L’INTERVISTA

monologo di

ROBERTO MORPURGO




La scena

Un proscenio molto povero, un boccascena inquadrato da una tenda che vorrebbe sembrare un sipario. Verso la quinta destra una toilette povera ma ‘in stile’, specchio ovale rotante, montatura in ferro battuto che dia risalto allo specchio, portacipria, mensoletta per spazzole, portagioie, bigiotteria e qualche indumento appesi alla struttura. Ben visibili diversi rossetti rossi scappucciati, sulla toilette e a terra. Sulla quinta destra si apre un vano o un suo simbolo (maniglia, griglia di porta a vetri…). Sulla toilette una lunga candela spenta, bianca, dallo stoppino lunghissimo.

Lo specchio verrà collocato in modo che almeno di quando in quando si intraveda la sua immagine riflessa, e la fiamma della candela successivamente. Verosimilmente, lo specchio in posizione frontale e lei leggermente discosta verso destra.

Uno sgabello privo di spalliera ma non di personalità, non troppo comodo, non necessariamente rotondo. Intorno allo sgabello, disseminate quasi ad arte, calze, foulard di seta grezza, uno scialle di vecchia lana di montagna a maglie larghe, un paio di guanti quasi vezzosi, una brocca che fa il paio con lo scialle, opaca.

Fra la toilette e il proscenio uno spazio limbico popolato da calze spaiate, pettini rotti, bigodini tristemente colorati. Alla sinistra della toilette una gabbia da canarino: vuota, aperta. Alla porticina pende però un cappellino vezzoso, con piuma, stile anni ’20. Il boccascena deve evocare un ibrido singolare: fra il boccascena stesso e un interno da ‘altare dell’intimità’, mezza via fra il boudoir e il bordello di periferia.

Sulla quinta sinistra, in ombra, un appendiabiti da cui pende un trench classico (spalline, bottoni in legno etc.).

La donna

Non più eppure ancora giovane, non necessariamente bella ma a suo modo attraente, intrigante, scapigliata, ancienne vague, indossa una sottoveste quasi sensuale passabilmente spacciata per una vestaglia (o viceversa). Essenziale è che si possa aprire e richiudere con infinita leggerezza, sicchè il gesto appaia sempre più che disinvolto. Un bracciale ampio, quasi un sonaglio, al polso destro.

Azione

Lei in piedi sul bordo del proscenio, la sola zona della scena inizialmente illuminata. Le mani tese e agitate come a contenere il traboccante fioccare di rose, di baci, di ovazioni. Si porta una mano alla gola, schiarisce la voce come se l’avesse arrochita sforzandola. 

Lei: ah, se non penso mai al mio tramonto!? Chi le ha suggerito questa domanda, sempre che non si debba chiamarla insinuazione? Fingo di non averla mai sentita, e che lei non esista affatto (leggermente ammansita) Intendo dire che lei non sia qui (tonica) Desidero che resti nell’aria il profumo della vostra riconoscenza, e il calore di tutti. Di tutti tranne uno, a quanto sembra (ampi gesti come a raccogliere fiori e applausi, inchino ripetuto, vezzosamente avvolge a metà la vestaglia intorno alla vita. Sbadiglia in un a parte più che teatrale. Torna lentamente verso la toilette. Al polso sinistro ciondola il bracciale troppo ampio, che si sfila e cade. Si siede con fare composto, sistema le natiche sullo sgabello troppo stretto, con un gesto che avrebbe fatto davanti a un’amica ma non a estranei. Muove appena la testa verso la quinta destra).

Lei: guarda, Piero, per favore, mi è caduto il bracciale, e la mia schiena…questa serata è stata più pesante e più lunga del solito! E tutte quelle domande subito dopo… Ma no, scusa, faccio io (raccoglie il bracciale), tu pensa piuttosto a…no, no davvero, non sono in grado di ricevere nessuno! E poi tutto lascia credere che là fuori la cosa non sia ancora finita. I fiori lasciali sulla panca, va bene?

Pausa. Seguita a lambiccarsi il viso con manovre poco più che stilizzate, accenna due o tre diverse acconciature, il tacco si infilza in un foglio e lei cerca di liberarsene senza successo. Il foglio rimarrà attaccato al tacco. Un gesto ‘leggiadro’ intorno alla testa scarmigliata.

