La mala pianta

dramma in tre atti di

STEFANO MILIOTO




Personaggi:

Gero
Salvo
Manuela
Maddalena
Dionisi
Voce

In una cittadina del Sud, in faccia al mare

Oggi



Gero, 25 anni, di umili origini, ha una statura media; è scuro di pelle e di capelli e d’occhi. E’ di quel tipo orientale che si riscontra presso il popolo dell’Isola, che diversi ne offre per i retaggi delle diverse dominazioni che tante ne ha subite nel tempo. Di carattere determinato e forte, sa di poter attuare il suo progetto dopo la laurea in Ingegneria.

Salvo, coetaneo di Gero ma di origini borghesi, rappresenta il tipo normanno coi suoi capelli biondi, occhi verdi e pelle chiara. E’ alto, ben fatto ma di carattere incostante, confuso, perché costretto a seguire studi che non gli sono congeniali, quelli di diritto. Ha l’animo dell’artista, ma la laurea in giurisprudenza gli serve per ereditare lo studio antico e affermato del padre, del nonno etc.

Manuela, di poco più piccola dei due, è una smilza brunetta tutta fascino, del quale non si rende conto, con i suoi occhi così profondi, penetranti e smarriti a un tempo. Si direbbe di carattere fermo, se non fosse di un’inguaribile indecisione. A volte, però, sa sfoderare le unghia. Studia per una laurea in matematica per poi diventarne insegnante.

Maddalena, come Manuela, ma col corpo meglio composto, longilineo e slanciato, da atleta. Aperta, estroversa, sa nascondere un suo dramma. Ama la libertà e aborrisce i legami soprattutto sentimentali e le fissità. Tiene all’amicizia e lo dimostra. Studia filosofia, che insegnerà nelle scuole pubbliche.


Atto I
Scena I

Una stanza – studio di un appartamento preso in affitto da Gero e Salvo, studenti universitari rispettivamente in Ingegneria e Giurisprudenza. Al centro della stanza, un largo tavolo contornato da sedie e ingombro di libri. C’è una scarsa suppellettile sparsa, alla rinfusa, e qualche poster di gusto goliardico alle pareti, per lo più di donne succinte. Una poltroncina di vimini è colma di riviste e un transistor, da qualche parte, trasmette sempre musica che sembra non essere ascoltata da orecchie abituate a essa. Davanti ai loro libri siedono Gero e Salvo concentrati a studiare. Ma d’un tratto Salvo sbotta.

Salvo – (passandosi nervoso la mano nei capelli) Un mattone… Ti dico proprio un mattone, questa Procedura penale…

Gero – Quando si fa di malavoglia… Certo, vedere quel volumone lì… (sfottente) Quanto peserà? Tre chili?...

Salvo- (digrignando) Bada che non te lo tiri in testa! Vivo non ci resti, te lo assicuro… (riflessivo) Mio padre lo sa che non sono tagliato per gli studi giuridici… eppure…

Gero – (ironico) Non solo per quelli…

Salvo – (con gli occhi di fuori) Non sfottere, che non è il momento, scienziato del ca… volo. Almeno tu studi quello che ti piace.

Gero – Questo è vero. Quello che è tuo è tuo. Sono la mia passione questi studi. L’ingegneria in tutte le sue specialità. D’altra parte, è la scienza non solo del presente ma anche del futuro. Dovremo fare i conti con l’ingegneria…

Salvo – (con gusto di vendetta) Conti in tutti i sensi, anche di tasca. Conosco le tue sensibilità…

Gero – (non raccogliendo) Non mi ci vorrà molto e, una volta affermato, vedrai cosa sarò capace di fare…

Salvo – (con acredine)Tutto, sarai capace di fare…

Gero – Vedi, tra noi due c’è una differenza, d’origine, se vuoi, di gavetta. Io vengo dalla terra, da una famiglia di contadini. Non dico di avere provato la fame, ma non abbiamo mai nuotato nell’abbondanza. Spero di rifarmi. Tu, invece, figlio di un grande avvocato, con una grande clientela, hai avuto tutto, necessario e superfluo.

Salvo – Ma non la libertà e nemmeno la prospettiva di costruirmi un futuro come voglio io. No, giurisprudenza, invece, perché c’è lo studio di papà, che è stato del nonno e del bisnonno e di chissà di quali altri fottuti antenati.

Gero – Tu non avrai da chiedere a nessuno. Laurea e posto, dietro la grande scrivania che fu di tuo nonno, di tuo bisnonno etc. Io dovrò pure subire la mortificazione di andare a chiedere.

Salvo – (pungente) Non avrai bisogno col grande cervello che ti ritrovi. Ti prenderanno ovunque.

Gero – Pare a te. Forse avrò bisogno di un tuo intervento per la protezione di qualche tuo cliente che conta, di un uomo politico influente, chissà. Certo è che non lascerò nulla di intentato e non disdegnerò di chiederti, eventualmente, aiuto.

Salvo – Conta su di me e se cambiali, truffaldini, delinquenti mi lasceranno il tempo risponderò all’appello ogni qualvolta suonerai la tromba… (schernente) Non quella che suoni la notte…

Gero – (risentito) Che vuoi dire?

Salvo – (ridendo) Che russi. Sembri una sega che addenta un legno nodoso…

Gero – (come scusandosi) Quando si sta male sul letto, la posizione… succede… o la cena…

Salvo – A base di verdura cotta e uovo bazzotto… Ma va…

Gero – Non lo faccio apposta…

Salvo – Chi lo dice che lo fai apposta?

Pausa

Gero – Vogliamo ora tornare a studiare? Abbiamo una buona ora prima che…

Salvo – Oh, sì. Il tempo c’è. La voglia manca. O il piacere, sì, è proprio il piacere che mi manca. Regole, formule, schemi… stringono l’anima.

Gero – Le regole ci sono dappertutto, anche nell’arte.

Salvo – Ma tu le superi. Diciamo che sono delle guide che servono alla fantasia nell’atto creativo. Leggi, leggine, articoli, commi… per quanto si possa manovrare alla fine devi asservirti ad essi.

Gero – Per il buon vivere civile, amico mio. Dai, mettiti sotto; non menare il can per l’aia prima di applicarti, tanto lo devi comunque fare.

Salvo – Non te lo mai raccontata…

Gero – Ancora?

Salvo – L’ultima divagazione e poi ci mettiamo sotto. Diritto amministrativo, un esame sempre rinviato, ma dovendolo fare, mi decisi di prepararlo in estate, durante la villeggiatura in campagna. Nel silenzio e nella tranquillità del mio studiolo e nella pace campestre, attaccai con un pomposo annuncio a mio padre. Andavo avanti faticosamente, poi mi bloccai alla pagina 14 di un volume grosso quanto un ceppo di quercia. Papà mi faceva da guardiano, guai a disturbarmi. Ma lui mi seguiva e, a mia insaputa, controllava sul libro lo studio che andavo facendo. Era quasi la fine di agosto, e un pomeriggio me lo vidi spuntare nella cameretta. Mi girò dietro le spalle, inforcò gli occhiali, allungò il viso e rimbrottò: “Ma sempre a pagina 14 sei?”. Pieno di stizza, andò dabbasso e per giorni non mi rivolse la parola. Capii che mi dette del cretino e non me ne offesi. Ma la sua uscita rimase proverbiale.

Gero – Da applicare agli asini. Beh, ora non t’ascolto più e non voglio nemmeno sentire il tuo fiato. Attacca e non rimanere (allunga il viso per vedere) a pagina 14…

Salvo – (incassando) Applicabile agli asini… Ok, agli asini…

La scena si oscura e se ne illumina un’altra, accanto.
La stanza somiglia alla prima, essendo pigione per studenti, ma decisamente più ordinata e arredata con gusto e col tocco femminile


Scena II
Manuela e Maddalena

Distesa sul canapè, Manuela traffica con un lettore cd. Cerca di fissare nell’orecchio l’auricolare ribelle che non entra bene nella conca. Lo tiene fermo con un dito. Ascolta la musica rilassata che nemmeno si accorge di Maddalena, entrata nel frattempo.

Maddalena – (riprendendola) Bella mia, se vengono i ladri?

Manuela – (togliendosi l’auricolare) Tu non sei una ladra.

Maddalena - A pezzi ti possono fare! Ti metti con quel benedetto lettore…( si libera della borsa e si toglie la giacca jeans, appendendola a un attaccapanni a parete)… Quando ti ci immergi, non esiste più null’altro.

Manuela – Mi sono messa da poco a letto ed ero un po’ stanca. Quest’ultima materia mi sta impegnando molto. La tesi è pronta, approvata, presentata e non voglio saltare la sessione. Voglio laurearmi ora…

Maddalena – Ce la farai… Sei un genio matematico coi tuoi quadrati latini che non so che cosa sono, anche se me lo hai spiegato mille volte. Non preoccuparti, dai…

Manuela – Se salto la sessione, non posso presentare in tempo la domanda nelle scuole per l’insegnamento. Voglio mettermi a lavorare subito.

Maddalena – Aspirazione più che legittima. Senza dire che t’incalza l’altro progetto…

Manuela – Per quello c’è tempo. Non ci penso nemmeno. Ho solo l’Analisi matematica in testa, formule e derivazioni. (Si toglie l’auricolare, depone il lettore, si alza dal canapè) Mi sono rilassata e quasi quasi mi metto a studiare.

Maddalena – Lascia perdere, è tardi ormai. Non te ne sei accorta, ma è ora di cena. Se permetti, ti darei piuttosto un consiglio. Devi deciderti…

Manuela – Decidermi?... Intendo quello che vuoi dire. T’assicuro che mi è difficile, un problema che non riesco a risolvere…

Maddalena – Sfido, non è un problema matematico. Poi, non riguarda te soltanto, ci sono gli altri di mezzo.

Manuela – Lo so, ma non ci posso far nulla. Tante volte mi sono provata senza riuscirci; costringermi a una scelta, comunque fosse, anche questo ho provato col risultato di una grande pena… Meno male che poi il pensiero della laurea ha il sopravvento e allora…

Maddalena – Non fai che rimandarlo così, poi ti si presenterà più vigoroso di prima.

Manuela – Vedrò.

Maddalena – E’ un tuo problema e nessuno potrà darti la soluzione se non te stessa. (sorridendo) A pensarci, mi metto a ridere. Non della tua situazione, ma della mia, rido. Chi ha e chi non ha; chi ha troppo e chi niente. Io non ho niente e tu troppo. Comunque, il bilancio è in pareggio.

Manuela – (costernata) Per lo meno, non hai il travaglio che ho io.

Maddalena – Bella fortuna! Gli anni passano, e il tempo perduto è perduto. (va per un uscio in fondo) Alla coque o fritto?...

Manuela – Fritto… no no alla coque… no… Ma perché sono costretta a scegliere?

Maddalena – (dall’interno, rientrando) Fritto, fritto a occhio, con una spolverata di pepe nero… Scelgo io per te…

Su Manuela soprappensiero si spegne la luce. Succede a questa la scena di prima, con Gero e Salvo nel dopo cena.


Scena III
Gero e Salvo

Gero – (indicando con la testa l’uscio in fondo) Di là c’è un bel mucchio. Non credo che tocchi a me.

Salvo – Domani…

Gero – Ah, io non li tocco. Basta che non fanno puzza, ma i piatti se tardi a lavarli, lì ti voglio. Sei abituato male, caro egregio figlio di papà…

Salvo – Risparmiatelo. Li farò e basta. Non credi che dovremmo parlare d’altro?

Gero – Per esempio?

