LA PORTA DEL SOLE

di

Ettore Pensabene


La scena: un vecchio scantinato.
Appoggiate alle pareti alcune scaffalature metalliche, stracolmi di libri pieni di polveri e di ragnatele. 
Su due rialzi, in un angolo, una grande botte da vino. 
Lateralmente, all’ultima quinta, una vecchia scrivania piena di carte e alcune bottiglie di vino, piene e vuote. 
Dietro una sedia, dove sta seduto un uomo dall’ aspetto trasandato, intento a “ scolarsi” una delle bottiglie. 
Il suo viso è illuminato da due candele, poste su un candelabro che è sulla scrivania. 
Finito di bere, sforzandosi, riesce ad alzarsi. Barcolla, si appoggia alla scrivania, stende la mano sinistra tremante, afferra il candelabro e s’avvia cantilenando verso il proscenio. 

Vecchio Viva il vino e chi lo gusta
La bevanda buona e giusta
Metti in corpo l’allegria
Se sei solo o in compagnia
Ai tuoi piedi il mondo sta…
Trullallero…trullallà…
Quale mondo non si sa… 

Viva il vino e chi lo gusta… Io non lo gusto più, bevo per abitudine… Si dice che il vino non è acqua e che ogni bevanda leva la sete… Questo non è vero… se fosse così, la mia sete sarebbe cessata da un pezzo… (Ride e alza il candelabro verso gli scaffali) Certo che se fosse acqua, dopo tanto tempo passato tra questi libri, qui ci sarebbe un pantano pieno di sanguisughe e di rospi… e non solo… Meno male che in questo posto (Indica la botte) La bevanda non manca mai… Chi la fornisce…? Non lo so…! So soltanto che è un osservatore del Vangelo, uno che da… da bere agli assetati, si, un vero benefattore. Come dice il nuovo testamento: Bussate e vi sarà aperto…lo scantinato. E grazie a questo benefattore, se io non sono morto… di sete… Non mi fa mancare niente… Mi ha nomato custode di questi tomi, (Libri) più sonnolenti e vecchi di me… ammuffiti e ingialliti dal tempo… agonizzanti, ma salvi… Testimoni muti, in un processo di linguaggi in decomposizione… coperti dal canto gracchiante di corvi e cornacchie… che infestano e inondano, l’orecchio e l’occhio della natura… (Pausa) No , io non sono prigioniero di nessuno… Qui, la mia libertà è totale… tra questi corpi senza vita, dove giacciono i resti inutili di civiltà ingoiate dai senza tempo… (Tossisce, sputa), Ecco più parlo e… più mi prende la sete… (Ritorna barcollando alla scrivania, vi appoggia il candelabro sopra, e afferra con mano tremante, una bottiglia e beve. Si sposta dalla scrivania e si aggrappa ad uno degli scaffali, cade per terra rovesciandosi addosso molti di quei libri, rimanendo quasi sepolto. Dopo una breve pausa, si sentirà gemere, mormorare e poi delirare… o… sognare? Una melodiosa voce di bimba coprirà cantando i gemiti del vecchio.)

Voce di bimba Aquilone colorato
Con pastelli ed acquarelli
Vola gaio e spensierato
Cerca sole luna e stelle
I colori miei più belli
Di pastelli ed acquarelli…
Aquilone, aquilone
Cerca pur le mie canzoni
Fra le labbra delle stelle
O negli occhi della luna
Canti suoni e tarantelle
Della luna e delle stelle…

Vecchio (Agitandosi per la canzone sentita.) Cosa mai mi succede…Quale fantasma s’aggira in questo umido loculo dì agonia perpetua Vai via, vattene!.. vattene spettro della mia gioventù!... Ritorna tra i cadaveri putrefatti dell’anima mia!
(Da sotto un mucchietto di libri, viene fuori sbadigliando e stiracchiandosi una bambina vestita di bianco). 

Bambina : Mamma! Mamma, rispondi, dove sei mamma… (E’ impaurita, si guarda attorno, poi si sposta piangendo verso il proscenio) Mamma… dove sei… voglio la mia mamma, (Singhiozzando) Ho paura, voglio la mia mamma…

Vecchio (Cerca di alzarsi, ma non ci riesce) Chi è che piange…?

