Maleeducati

Scampoli da, Samonà, Bunker, Harris, Codice penale e Costituzione Italiana ricuciti da

Silvio Stellato

Scena I ( Scarafaggi)

Mario dorme sul materasso, Silvio legge

MARIO: - - DOV’ È ? DOVE NON È ? D OVE SARÀ FINITO? NEL VECCHIO BORGO QUALCUNO UN BEL GIORNO SPARIVA E NON SE NE SAPEVA PIÙ NULLA. IL MALCAPITATO LANGUIVA NEL FETIDO CARCERE AVVINTO IN CEPPI RUGGINOSI, E IN COMPAGNIA DEI MORTI DEGLI INSETTI E DEI TOPI.

SILVIO -- CHIN’È ? - - 

( SILENZIO)

SILVIO – CHE C’È? –
MARIO – IOCA , IO’! –
SILVIO – MA CCHE C’È?-
MARIO – FATTI I’ CAZZI TUA E IOCA! – 
( SILENZIO, POI MARIO CANTICCHIA)
MARIO – ESCIA ESCIA CORNA…CA MAMMATA TI INCORNA -
SILVIO – MA CHI CC’È? -
MARIO – I CARABINIERI –
SILVIO - I CARABINIERI? –
MARIO – CITTU CA’ MI FA FUIA!-

(SILVIO SOFFIA SUGLI SCARAFAGGI , MARIO SI SPAZIENTISCE)

MARIO – ESCIA ESCIA CORNA…
SILVIO - OU’ –
MARIO – CCHI BBÙ ? – 
SILVIO – MA SU IN BORGHESE O IN DIVISA?
MARIO - IN DIVISA UNNU VIDI CUMU SU NIVURI… –

(SILVIO FA FINTA DI VEDERLI, SI ALZA )

SILVIO – AH AH AH SI SÌ I’ VÌ, I’ VÌ
MARIO – BRAVO BRAVO! VIENI CHE LI ACCERCHIAMO!- 
SILVIO – SÌ, SÌ, SÌ, I VÌ, I VÌ ! –
MARIO – HE HE , MÒ MÒ MÒ …- 

(SILVIO BATTE FORTE SULLA SEDIA,I DUE SI ACCAPIGLIANO)

Silvio - - La parola pena è sinonimo di castigo; essa in generale indica il dolore e la sofferenza che viene inflitta a colui che ha violato un comando. Il suo carattere essenziale è la afflittività. Negli stati moderni la pena di regola incide sul tre beni, il patrimonio, la libertà e la vita e tuttavia le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

mario – la rieducazione del condannato? Ma vaffanculo và!- 

Voce Video - Chiunque per procurare a se o ad altri un ingiusto profitto mediante violenza alle persona o minaccia si impossessa della cosa mobile altrui sottraendola a chi la detiene è punito con la reclusione da tre a dieci anni in luogo di cui non sa nulla ad una distanza che gli sembrerà incolmabile da tutto ciò che un tempo gli fu familiare. Una stanza anonima immersa quasi sempre in una leggera penombra ospiterà contro la sua volontà il suo corpo. In un luogo di cui ignorerà le più immediate adiacenze e dove ogni rapporto col mondo esterno sarà rigidamente vietato e ogni via di uscita preclusa. Libero in apparenza nei movimenti giacchè non avrà né bende sugli occhi né catene ai piedi o alle mani dovrà adattare il suo corpo a privazioni continue che opprimeranno i suoi sensi con persistenza e ferocia. Trascorrerà il tempo e costui ricorderà appena il colore di certe piante, l’odore della terra bagnata e i suoi occhi dovranno abituarsi ad un campo visuale così ridotto che faranno fatica a ritrovare un giorno la nozione del grande e del piccolo del alto e del basso. I suoi gesti, i passi, i salti, l’impiego delle due mani saranno limitati e discordi, gravati dalla minaccia di una lenta ed inesorabile prostrazione.


