be’, sì. Ha anche una sua efficacia emotiva, secondo me. Facciamo così: buio, torna la luce e la madre si allontana, lentamente esce, lui…
SALVATORE ~ Perché invece…
ANDREA ~ … tu resti al centro della scena con addosso la tuta arancione, proprio quella che indossano i detenuti, e le manette ai polsi.
SALVATORE ~ Senti…
ANDREA ~ Oppure, possiamo fare così: buio, luce, siamo già stretti l’uno all’altra, ancora buio, luce, la madre è fuori scena.
SALVATORE ~ Invece devi…
ANDREA ~ Stacchi più netti, cinematografici.
SASI ~ Allora perché non facciamo buio e basta?
SALVATORE ~ Devi solo trovare la giusta condizione emotiva e non pensare troppo a cosa fai e a come lo fai.
ANDREA ~ Se non ti va mai bene niente.
SALVATORE ~ Ma non è vero.
ANDREA ~ Io non so più cosa fare.
SALVATORE ~ Ancora un piccolo sforzo, questo devi fare.

Maria Francesca li interrompe. Abbraccia Salvatore con un’aria un po’ da maestrina ma, allo stesso tempo, trasognata. Poi torna a sedersi.

SALVATORE ~ Una cosa del genere.
CHIARA ~ Ottimo.
LUIGI ~ Facciamolo fare a lei.
CLAUDIA ~ Non può.
CHIARA ~ Perché?
CLAUDIA ~ Fa il giudice nella scena del processo.
ROSITA ~ Se non abbiamo ancora assegnato i ruoli.
CHIARA ~ E non c’è neanche il testo.

Pausa.

ANDREA ~ Ora continuiamo, per favore?
SIMONE ~ Tra l’altro siamo in Norvegia, è marzo, fa ancora freddo lì, magari fuori c’è la neve. Quando vede per l’ultima volta suo figlio in carcere… (a Salvatore) come si pronuncia il nome della madre?
SALVATORE ~ Wenche.
SIMONE ~ Wenche Biring.
SALVATORE ~ Behring.
SIMONE ~ Wenche Behring ha sessantasei anni. Me la immagino un po’ ricurva, piegata dalla malattia.

Andrea si piega in avanti, ma troppo.

SIMONE ~ Non gobba, raccolta.

Andrea si solleva.

SIMONE ~ Così, ecco, già mi sembra vada meglio. Ha il volto scavato, di quel colorito giallognolo… fai il colorito giallognolo… tipico di chi sta per morire, e lo sa.
ARIANNA ~ Infatti morirà otto giorni dopo.
SALVATORE ~ Grazie, Arianna.
ARIANNA ~ Prego.
SALVATORE ~ Visto che non sta bene, la madre si fa aiutare, si fa accompagnare fino alla porta d’ingresso della sala colloqui.
SIMONE ~ Riservata ai detenuti speciali.
SASI ~ Perché suo figlio è un detenuto speciale.
CHIARA ~ Chi l’ha portata fin lì apre la porta, lei sente il rumore della serratura.
MARIA FRANCESCA ~ Quel rumore che senti solo nei film in cui si vedono scene ambientate in carcere.
SIMONE ~ Come se fossero venti chiavi a girare tutte insieme.
ARIANNA ~ Qui la porta si apre.
SALVATORE ~ Grazie, Arianna.
ARIANNA ~ Prego.
SIMONE ~ E suo figlio sta lì ad aspettarla oltre il vetro di protezione.
LUIGI ~ Per parlarsi devono utilizzare quelle cornette che sono… tipo i telefoni degli anni ’80.
MARIA FRANCESCA ~ Sì, che nei film, se non sbaglio, sono sempre di quel colore sbiadito, beige o nocciola… scusate.
ANDREA ~ Ma oggi è diverso, oggi a suo figlio è consentito oltrepassare il vetro.
CLAUDIA ~ E quindi abbracciarla.
MICHELE ~ (leggendo il copione, infastidito dalla perdita di tempo) Infatti ora si avvicina alla madre, scortato da due guardie carcerarie.
SALVATORE ~ Due nel ruolo delle guardie, per favore.
MICHELE ~ Io no.

Luigi e Gigi affiancano Salvatore nel ruolo delle guardie.

MARIA FRANCESCA ~ Wenche Behring e suo figlio Anders si guardano negli occhi.
SASI ~ Le guardie lo lasciano andare.
GIGI ~ Ma come?
CHIARA ~ E si allontanano.

Luigi e Gigi tornano a sedersi. In classe cresce la confusione, le battute che seguono si perdono in un vociare indistinto.

CLAUDIA ~ Intorno a loro non c’è più nessuno.
LUIGI ~ Scomparsi i giornalisti, scomparsi i giudici, scomparse le telecamere, i curiosi, i fanatici, ogni cosa.
SASI ~ Restano soltanto una madre e un figlio.
SIMONE ~ Chiediamoci cosa provano.
LUIGI ~ Come si muovono?
CLAUDIA ~ Come si guardano?
MARIA FRANCESCA ~ Restano soltanto una madre e un figlio.
CLAUDIA ~ E tanto, tanto silenzio!

Pausa.

SALVATORE ~ Come ti senti?
ANDREA ~ Bene.
SALVATORE ~ Provi dolore?
ANDREA ~ Ora poco
SALVATORE ~ Vuoi sederti?
ANDREA ~ Resto in piedi.
SALVATORE ~ Hai bisogno di bere?
ANDREA ~ No, grazie.
SALVATORE ~ Hai mangiato qualcosa?
ANDREA ~ Oggi no.
SALVATORE ~ Perché?
ANDREA ~ Non ho fame.
SALVATORE ~ Ti trattano bene in ospedale?
ANDREA ~ Molto.
SALVATORE ~ Ti parlano di me?
ANDREA ~ No, mai.
SALVATORE ~ Lo sai, sarei venuto io da te.
ANDREA ~ Lo so.
SALVATORE ~ Se non fossi qui.
ANDREA ~ Lo so.
SALVATORE ~ Qui dentro.
ANDREA ~ Non devi scusarti.
SALVATORE ~ Mi odi?

Andrea lo abbraccia.

SALVATORE ~ Perdonami per averti rovinato la vita.

Pausa.

MANUEL ~ Tremendo.
ANDREA ~ No, senti, tu non puoi…
MANUEL ~ Sembra una telenovela brasiliana degli anni ’90.
SALVATORE ~ Ma come ti permetti?
ANDREA ~ Lo dicevo, buio, abbraccio e faccenda risolta.
MANUEL ~ Davvero vogliamo proporre in scena una cosa del genere?
SALVATORE ~ Perché, cos’ha che non va?
MANUEL ~ Sorvolando per un attimo la vostra prova attoriale, secondo me non è andata così.
SALVATORE ~ Questo lo dici tu.
MANUEL ~ Non può essere andata così.
SALVATORE ~ Ho capito, ma a noi interessa fare una cronaca fedele degli eventi.
MANUEL ~ Ascoltami. Lei… (ad Andrea) tu sei la madre di Anders Breivik… avete tutti presente di chi stiamo parlando?
ANDREA ~ Certo.
SIMONE ~ E quindi?
MANUEL ~ È molto semplice, sua madre non solo non ha detto quelle parole, ma non è mai andata all’incontro.
SALVATORE ~ Invece sì.
MANUEL ~ Lei non voleva rivedere suo figlio.
SALVATORE ~ La notizia è su tutti i giornali.
MANUEL ~ E tu credi ai giornali?
SALVATORE ~ Non dovrei?
ANDREA ~ Cerca su Internet.
MANUEL ~ Nell’epoca della disinformazione, lui crede ai giornali.
SALVATORE ~ Come lo conosco il mondo se non mi affido…
MANUEL ~ Sì, va bene, non cominciare.
SALVATORE ~ Io?
ROSITA ~ Infatti, per favore.
MANUEL ~ Stiamo parlando di un tizio che nel 2011, due anni prima del vostro incontro, dopo aver piazzato una bomba nel centro di Oslo, facendo 8 morti e non so quanti feriti, è andato sull’isola di Utoya e ha iniziato a sparare sui giovani del Partito Laburista Norvegese, riuniti quel giorno per un convegno o non so cosa.
GIGI ~ Era un campo estivo.
MANUEL ~ Sì. Ha ucciso con un fucile, cito Wikipedia testualmente, 69 giovani e ne ha feriti 110, di cui 55 in maniera grave, rincorrendoli uno ad uno. La maggior parte di loro era minorenne.
SALVATORE ~ E questo lo sapevamo già.
MANUEL ~ Bene, adesso immagina lei, la madre, quel pomeriggio è in casa, la stessa casa in cui vive con suo figlio Anders…
MICHELE ~ No, lui si era trasferito in campagna, in una fattoria!
MANUEL ~ Ti sbagli.
MICHELE ~ Invece è come dico.
GIGI ~ Comunque sia, quella notte aveva dormito dalla madre.
MANUEL ~ Ecco, vedi.
MICHELE ~ Ne sei proprio sicuro?
GIGI ~ Ho letto le carte processuali.
LUIGI ~ Le carte processuali?
SIMONE ~ Addirittura?
GIGI ~ Studio, si chiama studio!
MANUEL ~ Posso continuare? Quel pomeriggio magari sua madre è annoiata, non sa che fare, si trascina da una stanza all’altra e per ingannare il tempo lava i capelli, fa il bucato, sfoglia una rivista. Ancora più annoiata, accende la televisione. Sono le cinque e mezzo e fortuna vuole che oggi, venerdì 22 luglio, in città sia successo qualcosa.
MICHELE ~ E allora?
MANUEL ~ Finalmente, pensa lei, in questa città non succede mai niente. A Oslo è sempre tutto così monotono, insulso, con questo cielo cupo, pesante, come un manto grigio sull’anima.
ROSITA ~ Va bene, Manuel!
MANUEL ~ Era per dare un tocco di poesia.
SALVATORE ~ Ci sei riuscito.
ROSITA ~ Come no.
MANUEL ~ A quanto pare qualcuno ha piazzato una bomba di fronte al palazzo governativo.
SASI ~ Qualcuno… suo figlio.
MANUEL ~ Suo figlio. Lei nel frattempo è sempre più viva, le monta dentro l’interesse. È convinta che suo figlio sia in casa, perciò lo chiama. Anders, vieni a vedere! In televisione trasmettono le riprese fatte dagli elicotteri: il terrorista, il folle, l’attentatore si è spostato sull’isola di Utoya. Lei cerca di ricordare, forse non c’è mai stata su quell’isolotto, ma comunque non è importante, perché ora in un frammento delle riprese (nota il fucile in giro e lo imbraccia) si vede l’attentatore che insegue (indicando Chiara) lei, (a Salvatore) perché lui voleva uccidere prima le belle ragazze, questo lo sapevi?
ROSITA ~ Allora insegue me.
MANUEL ~ Bang! (spara a Rosita, che cade, morta[1]. La sua attenzione, poi, torna su Chiara) Lei prova a scappare, ma… bang! L’elicottero riesce ad abbassarsi, le immagini si fanno più precise, l’uomo è vestito da poliziotto e si vedono due ragazzi scappare, (a Luigi e Simone) tipo loro due. Lui fermo, eccitato, immobile… bang! bang! L’inquadratura scende ancora, ci sono decine di cadaveri, l’attentatore torna indietro per finire chi non è morto… bang! Spara ai ragazzi immersi nell’acqua gelida… bang! Spara a Sharidyn, di quattordici anni… bang! I proiettili bucano l’acqua… bang! Tagliano l’aria… bang! Spezzano gli alberi… bang! Frantumano la carne… bang! Rompono le ossa… bang! Dovete morire! Bang! Tutti devono morire! Oggi morirete tutti, marxisti! Salverò io l’Europa dall’invasione musulmana! Io vi ucciderò tutti!
ANDREA ~ Anders!
MANUEL ~ Poi la polizia sfonda la porta di casa, la madre salta in piedi dallo spavento. Che volete dal mio Anders? Perché lo cercate? Cosa volete da lui? (Pausa) Sto per diventare la madre più infelice della Norvegia. (Ad Andrea) Non c’è mai andata a quell’ultimo incontro, capisci?
SALVATORE ~ A parte il fatto che ti sei inventato di sana pianta la circostanza, ma come fai a dire che lei non voleva rivederlo?
MANUEL ~ Perché non esiste perdono per un atto tanto brutale e consapevole allo stesso tempo.
SALVATORE ~ Cosa ne sai tu?
MANUEL ~ (ad Andrea) Se fossi stata sua madre saresti andata ad abbracciarlo prima di morire?
ANDREA ~ Non lo so.
MANUEL ~ Lo vedi.
ANDREA ~ Ma non ho detto che non ci sarei andata.
MANUEL ~ Va bene, comunque dobbiamo cambiare la scena, così non va.
MARIA FRANCESCA ~ (interrompendo) Lo vedi questo nocciolo?
MANUEL ~ Sì.
MARIA FRANCESCA ~ È il figlio. La vedi questa nespola?
MANUEL ~ Sì.
MARIA FRANCESCA ~ È la madre.
MANUEL ~ E…?
MARIA FRANCESCA ~ Tu non credi che mamma nespola possa perdonare il figlio nocciolino se questo, cadendo dall’albero su un formicaio, uccide sessantanove formiche?
MANUEL ~ Proprio così.
MARIA FRANCESCA ~ Tu non credi che una madre possa restare sempre una madre?
MANUEL ~ Devo ripeterlo? (Pausa) Senza considerare il fatto che figlio nocciolino non cade di proposito dall’albero.
MARIA FRANCESCA ~ Era un esempio.
SIMONE ~ Ascoltate, forse ci stiamo ponendo il problema sbagliato. Forse non dobbiamo chiederci se lo perdona o no.
MANUEL ~ E cosa allora?
SIMONE ~ Come si sente.
ANDREA ~ Giusto.
MANUEL ~ Come vuoi che si senta?
ANDREA ~ È capire lei il mio problema.
SIMONE ~ (a Manuel) Non sminuire la questione.
MANUEL ~ No, io non sminuisco, analizzo con logica.
SIMONE ~ Guarda, non so come spiegarmi, ma, voglio dire, il legame tra una madre e un figlio va oltre gli eventi, va oltre gli errori, va oltre ogni cosa.
MANUEL ~ Tu un massacro lo definisci un errore?
SIMONE ~ Non volevo dire questo.
MANUEL ~ E cosa volevi dire?
SIMONE ~ Parlavo di me.
MANUEL ~ Ma che c’entri tu?
SIMONE ~ Niente, dai, lascia stare.
MANUEL ~ Quello che non capite è che io mi riferisco a un dovere morale che prescinde dai legami familiari, sta sopra il rapporto di parentela.
SIMONE ~ E con questo?
MANUEL ~ Avrebbe dovuto rinnegarlo.
SALVATORE ~ Ma non l’ha fatto, a quanto pare.
MARIA FRANCESCA ~ Ottenendo cosa, poi?
SIMONE ~ Niente.
MANUEL ~ Niente, ma sarebbe stato un gesto simbolico, un gesto di unione verso le madri delle vittime.
SIMONE ~ A teatro non ce ne facciamo niente dei gesti simbolici.
MANUEL ~ Invece è questo che dovremmo portare in scena, non l’ultimo incontro tra Breivik e sua madre.
SALVATORE ~ Sì, come no, ci inventiamo una cosa mai successa.
MANUEL ~ Se serve.
SALVATORE ~ No, non sono d’accordo.
MARIA FRANCESCA ~ Neanche io.
SALVATORE ~ Ci servono momenti emotivi.
MARIA FRANCESCA ~ Abbiamo bisogno di qualcosa di viscerale.
SALVATORE ~ Anche incoerente con il nostro sistema di giudizio, ma che sia intenso.
MARIA FRANCESCA ~ Come una nespola.
MANUEL ~ Se la pensate così, allora io…
CLAUDIA ~ La verità è che la madre ci ha provato a odiare suo figlio, ma non c’è mai riuscita. Mia madre ha fatto lo stesso con me… (Pausa) Ho letto un articolo.
MARIA FRANCESCA ~ (a Manuel) Hai sentito?
SALVATORE ~ Quindi siamo nella direzione giusta.
MANUEL ~ Ho capito, ho capito, continuate per conto vostro.
MARIA FRANCESCA ~ Fa sempre così.
SIMONE ~ Ogni volta che si discute.
MANUEL ~ No, ma dov’è il problema, io mi metto a sedere qui, comodo, sulla mia sediolina e sto a guardarvi.
MARIA FRANCESCA ~ Fa’ come vuoi.
GIGI ~ Io, ve lo dico, mi sento un po’ spaesato, vedo che abbiamo bisogno di una mano.
SALVATORE ~ Non ci serve una mano.
GIGI ~ Ma almeno non saremmo così confusi.
SALVATORE ~ Abbiamo detto che avremmo fatto da soli e faremo da soli.
GIGI ~ Stiamo ragionando su un attentatore. Lui, sua madre, i superstiti, sono personaggi troppo grandi per noi.
SALVATORE ~ Per me no.
GIGI ~ Ma come no? Dobbiamo vivere sentimenti che non sappiamo dove andare a cercare.
SALVATORE ~ Non ti preoccupare, Gigi.
GIGI ~ Io non mi preoccupo, ma intanto questo è il risultato.
SALVATORE ~ Tu ti fidi di me?
ROSITA ~ Nessuno si fida di te.
SALVATORE ~ Figurati se non doveva dire la sua.
GIGI ~ Qualcuno di voi ha mai ucciso cento persone? No, solo per capire…
MANUEL ~ Credo io la settimana prossima.
GIGI ~ Perfetto.
MANUEL ~ Sto organizzando gli ultimi dettagli.
GIGI ~ Se così è, abbiamo risolto.
MARIA FRANCESCA ~ Torniamo seri?
SIMONE ~ Sì, dai.
SALVATORE ~ Andiamo avanti.
SIMONE ~ Non perdiamo altro tempo.