Bimba Voglio la mia mamma, voglio la mia mamma!

Vecchio No… non è possibile… Forse sto sognando… non può essere lei…

Bimba Mamma vieni, vieni da me, ho paura del buio…

Vecchio Sei tu amore…? Vieni qui da me, io non c’è la faccio ad alzarmi, sono troppo debole, per venirti incontro.

Bambina (Interrompendo il pianto) Ma io non ti vedo, dove sei…?

Vecchio Dove vuoi che sia? Sono qui per terra, coperto da questi libri, vieni avanti e attenta a non inciampare… 

Bambina ( Andando verso il vecchio) Dov’è la mia mamma…? Voglio la mia mamma…

Vecchio La tua… mamma?… E già si , che sciocco… la tua mamma verrà appena, appena… spunterà l’alba. 

Bambina E quando spunterà l’alba…?

Vecchio La notte è ancora lunga bambina mia. Vieni fra le mie braccia, se dormi il resto della notte passerà in un baleno… (Si accovaccia tra le braccia del vecchio e appoggia la testa sul suo petto).

Bambina Ho paura del buio nonno, tienimi stretta, non mi lasciare, finche non sorgerà il sole…

Vecchio Oh no, non ti lascerò bambina mia e come potrei ?… Ma ora dormi amore. (Accarezzandogli i lunghi capelli gli canta una ninna nanna)

Ninna nanna

Cu’ la sbighiau, cu’ la me figliola
Si l’arba di la terra è assai luntana
Lu suli dormi sutta li linzola
Dormi sciatuzzu meu, dormi pacchiana…

Quando a lu celu sgaghia a prima luci
La luna si fa u bagnu nta lu mari
A Scilla li sireni dannu vuci
Chi picciriddhi si ponnu sbighiari…

E tutti ponnu scindiri a marina
Mi virunu li undi zanniari
E sentiri la vuci cristallina
Da dea murusa di lu nostru mari…

Ma nto fratempu mi brisci lu iornu
Di lu risbighiu e di la murusanza
Chiamu ad Orfeu mi ndi porta sonnu
Prima chi “Febu” cu lu carru avanza…

Vecchio Credo che si sia addormentata… Meglio metterla li dove stava.
(Si sforza per alzarsi, ma non c’è la fa.)

Bambina (Disturbata dai movimenti del vecchio, in dormi veglia.) Nonno, nonnino… canta ancora…

Vecchio Non ho più voce per cantare bambina mia…

Bambina Allora… raccontami una favola…

Vecchio (Accarezzandola) Una… una favola…? Certo che te la racconterò… 

Bambina Quale mi racconterai…?

Vecchio Ti racconterò la favola della Reggina delle farfalle.

Bambina Questa non me l’hai mai raccontata. Com’è e bella?

Vecchio Bella? A dir poco è bellissima! Dunque, stai a sentire. C ’èra una volta, nella terra della Fata Morgana, un bellissimo giardino, dove regnava la Reggina delle farfalle, che aveva le ali dipinte con tutti i colori del mondo. Passava le sue giornate volando e posando da un fiore all’altro, per controllare i profumi e i colori…La sua reggia era propria vicino al mare, e il suo trono era un intreccio di zagara e di gelsomino. Nelle notti di luna piena, la Fata della bianca schiuma, annunciava alla Reggina l’arrivo festoso delle sirene, che venivano per cantargli meravigliose melodie... 

Bambina Le sirene? Le sirene sono cattive nonno…

Vecchio Ma no bambina mia, le sirene sono bellissime e non sono cattive. Il fatto è che quel povero, antico cantastorie era cieco, e non potendole vedere, si figurò nella mente che fossero brutte e cattive… Se così fosse, la Reggina delle farfalle, non gli permetterebbe di farli cantare per lei, ti pare…?

Bambina Non lo so, ma è meglio che siano belle e brave.

Vecchio E lo sono bambina mia, lo sono. Ma, torniamo alla favola… Pensa che l’eco delle loro canzoni, arpeggiato dalle onde si stendeva da una riva all’altra dello stretto, tanto che i marinai, attratti da queste melodie, puntavano le prue delle loro navi, sulle ospitali rive, dove potevano ammirare la selvaggia bellezza della natura, regno incantevole della Reggina delle farfalle…
(Il vecchio preso dal sonno si addormenta.)

