LUNA DI MIELE

di

Roberto Cavosi


PERSONAGGI:

AUGUSTO: Operaio alla Montecatini. Senese, "importato" in Alto Adige in virtu' dei piani fascisti di italianizzazione del Sudtirolo.
CLARA: Sua sorella, piu' giovane di qualche anno. Maestra.


Entrambi hanno la pelle curiosamente gialla, giallo limone. Augusto molto di piu' che Clara. E' il risultato della lavorazione in fabbrica del solforico.


Quindici Agosto 1938. Il modesto salotto﷓ingresso di un appartamento a Borgo Vittoria, un borghetto costituito da una piazza rettangolare chiusa sui due lati piu' lunghi da due file di case a tre piani e da una chiesa su uno dei lati piu' corti, il lato aperto da' invece su una stradina che porta alla strada provinciale che collega Merano a Bolzano. Il Borgo e' situato a pochi chilometri da Merano e ad alcune centinaia di metri dalla fabbrica della Montedison. E' un agglomerato di case fatto costruire apposta da Mussolini come alloggio per gli operai della fabbrica.

E' quasi il tramonto, Augusto, in perfetta camicia nera, sta leggendo sul divano un giornale sportivo. E' nervoso. Alla radio trasmettono canzonette che lui cerca ogni tanto di seguire tanto per allentare la tensione. Dalla porta d'ingresso entra Clara, e' accaldata ed anche lei non pare del tutto tranquilla. Ha una gonna a pieghe ed una camicetta bianca.


Augusto: (Polemico, da dietro il giornale) Buona sera.

Clara: Ciao.

Augusto: Ho detto buona sera!

Clara: Ma va?

Augusto: (Abbassa il giornale) No, perche' se dico buona sera, vuol dire buona sera. (spegne la radio)

Clara: Se lo dici tu Augusto nessuno lo mette in dubbio. (fa per andare verso camera sua)

Augusto: Dove vai? (La ferma per un braccio)

Clara: In camera mia. Ho la camicia zuppa di sudore, vorrei cambiarmela.

Augusto: Lo sai che ore sono?

Clara: Si: le sette, sette e un quarto. (Con uno strattone si libera il braccio)

Augusto: Non mi dai nemmeno un bacio?

Clara: No. Posso andarmi a cambiare la camicia?

Augusto: No. Posso sapere cosa hai fatto tutto il giorno?

Clara: Sono andata al raduno fascista, ho dovuto portare gli studenti che non erano andati alle colonie.

Augusto: Perche' non me l'hai detto che andavi li'?

Clara: Pensavo lo sapessi. Augusto fa caldo fammi andare a cambiare la camicia.

Augusto: Fa caldo anche per me. E' tutto il giorno che ti aspetto.

Clara: Mi dispiace.

Augusto: E' stato il ferragosto piu' brutto della mia vita. Avevamo fatto dei progetti, dovevamo andare a fare il bagno al fiume.

Clara: Non e' colpa mia, mi hanno avvertito ieri che al raduno gli studenti dovevo portarli io.

Augusto: Ci sono almeno venti maestre tra Merano e Borgo Vittoria. Proprio te dovevano scegliere?

Clara: Anch'io non sono andata alle colonie. Ne' a casa nostra a Siena ne' in nessun altro posto del mondo.

Augusto: Questa e' la nostra casa, il mondo fascista e' la nostra casa.

Clara: Questa sara' casa tua, non la mia.

Augusto: Clara, questa mattina te ne sei sgusciata fuori dall'uscio come un ladro. E non e' la prima mattina che lo fai.

Clara: Non ti preoccupare non succedera' piu'. Comunque era solo per non svegliarti.

Augusto: Com'e' stato il raduno?

Clara: (Ironica) Commovente. Perche' in questo schifo di posto, non solo l'inverno c'e' un freddo becco peggio che in Russia ma l'estate si crepa dal caldo! Guarda quelle montagne puzzolenti, sembra lo facciano apposta a non far passare il vento. Sono un muro di idiozia, come le mura di questa casa.

Augusto: Sono le montagne piu' belle d'Italia.

Clara: Italia? Ma se parlano tutti tedesco. Sono due anni che a fatica cerco d'insegnare quel poco che so. Ma niente. Non mi ascoltano. E naturalmente e' capitata a me una classe tutta di alloglotti. Dovresti venire in classe qualche volta, mi guardano come se fossi scema. Con quei loro occhioni azzurri. Sono bambini di sei, sette anni e ti fanno sentire un minorato mentale. Ci vorrebbe una picozza per fargli entrare nella zucca qualche cosa.

Augusto: Facciamo domanda per spostari di classe. Io sono ben ritenuto nel partito. Da Merano ti faccio spostare qui a Sinigo, a Borgo Vittoria, in una classe di soli italiani.

Clara: Peggio. Le classi sono sporche, sono piene di topi. Sono tutti i figli di poveracci importati a forza quassu'. E' un'accozaglia di gente che sembra viva in una tribu'!

Augusto: Sei indecente. Non si parla cosi'. Gli sforzi che stiamo facendo stanno onorando seicentomila alpini caduti per conquistare questo posto.

Clara: Ma quand'e' che imparerai a ragionare con la tua testa, eh? Bravo, mostra con orgoglio la tua "cimice" (Gli tocca il distintivo fascista sulla camicia), come la chiamano gli operai e sostituiscila ai sentimenti.

Augusto: (Sibilando) Il distintivo e' lo stesso pane che mangiamo tutti i giorni. Ricordatelo!

Clara: Si, si. Me lo ricordo. Questo posto, questa terra che non e' la nostra. Tutti che parlano tedesco. E se non parlano lo pensano. Io lo vedo quando mi guardano, quando mi odiano, non aprono bocca ma nel loro cervello sento ribollire canti gotici, inni alle Walchirie.

Augusto: In fabbrica tutti sanno l'italiano e nessuno si lamenta come te.

Clara: Grazie che sanno l'italiano, sono tutti italiani.

Augusto: Non e' vero, ed e' il risultato della campagna di italianizzazione fatta da Mussolini per l'Alto Adige. (Cita una poesia) "A chi puo' il cuor balzar piu' forte?/ Ch'io qui veniva ignoto esploratore/ quando tutto era intorno squallore/ e lucore maligno."

Clara: (Desolata) Mamma mia. Che il Signore ti protegga. 

Augusto: E' una poesia. Una grande poesia fascista. Dedicata a noi coloni.

Clara: Se tu vuoi fare parte di una campagna di italianizzazione, se vuoi fare il colono, fai pure, io non ne posso piu'.

Augusto: Si puo' sapere che hai? Sono giorni che mi eviti, che nemmeno mi tocchi e adesso te ne vieni fuori con questi bei discorsi disfattisti.

Clara: Fammi andare a cambiare, vedrai che mi passera'.

Augusto: Cambiare un accidente! Tu mi devi spiegare, e spiegare eccome.

Clara: Guarda che l'ho gia' fatto. Tu non fai la maestra, fai l'operaio sei stato piu' fortunato. Io ho quasi trent'anni, voglio un lavoro a Siena, dove ce l'hanno le mie amiche.

Augusto: Ma qui ti pagano di piu', ci danno anche la casa. Non ci fanno mancare niente.

Clara: Sei sicuro che non ti manca niente?

Augusto: A te si?

Clara: Ma sei stupido o ci fai? Dammi questo giornale! Cosa leggevi eh, che notizie cercavi?
Augusto: Niente, leggevo aspettandoti.

Clara: Lo sai che oggi c'e' il palio dell'Assunta, lo sai?

