IL MAGO E L’ATTRICE

(Ovvero: l’Immaginazione e la Poesia)

atto unico di

Antonio Sapienza




Tratto dalla commedia in tre atto di Luigi Pirandello: I Giganti della Montagna.



Personaggi:

Il Mago Cotrone…………………………capo degli scalognati;
La Contessa Ilse …………………………attrice;
Quaqueo ( o la Sgricia)*..………………scalognato.
E le due Vicine .…………………………apparizioni

E, inoltre, alcuni giganti della montagna*.

* Personaggi a discrezione della regia.


Sulla scena sono state poste tre pedane (una sarà posta davanti alle altre due) sulle quale opererà il solo Cotrone; a destra vi sono tre gradini di un’ipotetica casa che sfuma nel nulla; sulla sinistra vi è un cipresso che sfuma nel cielo; e in fondo alla scena un telo azzurro per scene in trasparenza ed effetti luminosi. 
All’apertura del sipario ci sarà buio in scena. Con una musica adatta, man mano si farà chiarore lunare. 
Sul palco, all’impiedi vi è il Mago Cotrone che indossa uno spolverino aperto sul davanti che lascia intravedere pantaloni sdruciti, grigi, tenuti da bretelle nere; e una maglia di color rosso; calza un malandato cappellaccio a falde larghe. Egli, facendo dei giochi di luce, fa divertire Quaqueo, suo aiutante, sgorbio nel corpo, che indossa pantaloni troppo corti che regge con una sola bretella, su di uno striminzito girocollo. Egli regge in mano una tromba e, di tanto in tanto, la suona. ( se fosse la Sgricia, vestirla con gonna lunga, scura e scialle)
Un minuto dopo, si ode una voce in lontananza e Quaqueo si reca subito a vedere chi viene. 
Qua.- O-Oh, arriva gente (poi corre verso il cipresso) Arriva qualcuno….E’ una donna!
E’ sola!-
Cot.- Sarà una Regina spodestata (ironico). Dimmi è nuda?-
Qua.- Nuda? No, nuda non mi pare…(osserva meglio).-
Cot.- Nuda, sciocco! Su un carretto di fieno, una donna nuda, coi seni all’aria e i capelli rossi sparsi come sangue di tragedia! I suoi Ministri la tirano sudati, in maniche di camicia… Suvvia! Svegliati: Immaginazione! Ecco, è già notte, il regno nostro…-
Qua.- Seguita a salire.-
Cot.- Sale? Dev’essere la contessa…La villa è grande.-
Qua.- Eccola. Com’è pallida… pare morta.-
Entra da sinistra, da dietro il cipresso, Ilse, la contessa-attrice. Indossa un abito da sera che una volta doveva essere elegante e prezioso, ma che ora è malandato, sporco e sdrucito. E’ come se si trovasse in stato di sonnambulismo, gesticola e declama come se seguisse un
filo di pensiero. 
Cot.- Silenzio Quaqueo.-
Ils.- …Se volete ascoltare questa nuova favola,
credete a questa mia veste di povera donna;
ma credete di più a questo mio pianto di madre per una sciagura,
per una sciagura (s’ode una risata di sarcasmo)…
Ne ridono tutti così la gente istruita che pure vede che piango,
e non se ne commuove…-
Cot.- Ma sta recitando!-
Qua.- E’ un’attrice? Oh bella.-
Ils.- … ne prova anzi fastidio, e:
“ Stupida! Stupida!”
mi grida in faccia, perché
non crede che possa esser vero che il figlio mio,
la creatura mia…
Ma voi dovete credere a me; a loro…
Son povere madri, come me, del mio vicinato,
che ci conosciamo tutte e sappiamo c’è vero…(si agita tutta)
Le donne.. le donne!-
Cot.- Ma le donne per ora non ci sono…-
Ils.- ( come svegliandosi) Non ci sono? Perché? (guardandosi attorno) Dove sono?-
Cot.- Non tema Contessa, tra amici!-
Qua.- Ma è davvero una Contessa? O delira, forse ha la febbre…-
Cot.- Sta zitto Quaqueo!-
Ils.- … Mi chiamavo Ilse Paulsen…-
Cot.- Lo so Contessa.-
Isl.- …avevo lasciato un buon ricordo di me, sulle scene. Sposai un Conte. Lasciai le scene…Ma un Poeta venne, una sera, a leggermi un’opera che stava scrivendo – per me- disse – ma senza speranza perché ormai io non ero più attrice.