Scena II L’infanzia

Silvio - - Mio padre andava dicendo in giro che io ero stato concepito nel mezzo d’un terremoto. In quei momenti, diceva, la città ballava al ritmo di una tarantella che risuonava dal ventre della terra, ballavano i sopramobili, ballavano le finestre ed andavano in frantumi, precipitavano a cascata sui marciapiedi. ballavano pure le case e si piegavano prima su un lato e poi su un altro come se fossero enormi scatole di cartone. Un supermercato ha ballato tanto che finì per crollare e molte persone persero la vita. Mio padre era un uomo colto. Parlava come si deve.
Mia madre invece, raccontava che quando venni al mondo io la città era sommersa da un nubifragio torrenziale. Dalla finestra dell’ospedale vide un albero ed un automobile navigare per la strada. Mi ha ripetuto mille volte che quel temporale era stato un cattivo presagio. Il malocchio diceva, il malocchio!. Stu figliu affascinatu prima di nascere!. 
Era quello il motivo per cui io avevo dato problemi sin dall’inizio a cominciare dalle doglie. Quattordici ore di travaglio. Mi aveva partorito nel dolore e nella disperazione e credo che non me l’abbia perdonato. Mai. Infatti mi sembrava che mi guardasse di traverso, così per abitudine. 
Per la verità non ero un bambino tranquillo. Non lo sono mai stato.
Quando avevo due anni durante una gita nei boschi della Sila pensai bene di andarmene a funghi per conto mio e così per metà della nottata polizia e carabinieri mi cercarono dappertutto. Quella fù la prima volta che diedi filo da torcere alle forze dell’ordine. La prima di una lunga serie.
A tre anni non so come potei farlo, ma armato di una pinza e un martello riuscii a demolire il motorino di un vicino parcheggiato sul retro della casa. 
A quattro anni svaligiai il furgone frIgorifero di un altro vicino e mi beccarono nel seminterrato che offrivo il gelato a tutti i cani del quartiere. 
Poco tempo dopo appiccai il fuoco ad un mucchio di foglie secche in un aiuola sotto casa. Ben presto le fiamme balenarono nel buio della notte e le sirene dei pompieri lacerarono l’aria. 
Io volevo solo ripulire il cortile.
Imparai presto che a fare del bene c’è poco da guadagnare. 
Non ho un solo ricordo esaltante della mia infanzia. I miei ricordi più nitidi riguardano i miei genitori che litigano e la polizia che arriva a casa per mettere pace. Il giorno che mio padre se ne andò di casa lo inseguii nel vialetto. Singhiozzavo. Volevo andare con lui perché mia madre era sempre triste …. Ma lui…Da quel giorno mia madre diventò ancora più triste, un cadavere, era lamentosa, ma non lamentosa lagnosa, lamentosa silenziosa. Ogni tanto faceva un sospiro per farci capire che era ancora viva ma non durò a lungo in quello stato, dopo qualche tempo la malinconia le arrivò alla testa e morì completamente calva. Così mi spedirono in collegio all’età di sei anni e lì rimasi fino a dodici quando mi trasferirono nel carcere minorile. 