Bambina (Scuotendolo) Nonno svegliati, continua a raccontarmi la favola.

Vecchio (Svegliandosi) La… Favola…? Quale favola…?

Bambina Come quale favola? Quella che mi stavi raccontando…La Reggina delle farfalle…!

Vecchio E’ vero, scusami. Pensavo che ti avesse preso il sonno… così per non svegliarti ho interrotto la favola… 

Bambina Ma è a te che venuto sonno, io sono sveglia. Se non finisce la favola io non mi addormenterò.

Vecchio Allora la riprendo subito: dove eravamo arrivati…?

Bambina La, nel regno incantevole della Reggina delle farfalle, dove i marinai che passavano lo stretto venivano attratti sulle rive, dal canto delle belle sirene…

Vecchio Già, hai proprio ragione, è lì che mi ero fermato, nel giardino incantevole della Reggina delle farfalle. Proprio da qui riparte la favola: stai bene a sentire… e chiudi gli occhi… 
(Dissolvenza. La scena si trasforma, come per magia, in una reggia surreale, così come descritta nel racconto del vecchio. Una musica appropriata, accompagnerà in una danza , la Reggina delle farfalle e le sirene. Finita la danza la Regina da ordine alle sirene di cantare, per attrarre dei naviganti, che in quel momento attraversavano lo stretto di Messina).

Canto delle sirene Oh navicanti chi siti tiniti
D’ acqua surgiva di Roccacurvina
Vi damu sazzi quantu ndi vuliti
Viniti, si viniti a la marina
Undi i sireni su comu farfalli 
Zucunu meli da sali cristalli…
Ospiti patri nostri furesteri
Supra da riva nc’èsti nu giardinu
Chè curtivatu da mastri armenteri
A vigna di zibibbu e fannu vinu
Pistatu e cunzirbatu a li trazzeri
Di ninfi culumbrini chiù priveri…
Oh ‘nnamurati di trizzi curvini
Carni brunzati da suli duratu
Vi damu sucameli di giardini 
Gileppu da lu gustu prufumatu 
Fattu pi Baccu di la dea nostrana
Assilu sciatu da fata Murgana…

(Dissolvenza e subito luce sui naviganti) 

Cap. Mollare le scotte, pronti a strambare e virare a dritta!! Si va a terra!! 

Tutti A terra!!! A terra!!!

Uno Preparare la lancia! 

Tutti A terra!! A terra!!!

Tutti Jamu, jamu a la marina
A vidiri sti farfalli
A mbiviri acqua i vina
Senza sali né cristalli
A la reggia i ddha Reggina
C’havi ali di farfalli
Festa randi nci farà…
Dopu tantu navicari
Tra bonazza e tempurali
Ndi vulimu ripusari
Accittandu a beni e mali
Li so frutti duci amari 
Cu cutanta umiltà… 
Tutti quanti a la marina
A vardari sti farfalli
Li culuri e cu li stima
Virdi, russi, blu e gialli 
E a l’ali i ddha Reggina
Ndavi gialli na trentina 
Jamu e ghiamu a la marina… 

(Dissolvenza e luci sulle sirene)

Sirene E viva! Hanno cambiato rotta!!!

Una Si, hanno strambato…!

Un’atra Guardate virano a dritta, puntano la prua a questa riva!

Reggina Prepariamoci a dargli il ben venuto, fra poco saranno a riva.
Accogliamoli con orci d’acqua fresca, di Fontecorvina, e con corone di ginestra e gelsomino. Preparate una ricca mensa, gli ospiti padri, che fra poco ci onereranno della loro presenza, hanno bisogno di essere rifocillati con garbo e attenzione.
(Pantomima, per la preparazione dell’orci, delle corone e della mensa).

Reggina Ragazze! Ragazze!! Guardate hanno buttato l’ancora a la baia!

Una Hanno buttato l’ancora! 

Un’altra Stanno già rizzando la vela!

Una Hanno ammainato la lancia! 

Un’altra Guardate, calano la bescaggina!

Una A momenti saranno a riva!

Un’altra Quanti saranno?

Una E’ una ciurma completa!

Reggina Presto andiamo a riceverli e dargli il ben venuto!