Salvo – Di Manuela…

Gero – Che cosa ne dovremmo dire? Per lo meno io non ho nulla da dire…

Salvo – Il suo atteggiamento, la sua indecisione, la perplessità nei nostri confronti non sono niente per te? A me fa star male. Mi sembra che si prenda gioco di noi, che si diverta sulla nostra pelle…

Gero – Ma no, che dici? Non percepisco la cosa in modo così drammatico e tu non fartene un problema. Ti crucci inutilmente e a scapito della concentrazione che dovresti mettere nello studio. Non è ch’io non ci pensi, ma lo faccio nei momenti vuoti, poi chiudo il rubinetto e torno al punto di partenza, cioè al mio libro di Tecnica delle costruzioni.

Salvo – Non capisco come tu ci riesca. A me mi pullula tra le pagine il suo volto, il suo sguardo e mi inquieto, mi innervosisco. Perché non vedo una soluzione logica, consona al buon senso e alla norma comune… Possibile che tu, non ti sfiori nemmeno il dubbio? Mi sembri troppo sicuro di te. (sospettoso) Non è che c’è una trama sotto?

Gero – Se non sei pazzo, poco ci manca. Io tramare contro di te? Ma nemmeno le devi pensare certe cose! Da un amico, poi. Faccio finta di non avere sentito le tue parole. Per tua tranquillità, ho rimandato qualsiasi questione che non sia relativa alla mia laurea che voglio conseguire più presto che sia possibile. Voglio mettermi a lavorare subito, per guadagnare qualche soldo, finalmente, col sudore della mia fronte. Tutto il resto non è che non conti, ma avrà il suo momento.

Salvo – La tua calma trascendentale è insopportabile, dà ai nervi…

Gero – Necessità, bisogno, caro mio. Non posso continuare a gravare sulle spalle di mio padre. Prima me ne esco, meglio è.

Salvo – (risentito) I tuoi discorsi sono di rinfaccio a me, alla mia posizione. Smettila, per favore. Del resto non ci posso fare niente. Ognuno nasce come nasce.

Gero - Fai presto a dirlo, beato te! Patrizi e plebei o, se preferisci, proletari e borghesi. La solita storia! Ma non me ne faccio. D’altra parte, si può essere orgogliosi della propria umile condizione sociale, della propria povertà. Io sono orgoglioso e ricco della mia povertà. Ecco, non me ne faccio ma ti considero, poiché, nonostante tutto, ti sono amico.

Salvo – (scattando) Nonostante tutto? Che intendi?

Gero - Certe tue uscite, certi tuoi modi che, senza che te ne accorga –ne sono sicuro-, prevaricano, risultano pesanti, non dico offensivi ma poco ci manca.

Salvo – Senza volerlo; è il mio carattere che ogni tanto sbraca, rompe gli argini. T’assicuro, senza intenzione.

Gero – (compatendo) Lo so, altrimenti non ti terrei con me.

Salvo – Vorrei avere la tua capacità di distaccarti, di controllarti, di saper dare priorità alle cose che di priorità hanno bisogno. Io ho solo confusione di testa. Metto prima le cose di dopo e dopo le cose che meritano di essere messe prima. Tutto si mescola nella mia testa senza discernimento e si ammatassa in un gomitolo che non ha né capo né coda. Il sentimento sommette la ragione e mi acceca, facendomi svisare ogni cosa. Porto all’esagerazione tutto e una pagliucola mi sembra una trave e vedo come con una cateratta nell’occhio. La sospensione in cui entrambi siamo tenuti, mi sconvolge da non poterne più. Non ci posso far nulla. Questo avviene dentro di me e me ne cruccio.

Gero – Positivi, occorre essere positivi. Freddi, e aspettare il momento, che arriverà. Anche per lei i tempi stringono. Se vorrà, bene, tu o io, almeno si sarà pronunciata. Altrimenti, a me sta bene comunque deciderà. Trovati una ragione, la mia se vuoi, io ci sto bene… Ora, di là, i piatti… ti aspettano!

Salvo – (urtato) Rompimento di….

Gero – Ah, ah, ah… (gli indica la cucina con un cenno di mano).

Buio, e luce sull’altra stanza

Scena IV
Manuela e Maddalena

Manuela – Sono stanca da morire. Non vedo l’ora che arrivi il giorno fatidico della laurea. Anche i miei stanno vivendo con trepidazione questi giorni.

Maddalena- La tua ansia è contagiosa. Mi sento in fermento per te. Io non ho nessuna fretta. Chi va piano… dice il proverbio.

Manuela – Sai che significa? Che per un niente si può perdere il treno. Ci sono le scadenze e ce la farei, laureandomi ora. Giusto è stato rinviato tutto e le date sono state aggiornate.

Maddalena – Non ci voleva quello scandalo, ma sono sicura che salveranno la sessione. D’altronde, nonostante la gravità del fatto, non terranno ferma la macchina per molto tempo.

Manuela – Ma tu, ci credi?

Maddalena – Ci credo e non ci credo.

Manuela – Non ci vuole niente a montare un caso.

Maddalena – Studenti che si vedono impediti con una bocciatura nel prosieguo degli studi, può bruciare, e allora…

Manuela – No, non credo possibile che un professore, uno scienziato, arrivi a questo. Per noi sono delle guide, dei maestri di dottrina e di morale. Neppure se vedessi, crederei.

Maddalena – I professori godono da parte nostra d’una sacralità, purtroppo.

Manuela – Perché, purtroppo?

Maddalena – Così, che forse è eccessivo il rispetto che portiamo loro.

Manuela – Abbiamo di loro una concezione di persone speciali, esseri superiori. Non mi vorrai dire che non sei rimasta affascinata della loro cultura, del loro porgere, dei modi che hanno nel trattare? Io sì, e spesso pendevo dalle loro labbra e mi sentivo illuminata dentro dalla loro scienza.

Maddalena – E poi?

Manuela – Niente, mi sentivo un’altra e con l’animo disposto a orizzonti più ampi. E con tanto, ma tanto desiderio di approfondire, ricercare, di immergermi nel mistero delle cose.

Maddalena – (con tocco di ironia) Sempre a causa dell’irradiazione fascinosa che ti proveniva dai professori, da quegli esseri speciali.

Manuela – Sì, certo. Ma non capisco la tua ironia. Sono dei maestri dai quali ho ricevuto tanto.

Maddalena – Forse ti sfugge una piccola cosa, che sono esseri umani. E ogni essere umano, per quanto grande, ha un minimo di bassezza dentro, di infido istintuale che, emergendo, possono far commettere le sciocchezze più inaudite. E’ la mala pianta che si radica nel profondo da non potersi affatto estirpare. Con ciò non voglio smitizzare i tuoi idoli, ma ti voglio far stare coi piedi per terra. I fatti recenti lo provano…

Manuela – Ancora è tutto da dimostrare.

Maddalena – Le indagini, il processo, la sentenza, certo… Ce ne vuole prima giudicare uno colpevole. Nel caso, poi c’è il consenso. Ma ciò nulla toglie a un giudizio di tipo morale. Persona per bene, intemerata, distaccata, osservante delle regole. Insomma, quel che si dice un uomo tutto d’un pezzo e un docente oltremodo valido, con tante pubblicazioni, conteso dalle più prestigiose università… eppure, è scivolato, sulla classica buccia di banana, anzi del sesso, non sapendo resistere ai prepotenti richiami della carne fresca delle allieve. L’arca di scienza in un niente e per niente ridotta in frantumi o in mondezza, se ti piace.

Manuela – E via, potrebbe trattarsi d’una vendetta, d’un tranello ordito a bella posta. Le invidie, poi; le invidie professionali, terribili, dove le metti?

Maddalena – E va bene, sospendiamo il giudizio. Ma non puoi negare l’istinto che se aggalla ti inchioda alla responsabilità d’un delitto, d’un misfatto, d’una fesseria qualsiasi che fa piazza pulita di tutta una vita senza pecche.

Manuela – No, non posso negarlo.

Maddalena – Metti, poi, che quel docente ha superato la sessantina… Quante rispettabili facciate nascondono vizi qui, all’università, come anche altrove. Se poi certe persone hanno ascendente su di te, ci caschi, non sai come ma ci caschi.

Manuela – Il fascino di cui si parlava prima.

Maddalena – Ecco che cominci a inquadrare il problema. Nel processo le varie accuse formulate si sgonfieranno una volta appurato che le studentesse erano consenzienti.

Manuela – Ci sono le video-cassette…

Maddalena – Si possono leggere nell’uno e nell’altro senso, se non si è distratti dalle immagini…

Manuela – Ma sono giudici…

Maddalena – Uomini o donne è lo stesso, e la materia incuriosisce e fa prurito. Allora gli avvocati difensori chiederanno l’assoluzione con formula piena, ma parleranno di grave attentato alla privatezza. Le studentesse saranno prese per sgualdrine o puttanelle e al professore rimarrà l’onta addosso di persona lurida per tutta la vita. Tutto questo perché è stato scoperto. E le cose che non si sanno?

Manuela – Mi rifiuto di credere…

Maddalena – Il fenomeno non è diffuso, ma esiste.

Manuela – Non rovinarmi il pupo bello.

Maddalena – Che male ci sarebbe poi?

Manuela – (stranita) Come? Mi vuoi far uscire di senno?

Maddalena – (adombrandosi) Ce ne sarebbe tanto di male. Per chi è vittima poi…

Manuela – Che hai? (vedendo l’amica scoppiare a piangere) Maddalena, che hai?

Maddalena – Io, vittima; sono una vittima…

Manuela – (sbigottita) Tu? In che senso vittima?

Maddalena – Ho subito anch’io. Prima mi sono sentita come costretta, poi volontariamente…

Manuela – Hai avuto rapporti...

Maddalena – Con un professore.

Manuela – Impossibile! Vuoi scherzare?

Maddalena – C’è poco da scherzare. Il suo fascino, la sua aria aristocratica, il suo modo incantavano. Dapprincipio, forse ero io la meno affascinata. Non ci pensavo nemmeno. Frequentavo l’Istituto di Teoretica con l’ebbrezza del neofita tutta presa dall’amore della ricerca. Lui era una guida splendida, sapiente, prodiga di consigli e suggerimenti. Un giorno –un pomeriggio verso le cinque- nel chiedergli una spiegazione, mi accorsi che mi guardava in un certo modo. In Istituto non c’era nessuno e da lì a un niente successe tutto.

Manuela – Non hai reagito? Non hai assunto un atteggiamento, che so?, di difesa? Non sei scappata?

Maddalena - Mi sentivo come impedita nella mente, come se un torpore mi immobilizzasse la lingua; ero legata, come in completo suo possesso.

Manuela – Eri succube d’una forza superiore. Ma non provavi…

Maddalena – Piacere? Sì, tanto, ma non per mia volontà. Ma non ero capace di volerlo. I sensi e la volontà andavano per vie diverse. Ero in sua balia, come ipnotizzata.

Manuela – Può darsi che avesse e usasse quelle facoltà.

Maddalena – I suoi occhi, i suoi occhi, verdi e taglienti come cocci di smeraldo, penetravano nel profondo.

Manuela – Ti ipnotizzava e ti usava.

Maddalena – Quando cerco di capire, non trovo spiegazioni plausibili. Tutto è possibile. Certo è che a un certo punto le mie facoltà di intendere e di volere si annullavano in uno stato di semi-incoscienza. Cascavo come una pupa di gomma tra le sue braccia. Non lo saprò mai.

Manuela - Come è finita? L’hai mai confidato a nessuno? Hai detto che la storia è durata parecchio tempo. E nessuno se ne è accorto? Queste storie hanno le gambe corte, non ci mettono nulla a diffondersi e diventare patrimonio comune di pettegolezzo.

Maddalena – Stranamente non si è saputo nulla. E’ durato un semestre, finché non si è trasferito altrove, forse all’Estero. Non ho avuto più nessuna notizia di lui. Perché ti ho raccontato questa mia storia?