L’opera era così bella che mi esaltò; e lo incoraggiai, incautamente, a portare al termine il suo lavoro. Ma quando fu compiuta mi ritrassi da quel fuoco e lui, disilluso, s’uccise.
Mi sono ridotta così perché la vita che negai a lui, ho dovuto darla alla sua opera; e sono tornata a recitare per quest’opera sola!- 
Cot.- E quest’opera, in mezzo alla gente, è stata la sua rovina.. Ah come comprendo, contessa.-
Ils.- Fin dalla prima rappresentazione nessuno volle saperne. Tutti contrari! Fischi che tramavano i muri! A nulla valse anche lo stupore dei scenari - mai visti. E le luci? tutti i prodigi della messinscena spettacolosa: quarantasei tra attori e comparse.
Avvilire l’Opera, l’incomprensione della poesia, il disprezzo della gente, le risa…-
Cot.- Ma io ho in odio questa gente. Vivo qua per questo, e da cristiano mi sono fatto turco! Ma niente a che vedere con Maometto!
Turco per il fallimento della Poesia della cristianità.-
Ils.- … e le imprese han disdetto i contratti e negato i teatri nelle grandi città.
E il patrimonio di mio marito andato in fumo.. poi i piccoli teatri sempre più vuoti… le nottate passate nelle sale d’aspetto delle stazioni… oddio! Pure nelle stalle… la Compagnia dispersa, quei pochi fedelissimi, divorati dal freddo e dalla fame…-
Cot.- Io ammiro il suo animo, signora Contessa, ma creda che con me non ha bisogno di far valere la bellezza dell’opera e la bontà dello spettacolo.
Veda, ella è stata indirizzata a me da un mio lontano amico che probabilmente non ha fatto in tempo, o non ha trovato il modo, di comunicarle il consiglio che gli davo di impedire che s’avventurasse fin qua.-
Ils.- Ah si? e perché non c’è un teatro in paese?-
Cot.- C’è, si, ma per i topi: è sempre chiuso… pensano di abbatterlo…per farci uno stadio o una fiera per il bestiame. 
Non ci pensi neppure!-
Ils.- E allora dove? Qua non c’è abitato…mi hanno raccomandato a lei…-
Cot.-… e io son qua, tutto per lei. Non si confonda signora Contessa, vedremo, studieremo, troveremo. 
Intanto provvediamo ad alloggiarla per questa sera alla villa, ma sarà bene che prenda un po’ regola da noi.-
Ils.- Sarebbe a dire?-
Qua.- Fare a meno di tutto e non aver bisogno di nulla. Le preparo la stanza.. –
Cot.- … l’unica con la chiave che ho io... ( da la chiave a Quaqueo che esce)-
Ils.- E quando si ha bisogno di tutto? Come si fa senza nulla?-
Cot.- …e lì saprà che si può aver tutto, solo quando non si ha più niente...-
Cambio di luci. Musica soave. Ilse si siede sui gradini e con voce sognante declama.
Ils.- Cinque gatti per una gatta:
cinque, pronti, tutt’intorno,
che si struggono agguattati
di vederla così spasimare;
ma appena uno si muove,
tutti gli altri gli saltano addosso,
s’azzuffano, si graffiano, si mordono,
scappano, si rincorrono…-
Cot.- (piano) Si ripassa la parte?-
Ils.- ( con voce dispettosa) Già, già, già! ( poi quasi stralunata)
E sono allora le gatte
Che fanno sul capo dei bambini
Di questi scherzi? Guardate!
Guardate! 
Cot.- ( incuriosito) Che debbo guardare?-
Ils.- Qua, questo codino di capelli accatricchiati. ( quindi emette un urlo)
No, figlio mio d’oro! ( ripigliando con voce rassegnata)
Lo vedete? Guai se il pettine lo tocca; o la forbice lo taglia:
Il bambino morrebbe…-
Cot.- Contessa, lei ha una voce che incanta, ma io credo che dovrebbe entrare e riposare; nella villa manca il necessario, ma il superfluo è di una tale abbondanza; stia a vedere, anche di fuori…Olà! ( con le mani a imbuto davanti alla bocca e lo sfondo s’illumina di giochi di luce)-
Ils.- ( incantata) Oh bello! Ma com’ha fatto? –
Cot.- Mi chiamano il Mago Cotrone. Vivo modestamente di questi incantesimi. Li creo.