Ogni attore prende il proprio copione.

SIMONE ~ (leggendo) Eleonora arriva in ritardo.
ELEONORA ~ (entrando) Buongiorno.
MICHELE ~ Senza dire una parola…
ELEONORA ~ Scusat…
SIMONE ~ … va a sedersi.
MARIA FRANCESCA ~ È assurdo.

Gli attori posano i copioni.

SASI ~ Un attimo, però, finora ci siamo chiesti se la madre ha perdonato il figlio o meno, ma ci dimentichiamo che Breivik al processo non ha chiesto il perdono di nessuno.
ROSITA ~ Anzi, se ne stava tutto arrogante davanti ai superstiti e ai parenti delle vittime.
SIMONE ~ E non solo, teneva sulle labbra quel sorriso…
MARIA FRANCESCA ~ Inquietante.
SIMONE ~ Sì, era inquietante.
SALVATORE ~ Calma, però, perché non stiamo parlando di un pazzo.
GIGI ~ Questo è vero. La legge lo ha giudicato capace di intendere e di volere, quindi è penalmente responsabile di ciò che ha fatto.
MICHELE ~ Cioè?
GIGI ~ Era consapevole delle sue azioni.
MICHELE ~ Consapevole significa che voleva farlo?
GIGI ~ Già. Infatti gli è stato riconosciuto solo un elevato disturbo narcisistico della personalità.
SALVATORE ~ Che non può considerarsi pazzia.
GIGI ~ No.
SALVATORE ~ Non è follia.
SIMONE ~ E in che consiste?
MANUEL ~ Cito Wikipedia testualmente.
ROSITA ~ E basta.
SALVATORE ~ Fallo parlare.
MANUEL ~ Il disturbo narcisistico della personalità è un disturbo i cui sintomi principali sono egocentrismo patologico, incapacità di provare empatia verso altri individui e bisogno di percepire ammirazione.
SALVATORE ~ Questa non può definirsi pazzia.
ROSITA ~ Lo hai già detto.
SALVATORE ~ Lo so.
MANUEL ~ Ma se ci pensate sono tutti i peggiori sintomi della società occidentale.
MARIA FRANCESCA ~ Eccolo che ricomincia. E quindi?
MANUEL ~ Ci appartengono.
ROSITA ~ Sì, certo.
MANUEL ~ Prova a cercare bene dentro di te.
SASI ~ D’accordo, ma mi spiegate perché la prima perizia… (a Manuel) che significa “perizia”?
MANUEL ~ È la consulenza fornita da uno specialista, in questo caso uno psicologo.
SASI ~ Ah, ok. (Pausa) D’accordo, ma mi spiegate perché la prima perizia lo ha giudicato pazzo?
GIGI ~ Non c’era scritto pazzo sulla perizia.
SASI ~ Quello che era.
GIGI ~ Schizofrenia paranoide è la definizione corretta.
SASI ~ Con lui non ci parlo più.
GIGI ~ Sono io che non parlo più con te.
ROSITA ~ In ogni caso, io non credo che serva essere pazzi per arrivare a gesti estremi.
ELEONORA ~ Per te Breivik è uno normale?
ROSITA ~ Non ho detto questo.
ELEONORA ~ Mi sembrava.
ROSITA ~ Volevo dire che basta un attimo perché scatti qualcosa nella tua testa che non puoi controllare.
GIGI ~ Parli di quando ti viene un ictus?
ROSITA ~ No.
GIGI ~ Già, quello è il raptus.
SASI ~ Gigi!
GIGI ~ Ma pensate una cosa, Breivik ha scritto un memoriale di millecinquecento pagine sulle sue idee politiche. Ognuno di voi prenda la sua convinzione più forte per metterla su carta. Riuscireste ad arrivare a millecinquecento pagine?
LUIGI ~ Non ne ho proprio idea.
MARIA FRANCESCA ~ Io credo di no.
SIMONE ~ No.
SALVATORE ~ Io sì.
ROSITA ~ (scattando, aggredisce Salvatore) E basta, Salvato’, devi sempre parlare tu, devi sempre avere l’ultima parola, devi sempre mostrarti migliore degli altri, perché gli altri non sono alla tua altezza, è così o no? (Pausa) Così succede quando ti scatta qualcosa nella testa.
SALVATORE ~ Siediti.
ROSITA ~ È come un click, capito?
SALVATORE ~ Tutto chiaro.
SIMONE ~ Ma non è questo il nostro caso, mi pare.
LUIGI ~ Perché ciò che rende tutto più complicato è proprio il fatto che Breivik non sembra uno squilibrato, ma un uomo convinto delle sue idee.
ELEONORA ~ Come fai a essere convinto che uccidere sia giusto?
SALVATORE ~ È possibile se lo fai in nome di un’ideologia.
MANUEL ~ Per secoli l’uomo non ha fatto altro.
SIMONE ~ Prendi un camorrista che uccide un altro camorrista, non è convinto di essere nel giusto?
SASI ~ Sì, ma è diverso.
SIMONE ~ In che senso è diverso?
SASI ~ Un camorrista non uccide senza motivo.
SIMONE ~ Ah no?
SASI ~ No.
CLAUDIA ~ (nel frattempo, in un angolo, per conto suo) «In questo aspetto, certo, e in questi panni non riconoscerà sì di leggiero Venere madre me suo figlio Amore. Io da lei son constretto di fuggire e celarmi da lei, perch’ella vuole ch’io di me stesso e de le mie saette faccia a suo senno.» (Si accorge del silenzio che ha intorno) Scusate, domani ho un provino.
MANUEL ~ E cosa porti?
CLAUDIA ~ L’Aminta.
MANUEL ~ Tasso?
CLAUDIA ~ Dici che non va bene?
MANUEL ~ No, macché, in bocca al lupo.
SASI ~ (a Simone) Tu hai mai sentito dire di un camorrista che fa una strage?
SIMONE ~ Due mesi fa hanno accoltellato un ragazzino di quindici anni.
SASI ~ Ma non è terrorismo.
SIMONE ~ E quelli che fanno le stese[*] e colpiscono persone innocenti?
SASI ~ Come fai a dire che è la stessa cosa?
SIMONE ~ Le estorsioni, l’usura?
SASI ~ Ho capito, ma…
SIMONE ~ Mai vittime innocenti ha fatto la camorra?
SASI ~ Può succedere che muoia una persona innocente, ma non cento in un colpo solo.
SIMONE ~ Può succedere, ma ti senti quando parli?
SASI ~ Ti sto dicendo che fanno entrambi schifo, ma c’è una differenza tra lo schifo del terrorismo e lo schifo della camorra.
SIMONE ~ E qual è?
SASI ~ Per prendere un camion e andare dritto sulla folla, per entrare in una scuola e sparare a dei bambini o per rincorrere 69 ragazzi e ucciderli, c’è bisogno di avere qualche rotella fuori posto, molto di più di uno che ti uccide, che ne so, per una mancanza di rispetto o per conquistare una piazza di spaccio.
MANUEL ~ Cito Wikipedia testualmente: negli ultimi cinquant’anni sono 73 le vittime innocenti di camorra.
SASI ~ Negli ultimi cinquant’anni 73 vittime innocenti, non so se è chiaro, Breivik ne ha fatte 77 in tre ore.
SALVATORE ~ È tutto molto interessante, ma ora sarebbe bello se continuassimo a provare.
SIMONE ~ Così come sarebbe bello se Sasi si informasse un po’ su quello che gli succede intorno.
MARIA FRANCESCA ~ Possiamo cambiare argomento?
SASI ~ Tu non capisci cosa voglio dire, io non sto giustificando quel mondo.
SIMONE ~ Ti rendi conto o no che è il tuo modo di pensare il problema?
SASI ~ Quindi sono un camorrista?
SIMONE ~ Ci vai vicino.
SASI ~ Hai ragione, sono un camorrista. (Prende il fucile, lo punta su Simone)
SIMONE ~ So’ cinche anne ca me stai ’nguollo.
SASI ~ E so’ poche.
SIMONE ~ Nun tengo manche ’e sorde pe’ me accattà ’o pane.
SASI ~ E je ca aggia fa’?
SIMONE ~ Fino a mò so’ stato sempe puntuale.
SASI ~ A me nun me ne fotte, pe’ me chesta è fatica.
SIMONE ~ Ogge è ’a primma vota.
SASI ~ Forse nun ’e capite, quanno vengo, m’hia fa’ truva’ ’e sord.
SIMONE ~ Nun ’e tengo, ma comme aggia fa’…
SASI ~ È ’nu problema mijo? Rispunne. È ’nu problema mijo? Vinnete ’o negozio, va’ a arrubba’, fa chello ca cazzo vuo’ tu! Ma stasera m’hia fa’ truva’ ’e sorde. Sinò succere ca ’a mugliereta e figlieta primma me chiavo e po’ ’e accir.
SIMONE ~ Aspetta fino a dimane, dimane te faccie ave’ chello ca vuo’.
SASI ~ Stasera.
SIMONE ~ Ma è sulo ’nu journo, a te che te cagna?
SASI ~ Nun so’ cazze de tuoje!

Simone lo implora. Sasi gli spara, ma colpisce Gigi, che è seduto dietro Simone. Gigi si accascia a terra.

SASI ~ Scusa, Gigi.
SIMONE ~ Alla base ci sono le stesse dinamiche.
SASI ~ Ancora?
GIGI ~ (a Sasi) Ma come lo tieni il fucile?
SASI ~ (a Gigi) Tu statte zitte.
SIMONE ~ Instaurare un clima di paura è terrorismo.
SASI ~ È meglio se lasciamo perdere.
GIGI ~ (a Sasi) Il calcio del fucile lo devi tenere contro la spalla. Se lo tieni così è normale che sbagli mira.
SASI ~ Hia fa’ ’o cesso! Assettate e statte zitte!