Manuela – Perché calzava al discorso che stavamo facendo.

Maddalena – Lo scandalo all’Università e quel che si nasconde dietro la facciata. Per farti disincantare, anche se ormai te ne stai uscendo. Per dirti – a un’amica posso confidarlo- che non prenderò mai uomo con un segreto che mi pesa dentro come un macigno.

Manuela – Ma non hai colpa!

Maddalena – Il piacere che provavo… è condanna per me. Di fronte a questo non ho scusanti né attenuanti. Non posso né voglio ingannare un uomo che mi ami.

Manuela – Non so cosa dire, che ragionamenti opporti.

Maddalena – Nulla, che vuoi oppormi? Nessuno riuscirebbe a scrollarmi da questo proposito.

Manuela – Ora capisco il senso della tua ironia.

Maddalena – Dico che non mi corteggia nessuno, che non mi vuole nessuno.

Manuela – E che invidi me…

Maddalena – Ma che invidia!? Un’amarezza cupa, profonda, ma mia, solamente mia.

Manuela – Sento tanta pena per te.

Maddalena – Non ci pensare. Io ho preso una via traversa, tu sei perfettamente nel solco della normalità. Devi solo deciderti e, se vuoi ascoltarmi, fallo subito: perdendo tempo, non fai male solo a te stessa. Capisci?

Manuela – Sì, che capisco! Ma mille dubbi mi assalgono. Se faccio la scelta sbagliata? Avrei a pentirmi per tutta la vita, col rimpianto che se la decisione fosse caduta altrimenti, avrei avuto una vita diversa.

Maddalena – Non la farei così lunga. Rischi di rimanere in sospensione e non è detto poi che troveresti la loro disponibilità. Non si può aspettare tutta la vita e tu non profittare della loro pazienza.

Manuela – Vorrei essere come te, Maddalena. Così decisa e con le idee chiare.

Maddalena – La vita mi ha messo alla prova e mi ha dato un’arma che ho puntato contro di lei. Bisogna saper far uso, e buon uso, di quest’arma. Vedi, chi più chi meno ne passiamo durante l’esistenza. Se hai un momento lieto, sta certa che uno triste ti incalza. La vita fa con noi quello che il gatto fa col topo: ci gioca, il gatto, col topo finché non se lo mangia. Ma noi siamo diversi dal topo e, nel momento in cui si soccombe, si può risorgere, avendo prima strappato l’arma con la quale potremmo metterci, non più a mani nude, davanti alle prove che ci toccherà di sostenere. E non è detto che si perda sempre.

Manuela – Come si vede che studi filosofia!

Maddalena – Esperienza, pratica di vita. Tutto qui. La filosofia… la mia passione fin dai tempi del liceo.

Manuela – Le tue parole hanno un effetto narcotico in me. Mi smontano, mi calmano, mi fanno vedere le cose nella loro nudità. Ce le complichiamo spesso senza ragione, quando basterebbe soltanto un sì o un no. Penso che tu abbia ragione…

Maddalena – L’ultima parola spetta a te. T’ho mostrato come la penso, la mia opinione su come inquadrare il problema. Ma sarai tu…

Manuela – (completando)… a decidere. Sì, io. E lo farò prestissimo…

Maddalena – (protendendo le orecchie verso l’entrata) Non senti un trepestio dietro la porta?...

Manuela fa un cenno di assenso con la testa.
Ma già la porta, spinta da fuori, si apre ed entrano Gero e Salvo. Salvo ha in mano un vassoio di pasticceria ben confezionato.

Gero e Salvo – Ciao, ciao… eccoci qua.

Manuela – Non vi aspettavamo. Io non vi aspettavo.

Gero – Ah, ah… Non veniamo mai senza annunciarci…

Maddalena – (a Manuela) Scusami; scusatemi voi. Ho dimenticato di dire a Manuela che vi ho incontrati e che sareste venuti.

Manuela – La perdoniamo?

Gero – (a Salvo) Tu che ne dici? Ma sì che la perdoniamo.

Salvo – La perdono. (mostrando il vassoio) Ma che ci faccio ancora con questo in mano?

Maddalena – Dà a me. (lo prende) Accomodatevi. Ma questa gentilezza… a che dobbiamo…

Gero – Primo: che non si va dalla gente con le mani in mano; secondo: che Salvo s’è tolto dai piedi quel mattone del Diritto Amministrativo.

Salvo – (sollecito) Con diciotto, giusto per precisare…

Maddalena – (di rimbalzo, a Manuela) Ancora scusa. Ho dimenticato di dirti anche questo, Manuela.

Manuela – (serafica) Non fa niente.

Salvo – (fraintendendo) Come, non fa niente? Ti pare niente che con questo esame superato già sono alle porte?

Gero – S’è messo a pari mio. Siamo tutt’e due sulla stessa linea, in pole position. Se ci va bene potremmo laurearci nella stessa sessione. Ci rimane l’ultimo ostacolo e la tesi. Ma è un gioco da ragazzi.

Salvo – Fino a un certo punto. Sono sempre esami, e gli esami riserbano sempre sorprese.

Gero – Ma siamo ottimisti. Intanto celebriamo il funerale al Diritto Amministrativo. Svolgi quel vassoio, Maddale’.

Manuela – Da bere… non abbiamo liquori. Solo caffè…

Maddalena – Al massimo tè…

Salvo- (disgustato) Tè? (sbrigativo) Caffè, caffè.

Maddalena svolge il vassoio e subito ne esala una fragranza che colpisce il loro olfatto e la bellezza la loro vista. E sono cannoli, bocconcini, babà, cestini, cartocci, cialdoni…

Salvo – Che bellezza!... Prendiamo.

Ciascuno si butta a scegliere secondo il proprio gusto.

Gero – I cannoli, la mia passione…

Maddalena – Io, cosa prendo? Il cestino con la fettina di ananas…

Manuela – Io con la pesca…

Salvo – Un cartoccio per me…

Gero – Li dobbiamo mangiare tutti e dunque…

Non mangiano, degustano.

Maddalena – (con un cialdone tra le dita) Corro a preparare il caffè (esce).

Manuela – Avete avuto una bella idea a portare questi dolci. Che sostituiscono la cena. Sono attentati contro la linea. Ma come si fa a rinunciare a tanta grazia? Faremo dieta, salteremo qualche pasto domani…

Salvo – E che hai bisogno di far dieta, tu?!

Gero – Sei secca come un grissino.

Manuela – Non è solo questione di linea, di magrezza. Uno bisogna che ci pensi in tempo…

Salvo – Ecco, colesterolo, trigliceridi…

Gero – Pensieri che rovinano l’esistenza. Come ci si può privare di certi piaceri, di certi gusti.

Manuela – Poi si paga caro…

Maddalena – (rientrando dalla cucina) Ti pareva che non dovessero entrarci i grassi. (posato il vassoio, comincia a versare il caffè nelle tazze) Ditemi voi quanto basta…

Salvo – Va bene così..

Gero – Non molto, normale.

Maddalena – Lo zucchero mettetelo voi.

Ciascuno si serve e prende a sorbire il caffè.

Gero – Ottimo…

Salvo – Buono veramente…

Maddalena – Grazie. Il caffè è la mia specialità. (sorridendo) Ho un futuro assicurato.

Manuela – Lo sa fare proprio bene, e non solo il caffè. La invidio per questo. Ha un tocco tutto speciale.

Gero – (sfottente) Fatti svelare il segreto… non si sa mai…

Manuela – Apriamo una caffetteria, un bar, se non troviamo lavoro.

Maddalena – Si guadagnerebbe di più, ne sono sicura.

Salvo – Io mi metto alla cassa.

Gero – Abbiamo capito. Meglio non aprirla la caffetteria.

Salvo – (punto) E allora?

Gero – Niente. (cambiando tono)Ti pare possibile? A ognuno il suo mestiere. Tu avvocato, io ingegnere, loro professoresse, di matematica e filosofia. E’ così chiaro e delineato il corso dei nostri prossimi, mettiamo, cinquant’anni. Oh, se vi par poco, facciamo sessanta, e anche più. Non mi costa niente.

Maddalena – Ci pensate? Cinquant’anni di giorni tutti uguali… E’ tremendo!

Salvo – (urtato) Comincia a filosofare la filosofa.

Gero – E’ il suo mestiere…

Manuela – Trovo che la prospettiva non è poi così brutta. Il lavoro, la famiglia, i figli; i rapporti sociali…

Maddalena – Hai dipinto una prigione con te dentro, e la tua faccia dietro le sbarre.

Salvo – La fine predestinata di ognuno, quantunque ci si voglia sottrarre. A parte il sesso, ci sono gli altri istinti, la perpetuazione della specie, il paterno, il sociale etc. etc.

Gero – In pratica si cerca una sistemazione, meglio se con un compagno giusto e senza calcolo. Non sarebbe esistita l’umanità altrimenti.

Maddalena – Meglio…

Salvo – Come sei catastrofica…

Manuela – Perché non lasciamo andare il mondo come è sempre andato?

Gero – D’altra parte, possiamo indirizzarlo diversamente? Non abbiamo né rimedi né mezzi. Io una famiglia me la voglio fare e subito. Voglio avere una parte in questo grande palcoscenico che è il mondo.

Salvo – A me non mi frega niente né del mondo né della società. Io vorrò stare con la donna che amo e basta. Un rapporto semplice, naturale senza le sovrastrutture di cui andate parlando. Lei e io. Basta. Da consumarci le vite insieme.

Manuela – Sarebbe triste davvero.

Salvo – Devo ammettere che la scelta deve essere condivisa. Si deve essere d’accordo, è bene chiarirselo in partenza. L’amore è totale, esclusivo…

Poiché il discorso comincia a prendere una certa piega, Maddalena, intuendo, reputa opportuno togliersi di mezzo.

Maddalena – (interrompendo e accennando alle stoviglie) Togli via tu? Esco un po’, per una mezz’ora o poco più. Una commissione da fare che mi ero scordato. Ecco, ritorno entro un’ora (come per dire a Manuela di sbrigarsi a fare quello che deve fare) (a Gero e Salvo) Scusatemi voi (esce).

Gero – (riprendendo il discorso) Sei sempre maledettamente draconiano.

Salvo – Coi sentimenti non si scherza. L’amore è un padrone dispotico, è una forza che travolge, che smuove tutto. Ti sei mai chiesto perché si deve amare? Semplicemente perché siamo imperfetti, l’uomo e la donna. Allora per colmare tale imperfezione, l’uomo ha bisogno della donna e la donna dell’uomo. Questa è la vera spinta che porta l’uno verso l’altra.

Manuela – (quasi atterrita) Allora, io?

Gero – Tu?

Manuela – Sarei imperfetta due volte… amandovi tutt’e due.

Gero – Ma no, non dare retta a quello che dice Salvo.

Salvo – (reagendo) E’ ciò che penso.

Gero – Una tua opinione avventata, rischiosa che io rispetto, come te che rispetti la mia, anche se ti appare tradizionalista e prosaica.

Manuela – La mia, allora? Il fatto si è che mi sento di condividerle tutt’e due le vostre posizioni. Mi attrae la visione composta, ordinata di Gero; mi coinvolge Salvo con la sua eslege, libera, senza legami. Che confusione di testa!

Gero – Spetta a te decidere. Ti amiamo entrambi sinceramente e nutriamo grande rispetto nei tuoi confronti, e tra noi c’è lealtà reciproca. Non invidia o gelosia. Comunque tu scelga, ci sta bene. E posso assicurarvi che, dopo il tuo pronunciamento, se a mio sfavore, scomparirò dalla vostra vita.