(Pantomima per il ricevimento degli ospiti)

Sirene Bon vinuti oh marinari
Bon vinuti nti sta terra
Chè filici d’ospitari
Genti amica e furistera
A la Reggia di sta serra
Senza tempu e senza età… 
Viva e viva la Reggina
C’ha lu cori i latti e meli
Batti l’ali e s’arrimina 
Vola vola e setti celi
S’arrifrisca si nzirina
Apri l’ali e torna ‘cca…
Bon vinuti o furisteri
Bon vinuti nti sta riva
Chè filici i salutari
Genti i mari ge-nt’amica
Chi si degna di nci dari
Cunti e canti a sazietà… 

(Luci sui naviganti)

Cap. ‘N-di ‘n-chinamu a la Rigina
Pi la grazia e la prisenza
A la riba ‘i sta marina
Nui facimu riverenza
A lu’ strittu di Missina
‘E sireni di du’ spundi
Undi ‘i vuci supra l’undi
Dannu assili a sazietà…

Mar. Comu voli costumanza
Di la genti ‘i terra e mari 
Chi ‘m-parau cu murusanza
Li duviri e lu’ dunari 
Nui vulimu ricangiari
Cu’ sti’ perli e sti’ curalli
La Reggina e li farfalli
Chi ‘n-di ficiru sbarcà… 

Reggina Ben venuti o forestieri nella terra di Morgana, Fata di queste acque, custode dello specchio lucente degli dei, e vigile madre di questa mia terra. Oasi ospitale, voluta da madre natura, per dare asili di gioia, a naviganti e pellegrini qui giunti d’oltre mare, e da ogni parte della terra. Nel ringraziarvi per i ricchi doni offerteci, v’ invito a seguirci per andare alla mia reggia, dove seduti alla mia mensa, meglio possiamo, scambiarci doni e complimenti. 

Cap. Siamo onorati e felici di seguirti Reggina…

Reggina (Rivolta alle sirene) Mi raccomando ragazze, accompagniamo gli ospiti padri, come vuole costumanza regale, della nostra terra.

Tutte Si!!! Ma cantando, volando, o giocando? 

Reggina Cantando! Volando!! e giocando!!!

Tutti E cantandu, vulandu e ghiucandu
Salutamu la riba spumosa
Comu l’undi nchianamu ballandu
Da sireni cantandu cantandu 
Suspirandu l’oduri i sta serra
Sciatu, sciatu di mari e di terra
Menti ali a cu pinni non ha…
E vulandu, vulandu, vulandu
Jamu ncuntru a lu suli e la luna
Chi pi nostra signura fortuna
Sta Reggina li trucca e profuma
E Murgana li faci specchià…
E cantando, vulandu e ghiucandu
Da-lu-celu la terra vardamu
Quantu-sciuri chi stanno sbucciando
Li farfalli chi vannu vulandu 
Pa priizza s’ attizza a la serra
Bampa, sbampa lu mari e la terra
Duna luci a cu faru non ha…

(Un forte scossa di terremoto, dissolve la scena e tutto torna come prima).

Bambina (Assonnata, si rivolge al vecchio che è altrettanto assonnato). Nonno, chi ha interrotto il racconto della favola, io l’ascoltavo in dormiveglia… forse sognavo…?

Vecchio (Senza aprire gli occhi). Già, pure io ho sognato… l’alba… 

Bambina (Alzandosi in fretta) Pure io, pure io nonno! (Tirandolo per un braccio) Andiamo a svegliare la mamma, fra poco ci sarà il sole…!

Vecchio Dove vuoi che andiamo…? Passerà ancora tempo, prima che il sole s’alzi sull’Aspromonte… Vieni bambina mia, nel fra tempo continueremo a dormire… o sognare? Forse…

Bambina A sognare dici? Ma tu ci credi ai sogni…?

Vecchio Certo che ci credo… i sogni sono il teatro della vita…

Bambina Non capisco, cosa vuol dire il teatro della vita?

Vecchio Vuol dire… che non ho più voglia di parlare… Meglio dormire…

Bambina No, non dormire più nonno, abbiamo sognato l’alba e dobbiamo prepararci per uscire per andare a trovare la Reggina delle farfalle… (Si alza e lo tira per la mano) Vieni, vieni nonno, indicami la porta!