Gigi torna a sedersi, intimorito.

SIMONE ~ Anche questo è terrorismo.
SASI ~ Ma si è seduto.
SIMONE ~ Pensala come ti pare.
SALVATORE ~ Scusate, perché non riprendiamo?
CHIARA ~ Sì, dai.
MARIA FRANCESCA ~ Mi pare che abbiamo già chiacchierato abbastanza.
CLAUDIA ~ Oggi non facciamo altro.
SALVATORE ~ (ad Andrea) Forza, vieni, proviamo solo l’abbraccio. Lo proviamo fin quando non lo trovi.

Andrea e Salvatore riprendono la posizione iniziale.

ANDREA ~ Dammi la battuta.
SALVATORE ~ Lo sai, sarei venuto io da te?
ANDREA ~ No, l’ultima.
SALVATORE ~ L’ultima?
ANDREA ~ Sì.
SALVATORE ~ Mi odi?
ANDREA ~ Sì.

Pausa.

SALVATORE ~ Qui non riesco mai a capire quanto deve durare la pausa tra il “mi odi” e l’abbraccio.
ANDREA ~ Muoviti.

Pausa.

SALVATORE ~ Mi odi?

Andrea si avvicina a Salvatore e lo abbraccia.

 

 

2. L’attentato

 

Chiara, come se si animasse all’improvviso, inizia a danzare. A lei si unisce Arianna. Sasi imbraccia il fucile e diventa l’attentatore.

ARIANNA ~ (al pubblico) Giorno nove. L’attentato.

All’inizio la danza ha il tono del gioco e del tentativo, poi si trasforma nella fuga di due vittime inseguite da Breivik.

LUIGI ~ (a Sasi) Prova a nasconderti.
SALVATORE ~ Comportati come se tu non ci fossi.
MANUEL ~ Muoviti come se loro possano solo sentirti.
MARIA FRANCESCA ~ Come se loro possano sentirti ovunque senza mai vederti.
CLAUDIA ~ Breivik potrebbe essere uno di noi.
SIMONE ~ Breivik potrebbe essere uno qualsiasi di noi.

Sasi punta il fucile prima su Chiara, poi su Arianna. Entrambe vengono colpite e stramazzano a terra, danzando, morte.

SIMONE ~ Funziona.
ANDREA ~ Sì, lo penso anch’io, ma serve altro, non so.
ROSITA ~ No, non mi convince.
CHIARA ~ Perché?
ANDREA ~ C’è molta tensione, certo, ma manca il panico, ecco, l’incubo. Ci pensate a cosa vuol dire essere inseguiti da un uomo che vuole uccidervi?
LUIGI ~ Senza nessuna via di fuga.
MARIA FRANCESCA ~ A me piace.
CHIARA ~ Sì?
MARIA FRANCESCA ~ È potente il contrasto creato tra la danza e il racconto.
LUIGI ~ Ma anche lo sforzo fisico a cui sono costrette. Deve essere molto simile a quello che provi in un momento di terrore.
GIGI ~ Se posso dire cosa penso…
ROSITA ~ Anche no.
GIGI ~ Ok.
LUIGI ~ Lascialo in pace.
ROSITA ~ Parla.
GIGI ~ Quando stramazzano a terra, la caduta potrebbe essere ancora più… (Con un gesto intende dire il contrario di quello che Simone sta per capire)
SIMONE ~ È così.
GIGI ~ Sei d’accordo?
SIMONE ~ Potrebbe essere più… sgraziata. (Alla regia) Rimettete la musica, per favore, e (agli altri) voi fatemi un po’ di spazio. (Mostra cosa intende con “sgraziata”) Una cosa così.
MANUEL ~ Forse un po’ troppo sgraziata.
CHIARA ~ No, ma io mi chiedo perché dovremmo farlo?
SIMONE ~ Come perché? Per raccontare con più forza la morte delle vittime.
SALVATORE ~ Ora è chiaro.
MANUEL ~ Ma non credo ci serva.
SIMONE ~ No?
ROSITA ~ No.
GIGI ~ Vabbè, ragazzi, ha tentato. (Pausa) Ha tentato. Simone ha tentato.
SASI ~ Sì, l’abbiamo capita!
GIGI ~ Ok.
MANUEL ~ In ogni caso la proposta di Chiara e Arianna si concentra solo sulle vittime. Non ci interessa qualcosa di più complesso?
SALVATORE ~ Direi di sì.
MARIA FRANCESCA ~ No, aspetta, l’idea è forte proprio perché punta la telecamera su di loro e non sull’attentatore.
MANUEL ~ Ma così non si capisce perché muoiono.
CHIARA ~ Questo dipende da Sasi.
ARIANNA ~ Non da noi.
SASI ~ Può essere, ma non posso fare di più.
SIMONE ~ No, scusate, per me è comunque evidente, stiamo descrivendo un attentato.
MANUEL ~ Va bene, ma per il pubblico sono solo due persone che ballano.
SALVATORE ~ Macché… dipende dal contesto!
LUIGI ~ Esprimeva il suo parere.
SALVATORE ~ Un parere del cazzo.
CLAUDIA ~ Un attimo, ho avuto un’idea, se non è chiaro, possiamo fare così: mi alzo e, verso il pubblico, dico “le vittime”.

Andrea ride.

LUIGI ~ E invece sì, come se fosse una didascalia.
SIMONE ~ Sì, però quando cadono, ti alzi e verso il pubblico dici “sono morte”.
LUIGI ~ A me sembra una buona idea.
SIMONE ~ La mia?
LUIGI ~ No, la sua.
SASI ~ Scusate, posso?
ROSITA ~ Fate parlare l’attentatore.
SASI ~ Quanto sei gentile.
ROSITA ~ E tu quanto sei educato.
SASI ~ Da dentro, vi dico, a parte il fatto che le indicazioni mi sono arrivate troppo veloci… e poi sono pure senza senso: “Come se non ci fossi”, ci sono; come faccio a non esserci? (Pausa) Comunque pensando al fatto che Breivik indossava un paio di cuffie, avevo difficoltà a non entrare in sintonia con quel tipo di musica.
CLAUDIA ~ In pratica sentivi emozioni positive e non emozioni negative?
SASI ~ Sì, proprio così, provavo una sensazione di dolcezza.
MANUEL ~ È chiaro.
SASI ~ Non sentivo l’adrenalina, la rabbia, che ne so, l’odio…
SIMONE ~ Noi sappiamo che musica ascoltava?
GIGI ~ Musica metal.
SIMONE ~ Ma non sei convinto?
GIGI ~ Francesco ha scritto così ma non è corretto.

Pausa.

SIMONE ~ Noi sappiamo che musica ascoltava?
GIGI ~ Musica metal!
MANUEL ~ Vedi.
SASI ~ Già sarebbe stato diverso.
MANUEL ~ Infatti è difficile produrre adrenalina se ascolti Chopin.
MARIA FRANCESCA ~ Che c’entra?
MANUEL ~ C’entra.
MARIA FRANCESCA ~ Cosa?
MANUEL ~ Come attore, intendo.
MARIA FRANCESCA ~ A te Kubrick non ha insegnato niente?

Michele, nel frattempo, alza la mano.

MANUEL ~ Capisco, ma quello è cinema.
MARIA FRANCESCA ~ E il nostro è teatro.
SALVATORE ~ Zitti, per favore.
MARIA FRANCESCA ~ Che c’è?
SALVATORE ~ Michele vuole fare una proposta.
SASI ~ Oh!
MICHELE ~ Perché non… (Tossisce)
SALVATORE ~ E parla.
MICHELE ~ Possiamo utilizzare una musica più forte.
MANUEL ~ Perché arrivi sempre a dire le cose otto minuti dopo?
MICHELE ~ Zitto!
ANDREA ~ Fallo parlare.
MICHELE ~ Una musica…
SASI ~ Tipo?
MICHELE ~ Non lo so.
SASI ~ E se non lo sai.
MICHELE ~ Che dice Maria Francesca?
MARIA FRANCESCA ~ Io?
MICHELE ~ Tu. (Indossa un paio di cuffie)
MARIA FRANCESCA ~ Dico AC/DC.
MICHELE ~ No.
CHIARA ~ Iron Maiden.
MICHELE ~ Di più.
MARIA FRANCESCA ~ E allora Slipknot.

La regia sceglie, invece, il brano di un cantante neomelodico. Dopo un momento di sorpresa, Salvatore passa il fucile a Michele, che lo imbraccia comunque e diventa l’attentatore. Tutti si ritraggono, terrorizzati.

MICHELE ~ Fermi! Tutti a terra! Giù! Vi ammazzo tutti! Morirete tutti! Marxisti del cazzo!

Gli altri si stendono a faccia in giù. Prima Salvatore, poi Chiara e poi Sasi vengono trascinati fuori scena. Lì Michele gli spara. Continuerebbe fino ad ammazzarli tutti, ma la musica si interrompe di colpo.

MICHELE ~ Che dite, può andare?
LUIGI ~ Forse non mostrare la morte delle vittime in scena può essere una direzione interessante.
MANUEL ~ Per Luigi è tutto interessante.
LUIGI ~ No, ma parla tu.
MANUEL ~ La mia era solo una constatazione.
LUIGI ~ E il mio un invito.
SIMONE ~ Quello che voleva dire è che Michele ci ha portati fuori scena e finora nessuno ci aveva pensato.
MANUEL ~ E allora?
CHIARA ~ Il pubblico così avrebbe solo l’idea della violenza.
LUIGI ~ Emotivamente risulta più incisivo.
SALVATORE ~ Io non ne sono così sicuro.
ANDREA ~ Io invece la penso come Luigi.
LUIGI ~ Ma?
ANDREA ~ Ma anche Chiara e Arianna avevano…
MARIA FRANCESCA ~ (riferendosi a Michele) Mi sta guardando.
ANDREA ~ Chi?
MARIA FRANCESCA ~ Mi sta guardando.
ANDREA ~ No, non ho capito, chi ti sta guardando?
MARIA FRANCESCA ~ Come chi, lui, non lo vedi?
CHIARA ~ Fra’, tutto bene?
MARIA FRANCESCA ~ Si avvicina.
LUIGI ~ Non si sta avvicinando.
MICHELE ~ Guarda che abbiamo finito da un po’.
MARIA FRANCESCA ~ No, ti prego.
MICHELE ~ Non voglio farti niente.
MARIA FRANCESCA ~ Fate qualcosa, non lasciatemi sola.
MICHELE ~ Dio mio, era solo per spiegare cosa intendevo! (Spara a Maria Francesca)[2]
LUIGI ~ Michele!
MICHELE ~ Che cosa vuoi?
ANDREA ~ Non ho mai avuto tanta paura. C’erano i miei occhiali a terra e Michele c’è passato sopra.
MICHELE ~ Per me la musica è giusta.
SALVATORE ~ Ti carica?
MICHELE ~ Mi carica a molla.
SIMONE ~ Va bene, ma io non metterei le cuffie.
MICHELE ~ Perché?
SIMONE ~ La trovo una sottolineatura.
SALVATORE ~ È una cosa inutile?
SIMONE ~ Un po’.
SALVATORE ~ In effetti.
SIMONE ~ Senza considerare che così seguiamo la via del realismo e il realismo a teatro fa schifo.
MICHELE ~ (puntando il fucile) Quindi dite che non va bene?
SIMONE ~ Ne stiamo solo parlando.
LUIGI ~ Non abbiamo deciso ancora nulla.
MANUEL ~ Tranne il fatto che Breivik non lo farai tu.
SIMONE ~ Sì, quello è sicuro.
MICHELE ~ Fatelo voi.
SIMONE ~ Ma, dai, con questa faccia da pacioccone.

Eleonora arriva in ritardo e si unisce agli altri.

ELEONORA ~ Che succede?
SALVATORE ~ Bene, è arrivata anche Eleonora.
MANUEL ~ Per fortuna Maria Francesca è svenuta.

Pausa.

ANDREA ~ Maria Francesca.
GIGI ~ Maria Francesca.
LUIGI ~ Ma non è che ha battuto la testa?
MICHELE ~ Datemi almeno un po’ d’acqua.
SASI ~ Miche’ fai solo guai.
MICHELE ~ Io?
SASI ~ Tu.
SIMONE ~ Sempre improvvisazioni estreme.
MICHELE ~ Ma non mi sembrava.
ARIANNA ~ Fatele aria.
SALVATORE ~ Grazie, Arianna.
ARIANNA ~ Prego.
LUIGI ~ Ecco, apre gli occhi.

Pausa.

MARIA FRANCESCA ~ Non sono io. Non sono io. Non posso essere io. Non posso essere io, mi ripetevo. Ma loro invece parlavano di me. Loro parlavano proprio di me. Parlavano e mi guardavano. Non smettevano di guardarmi. Mi guardavano e parlavano. Mi fissavano e parlavano. Ridevano e parlavano. È brutta, dicevano. È un cazzo di mostro, dicevano. Guarda che naso storto. Io mi guardavo molto allo specchio, passavo ore davanti allo specchio, davanti allo specchio dicevo: tu non sei come loro, tu non sei come loro, tu non sarai mai come loro. Per questo dovevo farlo. Dovevo farlo e basta. Non avevo scelta. Quel giorno ho fatto un conto alla rovescia, da dieci a zero. Ho chiuso gli occhi e loro hanno tolto una parte di osso, poi hanno ricucito la pelle e quando hanno rimosso le bende io ero come loro, io ero finalmente come loro, davanti allo specchio dicevo tu sei come loro, sei come loro, come loro, loro. (Pausa) Bisognava improvvisare qui, giusto?

Pausa.