Mario prepara il caffè

Mio padre era un tipo preciso e aveva una specie di fissazione per gli schemi, mi diceva sempre: nella vita ci sono delle priorità. E questo lo capivo. Quello che non capivo era perché le sue priorità erano il Cosenza e le puntate alle corse. Aveva due lauree e non aveva nemmeno un amico ed era convinto che i sentimenti fossero materiale utile solo a sviluppare le trame narrative dei film. 
Lo avevo colpito alla testa con un posacenere di cristallo. Mi era sembrato il modo migliore di salutarlo dopo quasi otto mesi che non si faceva vivo.
Venti minuti dopo, insieme all’ambulanza e agli infermieri, arrivarono un ispettore di polizia e due agenti. Così lui fini in sala di rianimazione per qualche ora ed io mi ritrovai affidato al carcere minorile. 
Mi accompagnarono per lunghi corridoi stretti e lindi con i pavimenti lucidati a cera e le effigi di insigni educatori appese alle pareti. Le lenzuola pulite erano lisce e fresche ripiegate sui letti e sugli scaffali stracolmi di libri che non avrebbe mai letto nessuno non c’era un dito di polvere. 
Ma a dispetto di tutto quell’ordine apparente mi ritrovai in un mondo anarchico che avevo veduto solo nei film, tra ragazzi che sorridevano poco e si davano delle arie, provenienti da quartieri popolari e squallide strade e per lo più da famiglie senza un padre in casa, se in casa un uomo c’era il suo lavoro consisteva, quasi sempre, nel comprare o vendere l’eroina. 
Fino a quel momento avevo goduto dei privilegi del bravo bambino borghese, da quel momento in poi avrei annaspato nelle acque torbide della rieducazione. Sarei stato allevato dallo stato in persona, i suoi valori sarebbero diventati i miei valori e soprattutto il valore che la ragione è del più forte e non si discute. 
Dapprima quel mondo mi rifiutò, ero solo un ingenuo che non sapeva nemmeno parlare in dialetto, venivo tormentato giornalmente per il mio accento cittadino. 
Ma la cosa durò poco perché reagii battendomi. La mia grammatica perfetta e il mio vocabolario forbito si trasformarono presto nell’idioma dei diseredati. Mentre studiavo Dante e Machiavelli imparavo il dialetto e tutte le parolacce di cui non conoscevo il significato. Mentre mi appassionavo a Leopardi imparavo come s’apriva uno sportello con la chiavetta della carne simmenthal ed a mettere in moto le auto con un tagliaunghie. Mentre impazzivo per Nitzche ed Heghel imparavo alcuni piccoli trucchi per truffare le cassiere dei supermercati e tutte queste cose mentre sperimentavo di persona l’elogio dell’hashish di Baudelaire. 
Negli anni successivi al mio primo ingresso nel carcere minorile ne combinai di cotte e di crude. Mi avevano educato mio padre e mia madre e avevano fallito, ci avevano provato i francescani e peggio che andar di notte. Per finire mi aveva allevato lo stato e neanche a lui, la cosa era riuscita tanto bene.
Sei o sette volte entrai ed uscii dai riformatori. Qualche anno più tardi un assistente sociale mi avrebbe detto: la sua è stata un adolescenza problematica. Io risposi che non c’era stata nessuna adolescenza nella mia vita. Nessuna infanzia. Nessuna giovinezza mi aspettava. Ero semplicemente saltato dalla nascita al purgatorio. Perché nemmeno inferno si poteva chiamare la mia vita. L’inferno dopotutto ha una sua dignità. 


Scena III La lettera


MARIO . – in galera si parla sempre delle stesse cose…omicidi, rapine, droga, gioco d’azzardo e prostituzione…ma c’è una parola che è universale per tutti i detenuti…figlio di puttana….e può significare tante cose. Se per esempio io dico…chiru è nu figliu i’ puttana, voglio dire che è una persona esperta, che è in gamba. Se invece dico chiru è nu figliu i’ puttana voglio dire chennu figli ì puttana…figli ì puttana…figli ì puttana…

(Entra il secondino e porta una lettera, Mario la legge)