Lei: i fiori, chi li ha mandati? Come? Chi? Quel povero idiota del Commendator…lasciamo perdere, non voglio nemmeno pronunciare il nome di quel patetico buffone…Ma l’hai visto? Pancia allo Pancho Villa (ridacchia), panciotto sbottonato da padrone della piantagione…davvero non credo che sotto ci nasconda la mitraglia di un Emiliano Zapata! Ra-ta-ra-ta-ra-ta-ta-ta…(simula la sventagliata di mitra, si porta le mani sul ventre, lo carezza con luttuosa voluttà) Come? No, Piero, non c’è nessuno…parlavo da sola. Ne ho bisogno, dopo tutto quel can-can…

Pausa. Si versa un bicchiere d’acqua attingendo dalla brocca smaltata in un bicchiere di vetro spesso. Beve con avidità, si asciuga le labbra con gesto maschile, passando sulla bocca il dorso della mano.

Lei: Ah, quel bel Tizio del Caio! Ma come si fa ad affibbiare a una donna di oggi la parlantina di una Regina Vittoria…che ne so…di una Regina Elisabetta…a una come me!...alla Regina…di Saba! (sogghigna, imbarazzata)… alla Regina delle Amazzoni! Quante regine…un…come dice lui? Ah, un alloquio così…così…bah! Da non credere. Ma cos’avranno avuto quelle di tanto diverso fra le (brevissima pausa) labbra? Una rosa? …canina! Sì, una rosa dentata…altro che spine! Ma se credono che io alla fine sia ancora disposta a…Come, Piero, come dici? Ho detto di no, no e poi no! Non sono io la donna-per-tutte-le-stagioni…vuoi ridere? Non sono una pianta sempreverde, sebbene qui (si liscia i fianchi, le anche, il seno) qui dentro, sia sempre primavera…(improvvisa preda di un raptus e di un’allucinazione auditiva) Ah questa poi! Ancora…ancora un…(sceglie la parola) ancora ! Il quarto…(sedata)…e va bè, dopo tutto, diamogli in pasto qualche bell’ossicino spolpato, a quei poveri cagnolini scodinzolanti…

Pausa. Reclina il capo sulla spalla che simultaneamente denuda.

Lei: coraggio…spolpiamo un po’ l’osso (la luce illumina un pallore seducente, sensuale, sapientemente consono al rosa carnicino della vestaglia. Si carezza voluttuosamente la spalla, la mano scende e subito risale alle nuca, alla gola).

Lei: coraggio (si alza con senile lentezza, poi accenna a sedere nuovamente, rimane mezza seduta mezza in piedi, e in un rallenty studiato come in moviola ripete a memoria la parte). E’ fuori, che non va. Fuori l’autunno avanza. Tombe, crisantemi. Nuvole grigioperla sopra un cielo uniforme, vasta tela. Fuori i fuori…(incespica nelle parole e simultaneamente nella scarpa, mentre si avvicina al pubblico), fiori i fuori, al diavolo…fuori i fiori ingialliscono nel verde…nel verde…no, non era nel verde…ah, sì, fuori i fiori ingialliscono nel verde timido inchino di un inverno che non riesce…che non riesce a…sloggiare…l’estate: però, non la ricordavo così identica…(ridacchia)…ma è autentica, poi? o era diversa? (voltandosi pienamente verso il pubblico, ormai sul proscenio) fuori i fiori ingialliscono nel verde…là dove tutto si perde…in un inverno che non riesce a sfoggiare l’estate…sotto un velo che non nasconde e non protegge più nulla, o nient’altro che il suo fiore avvizzito nella serra del tempo…là dove sine (brevissima pausa) die si procrastina il lutto per la morte del Primo Fiore…là dove un lampo…un lampo…(si schermisce da un flash immaginario che la interrompe e al contempo la rianima, si inchina, manda baci a destra e sinistra, accenna a una ripresa) là dove un lampo…un lampo (si porta le mani alle orecchie, quindi a contenere gli applausi, le grida, finge magistralmente di non poter proseguire)…sì, un lampo (sorride con condiscendenza, sommersa dall’ovazione, ma non le è concesso di terminare la battuta: si arrende. Le mani sui fianchi, si volta badando a sottolineare le ancor sode movenze delle natiche, delle anche, e torna alla toilette).

Nell’atto di sedersi, le spalle al pubblico, come richiamata da una voce in sala, si volta in punta di piedi, le gambe in una mezza piroetta statica, volge lo sguardo nella direzione del richiamo, uno sguardo furtivo, eventualmente sottolineato da una mano portata all’orecchio, come a dire, ha forse detto qualcosa? E col dito sul petto: proprio a me? Infine, scuote amabilmente la testa, in segno di casto, melanconico diniego. Un sorriso luttuoso incornicia il suo viso. Quindi siede alla toilette.