Augusta: Certo che lo so, che vuol dire? E' come sapere che a Natale e' nato il Signore.

Clara: E ti pare niente?

Augusto: (Insicuro) Noi...noi siamo partecipi di un progetto piu' grande dei nostri piccoli sentimenti. Pensa solo a questo Borgo dove viviamo. E' il frutto del lavoro di tanti uomini, la fabbrica qui vicino: dobbiamo essere orgogliosi di questo. Ecco, ecco: Borgo Vittoria l'hanno chiamato e non potevano dargli nome piu' sacrosanto. Ed e' bello andare alla Montecatini tutte le mattine, regolare i compressori, vedere crearsi l'ammoniaca, l'acido nitrico, i fertilizzanti, e poi al tramonto percorrere la strada bianca e tornare qui da te. La domenica andare a messa...

Clara: Ma se non ci sei mai andato.

Augusto: Che c'entra, potrei sempre cominciare. Potremo andarci insieme, magari gia' questa domenica. Tu ci vai sempre. Se vengo anch'io magari ti fa piacere.

Clara: Cos'e' hai una crisi mistica?

Augusto: E anche se fosse? Guarda com'e' bella la chiesetta: (Guarda dalla finestra) una bella scalinatina, e poi la facciata. Oddio e' piccina non e' certo Santa Croce, ma e' il concetto che conta. Vedi com'e' perfetta questa piazza. Una fila di case qua, una dalla parte opposta e la chiesa.

Clara: Smittila di giocare.

Augusto: E chi gioca?

Clara: Tu non hai caldo?

Augusto: Me lo fai venire tu il caldo.

Clara: Credo che noi due si debba parlare, sai. Lo credo davvero.

Augusto: Ah, buona sera! Finalmente ci capiamo.

Clara: Sarei ingiusta se non lo facessi.

Augusto: Ma perche' che tu c'hai da dirmi? 

Clara: Che succede adesso ti spaventi?

Augusto: Io spaventarmi? Sei tu quella che deve aver paura se non mi racconti le cose a modo.

Clara: Come sei ingenuo fratello. Ma e' possibile che tu abbia solo segatura in quella testaccia che ti ritrovi.

Augusto: Hei, non mi hai mai parlato cosi'. Non ti puoi permettere.

Clara: Si che mi posso permettere, anche se ho sbagliato. Ma cio' non toglie che se volessi mi potrei permettere eccome. O no?

Augusto: Allora che avevi da dirmi?

Clara: Gia'...il sole sta tramontando.

Augusto: Si, e' una cosa che succede un po' tutti i giorni.

Clara: Ti ricordi quando mori' la mamma? Era un tramonto come questo. Che impressione: ci portarono a darle l'ultimo saluto nella sua camera. Io non l'ho mai perdonata al babbo d'averci portati la'. Quella bocca spalancata, e quel caldo. Al raduno oggi non ho pensato ad altro. Mi sembrava di essere nella camera della mamma.

Augusto: Si era molto caldo in quella camera, piu' di oggi pero'.

Clara: Come mori' scappammo in cantina, e ci abbracciammo a lungo.

Augusto: Finche' io non vomitai. Che vergogna ero il piu' grande e anche il piu' piagnone.

Clara: Si eri il piu' grande, ma avevi anche solo otto anni.

Augusto: E tu cinque. E ti sporcai tutto il vestito, sulla schiena. Quella in realta' fu la vera vergogna, anche adesso se ci ripenso mi sento male. Ti paralizzasti, emettevi solo piccolo gemiti: "ahhh, ahhh, toglimi questa roba di dosso" dicevi "toglimela ti prego o non potro' mai piu' muovermi da qui."

Clara: Scappasti.

Augusto: Ma poi ritornai, a pulirti.

Clara: Gia'...a pulirmi.

Augusto: Allora gia' andavi in chiesa, ci stavi tanto tempo, ti chiamavo Santa Caterina per prenderti in giro. Ci sei andata oggi?

Clara: Si, ma a Merano, a Santo Spirito, tanto il raduno si faceva li' dietro: alla Casa del Popolo.

Augusto: Anch'io sono andato a messa oggi. Speravo di trovarti la'. Il parroco mi ha salutato con un grande sorriso, non gli pareva vero di vedermi. Mi sono andato anche a confessare, ci credi? Si perche' il parroco oltre a sorridermi mi ha detto:"andatevi subito a confessare o non posso certo darvi la comunione!" Ehh, sa il suo mestiere quell'omarino, mi fa simpatia solo perche' si veste di nero.

Clara: E cosa hai detto al confessore?

Augusto: Non mi ricordavo bene la formula, cosi' mi ha aiutato lui.

Clara: Anche nel dire i peccati: ha detto i suoi al posto dei tuoi?

Augusto: Praticamente.D'altronde che peccati potrei avere? Non sono sposato, vado in fabbrica e torno a casa, la mia vita e' tutta qui. Lo sai bene. Lo sai bene che vivo solo per questo.

Clara: Non gli hai detto quanto ti senti solo?

Augusto: Perche' sarebbe un peccato?

Clara: Mortale, caro Augusto.

Augusto: Comunque non e' vero che mi sento solo.

Clara: Forse mi sbaglio, forse il peccato e' solo mio. Dev'essere cosi'. Ma e' una sensazione che ho avuto fin da piccola.

Augusto: Infatti. Ora ho caldo anch'io. E' buffo non l'ho avuto tutto il giorno e ora che il sole va giu'... Dai Claretta, vieni qui, abbracciami.

Clara: Non scherzare.

Augusto: Non scherzo, non scherzo affatto. (Le si avvicina)

Clara: Augusto, per piacere. Sono un bagno di sudore, stai indietro.

Augusto: Beh, stavamo parlando, mi sembrava carino, tra fratelli. E' tutto il giorno che non ti vedo e dio solo sa' quanto mi sei mancata.

Clara: Tiri in ballo Dio adesso? E' meglio che lo lasci dove sta, credimi.

Augusto: E va bene: e il partito solo sa quanto mi sei mancata. Va meglio cosi'?

Clara: Dovevamo restare a Siena, e' stata una follia venire quassu'.

Augusto: Senti bellezza a Siena non avevamo il becco d'un quattrino, non un lavoro, niente.

Clara: Tu non l'avrai avuto forse.

Augusto: Ma va la', facevi solo delle supplenze.

Clara: Nel giro di un anno mi avrebbero messa di ruolo.

Augusto: Forse, ma qui ti c'hanno messa subito. Qui ci trattano da re, abbiamo tutto. E io poi, a me non pensi? Io ero per strada, non avevo piu' modo di campare. Guardami ora, ho una casetta decorosa...

Clara: Non e' tua.

Augusta: E' mia finche' vivro', il che e' consolante, ho una radio.

Clara: Sei un vigliacco ecco cosa sei. Come lo sono io. Va bene, hai la casetta, la radio, il tuo stramaledetto giornale, e poi?

Augusto: Poi cosa?

Clara: Niente. Hai tanti amici voglio dire, tante persone con cui parlare del palio, tanta gente della contrada dell'onda.

Augusto: Non e' facile essere trapiantati in un posto. Sul lavoro ho degli ottimi colleghi.

Clara: Non ne ho mai visto uno qui, ne ti ho mai visto andarne a trovare qualcuno. Giocavi a pallone un tempo, le scarpe sono ancora in valigia. Sono due anni che siamo qui, e nella tua valigia ci sono ancora un sacco di cose.

Augusto: Stupidaggini che non saprei in che altro posto mettere.