ROSITA ~ Facciamo pausa?
CHIARA ~ Sì, fermiamoci qualche minuto.
SALVATORE ~ No, guardate che abbiamo appena fatto pausa.
LUIGI ~ E io che mi ero pure preoccupato!
MARIA FRANCESCA ~ Volete un po’ di nespola?
CLAUDIA ~ No, grazie.
CHIARA ~ Com’è questa storia del naso?
MARIA FRANCESCA ~ Com’è?
CHIARA ~ Lo hai rifatto?
MARIA FRANCESCA ~ Gli ho dato una raddrizzata.
LUIGI ~ Quanto tempo fa?
MARIA FRANCESCA ~ Ero al liceo.
MANUEL ~ Ma davvero?
MARIA FRANCESCA ~ Non ci credi?
MANUEL ~ Sì.
LUIGI ~ E perché lo hai rifatto?
MARIA FRANCESCA ~ Non ero a mio agio, tutto qui.
CHIARA ~ Non pensi che avresti dovuto dirmelo.
MARIA FRANCESCA ~ Non è la prima cosa che dici quando conosci una persona.
CHIARA ~ Ti faccio notare che ci conosciamo da due anni.
MARIA FRANCESCA ~ Te lo avrei detto, prima o poi, cerca di capire, per favore. (Pausa) Volete un po’ di nespola?
CLAUDIA ~ No, grazie.
GIGI ~ Ma guarda un po’, che sorpresa, anche Breivik si è sottoposto a un intervento di chirurgia estetica.
SIMONE ~ Anche lui ha rifatto il naso?
GIGI ~ Sì, era convinto di avere un naso da arabo.
CHIARA ~ Tu lo sapevi?
MARIA FRANCESCA ~ Lo avevo letto. Tu?
CHIARA ~ No, io no.
SALVATORE ~ Poi chissà se è vero.
MICHELE ~ Cosa?
SALVATORE ~ Che aveva un naso da arabo.
CLAUDIA ~ Secondo me, era tutto nella sua testa, come il resto.
MANUEL ~ Va bene, però non pensate che dovremmo considerare un aspetto un po’ più importante.
ANDREA ~ E cioè?
MANUEL ~ Il sorriso di Breivik.
ANDREA ~ Cos’è, il titolo dello spettacolo?
MANUEL ~ Divertente.
ANDREA ~ Il sorriso di Breivik!
LUIGI ~ Suona bene.
MANUEL ~ Volevo dire che se lo portiamo in scena, dobbiamo riflettere su quel suo particolare modo di atteggiarsi in pubblico.
LUIGI ~ Ho capito.
MANUEL ~ Ci serve, che dici?
SIMONE ~ Ma non sorrideva durante la sparatoria.
MANUEL ~ Invece sì.
SALVATORE ~ Sempre.
LUIGI ~ Anche durante il suo arresto. L’avete vista la foto che vi ho inviato?
MICHELE ~ Io sì.
ANDREA ~ Ma come si fa a trovare l’emotività che sta dietro quel sorriso?
SIMONE ~ E appunto, come si fa?
ANDREA ~ Prova.

Simone sorride.

ANDREA ~ È diverso, no?
MANUEL ~ Scusate, ma mi pare ovvio.
SIMONE ~ Io, quando sorrido, lo faccio così.
SALVATORE ~ Eppure Breivik nelle sue apparizioni pubbliche ha un sorriso indefinito.
MARIA FRANCESCA ~ Che vuoi dire?
SALVATORE ~ Ha un po’ il sorriso dell’uomo qualunque. E forse il nostro è solo un errore di percezione. Ci sembra così inquietante perché creiamo un collegamento tra le sue azioni e il suo sorriso.
MANUEL ~ Perché se tu vedessi il volto di Breivik, senza sapere chi è e cosa ha fatto, su un cartellone che pubblicizza lo shampoo della Pantene…
LUIGI ~ Ma se ha pochi capelli.
MANUEL ~ Era per dire.
GIGI ~ Infatti usava integratori alle vitamine per prevenirne la caduta. Avrebbe voluto fare un trapianto, ma i medici dissero che i risultati erano imprevedibili.
MANUEL ~ Mi fai parlare?
GIGI ~ E quindi non si è mai deciso a farlo… vai.
MANUEL ~ Provavo a dire che, pensato in un contesto diverso, il sorriso di Breivik non avrebbe la stessa connotazione.
SALVATORE ~ Anzi, forse avremmo l’impressione opposta.
CLAUDIA ~ Magari apparirebbe, non so…
MANUEL ~ Rassicurante?
CLAUDIA ~ Rassicurante.
MANUEL ~ Ma infatti lui ha un’aria talmente serena che a me fa venire in mente una casalinga.
ANDREA ~ Una casalinga?
MANUEL ~ Hai presente quelle donne convinte che lo sporco sia il nemico. L’unico nemico da abbattere?
SIMONE ~ Per il bene dell’umanità.
CLAUDIA ~ Mia mamma!
MANUEL ~ Tua mamma, ecco, quando finisce le pulizie, lei non ha la stessa gioia compiaciuta sul volto?
CLAUDIA ~ Sì.
MANUEL ~ Vedi.
CLAUDIA ~ Lei sta male, lei sta malissimo quando vede disordine o sporco dentro casa.
MANUEL ~ E poi?
CLAUDIA ~ E poi le si gonfiano le vene del collo, diventa rossa, freme, ansima e se ne va in giro come un lupo affamato per tutta la casa… alzate i copioni!

Gli altri liberano il pavimento da ogni cosa.

CLAUDIA ~ E solo quando ha finito… (Sorride, soddisfatta)

Andrea ride.

LUIGI ~ E invece sì. Come se la mamma di Claudia avesse qualcosa in comune con Breivik. A me sembra una riflessione interessante. (A Manuel) E tu non dire niente, per favore.

Pausa.

SALVATORE ~ Quanto manca alla fine delle prove?
SIMONE ~ Abbiamo un quarto d’ora.
SALVATORE ~ Allora, ascoltatemi.
ROSITA ~ Eccolo.
SALVATORE ~ Vuoi che stia zitto?
ROSITA ~ Magari.
SALVATORE ~ Perché non te ne stai zitta tu una volta tanto?
MANUEL ~ Che palle.
ANDREA ~ Avanti, non darle retta.
SALVATORE ~ A me pare… voglio dire… forse non ci rendiamo conto di quanto sia rischioso quello che stiamo facendo, mettiamo in campo idee, facciamo proposte, proviamo, ma tutto sommato sembra che vogliamo accontentarci.
GIGI ~ Secondo me serve qualcuno che ci aiuti.
SALVATORE ~ Non ci serve una mano.
GIGI ~ D’accordo.
SALVATORE ~ E fammi il favore di non dirlo più per le prossime tre settimane. (Pausa) Dunque, seguitemi un attimo. Ma, dico, l’avete vista Claudia? Li avete visti Michele o Sasi?
SIMONE ~ Sì, e allora?
SALVATORE ~ A voi davano l’idea di un attentatore?
MICHELE ~ Io l’ho fatto bene.
SASI ~ Eri perfetto.
SALVATORE ~ Sì o no?
SIMONE ~ Per niente.
SALVATORE ~ Finora abbiamo fatto considerazioni giuste, va bene, però non bastano. Ma voi ve la immaginate la tempesta che ha nella mente quel tizio lì?
SIMONE ~ Certo.
SALVATORE ~ No, non te la immagini, altrimenti non mi risponderesti così… certo. Non dobbiamo dare nulla per scontato. Vieni qui.

Simone si alza.

SALVATORE ~ Pensa il suo corpo. Immaginalo. Entraci. (Pausa) Lo stai facendo?
SIMONE ~ (poco convinto) Sì.
SALVATORE ~ Lui è un culturista, è muscoloso. Lui cura il suo corpo. Usa creme idratanti. Si guarda allo specchio. Si piace. Inizia a sentire la forza dei tessuti. Prova a percepire ogni fibra. Ce l’hai?
SIMONE ~ Un po’.
LUIGI ~ Allora senti la divisa da poliziotto sulla pelle.
SALVATORE ~ Giusto. E dimmi com’è il suo corpo alle 17:17 del 22 luglio del 2011, quando mette piede sull’isola di Utoya.
SIMONE ~ È teso.
SALVATORE ~ Ma non è solo teso.
LUIGI ~ Ha una carabina ad alta precisione a tracolla e una Glock nella fondina della gamba destra, a entrambe ha dato un nome, perché lui vuole bene alle sue armi. Come si sente?
SIMONE ~ Agitato.
ANDREA ~ Di più! È appena sceso da una barca su cui ha viaggiato insieme a due persone che ucciderà tra pochi minuti e che avrebbero potuto sospettare qualcosa. Come sta?
SIMONE ~ È rigido.
SASI ~ Di più! Due ore prima è esplosa la bomba al palazzo del governo di Oslo che ha provocato otto morti. Lui è l’autore dell’esplosione. Cosa prova?
SIMONE ~ È frenetico.
MANUEL ~ Ancora di più! Mastica efedrina, due ore prima ha assunto steroidi anabolizzanti, quelli con cui si pompano i culturisti, è imbottito di stimolanti, tanto che non riesce a stare fermo. Ha bisogno di muoversi, ma non può. Com’è questo corpo?
SIMONE ~ Incontenibile.
MARIA FRANCESCA ~ Ma pensa l’adrenalina, pensa l’eccitazione, pensa il timore. Pensaci, perché ora che ti avvicini a quei ragazzi che credono che tu sia un poliziotto, proprio ora aumenta la pressione arteriosa, aumenta la frequenza cardiaca, aumenta il consumo di ossigeno, le vene si gonfiano di sangue, il cuore ti batte dietro la schiena e i polmoni non sono più sufficienti a contenere l’ansia.
ROSITA ~ Le tue pupille si dilatano.
ARIANNA ~ I muscoli si contraggono.
CHIARA ~ Le mascelle si stringono.
ELEONORA ~ Hai la nausea.
LUIGI ~ Devi pisciare.
SALVATORE ~ L’intestino si rilassa e ti caghi addosso.
CLAUDIA ~ La tua mano destra non risponde ai comandi del cervello.
MARIA FRANCESCA ~ Non riesci neanche a prendere la pistola dalla fondina.
CHIARA ~ Pensa la paura.
ANDREA ~ Tanto forte da immobilizzarti.
CLAUDIA ~ Pensa l’odio.
MANUEL ~ Tanto forte da sovrastare i conati di vomito.
MICHELE ~ Pensa al primo colpo nella testa di Tod.
SASI ~ Pensa al suo cervello che schizza fuori.
GIGI ~ Pensa al sangue.
CLAUDIA ~ Pensa di non avere scelta.
ELEONORA ~ Pensa di essere dio.
MICHELE ~ Pensa a tua madre.
SASI ~ Pensa al suo dolore.
SALVATORE ~ Poi pensa a tutti quei ragazzi in fuga.
MICHELE ~ Alle urla.
CHIARA ~ Al terrore.
ARIANNA ~ Ai tuoi passi regolari.
MICHELE ~ Ai proiettili.
ANDREA ~ Al senso di pace che hai nello stomaco.
CHIARA ~ Al silenzio.
CLAUDIA ~ Al sorriso che ti affiora sulle labbra.
SALVATORE ~ E ora prova a muoverti. (Passa il fucile a Simone)

 

 

3. Pausa

 

SIMONE ~ (al pubblico) Giorno dodici. Pausa.
CHIARA ~ (legge il copione) Gli attori sono in pausa. Alcuni sono stesi a sonnecchiare. Michele mangia. Sasi infastidisce Gigi come può. Claudia ascolta musica, gli altri chiacchierano. Entra Eleonora, senza dire una parola, va a sedersi.
MARIA FRANCESCA ~ Come sempre!

Entra Eleonora, senza dire una parola, va a sedersi.

LUIGI ~ Ragazzi, Breivik doveva viaggiare un po’! Perché, se ci pensate, ma in Norvegia che ci sta?
SASI ~ Le nuvole!
LUIGI ~ Le nuvole, bravo. Hanno il mare, ma non ci puoi mettere un piede dentro perché sei mesi l’anno stanno a -25 gradi. Gli altri sei mesi fa semplicemente freddo. (A Salvatore) Tu che sei di Bolzano lo puoi dire, il freddo fa male o no?
SALVATORE ~ Sì, sì.
LUIGI ~ Anche all’umore.
SALVATORE ~ Soprattutto.
LUIGI ~ Poi in Norvegia, quando ti svegli la mattina e ti affacci alla finestra, piove. Il giorno dopo, piove. Il giorno dopo ancora, piove. Dopo una settimana…
TUTTI ~ Piove.
LUIGI ~ Eh sì. Freddo, pioggia, la gente non ti guarda in faccia. E grazie che poi butti nove anni della tua vita a preparare una bomba, la metti su un furgone, prendi il furgone e lo porti sotto il palazzo del governo…
MANUEL ~ Idiota.
LUIGI ~ … fai esplodere la bomba, ma non contento te ne vai su un’isola sperduta, in una giornata di pioggia, a sparare a sessantanove ragazzi innocenti. Tutto questo perché? Perché sei nato in Norvegia, questo è!
ELEONORA ~ Io sono stata in Finlandia.
LUIGI ~ Quando?
ELEONORA ~ Qualche anno fa.
LUIGI ~ E sei d’accordo con me?
ELEONORA ~ No. Ma ho notato che tutte le attività che richiedono una carica emotiva, che sia il teatro, la musica o l’arte, loro la sbrigano con un certo distacco, questo è vero.
LUIGI ~ E tu che spiegazione ti sei data?
ELEONORA ~ Non lo so, forse il benessere economico, forse la possibilità di diventare chi vuoi nella vita, li porta a dare tutto per scontato. (Pausa) Non so se è un caso, ma nel nord Europa c’è una percentuale di suicidi molto alta.
GIGI ~ Sono contenti da morire.
SASI ~ Questa era bella.
GIGI ~ Dici davvero?
SASI ~ No.
MANUEL ~ Cito Wikipedia testualmente: in Norvegia dodici persone l’anno si tolgono la vita.
LUIGI ~ Ogni quanti abitanti?
MANUEL ~ Le statistiche dicono centomila.
LUIGI ~ Dodici su centomila non sono neanche tanti.
SALVATORE ~ Anche Bolzano, sai?
LUIGI ~ Cosa?
SALVATORE ~ È una delle province italiane con il più alto tasso di suicidi.
LUIGI ~ Ah sì?
SALVATORE ~ Sì.
LUIGI ~ Perciò te ne sei venuto a Napoli.
SALVATORE ~ Io a Bolzano stavo bene.
LUIGI ~ Ma non lo dire così.
SALVATORE ~ Come l’ho detto?
LUIGI ~ (lo lascia perdere) Quello, Breivik, al posto di stare sempre in casa a giocare ai videogiochi e a scrivere pagine e pagine di delirio politico, doveva prendere un po’ di sole, respirare aria di mare, mangiare un po’ di pesce, parlare con la gente. Fossi stato lui me ne sarei scappato in uno di quei paesi caldi, che ne so, tipo l’Egitto.
SALVATORE ~ Ma se odiava i musulmani!
LUIGI ~ Allora in Italia, se ne veniva qua. Ma voi ve lo immaginate se Breivik nasceva a Napoli?
SASI ~ Se fosse nato a Napoli non sarebbe successo niente.
LUIGI ~ Dove trovava la voglia.
MANUEL ~ (imita Massimo Troisi) Cioè, quello a fare un attentato pure è ’nu fastidio. E poi niente di meno chisto pe’ fa’ ’na bomba, nove anni, e che cos’è? Mò, per esempio, pure io questo monologo potrei farlo durare due ore, farlo come mi pare e piace, ma so’ napulitan’ e nun tengo genio e quindi finisce mò.