Mio Caro Silvio. Quante lettere ci siamo scritti in questi anni. E’ diventato un rituale di cui non posso fare a meno. La nostra condizione che ci impedisce tante azioni normalmente concesse agli uomini ci ha insegnato invece ad apprezzare un azione che gli altri uomini hanno dimenticato da tempo. Scriversi. Quanti uomini liberi del nostro tempo conoscono l’intimità e il grado di vicinanza che si raggiungono scrivendosi. Accade questo forse parlandosi, o guardandosi, o stringendosi la mano? Forse accade una volta ogni tanto ma non è come scriversi.
Tuttavia questa non è una lettera che ti porterà allegria. O meglio so bene che sarai allegro nel vederla quando ti verrà recapitata e come fai tu di solito la metterai in un angolo per preservare il gusto di leggerla più tardi. E’ fondamentale per un detenuto sapere di avere una piccola cosa piacevole da fare quando se ne ha bisogno. Lo sconforto in una cella è lo sconforto con la esse maiuscola e tu lo sai bene. 
Tuttavia dicevo aprire e leggere questa lettera non sarà piacevole. Non sarà piacevole per due ordini di cose: la prima cattiva notizia che devo darti e che ho saputo della morte di mio padre. Me l’hanno scritto i suoi vicini di casa. Mi hanno mandato un telegramma: la informiamo della morte di suo padre. Condoglianze. Ho chiesto al giudice di partecipare al funerale ma il funerale si compiva mentre il giudice leggeva la mia richiesta. Mio padre è morto di domenica. 
So che ti rattristerai perché ne avevi grande stima. 
L’altro motivo per cui questa lettera non ti piacerà è che ti scrivo per chiederti di non scrivermi per un po’. Ho accolto con grande gioia la notizia che la tua richiesta è stata accolta ragion per cui uscirai presto e sono felice di saperti nuovamente libero. Ma devo chiederti di interrompere la nostra attività epistolare. Io la considero un gesto di estrema complicità tra detenuti e vorrei che tale rimanesse. Non mi piacerebbe leggere le tue notizie dal mondo dei giusti. Riguardo alla nostra amicizia resisterà ne sono certo finché non metteranno fuori anche me e poi ci scriveremo tra liberi.



Scena IV Violenza


Mario - - “Il mondo occidentale è vissuto per secoli nella confortevole convinzione che il progresso materiale non solo non sarebbe mai finito ma che avrebbe anche prodotto benessere ed agiatezza per tutti. Automobili telefonini impianti di riscaldamento centralizzati e computer sono considerati la prova che la vita è molto più comoda per noi oggi di quanto non fosse per i nostri antenati. Sempre più numerosi tuttavia sono coloro che ritengono che la società industriale sia prossima al declino e che sebbene i mass-media ci prospettano una allettante dilatazione del tempo libero, la nostra progenie dovrà lavorare sempre più sodo per mantenere quei pochi lussi di cui gode. La grande cornucopia industriale non solo ha inquinato la terra con rifiuti e veleni ma ha pure avvelenato le menti con sogni giganteschi e irraggiungibili rendendo l’uomo stesso un prodotto difettoso. Io per esempio sono riuscito male…. 

(Entra il secondino e picchia Mario)

Silvio - - I fatti che precedettero la mia decisione di tornare a delinquere non sono difficili da mettere in fila. Ricordo giornate frenetiche, sei lì a pensare che puoi farcela, che puoi cambiare, eppure, tutto sembra remare contro di te. Non ci metti niente a convincerti che sei quello e basta. 
Una sera ero così stanco che mi stesi sul pavimento. Ero abbastanza ubriaco da ignorare l’odore della coperta in cui mi ero avvolto. Eppure un pavimento, una lurida coperta e la scelta di vivere e morire come volevo erano meglio di un letto con le lenzuola pulite e dell’atmosfera gelida e impersonale dell’ufficio di collocamento. Mi sentivo come un cencio, stavo mollando. 
Non si trattava soltanto della situazione attuale: quello che pesava era tutta la mia vita passata. Un eterno braccio di ferro tra me un fantasma che mi odiava senza farsi vedere. Era andata sempre così, e così sarebbe sempre andata. E in quell’abisso, in quel vuoto, era fiorita una indignazione potente. Era una rabbia che andava al di là dell’odio. 
Avevo deciso: anche se fossi stato costretto a tornare in prigione per altri anni, la mia scelta sarebbe stata ancora quella: Sarei sceso ancora in guerra contro la società. 
Il crimine era il mio mondo, l’unico luogo dove mi sentivo a mio agio e non lacerato nel profondo. E sebbene si trattasse di una libera scelta, era anche destino. La società mi aveva reso quello che ero, e mi aveva messo al bando per paura di quanto essa stessa aveva creato.
Mi dichiarai libero da ogni regola eccetto quelle che io stesso avessi voluto accettare. E anche quelle le avrei mutate a mio piacere. Avrei afferrato tutto ciò che avessi desiderato. 
Passai alle questioni pratiche. Avevo bisogno di armi da fuoco, degli strumenti del mestiere e di qualche soldo con cui sopravvivere finchè non avessi messo insieme qualcosa DI GROSSO. Mario avrebbe potuto PROCURare le armi, qualcuno poteva prestargliele come una sorta di investimento. Mi addormentai. Quando fece mattino, ero tornato forte. Avevo superato ogni indecisione.