Clara: Non vai nemmeno al dopolavoro, eppure e' bello, e' nuovo, grande, a Siena non ce n'e' uno tanto grande. Non sei andato nemmeno alla "befana fascista". E quest'anno per la prima volta l'hanno fatta a Borgo Vittoria, era un'occasione speciale.

Augusto: La "befana fascista"... non abbiamo mica bambini noi, quella e' una festa per bambini.

Clara: Ma fammi il piacere. Gesu', ti prego aiutami. Santa Vergine. Santa Caterina.

Augusto: Ma che cos'e' Pasqua oggi? Natale? Vuoi che ti prenda il rosario?

Clara: Tu dovresti prenderlo il rosario. Anzi esci, vai al dopolavoro. Non ho piu' niente da dirti.

Augusto: Il dopolavoro e' distante.

Clara: Ma se e' dall'altra parte della strada, impieghi piu' ad arrivare in fabbrica che al dopolavoro. 

Augusto: Non so giocare a biliardo. Ho provato qualche volta, lo sai, ma non sono buono.

Clara: Tu lo odi questo posto, te lo si legge in faccia.

Augusto: Falla finita! Se Borgo Vittoria, se Merano, se l'Alto Adige non li puoi soffrire parla per te. Hai capito? Smettila di addossarmi sentimenti che non sono i miei.

Clara: E va bene, io lo odio questo posto. Io non lo sopporto piu', io non ce la faccio piu'. Siamo soli, soli come cani rognosi, non so con chi scambiare due parole, non so piu' cosa insegnare, cosa pensare, cosa sognare.

Augusto: Vedremo di fare qualche cosa. Andiamo al fiume tutti i giorni, il Passirio e' un fiume tanto bello, andiamo a fare delle passeggiate in montagna, non ci siamo mai andati, pare che si riescano a vedere anche dei cervi o delle aquile addirittura. Clara, forse e' colpa nostra, forse dobbiamo muoverci di piu' noi, fare delle cose, stare piu' tempo insieme.

Clara: Piu' di quello che gia' stiamo?

Augusto: E' che lo utilizziamo male. Siamo pigri ecco, pigri.

Clara: Io ho paura, non mi va.

Augusto: Cosa non ti va?

Clara: Ho paura di questo posto. Di questa gente. Di noi. Da marzo poi non si vive piu'. Da quando la Germania ha annesso l'Austria, qui mi sembrano tutti matti, mi sembra che abbiano il fuoco negli occhi.

Augusto: Ma che cazzata! Scusa l'espressione, ma e' proprio una cazzata.

Clara: Tu non le avverti queste cose ma io si.

Augusto: Tu sei nervosa, ecco tutto. Ingigantisci ogni cosa, sembri una borghesuccia qualunque.

Clara: Magari lo fossi, credimi. Una squallida borghese, con sentimenti borghesi, morale borghese, paure. Accidenti a me che ti ho seguito, per ridurmi cosi'.

Augusto: Ma cosi' come? Tu faresti perdere la pazienza a un elefante! Basta, Clara, basta, sono stanco.

Clara: A chi lo dici. Puzzo oltretutto. Ho le gambe che non le sento piu'. Mi si sono gonfiate le caviglie. (Si siede, pare molto spossata)

Augusto: A Siena eravamo soli. Non qui. Non avevamo piu' nulla, non un futuro, non un avvenire. Non avevamo piu' nemmeno la casa, il padrone ce l'aveva detto che nonavrebbe potuto lasciarci li' ancora molto.

Clara: Era tre anni che lo diceva.

Augusto: Eppuri eri cosi' entusiasta, forse piu' di me.

Clara: Cercavo di stare allegra per non piangere. Cercavo di far stare bene te.

Augusto: Perche' noi ci vogliamo bene, siamo due buoni fratelli. Non e' vero Clara? Non ci vogliamo bene? (Clara lo guarda, sospira poi riabbassa lo sguardo) Tra poco e' stagione di mele, perche' non ci mettiamo d'accordo con qualche contadino e dopo il lavoro le andiamo a raccogliere. Ti pagano bene sai? Si puo' guadagnare o a cassetta o all'ora. Ma e' meglio all'ora perche' se sei stanco ti imbuchi in un filare lontano dal contadino, all'ombra, raccogli distrattamente solo qualche mela ma guadagni lo stesso.

Clara: (Sarcastica) Si, potremmo raccogliere mele, e poi fare anche la vendemmia. Qui e' il paradiso di mele e uva, non approfittarne significherebbe non volere entrare in paradiso, sarebbe come vivere sempre in purgatorio. Potevamo pensarci gia' l'anno scorso. 

Augusto: Scusa cosa ci sarebbe di male? Lo fanno intere famiglie. Davvero me l'hanno detto in fabbrica, ci vanno anche padre madre e figli.

Clara: Che bel quadretto!

Augusto: Ma che stronza che sei! Cazzo. Maremma bucaiola!

Clara: Io se fossi in te mi terrei di scorta tutti questi bei pensieri per un altro momento.

Augusto: Non va mai bene niente di quello che propongo io. Mai niente. Nemmeno se venissi in chiesa con te ti andrebbe bene. Sembra che ti dia fastidio. Eh si ma tu hai studiato, tu pensi come un filosofo, tu hai sempre ragione. Parli in punta di forchetta, quasi non si sente che sei toscana. Non e' colpa mia se papa' e' morto e per mantenerti ho piantato le ragionerie e mi sono messo a fare l'operaio. Scusami se ti ho fatto studiare.

Clara: Non c'era bisogno di rinfacciarmelo, come se non lo sapessi.

Augusto: Ho fatto di te lo scopo della mia vita, e mai che mi trattassi una volta come meriterei. Che mi dessi retta.

Clara: Sono venuta in Sudtirolo. Non ti basta?

Augusto: Per guardarmi sempre dall'alto in basso? Speravo che saresti stata orgogliosa di tuo fratello. "E' bravo Augusto, lui mi protegge. Non avevamo piu' nulla ma si e' rimboccato le maniche, ed ora possiamo guardare sereni al futuro. Abbiamo un tetto sulla testa, due solidi lavori." Che disgusto.

Clara: Non mi vomiterai ancora addosso?

Augusto: Un po' di riconoscenza potresti mostrarla pero', fingi magari, tanto sono talmente ingenuo che non me ne accorgerei.

Clara: Cosa devo fare? Strisciare ai tuoi piedi. Concessioni ne ho fatte, e anche tante mi sembra. Grazie Augusto, grazie se hai sacrificato tutto te stesso per me. La tua generosita' mi opprime ogni giorno di piu', mi e' entrata dentro, mi mangia le budella. Il tuo altruismo ce l'ho nel sangue ormai.

Augusto: Non ti fare beffe di me.

Clara: E' un cappio al collo, e' una prigione la tua bonta'.

Augusto: Non mi provocare, lo sai che mi monta il sangue alla testa.

Clara: Non so che farmene di te. E' vero mi dai fastidio, mi fai schifo, sento sempre la puzza del tuo vomito addosso, e' da quando siamo piccoli che non risco a togliermela di dosso!

Augusto: (Si avvicina torvo) Sei una troia ecco cosa sei.

Clara: Certo, una bella troia da bordello. Se almeno fossi stato capace di frequentarle le troie, quelle vere.

Augusto: Stai zitta!

Clara: Sei mai andato al bordello? Sta davanti alla stazione. (Augusto la afferra per un braccio facendola alzare dalla sedia) Cosi' potresti vedere anche i treni che partono mentre te ne scopi una. Soffriresti meno. Lasciami andare mi fai male.