Tutti ridono.

SIMONE ~ Salvato’, e fattella ’na risata!
SALVATORE ~ Sto pensando.
SIMONE ~ A che?
SALVATORE ~ Alla scena del processo.
SASI ~ Ma siamo in pausa.
LUIGI ~ Rilassati.
MICHELE ~ Ci pensi dopo.
LUIGI ~ Fa così perché è di Bolzano.
SASI ~ Ha un’altra mentalità.
MICHELE ~ Guarda che faccia.
LUIGI ~ Sasi, diglielo quando qua scendi in primavera.
SASI ~ Ma che ne sape.
LUIGI ~ Con il sole, l’aria vivace, la confusione.
SASI ~ A Bolzano stanne tutte quante zitte, cu’ l’uocchie appise.
LUIGI ~ Qua invece fai una passeggiata ai quartieri, che so, a Mergellina, senti la gente ridere, le persone sono euforiche, ’e guagliune giocano a pallone per strada.

Tutti, eccetto Salvatore, riproducono voci e rumori delle strade di Napoli.

SIMONE ~ (cantando) Un giorno all’improvviso…
TUTTI ~ (in coro) … mi innamorai di te, il cuore mi batteva, non chiedermi perché. Alé, alé, alé.

Pausa.

SIMONE ~ Sî Juventin?
SALVATORE ~ Non seguo il calcio.
SIMONE ~ Sî Juventin?
SALVATORE ~ Non me ne frega niente.
SIMONE ~ Guardame ’nfaccia! Sî Juventin?
SALVATORE ~ No.
SIMONE ~ Guardame rinto all’uocchie! Sî Juventin?
SALVATORE ~ Ho detto di no.
LUIGI ~ Hai detto sì?
SALVATORE ~ No.
SIMONE ~ Ha detto sì.
SALVATORE ~ Macché, non ho detto sì.
LUIGI ~ L’avete sentito pure voi?
TUTTI ~ Sì.
SIMONE ~ Tu sî Juventin.
SALVATORE ~ Solo qualche volta.
LUIGI ~ Qualche volta che significa?
SALVATORE ~ Che vedo una partita ogni tanto.
SIMONE ~ Sì o no?
SALVATORE ~ Sì.
SIMONE ~ E sî strunz! Tu sî Juventin?
SALVATORE ~ Sì.
LUIGI ~ E sî ’na merda! Fammi sentire, dove abiti?
SALVATORE ~ A Napoli.
SIMONE ~ E da quanto tempo?
SALVATORE ~ Da quasi tre anni.
LUIGI ~ E dove sei nato?
SALVATORE ~ A Bolzano.
SIMONE ~ E sî Juventin?
SALVATORE ~ Sì.
SIMONE ~ E fai schifo!
SALVATORE ~ Perché?
LUIGI ~ Perché devi tifare la squadra della tua città.
SALVATORE ~ Ma io non ho un senso di appartenenza come il vostro.
MICHELE ~ Il nostro, come?
SALVATORE ~ Così stupido.

Michele si avvicina minaccioso, ma viene trattenuto.

SALVATORE ~ Vivete in una città che va allo sfascio e con tutti i guai che avete pensate al pallone.
SIMONE ~ Sì, pecché è bell’!
SALVATORE ~ (a Michele) E poi hai mai viaggiato tu? Hai mai messo il naso fuori da Procida, quell’isola di merda? Hai mai visto come si vive in una città civile? Ma che cazzo parlo con te, tu a stento capisci l’italiano.
MICHELE ~ Munnezza!
SALVATORE ~ La munnezza siete voi. Tutti voi! Tu, tu, tu e tu! (A Simone) E pure tu!
SIMONE ~ Guagliu’, state ancora assettate?

Salvatore viene aggredito dall’intero gruppo.

 

 

4. Le vittime

 

CLAUDIA ~ (al pubblico) Giorno quindici. Le vittime.

Chi più attento, chi meno, gli attori sono tutti disposti intorno a Chiara.

CHIARA ~ Ci siamo fermati accanto al piccolo casotto grigio… scusate, ricomincio da capo.
MARIA FRANCESCA ~ Cosa c’è?
CHIARA ~ Non riesco a concentrarmi. (Pausa) Ci siamo fermati accanto al piccolo casotto grigio della stazione di pompaggio. Mi sono accorta che eravamo in tanti a correre e in tanti ci siamo seduti con la schiena contro il muro del casotto, uno accanto all’altro. Lì abbiamo aspettato, abbiamo aspettato e poi abbiamo aspettato ancora. (Schiocca le dita)
ARIANNA ~ Fino a quando abbiamo sentito.
CHIARA ~ Fino a quando abbiamo sentito dei passi che calpestavano la ghiaia del sentiero. Una voce ha chiesto: l’avete visto? (Schiocca le dita)
ARIANNA ~ Io non ho visto nessuno.
CHIARA ~ Io non ho visto nessuno, io non sono qui, io non ho occhi, non ho orecchie, non ho mani. Non abbiamo risposto, ma alcuni ragazzi sono scomparsi dietro l’angolo per andare verso la voce che aveva parlato. Sapete dirmi da dove proveniva l’ultimo sparo? (Schiocca le dita)
ARIANNA ~ Ancora quella voce.
CHIARA ~ Ancora quella voce. Non l’abbiamo ancora preso, ma giù vicino all’acqua c’è una barca pronta per evacuarvi.

Arriva Eleonora. Per la fretta, entrando, fa cadere qualcosa dalla borsa.

CHIARA ~ Scusate, ricomincio da capo.
SIMONE ~ Però riprendi da dove ti sei interrotta.
CHIARA ~ Non so se ci riesco.
SIMONE ~ Provaci.
SALVATORE ~ Se no, facciamo notte qui.
MARIA FRANCESCA ~ Dai, ricomincia. Speriamo senza interruzioni questa volta.

Pausa.

CHIARA ~ Ancora quella voce: non l’abbiamo ancora preso, ma giù vicino all’acqua c’è una barca pronta per evacuarvi. Dovete radunarvi e venire subito con me. Qualcuno ha chiesto alla voce: ha un documento? Può dimostrare di essere un vero poliziotto? A questo punto io sono già in mezzo agli altri. (Schiocca le dita)
ARIANNA ~ La voce ha un volto.
CHIARA ~ La voce ha un volto. (Schiocca le dita)
ARIANNA ~ È la voce che ha ucciso Tod e Monica.
CHIARA ~ È la voce che ha ucciso Tod e Monica. (Schiocca le dita)
ARIANNA ~ È la voce che ha… no. La voce punta il fucile contro di noi.
CHIARA ~ La voce punta il fucile contro di noi. Io mi butto in acqua insieme agli altri. La ragazza che sta accanto a me cade all’indietro. Thomas ha un sussulto e il sangue gli schizza dal collo e parti di cervello esplodono fuori dalla testa. (Schiocca le dita)
ARIANNA ~ Sento un peso al petto.
CHIARA ~ Sento un peso al petto, qualcosa mi preme sul torace, mi sto lentamente riempiendo di sangue, i polmoni, il collo, la gola e la bocca. Un proiettile mi ha colpito, ho le gambe immerse nell’acqua gelida e non riesco più a respirare. Aiuto, vi prego. Non voglio morire, non voglio morire ora, non voglio morire sola. Diciassette anni sono pochi, diciassette anni sono pochissimi. No, se chiudo gli occhi muoio, penso, allora li tengo aperti, li tengo spalancati e vedo la voce che continua a sparare, punta la pistola a pochi centimetri dalla testa di un ragazzo e spara, mira alla testa di un altro e spara sei volte, infila la pistola nella bocca di una ragazza e spara. (Si interrompe ancora) Scusate! (Pausa) No, se chiudo gli occhi muoio, penso, allora li tengo aperti, li tengo spalancati e vedo la voce che continua a sparare, punta la pistola a pochi centimetri dalla testa di un ragazzo e spara, mira alla testa di un altro e spara sei volte, infila la pistola nella bocca di una ragazza e spara. Poi si avvia su per la salita, sono sicura che sta andando via, ma di colpo torna indietro, si ferma davanti a me, solleva la pistola e sorride. Sento come un morso al piede, un proiettile attraversa lo stivale e l’acqua schizza dappertutto perché la voce non smette di sparare e i proiettili entrano nel mare e rimbalzano sulle rocce. Adesso morirò, questa è la fine di tutto, questa è davvero la fine di ogni cosa, ma all’improvviso un ragazzo salta su, non lo conosco, non l’ho mai visto, non so neanche perché lo fa, ma salta su per proteggermi e io mi nascondo dietro di lui e i proiettili destinati a me entrano nel suo corpo, uno nel fianco, uno nel torace e l’ultimo gli frantuma la testa. (Pausa) Perché non parlate?
SIMONE ~ Può andare.
CHIARA ~ Ma?
SIMONE ~ Dovresti portare di più la voce.
CHIARA ~ Dici davvero?
SIMONE ~ Sostenere.
MANUEL ~ Sì, non stare così chiusa, come se parlassi a te stessa, altrimenti in fondo al teatro neanche ti sentono.
CHIARA ~ Va bene, ma era la terza volta che lo provavo.
SIMONE ~ No, figurati.
MANUEL ~ È solo un consiglio.
SALVATORE ~ È inutile, tanto lei non accetta consigli.
CHIARA ~ Forse i tuoi.
SALVATORE ~ Invece ti conviene guardarmi bene quando recito, magari impari qualcosa.
CHIARA ~ Lo farò, d’ora in poi.
MANUEL ~ Però, aspetta, devi stare attenta anche al respiro, non è coordinato alle parole del testo.
CHIARA ~ No, ora non ti seguo.
MANUEL ~ Sei una ragazza di diciassette anni che ha rischiato di morire. Racconti momenti di puro terrore. Quel terrore me lo devi restituire anche attraverso il respiro.
CHIARA ~ Ho capito.
MANUEL ~ È un sintomo fisico della paura, l’asfissia.
CHIARA ~ Sì, è chiaro.
MANUEL ~ È una questione animale. Il discorso vale ancor di più se consideri che a un certo punto del monologo parli di un proiettile conficcato nel torace.
CHIARA ~ Ho capito cosa intendi.
SALVATORE ~ Ascolta me, la butti sempre nello psicodramma, è questo il problema. Tutta questa finta disperazione, che a dirla tutta è soltanto un cliché, per me è insopportabile.
CHIARA ~ Questo lo pensi tu.
SALVATORE ~ Non stai facendo Medea, Chiara!
SIMONE ~ E basta.
SALVATORE ~ Ma tanto neanche ne saresti in grado.
MARIA FRANCESCA ~ Fai finta di niente, se no non la finiamo più.
CHIARA ~ Tu che dici?
MARIA FRANCESCA ~ Guarda, è meglio se sto zitta.
CHIARA ~ Non mi sembrava di essere andata così male.
MARIA FRANCESCA ~ Il monologo funziona, se solo avessi un po’ di memoria.
CHIARA ~ Allora che c’è?
MARIA FRANCESCA ~ Dico, ci stiamo facendo un culo così… no, ma lasciate perdere, perché sta’ a vedere che passo io per la matta della classe.
SIMONE ~ No, ora ti ascoltiamo.
SALVATORE ~ Avanti, dillo.
MARIA FRANCESCA ~ È una questione di rispetto. Io trovo pazzesco che uno di noi si comporti come se gli altri non ci fossero, ma se è un problema solo per me, ditelo.
LUIGI ~ Cosa è un problema?
MARIA FRANCESCA ~ L’orario di prova è lo stesso per tutti o no?
LUIGI ~ È ovvio.
MARIA FRANCESCA ~ Allora questo vuol dire che tutti dobbiamo essere qui in orario, insieme, mezz’ora prima per prepararsi, magari.
ANDREA ~ È giusto.
SALVATORE ~ Poi non dite che sono io.
MARIA FRANCESCA ~ Se manca una sola persona in classe, la sua assenza pregiudica lo sforzo di tutti gli altri…
ELEONORA ~ Ero al lavoro!
SALVATORE ~ Non ce ne frega un cazzo di dov’eri! Noi non possiamo aspettare te ogni santo giorno, stare qui a chiacchierare, a non far niente, in attesa che tu finisca di lavorare.
ELEONORA ~ Ma ho avvertito.
MARIA FRANCESCA ~ E quando arrivi, non contenta, interrompi pure!
ELEONORA ~ Se tu ascoltassi quando gli altri parlano, conosceresti i miei orari. Ho anche proposto di spostare le prove di mezz’ora.
MARIA FRANCESCA ~ Questa non capisce.
CHIARA ~ Fra’.
MARIA FRANCESCA ~ Ma sei stupida?
CHIARA ~ Fra’, se è per me che lo fai…
MARIA FRANCESCA ~ (a Chiara) Fatti i cazzi tuoi. (A Eleonora) Qui dentro tutti avremmo bisogno di lavorare, tutti vorremmo qualche soldo in tasca per pagarci l’affitto, ma non lo facciamo o lo facciamo in orari che ci permettono di stare qui, a sudare, a mangiare polvere, a cacare sangue dal culo.
SALVATORE ~ Cazzo, sì!
SASI ~ Maria Francesca.
MARIA FRANCESCA ~ Che c’è? Ora vuoi dirmi che sto esagerando? E dai, dillo. Sto esagerando? Sto esagerando? Io ho i miei problemi e se permetti non ho voglia di perdere il mio tempo così.
SASI ~ Ognuno di noi ha dei problemi.
SALVATORE ~ Ma che ne sai? Che ne sai tu che non hai un cazzo da fare e l’unico tuo impegno fuori di qui è fumarti una canna.
SASI ~ Pure due.
LUIGI ~ E pure tre.
SALVATORE ~ Ecco, vedi la serietà.
CLAUDIA ~ Però tutti sappiamo che Eleonora lavora.
MARIA FRANCESCA ~ Se hai un impegno con altre persone non puoi fare come ti pare.
ARIANNA ~ Oddio, ma fatela finita!
CLAUDIA ~ Ora che succede?
ARIANNA ~ Qua se c’è una che deve incazzarsi sono io.
SALVATORE ~ E questa da dove salta fuori?
ARIANNA ~ Io non ho parti, non parlo mai, non faccio niente. Sto sempre zitta e se dico una sola battuta ci sei tu che mi rispondi: “Grazie, Arianna”!
SALVATORE ~ Grazie, Arianna.
ARIANNA ~ Francesco ha detto che avrebbe scritto un monologo per me. Dovevo fare la fidanzata di Breivik. Mi ero preparata, avevo studiato dei movimenti, trovato dei gesti, aspettavo solo la parte e invece niente.
SALVATORE ~ E ti sei chiesta perché?
ARIANNA ~ La smetti?
SIMONE ~ Sei una bambina.
ARIANNA ~ Solo perché chiedo di essere presa in considerazione?
MARIA FRANCESCA ~ Perché non lo fai ora?
ARIANNA ~ Fare cosa?
MARIA FRANCESCA ~ Quello che hai preparato.
ARIANNA ~ No, ora no.
SIMONE ~ Siamo qua per questo, sospendiamo tutto e guardiamo te, dai.
ARIANNA ~ Ho detto di no. E poi non ci riesco così.
SIMONE ~ Così come?
ARIANNA ~ Con questa tensione.
SALVATORE ~ Allora se non ci riesci tornatene a dormire, vai. Da qui al 24 giugno troviamo qualcosa da farti fare[3].
LUIGI ~ Ma che giorno è oggi?
MICHELE ~ Basta!

