L.a.f.
Leda alla finestra

Commedia per il teatro in tre atti e per tre attori

di

Alberto Milazzo


Personaggi:
Leda, ventenne in vestaglia.
Luca, ventenne in jeans e giacca di pelle.
Matteo, ventenne in pantaloni scuri, camicia a righe e giubbetto con cappuccio.


Luogo: Una strada della Bovisa, Milano. Vediamo la via, il marciapiede e il palazzo sul fondo. All’ammezzato si apre una finestra, qualche spanna più in alto dei passanti. Tutto avviene di notte.

Tempo: Primavera, oggi.


Atto I


Scena 1
Prima Notte

Luca è sotto la finestra della casa di Leda. E’ sbronzo e fumato. La finestra è chiusa, le tende chiuse. Dietro c’è una luce accesa.


Luca – (finendo di rollarsi una canna) Come sta la mammina, oggi? Eh, Leda? Sta bene la tua santa mammina? Salutala. Dille che brava figlia ha. Sempre in casa ad accudirla. Le hai già fatto la cena? Leda? Le hai fatto la cena? Porca puttana, Leda. Non sento nessuno odore di merda. Che cazzo cucini a quella povera donna? Quale merda è che non fa odore? E sì che la tua cucina è sulla strada, come la tua camera da letto, e quel poco di casa che rimane. Si dovrebbe sentire bene che cosa cucini. Eh, Leda? Non hai voglia di far venire l’acquolina al tuo amichetto? Qua fuori? Tutto solo? Merda, Leda! Lo so che mi senti? Non hai mica un attico del cazzo che puoi far finta di non sentirmi.

(Prende una bella boccata di fumo)

Sono venuto a dirtelo per l’ultima volta. Lascia in pace quel ragazzo. Non è roba per te. E’ una povera testa di cazzo senza palle. Non hai niente da prendere da lui. E’ meglio che non gli ronzi intorno. Quelle come te non fanno odori quando cucinano, magari, ma la puzza della tua pelle te la porti addosso ovunque. E non c’è sapone che la possa lavare via. Se ti avvicini a Matteo lo sentirò dal tuo puzzo. Mi hai sentito, Leda?

(La luce dietro la finestra si spegne)

Luca – Merda!

Buio



Scena 2. 

Matteo è sotto la finestra di Leda. La finestra è chiusa. Le tende aperte. Dietro le tende Leda indossa una vestaglia da notte e tiene in mano una tazza di tè caldo. La ragazza guarda infondo alla via. Non sembra accorgersi di Matteo lì fuori.

Matteo – Stai andando a letto? E’ già così tardi? Va bene. Non ti guardo, così puoi fare con comodo. Come se non ci fossi. Non voglio che ti senta imbarazzata per me. Se passa qualcuno… se passa qualcuno, Leda, non ti preoccupare, io guardo dall’altra parte. Sembrerà che sto aspettando un amico. Una cosa così. Eh, Leda? Siamo d’accordo, allora. Io sto qua e non ti do fastidio. Però se tu hai voglia di parlare… solo se ne hai voglia tu, Leda. Se no… due estranei. Non ti sei mai arrabbiata con me. Un’altra avrebbe aperto la finestra e mi avrebbe urlato contro. Tu no. Perché io sono discreto. Vero, Leda? Non ti do fastidio io. Mi piace guardarti mentre metti la camicia da notte e bevi il tuo tè. Mi fa stare bene. Al sicuro. E’ come stare lì accanto a te. Magari un giorno lo beviamo insieme quel tè. Senza fretta. Magari un giorno. Ti ho portato una cosa. 

(Si fruga in tasca)

Merda, dove l’ho messa? Aspetta, Leda. Non ti muovere. Sono un tale imbranato. Mi perdo tutto. Ecco, lo sapevo che non potevo averlo perso. Tu ti fidi di me? Nessuno si fida di me. Tu sì? E’ un regalo. Niente di importante. Una cosina per farti compagnia. 

(tira fuori un pacchetto dalla tasca)

Per te, Leda. Lo vuoi? Merda, hai ragione tu. E se passa qualcuno. Poi, altro che estranei. Facciamo così, te lo metto sul davanzale della finestra e poi quando me ne sarò andato potrai prenderlo. Non c’è tanta gente in Bovisa a quest’ora. 

(Mette il pacchetto sul davanzale, lo guarda e aspetta)

Però mi spiace non vedere che faccia fai quando lo apri. Ascolta, Leda. E se te lo aprissi io? Non è molto romantico, ma facciamo finta che io sono te.

(Apre il pacco, tira fuori un piccolo cigno)

E’ un cigno, Leda. Ti piace? L’ho visto dal cartolaio e ho pensato a te. Allora, come prima. Te lo metto qui, sul davanzale. E poi tu lo prendi quando me ne sono andato.

Buio


Scena 3 

Luca in motorino passa sotto la finestra di Leda. Fa due giri intorno. Poi si ferma davanti alla finestra, il motore acceso. Dà due colpi di acceleratore a vuoto, per fare rumore. Poi si allunga per prendere il cigno che Matteo ha lasciato sul davanzale. La finestra è chiusa, le tende sono tirate, la luce è spenta. Luca si mette il cigno in tasca e col motorino esce di scena.



Scena 4

La finestra è aperta, le tende scostate, la luce accesa. Leda indossa la vestaglia ben chiusa fino al collo. Ha in mano la sua tazza di tè. Parla con la madre che è nell’altra stanza.

Leda – Metto la tua tazza sul davanzale, così si raffredda un po’. Lo so che non ti piace bollente.

(Mette la tazza della madre sul davanzale e rimane davanti la finestra con la sua in mano)

Stanotte ci metterà pochissimo, vedrai. Fa così freddo. Sta cambiando il tempo, mamma. Tu lo senti che sta cambiando? Sono le tue ginocchia che dicono quando cambia il tempo. Ogni male racconta qualcosa. E le tue ginocchia raccontano quando il tempo cambia. Ormai ci siamo. Presto sarà pieno inverno. No, non è ancora freddo abbastanza. Ma no che non te lo do gelato. Figuriamoci, il tè della mia mammmina gelato. Non si può bere freddo il tè. Vero mamma? Ma nemmeno caldo. Hai finito? Adesso arrivo.