SCENA V Il ricordo

MARIO - ( in Dialetto) Nei giorni che seguirono la rapina alla banca accaddero molte cose; alcune belle, altre brutte, alcune che provocarono euforia, altre deprimenti o irritanti. Ma ora, distillando i ricordi, capisco quanto quel periodo mi abbia dato la sensazione più vicina alla felicità di tutta la mia vita. Una sensazione minata soltanto dalla consapevolezza della precarietà e dal fatto che un uomo che non conoscevo era in fini di vita. 
SILVIO - (In dialetto) Molti miei amici erano morti, overdose, armi da fuoco, macchine veloci, aids, una volta si contavano sulle dita di una mano poi cominciarono a contarsi su due, fra qualche anno le mie dita non basteranno.
MARIO - Ma questa volta il proiettile che aveva messo in pericolo una vita era partito dalla tua mano. Non seppi niente di quell’uomo fino a sei mesi dopo quando durante il processo di primo grado venne a testimoniare. DISSE che avevamo sparato con l’intenzione d’uccidere e credo che avesse ragione.
SILVIO - Insieme a quel proiettile viaggiavano non so quanti anni tra carceri minorili e penitenziari.
MARIO- Eravamo rimasti all’interno dell’assicurazione per due minuti e quarantuno secondi. Poi colpimmo ancora in altre tre agenzia e una gioielleria, infine quattro giorni di libertà sfrenata e poi otto anni passati a peregrinare per le case di reclusione del paese.


Scena VI La follia

MARIO - - in dialetto

QUELLA LUCE BIANCA Lì FUORI deve essere la luna, me la immagino, bella e pallida come una perla. Ma potrebbe essere anche uno di quei lampioni spilungoni e gobbi che emanano un raggio di luce a forma di cono dentro il quale in estate impazza una nube di moscerini.
Da quando mi hanno rinchiuso qui dentro le cose vanno peggio. Mi hanno rinchiuso perché sono un criminale. Perché non riesco a distinguere il bene dal male. Ma chi sono costoro per avere la pretesa di distinguere il bene dal male. 
Stamattina mi è sembrato di vedere un angelo ai piedi del letto. Aveva l’aspetto di un bambino e le sue ali sembravano di zucchero filato. Ha allungato una mano verso di me e all’improvviso la pelle di quella mano si è trasformata in qualcosa di diverso, si è fatta come cuoio, si è raggrinzita. Non era un angelo era un demonio.
Poi mi è sembrato di vedere una prostituta. Ho sentito il suo profumo ed ho visto i suoi abiti colorati, era vestita di viola e di bianco. Si è avvicinata a me e allora ho capito. Non era una prostituta era un prete, un prete!
Ho cominciato ad urlare ed allora sono venuti tutti loro con i loro camici azzurri e mi hanno dato pillole e gocce, tavor alcion minias xanax …così mi sono sentito subito meglio. Mi hanno rassicurato, gli angeli e i diavoli non esistono.
Il prete invece c’era davvero in questa stanza, perché io sto per morire, finalmente sto per morire. Oggi morirò finalmente così la finiamo una volta per tutte. Vedremo se verranno ad arrestarmi anche da morto. Sarò libero davvero, come le buste di plastica quando tira vento o come quegli aeroplani di carta che costruivamo quando eravamo bambini, ti ricordi?

Quella luce bianca lì fuori deve essere la luna. Ma potrebbe essere anche il sole, in uno di quei giorni di nebbia, quando tutto è incolore e fuori fuoco e gli uomini non sanno mai quello che vedono. Si fanno mille domande prima di dire chi è chi e cosa è cosa. Ci pensano sopra di dare tutto per scontato.