Vecchio La porta, quale porta…? Non ricordo più niente…

Bambina Come non ricordi più niente? Se ricordi le favole, ricorderai pure la porta d’uscita? 

Vecchio Le favole… oh, si le favole… Ecco, le favole bambina mia, sono memorizzate per raccontarle ai bambini… Ma ora torniamo a dormire… 

Bambina (Staccandosi dal vecchio.) Mamma… dove sei, mamma?… alzati. sta per spuntare il sole. Rispondimi mamma… (Rivolta al vecchio, quasi piangendo). Dov’è la mia mamma…?

Vecchio : Deve essere lì… non era al tuo fianco…? Io vi ho lasciati lì… stretti, stretti l’una con l’altra…

Bambina Quando mi sono svegliata, lei non era al mio fianco… e tutti gli altri, dormivano. Io ho paura del buio nonno,voglio la mamma…

Vecchio Non aver paura bambina mia… La… mamma è di là… che dorme, in qualche posto… (Allunga una mano per terra, prende un libro e lo scaraventa dietro uno scaffale). Vedrai che adesso si sveglia… 

(Appare, uscendo a piedi nudi da dietro lo scaffale, una bellissima donna, ha i capelli neri, lunghi, sciolti sulle spalle, indossa una stretta camicetta allacciata e una lunga gonna di multicolori da zingara).

Zingara Chi è che mi ha svegliato…?

Bambina Mamma ! Mamma ! Sono io, vieni sono qui con il nonno.

Zingara Ti sei svegliata amore… ?

Bambina Si mamma vieni portami fuori voglio vedere il cielo, il sole, i fiori e le farfalle…!

Zingara (Guardando il vecchio) Le… farfalle amore? Certo che ti porterò fuori. Ma per vedere le farfalle, deve sorgere il sole, le farfalle di notte dormono. Ora vieni nelle mie braccia; così dormirai ancora un poco. Appena sorgerà il sole, ti farò alzare e c’è ne andremo ai giardini… 

Bambina : Ma io non ho più sonno mamma… 

Zingara O… neanche io sai, ma se non dormiamo il tempo non passera mai… Ora ti canterò una bella ninna nanna, così prenderai sonno…

Dormi trisoru meu dormi e riposa
Nfina chi l’arba iapri a la iurnata
Dormi curina mia, facci di rosa
Murusa, tinireddha e dilicata…
Dormi curina i parma dilicata…
A… O…
Dormi angilu meu dormi e fa’ sogni
Chi ad’occhi aperti non ti poi nzunnari
Lu sonnu amuri appara li bisogni
Di cu vulissi lu celu e lu mari…
Dormi sciatuzzu meu billizzi rari…
A… o…
Veni “Murfeu” cu passu farpatu 
Veni a pighiarti sta rosa divina
Quando u “Piloru” du suli e nduratu
Morgana fa du strittu na vitrina…
Dormi gioiuzza chi veni a matina.. 
A… o…
Appena “Apollu” schiocca la frustata 
Un cantu d’aceddhuzzi a la luntana 
Veni vulandu pi dari ambasciata
Cu suli menti spaddhi a la so tana… 
Dormi spiranza mia dormi pacchiana…
A… o… a… o… 


Vecchio (Sottovoce). Si è addormentata…?

Zingara Si… per fortuna… Aiutami a metterla a letto.

Vecchio Aiutarti, e come? Non c’è la faccio ad alzarmi, le gambe non mi reggono, altrimenti non ti avrei svegliata…

Zingara Già, le tue… gambe… Tienila imbraccio, almeno il tempo di sistemarla in qualche posto…

Vecchio Dove, qua dentro…?

Zingara (Con sarcasmo) E dove, se non qui? Cerca di piantarla con le tue fantasie. (Porgendogli la bambina) Fai piano, non la svegliare (Appena si allontana inciampa e cade su dei libri. Delle voci assonnate e seccati, proveniente da quei libri , non turbano più di tanto la Zingara) Non e niente Non è niente, continuate a dormire… (Fra se) Maledetto ubriaco… (Si allontana scomparendo, dietro uno scaffale).