( si rimette le mani davanti alla bocca e grida) Nero! ( e tutto torna come prima) Questo Nero, la notte, pare che lo faccia per le lucciole, che volando – non s’indovina dove – ora qua ora là, vi aprono un momento, quel loro languido sprazzo verde. Ebbene, guardi .. là, là…là ( appena dice e indica un punto, appaiono tre puntini verdi evanescenti).-
Ils.- Oh, Dio, com’è? Che sono?-
Cot.- Lucciole! Le mie. Di mago.
Siamo qua come agli orli della vita, Contessa. Gli orli, ad un comando, si distaccano; entra l’invisibile; vaporano i fantasmi.
E’ cosa naturale. Avviene ciò che di solito nel sogno. Io lo faccio avvenire anche nella veglia. Ecco tutto.
I sogni, la musica, la preghiera, l’amore…tutto l’infinito che è negli uomini. Lei lo troverà dentro e intorno a questa villa che l’aiutano a entrare in un’altra verità, lontana dalla sua, pur così labile e mutevole…-
Ils.- Ma io…-
Cot.- … rimanga, rimanga così lontana. Non bisogna più ragionare. Qua si vive di questo.
Privi di tutto, ma con tutto il tempo per noi: ricchezza indecifrabile, ebullizione di chimere.
Le cose che ci stanno attorno parlano e hanno senso soltanto nell’arbitrio in cui per disperazione ci viene di cangiarle. Disperazione a modo nostro, badiamo!
Siamo piuttosto placidi e pigri; seduti, concepiamo enormità, come potrei dire? Mitologiche; naturalissime dato il genere della nostra esistenza.
Non si può campare di niente; e allora è una continua sbornia celeste. Respiriamo aria favolosa, gli angeli possono come niente calare in mezzo a noi; e tutte le cose che ci nascono dentro sono per noi stessi uno stupore.
Udiamo voci, risa; vediamo sorgere incanti figurati da ogni gomito d’ombra, creati dai colori che ci restano scomposti negli occhi abbacinati dal troppo sole della nostra isola.
Sordità d’ombra non possiamo soffrirne.
Le figure le inventiamo; sono un desiderio dei nostri stessi occhi; e accade qui, da noi.-
Ils.- E questa villa è vostra?-
Cot.- Nostra e di nessuno. Degli spiriti.-
Ils.- Come, degli spiriti?-
Cot.- Si. La villa ha fama d’essere abitata da spiriti. E fu perciò abbandonata dagli antichi padroni, che per terrore scapparono anche dall’isola, tempo fa. Da allora fu chiamata Villa Scalogna e noi siamo i legittimi scalognati.-
Ils.- Ma voi non credete negli spiriti?-
Cot.- Come no? Li creiamo!-
Ils.- Ah, li create…-
Cot.- Perdoni Contessa, non m’aspettavo da lei che mi dovesse dire così. Non è possibile che non ci creda anche lei, come noi. Voi attori date corpo ai fantasmi perché vivano – e vivono! Noi facciamo al contrario: dei nostri corpi, fantasmi: e li facciamo ugualmente vivere.
I fantasmi… non c’è mica bisogno d’andarli a cercare lontano: basta farli uscire da noi stessi. E’ come la verità…-
Ils.- … lei inventa la verità?-
Cot.- Sempre! Non ho fatto altro in vita mia. Senza volerlo, Contessa. Tutte quelle verità che la coscienza rifiuta.
Le faccio venir fuori dal segreto dei sensi, o a seconda, le più spaventose, dalle caverne dell’istinto... Ne inventai tanti al paese, che me ne dovetti scappare, perseguitato dagli scandali…
Mi provo ora qua a dissolvere fantasmi, in evanescenze. Ombre che passano. M’ingegno di sfumare sotto diffusi chiarori anche la realtà di fuori, versando, come fiocchi di neve colorata, l’anima dentro la notte che sogna. Come fuochi d’artificio, ma senza spari. Incanti silenziosi. 
La gente sciocca n’ha paura e si tiene lontana; e così noi restiamo qua padroni. Padroni di niente e di tutto.-
Ils.- Ma di cosa vivete?-
Cot.- Così. Di niente e di tutto…-
Qua.- ( rientrando) Senza letto si può dormire, male – ma si dorme.-
Cot.- Chi ti può impedire il sonno, quando Dio che ti vuol sano te lo manda, come una grazia, con la stanchezza? E ci vuol fame, eh Quaqueo? Perché un tozzo di pane ti dia la gioia del mangiare, come non te la potrebbero dare, sazio o disappetente, tutti i cibi più prelibati.