Augusto: (Aumentando la presa e piegandola verso il tavolo) Stai zitta.

Clara: No, ma a te non si rizzerebbe con una puttana vera. Non sei mai uscito di casa da quando siamo qui. Sei troppo mammone tu, troppo bovetto. Troppo vigliacco!

Augusto: (La stende sul tavolo) E' tutto il giorno che ti aspetto, sono settimane che ti aspetto.

Clara: Lasciami andare. 

Augusto: (Si slaccia la patta dei pantaloni e con forza allarga le gambe alla sorella) Che diavolo hai nella testa, non sei mai stata cosi'. Ma forse e' colpa mia dovrei essere piu' intraprendente, piu' deciso. Devo essere sicuro come quando ti ho proprosto di venire quassu'. Non devo pregarti, devo farlo e basta.

Clara: Lasciami!

Augusto: Non hai mai fatto cosi', sono sempre stato il tuo fratellino. Sei sempre stata molto generosa, molto affettuosa. Allora fingevi? Non era vero che mi amassi!

Clara: Basta! Basta! Ti prego!

Augusto: Perche'? Non ti piace? Eh, non ti piace? Te la fai con qualc'un'altro?

Clara: Lasciami, ti ho detto! Sono incinta! Sono Incinta!

Augusto: (Si ferma raggelato) Cosa dici?

Clara: Aspetto un bambino.

Augusto: Non e' vero.

Clara: Magari, non lo fosse.

Augusto: No.

Clara: Si, Augusto. Si! Sono incinta!

Augusto: (Le si affloscia sopra) Da quanto?

Clara: Un po'.

Augusto: Un po' quanto?

Clara: Quattro mesi.

Augusto: Perche' non me l'hai detto prima?

Clara: Potresti spostarti? Mi pesi.

Augusto: (Barcollando, si butta sul divano, Clara cerca di rimettersi a posto) Dimmi che non e' vero, che mi volevi solo fermare.

Clara: C'e', c'e' eccome. E' tutto qui dentro.

Augusto: E' mio?

Clara: Idiota. E di chi altro?

Augusto: Perche' non me l'hai detto prima?

Clara: Il sole e' tramontato. Speriamo faccia presto buio, tra queste maledette montagne il buio non viene mai.

Augusto: Perche' non me l'hai detto prima?

Clara: (Ride isterica) Perche' prima volevo chiederti se mi volevi sposare? Ma sono troppo timida e non ne ho avuto il coraggio. Queste cose spettano ai maschi di solito.

Augusto: Avrei capito, non ti avrei tormentata, ti avrei lasciata in pace. Mi avresti evitato questa bella scenetta. 


Clara: Adesso te ne senti in colpa? Se non c'era il bambino, se era solo per me mi avresti violentata?

Augusto: (Scandendo) Potevi dirmelo prima!

Clara: (Scandendo) E pensi che fosse facile?

Augusto: No.

Clara: (Si siede accanto a lui e gli accarezza la testa) Povero Augusto, guarda le tue mani ed il tuo collo sono tutti gialli ormai. Anche il viso lo sta diventando.

Augusto: Un bel giallo limone. O giallo vomito?

Clara: Scusami, ti prego. Non so cosa mi e' capitato, perche' ti ho detto quelle cose. Tu sei buono davvero.

Augusto: No, scusami tu. Non m'era mai successo neanche a me. Non cosi' per lo meno. E forse me le meritavo le cose che mi hai detto. Quella puzza di vomito la sento spesso anch'io. E non la sopporto.

Clara: La puzza che senti tu e' delle esalazioni della fabbrica.

Augusto: (Guradandosi le mani) E' il risultato della lavorazione del solforico, e' inevitabile. Anche tu pero' stai diventando giallina, o e' la vicinanza alla fabbrica o sono io che ti dipingo. Me ne sono accorto l'ultima volta che abbiamo fatto all'amore. La tua pelle era sempre cosi' bianca, i tuoi seni sembravano sempre illuminati dalla luna e io quasi mi vergognavo a toccarti con le mie manacce gialle. Ma l'ultima volta non c'era piu' differenza e in un primo momento pensai di essere tornato bianco anch'io. Pero' no, eri tu Claretta che eri diventata gialla.

Clara: Vedi, senza saperlo sei diventato un artista ed io la tua modella e tela.

Augusto: (Ride) Davvero, un grande artista, senza saperlo, senza volerlo.

Clara: Non andra' mai piu' via. Resteremo per sempre gialli, marchiati come mucche.

Augusto: Cosa faremo?

Clara: Non lo so. Sposiamoci, facciamo un bel matrimonio riparatore. Invece che in bianco mi vestiro' in giallo, ma pazienza.

Augusto: Dio mio. Non potresti dire qualche preghiera?


Clara: Credi che non l'abbia fatto? Giorno e notte. Mi sono appellata a tutti santi che conosco, forse me ne sono anche inventato qualcuno. Non ci volevo credere. E' un brutto sogno mi dicevo, passera'. E' un'incubo. Intanto la notte sognavo una fitta nebbia che mi avvolgeva, una nebbia calda ed umida, sciropposa come l'acido solforico. Copriva tutto Borgo Vittoria, e poi come se fosse dotata di vita propria penetrava nel nostro giroscale e poi da sotto l'uscio finche', entrata in camera mia, veniva a possedermi. Santa Vergine, non ho piu' saliva per nessuna preghiera. Nemmeno oggi che e' il giorno dell'Assunzione. Avrei voluto essere terra, concime, le mura di questa casa, avrei voluto essere parte di queste montagne schifose. Io non vorrei esistere.

Augusto: Se solo mi avessi parlato prima. Ci sono donne che con pochi denari...

Clara: Non ci credevo! Ho vissuto questi ultimi mesi come un'automa. E poi non ne avrei avuto comunque il coraggio.

Augusto: Perche' adesso? A quale coraggio dobbiamo appellarci?

Clara: Siamo stati dei pazzi, dei folli, non abbiamo mai pensato a quello che stavamo facendo. E che io mi sentivo tanto sola, tanto sola.

Augusto: Non abbiamo nulla da rimproveraci. Ognuno ha qualche segreto, noi avevamo il nostro. E non facevamo male a nessuno. Io mi spacco la schiena in quella maledetta fabbrica. Mi alzo alle cinque di mattina tutti i giorni e sgobbo come se fossi un condannato alla Guyana anche quindici o sedici ore. E non posso lamentarmi, non posso dire nulla perche' fuori dal portone ci sono centinaia di persone che tutti giorni bussano, bussano perche' vogliono lavorare e se solo dico "A" mi cacciano e prendono uno di quelli! Ci siamo solo dati un po' d'affetto. Che male facevamo?

Clara: Non lo so, ma ora non ci sentiremo cosi' se non avessimo fatto qualche cosa di male.

Augusto: Io ti amo Clara, lo sai. Anche se sei mia sorella. Io ho solo te al mondo.

Clara: Anch'io ti voglio bene, tanto. E ti amavo, con tutta l'anima, mi ero anche illusa che in questo mondo di merda fosse l'unica cosa bella e giusta che sidovessefare. Ma ora e' diverso, questo figlio mi ha riportata alla realta'.


Augusto: Quale realta'? La realta' non puo' essere che tu non mi ami piu'. E' uno scherzo vero? E' una tua provocazione?

Clara: No.

Augusto: Clara! Per amor del cielo! Un figlio puo' solo unirci di piu', puo' solo renderci piu' felici! E' cio' che desiderano tutti!