(Leda si allontana dalla finestra, ma la sentiamo ancora, anche se non la vediamo)

Madonnina bella, ma quanta ne hai fatta? Se continui così andrà a finire che ti prosciugherai. Non ti rimane più un goccio d’acqua in corpo. Farai la fine di un vecchio albero senz’acqua. Eh, sì. Le medicine. Sempre a dare la colpa a qualcos’altro. 

(Ricompare alla finestra senza la sua tazza di tè, ma con un pitale in mano)

Certo che ti sento anche da qui. Sono nella stanza accanto, mamma. Dove vuoi che vada? 

(Poggia il pitale sulla finestra accanto alla tazza di tè. E da un cassetto sotto la finestra che non vediamo, tira fuori una spazzola)

Ancora un attimo e non ti scotterai la labbra.

(Pausa, in cui Leda ascolta sua madre nell’altra stanza)

No, mamma. Stasera no. Ti prego. Sono molto stanca anch’io. Certo che adesso vado a letto, ma non ho le forze lo stesso. 

(C.s.)

Va bene. Non urlare.

(pettinandosi i capelli)

Quando hai incontrato papà eri alla finestra. Nel nostro paese, a Pola. Era una bella giornata di primavera e tu ti stavi pettinando alla finestra, quando passa questo giovane ragazzo in divisa. Basta! Mamma! D’accordo, te lo porto adesso.

(Irritata poggia la spazzola e prende il pitale. Versa un po’ dell’urina della madre nella tazza di tè)

Certo che ho controllato col dito. E’ della temperatura adatta. Ben stemperato. 

Buio





Scena 5

Matteo e Luca sono sotto la finestra di Leda. La finestra è chiusa, le tende aperte, la luce accesa, la stanza vuota.

Luca – Carlo mi spaccherebbe la faccia se mi vedesse qua. Con te. A perdere tempo. A non concludere un cazzo. Dovrei mandarti a cagare. Dovrei mollarti alle tue stronzate sentimentali. Io. Invece vengo qua a darti le dritte. Mi fai pena. Nient’altro. Pena come un cane randagio. Carlo dice che non ti vuole conoscere. Che ha già capito. Non gli servi. Ma se smetti con le stronzate te lo presento lo stesso. Però non mi puoi smerdare con le tue stronzate. Capito, bello? Se ti presento a Carlo non devi dirgli delle tue notti sotto la finestra della tipa.

(Matteo lo guarda) 

E’ muto il bambino stasera?

(Gli tira su il cappuccio del giubbetto e glielo ficca sulla testa)

E’ triste? Oh, il nostro cuore infranto. Quella puttanella non te l’ha ancora data.

(Matteo si riabbassa il cappuccio e lo fissa con aria di sfida, risentito dell’ultimo commento)

Che c’è? Non ti piace quello che dico? Vuoi fare a pugni? No? Paura? Bravo, sei saggio. Saggio e triste.

(Luca ricaccia il cappuccio sulla testa di Matteo, con una risata stonata)

Matteo – Non sono triste.

(Matteo si toglie ancora il cappuccio)

Luca – No? Però lo sembri. E se continui così, lo sembrerai sempre di più. Una persona triste. Infrequentabile. Ma mi dici perché uno dovrebbe starti accanto? Per sentire le tue melensaggini su Leda? Per vederti languire alla finestra come un cazzone romantico da film? 
Matteo – Non ti obbliga nessuno a stare qui.

(Luca da uno schiaffo in fronte a Matteo)

Luca – Bello, non alzare troppo la testa con me. Nessuno mi dice dove devo stare. Capito, Matteo?

(Gli dà un altro schiaffo sulla fronte)

Matteo – Sì.

(Luca gli dà un altro schiaffo in silenzio)

Matteo – Sì, ho detto sì.
Luca – Allora, ti piacerebbe incontrare Carlo? Mi divertirei un casino a vedere come ti ribalta. Lui sì che è un genio per queste cose. Stasera lo incontri e domani ti sei tolto quella troietta dalla testa.
Matteo – Leda. Si chiama Leda.
Luca – Esatto è così che si chiama quella troietta. Leda. Leda la troietta. Che c’è? Il bravo bambino non dice parolacce? La mamma si metterebbe a pianger se sentisse il suo bel bambino dire troietta. E’ così? 
Matteo – Te l’ho già detto. Carlo non mi interessa.
Luca – E dovrebbe invece. Sei un coglione. Carlo mi ha risolto la vita. E ti faccio solo un favore a fartelo incontrare. Guardalo almeno. Ti ci porto io. Col motorino ci mettiamo tre minuti da qui al ponte della Ghisolfa. Vederlo lavorare è uno spettacolo. Fa più soldi lui di chiunque. Non ti piacerebbe farti un po’ di grano?
Matteo – No.
Luca – No. No. Senti come lo dice. Con quel musino da signorina.

(Luca strizza le guance di Matteo per fargli fare una boccuccia. Matteo lo lascia fare poi si allontana)

No, e mette su un broncio da poppante. Ha detto no. Matteo ha detto no, signore e signori. Matteo vuole fare una vita del cazzo. Vuole passare i suoi anni migliori a marcire sotto la finestra di una troia.
Matteo – Smettila, Luca. 
Luca - Ci sono un sacco di donne dove c’è Carlo. Le migliori. Puttane che Leda te la scordi. Se ti vedono te la danno gratis. Non ne vedono spesso quelle di tipi puliti come te. Non ti va di farti lucidare l’arnese a dovere al posto di stare qui a farti le seghe?
Matteo – Dov’è Carlo adesso?
Luca – Carlo, adesso? Te l’ho detto sul ponte, o sotto il ponte a sorvegliare le sue puttanelle. Si scopa la più giovane a inizio serata. Perché così dice gli porta buono, poi la più vecchia quando se né andato l’ultimo cliente. Perché solo una vecchia troia sa come fartelo drizzare all’alba, dopo una notte in piedi, a lavorare. Cazzo, fratello, quello ha capito tutto della vita. 

Buio




Scena 6
Finestra aperta, tende aperte, luce accesa. Leda alla finestra.