SCENA VII La libertà

SILVIO: 
( in dialetto) Oggi andrò via da questo posto. A trentasei anni suonati. A trentasei anni in questo mondo si è vecchi per un sacco di cose: si è vecchi per trovare lavoro, si è vecchi per innamorarsi, SI è VECCHI per fare dei figli, si è troppo vecchi e troppo giovani per avere gli sconti sui treni e gli aerei. mi allontanerò lentamente CON QUATTRO SOLDI in tasca, un abito vecchio almeno di un decina d’anni alcune paia di pantaloni di cotone, un cambio di mutande in sacchetto di carta marrone e un biglietto per l’autobus. Sarò felice di salire su quell’autobus. da dietro il finestrino guarderò il penitenziario rimpicciolire fino a scomparire alla vista, sarò attraversato da una consapevolezza elettrizzante sarò libero. Libero! mi invaderà un senso di irrealtà così intenso da fare girare la testa. E TUTTE QUELLE voci femminili messe insieme che non sento da otto anni mi sembreranno incomprensibili come frasi in cinese, gli stili e i colori degli abiti, i rossi e i gialli delle fantasie estive mi aggrediranno i sensi. autofficine, carrozzerie, birrerie e decrepiti negozi di alimentari mi sembreranno di una bellezza impossibile a descriversi.; e magari due ragazze scenderanno alla fermata le seguirò allontanarsi e fisserò con espressione bramosa i profili delle cosce e dei glutei. mentre le mie fantasie si scateneranno con rapida intensità. Gli anni di lontananza dalle donne acuiscono l’immaginazione di un detenuto. Bisogna essere generosamente dotati per accontentarsi di una checca dalla barba lunga e dalle sopraciglia strappate con le pinzette: chiudi gli occhi e immagini di essere con qualcun altro, forse perfino con l’esotica stella del cinema che hai visto nel film del fine settimana. La forza di immaginazione è fondamentale in un luogo dove una mano resa scivolosa dalla brillantina fa le veci di una fanciulla. Brillantina, occhi chiusi, immaginazione. 
Prima o poi dovrò esaminare la busta dei documenti che mi hanno consegnato: i moduli per l’affidamento ai servizi sociali, uno da compilare e rispedire entro la prima settimana, nome e numero del prigioniero, indirizzo personale e del luogo di impiego, redditi, risparmi, descrizione del mezzo di trasporto, targa. Su un altro modulo saranno riportate le condizioni dell’affidamento. Quelle classiche. Mantenere un impiego adeguato, (ma cosa significa adeguato) non cambiare indirizzo, non bere, non fumare, non fare contratti di alcun genere, non chiedere soldi in prestito, rispettare i consigli e la guida dell’assistente sociale, evitare di frequentare ex detenuti e individui di dubbia fama (ma cosa significa di dubbia fama). La mancata ottemperanza di una qualsiasi delle suddette condizioni sarà causa sufficiente per il ritorno in prigione senza preavviso o udienza. Quando le ombre si allungheranno farò di tutto per essere al mare, sarà il mio primo tramonto dopo otto anni, in prigione le celle chiudono alle cinque del pomeriggio. Camminerò lungo i viali, Osserverò ogni cosa con l’incanto di un bambino di fronte al suo primo caleidoscopio, mi fermerò ad ogni vetrina e capirò che il mio modo di vestire, con i suoi pantaloni con piega e risvolti è del tutto superato: adoro vestirmi bene forse per insicurezza. Ma i bei vestiti arriveranno con il lavoro e la pazienza chi possiede le cose di cui in quel momento avrò desiderio se le è guadagnate mentre il sottoscritto vegetava in prigione. Sotto molti aspetti non riuscirò mai a recuperare del tutto, e soltanto il crimine mi permetterebbe di recuperare il terreno perduto in una notte…

Entra il secondino, Silvio esce, libero.

MARIO -- DOV’è? Dove non è ? Nelle fredde e anguste mura di questo labirinto…Colpevoli, innocenti, ladri, imbroglioni, assassini, uomini, insetti , topi.

FINE