Un lungo silenzio, durante il quale i ragazzi si ricompongono, tornando ognuno al proprio posto e lasciando che la tensione sfumi.

ANDREA ~ È da quando Chiara ha finito che penso una cosa.
SALVATORE ~ E forse è il caso che ce la dici.
ANDREA ~ Perché lo mettiamo in scena?
LUIGI ~ Chi?
ANDREA ~ Breivik.
LUIGI ~ Io che ne so.
ANDREA ~ Insomma ve lo siete chiesto perché gli diamo un corpo e delle parole? (Pausa) Il monologo di Chiara mostra il punto di vista di una sopravvissuta, è uno sguardo diverso, mi sembra più importante.
CHIARA ~ Ti piace?
ANDREA ~ Invece abbiamo dato per scontato che Breivik dovesse essere presente in scena.
SIMONE ~ E non è così?
ANDREA ~ Pensateci un attimo, se Breivik sapesse di uno spettacolo che racconta di lui, di momenti della sua vita, non ne sarebbe contento?
ROSITA ~ Secondo me, sì.
ANDREA ~ E perché?
ROSITA ~ Dimmelo tu.
ANDREA ~ Breivik aveva un forte complesso di inferiorità.
MANUEL ~ Lo sappiamo, e…?
ANDREA ~ Voleva essere famoso, voleva essere visto, guardato, ammirato.
ELEONORA ~ Voleva che si parlasse di lui.
ANDREA ~ Proprio quello che stiamo facendo.
LUIGI ~ D’accordo, ma Breivik cosa ne sa del nostro spettacolo? È rinchiuso in un carcere.
SASI ~ Molto, molto lontano da qui.
ANDREA ~ È una possibilità che puoi escludere?
SASI ~ No, però…
MANUEL ~ Tutto sommato non ci caga nessuno.
SASI ~ Appunto. E poi non gli mettiamo un mantello rosso e la S di Superman.
ROSITA ~ Questa è stata tagliata.
LUIGI ~ No, questa no.

Pausa.

SASI ~ Appunto. E poi non gli mettiamo un mantello rosso e la S di Superman.
ANDREA ~ Forse non riesco a spiegarmi, ma noi stiamo concedendo dei sentimenti alla voce di uno stragista.
CLAUDIA ~ Lo umanizziamo.
ANDREA ~ Proprio così.
SIMONE ~ Perché non è un essere umano?
MANUEL ~ Non è forse un prodotto della nostra società?
ANDREA ~ Può darsi, va bene, sì, ma così non facciamo altro che dare risonanza al suo pensiero.
MANUEL ~ E di cosa hai paura?
ANDREA ~ Che qualcuno lo trovi affascinante, in Europa ormai cento milioni di persone la pensano come lui.
MANUEL ~ Se così fosse, allora non dovremmo fare nulla.
SASI ~ A questo punto fermiamoci.
SIMONE ~ Facciamo Otello.
SASI ~ Sì, Otello.
MANUEL ~ Otello è un femminicida, non vorrai mica farlo passare per un essere umano?
SIMONE ~ Romeo e Giulietta?
ANDREA ~ No, non riuscite a capire di cosa parlo. (Pausa) Statemi a sentire. Sapete cosa farei io?
ROSITA ~ Buio.
ANDREA ~ Senza scherzare.
ROSITA ~ Buio e poi ancora buio.

Salta la corrente elettrica.

GIGI ~ (urla, all’improvviso) Ragazzi, brancoliamo nel buio!

Pausa.

LUIGI ~ Prendiamo i telefoni.

La scena viene illuminata dalle torce dei cellulari.

ANDREA ~ Proviamo a immaginare una famiglia in qualche modo coinvolta nell’attentato.
MANUEL ~ Già visto.
MARIA FRANCESCA ~ Puoi evitare di commentare ogni cosa?
MANUEL ~ Ci provo.
ANDREA ~ È una famiglia che sta trascorrendo una giornata qualunque, uguale a tutte le altre.
MANUEL ~ E che ce ne facciamo della vita quotidiana?
ANDREA ~ Posso finire?
MANUEL ~ Prego.
ANDREA ~ Magari la madre fa le faccende di casa, il padre è al lavoro o è appena tornato, tutto avviene come sempre, fino a quando arriva una telefonata.
ROSITA ~ E diciamo che io sono la madre.
MANUEL ~ Molto credibile.
MARIA FRANCESCA ~ E dai.
ROSITA ~ Faccio la commessa in un supermercato.
MANUEL ~ Questo è realistico.
ROSITA ~ Lavoro a Oslo e oggi che è venerdì pomeriggio sono rimasta a casa. Sull’isola di Utoya, ci sono mia…
GIGI ~ Ùtoya!
ROSITA ~ Che?
GIGI ~ Mi sono informato, si pronuncia Ùtoya!
ROSITA ~ Sull’isola di Ùtoya ci sono mia figlia Elisabeth e sua sorella minore, Catherine. Il telefono squilla alle 17:25. È Elisabeth. Formula parole incomprensibili e tutto quello che sento sono le sue urla. Non capisco cosa è successo e non capisco cosa le sta succedendo. Il cervello si ferma. (Ad Andrea) Chiamami.

Andrea urla.

ROSITA ~ Pronto?

Andrea urla.

ROSITA ~ Elisabeth!

Andrea urla.

ROSITA ~ Elisabeth! Che succede? Dimmi che succede? Se c’è qualcosa che non va, vengo a prenderti! Io e tuo padre ci mettiamo in auto e veniamo a prendervi.

Di colpo si interrompe la telefonata.

ROSITA ~ Elisabeth! Rispondi, Elisabeth! Ascolta, non devi preoccuparti perché stiamo arrivando. Riesci a sentirmi? Non muovetevi da lì, tu e tua sorella aspettateci dove siete. Pronto? Elisabeth!
ELEONORA ~ Mamma, andrà tutto bene, non stare in pensiero, ma ora ti chiedo di non chiamarmi, non chiamarmi più.
ROSITA ~ Perché non posso?
CLAUDIA ~ Mamma, c’è un tizio che se ne va in giro a sparare, è vestito come un poliziotto ma dicono che non è un poliziotto.
ROSITA ~ Di che parli?
CHIARA ~ Un uomo ci ha sparato addosso, io sono riuscita a scappare, avverti la polizia, mamma, altrimenti ci ammazzerà tutti.
ROSITA ~ Tuo fratello dov’è?
SALVATORE ~ Mi prenderò cura io di mio fratello, tu stai tranquilla, ci sentiamo dopo, quando saremo usciti da questo inferno.
ROSITA ~ Resta al telefono, ti prego.
SASI ~ Non posso, se parlo con te lui mi sente, è qui, mamma, da qualche parte, devo attaccare.
ROSITA ~ Restiamo in silenzio, ma non chiudere.
ARIANNA ~ Si sta avvicinando.
ROSITA ~ Allora nasconditi in un posto sicuro.
GIGI ~ Sono in bagno, mi sono chiuso in una cabina, ma ora sento ovunque i suoi passi.
ROSITA ~ Andrà tutto bene.
MARIA FRANCESCA ~ Mamma, volevo soltanto sentire la tua voce.
ROSITA ~ Sono qui, resto con te.
MANUEL ~ Mi sono nascosto dietro una roccia, ho tagli su tutta la schiena e i piedi nell’acqua gelida.
ROSITA ~ Resisti, finirà presto.
LUIGI ~ Non so se riuscirò a tornare a casa da voi, mamma, vi voglio bene.
ROSITA ~ No no no, ascoltami.
SIMONE ~ È qui, mi sparerà, mamma, morirò.

Lentamente le voci si sovrappongono. Lentamente si fermano.

ANDREA ~ È proprio quello che intendevo.
SALVATORE ~ Mi dispiace ammetterlo, ma è davvero una bella idea. (Pausa) È strano sia venuta a te.

Rosita gli manda un bacio.

SALVATORE ~ E comunque decideremo se tenerla o no.
CHIARA ~ Io mi sono emozionata.
MANUEL ~ Non esageriamo.
CHIARA ~ Davvero.
ELEONORA ~ Ma come ha fatto Breivik ad avere tutto quel tempo? Dall’isola non hanno chiamato i soccorsi?
GIGI ~ Certo che lo hanno fatto.
ELEONORA ~ Sì?
ARIANNA ~ Sì. Ma forse non sono arrivati subito.
CHIARA ~ A volte il problema delle isole è proprio questo.
SIMONE ~ Ca nun piglia.
CHIARA ~ Volevo dire che i soccorsi ci mettono tempo ad arrivare.
MICHELE ~ Pure a Procida è così, che credi?
SIMONE ~ Ca nun piglia?
MICHELE ~ I soccorsi!
GIGI ~ In ogni caso ci sono stati degli errori di…
CLAUDIA ~ (interrompendo) «Dieci anni fa, quando qualcuno diceva che non si notava affatto che io fossi ebrea, tu replicavi: “Eh, altroché”! Era una cosa che mi faceva piacere, era sincerità. Perché non avere adesso il coraggio di dire le cose come sono? Non voglio che tu mi dica che non devo andarmene. Anzi, mi affretto perché non voglio che un giorno tu mi dica: “Devi andartene”. E non sono neanche in collera. Ma sì che lo sono. Perché devo tollerare tutto? Cosa c’è di male nella forma del mio naso e nel colore dei miei capelli? E devo lasciare la città dove sono nata perché quelli possano risparmiare il burro. Che razza di uomini siete! Sì, anche tu! Siete capaci di inventare la teoria dei quanti e lasciate che dei semiselvaggi vi ordinino di conquistare il mondo. Sì, non è ragionevole da parte mia, ma a che serve la ragione in un mondo simile?» (Pausa) Scusate ragazzi, domani ho un provino.
MANUEL ~ Questa volta Brecht?
CLAUDIA ~ Meglio?
MANUEL ~ Senza dubbio.
CLAUDIA ~ L’altro provino non è andato bene.
MANUEL ~ E ci credo.
CLAUDIA ~ Allora che dite?
SIMONE ~ A livello emotivo c’eri.
MANUEL ~ Però attenzione alla postura, sei sempre piegata in avanti senza un motivo preciso, questo è teatro amatoriale.
SIMONE ~ Cerca di aprirti.
SALVATORE ~ Aspetta, però. Com’è che diceva? Perché non dire…?
CLAUDIA ~ Le cose come sono.
SALVATORE ~ Perché non dire le cose come sono?