Leda – hai bevuto il tè, mammina? Ma certo che è buono. Il migliore tè della tua vita. Stai scherzando? Non puoi. Devi berlo fino all’ultimo sorso. Io lo dico per te mammina. Quelle medicine ti stanno prosciugando. Devi bere quanto più è possibile. Anche se non ne hai voglia. No che non è cattivo. Hai la bocca disfatta da pillole e sciroppi, come vuoi sentire i sapori. Certo che non ci capisci niente. Infondo il tè non è che abbia questo gran sapore. E’ tè. Il tè è tè. E tu devi berlo. Fino all’ultima goccia. Via che ti piace… e se poi la tua Leda ti racconta… ti piace ancora di più, vero mammina?
Allora eri alla finestra della tua casa di Pola e l’aria era fresca di brezza marina. I tuoi bei capelli ti piaceva pettinarli alla finestra, per sentire il profumo del mare, dicevi. Ma in realtà lo facevi per civetteria. 

(Leda prende a pettinarsi i capelli)

E poi, un bel giorno, passa questo ragazzone in divisa. Com’era mamma? Era bello, vero? Con la sua divisa ben stirata e gli alamari d’oro e le piccole medaglie che luccicavano al sole. Vi siete guardati e lui si è tolto il cappello per salutarti. Così, lui ti guarda e si toglie il cappello. Tu hai nascosto la spazzola, chissà perché? Mamma, perché hai nascosto la spazzola? Ti vergognavi di stare alla finestra? Non c’è niente di male a stare alla finestra quando il mare profuma l’aria e si è giovani … a Pola. Mamma? … Mamma? Ti sei addormentata?

buio


Scena 7

La finestra è chiusa, le tende chiuse, la luce spenta.
Luca si avvicina barcollando alla finestra. Ha in mano una bottiglia di birra. Parla come se accanto a lui ci fosse qualcuno.

Luca – Ti ho detto di non toccarmi… smettila… dai, beviamoci una birra. Che cazzo di vita è senza una birra con gli amici… no! Non è come dici tu. Carlo, non toccarmi. Sì che sono tuo amico. E voglio essere come te… ne hai trovata una nuova? E’ giovane? Cazzo Carlo, smetti di fare così… presentamela… lo faccio io per te, le faccio passare ogni fisima… la storia della tassa non la capisco. Fammi bere un altro po’ o non ce la faccio. Costa cara questa tassa. Ho paura. Carlo, sei sicuro? Devi farlo anche con me? Siamo amici noi due, no? Aspetta, ancora non sono pronto… Guarda che con me la tassa non serve. Carlo, no…

(intanto si avvicina alla finestra di Leda. Tira fuori dalla tasca il cigno, lo guarda, ci parla. Poi lo posa sul davanzale, come aveva visto fare a Matteo. Si allontana, fa due passi indietro e guarda la finestra chiusa con il cigno sul davanzale. Quindi si fionda di nuovo sul davanzale e strappa via il cigno da lì)

Stronzate sentimentali. Leda! Ti piacciono i cigni dal collo lungo? Lungo e grosso? Leda! Dai vieni fuori. Ti do un bel cigno lungo e grosso. Che ne dici? Non fare tanto la schizzinosa con me. Tanto io non abbocco. Dai Leda, una birretta in compagnia. Leda, per favore. Merda. Sei solo una puttana. Come tutte le altre. E Carlo è uno stronzo. Che mondo di merda. 


buio
Scena 8

Con un effetto di luci e fonica si simula il giorno che cresce, il rumore delle strade e dei passanti fino al tramonto. Tutto in pochi secondi. Ed è di nuovo notte.


Atto Secondo

Scena 1
Seconda notte
La finestra è chiusa, le tende chiuse, la luce spenta.
Matteo è sotto la finestra, Luca arriva all’improvviso.

Luca – Ciao bellina.
Matteo – Luca.
Luca – Un po’ di allegria, fighetta. Si salutano così gli amici? Cazzo, sembra che hai visto un morto? Ti sembro morto io?
Matteo – Direi di no.
Luca – Direi di no, cazzo Matteo, ma come parli? Certo che no. Sono in splendida forma. Sto benissimo. Oh, Matteo? Benissimo. Mai stato meglio. La serata è appena iniziata e io sto già al massimo. Tu piuttosto. Mi sembri il culo di mia nonna.

(Matteo ride)

Luca – Brava la mia fighetta. Sai che sei più bellina quando ridi. Sempre triste, sempre imbronciata, sotto questa cazzo di finestra. L’amore uccide. Eh, Matteo? Prima o poi ci uccide tutti. Non ne vale la pena. Si può stare da Dio senza una cazzo di storia sentimentale. Guarda me, io sto benissimo. Troie quante ne vuoi ma rogne di cuore zero. Che me ne faccio? 
Matteo – E il tuo amico Carlo come sta?
Luca – Carlo? E’ uno stronzo. Come tutti. Ma lui, mi sa che è il più stronzo. Non starebbe dov’è se non lo fosse. Vuoi che ti do un consiglio? Quando lo incontri… stai in campana. Quello riesce a fotterti comunque e tu te ne accorgi solo quando ha finito. E’ per questo che lo frequento. Ha un sacco di cose da insegnarti. Per esempio… come fare un sacco di bigliettoni…

(Tronfio, tira fuori dalla tasca un rotolo di banconote)

Matteo – Porca puttana! Luca, sono un sacco di soldi.
Luca – Due milioni. E la serata è appena iniziata. 
Matteo – E li hai fatti tutti stasera?
Luca – Sì, ma è una buona serata. Mica va tutte le sere così. Figurati. Io mi so muovere però.
Matteo – Ma come hai… da dove arrivano?
Luca – Sveglia bello. Hai il cervello nel culo? Non hai voluto incontrare Carlo e adesso sono cazzi tuoi. Io invece, che ho fiuto, sono alla mia prima sera e ho già fatto due milioni. E più tardi, quando ripasso da lì me ne aspettano degli altri.
Matteo – Due milioni in poche ore…
Luca – Ed è solo l’inizio. Allora lo vuoi conoscere il mio amico? Ti avverto però, nessuno ti dà niente per niente. C’è una tassa da pagare.
Matteo – Ma io non ho niente.
Luca – Tutti abbiamo qualcosa. E quel bastardo è bravissimo a trovare quello che cerca. Cos’è meglio la tua puttanella dietro la finestra che non sa nemmeno che esisti, o il tuo amico Luca che ti fa fare la grana, grana vera, in un attimo? 