Seduta, le spalle al pubblico, accende una lunghissima sigaretta (in mancanza d’altro una More scura, che farà capolino fra la spalla sinistra e la guancia. Con un gesto che ricorderà il ‘vuoi accendere?’ detto a qualcuno con la sigaretta spenta in bocca, accende la candela, e le loro immagini sono riflesse per tutti dallo specchio lievemente inclinato verso il basso).

Beve un sorso dal grande bicchiere di vetro opaco, che deve ricordare i corposi utensili del desco contadino: l’opposto del cristallo. Qualcosa meno di un gargarismo ma un po’ più di una normale deglutizione. Due secondi.

Lei: basta (spegne la sigaretta sullo specchio). Cedere così stupidamente…accettare così su due piedi…Per poi dover rinviare, com’è che dice lui?, si-ne-di-e…al diavolo (urta la gamba della toilette, che vacilla: possibilmente, anche l’immagine allo specchio trema per il contraccolpo. Nel tentativo di raddrizzare la toilette rovescia la brocca, possibilmente in modo che l’acqua dilaghi verso il proscenio: simultaneamente ruota il busto verso il pubblico, movimenti e parole accelerate come nelle comiche) ah-chi-sono-io-in-verità?...(ruota verso lo specchio)...e tutto per ascoltare sino all’ultima goccia la sua flaccida confessione botanica…Ma se davvero vogliono sapere tutto di me, perché continuano a spellarsi le mani per sentirsi sputare in faccia la solita solfa…e, si badi bene, sempre la penultima…(ghigna, mezza rotazione verso il pubblico, come prima)…ah-quando-mi-hanno-chiesto-il-mio-primo-ancora?...(verso lo specchio)…non gli basta avermi vista…non basta loro (sottolinea l’eleganza del ‘basta loro’) avermi vinta…ma davvero non capiscono che sono stanca?…(mezza rotazione verso il pubblico, sempre più convulsa)…sì, sono stanca, molto stanca, ma certo, cari i miei signori, certo che bisogna tener duro, quando si sceglie il mio stile di vita…(mezza rotazione verso la quinta destra, tono di confidenziale affanno)…no, Piero, adesso vado io…falli aspettare un momento…soltanto un momento, fammi questo dono…(verso il pubblico)…questo dono che voi lo sapete è l’arte stessa…(verso Piero)… ho rotto la brocca, trovane un’altra per i fiori, o buttali dal balcone...(verso il pubblico)…e dal balcone dell’arte ci si getta dal quinto piano anche e anzi soprattutto quando si abita all’ammezzato (tenta di ridere, poi subito verso Piero)…specie se non si ha il dono dell’ubiquità. C’è ancora un balcone là fuori? (pausa non brevissima)…un balcone che si affacci sui fiori…(pausa breve, accelera) ma è fuori che non va (vasto gesto a significare la sala)…laggiù proprio non va…(stremata, come rispondendo a richiamo estremo ma bisbigliando per sé sola)…vengo, va bene, vengo subito! (si alza con studiata fatica, slaccia la vestaglia, i seni quasi scoperti annunciano una donna energica, quasi spavalda. Al proscenio, si inchina profondamente, e con un ampio cenno papale acquieta l’uditorio; quindi indica con la mano, il palmo in vista, un punto preciso della sala: lo stesso verso il quale all’inizio aveva indirizzato l’indispettita replica alla domanda sul tramonto).