Salvo – Le idee di Gero sono anche le mie e, dopo, se va diversamente da come spero, non sentirete parlare più di me.

Manuela – Parlando così, mi pugnalate. Non finisse mai quest’università in modo da rimanere come siamo!

Salvo – Non dura in eterno l’università.

Gero – Siamo ormai alla fine. Tu sei già alla laurea; noi fra una, due sessioni al massimo saremo fuori. A meno che tu non rinunci a noi…

Salvo – (ribadendo) A meno che tu non rinunci…

Manuela – (toccata nel vivo) Ma nemmeno per idea; sarebbe peggio della morte. La mia vita non avrebbe senso. No, non posso. Vivo per voi, ora…

Salvo – (quasi sadico) Per uno soltanto…

Manuela – Sì, a uno soltanto dedicherò mente e corpo. Me stessa con tutta l’anima. Se non l’avessi sperimentato su di me, non avrei creduto possibile il gioco beffardo del cuore. Il cuore che si sdoppia e indirizza ciascuna parte verso due diversi oggetti di desiderio, cadendo in amore, ciascuna parte, per uomini diversi. E ciascuna ama profondamente il suo uomo. Ho cercato di leggere, ho letto; ho cercato di capire, ho capito. Mi sono beffeggiata, dileggiata, messa in ridicolo pensando alla superficialità di un cuore capriccioso e leggero, ma tutto mi riportava a un sentimento autentico, seppur diviso. Ho provato a dimenticarvi. Ma come vedete, il risultato è che stiamo parlando del sentimento che ci lega.

Salvo – Il gioco ora deve cessare… Le bizzarrie del tuo cuore…

Manuela – (risentita) Che bizzarrie!

Gero – C’è bisogno di ricomporre le tue lacerazioni, e tu sola puoi farlo.

Manuela – Io sola…

Gero – (categorico) E ora…

Salvo – (marcando) Senza rimandare oltre…

Gero – Il momento è questo. Salvo e io siamo pronti.

Salvo – Una tua parola…

Manuela – Dovrei dire a uno di voi due: tu. Ma con quale forza? Già vedo il volto dell’altro, dell’escluso, trafitto, in lacrime, corrucciato, atteggiato a una smorfia di pena. Oh, che tristezza!... (pausa in cui il silenzio fa sentire tutta la sua gravezza). Forse…

Salvo – (sollecito) Forse?

Gero – (incoraggiando) Se t’è venuto in testa qualcosa, parla…

Manuela – (spirata) Il primo che arriverà alla laurea, quello prenderò.

L’inaspettata e imprevedibile uscita coglie di sorpresa i due che rimangono a guardarsi sbigottiti, sotto gli occhi persi di Manuela e lo sguardo interrogativo di Maddalena, nel frattempo entrata. Il sipario, chiudendosi li toglie alla vista e segna la fine del I atto.




ATTO II
Alcuni, pochi, anni dopo.

Scena I

Ufficio di Gero nel Municipio. Gero è dietro la scrivania, affossato nella poltrona. Gli siede davanti Dionisi, il saggio, esponente d’una organizzazione d’affari. I due sono nel bel mezzo di una discussione animata, quasi uno scontro.

Gero – (piccato) Mi chiedete l’impossibile.

Dionisi – Si vedrà qui tutta la tua capacità. Noi – dico noi- siamo convinti che dipende da te, dal modo con cui imposterai le cose.

Gero – Comunque sia, ai limiti della legalità.

Dionisi – Nessuno t’ha chiesto di andare oltre…

Gero – Di trovare le scappatoie, quel margine, angusto spesso, la linea sottile che separa il lecito dall’illecito…

Dionisi – Sei stato bravo…

Gero – Per farla in barba alla legge.

Dionisi – No, è la legge stessa, il suo punto vulnerabile…

Gero – Per le piccole cose che non si vedono, che non danno nell’occhio. Abbiamo potuto lavorare senza essere disturbati. Abbiamo dato i contentini, abbiamo chiuso le bocche con la politica di un boccone a me e uno a te.

Dionisi – Boccone dopo boccone hai realizzato tanto, ma miseria rispetto a quello che con il nostro grande progetto verrà realizzato. Ti ricordo che hai avuto sempre noi dietro e per certe bocche non è bastato solo un boccone.

Gero – Lo so, come so –e sono io a fartelo ricordare- che in una notte abbiamo sconvolto il piano regolatore, rendendo edificabili perfino le acque del mare, violentando ambiente e paesaggio. Abbiamo commesso un reato dietro l’altro.

Dionisi – Non sei stato denunciato, non sei andato in galera, nessuno ha alzato un dito contro di te: in ogni caso avremmo saputo come farglielo abbassare. Ma le ville e le palazzine sono lì, la tua in bellavista sul mare e la palazzina coi tuoi appartamenti sulla piazzetta…

Gero – Quella lottizzazione vi ha fruttato fiori di miliardi.

Dionisi – Perché sei stato bravo, e intelligente: l’ingegnere più intelligente di quanti siano in circolazione. Un vanto per noi. Capace, disponibile, intuitivo, affidabile che sarà ancora all’altezza in questa operazione che porterà lavoro e…

Gero – (interrompendo con fastidio).. quattrini…

Dionisi – Giusto premio all’impresa.

Gero – Alle vostre (reticente)…

Dionisi – Nostre, di’ pure, malefatte… No, caro mio, perché mettiamo i nostri mezzi, i nostri sforzi per far muovere una macchina che dispensa possibilità, opportunità, lavoro. Pensa ai disoccupati, ai padri di famiglia che non hanno di che dar da mangiare ai figli…

Gero – Oltre la legalità. Che sforzo! Le leggi, le leggi… abbiamo il dovere di osservarle le leggi, e, da qui, di farle osservare. E’ bello prendere il fuoco con le mani altrui.

Dionisi – Fesserie. Le leggi sono convenzionali e relative. Sono come un pezzo di stoffa che ognuno s’acconcia come vuole; le leggi sono per i poveri e per i fessi. Noi, fino a prova contraria, non siamo né poveri né fessi.

Gero – La legge c’è ed è per tutti, e io non voglio violarla.
Dionisi – Te ne fai scrupolo? Ora si fa scrupolo. Quando uno è sazio e ci esce dal naso… Gli morde la coscienza… In pochi anni hai accumulato un patrimonio. Eri un povero morto di fame, ecco, cos’eri. Sei lì per noi. Ti abbiamo messo in quel posto fresco di laurea, mentre tanti come te mendicano ancora… Me la stai facendo tirare per le lunghe. Speravo ci fossimo intesi subito, come le altre volte…

Gero – Vi ho serviti…

Dionisi – Ti sei servito di noi e ora vuoi darci il benservito. Fino alla fine, ricordati. Le “Pergole” ti aspettano. Ci abbiamo investito tutto il nostro capitale.

Gero – (con rimpianto) Sono un paradiso le “Pergole”, un vero dono di Dio, e voi volete deturparlo, distruggerlo col cemento…

Dionisi – Sono terra morta le “Pergole”, piene d’erbacce e infestate di male piante. Il nostro progetto le farà risuscitare (con larvata ma decisa minaccia) con la tua collaborazione, si capisce. Allora sì che saranno un dono ma nostro alla società. Contiamo su di te e sapremo essere generosi, con te.

Gero – Non voglio entrarci nella vostra speculazione.

Dionisi – Ci entrerai, ci entrerai. (a una smorfia di riluttanza di Gero) Sappiamo che non è semplice, ma abbiamo pazienza da vendere. Come vedi, sono paziente; anche gli altri sono pazienti, ma quanto è giusto e necessario… (falsamente remissivo) Ci mettiamo nelle tue mani, siamo certi, in buone mani. (si alza e sulle mosse di andare ripete) in buone mani… (sulla porta) in buone mani… (girandosi sul busto) Alla commissione edilizia di stasera quello che potrà dare fastidio non ci sarà: un piccolo guasto alla macchina lo farà arrivare a lavori finiti e gli altri componenti li abbiamo accarezzati. Tocca a te. Non ti resta che di portare in discussione il progetto. Una formalità che devi espletare tu, non altri che tu. (fa un passo in fuori. Rientra. Cava una busta dalla tasca interna della giacca) Domani mattina, a risultati acquisiti, troverai questa busta sulla scrivania. Contiene un certificato bancario con numero segreto per una certa somma di danaro non indifferente. La banca è sicura. Mi aspetto buone nuove da te. (esce).

Gero, che è rimasto inchiodato alla poltrona, è esterrefatto, avendo capito benissimo il parlare larvatamente minaccioso di Dionisi: una trappola da cui non è possibile fuggire. Viene scosso dal trillo del telefono e va a rispondere.

Gero – (alzando la cornetta) Pronto, chi è? (riconoscendo la voce) Sei tu, Manù? Come sto? Bene, come devo stare… Affaticato e stanco, come la mia voce fiacca ti lascia intendere. Senti, non so se torno a casa… Un sacco di lavoro… Come vuoi, passa da me… Una sorpresa, per me? Non me lo vuoi dire? Va bene… Ma no, andrò a prendere qualcosa al bar. Ma non ti preoccupare… T’aspetto… te e la sorpresa. (deponendo il telefono) Povera donna, che ne può sapere?

Gero si accascia nella poltrona e, il gomito sul bracciolo, appoggia il mento nel palmo della mano, il mignolo e l’anulare sul labbro superiore e sotto il naso, l’indice e il medio sullo zigomo, il pollice disteso lungo la mandibola. E’ in forte stato di apprensione, di agitazione interiore dovuta al fatto di dover riaprire una parentesi che riteneva chiusa per sempre. Dall’arruffio di pensieri uno se ne stacca e prende consistenza di punto luminoso in un angolo, dal quale si parte una voce che riconosce in quella del suo maestro di scuola che lo ha educato al rispetto delle leggi, dei valori, dell’onestà.

Gero – (come attratto, sorpreso) Lei qui? Ma è tant’anni che…

Voce – Sono morto, sì, da tanti anni. Ma sopravviviamo, se avremo saputo seminare bene nelle coscienze. Io ho seminato in te buone sementi, ma si vede che c’erano in mezzo semi guasti. Mi hai costretto a un tristo ruolo, d’esser la voce della tua cattiva coscienza. Sono la tua coscienza che ti rimorde... Ma hai bisogno di me ed eccomi.

Gero – Ho bisogno di aiuto, di tanto aiuto. Ma sono irrimediabilmente compromesso.

Voce – Posso solo darti conforto. Il seme cattivo ha generato in te una mala pianta che ti ha travolto e ti stringe tra le spire delle sue radici velenose. “Attenti alla mala pianta che portiamo dentro”, vi dicevo a voi alunni per mettervi in guardia. Vi toccavate la pancia per toccarla, apprezzarla e scoppiavate a ridere, nulla sapendo, nulla capendo.

Gero – Ora lo so, e come se lo so… Ci sono dentro tutto senza nessuna possibilità di uscirne.

Voce – Una, in te. Devi trovare solo in te la forza. Altro non so dirti… Solo in te… ricorda i miei insegnamenti prima che sia davvero tardi… Solo in te… ricorda…

La visione svanisce e la luce ci restituisce Gero nella postura di prima.

Entrano in scena Manuela e Maddalena. Gero va loro incontro con nel volto la gioia per la gradita sorpresa, abbraccia Maddalena e dà un bacio alla moglie. Con un cenno del braccio indica il divano, ove le due donne si siedono, e lui stesso, tirando una sedia da lì presso, si accomoda vicino a loro.

Gero – Questa sì che è una sorpresa! Ma dove sei sparita? Non ti si vede da tempo e ora compari improvvisamente.

Manuela – Non credevo ai miei occhi quando è venuta a trovarmi a scuola.