E solo quando non hai più casa, tutto il mondo diventa tuo. Vai e vai, poi t’abbandoni tra l’erba al silenzio dei cieli; e sei tutto e niente… e sei niente e tutto.
Ecco come parlano i mendicanti, gente sopraffina, Contessa, e di gusti rari, che han potuto ridursi alla condizione di squisito privilegio, che è la mendicità.
Non c’è mendicanti mediocri. I mediocri sono tutti sennati e risparmiatori.
Doccia, il nostro compagno banchiere, ha accumulato per trent’anni quel soldo di più con cui gli uomini importanti si pagano il lusso della carità, ed è venuto qua ad offrirlo alla libertà dei sogni. Paga tutto lui. ( fa cenno alla villa)
Potevo essere anch’io, forse, un grand’uomo, Contessa, ma mi sono dimesso! Dimesso da tutto: onore, decoro, dignità, virtù, cose che le bestie, per grazia di Dio, ignorano nella loro beata innocenza.
Liberata da tutti questi impacci, ecco che l’anima ci resta grande come l’aria – piena di sole e di nuvole- aperta a tutti i lampi, abbandonata a tutti i venti – superflua e misteriosa materia di prodigi che ci solleva e disperde in favolose lontananze.
Guardiamo alla terra, che tristezza! C’è forse qualcuno laggiù che s’illude di star vivendo la nostra vita; ma non è vero. Non nel corpo che l’altro ci vede, ma nell’anima che parla chissà da dove: apparenza tra apparenze, con questo buffo nome di Cotrone, di Quaqueo,
e poi di Sgricia, di Mara- Mara, di Duccio i nostri compagni che dormono dentro la villa i loro sogni inventati.
Un corpo è la morte: tenebra e pietra. Guai a chi si vede nel suo corpo e nel suo nome.
Con la divina prerogativa dei fanciulli che prendono sul serio i loro giochi, la meraviglia che c’è in noi la rovesciamo sulle cose con cui giochiamo, e ce ne facciamo incantare, fino agli eccessi della demenza.
Ebbene, Contessa, come si diceva un tempo ai pellegrini: sciolga i calzari e deponga il bordone, ella è arrivata alla meta.
Da tempo attendevo gente come lei per far vivere altri fantasmi che ho in mente. Ma rappresenteremo anche la sua “ Favola del figlio cambiato”, come un prodigio che s’appaghi da se, senza chiedere niente a nessuno.-
Ils.- Qua?-
Cot.- Solo per noi.-
Ils.- Non è possibile.-
Cot.- Non vuole che l’opera viva per se stessa – come potrebbe essere soltanto qua?-
Ils.- Vive in me; ma non basta! Deve vivere in mezzo agli uomini!-
Cot.- Povera opera! Non avrà dagli uomini la gloria. Però, visto che rifiuta, ho un’idea che proporrò domani all’alba.-
Ils.- Che idea?-
Cot.- Domani all’alba.
Il giorno è abbagliato; la notte è dei sogni, e solo i crepuscoli sono chiaroveggenti per gli uomini. 
L’alba per l’avvenire;
il tramonto per il passato.-
Lentamente sulla scena cala il buio. Musica adatta.
Gli attori siedono sui gradini e mettono la testa tra le mani, coi gomiti appoggiati sulle ginocchia. Un minuto dopo riprende la scena. Gli attori, come se si svegliassero da un torpore, si alzano, si stiracchiano e fanno qualche passo.
Cot.- Signora Contessa, l’alba è vicina, e io le promisi che avrei comunicato la mia idea che m’è venuta per lei: dove potrà andare a rappresentare la sua Favola del figlio cambiato; se proprio non vuol rimanere con noi.
Dunque sappia che si celebra oggi, con una festa di nozze colossale, l’unione delle due famiglie dette dei Giganti della Montagna…-
Ils.- Giganti?-
Cot.- Non proprio giganti, signora Contessa, sono detti così perché gente d’alta e potente corporatura, che stanno sulla montagna che c’è vicina.
La forza fisica, il coraggio e i rischi delle grandi imprese, hanno indurito la loro mente e gonfiato l’orgoglio. Ma lasci fare a me, lisciati a dovere, diventeranno malleabili e potrà chiedere anche una grossa somma; anzi più grossa sarà e più importante diventerà, per loro, la sua offerta.
Piuttosto, come farà a rappresentarla?-