Lei: no, non c’era offesa nelle mie parole, mi creda… (compiaciuta) né certo era mia intenzione causare tutto questo scompiglio…però non è garbato interrogare una donna sulla sua età, questo lo capisce anche lei, (con irritata non chalance) n’est-ce pàs? (come interrotta da una domanda appetitosa, degna di lei, mezzogiro e cenno verso un’altra zona della sala, improvvisamente solare, raggiante) sì, sono autodidatta, essendo stata allevata in una famiglia povera: i miei non avevano i soldi per farmi studiare, e l’idea che diventassi quello che poi sono diventata…beh, potete immaginarlo (ride, affettando la rapidità con cui si ricompone)…fu molto, molto duro fargli digerire la mia carriera artistica…(tossisce, si porta la mano alla gola)…in una famiglia dove si faticava a digerire la cena! (tenta di ridere, gesto come a voltar pagina, con la testa guarda altrove, affretta le operazioni)…sì, i primi libri li ho rubati, come sarà certo accaduto a molti di voi (qualcosa la avverte della gaffe quasi irreparabile)…intendo dire di essere derubati, naturalmente (ride, ma si passa una mano sugli occhi, arrossati, poi mesta)…naturalmente…(con crescente ansia, come quando si parla al buio per far luce intorno alla propria angoscia, dirige affannosamente lo sguardo verso l’ennesima domanda) sì? Sì! Quando venne la prima gravidanza dovetti interrompere, va da sè, ma la cosa più buffa è che quasi subito fui interpellata per interpretare la parte di una donna incinta! (occhiata in finto tralice) Se rifiutai? Li chiamano casi della vita, e questa volta non credo di poter dire che sia capitato a ognuno…a ognuna di voi…(sorride, un velo di mestizia, una mano a mezza spanna dall’orecchio improvvisamente teso verso il camerino)…scusatemi, volete, solo un momento…mi chiamano di là …Piero, Piero, sei tu? Piero! Ma dove ti sei cacciato, sant’Iddio…(fra sé)…bah, si sarà stufato di aspettare…avrà origliato anche stasera! E non bastava ripetere le parole altrui, no, ovvio che non bastava…no!..tutti si stancano di aspettare, prima o poi…Ne hanno tutti profittato per chiedermi di blaterare quelle…(studiata, si passa un rossetto rosso sulle labbra, lo getta: come se fosse finito - ma non lo è)…astruse sciocchezze…tutti, nessuno escluso…(fruga intorno alla toilette)…Dio mio! Ma dov’è finito l’altro…che io sia maledetta…dove l’avrò messo…(seguita a maneggiare rossetti, scartandoli come se ne cercasse uno speciale)…ma vuoi vedere…vuoi davvero vedere…era qui…ma certo che era qui! Ricordo benissimo di averlo appoggiato qui, in serate come questa se ne ingoia a chili…è così chiaro, è stato lui…l’ha preso lui, profittando del fatto che io ero impegnata di là…incredibile, questa poi…ma tutti se ne approfittano…è facile, con una donna…(schiocca le labbra, quindi con un dito rimuove residui di rossetto).

Breve pausa. Con il piede sinistro fruga fra astucci aperti e calze autoreggenti sparpagliate a terra, vi lascia trascorrere uno sguardo assente. Rallentando il movimento del piede si sfila una scarpa, muove il piede come un arco di violino a sfiorare il pavimento. Lo ritrae improvvisa.

Lei: Spine! Anche qui…Piero, e tu te ne vai proprio adesso…e te ne vai come un ladro…senza dire niente, senza un cenno, senza un saluto…e proprio mentre stavamo per parlare di noi, di te e di me, del no stroan ticosod…(accenna a un balbettio che si tramuta in un colpo di tosse, poi a raffica) del nostro ‘antico sodalizio nell’arte’? (si adopera per conferire tono e atmosfera alle parole)…proprio adesso che nulla contava più per noi se non noi, nulla di laggiù, di là fuori, proprio ora che soltanto qui, qui dentro…(stesso gesto ‘autoerotico’ dell’inizio e della ‘donna in perenne fioritura’)…come? Cosa? (forzata, come a convincersi del fatto che ha una voce e un udito, intonazione isterica) Ma allora sei lì! Stupido scherzo. Ma sì, ma sì che corro, lo sai…sì certo che vengo…senza nemmeno cambiarmi, se vuoi! (mezzo a parte, mezza imboccata al pubblico) Sei tu, vero? (tende l’orecchio, quindi con artificiosa convinzione che sia lui) Eppure sai che devo finire là fuori…là con loro…lo sai. Ma pare proprio che di là ci sia ancora qualcuno che scalpita per ricevere dritto in faccia il vecchio sputo secco della tiritera…la solita, supersolita solfa…del flaccido scudiscio sentimentale!….che assurdità…sentir ripetere a iosa quelle quattro idiozie sull’autunno! (dubbio che subito dilegua) Ma se è questo che vogliono, via!, diamoci in pasto ai ‘leoni’. Chi è in fondo l’Imperatore d’oggi? Non è forse colui che cede ai capricci dei più stupidi? Vogliono l’arena? (incipiente eccitamento, fazzoletto che sbuca da un manica ad asciugare il sudore) E l’arena sia (cammina obliquamente verso il proscenio).