(Pausa)

Luca - Io fra poco devo tornare. Ci vieni?
Matteo – Non mi piace.
Luca – Sto cominciando ad averne pieni i coglioni di te. Sei uno smidollato. Non ti decidi mai. Neanche davanti hai fatti. Carlo ha bisogno di ragazzi giovani che sorveglino le sue puttanelle. E una percentuale arriva in tasca anche a te. Così puoi fare i regalini alla tua bella. Non ti andrebbe di fare un bel regalo alla tua puttanella? Secondo me con un bel regalo riesci a stanarla. Vedrai che Leda viene fuori dal buco con un regalino costoso. Le donne sono tutte uguali, hanno in testa solo soldi e cazzi… non necessariamente in quest’ordine.
Matteo – A Leda non interessano i soldi. Si vede da come vive.
Luca – Già. A lei interessano solo i cazzi. Ma che ne sai? La conosci? Ci hai mai parlato?
Matteo – Perché? Tu? Che ne sai? Neanche tu la conosci.
Luca – Non ne ho bisogno. Te l’ho detto sono tutte uguali. Vieni con me e dopo le fai un bel regalino.
Matteo – Non le faccio nessun regalino.
Luca – Ah, no? 
Matteo – No.
Luca – (Tirando fuori dalla tasca il piccolo cigno) Si vede che devo cominciare a farglieli io i regalini.
Matteo – Bastardo.
Luca – Piano. Cosa c’è? Tu non fai regalini alla tua troietta. Questo è un mio pensierino che adesso metto sulla sua finestra. 

(Poggia il cigno sulla finestra)

Matteo – Dammelo. Dammi quel cigno.
Luca – Certo è un po’ misero come regalo. Secondo me non basta. E stasera mi sento generoso. Leda? Leda! Lo so che sei li dietro a goderti la scena. Glielo facciamo vedere a questo pisellino cos’è che ti piace veramente. Eh, Leda? Facciamo così. Io adesso metto cinquecentomila lire sotto il cigno e scommetto che tu apri la finestra e mi dai un bacetto.
Matteo – Ti ho detto di smetterla. Perché devi fare queste stronzate? Cosa vuoi dimostrare? Leda non c’è. Non è in casa stasera.
Luca – Allora ecco le cinquecento. Mezzo palo tutto per Leda.

(Luca mette i sodi sotto il cigno)

Matteo – Non c’è, non c’è. Non aprirà mai la finestra. Leda non è così, Leda…

(Si accende una luce all’interno, da dietro le finestre)

Matteo – No!

(Matteo si avventa sul cigno, lo strappa via dal davanzale e lo getta addosso a Luca, che lo guarda in silenzio)

Luca – (raccoglie i soldi e il piccolo cigno. Mette i soldi in tasca. Si avvicina a Matteo, gli mette a posto la giacca e gli prende le mani. Mette il cigno nel palmo della mano di Matteo. Poi gli chiude le mani sul cigno e le bacia. Si volta e si allontana) Ti passerà.

(Matteo sembra singhiozzare tenendo il cigno stretto nel pugno. Poi lo getta via, furioso).

Buio


Scena 2

La finestra è aperta, le tende scoste, la luce accesa. Leda alla finestra si pettina i capelli mentre sul davanzale la tazza di tè si raffredda.

Leda – Ma perché hai risposto al telefono. Ti ho detto mille volte di non rispondere al telefono se sei da sola in casa. Non conosciamo nessuno e dal telefono vengono solo problemi. Se ogni tanto, ogni tanto, mamma, tu facessi quello che ti dico… le cose andrebbero meglio. (Fra sé) l’errore più grosso della mia vita è stato seguire io i tuoi consigli. Andiamo in Italia, vedrai come si vive bene in Italia. Tuo padre era italiano. Non lo siamo tutti, forse? La Croazia è praticamente Italia. Se le cose fossero andate diversamente saremmo stati Italiani anche noi. 
(Alla madre) cosa? Sì, papà. Sì, ho detto che papà era italiano, mamma. Ma certo che me lo ricordo. Come potrei scordarmelo. Siamo venuti qui per questo, no? Perché io potessi conoscere la terra di mio padre. Vedrai che in Italia ci sarà un giovane militare anche per te, Leda. Lo vedrai arrivare dalla finestra e si toglierà il cappello, mentre tu petti i tuoi lunghi capelli scuri. In Italia…
E poi ti lamenti che il tè non ha più lo stesso sapore. In Italia niente ha più lo stesso sapore. A Milano non c’è il mare. E l’aria non profuma di salsedine. E tutti i sapori cambiano. Devi fartene una ragione. Non si può portare il mare di Pola in Bovisa. Ma il tè è lo stesso, tu sei la stessa, io, perfino questa spazzola è la stessa. Cosa vorresti dire? Non sono cambiata affatto? Non esageriamo. Una persona non cambia perché non c’è più mare nell’aria. Certo, sono cambiata. Sono più grande, ho i capelli più lunghi. Ma sono sempre Leda.

(Si china sulla tazza da tè, armeggia sotto la finestra e apre una capsula di medicina che rovescia nel tè. Poi Torna dritta, si toglie qualche ciocca di capelli dal viso e guarda fiera verso il fondo della strada)

Leda – (Con una mano gira il cucchiaino nella tazza e parla con lo sguardo fisso sul fondo della via) La mia mammina stava alla finestra a pettinarsi i capelli quando un bel ragazzo in divisa si fermò a guardarla. Si tolse il cappello e disse “Buongiorno, signorina” e l’italiano le sembrò la lingua più bella del mondo. Alle orecchie della mia mammina suonò come un ruscelletto fra i sassi, come una manciata di monetine tintinnanti e, per l’imbarazzo, nascose la spazzola dietro la schiena. E’ così, mamma? La nascondesti per l’imbarazzo? 

(Mette un dito nella tazza)

Sì, è pronto. Ti porto il tuo tè.

(Ci sputa dentro)

Buio



Scena 3

La finestra è chiusa, le tende chiuse, la luce accesa.
Matteo passeggia sotto la finestra.