Vecchio : Dormi anima mia… che presto verrà il sole e tu tornerai a volare tra i fiori della terra… Io non volevo svegliarti… non lo so che cosa mi ha preso… Forse il desiderio nostalgico di sentire gli accenti armoniosi della tua pura voce… Vorrei tanto dormire, ma i miei deboli occhi non riescono a chiudersi… 

Zingara (Rientrando). Cosa mormori vecchio…? Dammi la bambina…

Vecchio (Baciandola sulla fronte). Prendila, è tua. (La prende con molta attenzione, per non inciampare e la porta dietro lo scaffale. Il vecchio, cerca di trascinarsi verso la scrivania, dove ci sono le bottiglie di vino, ma non vi riesce. Si gira lentamente verso il proscenio, mostrando la sua flaccida maschera da sognatore sofferente e ubriaco) 

Zingara (Venendo avanti. Con tono quasi minaccioso). Perché ci hai svegliateNon volevo amore, non volevo… Io non so cosa mi sia successo…

Zingara Non chiamarmi amore; non sono mai stata tua! 

Vecchio E’ vero non sei stata mia. E come potevi essere mia? Allora i tuoi amanti non si contavano… Ma io ti ho sempre amata, ho amato la tua universale bellezza, il tuo mutar d’accenti, le tue canzoni gitane, che in parte appagavano i miei morbosi desideri muti. Quando ho aperto il mio cuore, un cumulo di parole semplici, appena venuti fuori, li affidai al vento, ma tu correvi più forte del vento, e le parole dei padri tornarono a me, velate di tristezza. Io mi spogliai d’ ogni speranza e mi vestii di malinconia... Nelle notti di luna, scendevo alla fiumara, dove un tempo si accampava la carovana… per sentire qualche debole eco di violini e chitarre, o qualche nota, della tua voce. E stavo lì, immerso nel silenzio con l’orecchio teso e gli occhi socchiusi nella speranza di captare un segno… Quando l’orizzonte veniva dipinto dai colori del mattino, come un cane randagio, con la coda fra le gambe e con gli occhi bassi, lasciavo la fiumara… 

Zingara Nella fiumara non scendeva più acqua. Erano rimaste soltanto le pietre, bianche e asciutte come teschi, un cimitero di ossa, dove le nuove, avide prefiche, recitano vecchi e nuovi lamenti! E tu vecchio custode di fogli morti, affoghi le tue debolezze nel vino di morte.

Vecchio Quale debolezze, ora che la tua presenza, e il suono della tua dolce voce mi ha risvegliato la memoria, ricordo che la mia è stata una rinuncia d’amore. 

Zingara Quale amore vecchio? Io, per secoli ho dato ai miei amanti tutto quello che una zingara può dare, e anche a te, e quasi tutti mi avete lasciata violentare da una razza di mezzi uomini smemorati, che sanno di non sapere e utilizzano altri uomini assetati di frivoli poteri, per estirpare e cancellare radici e memorie del tempo.

Vecchio Si è così. Io ti ho vista violentare più di una volta, nei luoghi da me frequentati in quegli anni: nei cinema, sui palcoscenici teatrali, piccoli e grandi, nelle biblioteche, persino nella scuola… Non avevo la forza, ne il coraggio di difenderti, la mia lingua diveniva secca, non riuscivo a gridare, a trovare parole, ne le mie corde suoni tali da poterti difendere. Allora capì di essere niente, nessuno! Cosi, capì di non essere degno di tanta bellezza, cercai di dimenticarti, accettando di fare il saltimbanco, il buffone da strada. Mi spostavo da una provincia all’altra, ma il mio recitare era da guitto, il mio apparire da comparsa… un Pierrot deriso e umiliato e poi fini in questo antro, custode ubriaco, di vecchi e nuovi fantasmi… 

Zingara Ed io, dove sono finita io? Dove sono i miei amanti, le loro fantasie , le loro canzoni... Se non in posti come questi? Chiusi in vecchi scaffali, pieni di polvere e di ragnatele! E tu, folle ubriaco d’amore, ti sei erogato il diritto di scaraventarmi per terra e svegliarmi in questa maledetta tana!