Lei: è là fuori che non va…(con impeccabile maestria si dispone frontalmente proprio sul limite)…è laggiù che proprio non va…Dio perché mi ripeti (glissa sulla desinenza)? E’ allora che le foglie ingialliscono nel verde…nel ‘sempreverde sepolcreto dell’autunno’…o forse era ‘segreto’? ma non faceva prima a dire vecchiaia? o era invece ‘sepolcro’?…(bisbiglia affinchè solo la prima fila possa decriptare) Ah! e chi si ricorda…(di nuovo per tutti) perché è questo, sapete, il privilegio dell’età…dire la verità, dare pane al pane…e denti ai denti…(ride sguaiata)…parlare liberamente, sì, come a scuola quando non c’è più neanche il bidello a spiarti nello spogliatoio…e farla finita col segreto (dubbio che dilegua, e nell’attimo in cui ancor più fugace pur riappare)…far la finta col sepolcro…(e nello sprazzo di un mezzo sorriso…)…non è questo che chiedevate? Ebbene, potete averlo. Chi è in fondo l’Imperatrice d’oggi? (Impostata, oleografica) E’ là fuori che non va…è laggiù che le foglie ingialliscono nel verde, là dove si perde il sentiero fra le ombrose serpentine del sottobosco…là dove l’inverno non riesce a sloggiare né a sfoggiare l’estate…là nella serra del tempo ove il cuore palpita nella catacomba di un petto che non sarà più né forse mai fu costretto…(in un finto a parte) in un corsetto che è sempre un po’ più stretto…(sfinita) per starci in due…(si allenta il nastrino che le cinge il seno, esplode in una risata convulsa, si rianima, schiarisce la voce, di nuovo la tosse, gli occhi arrossati)…sì, sono questi i capricci che ha da soddisfare oggigiorno la Coppia Reale.

Breve pausa. Guarda verso il fondo della quinta sinistra, come se qualcuno si accingesse a entrare. Un passo verso di lui, porgendo il fianco al pubblico dischiude impudicamente la vestaglia come in un raptus da perfetta esibizionista, la richiude al volo, china la testa, la rialza, in un a parte quasi senza voce.

Lei: capricciosa, eh? (una mano a inibire però subito l’ingresso della nuova presenza, mezza rotazione verso il pubblico, risponde a una domanda) No, non ho mai saputo chi ha scritto queste parole…(a sé)…sarebbe ben strano se qualcuno le avesse già dette in passato…(all’interlocutore)….ah intendeva il nome? (a sé)…in un passato…e magari nemmeno il suo!…(a un’altra domanda) voglio dire che non l’ho mai conosciuto…(a un’altra) no, non l’ho mai incontrato di persona (a un altro) No, non gli ho mai stretto la mano (a se stessa, adolescente che confessa) No, non ha mai chiesto di conoscermi…(a tutti) e che importanza può avere? (dubbio ‘amletico’) Non sono forse belle, vere, genuine – le sue quattro e pur misere! parole sull’autunno? (breve pausa, tono più energico) E che importanza può mai avere, non sono forse giuste (mani che mimano le tre essenze), potenti, misteriose? (breve pausa, torna al tono più intimo) E che importanza potrebbe avere se sono nostre (si adopera per afferrarle, convincente, perché vengono da fuori) - come nostra è la condanna a sciuparle, avvizzirle, desolarle - nostri i loro insondati capricci, loro i nostri nuvolosi intervalli? (enfatizzando la distanza dall’ultima battuta) No…no, cara signora…nemmeno per sogno…io non…(a se stessa, come prima semiconfessando): io parlo…(di nuovo ‘arrogante’) io ‘recito’, se ancora non si fosse capito. E se anche avessi voluto…ma sì, adesso che Piero mi ha lasciata - anche adesso che Piero mi ha lasciata - (come se non trovasse la giusta disposizione delle parole) - adesso che anche Piero mi ha lasciata, non sono mica stupida, sa?, l’ho capito da sola che anche lui se n’è andato…e chi altri avrebbe potuto abbandonarmi ormai? (per giustificare le prossime parole come conseguenza dell’ultima conclusione)…ma forse ne è valsa la pena…ecco che finalmente posso confidarvelo…: confidarsi…senza…confessare…niente…: questo è il segreto, ma si badi! Udiscano lor signori udiscano! Questo non è il mio segreto…(più mite)…non questo è il mio segreto…(mansueta e, perciò, finemente implausibile) sebbene questo, appena, avessi osato indovinare da ragazza, ma lui, sì lui, proprio lui, mi aveva riso in faccia (ride, un gesto come a cingere un viso), cara la mia attrice! (a parte) e quando si prese il lusso di darmi della p-e-t-t-i-n-a-t-t-r-i-c-e? (a tutti) credi forse di poter sfidare il ‘pubblico odierno’ con i tuoi quattro spruzzi di cipria?! Senza confessione non c’è delitto, aveva detto, e senza delitto non c’è gusto, così aveva detto…Perché non provi a usarle per le parole incrociate? (a un curioso in particolare) Ha ragione, la definizione…‘Donna che nutre senza allattare’: e io avevo pensato: ‘autrice’ – (a tutti, rivelatrice) ma lui ne sapeva una più del Diavolo. Altrice, mi corresse senza che io avessi fiatato: altrice, cara la mia signorina. Altrice. (brevissima pausa) Al diavolo. E: gusto, sottolineò ancora. Gusto! Giusto. (breve pausa riflessiva) Senza delitto non abbaia la cagna, e il pubblico non scodinzola…(breve pausa, si liscia il corpo come per un’imminente apparizione)..senza allusioni, mi capite, senza allusioni ai presenti…(con fatica prova a riprendere il filo dell’intervista; cerca con lo sguardo altri interlocutori, quindi si schermisce il viso).