Matteo – Mi dispiace per ieri sera. Non so perché fa così. Io quasi non lo conosco. Giuro, Leda. Praticamente è un estraneo. So che vive nel quartiere. La Bovisa è piccola, alla fine ci si conosce tutti di vista. Anche noi, no? Beh, sì. Ci siamo visti al mercato una volta. Cioè, io ti ho vista con un sacchetto della spesa. Di schiena. Un attimo. Non sono sicuro che eri tu. Poi sei venuta in classe con me. All’inizio dell’anno, ti sei seduta in fondo all’aula. Per tre giorni. Poi non ti abbiamo più vista. E’ stato un amico a dirmi che abitavi qua. Non Luca. Luca non è un amico. Credo sia geloso. Di te. Forse ti vuole bene. Leda, io ho preso una decisione. Credo che così non possa continuare. Vorrei venire su, Leda. Cosa succederebbe se mi facessi entrare in casa? Alla tua mamma non dispiacerebbe. Ne sono sicuro. E poi io sono una persona educata. Potremmo… prendere il tè. Mezz’ora. Due chiacchiere. E poi vado via. Per conoscerci un po’. Luca ha ragione, ci conosciamo poco. 
Mi piace passeggiare qui fuori, sotto la tua finestra. Mi piace sapere che mi stai guardando di nascosto da dietro i vetri. Ma preferirei entrare a prendere un tè qualche volta. Mio padre dice che cammino di merda. Mi sopporta solo se sto seduto a tavola. E devo aspettare che abbia finito e sia uscito per andare nella sua camera. Dopo, mi posso alzare anch’io e muovermi per la casa. Perché cammino di merda. Bastasse almeno? E invece no. Ha da criticare anche per come muovo le mani a tavola. Lui dice che io… a te piace come cammino, vero Leda? Sto qui e cammino per te. Perché a te piace guardarmi da dietro i vetri, di nascosto. Gli altri non lo sanno ed è un tale piacere avere questo segreto con te. Ti fa sentire speciale. Non uno qualunque che cammina per la via, ma Matteo che cammina per Leda. Allora, salgo? Certo sarebbe buffo: il tè a mezzanotte. 

Buio


Scena 4
Matteo sta per citofonare a Leda. Luca gli piomba sul collo.
La finestra è chiusa, le tende chiuse, la luce accesa.

Luca – Non si mette bene. Non si mette bene per niente. E tu che combini una cazzata dietro l’altra. Ma che volevi fare al citofono. Bussare a casa di Leda a quest’ora? Ti sei ammattito.
Matteo – Volevo salire per un tè.
Luca – Certo, per un tè. E’ ovvio.
Matteo – E’ il nostro tè di mezzanotte.
Luca – Tu ti stai bevendo il cervello. Adesso non solo te ne stai accucciato sotto la sua finestra a cantare come un gatto in amore, ma vuoi anche salire da lei, entrargli in casa e per fare che poi? Per chiederle un tè. Per sfotterla avrei capito. No. Il nostro tè di mezzanotte. Ma ti senti? Ti si rattrappisce il cervello per il freddo qua fuori. Te lo dico io. Meno male che c’è Luca a pararti il culo. Se no tu già chissà che casini combinavi. Lo becco col dito sulla pulsantiera del citofono a mezzanotte… a far prendere un colpo a quella vecchia croata di merda. Ma te l’immagini la faccia? Mentre sta dormendo, rincoglionita dai sonniferi, driiiin suonano alla porta. Le viene un infarto e ci rimane stecchita. Così alleggeriamo Leda di un peso.
Matteo – Sarebbe venuta Leda ad aprirmi. Credo che le farebbe piacere.
Luca - Leda non c’è.
Matteo – Per il nostro tè di mezzanotte.
Luca – No c‘è. Leda è fuori, non è in casa. E’ uscita.
Matteo – Dove vuoi che vada? A quest’ora?
Luca – Sul ponte la situazione si mette sempre peggio.
Matteo – Sul ponte?
Luca – Alla Ghisolfa. Sul ponte. Sono arrivati i turchi. Gente che non scherza. Anche Carlo a volte sembra un pivellino a confronto. Quelli non hanno un cazzo negli occhi. Li guardi e sono senza espressione. Sembrano morti. E girano con un sacco di armi. Credo che vogliano prendere il controllo delle puttane. Non so se Carlo ce la farà. Per ora non sembrano sul piede di guerra. Fanno regali, sorridono… con la bocca. Con gli occhi non sorridono mai. A qualcuno hanno dato armi di nascosto. Amico, amico… dicono e ti ficcano una pistola nella tasca.

(Luca mostra la pistola che ha in tasca a Matteo cercando di non dare nell’occhio)

Matteo – Merda.
Luca – Una merda bella grossa e fumante. Adesso nessuno sa più di chi fidarsi. Qualcuno ha una pistola in tasca. Qualcun altro no. Ci si guarda tutti il culo. Se uno ti fa incazzare ci pensi due volte ad andare lì e dirgliene quattro. E se avesse una pistola anche lui? Carlo sembra impazzito. Va in giro, ci passa al setaccio. <<Ti hanno dato una pistola? I turchi, te l’hanno data? Guarda che se te l’hanno data e non me lo dici tu con me non lavori più. Ti dimentichi la tua percentuale sulle mie troie. Capito? Perché le ragazze sono mie. Non dimenticatevelo. Voi siete solo dei vicari. E anche voi siete miei>>. E ha ragione lui. Chi te lo dà un altro lavoro come questo. Dove fai un sacco di grana, fotti gratis, e non devi fare un cazzo. Vuoi vederla?