Clara: Si, lo copriremo di baci, lo portermo al partito, a messa, magari io saro' la sua maestra. Forse tu, per insegnare a lui, tornerai a giocare a pallone. Sembra una canzone.

Augusto: Ci sara' una via d'uscita?

Clara: Questo e' il frutto della nostra solitudine, e due persone sole, incapaci di vivere nel mondo di tutti, non possono mettere su famiglia, e' una contraddizione in termini. Ti rendi conto?

Augusto: Cambieremo.

Clara: E come? Andando a raccogliere le mele? O andando in montagna a guardare i cervi e le aquile? A parte che non ne avresti il tempo, perche' sei sempre in fabbrica, ma anche se fosse. Nascera' un bel figlio tutto giallo, grondante di acido solforico, puzzera' talmente di zolfo che lo si sentira' da qui a Siena. Cambieremo si, stanne certo.

Augusto: Sai che la mia tuta da lavoro si e' tutta bucata, l'acido ha corroso la lana. Ho gia' fatto tre volte domanda per cambiarla, ma non mi danno retta. Non m'importa per la tuta, ma per le mie camicie si, l'acido, passa dai buchi e corrode le mie camicie. Mi e' rimasta soltanto questa senza buchi. Ma questa non voglio metterla in fabbrica. Se facessero una parata con cosa potrei presentarmi?

Clara: Pensare che era bello accarezzarti, stringerti. Hai saputo farmi dimenticare di me per tanto tempo. Anche troppo.

Augusto: Mi viene da vomitare.

Clara: Si, me l'aspettavo. Esci e vai in bagno.

Augusto: No dovrei passare sul ballatoio, mi vederebbero tutti.

Clara: Perche' tutte le altre volte che sei andato al cesso non ti hanno visto?

Augusto: Ma ora e' diverso. Comunque mi e' gia' passato. Clara?

Clara: Si.

Augusto: Ti ho dato della troia prima. Io non volevo, come non volevo fare quello che ho fatto. Mi credi vero?

Clara: Non ti preoccupare te l'ho gia' detto. E' il risultato della violenza che ci circonda. E poi ti ho spinto io, volevo che mi chiamassi cosi'. Mi ha fatto bene, mi ha scaricato la coscienza.

Augusto: Ma tu non lo sei.

Clara: E' logico che non lo sono, sono peggio.

Augusto: Non dire cosi'.

Clara: Potrei sempre diventare una prostituta, ma non a scopo di lucro, cosi' per punizione.

Augusto: Smettila, sei mia sorella, credi che ti potrei permettere di fare una cosa simile?

Clara: Fai tenerezza delle volte. E' per questo che ti ho amato.

Augusto: No, tu mi ami ancora! Mi ami ancora.

Clara: Ma lo vedi che sei una caricatura? Che siamo due caricature. 

Augusto: Non vedo cosa ci sia di caricaturale in due persone che soffrono.

Clara: L'incapacita' di poter pensare al loro futuro, ma neanche in senso generale, io non so immaginare nemmeno i prossimi cinque minuti, ma non per mancanza di fantasia, e' che non possiamo. Creando una vita abbiamo fermato la nostra. Siamo due esseri bidimensionali, potremmo campare soltanto su una striscia di fumetti: la societa' esclude in modo assoluto, categorico, soggetti come noi.

Augusto: C'abbiamo sempre vissuto in questa societa' servendola come meglio non avremmo potuto. Avevamo un segreto, ma sono affari nostri.

Clara: Un segreto che non potra' piu' rimanere tale. Gia' mi si vede la pancia. Mi sembra di avere un gigante qui dentro, sono al quarto mese ed e' come se fossi almeno al settimo. E si' che mi stringo, mi metto fasce, cinture. E questo mostro invece viene fuori, grande, evidente.

Augusto: Non chiamarlo mostro.

Clara: Hai ragione, Augustino dal cuore d'oro. I mostri siamo noi.

Augusto: Nemmeno.

Clara: E chi allora? Il fascismo, il nazismo, la morale comune? I tirolesi che ci assediano, con i loro bravi bragoni di cuoio? Guarda mi stanno persino diventando simpatici. Anche i loro bei figli biondi adesso mi sono simpatici se potessi tornare indietro sarei quasi contenta di potergli insegnare. Quasi non m'importerebbe di Siena.

Augusto: Beh questo no. Che c'entra, siamo coloni, ma Siena e' Siena, abbi pazienza.

Clara: Siena...e' cosi' lontana. E' un miraggio. Le nostre corse in piazza del Campo. Le urla per i vicoli dell'onda.

Augusto: Ti ricordi quando si faceva le gare di schifo?

Clara: Dai...

Augusto: Non ti ricordi?

Clara: (Ride) Smettila.

Augusto: Ci si metteva un dito nel buchino del culo.

Clara: Lo so cosa si faceva.

Augusto: Io nel mio e tu nel tuo ben inteso.

Clara: Smettila, lo so.

Augusto: E poi con l'indice un po', come dire: unticcio, si prendeva la ricorsa e si faceva una giostra come i cavalieri medioevali con la la lancia. Io ero il cavaliere azzurro e tu quello bianco, i colori della contrada dell'onda. Tu partivi da un angolo del salotto ed io dall'altro.

Clara: Tu partivi sempre prima.

Augusto: Tanto non aveva mica importanza. L'importante era chi colpiva l'altro con l'indice. (allunga il braccio e punta l'indice) Bello teso come la lancia del Lancillotto. Tarata', tarata', tarata'. Una volta mi hai colpito qui, sul labbro.

Clara: Lo so.

Augusto: (depresso) Ho vomitato.

Clara: Lo so.

Augusto: Fa caldo, eh? E poi, hai ragione, qui al nord non viene mai buio, il sole va' giu' alle sette e mezza e poi impiega le ore a venire buio.

Clara: Sarebbe piu' facile parlare al buio, vero? 

Augusto: Com'e' stato piu' facile lasciarci andare. La prima volta c'era buio, buio pesto. Ti ho preso la mano, ho sentito il tuo respiro farsi piu' profondo...

Clara: Io ti ho afferrato la testa, mi sembrava fosse di gesso, come la tua lingua. Stringevo un corpo di gesso, e lo sapevo, ma ne avevo bisogno, quanto di averti nel mio letto quando eravamo piccoli, dopo che mori' la mamma. Finche' quel gesso comincio' a diventare sangue e carne, finche' non ricominciai ad abbracciare Augusto. Mio fratello? Mio amante? Non lo sapevo piu', mi facevi dimenticare Borgo Vittoria, il nostro passato e questo era tutto, questo era il mio modo di amarti.

Augusto: Il mio e' molto piu' semplice invece, e come vedi molto piu' duraturo. Io non ho mai desiderato nessun'altra.

Clara: Questo e' forse quello che credi tu.

Augusto: Come se facesse differenza. Credere, vivere, reale irreale, ma chi se ne frega! Non ce n'e' mai fregato nulla e ce ne deve importare proprio adesso?

Clara: Trovami una soluzione e sono disposta a pensare quello che vuoi, a comprare una culla, ad appendere un bel fiocco fuori dalla porta di casa.

Augusto: Trovami una soluzione. Fai presto a parlare. Tu lo sai da quattro mesi io da un quarto d'ora.

Clara: E' che non c'e'. Se ci fosse stata, Santo Dio, cosa credi che non ti avrei evitato questo strazio?

Augusto: Partiamo, andiamocene da qui.

Clara: E dove?

Augusto: Non lo so. In Brasile, in America, il bambino diciamo che e' un orfanello, un trovatello.