Maddalena – Non ho rassetto da nessuna parte, mi piace così, e amo scomparire per tanto tempo. Ero da queste parti, e allora ho pensato di venirvi a trovare…

Gero – E hai fatto bene.

Maddalena – Ma per pochi minuti.

Gero – Pochi minuti, ma dai!

Manuela – Ha detto così anche a me.

Gero – (annuendo) Ti trovo bene.

Maddalena – Mi difendo. Ma anche voi mi sembrate in forma.

Gero – Il lavoro è un’ottima ginnastica. Vorrei offrirti qualcosa. Faccio venire dal bar (va per alzarsi per telefonare).

Maddalena – Fermati. Anzi vi devo salutare perché a momenti ho il bus…

Gero – Così subito?

Manuela – Nemmeno una meteora.

Maddalena – (alzandosi e con lei gli altri) Mi è bastato avervi visto. Non potete immaginare la gioia. Alla prossima, ma non so quando; forse anche domani o fra anni: lasciamo l’incontro alle coincidenze, come questa di oggi.

Manuela – Possibile che non ti puoi fermare a casa nostra e stare insieme almeno una serata?

Maddalena – Non posso, né voglio. Sono una zingara. Ma mi fate perdere il bus. (va verso l’uscita).

Manuela – T’accompagno…

Maddalena – No, resta…

Gero – Non può essere. Ti accompagniamo alla fermata del bus.

Maddalena – Restate, per favore. (in preda a gran fretta) Lasciate che vi abbracci (li abbraccia e si avvia verso l’uscio).

Manuela – Non ti eclissare, ti prego.

Gero – Fatti vedere…

Maddalena – Certo, quando a Dio piacerà. (esce).

Gero e Manuela rimangono a guardare per un po’ l’uscio con il rammarico della brevità della visita. Poi Gero ritorna alla sua poltrona e Manuela gli si siede davanti, al di qua della scrivania. Manuela, di poco sfiorita nell’aspetto, mostra i segni della fatica di una giornata scolastica, sicché Gero la guarda con amorevole apprensione.

Gero – Stanca, vero?

Manuela – (scrutandolo a sua volta e glissando la domanda) Hai l’aria preoccupata, oltre che stanca. Me ne sono accorta appena entrata.

Gero – Una giornata intensa. Stasera c’è la commissione e ci sono da prendere deliberazioni importanti, perciò devo controllare tutta le carte prima di portare i progetti in seduta.

Manuela – Potevi venire a pranzare a casa…

Gero – No, che non posso. Perderei del tempo e voglio tenere tutto sotto controllo. Questioni delicate, molto delicate…

Manuela - … delle quali non mi parli per dovere d’ufficio.

Gero – Ecco, hai detto bene: dovere d’ufficio. E poi, che t’importa delle cose di qua?

Manuela – Nulla. Sono assolutamente disinteressata. (radiosa nel viso) Voglio dirti una cosa: stavolta ci siamo…

Gero – Non farti illusioni. Fatti le analisi e aspettiamo i risultati.

Manuela – Volevo dirtelo a voce. Veramente penso che ci siamo.

Gero – Anche l’altra volta eri sicura e poi… (con dolcezza) Quanto male ci sei rimasta…

Manuela – Tu no!? Una delusione. Ma sono preparata anche a un responso negativo, che ora, comunque, non ci sarà.

Gero – Anch’io mi dovrei dare una controllatina, e più presto che sia possibile. Quel dolorino allo stomaco s’è fatto più insistente in questi giorni.

Manuela – E non mi hai detto nulla?

Gero – E che sarà? Tensione nervosa. Il lavoro, la gente con le sue richieste più assurde. Quest’ufficio –sai?- non rilascia certificati anagrafici, ma licenze edilizie. Il che significa sfida continua con le leggi e contrasti forti con chi protegge le proprie clientele elettorali, pensando di servirsi di noi. Qui è una bolgia: chi tira a destra e chi a manca, e io nel mezzo a garantire, quando non divengo il loro capro espiatorio. Ma tant’è. Beati voi insegnanti!

Manuela – Perché non ti sei fatto insegnante? Un misero stipendio anche tu: il tuo e il mio insieme avremmo fatto uno stipendio dignitoso per la nostra tranquillità.

Gero – Con uno stipendio non avremmo avuto quello che abbiamo. Qui la gente sa come sdebitarsi dei favori ricevuti.

Manuela – A che pro? Ti impelaghi in tanti impegni, di cui so appena, a che scopo?

Gero – Spirito d’impresa…

Manuela – (apprensiva) Perché non ti risparmi? La vita è una…

Gero - Be’, ti ringrazio della visita, se è concesso a un marito rispondere con una gentilezza a un pensiero delicato della moglie. Ma, al contempo, devo essere sgarbato se dico che ho molto da fare e perciò ti chiedo d’andartene e lasciarmi solo. (Lascia la poltrona, s’avvicina alla moglie e le cinge le spalle col braccio, teneramente).

Manuela – (ironicamente comprensiva) Me ne vado io, prima che mi butti fuori tu. (s’alza) Mi raccomando, va a prenderti una cosa al bar, che non puoi stare in piedi se non mangi.

Gero – (affettuosamente) Obbedisco. A stasera (la bacia).

Maddalena – T’aspetto…(esce).

Gero scuote sconsolatamente la testa, mentre con movimento involontario della mano si tocca la parte dolente dello stomaco. Si appoggia con la schiena e le mani alla scrivania.

Gero – Povera donna, che ne sa lei di quello che si combina qua dentro! Compromessi, ricatti, illegalità, illeciti solo per il profitto e suo marito tra i protagonisti. Non sospetta nemmeno di dove provenga quello che possediamo, ammesso che abbia un’idea a quanto ammonta. Oh, la copertura è lecita, è sotto che si nascondono le manovre, le malefatte, la corruzione, i silenzi comprati. Il giorno in cui lo venisse a scoprire, morrebbe o diventerebbe pazza. Un’anima candida è Manuela; una personalità fragile ha Manuela, (rivolgendosi al punto da dove proveniva la voce dell’ectoplasma) vero, maestro? Avesse sposato Salvo… Mi sono lasciato travolgere, dal guadagno facile, provando un’ebbrezza che mi ottenebrava la ragione, che non mi faceva distinguere il bene e il male. Mi sono fatto un patrimonio che andrà in frantumi, se i figli non vengono. Dove finirà? La coscienza ha finito per tacere, stanca di gridare alla mia insensibilità e l’anima, l’anima mi sono giocata e l’ho irrimediabilmente persa. Tremenda fame dell’oro! Ora capisco la portata infame del mio operato. Mi pareva un gioco, un divertimento in cui sperimentavo le mie abilità nel far quadrare tutto, nell’eludere la legge, colpendola nel tallone d’Achille che tutte le leggi hanno, e trovando le scappatoie formali. Ma il danno c’è, maestro, e il misfatto si offre ai miei occhi e alla mia coscienza come condanna inappellabile. Povera Manuela, ecco cos’è il tuo uomo posato, equilibrato, saggio! Ora mi preparo all’ultima impresa, dalla quale non posso tirarmi indietro, per uno scrupolo verso mia moglie, proprio così, nel senso che, partecipando, tutto rimarrà coperto dall’omertà, dal silenzio, per l’atteggiamento del tacere cose che tutti sanno, e lei, mia moglie, rimarrà all’oscuro di tutto. Diversamente, sarei sputtanato come un profittatore, un ladro; come uno che ha fatto del proprio ufficio un posto per procacciarsi ricchezze, con conseguenze terribili, gravissime, per lei. Vado, maestro, sapendo di giocare la partita sino in fondo.

Una pausa prolungata di buio e di silenzio deve far percepire che è trascorso del tempo. Quando la scena si illumina, Gero e Dionisi stanno di fronte l’uno all’altro. Ma Gero appare emaciato, patito nel fisico, con nel volto i segni di una malattia che lo sta divorando. Dionisi, nel solito suo atteggiamento altezzoso, arrogante, cerca di convincerlo a prendere una decisione.

Scena II
Gero e Dionisi

Dionisi – Tu sei troppo importante per noi e noi ti siamo amici, e gli amici si vedono nel momento del bisogno. Sappiamo tutto e la verità non è confortante, né bella. Si deve guardare le cose per come sono, nella loro concretezza, e agire con decisione. Tu qua non ci puoi rimanere, devi partire prima possibile. Un viaggio con tua moglie –sappiamo anche del suo falso allarme- in America, a Nuova York. Ti abbiamo prenotato al canso hospitale, o come diavolo si chiama, e ti curerai lì. Nessuno saprà nulla. E’ tutto organizzato alla perfezione. Preparati…

Gero – A morire… mi ci sono abituato all’idea. No, non vado da nessuna parte. Quando quel male ti prende, sei spacciato…

Dionisi – Ma che morire, che spacciato… In America fanno miracoli. Non è cosa da niente un cancro, d’accordo, ma ci sono le cure per combatterlo. Anche qui ci sono, ma lì è un’altra cosa e noi non vogliamo rischiare…

Gero – Non volete correre il rischio di perdere un amico…

Dionisi - …fedele, un amico fedele…

Gero – Un servitore… un servo, che non ha saputo opporsi alle vostre mire e che se lo perdete non ne troverete uno uguale.

Dionisi – Hai detto bene, non ne troveremo uno in gamba come te. Ma questo che c’entra? Vogliamo solo aiutarti, aiutare un amico, e tu non puoi rifiutare il nostro aiuto. Dopo tutto si tratta della tua salute.

Gero – Giusto appunto! Della mia salute e della mia vita. Infine sono padrone della mia vita, o no?

Dionisi – Padrone? Fai presto a dire padrone. Quando uno è utile alla società e la serve bene, ha il dovere di continuare a farlo…

Gero – (sorridendo stentatamente) Da che pulpito viene la predica! Non mi muovo di qua. Farò la terapia, sapendo che non servirà a nulla. Sono all’ultimo stadio ormai.

Dionisi – Perciò di ricovererai al canso hospitale, o come diavolo si chiama, a Nuova York. Parti domani mattina…

Gero – (rassegnato) Malato terminale come sono, non ho dove andare… (indispettito) Perché volete farmi morire in America? Voglio morire nel mio letto, voglio morire qui, dove sono nato, qui esalare l’ultimo respiro. Non mi piace che si scriva sulla lapide: morto a New York.

Dionisi – Non dire stupidaggini…

Gero – C’è un senso profondo in quel che dico... Uno non può scegliere il posto dove morire, muore dove gli capita, indipendentemente da dove si è nati. Io che ho la possibilità e la consapevolezza di morire dove sono nato, perché allontanarmi? Non voglio sottrarmi a questa che io reputo una fortuna.

Dionisi – Bella fortuna! Che ragionamento!

Gero – E poi c’è un’altra cosa, che mi è difficile da spiegare, ma è come un senso di risarcimento del male che ho fatto al mio paese restituendogli le mie ossa.

Dionisi – (reagendo acre) Ma che male! Semmai il contrario.

Gero – Si vede che non capisci. Voglio che sia la terra del mio paese coi suoi vermi a dissolvere il mio corpo. Per espiazione…

Dionisi – Oh, se è per questo… M’impegno a farti seppellire qui, nella remota e improbabile ipotesi di un tuo decesso a Nuova York. Ma non c’è pericolo… Stai vaneggiando, amico mio, che nemmeno un pazzo.

Gero – Non sono mai stato così lucido. E’ la consapevolezza di quel che mi aspetta. Perciò voglio restituire all’aria del mio paese l’ultimo respiro, essere deposto in una bara del legno dei suoi alberi e tumulato in una buca profonda due metri nella sua terra.