Vecchio No… non sono stato io… Forse il sogno bisogno di sentire la tua voce … da quando il sole, consolatore di brividi emozionali, ha lasciato il mio cielo, la speranza di sentire la tua voce si spense nel silenzio singhiozzante di questo antro. Un giorno qualcuno, non so se per pietà o per altre ragioni, ma credo per vergogna, volle togliermi di mezzo e mi butto qui a fare il custode di libri e di vini invecchiati… i vini li consumo io, i libri li consumano le tarme e i ragni… 

Zingara Quale sogno bisogno vecchio, anche tu come gli altri mi hai rinnegata, e saccheggiata! Ora hai profanato la mia quiete tombale, per rivelarmi le tue elucubrazione mentali da pazzo ubriaco! 

Vecchio Hai ragione, ma indegnamente ti ho sempre amata. Certo, non te l’ho mai detto, come potevo? Sai, ho sempre ritenuto che la mia povera lingua, sorda di suoni, non degna di esprimere e decantare la tua virile bellezza. Allora, cercai da ladro di spogliarti, per rivestire le sillabe e addolcire i suoni delle vocali, ma, uscivano fuori stonate… Per questo rinunciai a dichiararti il mio amore. Tutti sapevano che ero innamorato dell’amore. Di chi? La gente mi domandava, e io rispondevo: dell’amore! E tutti ridevano di me, ero diventato lo zimbello del paese, lo stravagante, il pazzo… e poi un barbone, senz’arte ne parte, fuori di tanti ipocriti teatranti di vita… (Dopo una pausa, alza lentamente la testa e volge lo sguardo su di lei). Dio mio, quanto sei bella… Ti prego, solo per un istante, pur senza condividere la mia gioia, accostati a me…

Zingara (Intenerita dalla richiesta, le si siede accanto). Sei diventato muto vecchio…? Parla, che il mio orecchio è attento a cogliere l’accento lamentoso della tua lingua. 

Vecchio Voglio solo guardarti e godermi questo meraviglioso momento.

Zingara Parlami ancora di te, del tuo passato, cosa facevi, chi eri?

Vecchio : Te l’ho detto, nessuno, niente… Ero “nuddhu cu nenti”! Questo, era il mio nome… Prima ero un giramondo, già innamorato di te. Ti ho cercata dappertutto… in ogni filo d’erba della terra, in ogni fiore che sbocciava e moriva, senza darmi indicazioni. La notte interrogavo le stelle, ma fuggivano piangendo, lasciandomi scie di lacrime. Ti cercai nel grande mare, chiese alle onde di svelarmi i misteri i segreti, per poterti incontrare. Il mare mi parlò, ma io non capì… Allora mi tuffai negli occhi riflessi dell’infante miseria della terra, guardai quelle pupille spalancate, quelle bocche muti, dal terrore e dalla fame… Quando stavo per vederti, quegli occhi si chiusero e non s’aprirono più. Ma non mi arresi, interrogai le fiumare della mia terra, gli aranceti e i limoneti, pieni di zagara, che mi parevano disposti a parlarmi, a rispondere alle mie domande, ma rimasi deluso, erano solo le foglie, che mosse dal vento mi parevano labbra di donna… Mi fermai nei crocevia, dove cresce l’agave e il fico d’India, per evocare gli spiriti del male, al canto di vecchie e nuove lupare, ma non ti trovai… Così passò la mia giovinezza… Allora non conoscevo il vino di morte, avevo dentro il nettare della vita e della speranza. Ora, malgrado sono qui, in questo regno di tenebre, sono… sono felice… Tu, sia pure per un attimo mi sei finalmente accanto… e… “ il resto è silenzio ”

Zingara (Alzandosi). Dimenticami Vecchio! Scaccia i lontani “malanni” della giovinezza! La crudeltà del tuo tempo ha creato terribili idoli, ipocriti cantori, scriba venduti, per trasformare in farsa, la vera tragedia di tanta vita… Delle mie canzoni ne hanno fatto macchiette e dei miei colori, ne hanno fatto palandrane firmate da prostitute e decantate da guitti e imbonitori da baracconi! Riposati vecchio, appena puoi ti prego rimetti tutto a posto… Il nostro sole, tarderà a nascere… se nasce… Fuori di qui c’e il gelo e le notti sono nere… Le stelle e la luna sono soltanto vecchi ricordi. Promettimi che rimetterai tutti questi libri negli scaffali… (Il vecchio non gli risponde) . Lo devi fare per me, per quella bambina che tu ami da sempre .