Clara: Io non ce l'ho tanta fantasia.

Augusto: Ma ce l'ho io bastera' per tutti e tre.

Clara: E credi che con questa colpa riusciremo a vivere?

Augusto: Accidenta a te e a tutti quei pretacci che hai frequentato! Quale colpa, per Dio! Quale?

Clara: Quella che non ci amiamo per esempio.

Augusto: Balle! Balle! Cazzate! Primo io ti amo e secondo mi ami anche tu perche' sei mia sorella e fai quello che dico io!

Clara: (Sorride) Santa Vergine. Non crescerai mai.

Augusto: Dimmi solo che sei smarrita, che ti passera', ed io trovo la forza per portarti ovunque.

Clara: Ma se non abbiamo una lira.

Augusto: Aspettiamo il 27. Io guadagno 200 lire tu 230 e con 430 lire vuoi che un passaggio su un bastimento non lo troviamo? Sento gia' la sirena della Nave, e le onde che s'infrangono sulla chiglia.

Clara: No, non reggeresti il mare, vomiteresti.

Augusto: Va beh, diciamo che tutto il viaggio starei male. Ma poi ci aspetterebbe una nuova vita, saremmo liberi!

Clara: Liberi di far cosa?

Augusto: Madonnina: di lavorare, di stare insieme, di crescere un bambino.

Clara: Che effetto ti fanno gli operai che tutte le mattine sono davanti al portone della fabbrica, quelli senza lavoro voglio dire?

Augusto: Poveretti, che effetto vuoi che mi facciano? Brutto. Non hanno di che vivere, abitano in dormitori fetidi e puzzolenti.

Clara: Ecco io non lo voglio questo, non voglio vivere in dormitori, non voglio fare la stracciona. Soprattutto adesso che non posso pensare solo a me stessa. 

Augusto: Cosa c'entrano loro con noi? Io ho la "cimice", la tessera del partito, a me non mi licenzieranno mai.

Clara: Sono tempi brutti Augusto. Nessuno ti regala piu' niente. Ho paura di Hitler, di Mussolini e ho paura anche di tutto il resto del mondo. Cosa credi che se andassimo in America verremmo accolti da signori? Dove la trovi la' la tua "cimice" per lavorare?

Augusto: (Non troppo convinto) Faremo i passi che si dovranno fare.

Clara: Gia' me li vedo quelli dell'uffico immigrazione al porto di New York. "Ma voi siete italiani o cinesi? Siete cosi' gialli. E questo bimbo? E' italo﷓cinese anche lui?" Se ci va bene, ci buttano in mare.

Augusto: In America e' facile farsi degli amici, una cerchia di conoscenze.

Clara: Se non siamo stati capaci di farceli qui perche' dovremmo essere in grado di avere amici negli Stati Uniti. Cosa hanno di diverso i tirolesi dagli americani? E poi sai una cosa, io credo che veri amici non gli avevamo nemmeno a Siena.

Augusto: Io avevo gli amici del pallone e tu le tue ex compagne di classe.

Clara: Non mi ha mai scritto nessuno mentre io qualche lettera la spedii.

Augusto: Non e' vero un paio di lettere ti sono arrivate, anche un invito di nozze, sei tu che poi non hai piu' risposto. O no?

Clara: Ma si, si... erano lettere della Beatrice, mi parlava del suo fidanzato che poi e' diventato il suo marito.

Augusto: Le hai mandato gli auguri per le nozze?

Clara: No.

Augusto: Capisco. E lei naturalmente non ti ha piu' scritto.

Clara: No.

Augusto: (Dopo un attimo di silenzio, cercando di tirare su Clara che si e' notevolmente incupita) Allora si va o non si va in America?

Clara: Quando verra' buio decideremo. Ancora e' presto.

Augusto: Non vuoi andarti a cambiare la camicetta?

Clara: Ormai no, ormai me la tengo cosi' com'e'.

Augusto: Che vuol dire ormai?

Clara: Vuol dire...che e' inutile che ne impuzzisca un'altra, dovrei farmi un bagno, ma non ne ho voglia.

Augusto: E di cosa hai voglia?

Clara: Del buio te l'ho detto. Sarebbe una benedizione. Sono tanto stanca. Dammi la mano Augustino. Dimmi sono stata una buona amante?

Augusto: Come meglio un uomo non potrebbe desiderare. Gentile, calorosa, appassionata.

Clara: Ti ho reso felice?

Augusto: Oh, si puoi dirlo forte!

Clara: Piu' del partito?

Augusto: (ride) Non c'e' confronto.

Clara: Allora devo essere stata brava davvero.

Augusto: E io? Io ti ho resa felice?

Clara: Augustino, qualunque donna non potrebbe chiedere un marito migliore di te.

Augusto: E' solo per questo che non mi ami piu'? Per un fatto burocratico?

Clara: Non e' vero che non ti amo piu'. Ti amo eccome, altrimenti me ne andrei, con il mio bambino, lasciandoti qui solo. 

Augusto: Non lo fari vero? Io sono il padre e tuo fratello.

Clara: No, non lo faro'. Non potrei mai. Non sarebbe giusto.

Augusto: Claretta, non mi spaventare.

Clara: (Prendendogli la testa) Baciami, ho bisogno di te, ho bisogno di tanta forza.


Augusto guarda interrogativamente Clara, poi avvicindosi lentamente la bacia teneramente sulle labbra.


Augusto: Dove sei Clara? A cosa stai pensando?

Clara: Penso che siamo stati sfortunati: se fossimo nati animali tutti questi problemi non li avremmo avuti e gli operai e le maestre, nei giorni di festa, sarebbero venuti in montagna per guardarci. Si sarebbero fatti ore di cammino per venire ad ammirare noi. Tu un grande cervo orgoglioso ed io una cerbiatta con la liberta' negli occhi. E quegli operai e quelle maestre ci avrebbero guardati con tanta invidia, muti davanti al nostro procedere.

Augusto: E se poi veniva un cacciatore?

Clara: Non avrai paura della morte?

Augusto: Paura? Paura no. Io me ne frego della morte. Anche perche' sono un cervo orgoglioso e non posso dimostrarmi fifone davanti a mio figlio: al cerbiattino.

Clara: Ti ricordi quando scoppio' la fabbrica?

Augusto: Come potrei non ricordarmi? Ero di turno, per fortuna ai compressori nella zona opposta allo scoppio. Sali' un fumo alto, sembrava volesse coprire tutta la valle.

Clara: Sono alla latteria. Un uomo e' vicino a me, parla con la donna del latte. Dice che sta andando verso la fabbrica per telefonare alla moglie operata d'ulcera. Vuole sue notizie e' in pena per lei. Al suo fianco c'e' un bambino, di cinque forse sei anni. Il bambino chiede del telefono, non ne ha mai visto uno, il solo che c'e' in paese e' li' alla fabbrica. L'uomo ed il bambino escono. Io compro il pane e il latte poi esco anch'io per venire a prenderti all'uscita del lavoro. L'uomo e il bambino sono venti metri davanti a me. Uno scoppio pauroso. Volano schegge e un pezzo di ferro colpisce l'uomo staccandogli di netto la testa.

Augusto: Andammo tutti al suo funerale.

Clara: Stetti male un mese per quell'uomo e ora non mi ricordo piu' nemmeno il suo nome. Ne' mi ricordo la faccia del bambino. Il cielo divenne tutto nero finche' una strana nebbiolina, di gas e polvere copri' ogni cosa. Tutto era vasto: l'odore del sangue, le grida del bambino, le voci spaventate della gente. La guerra m'immagino che sia fatta cosi'. Finche' non sentii piu' nulla, vedevo solo la nebbia, quella stessa nebbia sciropposa e fetida che viene la notte a ballare nei miei incubi.