Si flette sotto il peso delle sue ultime parole, si siede a terra, gambe incrociate che denuda in parte per meglio coprire il pube con il ridondante drappeggio.

Lei: senza allusioni…(si tocca un ginocchio) acqua! (solleva lo sguardo) Gocciola dal soffitto…(di scatto, con tono di comando) Piero! (facendo scorrere pollice e indice della destra)…ma è acqua?.. o vernice?…(annuvolata, parlando a un fantasma)…Piero…(denudando del tutto la coscia destra, ma badando a non scoprire la sinistra, porta un lembo della vestaglia all’altezza degli occhi, quindi lo scosta come se fosse una tenda)…certo che va giù proprio presto la luce al giorno d’oggi…(richiude la ‘tenda’, ricopre meticolosamente la coscia, di scatto, con lo stesso tono con cui prima si rivolgeva a Piero, ora verso una poltrona in sala, si alza per meglio sentire; affidandosi ai soli gesti e a una mimica ormai temprata ‘mima’ il messaggio: come? ha detto qualcosa? Ah, ma guarda…il signore del tramonto! Proprio lui…)…ma no…ma no che non ce l’avevo con lei…ma sì che penso spesso al mio tramonto!…(mesta, condiscendente)…ma sì……Sarei qui altrimenti?….(lieve attenuazione della luce di scena, più opaca sull’ambiente, più calda a crepuscolare su di lei)…qui con lei…qui con voi…(testa protesa a scrutare movimenti imprevisti nelle ultime fila) ma perché ve ne andate? (segue qualcuno che si avvicina, si scansa, come se lui passasse sul palco calpestandole le immaginarie falde della vestaglia; ne segue l’uscita di scena con aria desolata) Non ho forse accontentato ogni vostro sia pur minimo, sia pur puerile, sia pur assurdo desiderio? Non vi ho forse nutriti, blanditi, vezzeggiati?...no, non rimpinzati…(con la testa segue il passaggio dalla sala al palco di un nuovo disertore) Capisco, il cane non si eccita con un osso non più conteso…(sprezzante con lui, a tutti)…E cos’altro dovrei raccontare? La mia vita…intima? Eccola, è qui davanti a voi! Siete voi a non essere più qui…come Piero, tutti uguali…e lei signora, lei non ha qualche residua curiosità sul mio passato – forse sul mio sogno ricorrente – anzi meglio, sul più insolente, sul più stupido, sul più crudele dei miei incubi estivi? Un sole che non tramonta mai! (castigata)…Come per gli Esquimesi…(ribelle)…e se io fossi invece una polinesiana che questo sole perenne ha spelacchiato sino al midollo, bianca come la Vergine Maria – ma chissà poi com’era sotto sotto, colei che tutti dicono Beata? E se fosse (rapida rettifica) e se fossi una delinquente sfuggita alla giustizia grazie alla non certo gratuita connivenza di un ‘impresario’…(vendicativa, a sorpresa contro l’interlocutore del tramonto)…chi è costui non lo indovina? Ma è l’Imperatore del Lebbrosario!…(a tutti)…sull’orlo del fallimento? (pausa ‘celebrativa’, quindi tutto d’un fiato) E se fossi una prostituta sfuggita al suo magnaccia grazie a un buco nel collant con cui lui nascondeva il suo bel visino francese durante le rapine in banca? (pausa, compiaciuta della frase appena pronunciata). E se fossi…vediamo…(ormai scolastica) se fossi una profuga, una negromante, una pasticcera ungherese venuta chissà da dove per rivelare a chissà chi i leggendari segreti della pasticceria ungherese? (dubitabonda) …ossi-e-se fossi e-se-fossi…chiunque fossi…(breve pausa, come ricucendo un filo diverso, poi di scatto assegna la congettura a una poltrona particolare)…ma certo che ha indovinato la signora che siede lì…proprio lì…sulla poltrona 17…sì proprio quella vuota…fossi una Elena…fossimo in due? Mai e poi mai! La sua poltrona è vuota, non a caso signora…anche lei Elena, ma guarda!...non si chiamava così la fortunata che scatenò la guerra di Troia? E chissà perché poi non l’hanno chiamata la guerra di Elena…(meno eccitata e convinta)…forse perché era proprio una troia…(affranta)…quella che volevano portare in trionfo…(sporge leggermente la testa verso la prima fila, come per avvicinare gli occhi allo specchio, si prende la testa fra le mani, corre allo sgabello).