Vecchio (Guardandola dopo una lunga pausa). le lasciò il cielo della mia Cosa vuoi che ti prometta? Io non ho, né la forza, ne la volontà di mettere a posto, queste scartoffie. Da quando il sogiovinezza, la polvere del tempo si adagiò sulle mie povere membra, e il delirio della sete trasformò, la mia anima in un deserto d’oscuro silenzio… Ora l’ultima mia notte è passata. L’alba ha già salutato la terra, e il sole fa capolino sull’Aspromonte… Tu e la bambina, siete la speranza dell’umanità, siete il sogno bisogno della vita! Né tu, né la bambina potete rimanere in questo antro di morte! Questo è il mio regno, non il vostro! Voi siete vive, siete eterni, siete del mondo! Del mondo… Siete l’immortale speranza dei perdenti.

Zingara (Gridando). Maledetto! Maledetto vecchio! Rimettimi al mio posto! Non voglio uscire fuori! Non voglio! Non voglio!!! 

Bambina (Svegliatasi per le grida) Nonno, nonno, che cosa succede?

Vecchio Niente bambina mia, io e la mamma stiamo aspettando il sole…

Bambina Allora posso alzarmi?

Vecchio Si bambina mia, puoi alzarti, aspettiamo te per uscire.

Bambina Verrai anche tu nonno…?

Zingara (Al vecchio) Vado ad aiutarla.

Vecchio Oh, si che verrò!… Appena mi sarà possibile… Debbo rimettere questi libri a posto…c’è un tale disordine…

Bambina : (Venendo avanti, con in mano un aquilone).Ci raggiungerai più tardi, alla fine di questo sogno?

Vecchio Certo amore, vi raggiungerò alla fine del sogno… (In fondo, dietro la scrivania, si apre una grande porta, dalla quale, una abbagliante luce solare penetrerà tutta la scena).

Bambina ( Prendendo per la mano la zingara). Ecco il sole mamma…! Ecco il sole! Andiamo mamma, andiamo! 

Zingara Si il sole… Andiamo. (Così, presi per mano, s’avviano cantando verso la porta del sole).

Aquilone colorato
Con pastelli ed acquarelli
Vola gaio e spensierato
Cerca sole, luna e stelle
I colori miei più belli
Di pastelli ed acquarelli 
Aquilone, aquilone
Cerca pur le mie canzoni
Fra le labbra delle stelle
O negli occhi della luna
Nuovi canti e tarantelle
Nella luna e…nelle stelle…

(Appena uscite, subito la porta si richiude. Il vecchio, come se si svegliasse da un sogno). 

Vecchio : (Si alza, assonnato, da terra) Il sole… Dove è il sole…? (Va verso la porta, arriva alla scrivania, si ferma, siede, prende una bottiglia e beve, poi la riposa osservandola). 
No, tu non sei il sole! ( La butta via e dopo una breve pausa, apre un cassetto, dal quale estrae una pistola, si alza e s’avvìa cantando verso il proscenio):

Lu suli si ndi jau… chiù no ‘n-ci torna
L’urtimi sogni mei si li purtau
E mi lassau a ‘mmenzu a la mizogna
Undi la notti ancora non passau…
La vita non è sognu è na tragedia
Lu sognu non è mancu na cummedia
È sulu na gran farsa impruvvisata
Chi di la morti veni sciniggiata… 

(Finita la canzone, si porta la rivoltella alla tempia e spara. Ferito mortalmente, rimane barcollante in piedi per un attimo ancora, davanti al pubblico. Un soffio di vento riapre la porta, e come da un ombra, tra la grigia nebbia, riappare la zingara. Entra -la porta rimane aperta- e come sospinta dal vento, va a sedersi su quel mucchio di libri. Comincia a sfogliarne qualcuno quando il vento che soffia dalla porta ne disperde le pagine e come coriandoli li spazza via, fuori dalla porta. 
Il vecchio si volta, barcolla, la pistola gli scivola dalla mano e cade a faccia in giù, fra le gambe della zingara con le braccia aperte su quello che resta del mucchio di libri. Nello stesso momento, alle loro spalle, la porta si chiude sbattendo. Buio. Un urlo squarciante di donna rompe il silenzio). 

FINE