(Matteo fa sì con la testa. Luca si guarda intorno. Poi gliela mostra. Matteo si avvicina per toccarla. Luca si tira indietro e gliela punta in fronte)

Luca – Piano. Chi ti ha detto che la potevi toccare. Con queste non si scherza, bellina.
Matteo – D’accordo. Scusa. Luca, toglimi quella pistola dalla faccia.
Luca – Perché? Hai paura?
Matteo – Sì. Ho paura. Cazzo, ho paura. Non mi puntare quella pistola addosso.
Luca – Credi che premerei il grilletto? Contro di te? Non ti fidi del tuo amico? E questo che stai dicendo, che non ti fidi di me?
Matteo – Sì, mi fido. Che ti salta in mente? E che la pistola… cazzo, Luca… smettila, toglimela dalla faccia.
Luca – Hai paura che ti rovini il tuo bel musino? Che poi la tua bella non ti voglia più?
Matteo – Leda non c’entra. E’ una cosa fra me e te.
Luca – Esatto. Una cosa fra me e te.
Matteo – Io non volevo…
Luca – Sì che volevi. E vuoi ancora. Vuoi toccarla? Vuoi prenderla in mano? Hai mani troppo sottili per tenere una di queste. Ci vogliono mani da uomo, non quei tuoi fusi da principessa, buoni solo a fare seghe.
Matteo – Hai ragione tu, Luca. Non la tocco. Non la tocco più.
Luca – Però ti sarebbe piaciuto. Ho visto con che sguardo fissavi la mia pistola. L’ho già visto quello sguardo affamato. 
Matteo – Ma che sguardo, Luca smettila, mi fai paura. Mi mostri una pistola e poi ti lamenti se la guardo e me la punti contro.

(Luca si mette la pistola in tasca)

Luca – Che sensazione di potere. (A Matteo) Paura, eh? (Gli accarezza la testa, scombinandogli i capelli. Matteo si sottrae innervosito) Devo sapere di chi fidarmi, Matteo. Adesso più che mai. Ho bisogno di un amico. Lo capisci? Ho bisogno di qualcuno che venga a caccia con me, che divida con me la preda. Sai cos’è la cosa che mi fa più schifo mentre mi scopo quelle troiette? La solitudine che mi morde lo stomaco. Devi venire con me. Ce le facciamo insieme e poi ce ne torniamo a casa con un fracco di soldi in tasca. Solo noi due, eh Matteo?

(Ancora gli scombina i capelli)

Allora? Matteo? Dai, non rompere i coglioni. Vuoi la pistola? Tientela. 

(Gli allunga l’arma. Matteo immobile guarda il braccio teso di Luca. Un lungo silenzio)

Matteo – Posso prenderla?
Luca – Ma certo. Siamo fratelli noi. Prendila.

(Matteo si sporge per prendere l’arma, luca stringe il pugno e gliela sottrae con un sorriso. Lo guarda).

Luca – Vieni con me, però.
Matteo – Sì.

Buio


Scena 5

Ancora, con un effetto di luci, si simula il giorno che cresce e muore. Rumori di via, traffico, vociare di bambini, che ascoltiamo correre più veloci del normale, aiuteranno a capire che un altro giorno è passato ed è di nuovo notte.


Atto Terzo


Scena 1
Terza notte
La finestra è aperta, le tende aperte. Leda alla finestra si pettina freneticamente.

Leda - Maledizione. Ti ho detto di non rispondere al telefono. Fai finta che non esista. Tanto tu non esisti per il resto del mondo. Nessuno ti chiamerebbe mai al telefono. Se squilla non è per te. Cosa rispondi a fare? Sei stupida? Di’, mamma, sei stupida? Ti stai rincoglionendo con l’età? Oppure lo fai apposta? Io non ce la faccio più così. Capito? Ti avverto, mamma, o cambi atteggiamento o io ti pianto qui. Ti lascio a marcire in quel letto puzzolente, quanto è vero Iddio. Ma me lo dici che cazzo faresti senza di me, che sono praticamente la tua serva? Faccio tutto, dico, tutto quello che mi chiedi. E non parlo solo di pulirti il culo e ascoltarti la notte mentre svuoti le budella nel pitale, con un rumore d’inferno. D’inferno! Parlo anche delle tue manie, pettinarmi i capelli, farti un tè caldo prima di andare a letto. Follie che non discuto, non mi chiedo nemmeno se sia giusto, lo faccio e basta. Mamma.

(Smette di pettinarsi. Si guarda in uno specchietto. Poi riprende a parlare mentre versa da una teiera il tè fumante in una tazza)

E a te? Cosa chiedo? Di non rispondere al telefono. Ci vuole tanto. Merda, ci ammattisco io qua dentro. Divento matta. 

(Improvvisamente dolce)

Sbaglieranno, cosa vuoi che ti dica? Non c’è nessuna Ambra in questa casa. Solo io, Leda, e te, la mia mammina. Quindi perché ti preoccupi se continuano a chiedere di Ambra? Tu conosci un’Ambra? Che te lo chiedo a fare? Tu non conosci nessuno. Non esci mai. Dal letto alla tavola, dalla tavola a letto. Tutti i giorni, tutti i giorni. 

(Di nuovo furente)

Niente. Nessuna Ambra. Ma lei no, continua a rispondere al telefono, a chiedere chi è questa Ambra, e perché insistono, e forse l’hai conosciuta e non ti ricordi. <<Leda, Leda, sforzati, dimmi la verità è qualcuno che ti ha combinato un guaio?>> 

(Assaggia il te per vedere se è caldo. Si scotta le labbra e lancia fuori dalla finestra il contenuto della tazza).

Niente tè stasera. 

(Tiene la tazza di tè rovesciata fuori dalla finestra, con il braccio teso. La guarda e sorride, elettrizzata. Continua a parlare con improvvisa pacatezza).

E’ inutile che strilli. Sai, mamma, può capitare. Non è la fine del mondo. Può capitare che finisca il tè. Come in qualsiasi altra casa. Sono cose che succedono. Finisce il tè e ci si dimentica di andare a comprarlo. Oppure si risponde inavvertitamente ad un telefono che squilla anche se non ce ne sarebbe motivo. Niente tè. Cosa c’è? Credi che morirai se non avrai la tua tazza di tè, stasera? Io credo di no. Fosse così semplice far morire qualcuno… sovvertire un piccolo frammento della routine, sottrarre un bastoncino dalla torre di stuzzicadenti e veder crollare tutto. E invece, sai qual è la verità? Che la torre non crolla. La realtà supera sempre la fantasia e i calcoli micragnosi degli esseri umani prima o poi sono sempre sbagliati. Sempre. Quella cazzo di torre, ondeggia, fa tirare il fiato, pende pericolosamente da una parte, poi dall’altra e alla fine… ala fine… se ne rimane lì. Eretta come il collo di un cigno che annusa l’aria. 