Dionisi – Non capisco la logica del tuo discorso. Mi pare che tu, più che altro, hai desiderio di morire. Comunque, fai male a non voler partire.

Gero – E’ inutile. (si tocca il ventre) Ce l’ho tutto qui, me lo tocco, mi sento mangiare le budella. Quando andammo a fare le analisi con mia moglie, pensavamo di vedere nel suo ventre la creatura nostra, data la certezza che lei aveva. E, invece, lo scorsero dentro di me un groppo, un nodulo grosso quanto una pietra di fiume. Immagina come è rimasta mia moglie… Non sa di me. Le ho detto che si tratta di ulcera, ma dovrò pure dirle la verità.

Dionisi – (insistendo) Ecco, se tu pensassi solo a lei, seguiresti il nostro consiglio, (cinico) morendo, la lascereste sola…

Gero – Né lei la prima, né lei l’ultima. Mi resta il rammarico di lasciarla vedova così giovane.

Dionisi – (sadico) Oh, si consolerà. Ne ho viste tante…

Gero – (con sforzo) Non ti permetto… (ha una fitta) Ah…

Dionisi – Testardo! Che aspetti? Parti, e subito. Non credi, ora, che dovresti farlo per lei? Lascia perdere le stupidaggini di poco fa, le scemenze che ti sei lasciato scappare di bocca, e corri a farti le valigie. Tua moglie viene prima. (facendo il verso) Riparazione, la mia terra, i vermi, cretinerie inaudite, in un uomo di grande intelligenza pratica quale sei sempre stato. Tua moglie, prima di tutto. Pensa, anche, che dopo potrebbero venire i figli.

Gero – (rassegnato) Non ne sono venuti fino adesso…

Dionisi – Lascia fare alla natura. La natura è imprevedibile. Hai dodici ore di tempo. Ci sarà un nostro uomo con la macchina che vi accompagnerà in aeroporto e a Nuova York ci sarà chi vi accompagnerà al canso hospitale, o come diavolo si chiama. Il nostro uomo ti darà una borsa coi passaporti e altri documenti da esibire per il ricovero e del denaro per le spese correnti…

Gero – (con una smorfia di dolore) Il denaro no,… per favore…

Dionisi – Ora va a casa a prepararti. Dobbiamo correre contro il tempo. Di questo ti sarai accorto…

Gero – Me ne sono accorto, e come! Ma quanto è inutile…

Dionisi – Non dire cretinate. (s’alza, gli porge la mano. Gero stende la sua e si salutano) Hai dodici ore…

Gero – (con amarezza) Se ci campo…

Buio e sipario per la chiusura dell’atto II.





Atto III

Scena I

Salotto in casa di Manuela

Manuela e Maddalena

Manuela – Ero all’oscuro di tutto. Non ne ho saputo nulla. Non mi sono resa conto di niente. Tutto è precipitato in poco tempo; tutto è avvenuto in modo così rapido, come in una rapina, e lui mi è stato rubato, tolto, senza darmi il tempo di accorgermi della gravità della malattia.

Maddalena – E io? presa alla sprovvista, per poco alla notizia non svenivo... Povero Gero e povera Manuela, mi ripetevo nella mente.

Manuela – La vita è triste e ognuno ha il suo destino. Si vede che questo doveva capitare a me.

Maddalena – Saprai reagire e puoi contare su di me. Non si può essere soli quando capita un disgrazia….

Manuela – Lo so che mi sei amica. Ma la pena è solo mia. Non si può essere soli, quando si è nella sventura. C’è bisogno di qualcuno cui sostenersi.

Maddalena – Se potessi, la condividerei con te. Ma hai tutta la solidarietà d’una amica che ti ha sempre voluto bene.

Manuela – I tuoi preziosi consigli… come dimenticarli? Indecisa io, risoluta tu; indolente io, attiva tu. Facevi tu la mia parte. E forse anche ora avrò bisogno di te, a parte il tuo conforto e la tua solidarietà.
Maddalena – Per tutto ciò che è necessario.

Manuela – Non ho senso pratico… sai.

Maddalena – E come se lo so!

Manuela – Non so orientarmi in niente. Era lui che pensava a tutto, anche alle cose minime. Non voleva che mi interessassi di niente, che mettessi le mani nelle cose che non mi riguardavano. La scuola e le faccende di casa: tutto qui. Ecco il mio ruolo. Non mi coinvolgeva nelle sue cose e allora, sentendomi esclusa, mi veniva il dubbio che lo facesse perché non si fidava, ma finivo poi per credere che lo facesse per risparmiarmi impegni e grattacapi.

Maddalena – Beh, non sempre si debbano sapere “tutte” le cose di un marito. Non penso che potesse metterti a parte di quello che era il suo lavoro di ufficio.

Manuela – No, non dico questo. Ma certe situazioni che si creavano attorno ai doveri d’ufficio, certi contatti, certe presenze io le percepivo come estremamente delicate e ne ero vietata. Alcune volte me lo vedevo arrivare pesante, affaticato nel corpo e nel viso e, al mio allarme, mi diceva che era stanco. Mi diceva una frase che odiavo: “Avessi fatto l’insegnante”, ma che mostrava le difficoltà e il disagio del suo lavoro, almeno così la leggevo.

Maddalena – Doveva essere vero…

Manuela – Non si sfogava e tutto gli rimaneva dentro a fargli imporrire fegato e budella, come purtroppo è avvenuto.

Maddalena – Ha lavorato tanto e tanto ha realizzato…

Manuela – Che non so di preciso… e, in ogni caso, che non saprei gestire da sola. Dovrò rivolgermi a qualcuno, a un tecnico, cui affidare tutto. Di assoluta fiducia. Non saprei cavarmela da sola.

Maddalena – Sono cose delicate che non potrai gestire da sola.

Manuela – Appunto. Ecco perché mi ci vuole uno del mestiere.

Maddalena – M’è venuto un nome, ma non penso sia il caso…

Manuela – Qualunque sia, fallo, dimmelo questo nome, l’uno vale l’altro. Dovrò essere, comunque, sicura a chi affidarmi.

Maddalena – Salvo…

Manuela – (sgranando gli occhi) Salvo?

Maddalena – Il primo che m’è venuto in testa. Ma ci sono tanti altri studi professionali…

Manuela – (rammaricata) Abbiamo perduto i contatti. Non lo vedo da allora…

Maddalena – Ha lo studio del padre, come era nel loro progetto, e ci lavora con “passione”, mi disse una volta che l’ho incontrato.

Manuela – Lui che studiava diritto per forza… Gli è passata l’aspirazione artistica, la furia selvaggia contro le regole, se fa tutto secondo le regole. (con rimpianto) Ci siamo persi di vista e penso che anche Gero non l’ha mai veduto. Me ne avrebbe parlato. In seguito alla mia scelta, non s’è fatto più vivo, né noi l’abbiamo cercato più.

Maddalena – E’ stato di parola.

Manuela - Ma non so se in modo indolore.

Maddalena – Conoscendolo, credo l’abbia preso a male, con sofferenza che forse gli brucia ancora. Ma tu fosti convinta della scelta? Scusa se te lo chiedo.

Manuela – Possiamo sorvolare? Mi lasci la facoltà di non rispondere, anche se a un’amica bisogna aprire il cuore?

Maddalena – Ti capisco e mi fai tenerezza. (abbracciandola) Quanto ti voglio bene, Manù! Chiamo io Salvo, se vuoi.

Manuela – Non so, dopo tanto tempo… Ci avrà dimenticati.

Maddalena – Vi ho dimenticato io? No, dunque… In ogni caso, potrebbe essere l’occasione…

Manuela – (punta) Di cosa?

Maddalena – Perché questa reazione? Mi pare sia la cosa più normale del mondo…

Manuela – (addolorata) Tanto più ora che è caduta la pregiudiziale.

Maddalena – Non intendevo questo, non fraintendermi. C’è stata una sincera amicizia tra noi e niente è più bello che ritrovarla. Ancora penso che non ci sia persona più adatta di lui per tutelare i tuoi interessi. Considera che ci sono altri eredi, i parenti di tuo marito, che possono avanzare le loro pretese. Ne hanno tutto il diritto, ma i lasciti fanno gola… Non fare che nessuno ti difenda.

Manuela – (intuendo) Brava gente, i parenti di Gero…

Maddalena – Non dico di no, ma per interesse nemmeno tra fratelli se la perdonano. Se poi il patrimonio è cospicuo…

Manuela – Non ho idea: la palazzina, la villa a mare…

Maddalena – Queste perché si vedono qui in paese. Che ne sai, poniamo –bada supposizioni- che non avesse altre proprietà o appartamenti altrove … o conti in banca. Che ne sai tu, se ti teneva all’oscuro di tutto? Così almeno m’hai detto…

Manuela – Impossibile…

Maddalena – Sì, d’accordo. Con due stipendi… Non ti dà da pensare che nella posizione in cui si trovava, con la gente che necessariamente doveva passare da lui, qualche “regalo” non l’abbia ricevuto?

Manuela – Gero era una persona onesta.

Maddalena - Chi dice di no. Voglio solo convincerti a metterti in mano a un buon avvocato dagli assalti degli altri eredi e del fisco, perché no? Già avrai noie con le poche cose di qua…

Manuela – Perché dici “poche”? Vuoi dire che ce ne delle altre?

Maddalena – Può darsi. Ho fatto solo un ragionamento ipotetico. Ipotesi. Forse non avrei dovuto, ma ti voglio troppo bene per non farti aprire gli occhi.

Manuela – Mi hai messo in agitazione…

Maddalena – Senza volerlo, per il tuo bene, semmai. Mi sono lasciata andare enfatizzando il tono, ma per lo meno sono riuscita a scuoterti un po’. Piuttosto, prima di parlare con Salvo, vedi se ci sono delle carte in giro, documenti, contratti… che so?

Manuela – (turbata) Mi stai mettendo in grave inquietudine. No, non era il tipo di lasciare le cose così sparse. Era molto meticoloso e ordinato e, purtroppo, col vezzo di tenerseli per sé i segreti.

Maddalena – Ma tu potevi chiedere, ne avevi il diritto: eri sua moglie, infine…

Manuela – Mi stava bene così. Il fatto che non mi metteva a parte di nulla, non mi interessava né mi offendeva. Incombenze in meno, fastidi in meno, preoccupazioni in meno.

Maddalena – Però, via, siamo della vita e della morte.

Manuela - E chi ci pensava? Il pensiero della morte era lontano da noi quant’era lunga la vita che ci paravamo innanzi. Poi improvvisamente la botta. Tutto precipitò con rapidità incredibile che non abbiamo avuto il tempo di dirci un’ultima parola.

Maddalena – Come ti considero! Guai a chi tocca, amica mia. Ora, nonostante la pena, hai una realtà davanti con la quale devi fare i conti, che devi amministrare, quand’anche tu la rifiutassi. Devi muoverti, fare il primo passo perché ne seguano altri.

Manuela – Non mi è facile, qualcosa me lo impedisce.

Maddalena – Cosa?

Manuela – Ho paura.

Maddalena – Paura? Paura, di cosa? Chi ti fa paura?

Manuela – Vedi, quando hai nominato Salvo ho avvertito come una scossa alla bocca dello stomaco. Non c’è ragione… eppure…

Maddalena – Eh, sfido…

Manuela – Non c’è ragione, non ha senso un’emozione al solo sentire quel nome.

Maddalena – Ma ormai… (confusa, a un accenno di reazione di Manuela) Scusa, non avevo intenzione di… anche in rispetto alla memoria di Gero. Solo che, sapendo come vanno queste cose, ho pensato di darti un suggerimento.

Manuela – Grazie, non posso dubitare di te. Di me, invece, fortemente. E’ solo un fatto passeggero, momenti d’onda lunga di fremiti lontani.