Evitando di guardarsi, possibilmente con la testa ancora verso il pubblico, gira lo specchio, si sistema sullo sgabello, si aggiusta i capelli, guarda cautamente nell’ovale opaco. 

Lei: ma no. Cosa cambia.. Vieni anche tu. (breve pausa) Via, moltiplichiamoci. (raddrizza lo specchio, quindi si scosta galantemente e con un flebile gesto invita il pubblico a rimirarvisi. Con calma torna a sedere, solleva da terra il bicchiere mezzo pieno, beve un sorso e d’improvviso lo sputa contro lo specchio – spegnendo al tempo stesso la candela. Seduta, le spalle al pubblico) Et voilà, due incendi domati con un unico scroscettino di pioggia! Ecco cosa c’era di diverso questa sera! E visto che proprio non osate chiederlo, sarò io a dirvelo! (breve pausa. Si abbraccia, o meglio lo lascia credere. In realtà tenta di grattarsi una vertebra) Che mi prude nell’unico punto dove soltanto uno scimpanzé potrebbe grattarsi! (in fretta cambia discorso e di scatto si volta verso il pubblico) Come come? Perché non sono tornata sul palco con il mazzo di rose rosse?! Perché non erano rose…(cenno di sarcasmo)…dico male, Piero? (testa reclinata da un lato, come se lui la carezzasse) E soprattutto, non erano rosse.

Pausa. Accenna a concludere. Sfiora con mesta lascivia gli oggetti che la incarnano e la circondano: un paio di calze bucate, il pettine, un portacipria sul quale soffia con dolorosa voluttà. Finalmente credibile nella parte di una attrice che entra in scena, manifesta la soglia immaginaria con una sfumatura nell’espressione e una leggera erezione del viso. Un passo verso il proscenio.