(pausa)

Stai un po’ zitta. Sopravvivrai anche senza il tuo tè. Si sopravvive a tutto, ci si abitua alle peggiori schifezze, e con una tale velocità… Ti abitui prima di quanto diresti. Io mi sono abituata a te, no? Siamo venute in Italia perché io potessi essere come te. In tutto. Perché la storia si ripetesse. Una bella ragazzina ben pettinata alla finestra che aspetta fiduciosa il giovane in divisa delle sua vita. Vedi, mammina, ci si abitua anche alle peggiori stronzate. Si smette di contestarle, di analizzarle, le si fanno e basta perché così è tutto più semplice. Quante stronzate siamo in grado di fare pur di sopravvivere? Tante. E allora Leda si pettina alla finestra e ti fa il tè prima di andar a letto. E gli anni passano e a forza di fingere di essere sua madre ci crede, e ci prende gusto, un po’. E si immedesima e finisce che fa la stessa fine della sua mammina.

(pausa)

Ho trovato il tuo diario, mammina. Che c’è? Non dici più niente? Sei rimasta senza parole? Eh, mammina? Non vuoi più che la tua Leda ti racconti la storia della tua vita? Ma come? E’ un rito, come il tè, non possiamo farne a meno. Io ho detto che la torre non crolla se gli si toglie un bastoncino, ma se cominciano a diventare due…
Allora, c’era una volta…


Scena 2
La finestra è chiusa, le tende chiuse, la luce accesa.
Luca è appoggiato al muro sotto la finestra. Entra Matteo, sconvolto. Sembra che si sia vestito di fretta.

Matteo – (Giungendo davanti a luca. Sembra sul punto di piangere. Lo guarda. Ansima)
Luca - (Lo fissa. Ha un leggero sorriso all’angolo della bocca. Comincia a prendersi cura di Matteo. Gli pettina i capelli con la mano. Gli infila la camicia nei pantaloni, gli aggiusta la giacca sulle spalle)
Matteo – (Comincia a piangere)
Luca – (Lo abbraccia. Matteo si fa abbracciare sembra un sacco vuoto, le braccia pencolanti lungo il busto) Lo so, lo so. Non è bella gente quella. Bisogna imparare a conoscerli, a trattare con loro. Sh, non piangere. Ci si abitua a tutto, vedrai. Infondo sei fortunato. Tu hai me. Io non avevo nessuno
Matteo – (Cerca di parlare fra le lacrime) Tu non… non sai…
Luca – Adesso il peggio è passato. Sono ragazzacci. Il mondo è fatto così. E’ pieno di merda, ma tu hai stoffa. Ce la puoi fare. Certo, con me al fianco. La nostra forza è che siamo due. Io e te, insieme. Bisogna unire le forze. Unirsi ai simili, ai propri fratelli, allora hai più possibilità di sopravvivere.
Matteo – (Con difficoltà) Tu non sai cosa mi hanno fatto.
Luca – Certo che lo so.
Matteo – (Smettendo di piangere e allontanandosi da Luca. Lo guarda fisso) Cosa sai?
Luca – Quello che ti hanno fatto. Lo so. E’ così…
Matteo – Tu lo sapevi. Lo sapevi e non me l’hai detto. Mi hai mandato fin lì, mi hai costretto, mi hai convinto e io, idiota, ci sono andato. E quei mostri, Carlo, merda, Carlo, il tuo amico del cazzo…
Luca – Ti ha fottuto. Come fa con le sue troie. Né più né meno. E’ la tassa. Pensavo di essere stato chiaro. Io te l’avevo detto. Nessuno da niente per niente. Carlo ti fa guadagnare un sacco di soldi ma prima tu devi pagare la tassa.
Matteo – Cosa? Cosa?
Luca – E’ il suo modo. Carlo s’incula tutti i suoi pappa. Non so perché lo fa? Perché così hai un segreto in comune con lui, perché è il suo modo di segnare il territorio, per farti capire quanto è potente, per farti sentire cosa prova la troia di cui ti dovrai occupare. O semplicemente perché gli piace.
Matteo – Ma a me no.
Luca – Ne sei sicuro?
Matteo – Sicuro? Di cosa? Quella merda mi ha violentato. Di cosa devo essere sicuro?
Luca – Che invece non ti sia piaciuto, che è quello che cercavi. Quello che volevi anche da me, magari.

Matteo gli si scaglia addosso urlando e imprecando. Ma Luca tira fuori la pistola all’ultimo minuto e gliela punta in faccia.

Buio


Scena 3
La finestra è aperta, le tende aperte, la luce accesa. Leda alla finestra.

Leda - C’era una volta la mia mammina, una bella ragazzina croata, affacciata alla sua bella finestra della sua bella casa sul mare a Pola. La bella ragazzina croata si stava pettinando i suoi bei capelli bruni ed era un piacere sentire la spazzola che le scioglieva i nodi e la brezza marina che giocava a scombinarli, ad annusarli, a profumarli di sale… e poi sulla strada arriva questo bel giovane ragazzo, con la sua bella divisa linda e il suo bel sorriso da italiano. Ed è amore, lì, subito, a prima vista. La bella ragazzina croata nasconde la sua spazzola con una timidezza da verginella che eccita le fantasie del soldatino. E si scambiano dei sorrisi e lui la invita a scendere per passare qualche ora insieme, per andare ad un bar. Ma lei dice che non può, non le è permesso uscire di casa e allora lui, butta lì, vengo su io. Beata gioventù! La mamma non le ha mai vietato di far salire qualcuno, solo di non andare in giro senza permesso, no? E che sorriso questi italiani, che divisa, come gli cade bene sulle spalle, e la stoffa che si tende sulle cosce. E il soldatino viene su. E parla un’altra lingua, come quelle operette che suonano di continuo nelle case dei ricchi di Pola, le case che cantano, come dicevi tu, vero mammina? Eh così che scrivi nel tuo diario. Le case che cantano. Non ti sei mai spinta fino in qua quando mi raccontavi del mio bel papà italiano. E invece c’è di più. C’è che lui parlava un’altra lingua, la lingua dello straniero che vede una bella ragazza che si pettina impudica alla finestra e che gli fa segno di salire, che lo lascia entrare in casa. E il soldatino col suo bel sorriso pensa solo una cosa, mammina, che sei una puttana. Carina, giovane, ma puttana. Come tante. E ti scopa lì, sul divano buono del soggiorno, senza chiedere permesso. E tu non dici niente, non piangi nemmeno. Non hai provato male, non hai goduto. E’ stato solo il momento più di merda della tua vita.