 

 

5. Il processo

 

Si dispone la scena del processo, che prevede la presenza dell’imputato e del suo avvocato, di tre giudici, di parenti delle vittime e superstiti.

CHIARA ~ (al pubblico) Giorno ventisette. Il processo.
SALVATORE ~ Eleonora dov’è?
ARIANNA ~ (indicandola, in scena) È lì.
SALVATORE ~ Grazie, Arianna.
ARIANNA ~ Prego.
SALVATORE ~ Ma, intendevo dire, perché non è con noi alle prove?
SIMONE ~ È al lavoro.
SALVATORE ~ (a Maria Francesca) Visto come sono cambiate le cose? (Pausa) Ci è stata consegnata la stesura definitiva della scena del processo e lei ha la parte del giudice.
SIMONE ~ Sì, lo so, lo abbiamo deciso tutti insieme.
SALVATORE ~ E quindi che si fa?
SIMONE ~ Aspettiamo.
SALVATORE ~ Aspettiamo.
SIMONE ~ Sì.
ANDREA ~ Ma io che faccio la madre dove devo mettermi?
GIGI ~ La madre al processo non c’è mai andata.
ANDREA ~ E allora vado via?
LUIGI ~ Fai la madre di una delle vittime.
ANDREA ~ La madre, la madre…

Gli altri le fanno il verso.

ANDREA ~ … sempre la madre sono costretta a fare.
SALVATORE ~ Nel frattempo leggiamo almeno la didascalia.
ARIANNA ~ Leggo io.
SALVATORE ~ Vai.
ARIANNA ~ Grazie, Salvatore.
SALVATORE ~ Prego.
ARIANNA ~ Nel vociare del tribunale, Breivik entra scortato da due guardie carcerarie, gli vengono tolte le manette e, voltandosi verso i parenti delle vittime e i giornalisti, fa il saluto tipico degli ambienti dell’estrema destra. Dopodiché i pubblici ministeri, i legali e anche il giudice lo salutano cordialmente stringendogli la mano. Breivik sorride, sembra a suo agio, amichevole, soddisfatto.
CLAUDIA ~ Ma davvero i giudici gli stringono la mano?
LUIGI ~ Il pubblico ministero va a salutarlo?
MARIA FRANCESCA ~ Siamo sicuri?
CLAUDIA ~ A quanto pare.
ARIANNA ~ Se così c’è scritto.
CHIARA ~ Ma perché lo fanno?
LUIGI ~ Come se meritasse rispetto, poi.
SASI ~ Per me è assurdo[4].
MICHELE ~ In altri paesi lo avrebbero chiuso in una gabbia.
SASI ~ E poi gettato via la chiave.
MICHELE ~ Come le scimmie.
SIMONE ~ Ma la Norvegia, per fortuna, è un paese civile.
SASI ~ Hai il coraggio di definirlo civile?
SIMONE ~ Lo sai che significa?
MANUEL ~ (come un conduttore televisivo) Voi due abbassate i toni, per favore, o sono costretto a chiudere i microfoni.
SASI ~ Dovevano seppellirlo.
MICHELE ~ Giusto.
SASI ~ Vivo.
SIMONE ~ Lui è rimasto al Medioevo, gli dite qualcosa, per favore?
MICHELE ~ Anzi, dovevano sparargli.
SIMONE ~ Eccone un altro.
MICHELE ~ Dovevano lasciarlo libero sull’isola di Utoya mentre i superstiti facevano il tiro al bersaglio su quel suo culo da norvegese depresso.
SIMONE ~ Se così fosse stato, avrebbero ricambiato la violenza con altra violenza, come fate a non capirlo?
SASI ~ In casi come questo non esistono alternative.
SIMONE ~ Guarda che non è così che funziona.
SASI ~ E come funziona?
SALVATORE ~ Potete continuare a seguire il testo, per favore?
SASI ~ È questo il testo.
SIMONE ~ Uno stato democratico ha il dovere di perseguire la rieducazione del condannato e il suo reinserimento sociale, qualunque sia il reato commesso.
MANUEL ~ Ma teniamo presente che Breivik si configura come un nemico della democrazia.
SIMONE ~ A maggior ragione.
SASI ~ A maggior ragione cosa?
SIMONE ~ Una democrazia non utilizza mai metodi antidemocratici.
SALVATORE ~ Le battute!
SASI ~ Ma tu che copione hai?
SALVATORE ~ Lo stesso che hai tu.
SASI ~ E allora?
GIGI ~ Pensate che cinque anni dopo la sentenza di condanna, Breivik ha fatto causa allo stato per violazione dei diritti umani.
LUIGI ~ No, non ci credo.
CLAUDIA ~ E quale sarebbe la violazione nei suoi confronti?
GIGI ~ Pare che tra i soprusi subiti ci fosse il fatto che il caffè della mensa venisse servito freddo, che la cella non avesse una vista di suo gradimento, che non avesse abbastanza burro per il pane e che non gli era permesso usare le sue creme idratanti.
MANUEL ~ La smetti?
GIGI ~ È vero, è tutto vero.
LUIGI ~ E come lo sai?
GIGI ~ Ho letto le carte processuali.
LUIGI ~ Ma dove le prende?
SIMONE ~ Ha ragione, Breivik ha fatto causa allo stato perché riteneva che l’isolamento violasse i suoi diritti.
MICHELE ~ E alla fine?
SIMONE ~ Alla fine che?
MICHELE ~ Ha vinto la causa?
GIGI ~ Il tribunale prima ha dato ragione a Breivik.
SASI ~ Pure.
GIGI ~ Poi ha ribaltato la sentenza.
SASI ~ Almeno.

Eleonora arriva in ritardo. Senza dire una parola, va a sedersi e inizia a sfogliare il copione.

SIMONE ~ Ma questo ci dimostra una sola cosa: che i diritti umani valgono per tutti.
SASI ~ Per alcuni no.
MICHELE ~ Chi compie una strage perde i suoi diritti.
SASI ~ E l’isolamento totale è solo il minimo della pena che meritava.
SIMONE ~ Ma la Norvegia è una nazione forte, proprio perché permette a Breivik di discutere in tribunale la propria condizione.
LUIGI ~ (come un’intervista) Ci spieghi cosa intende con il termine “forte”?
SIMONE ~ Intendo dire che la Norvegia è una nazione che crede nei propri valori democratici e li applica, sempre e comunque.
SASI ~ Questa non è forza.
SIMONE ~ E che cos’è?
SASI ~ È solo debolezza.
ELEONORA ~ (interrompendo il trambusto) Aula 250 del tribunale di Oslo. Lunedì 16 aprile… eccetera eccetera. Faccio io il giudice, no?
MARIA FRANCESCA ~ Aspettavamo te.
LUIGI ~ Signori, la corte.
GIGI ~ (si inginocchia) Eleonora sei bellissima, ti prego, sposami.
MANUEL ~ Al peggio non c’è mai fine.
GIGI ~ L’avete capita?
SALVATORE ~ Sì, Gigi.
GIGI ~ Era per sciogliere la tensione.
SALVATORE ~ Sì, certo. Però iniziamo.
LUIGI ~ Iniziamo.

Pausa.

ELEONORA ~ Aula 250 del tribunale di Oslo. Lunedì 16 aprile 2012. Mancano dieci minuti alle nove. Chiedo all’imputato di mettersi in piedi.

Salvatore si alza.

ELEONORA ~ Posso avere il suo nome per intero?
SALVATORE ~ Andres Behering Breivik.
ELEONORA ~ Anders.
SALVATORE ~ Anders Behering Breivik.
ELEONORA ~ Quando è nato?
SALVATORE ~ 13/02/1979.
ELEONORA ~ Lei è attualmente detenuto presso il carcere di Ila.
SALVATORE ~ È corretto.
ELEONORA ~ Al momento, lei non ha un lavoro.
SALVATORE ~ Ehm… questo non è corretto.
ELEONORA ~ No?
SALVATORE ~ No.
ELEONORA ~ Che lavoro fa?
SALVATORE ~ Sono uno scrittore e lavoro in carcere.
ROSITA ~ Davvero?
ELEONORA ~ Credo di sì.
ROSITA ~ E che scrive?
SALVATORE ~ Lettere, soprattutto lettere.
ROSITA ~ Lettere?
SALVATORE ~ Ne ricevo tantissime ora che sono famoso.
ELEONORA ~ Dunque ne prendiamo nota.
SALVATORE ~ E sto lavorando a un manoscritto che si intitola I diari di Breivik.
ELEONORA ~ Grazie.
SALVATORE ~ Sono un intellettuale, non un guerriero.
ELEONORA ~ L’imputato può sedersi.

Salvatore si siede.

ELEONORA ~ Procediamo ora alla lettura dei capi d’accusa.
GIGI ~ (in piedi) In relazione ai fatti di Oslo, Anders Behering Breivik, lei è accusato di aver violato l’articolo 147 e 147 (a), l’articolo 148 e l’articolo 233 del Codice penale per aver commesso atti terroristici. In relazione ai fatti di Utoya, lei è accusato di aver violato l’articolo 147 (a) e l’articolo 233 del Codice penale, per aver commesso l’omicidio premeditato di sessantanove persone, delle quali procedo a elencarne per ognuno nome, età e circostanza del decesso.
Alexander
23 anni
stazione di pompaggio, quattro proiettili in testa
Elisabeth
17 anni
edificio principale, i capelli biondi coperti di sangue
Adrian
18 anni
in mare, a una profondità di sei metri, gonfio d’acqua
Eirik
15 anni
sentiero degli innamorati, con le mani e il cranio frantumati
Ellen
16 anni
sugli scogli, con le gambe spezzate
Svein
21 anni
abbracciato a suo fratello minore, il volto esploso
Inger
18 anni
edificio scolastico, affogata nel suo stesso sangue
Grete
14 anni
accanto al pianoforte, sembrava stesse dormendo. (Si siede, continuando in sottofondo a leggere l’elenco delle vittime)
ELEONORA ~ L’imputato si dichiara totalmente o parzialmente colpevole?
SALVATORE ~ Riconosco di aver compiuto queste azioni, ma non mi dichiaro colpevole e rivendico di averlo fatto per necessità.
ELEONORA ~ Venga messo agli atti.

Pausa.