Ils.- Non hanno un teatro lassù?-
Cot.- Non è per il teatro. E’ per lei. Ho letto tutta la notte la sua Favola, e dico: ehi, ci vuole un bel coraggio a pensare di rappresentarla da sola.
Contessa, via, quest’opera è fatta proprio per vivere qua, in mezzo a noi – in mezzo a noi – che crediamo alla realtà dei fantasmi più che a quella dei corpi.-
Ils.- E come?-
Cot.- Le ho detto che la villa è abitata dagli spiriti, Contessa. Abitanti della terra non uomini, spiriti della natura, che vivono in mezzo a noi, invisibili, nelle rocce, nei boschi, nell’aria, nell’acqua, nel fuoco.: lo sapevano bene gli antichi: e il popolo l’ha sempre saputo; lo sappiamo bene noi qua, che siamo in gara con loro e spesso vinciamo, assoggettandoli a dare ai nostri prodigi, col loro concorso, un senso che essi non sanno, o di cui non si curano.
Se lei Contessa, vede la vita dentro i limiti del naturale e del possibile, l’avverto che lei qua non comprenderà mai nulla!
Noi siamo fuori da questi limiti. A noi basta immaginare, e subito le immagini si fanno da se. Al più, al più, agevoliamo la loro nascita.
E il miracolo vero non sarà mai la rappresentazione, creda, sarà sempre la fantasia del poeta dal quale quei personaggi sono nati, anche se non hanno vita corporea.
Tradurli in realtà fittizia sulla scena è ciò che si fa comunemente nei teatri; il suo ufficio d’attrice.
Ils.- Sarei curiosa di vedere questo miracolo.-
Col.- Ah, lei sarebbe “curiosa”? Ma sa che non si vedono per “curiosità” questi miracoli?
Il suo poeta ha immaginato una Madre che crede le sia stato cambiato, in fasce, il figlio da quelle streghe della notte, streghe del vento, che il popolo chiama “le Donne”…-
Qua.-…La gente istruita se ne ride, si sa; e forse anche voi; invece io vi dico che ci sono davvero: sissignore, “ Le donne.
Le notti d’inverno tempestose, tante volte noi qua le abbiamo sentite gridare e, con voci squarciate, fuggendo col vento, da queste parti.-
Cot.- Ecco volendo le possiamo anche evocare. (musica adatta).-
Qua.- Entrano di notte nelle case
Per la gola dei camini
Come un fumo nero…-
Cot.- … una povera madre che sa?
Dorme stanca di una giornata;
e quelle chinate ne buio,
allungano le dita sottili…-
Ils.- (meravigliata) Ah, sapete già persino i versi a memoria?-
Cot.- Persino? Ma se noi possiamo rappresentare la Favola da cima a fondo, per fare una prova di tutti gli elementi di cui lei ha di bisogno - non noi.
Provi la sua parte di Madre, e glielo faccio vedere. Le do un assaggio.
Quando le fu cambiato il figlio?-
Ils.- Dice, nella Favola? (occhio di bue su Ilse)-
Cot.- E dove altrimenti?-
Ils.- Una notte, mentre dormivo, sento un vagito, mi sveglio,
tasto nel buio, sul letto, al mio fianco:
non c’è;
di dove m’arriva quel pianto?
Da se, in fasce, non poteva muoversi il mio bambino. ( si ferma come per chiedere)-
Cot.- E perché si ferma? Vada oltre, domandi, domandi, come è nel testo: “ Non è vero? Non è vero?”. ( l’occhio di bue si allarga e ai lati di Ilse si trovano le Vicine della Favola)-
1^ Vic.- Vero! Vero!-
2^ Vic.- Bambino di due mesi, come poteva?-
Ils.- (spaventata) Oh, Dio, queste?-
Cot.- Prosegua! Prosegua! Di che si stupisce? Le ha attratte lei! Non rompa l’incanto. Dica: 
“ Quando lo presi…”-
Ils.- ( con riluttanza ) Quando lo presi buttato – là- sotto il letto…-
Si ode una voce con tono irrisorio che grida:
“ Caduto! Caduto!”
Cot.- ( vedendo Ilse titubante) Non si smarrisca! E’ nel testo, prosegua!-
Ils.- (più convinta) Eh, lo so! Così dicono: caduto.-
1^ Vic.- Ma come caduto? Può dirlo chi non lo vide
là sotto il letto, come fu trovato.-
Ils.- Ecco, ecco, ditelo voi come fu trovato,
voi che occorreste per prime, alle mie grida:
Come fu trovato?-
1^ Vic.- Voltato…-