Augusto: Ci furono otto morti, e non so quanti feriti. Sono saltati in aria dodici vagoni di nitrato d'ammonio, e per fortuna l'esplosione e' avvenuta cinque minuti prima dell'uscita, se no da li' sarebbero passati due o trecento operai, io compreso. Abbiamo impiegato un anno a rimettere tutto a posto.

Clara: Il tempo che abbiamo impiegato per diventare tutti gialli. La gente qui nel Borgo ormai cammina con il fazzoletto sulla bocca per paura delle esalazioni.

Augusto: Hai gia' pensato ad un nome da dargli?

Clara: Veramente no.

Augusto: Se fosse maschio mi piacerebbe Italo. 

Clara: E se femmina?

Augusto: Il piu' bello e' Clara, ma poi faremmo troppa confusione.

Clara: Allora Itala.

Augusto: Si. Itala. E' bello, e' un nome importante, e' un nome che ci costringera' ad educarla con molta responsabilita'. E' di buon auspicio per il futuro.

Clara: Gia'.

Augusto: Dimmi. Che effetto fa sentirsi mamma?

Clara: Dolciastro.

Augusto: E basta?

Clara: Come vorrei aprire il cuore a tutti sentimenti, a quelli piu' belli. Alla tenerezza, alla commozione. Ma non posso, a noi non e' permesso.

Augusto: Sposiamoci, abbiamo fatto tutto dentro queste mura, possiamo anche sposarci. Chi ce lo puo' impedire?

Clara: Non abbiamo i testimoni.

Augusto: Borgo Vittoria e' il nostro testimone, chi meglio di lui, di tutte le famiglie che abitano qui, della chiesa, della piazza. (Canta) Vittoria! Vittoria! E' una liberazione sai, vorrei uscire e gridarlo a tutti. Io e mia sorella ci amiamo! E stiamo per diventare genitori! Avete sentito? Dico a voi! Io e mia sorella mettiamo su famiglia. Cosa credi che ci possano fare? Sono tutta brava gente, che si spezza la schiena ogni giorno come me, come noi. Sarebbero felici, parteciperebbero della nostra gioia.

Clara: Augusto...

Augusto: Sposiamoci! Ho gli anelli di babbo e mamma. (Va ad un cassettino e prende gli anelli) Ho gli anelli. O dove gli ho messi? Eccoli! Non ci manca nulla. Guarda la piazza e' gremita di gente, applaudono, chiamano i nostri nomi: Augusto, Clara, Clara, Clara! L'altare e' stato preparato davanti alla chiesa. E' un giorno di festa il sole e' dolce come non mai. E guarda, guarda laggiu', tutti i cavalli con i fantini delle contrade, e in testa con la bandiera la contrada dell'Onda. Anche loro sono venuti, fin da Siena. E dall'altra gli Scutzen, con le penne sui cappelli. Penne e bandiere sventolano, la folla acclama, ed ecco il sacerdote con gli ornamenti delle feste piu' importanti avanzare verso l'altare. Ci chiama. Vieni qui tocca a noi. La sposa raggiunge raggiante lo sposo. (Clara gli si avvicina) Tutto e' pronto. Buon giorno Clara, che bella sposa che sei.

Clara: Anche tu sei un bello sposo.

Augusto: "Clara Nannini, vuoi tu prendere come legittimo sposo il qui presente tuo fratello Augusto? Nella buona e nella cattiva sorte finche' morte non vi separi?"

Clara: Si lo voglio.

Augusto: "E tu Augusto Nannini vuoi prendere la tua sorella come legittima moglie nella buona e nella cattiva sorte finche' morte non vi separi?" Eccellentissimo si, la voglio. "Mettetevi gli anelli." (Si mettono gli anelli) Ecco. "Oggi, 15 agosto 1938, io vi dichiaro solennemente marito e moglie." Hai visto: ora siamo sposati.

Clara: Si, Augusto, e' stata una cerimonia molto commovente.

Augusto: E il bacio allo sposo?

Clara: Quello magari questa notte, nel talamo nuziale, sono una sposa un po' timida.

Augusto: Ma festeggiare possiamo festeggiare lo stesso! 

Clara: C'e' tutta la piazza che non aspetta altro.

Augusto: Allora via alle danze. (Accende la radio dove trasmettono un ballabile, i due ballano) La folla si apri' lasciando un largo spiazzo agli sposi i quali ballavano leggeri e felici. Era soprattutto la grazia della ragazza a colpire la sensibilita' di quel pubblico di amici. Indubbiamente fu un grande matrimonio, il piu' variopinto che mai si sia visto nella valle dell'Adige.
Clara: Alla sposa si vedeva una certa rotondita' all'altezza della pancia.

Augusto: (Come ripetendo un concetto gia' detto) Ma tutti ne erano contenti e salutavano sorridendo il giovane operaio Augusto nella sua duplice ed ardua funzione di Padre e Zio, Marito e Fratello. (Si ferma di ballare per fare il banditore di un circo) Signore e Signori siete qui riuniti in questa pubblica piazza per assistere ad uno spettacolo mai visto: in un colpo solo madre e zia, sorella e moglie!

Clara: (Spegnendo di colpo la radio) Stai zitto!

Augusto: Non sto zitto affatto. Padre e madre, zia e moglie!

Clara: Finiscila.

Augusto: Finiscila tu! Cosa sto facendo di male? Sto solo cercando di tirarti su di morale.

Clara: Facendomi credere uno spettacolo da baraccone? Come se non fosse gia' abbastanza difficile!

Augusto: Non mi fare arrabbiare, lo sai come divento.

Clara: Arrabbiati, arrabbiati pure. Siamo in un vicolo cieco Augusto, renditene conto.

Augusto: Vivremo con questa vergogna addosso, tanto, per uno che sgobba come me non c'e' tempo per vergognarsi. Siamo fenomeni da baraccone dici? Ebbene e' una condizione del tutto rispettabile, basta affrontarla con la necessaria dignita'. Anzi sono quasi orgoglioso di essere un fenomeno da baraccone.

Clara: Orgoglioso come di appartenere al partito.

Augusto: (Fuori di se') Io me ne frego del partito! Io ho mio figlio a cui pensare adesso, ho una moglie!

Clara: Pero': non ti avevo mai sentito parlare cosi' del partito.

Augusto: Si vede che era ora.

Clara: E credi che ti lasceranno la cimice, la tessera? Non sono poi cosi' rivoluzionari come vogliono far credere.

Augusto: La faro' io la rivoluzione.

Clara: Insieme a me?
Augusto: Io te ed Italo!

Clara: Qui dentro, in questa stanza!

Augusto: Qui dentro, fuori, non ha nessuna importanza, te l'ho detto, verita' finzione, sono la stessa cosa. E' inutile porsi il problema, e' inutile farsi le pippe su questo. Scusa il termine.

Clara: Figurati, so perfettamente di cosa si tratta. Magari ci fossimo limitati a quello. Comunque hai parlato bene, e' la cosa piu' sensata che ti ho sentito dire oggi.

Augusto: Dici davvero?

Clara: Si. Ed e' l'unica cosa che possiamo fare per continuare ad amarci per allevare nostro figlio.

Augusto: Fare cosa?

Clara: Quello che hai detto tu.

Augusto: Cioe'?