Maddalena – Questo, appunto. Per tua tranquillità, non è detto che accetti di vederti, o di vederci, se andiamo insieme. O, stupida, ci andrai tu sola nel caso.

Manuela – Se preferisci, non ho segreti per te.

Maddalena – Comunque, conosciamo l’indole di Salvo.

Manuela – Si sarà calmato, anzi mi hai detto che si è affermato e conta essere uno tra i più valenti avvocati.

Maddalena – Verissimo. Ma, sentendo i nostri nomi, il tuo, non possiamo prevedere come reagirà, se sprigionerà gli istinti sopiti e manifesterà il carattere orgoglioso così ben celato sotto la facciata.

Manuela – (confusa) Ma che dici? Non mi complicare la vita con la tua filosofia.

Maddalena – Finalmente ti vedo sorridere. Si vede che non sono credibile come filosofa. No, dai, mettiamo al bando queste stupidaggini. Valuta seriamente la cosa e se ti convinci contattalo; o fallo fare, se non ti va. O anche rivolgiti ad altri: ce n’è d’avvocati in gamba. Io, comunque, ti sono vicina e pronta a ogni chiamata.

Manuela - Lo so. (vedendo Maddalena prepararsi per andare) Non puoi rimanere ancora? Perché te ne vai?

Maddalena – Devo. Ti lascio alle tue decisioni.

Manuela – Mangiamo insieme?

Maddalena – No. Non per altro, ma voglio lasciarti sola alle tue decisioni. Poi, come sempre, continuo a vivere da zingara, senza programmi e senza legami di sorta. Oggi qui, domani in un altro posto. Ti concedo un giorno, per quando sarà; l’intero giorno. Ti abbraccio con tutto il cuore, sicura di vederti in una diversa disposizione d’animo, in meglio. (l’abbraccia, si abbracciano).

Maddalena se ne va, accompagnata alla porta da Manuela in atto di piangere. Dopo breve pausa, Manuela ritorna sui suoi passi. Ha l’espressione assorta, come se inseguisse nella mente un pensiero che non vuole farsi afferrare. Ma finalmente c’è.

Manuela – La chiave…

Su di lei, col viso disteso per il ricordo improvviso, si spegne la luce. Che si riaccenderà sullo stesso ambiente ma in tempo diverso, come due giorni dopo.

Scena II
Salotto in casa di Manuela
Manuela e Salvo

Manuela – Non pensare, Salvo, che l’abbia fatto senza riflettere. Ho valutato, ponderato se non era il caso di riprendere i contatti.

Salvo – (con durezza) Hai voluto correre il rischio?

Manuela – Rischio, poi… Abbiamo la testa sulle spalle e siamo persone responsabili e mature…

Salvo – Fino a prova contraria…

Manuela – Mi sono rivolta all’avvocato, innanzi tutto…

Salvo – E io non potevo esimermi per dovere professionale. E dal momento che mi hai chiamato, un altro dovere m’imponeva di venire da te. La disgrazia che ti ha colpito meritava la mia presenza a casa tua. Mi dispiace per Gero, che se ne andato ancora giovane, e per te, per essere rimasta sola.

Manuela – Mi consolo dicendo che è la vita, così come gli altri mi confortano dicendomi che è la vita. La pena e i guai rimangono a chi resta. Per il momento, penso solo a chiarirmi la confusione di non sapere che fare, dove mettere le mani tra le cose di mio marito, ammesso che riesca a trovarle.

Salvo – Tu non sai nulla? Non ti metteva a parte delle sue attività?

Manuela – Avevamo compiti distinti: io il governo della casa, lui il resto. Ben poca cosa la mia parte, ma l’intesa funzionava. D’altra parte, non avevo pretese, mi contentavo, mi stava bene così. Non mi diceva nulla, solo una volta che teneva le carte di interesse in cassaforte e mi mostrò una chiave. E un’altra volta me lo vidi entrare in cucina con un malloppo, che si mise a esaminare sul tavolo e, finito, mi disse che lo riportava in cassaforte.

Salvo – La cassaforte, dunque, è qui, in casa.

Manuela – Deve essere da qualche parte qui. Sarò stupida, ma dove la tenesse non mi importava proprio.

Salvo – Se è qui, si troverà: in cantina, sotto la scala, in un angolo, sotto un quadro… Cercheremo. Intanto occorre la chiave.

Manuela - La troverò, di sicuro. Cercherò in qualche cassetto, prima o poi verrà fuori.

Salvo – Una ragione doveva averla per tenere una cassaforte (sospettoso, quasi tra sé) Che ci conservava, in cassaforte?

Manuela – Carte, che altro? Forse qualche oggetto prezioso…

Salvo – (insinuante) … o forse documenti compromettenti…

Manuela – Perché, compromettenti? Gero non avrebbe avuto ragioni…

Salvo – Per l’ufficio che teneva…

Manuela – Anche Maddalena ha insinuato… Gero non si comprometteva: impazzirei, se solo mi sfiorasse il dubbio.

Salvo – (per tranquillizzarla) Aspettiamo di vedere le carte. C’è del tempo ancora per la denuncia di successione. Faremo tutto con calma, per come deve esser fatto. (Ha come un moto interiore e l’agitazione trapela dal volto e nell’alzarsi repentino per andar via).

Manuela – (sorpresa) Vai via?

Salvo – Vorrei andare, sì.

Manuela – Resta, se non hai impegni, dopo tutto non ci vediamo da anni. Ti offro qualcosa. Sbadata, scusami, ti stavo facendo andar via senza nemmeno offrirti il caffè.

Salvo – (calmatosi) No, no, forse è meglio…

Manuela – Insisto, siedi. Ti piaceva un liquore, o un vino, adesso non mi ricordo.

Salvo – (contrariato) Se cominciamo coi ricordi… sì, il marsala…

Manuela – (ricordando) Secco…

Salvo – Secco, ma non lo bevo da allora. Ho smesso…

Manuela – Smesso proprio? Neppure un bicchiere ogni tanto?

Salvo – Per tagliare completamente con quel tempo. Era troppo legato a quei ricordi. Tutto ciò che mi riconduceva a noi del periodo universitario, tagliato come con un colpo di accetta. Sono stato di parola. Ho accettato la tua scelta e sono scomparso dalle vostre vite. Avrò visto Maddalena un paio di volte, ma quella è come una meteora che s’accende e passa.

Manuela – Maddalena è una vera amica e mi è stata di tanto aiuto. Da sempre. Una cosa ti vorrei dire…

Salvo – (intuendo) Io invece nulla e forse è meglio…

Manuela – Che è stata sofferta la mia decisione…

Salvo – Che hai voluto affidare al caso, superficialmente. Ho accettato, anche se poi dentro, a ritorcermi le budella, si è insinuato il dubbio che tu abbia pensato di adottare quel sotterfugio sicura che Gero m’avrebbe preceduto nella laurea.

Manuela - Non l’ho fatto apposta, né ci fu malizia, o inganno da parte mia. Leggerezza, forse; ma non malignità, né calcolo. Per me, l’uno valeva l’altro, lo sai bene.

Salvo – Un po’ di veleno m’è rimasto nel corpo… E’ acqua passata. Vedi che succede a rimuovere la pietra che sigilla cose viete? La rimetto a posto, la pietra, e spero ci rimanga per sempre.

Manuela – Allora, il marsala?...

Salvo – No, è meglio, credi…

Manuela – Come vuoi…

Ma qualcosa è avvenuto tra i due. Manuela subisce il ritorno dell’antica fiamma che però riesce a domare, a tenere a freno, per il momento; Salvo avverte un sentimento torbido; sente un subbuglio, misto di livore e amore. Nei due si nota un fremere rattenuto negli sguardi, nei gesti, nell’atteggiarsi del viso.

Salvo – (con estremo controllo, corrucciato, sulle mosse di andar via) Cerca la chiave e la cassaforte. Non possono essere sparite.

Manuela – (rinfrancata) Mi sento meglio. La tua visita, al di là di tutto, mi ha risollevata, liberandomi da una prostrazione insopportabile. Ora potrò vincere l’angoscia che mi assale nei momenti più neri della giornata. Vedrò di trovare i documenti…

Salvo – Avvertimi… Li manderò a prendere con qualcuno dei miei collaboratori…

Manuela – Preferirei portarteli allo studio…

Salvo – Intanto trovali… Ciao, Manù, non posso rimanere ancora.

Manuela – (con dolcezza) Dipende da te, io non ti mando certo via…

Sulla porta, si scambiano un bacio sulla guancia. Salvo esce e Manuela ritorna indietro, si siede. Si mette a perlustrare con gli occhi la stanza, fissa il soffitto, scoppia piangere. Poi si riprende, si rassetta, assume un atteggiamento riflessivo. Si mette in movimento di ricerca, quanto mai determinata. Sembra avere un’aria nuova, d’avere ripreso un’energia che prima non c’era.. Cerca ovunque e la chiave e la cassaforte. Nella parete più lontana avvista un quadro (la riproduzione di una scena di caccia, non un capolavoro e nemmeno bella, di quelli che s’acquistano nei mercatini rionali). Prende a studiarlo, lo solleva, lo sposta. Scorge un buco, poi i margini di un portello. La cassaforte! Lascia scivolare il quadro a coprirla, con una punta di dispetto per non poterla aprire subito. Ma ormai c’è già. La chiave non può essere introvabile. Ha un lampo, come di un gesto di Gero nell’atto di mettere la chiave in un vaso. Corre verso un armadio, infila le dita in un vasetto di vetro blu, rimesta e ne cava qualcosa, come una poltiglia arruffata di carta e filo cui la chiave è avviluppata. Ha un sollievo di vittoria. Corre verso la cassaforte, la apre. Vi è stipato un grosso faldone che a stento riesce a tirare fuori. E’ pesante, lo mette su una sedia ma è presa dall’indecisione se aprirla o meno. Risolve per il no, anzi ripone, a fatica, il faldone dentro la cassaforte, che richiude e ricopre col quadro. Si butta esausta su una sedia e, mentre guarda la chiave nel palmo della mano, che apre e chiude, abbassa le palpebre sugli occhi, allargando i polmoni in un profondo sospiro di sollievo. E scoppia in una risata, squarciata, che presto si risolve in un pianto a singhiozzo disperato.
La luce si spegne sulla scena.
C’è una pausa significativa del tempo che trascorre tra il ritrovamento del faldone e la sua consegna a Salvo che, esaminatolo, si ritrova da Manuela per il responso.

Scena III
Salotto in casa di Manuela

Manuela e Salvo

Promana dalla persona di Salvo qualcosa di misteriosamente diabolico, di poco rassicurante, come se stesse per iniziare ad attuare un piano, per vendetta, frutto della mala pianta che lo spinge a un’impresa abietta.

Manuela – (trionfante, indicando con un cenno della testa) Era lì la cassaforte, sotto quel quadro.

Salvo – (cupo) Ho esaminato le carte. C’era di tutto: rogiti notarili, progetti, titoli, statuti societari, libretti bancari…

Manuela – Gero era un risparmiatore. Sparagnino lo era di natura, la sua origine contadina, i sacrifici dei genitori non li perse mai di vista.

Salvo – A onor suo, ma è cammin facendo che si perde la retta via.

Manuela – (atterrita) Cioè?

Salvo – Di questo parleremo, semmai parleremo, al momento. Non ha importanza, appartiene al passato. Il futuro incalza.

Manuela – (smarrita) Non capisco: passato… futuro…

Salvo – (duro) Tu, non devi capire… (cambiando tono, rassicurante e più confidenziale) Non mi offri il marsala?...