2^ Vic.- … coi piedini verso la testata…-
1^ Vic.- … Le fasce intatte, avvolte strette attorno alle gambette…-
2^ Vic.- … ed annodate con la cordellina…-
1^ Vic.- … perfette.-
2^ Vic.- Dunque preso,
preso con le mani, d’accanto alla madre,
e messo per dispetto là sotto il letto.-
1^ Vic.- Ma fosse stato per dispetto soltanto!-
Ils.- Quando lo presi…-
1^ Vic.- Che pianto!-
Scoppia dall’interno una grande risata di incredulità, Le due Vicine si voltano e gridano verso quella risata:
“ Era un altro!
Non era più lui!
Lo possiamo giurare!”
L’occhio di bue si restringe su Ilse annichilita, le due Vicine escono di scena.
Ils.- Ho recitato. Ho recitato con le Vicine…( piacevolmente sbalordita)-
Cot.- Immagini uscite vive dalla fantasia del suo poeta.-
Ils.- Dove sono andate?-
Cot.- Sparite!- 
Ils. Ah no! Son tutti trucchi e combinazioni, signore.-
Cot.- Ma no, ma no. Si lasci abbagliare, Contessa, si lasci abbagliare. Impari dai bambini, che fanno il gioco e poi ci credono e lo vivono come vero!-
Ils.- Non sono una bambina.-
Cot.- Se lo siamo stati una volta, bambini possiamo esserlo sempre! E difatti anche lei è rimasta sbalordita appena quelle immagini sono apparse qua!-
Ils.- Ma come sono apparse? Come sono apparse?-
Cot.- A tempo!
E hanno detto a tempo ciò che dovevano dire; non basta? Io le ho voluto dare un saggio, Contessa, che la sua Favola può vivere, ormai, soltanto qua; ma lei vuol seguitare a portarla in mezzo agli uomini, e sia!
Fuori di qua, però, non ho più potere di valermi in suo servizio. Ci pensi.-
Si mode, quindi, come un frastuono di una cavalcata selvaggia. Sono i giganti che scendono dalla Montagna. Quaqueo va ad affacciarsi dietro il pino.
Qua.- Eccoli! Eccoli! I giganti! Sono tutti parati a festa… Sentite? Sentite? Paiono i Re del mondo!-
Cot.- Vanno in chiesa per la consacrazione delle nozze.-
Ils.- Andiamo a vedere.(tenta di dirigersi verso il pino)-
Cot.- ( con voce imperiosa l’arresta) No! Non si muova! Non si faccia vedere, se deve andare alla recita, resti qua e concerti la prova! Vado io a proporre la rappresentazione.-
( Cotrone esce da dietro il pino)
Ils.- ( a Quaqueo) Ma li senti? Ma tu non hai paura? Pare la cavalcata di un’orda di selvaggi! Tremano i muri!-
Intanto il frastuono s’allonterà. Musica adatta. Fermo di scena di Ilse e Quaqueo.
Poi buio in scena (escono Ilse e Quaqueo) con il fondale che tornerà a illuminarsi con effetti di luce. Da un siparietto trasparente, che calerà da destra, si vedranno Uma e Lopardo, gli sposi, e gli altri Giganti che banchettano sfrenatamente.
Poi, cessati gli strepiti, apparirà Cotrone che tratterà con loro. Subito dopo, con cambi di luce, la Contessa sarà su di una pedana e reciterà quella parte della Favola che in precedenza aveva già declamato.
I Giganti prima l’ascolteranno in silenzio, poi inizieranno una caciara sghignazzando, come per scherzare, prima tra loro; poi con Ilse, strattonandola e scrollandola finchè non sarà caduta per terra. Ilse resterà immobile.
I giganti, paghi, andranno via rumorosamente. Poi silenzio assoluto. Luci del caso. Musica adatta. 
Si alzerà il siparietto e Cotrone entrerà in scena da sinistra, prenderà Ilse, esanime, in braccio e, seguito da Quaqueo, entrato da destra, che suonerà una malinconica musica con la tromba, escirà, lentamente, dirigendosi verso sinistra.
Quando sarà a metà del palco, si accorgerà che Uma lo starà seguendo. Con la mimica si dovrà far capire questo: Cotrone chiede a Uma cosa vuole; Uma fa cenno verso la Contessa; Cotrone non capisce; Uma mima la ninna nanna di un bimbo; Cotrone comprende che Uma vuol sentire il seguito della Favola e le fa cenno di seguirlo.
Gli attori, sempre con la musica di Quaqueo, usciranno lentamente da sinistra.

Sipario.

Fine.