Clara: (E' stranamente eccitata, ma in modo innaturale, isterico) Fare una rivoluzione qui dentro. O la' fuori. E' geniale, assolutamente geniale. E' quello il termine che mi mancava per trovarne il coraggio. Una rivoluzione assoluta, radicale.

Augusto: (E' spiazzato dal comportamento della sorella) Se lo dici tu.

Clara: Io, l'idea e' tua.

Augusto: Sei sicura che sia proprio una buona idea?

Clara: Sicurissima.

Augusta: Non e' che poi ti penti come venire da Siena a qui?

Clara: No, nessun pentimento nessun rimpianto. Sto riscoprendo la voglia di essere madre, di avere la nostra piccola famiglia. (bacia gli anelli) Benedetto matrimonio, benedetto altare, benedetto talamo.


Augusto: Ma benedetta ragazza e se mi butteranno fuori dal partito? Se non mi daranno piu' lavoro? Non t'importera'?

Clara: Non succedera'. Te lo prometto.

Augusto: Dunque? E' deciso. 

Clara: Ti fidi di me?

Augusto: Ahh, ma allora lo vedi che e' un'idea tua.

Clara: (Molto seria) Ti fidi di me?

Augusto: E se non mi fido di te di chi mi dovrei fidare?

Clara: "Insisti spirito mio, e fissa intensamente il tuo sguardo. Fissa il tuo sguardo dove albeggia la verita'. Ecco, immagina che una voce corporea cominci a risuonare, la voce di un bambino, risuona, risuona ancora, ed ecco cessa, e' gia' tornato il silenzio, la voce e' passata, non c'e' piu' ormai. (Come invasata) Era futura, prima di risuonare, e non si poteva misurarla, perche' non era ancora, come non si puo' ora perche' non e' piu'. Si poteva misurarla quando risuonava, perche' allora era, in modo che si poteva misurare. Ma anche allora non era ferma, perche' andava, passava. (Grida) Come si potra' misurarla allora?"

Augusto: (Prendendo energicamente la sorella) Basta! Basta falla finita!

Clara: (Non riesce a calmarsi) Come si puo' misurare il tempo?

Augusto: Smettila ti ho detto! (La schiaffeggia)

Clara: (Calma, depressa) E' in te, spirito mio, che misuro il tempo. E se voglio potra' essere anche infinito.

Augusto: Mi fai paura.

Clara: No, Augustino, non dobbiamo avere paura, possiamo essere per sempre, io te ed Italo, non ti piacerebbe?

Augusto: Certo che mi piacerebbe. E' la cosa che vorrei di piu' al mondo.

Clara: Io te e lui. Tutti gialli, in una casa gialla, con la culla gialla, i bicchieri gialli, le posate gialle, senza fascisti, senza nazisti, senza americani, senza violenza. Perche' tu non avrai piu' bisogno di darmi della troia, di prendermi a schiaffi, ne' a me servira' piu' provocarti ne' farneticare come una povera pazza. Il tempo il mondo lo determina il nostro spirito.

Augusto: Che roba era quella che urlavi prima?

Clara: E' un brano di Sant'Agostino.

Augusto: E meno male che avevo detto di non farci delle pippe.

Clara: Infatti Augusto. Infatti. Non ne e' certo il momento.

Augusto: A te tutta quella chiesa ti ha fatto male.

Clara: Ma cosa c'e' che ti spaventa cosi'? Sono le parole di un santo.

Augusto: Si ma tu...

Clara: Che cosa? 

Augusto: Dette da te, cosi', non sono dette come le direbbe un sacerdote sull'altare. Tu, noi...

Clara: Si?

Augusto: Noi siamo due poveri peccatori.

Clara: (Con grande serenita') Lo so. E' una parola dura da sciogliere in bocca. Guardami Augusto. Ora dobbiamo avere la forza solo di difendere il nostro amore, solo questo. Al di la' della morale, della religione, del partito. Non ne sei convinto?

Augusto: Si.

Clara: Bravo.

Augusto: Ma come?

Clara: Non ti preoccupare, tra poco sara' buio e tutto si sistemera'. Ora siediti. (Lo fa accomodare sul divano) Prendi il tuo giornale e leggi. Io vado a preparare qualche cosa da mangiare.

Augusto: Non mi lasciare solo.

Clara: Vado in cucina. Un attimo. (Esce)

Augusto: (Con il giornale in mano) Hai visto che hanno scritto del palio dell'Assunta anche su questo giornale. Dice che alla contrada della torre, durante le prove, si e' azzoppato il cavallo. Bene, sono nostri nemici. L'onda e la Torre non si possono proprio vedere eh. Ti ricordi quando quelli della torre per darci noia la notte misero un megafono puntato contro la nostra contrada e mandarono musica in continuazione. Pensa che bischeri! Pero' noi non si chiuse occhio!

Clara: (Da fuori) Che cosa dici?


Augusto: Niente. Citavo Sant'Agostino. Chissa' com'e' andato il palio? Forse lo dicono alla radio. (Accende la radio ma ci sono canzonette.) Vacca boia, solo canzonette.

Clara: (Rientrando) Ecco fatto. (Si va a sedere vicino ad Augusto)

Augusto: Hai gia' preparato?

Clara: Si.

Augusto: E che c'e' da desinare questa sera?

Clara: Tu che vorresti?

Augusto: Non chiedermelo: se poi c'e' un'altra cosa ci resto male.

Clara: Avanti, di'!

Augusto: Beh lo sai, mi piacerebbero gli gnocchi di patate.

Clara: Quelli ci sono.

Augusto: No! E quando gli hai fatti?

Clara: Quante domande. E per secondo?

Augusto: Un fagianino. E' troppo?

Clara: No, no.

Augusto: E' che mi sembra d'aver fortuna questa sera.

Clara: Infatti ce l'hai.

Augusto: Perche' c'e' il fagiano davvero?

Clara: Esatto.

Augusto: Tu mi prendi in giro!

Clara: No, no.

Augusto: Quanto ti voglio bene.


Clara: Anch'io, non puoi immaginarti quanto.

Augusto: Accendo la luce, eh? Non si vede quasi piu' nulla.

Clara: No, lascia cosi' e' meglio, mi piace di piu'.

Augusto: Come vuoi. Clara?

Clara: Si, Augusto.

Augusto: Non senti qualche cosa?

Clara: Che cosa?

Augusto: Un certo odore. 

Clara: Quale odore?

Augusto: E' strano, la fabbrica e' chiusa oggi. Eppure sento odore di gas.

Clara: Si Augusto, e' il gas della cucina.

Augusto: Ah.(Silenzio) Non sarebbe meglio spegnerlo?

Clara: Augusto, ne abbiamo parlato fino adesso, non abbiamo mai parlato cosi' tanto e cosi' bene come oggi.

Augusto: Sei sicura che Sant'Agostino intendesse proprio questo?

Clara: Noi non siamo sant'Agostino.

Augusto: Si. Me ne rendo conto.

Clara: Sei felice Augusto? Per noi tre voglio dire. Hai fiducia in me?

Augusto: Si amore.

Clara: Bene.

Augusto: Clara, e' finalmente tutto buio, sei contenta?

Clara: Dammi la tua mano. Come la prima volta.

Augusto: E' proprio buio, non ti vedo piu'.

Clara: Non e' romantico?

Augusto: Molto.

Clara: E' la nostra luna di miele questa.

Augusto: Gia', ora si e' anche sposati.

Clara: Eh!

Augusto: (Dopo un attimo di silenzio) Clara?

Clara: Si?

Augusto: Ma fa male?

Clara: Che cosa?

Augusto: Morire.

Clara: Meno che essere soli.