ROSITA ~ Che ne dite di una pausa?
SALVATORE ~ No, questo era il momento per cui mi stavo preparando da anni.
SASI ~ Il processo?
SALVATORE ~ Il processo, sì. La terza fase!
SASI ~ Cioè?
GIGI ~ La fase uno era il manifesto. La fase due era l’attentato. La fase tre è il processo.
ANDREA ~ Ma è normale che Michele usi il telefonino?
MICHELE ~ Ho letto un articolo.
ANDREA ~ E allora?
MICHELE ~ Uno dei giudici giocava al solitario.
SALVATORE ~ (a Eleonora) Introducimi!
ELEONORA ~ Essendo un criminale pubblico, la corte non ritiene necessario farla parlare. Ma è comunque suo diritto dare spiegazioni. Se intende dunque avvalersi di questo diritto la corte glielo concederà, ma dovrà limitarsi alla verità e a discutere solo di questioni pertinenti al suo caso.
SALVATORE ~ Sarà così.
ELEONORA ~ Cominci pure.
SALVATORE ~ Sono qui oggi in rappresentanza del movimento di resistenza norvegese ed europeo[5]. I mezzi di comunicazione e i pubblici ministeri sostengono che io abbia compiuto gli attentati perché sono un fallito patetico e infantile, credono che io sia privo di integrità, che io sia un noto bugiardo senza principi morali e che perciò venga ignorato da altri ideologi del conservatorismo culturale in Europa. Dicono che io ho abbandonato la vita lavorativa, che sono un narcisista, un asociale in cerca di attenzione, che sono affetto da misofobia, che ho avuto una relazione incestuosa con mia madre, che soffro per l’assenza di mio padre, che uccido i bambini, che sono un infanticida, nonostante il fatto che non abbia ucciso nessuno sotto i quattordici anni. Dicono che sono un codardo, un omosessuale, un pedofilo, un necrofilo, un sionista, un razzista, uno psicopatico, un nazista. Tutto questo è stato detto di me. È stato detto che sono affetto da un ritardo mentale e fisico, e che ho un quoziente intellettivo pari a ottanta. Non sono sorpreso. Mi aspettavo che l’elite culturale di questo paese mi avrebbe messo in ridicolo. Ma non conta. Ora è importante solo che tutti sappiano perché. La risposta è semplice. Perché ho compiuto l’attentato più sofisticato e spettacolare che ci sia stato in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale. Perciò io e i miei fratelli nazionalisti rappresentiamo tutto ciò che loro temono e il loro scopo è scoraggiare altri a fare la stessa cosa.
ELEONORA ~ Loro chi, signor Breivik?
SALVATORE ~ I sostenitori del multiculturalismo. Quelli che vogliono la distruzione della mia razza.
ELEONORA ~ Vada avanti.
SALVATORE ~ I giovani membri del Partito Laburista che ho ucciso, occupavano posizioni di responsabilità, rappresentavano quindi il futuro del nostro paese. Ma erano giovani a cui era stato fatto il lavaggio del cervello, dai loro genitori, dai programmi scolastici, dagli adulti del Partito Laburista. Utoya era un campo di indottrinamento politico. La gioventù del Partito Laburista opera in modo molto simile alla gioventù hitleriana.
ELEONORA ~ Breivik!
SALVATORE ~ Sì.
ELEONORA ~ Non aveva detto che intendeva moderarsi nella retorica?
SALVATORE ~ È esatto.
ELEONORA ~ Ne tenga conto, per favore.
SALVATORE ~ Chi mi accusa di essere malvagio, confonde la malvagità con l’essere violenti. Ma la brutalità non è necessariamente malvagia. La brutalità può avere buoni propositi. Se giustiziando settanta persone possiamo costringerli a cambiare direzione politica, allora significa che stiamo contribuendo a impedire la scomparsa del nostro gruppo etnico, della nostra cristianità, della nostra cultura.
ELEONORA ~ Si sta avvicinando alla conclusione, Breivik?
SALVATORE ~ Sono a pagina sei di tredici.
ELEONORA ~ Le faccio notare che sono già trascorsi trenta minuti.
SALVATORE ~ Devo leggere il testo per intero. Ci sono ancora sei pagine e sono tutte importanti. Se mi chiedi di concludere ora, tanto vale che io non dica nulla. Continuate pure senza di me.
ELEONORA ~ Allora sarà meglio stringere un po’.
SALVATORE ~ (sfogliando le pagine del copione) Dunque, vediamo… ecco. La sinistra europea sostiene che i musulmani siano pacifisti e contrari alla violenza. Queste sono menzogne, è soltanto propaganda. La verità è che quando si parla di loro si capovolge ogni cosa, il bene diventa male e il male diventa bene. Nelle nostre città abbiamo un numero sempre crescente di zone islamiche inaccessibili agli occidentali. Perché? Perché gli è consentito? I loro gruppi sorgono intorno alle moschee. Ma non si limitano a questo. Loro pretendono di avere cibi Halal, riti di sepoltura islamici, zone riservate nelle piscine pubbliche, e poi banche, carte di credito, contratti di finanziamento, assicurazioni, tribunali, scuole e asili.
ELEONORA ~ Breivik!
SALVATORE ~ Mi mancano tre pagine.
ELEONORA ~ Questo va ben oltre quanto è stato richiesto dal suo avvocato.
MANUEL ~ Comprendo la corte, tuttavia chiedo che sia permesso al mio assistito di continuare. Ritengo per tutti fondamentale avere le sue spiegazioni. (A Salvatore) Non puoi accorciare ancora?
SALVATORE ~ Il testo iniziale era di venti pagine, sono già state ridotte a tredici.
ELEONORA ~ Prosegua, ma faccia in fretta.
SALVATORE ~ La ringrazio. L’invasione massiccia degli islamici contribuisce a tagliare via le radici della nostra cultura. Noi leviamo i crocifissi dalle nostre scuole perché irrispettoso, ci pieghiamo in nome di un multiculturalismo democratico e pacifista, intriso di sensi di colpa. È vero o no?
ROSITA ~ Ha ragione.
LUIGI ~ Sì.
SALVATORE ~ Ogni norma che regolamenta i loro comportamenti incivili è percepita come discriminatoria, invece la discriminazione è insita nella loro non-cultura, dico non-cultura perché gli islamici non hanno mai prodotto nulla di paragonabile all’arte o alla letteratura europea.
MICHELE ~ E poi stuprano le nostre donne.
SALVATORE ~ Ecco. Allora io vi chiedo, siamo per caso noi a tenere le nostre donne imprigionate sotto un velo? Siamo per caso noi a lapidarle per adulterio? Siamo noi a decapitarle se impure? Siamo noi a molestarle per strada senza pudore? Siamo noi a ritenerle inferiori? Siamo noi che facciamo sposare le nostre donne con gli stessi uomini che le hanno stuprate? Siamo noi che pratichiamo l’infibulazione? Lo sapete cos’è? È la mutilazione dei genitali femminili?
CHIARA ~ Oddio.
ROSITA ~ Ma è vero?
SALVATORE ~ È questa la vera follia, è questo il vero male. Non dovrebbero sottoporre me a perizie psichiatriche, ma i politici che permettono l’invasione del nostro Paese da parte di africani e asiatici.
ELEONORA ~ Ha finito, Breivik?
SALVATORE ~ Resta un’ultima pagina.
ELEONORA ~ Si sbrighi.
SALVATORE ~ È in corso una guerra civile. La grande sfida dell’Islam alla civiltà europea è già stata annunciata. Considerate l’attacco alla sede di “Charlie Hebdo”, che avverrà fra tre anni, il 7 gennaio del 2015, due terroristi islamici causeranno la morte di 20 persone; oppure l’attentato del Bataclan, il 13 novembre sempre del 2015, 137 morti; Bruxelles, tra quattro anni, 35 morti; e Nizza, luglio 2016, 87 morti; e poi, nel 2017, Manchester, 23 morti; Barcellona, 25 morti. Sono tutti attacchi terroristici compiuti da islamici. Questo sapete cosa vuole dire? Vuol dire che siamo in guerra e dobbiamo essere pronti a combattere.
SIMONE ~ Ma tu hai ucciso i tuoi connazionali. Se è questo che pensi, perché non sei andato a sparare in una moschea?
SALVATORE ~ Se una conduttura del bagno perde, che cosa fate? Andate alla fonte del problema, cioè alla perdita. Non asciugherete il pavimento finché non avrete riparato la perdita. Devo spiegarla?
SIMONE ~ No, ho capito.
SALVATORE ~ Ma vedete, è questo il vero problema, gli occidentali sono ciechi, vivono con i paraocchi del benessere, non guardano in faccia la realtà. Quando l’invasione islamica sarà completata, i cittadini europei ormai avranno perso tutto e la loro vita quotidiana sarà piena di sofferenze, gli sarà imposto il Ramadan, alle donne non sarà permesso portare il volto scoperto e la sessualità non sarà più libera, solo allora imploreranno gli eroi come me e i miei fratelli nazionalisti di ritornare e di completare ciò che io il 22 luglio del 2011 ho iniziato.
ELEONORA ~ Ora concluda.
SALVATORE ~ Per questo dichiaro di aver agito sulla base del principio di necessità, in nome del mio popolo, della mia religione, della mia città e del mio Paese. E pertanto chiedo di essere assolto dalle accuse che mi sono state mosse. Queste sono le tredici pagine che avevo preparato.
SASI ~ Che Francesco aveva preparato.
SALVATORE ~ Eh sì.
ELEONORA ~ Grazie.
MICHELE ~ (ai parenti delle vittima) Perché mentre lui parla voi ve ne state là seduti, senza far niente?
ARIANNA ~ È vero.
CLAUDIA ~ Sembriamo paralizzati.
CHIARA ~ Perché non facciamo qualcosa?
ARIANNA ~ Sì, ma cosa?
SIMONE ~ (a Salvatore) E tu perché non mostri nessuna empatia?
SALVATORE ~ Io?
SIMONE ~ Sì, tu.
SALVATORE ~ Ma lui non deve provare empatia.
SIMONE ~ Non so se così funziona.
SALVATORE ~ Perché?
SIMONE ~ Come fai a restare impassibile davanti al loro dolore?
SALVATORE ~ Ma cosa dovrebbe fare? Ho spiegato le mie ragioni. Ora cosa volete che faccia? Dovrei inginocchiarmi e chiedere perdono. È questo che vuoi? È questo che volete? Allora lo faccio. Allora io chiedo perdono, sì. Chiedo perdono. Chiedo perdono ai militanti nazionalisti in Norvegia e in Europa per non aver ucciso molte più persone. (Conclude con il saluto nazista)

Pausa.

ARIANNA ~ Leggo la didascalia che segue?
ELEONORA ~ Sì.
ARIANNA ~ Durante le sedute successive i pubblici ministeri discutono delle circostanze che hanno portato alla morte di ognuna delle settantasette vittime. Utilizzano un manichino per indicare punti e traiettorie dei proiettili. Un manichino di colore grigio. Non poteva essere bianco perché avrebbe offeso i parenti delle vittime di colore, non poteva essere nero perché avrebbe offeso i parenti delle vittime norvegesi, allora è stato scelto un manichino di colore grigio perché rappresentasse settantasette persone diverse. Da scrivere.
SALVATORE ~ Come da scrivere?
ARIANNA ~ Non c’è altro.
SALVATORE ~ Non c’è altro. Poi?
ARIANNA ~ Dopo una settimana intera in cui vengono rappresentati i rapporti di autopsia e commemorate le vittime con una foto e un testo scelto dai familiari, i superstiti sono invitati a testimoniare in aula. Sono giovani composti, dignitosi ed emozionati. Molti di loro si sentono in colpa per essere rimasti in vita. Alcuni chiedono che Breivik sia condotto fuori durante i loro interventi. Altri vogliono guardarlo in volto mentre lui se ne sta seduto ad ascoltare le parole che ricordano l’orrore.

Pausa.

MARIA FRANCESCA ~ (ha una reazione dolorosa alla vista di Breivik, controllata ma intensa, che raccoglie l’attenzione di tutti) Idiota!

Pausa.

ARIANNA ~ A questo punto tocca a Eleonora.
ELEONORA ~ Si procede alla lettura della sentenza.
GIGI ~ In piedi!

Tutti si alzano.

ELEONORA ~ Dopo dieci settimane di dibattimento, quando Anders Breivik entra in aula, il 24 agosto del 2012, è venerdì e mancano cinque minuti alle dieci.
C’è silenzio.
Un silenzio interrotto solo dagli scatti dei fotografi. La stampa estera, dopo alcuni giorni di totale disinteresse, ha riempito di nuovo l’aula. I flash delle macchine fotografiche rendono Breivik ancora più rigido, in qualche modo arrogante. Ma forse arrogante non è il termine più adeguato, forse non c’è un termine appropriato per definire il suo volto, il suo corpo, i suoi occhi, mentre si esibisce ancora una volta nel saluto dell’estrema destra. Mano destra sul petto, pugno chiuso, braccio teso in avanti.
Il sorriso diventa una smorfia mentre si guarda intorno.
Bisbiglia delle parole all’orecchio del suo avvocato.
Poi entra il giudice.
Che sarei io.
Io entro in aula per leggere la sentenza. Novanta pagine che spiegano perché la sua strage non può trovare spiegazioni solo nella follia: sarebbe comodo, indolore, più semplice per tutti.
Non è pazzo.
Non è uno squilibrato.
Non è un folle.
Non è uno psicopatico.
Non è un ritardato.
Anders Breivik è capace di intendere e di volere.
Anders Breivik è un criminale.
È quello che più desiderava, essere considerato responsabile del massacro che ha compiuto. Lo ha ottenuto. Gli viene riconosciuto ciò che pretendeva e dunque sorride.
Dopo poco il sorriso si fa di pietra.
Si procede ancora una volta alla ricostruzione della strage. Un elenco infinito di nomi, date di nascita, cause di morte. Fucilati sul sentiero dell’amore, giustiziati nell’acqua gelida, uccisi mentre imploravano, si fingevano morti, si stringevano l’uno all’altro.
Breivik resta impassibile, tutti gli altri no. I parenti asciugano gli occhi. I sopravvissuti distolgono lo sguardo. Alcuni si abbracciano.
Tutto nell’aula 250 del tribunale di Oslo urla l’eterna incapacità di comprendere l’essere umano.
«Non è psicotico, non mostra sintomi di schizofrenia, al contrario è una personalità narcisista e antisociale. Quello che sostiene lo sostengono anche altri, ma gli altri non ritengono che il terrorismo sia uno strumento legittimo»[6].
Pausa.
Alle quattro del pomeriggio si torna in aula. Si ricomincia.
Breivik ascolta la ricostruzione dell’attacco al palazzo governativo.
«Mentre si allontanava in auto, ha sentito che il palazzo non era crollato, che c’erano stati solo otto morti. Per questo ha deciso di andare sull’isola. Perché il suo piano era preciso, dettagliato: la strage».
È capace di intendere e di volere, Anders Breivik.
Non chiede appello, perché vorrebbe dire riconoscere legittimità a questa corte che ai suoi occhi legittimità non ha.
È capace di intendere e di volere, Anders Breivik.
La pena è la pena massima consentita dall’ordinamento norvegese. La pena è la pena più mite possibile per un uomo sano di mente.
È capace di intendere e di volere, Anders Breivik.
Il tremore esplode nella mia bocca costretta a parlare a questa persona che incarna in sé l’umanità intera, ho il sapore del metallo sulla lingua mentre mi accorgo che le parole e le formule giuridiche non sono sufficienti a spiegare, a restituire, a purificare.
Ecco la sentenza.
Anders Behring Breivik è condannato ad una pena detentiva di ventuno anni di carcere, che sono 252 mesi, 7.560 giorni, 181.440 ore.
La vita di ognuna delle settantasette persone massacrate, davanti alla legge terrena che parla attraverso me, vale tre mesi, otto giorni e qualche ora.
Cos’altro dovrei dire?

Silenzio.

 

 

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Note

1 Da questo momento in avanti, gli altri entrano nel “gioco/attentato” che segue e vi partecipano trasformandosi in vittime. A ogni sparo di Manuel corrisponde una morte in scena.

* Con il termine gergale “stese” s’indicano dei colpi di pistola sparati in aria all’impazzata da membri, spesso giovanissimi, di nuovi clan della camorra. I quali, così facendo, affermano il controllo criminale di un territorio incutendo paura e sottomissione nelle persone, oltre ad avvertire minacciosamente eventuali rivali. (NdR)

2 Da questo punto in poi, a eccezione di alcuni momenti, Michele – come se si divertisse talmente tanto da non riuscire a venirne fuori – resta nel personaggio di Breivik.

3 Lo spettacolo ha debuttato il 24 giugno 2018 al Napoli Teatro Festival (Cortile delle Carrozze). Si presume che questa data vada aggiornata di volta in volta.

4 Da questa battuta fino all’interruzione di Eleonora, la scena si trasforma in una sorta di talk show televisivo: urlato, retorico e confusionario.

5 L’intervento che segue contiene brani tratti dalle dichiarazioni realmente rilasciate da Anders Breivik in sede processuale. I brani sono stati poi parzialmente riscritti e rimontati secondo le esigenze del discorso.

6 Le parti virgolettate del monologo sono estratte dalle novanta pagine che costituiscono la sentenza letta in aula il 24 agosto 2012 dal giudice Elizabeth Artzen.