Manuela – Me lo hai rifiutato l’altra volta… (va a prenderlo e ritorna).

Salvo – (con contorta abilità dialettica) Ci sono prospettive nuove… (prende il bicchiere che Manuela gli porge, sorseggia, pasteggia un po’) Buono!!! L’avere guardato quelle carte, ha risvegliato in me l’ardore dei vecchi tempi e suscitato una visione delle cose distaccata, più obiettiva, che mi ha portato a delle considerazioni.

Manuela – (smarrita) Che mi vuoi dire?

Salvo – Lo capisci da te senza sforzo.

Manuela – Mi pare che tu voglia confondermi.

Salvo – A quale scopo? Ecco, le carte mi hanno portato a stabilire un parallelo tra la vita che hai passato con Gero e quella che avresti potuto passare con me, se mi avessi scelto. E un’altra cosa…

Manuela - (interrompendo) Sono stata felice con Gero.

Salvo – Non lo metto in dubbio. Ma la qualità della vita… le carte, capisci?

Manuela – (spaventata) Ma che c’è in quelle carte?

Salvo – A tempo debito. Fammi prima dire… Gero ti teneva all’oscuro di tutto, perché ti voleva bene e non voleva darti preoccupazioni di sorta.

Manuela – Sicuramente per questo.

Salvo – (insinuante) E non ti viene il sospetto che non si fidava di te?

Manuela – (coi denti) Mai, questo mai!

Salvo – Comunque, con me sarebbe stata ugualmente tranquilla la tua vita… la mia professione, ogni atto, i miei processi tutto alla luce del sole e nessuna cassaforte…

Manuela – Ti prego di parlar chiaro.

Salvo – Per me, soltanto i segreti professionali…

Manuela – Mi metti in ansia, in agitazione…

Salvo – Perché? Non c’è motivo se segui il mio discorso. Voglio dirti, che tu hai bisogno di uno che ti difenda come se difendesse cose proprie.

Manuela – (spazientita) Ma cosa c’è in quel faldone?

Salvo – Ricchezze. E quando si saprà la loro consistenza ti assaliranno, parenti e fisco, come tanti avvoltoi. Questa è la verità di Gero. Ecco perché ti dico che hai bisogno di uno che le difenda, le tue ricchezze, come cose proprie.

Manuela – Per questo t’ho chiamato.

Salvo – Ho dei limiti; potrò agire fino a un certo punto.

Manuela - E allora?

Salvo – Tu, sposando Gero, hai solo sopito l’amore che provavi per me, perché io stesso ho dovuto reprimerlo, ma non annullarlo, dentro un cuore che non ha mai cessato d’amarti.

Manuela – (sorpresa) Tu mi ami ancora?

Salvo – (con sicumera) E anche tu mi ami. E dunque…

Manuela – Ma io sono vedova da quattro mesi e mi stai dicendo di metterci insieme, di sposarci.

Salvo – Non è così orribile.

Manuela – La mia vedovanza…

Salvo – (subdolo) La nostra è una situazione speciale, che solo le convenzioni sociali, la forma, la normalità, hanno impedito di risolversi in un matrimonio a tre.

Manuela – E’ mostruoso quello che tu dici. Che assurdità!...

Salvo – (c.s.) Perché ragioni come tutti. Non sarebbe stato bello tutt’e tre insieme?

Manuela – Sì, se è per questo. Ma vedi che era impossibile…

Salvo – (risoluto) Ora è possibile. Non faresti offesa alla memoria di Gero che, forse, ne sarebbe contento. In quali altre migliori mani collocherebbe la sua amata Manù? Se potesse, egli stesso ti spingerebbe a farlo.

Manuela – (rattristata) Che può valere più?

Salvo – (incalzante) E poi c’è la logica dei sentimenti.

Manuela – Salvo, ti prego, smettila… No vedi come tremo…

Salvo – (c.s.) Per la furia dell’amore che ritorna… lo stesso amore con le due mete diverse: raggiunta una, ora è rivolto a un’altra, in un gioco bello e terribile. Questo tu non puoi saperlo, non puoi spiegartelo perché parte interessata, perché strumento dell’amore…

Manuela – (come un’allucinata) Sento d’amarti, Salvo. Tu sarai il mio difensore, il mio tutto… (gli si avvicina colma di desiderio).

Salvo – (cinico, contro la dolcezza di lei) Devo, per te, per la tua onorabilità, poter regolarizzare tutto. Anche se la carne brucia, rimandiamo tutto al matrimonio. Solo di una quindicina di giorni. Anche per la sua memoria. Farò preparare le pubblicazioni e dal notaio il necessario per sistemare ogni cosa.

Manuela – (titubante) Salvo, non mi ingannare…

Salvo – (infastidito) Che pensi? Se avessi voluto, avrei approfittato di te.

Manuela – Avverto nelle tue parole un tono che mi spaventa…

Salvo – E’ la tua insicurezza che ti fa svisare gli accenti di un amore ritrovato. Devi fidarti di me, per il tuo bene.

Manuela – Il dubbio di una decisione affrettata, sbagliata…

Salvo – Oh, dolce Manù, è l’amore, solo l’amore che ti fa parlare così. Rassicurati. Da oggi sei ritornata a vivere, è iniziata per te una nuova vita, direi anzi la vita, da vivere con intensità lontani dalla mediocrità imperante. Abbi fiducia in me, assoluta e incondizionata fiducia.

Manuela – (arrendevole) Non mi resta altro, non mi resti che tu.

Salvo – Contaci. Ormai delle due abbiamo fatto una vita sola.

Manuela – (sospirosa) Da quando non mi sento parlare così.

Salvo – Ci farai l’abitudine. Sei tu che le susciti le parole…

Manuela – E tu sei un maestro…

Salvo – (irritato, scattando) Smettiamola con queste sdolcinatezze, non siamo più ragazzi.

Manuela – Ci vogliono…

Salvo – (sbrigativo) Andiamo al concreto. Le due settimane necessarie, ma mi raccomando: segreto assoluto. La sorpresa è importante, né noi ci dobbiamo vedere in questi giorni. Il telefono, al più.

Manuela – Mi sembra che stiamo commettendo un furto. A chi dobbiamo rendere conto?

Salvo – A nessuno dobbiamo rendere conto. Ciò è dettato dalla prudenza…

Manuela – Non capisco, ma farò come dici tu. Vuol dire che ci sono ragioni…

Salvo – Sì, che ci sono. Non insistere. Abbi pazienza. Ora vado e tu tranquilla…

Manuela – (offrendosi) Acqua in bocca…

Salvo – (voglioso) La tua bocca…

Da tanto desiderata, la sua bocca ora si posa su quella di lei per un lungo bacio. Salvo esce, poi, sotto lo sguardo innamorato di Manuela. La quale assapora per un po’ la dolcezza di un bacio che le mancava da tempo. Si colloca in mezzo alla scena pensierosa, contrae il volto in un’espressione sofferta, che fa dimenticare la trepidazione di prima per il bacio di Salvo, e muove a parlare.

Manuela – (assaporando) La dolcezza dei baci… Più d’ogni carezza, il bacio suggella un patto d’amore. Non c’è amore senza baci. Col bacio due anime si versano l’una nell’altra… Non ho mai smesso d’amare Salvo; l’ho amato nei sogni; tra le mie braccia l’ho sognato. Anche nei momenti di intimità con Gero, mi ritornava dai meandri più oscuri e, in baleni repentini, mi vedevo fare l’amore con lui, intanto che Gero possedeva il mio corpo. E’ così. Non pensavo di farmi colpa, né di far torto a mio marito. Da dentro mi urgeva senza che me ne avvedessi e cadevo nella trama degli strani scherzi degli istinti, tant’è che nella chiarezza della coscienza mai una volta un pensiero lubrico ho avuto per Salvo. Ora me lo ritrovo, sebbene per una circostanza che succede a una tragedia, come per ricevere il testimone e continuare finché morte non ci separi. L’amore è unico ed esclusivo e in sé non poteva rimanere diviso. Ora finalmente è uno… Sembra il risvolto naturale di una storia a lieto fine… Non è così. Se lo fosse, sarebbe come l’epilogo di una favola bella. No, non è così… Il bacio di Salvo sapeva di tossico… (pausa) Ho capito tutto… Non ho senso pratico, sono un po’ svanita, ma non stupida… (pausa) Ho capito tutto, ho intuito il suo piano, che non contrasterò, poiché il mio destino deve compiersi, quel destino che ha giocato col mio cuore… Siamo in balia di forze occulte che segnano ogni nostra azione, che pianificano la nostra esistenza. Per me è apparecchiato un piatto che, quand’anche volessi, non potrei rifiutare. Anzi, paradossalmente, devo collaborare, consumandolo… (pausa) La mala pianta si è risvegliata in Salvo, che non può fermare, anche volendo, ma non vuole. Io mi offro con tutta la disponibilità di cui sono capace. Sono pronta… (pausa) Ho capito tutto dalle situazioni che mi si facevano attorno, dalla stessa presenza di Maddalena, che mi ha consigliato bene e per il bene di me stessa, dai discorsi che man mano andavano sviluppandosi, dalle allusioni sulle attività di Gero; dalla presenza di Salvo e dal suo parlare ambiguo, dalla macchinazione da lui montata in preparazione dell’evento. E’ più forte di lui. Non ha sopportato d’essere stato escluso. Ci ha visto un inganno, un raggiro. Solo con sforzo ha tenuta acquattata la mala pianta, che ha cominciato a svolgere le sue radici sin dal primo incontro. Mi vuole sposare e io lo sposerò; lo farò erede universale del patrimonio che Gero ha lasciato, non so quanto ingente. Salvo lo sa, ha letto le carte; e sa come lo ha accumulato; e sa che, venendone io a conoscenza, potrei uscire di senno, impazzire, essendo fragile di carattere e di debole personalità. Non reggerei un attimo… Ma ha già iniziato ad attuare il suo piano, lasciandomi intendere e non intendere. Poi comincerà a demolirmi, svelandomi questo e quello, operazioni risicate e illegali, connivenze illecite e pericolose, operazioni di vario tipo a scopo di lucro. Allora crollerò, impazzirò, sarò rinchiusa in una clinica e lui si sarà appropriato di tutto, portando finalmente a effetto la sua vendetta. Non per denaro, ne ha tanto di suo, ma finalmente si sarà lavata l’onta che la mia decisione ingenua d’allora ha causato nella sua personalità torbida e complicata. La mala pianta soddisfatta ritirerà i suoi tentacoli e si raccoglierà nell’alveo suo nei recessi più profondi che sono in ciascuno di noi… Cosa potrebbe farci con tanti soldi, nemmeno l’immagino. Potrebbe abbandonare lo studio e la professione per quello che era il suo sogno da giovane: andare a vivere in libertà e senza condizionamenti in qualche parte del mondo, in Africa o in Sud America; altro non so. O forse se ne andrà in fumo, come è venuta, tanta ricchezza. A meno che non voglia alienarla in riparazione dei torti e dei guasti che l’avidità di Gero ha prodotto a danno d’uomini e ambiente… Assurdità allucinante… Sarebbe auspicabile ma è impensabile; non è da lui… Eppure il lumicino di speranza d’un suo atto di bontà mi resta acceso dentro. Ed è un conforto nel buio in cui mi vedo immersa.
Ora eccomi pronta a che si compia un destino, impossibile e paradossale, che si è compiaciuto di scegliere me per una storia che è quella che è, illogica, come le tante che dissemina lungo il passaggio degli uomini sulla terra e marchia le esistenze di ognuno… E così sia…

Sconsolata allarga le braccia, fissa un punto lontano come chi si atteggia ad aspettare un richiamo, mentre la luce si attenua e si spegne, e il sipario si chiude.

F I N E