Lei: non erano rose, l’avevate certo intuito. Non erano rose perché non c’erano rose: non ci sono rose, (garbato tentativo pontificatore) nè sono le rose a esserci. Ma le spine. Bensì le spine. (breve pausa, sorride con intimo e giustificato compiacimento). Solo le spine. E forse nemmeno. E’ questa la difficoltà. Accompagnarvi fra le spine di un roveto sempreverde. Accontentarvi, malgrado tutto (leggerissima incrinatura vocale) Ou bien, malgrè tout. Pour vous donner toute moi-meme…(lentamente si avvia verso la quinta sinistra, prende il trench, meglio verde che panna, e lo indossa) Ma è vero, credetemi, il segreto è confidarsi senza confessare…(si avvicina alla gabbietta, accenna a prendere il cappello che però le scivola dalle mani, né lei lo raccoglie) Per voi voglio però infrangere la (come se leggesse un testo) ‘legge che io stessa mi ero data da ragazza’. La verità è che non mi sono mai confessata, nemmeno a lui (indica lo specchio con un cenno sprezzante, senza togliere le mani di tasca)…che ragione avrei avuto per sopportare l’eternità del suo (leggero sforzo) vescovile silenzio? (rovescia lo specchio, possibilmente con un colpo di gomito, alternativamente spingendolo con un oggetto, un pettine per esempio, e si concede un’ultima aggiustatina) Tanto più che non ci fu mai nessuno, oltre a me e a lui…(seduta con la testa china, il bavero sollevato, i capelli scarmigliati all’indietro. Pausa ad libitum. La testa che ora copre quasi del tutto l’ovale cieco)…Oh, mi potrà mai perdonare! Non l’avevo proprio notata…(si volta senza alzarsi verso la poltrona iniziale) lei…lei! era dunque rimasto al suo posto! (ecumenica, si alza, due passi verso il proscenio, tende il collo e acuisce lo sguardo verso il fondo sala) Mi scusi davvero…laggiù nell’ombra…là fuori (tenta di ridere) o forse dovrei dire ‘là dentro’? - proprio non va (in fretta, quasi come su un lapsus), ma basta con questa vecchia tiritera, davvero non vuole sentirne una nuova? (fregatina di mani) Allora sì? (finge di consultare l’archivio mnestico)…vediamo…(eureka!) ecco, questa mi pare faccia proprio al caso suo! (rapido passaggio estate-inverno sul suo volto, gesto ermetico a introdurre la sontuosa giravolta, durante la quale lascia cadere il trench e resta in vestaglia, spalle al pubblico, voce pseudonasale il più possibile atona, facoltativamente in perfetta sovrapposizione con un metallico play-back): ‘Il ritrovamento soltanto oggi, a cinque giorni dalla presumibile data della morte – verosimilmente causata da infarto. (pausa tecnica) Nessuno ha chiamato i soccorsi – per lo meno, non così tempestivamente. (stacco, da voce speaker radio a voce che commenta stile ‘spettatrice indiavolata che si alza e prende la parola’) E chi muore più di infarto ormai per una vecchia pelle d’asino su cui nessun padrone ha mai battuto nemmeno in ritirata?! (sottolinea i fianchi ancora sinuosi, e con perfetto aplomb vocale torna alla speaker) Quando la lettiga è giunta sul posto, ha trovato l’uomo col pennello ancora in mano…(ride sguaiatamente, casalinga che commenta la radio a voce alta)…e i barellieri…! (soppesa la mano vuota, le dita a brandire un immaginario pennello che scrive nell’aria)…lui col pennello in una mano (l’altra mano va alla bocca e simula la spalmata i rossetto)…e il suo rossetto nell’altra…(voce da speaker) e i barellieri! assiepati (a parte) come se una mano…(speaker)…davanti al cavalletto…e si sono messi a guardare (ridacchia) a guardare!...(speaker)..e così molte altre persone si sono fermate per assistere all’insolita scena…(commentatrice polemica con la precedente: compresa, drammatica)…insolita…i barellieri guardavano e lui era morto…e loro dietro: autisti, artisti, altruisti, altaristi…a guardare le parole che lui aveva scritto…col rossetto!…(di nuovo intervistata)…e i passanti zitti zitti…(a parte) quatti quatti…‘Come se sulle sue labbra ischeletrìte dalla lussuria (gesto paterno a mimare un ravvedimento)…e niente che potesse farle cambiare idea…(lentamente lascia cadere al suolo la vestaglia, che svela una schiena arcuata, carnosa, appena affaticata ma fiera. Il collo lentamente si erge, il capo leggermente all’indietro)…niente che riuscisse a fermarle la mano…(si sfiora, appena, intimamente)…nulla che potesse indurla a concentrarsi sulla bocca…e farla parlare…soltanto parlare…e tacere per il resto…la sua bocca… ‘splendida caverna sempreverde’ ’.

Breve pausa immobile, quindi si volta mostrando un sorriso stampato, sottolineato da una luce impietosa che non lascia vedere nient’altro se non tracce di trucco e sbavature di rossetto): ah davvero vuole sapere da dove venivano tutti gli altri ‘curiosi’? Glielo dirò io: venivano da là dove io e lei…dove eravamo rimasti? (breve pausa. Finge di cercare – con un dito, con lo sguardo – un luogo nello spazio circostante, e coglie il pretesto per voltarsi. Spalle al pubblico, come prima, movimenti replicati, mani sul collo a spingere in fuori la vestaglia) Già, alla mia infanzia. Da non crederci, nemmeno se gliela raccontassi! (breve pausa) Ma davvero vuol sapere cosa mangiavamo a cena? Glielo dico subito (la vestaglia denuda la schiena sino all’osso sacro), sono esperta, sa, nell’apparecchiare questo genere di tavole!, glielo dico io, caro il mio signore, cosa mangiavamo a cena. Fra un osso e l’altro tutti cercavamo un po’ di carne…(vestaglia a mezze natiche trattenuta da due mani tese come nel gesto che regge la tazzina di the all’inglese: mignoli ad ansa)…tutti, mi creda, nessuno escluso, non cercano altro che un po’ di carne…(nuda, sempre di schiena), tutti…(brevissima pausa, una mano copre il seno sinistro, l’altra il pube, i gomiti leggermente discosti dai fianchi)…a cominciare da lei.

Flash violento sul corpo a partire dal collo, un faro rotante, tipo vedetta, sull’appendiabiti e sulla toilette. Due secondi; buio.