(Urlando) 

Vero mamma? Vero? E vuoi sapere una cosa. Il soldatino aveva ragione. Un po’ troie lo siamo tutte. Me compresa. 

(Leda toglie la vestaglia che fino ad adesso a sempre tenuto indosso avendo cura che stesse ben chiusa fino al collo. Così scopriamo il vestito che indossa sotto la vestaglia. E’ chiaramente quello con cui si prostituisce la sera, dopo aver messo a letto la madre)

Che magnifico silenzio stanotte. Eh, mamma. Quando stai zitta tu sembra che tutto il mondo taccia. Non volevi che fossi come te? E lo sono, fino in fondo. E questo fa zittire il mondo. Che soddisfazione. Da qualche parte devono pur arrivare i soldi. Una vecchia moribonda e una giovane ragazzina hanno un sacco di spese. E i figli seguono l’esempio dei genitori. Sono una puttana, mammina. E sono stanca di drogarti il tè per farti addormentare. E sono stanca di aspettare che ronfi per andare a lavorare anche per te, mammina. E sono stanca di mentire e dirti che Ambra non la conosco. Alcuni clienti mi conoscono come Ambra e questa è un’altra storia. Che importa il nome. Non è il nome che conta ma la lingua. Merda, mamma, dalla lingua dello straniero non verrà mai niente di buono. E io sono straniera nel tuo paese come nel mio. E una straniera è solo una puttana, una puttana alla finestra, Leda alla finestra.

Leda chiude le tende


Scena 4
La finestra è aperta, le tende chiuse, la luce accesa.

Luca è ancora col braccio teso e la pistola in pugno contro la faccia impietrita e sconvolta di Matteo.

Luca – Non hai mai avuto le palle. E poi ti lamenti che non ti si tratta da uomo. A chi la racconti? Non ci crede nessuno del tuo folle more per Leda. Io no di certo. Volevi conoscerla, potevi farlo; ma tu no. Preferisci startene sotto la sua finestra a languire. Fra te e lei non so chi sia più femmina. 
Matteo – Lascia stare Leda. Tienila fuori dalla tua stronzate. Te l’ho già detto.
Luca – Ma forse non volevi conoscerla affatto. Volevi solo scopartela. Anche quello, Matteo, potevi farlo. Sì, come tutti gli altri. Tanto vale che tu lo sappia. Leda è una puttana. Non la sorveglio io, ma so chi lo fa. E’ una del giro di Carlo. Tutte le puttane della zona sono del giro di Carlo. Almeno finché i turchi lo lasceranno fare. Di’ un po’. Ti hanno scopato anche loro? Dico, i turchi? Non credo che Carlo l’avrebbe permesso. Però chi può dirlo?
Matteo – Perché? Devi dirmelo una volta, Luca. Perché devi trasformare tutto in merda.
Luca – Amore, tutto è merda. Io ti sto solo aiutando a scoprirlo. E dovresti ringraziarmi. Perché per me non è stato altrettanto facile.
Matteo – Facile? Cosa? 
Luca – Nemmeno per la tua puttanella è stato facile come per te. Io ti ho preparato, ti ho fatto camminare nel solco e invece Leda la vita se l’è dovuta inventare da sé. A fatto quello che fanno tutte quelle come lei. La puttana che viene dall’est. E ha fatto bene. Si guadagnano un sacco di soldi. Li hai visti i soldi, no?
Matteo – Non li voglio i tuoi soldi di merda.
Luca – E guardalo il bambino per bene, col suo bel musino provocante, la sua camicia buona. E’ impazzito perché qualcuno gliel’ha sbattuto in culo senza chiedere permesso. Credi che per me sia stato diverso? Credi che a Leda sia piaciuto la prima volta?
Matteo – Leda non è una… puttana.
Luca – Oh, sì che lo è. Una delle migliori del ponte della Ghisolfa. Una delle più richieste. E adesso che ci penso forse a lei è piaciuto la prima volta, considerata la fila che ha.

(Matteo prova ancora ad aggredirlo. Ma a Luca basta ripunte la pistola per averlo in uso potere)

Luca – E se tu fossi uomo solo la metà di quello che dici, saresti a scopartela sotto il ponte insieme agli altri. E le faresti un favore. L’aiuteresti a mantenere quella vecchia rincoglionita di sua madre.

(Matteo cade in ginocchio in preda ad una crisi di pianto. Luca gli si avvicina. Per un attimo sembra consolarlo, poi si capisce che sta strofinandosi la patta sulla faccia di Matteo cercando di obbligarlo a collaborare)

Matteo – Luca! Piantala. Mi fai schifo. Tu sei pazzo, sei pazzo. Sei un pazzo che racconta un sacco di cazzate e che cerca di rovinar la vita degli altri perché la sua è un inferno.

(Matteo si allontana strisciando per terra, all’indietro. Luca lo raggiunge gli prende la testa con una mano con l’altra gli punta la pistola sul cranio. Gli si avvicina per dargli un bacio.
Si sente uno sparo. I due sono immobili. Poi Luca si affloscia su Matteo, morto. Fra le tende si vede il braccio di leda con una pistola in mano. Matteo lentamente si sottrae al peso del corpo di Luca. Si rialza e si avvicina alla finestra).

Matteo – (parlando al braccio teso di Leda, fissando l’arma tremante che tiene in pugno) Leda. Leda… tu… la pistola… dei turchi… e Luca… aveva ragione. Leda…

(si sente una sirena della polizia che da lontano si avvicina sempre di più)

Matteo – Leda, dammi la pistola. Mi senti, Leda? Dalla a me. Lasciala. Nessuno saprà mai niente di te. E’ stata legittima difesa, questa notte io… tu sai della tassa? Dirò che è stata colpa sua, ed è vero. Dovranno credermi. Leda, lascia la pistola, la prendo io… Leda?

(Leda lascia cadere la pistola. Matteo la guarda. La sirena è molto vicina. Matteo guarda Luca, poi prende l’arma in mano e fa finta di puntare il cadavere. Una luce intermittente di sirena gli illumina il viso).

Fine