GLI OCCHI DI SOFIA 

di

Stefano Mecca



Personaggi:

Umberto: Uomo d’affari.
M.: Ufficiale dell’esercito.
T.: Direttore d’orchestra.
V.: Scrittrice.
Sofia.

PROLOGO.

Tutti gli elementi scenografici sono sparsi in disordine sulla scena poco illuminata: tavolo e sedie rovesciati, oggetti sparsi, una scala a pioli, senso d’abbandono
Arrivano tre persone (M., T. e V.) vestite con tute e guanti da lavoro; si guardano attorno, la luce aumenta. Silenzio. Osservano il soffitto, il pavimento, tutto.

M. (Si ferma in mezzo e guarda, anche gli altri si fermano e guardano).
Posto di merda. Cos’è, la grotta di Polifemo?
T. E noi siamo gli Odissei venuti ad accecare il Ciclope. Manca sempre 
qualcuno, non ci siamo mai tutti. Dov’è quell’altro? 
V. Ha mandato a dire da uno dei suoi gangster che oggi non poteva 
essere con noi, ha un lavoro più importante e urgente da fare. 
M. E tutte le rogne sono nostre! Lui si prende il lusso di scegliere i lavori 
da seguire. Scommetto che adesso se la sta godendo e ride di noi.
V. Forza uomini di fatica! Prendete il tavolo e mettetelo qui.
(M. e T. sollevano un pesante tavolo antico e lo mettono a sinistra). 
Le sedie qui e qui... (M. e T. velocissimi sistemano tutta la scena a sinistra. V. controlla che tutto sia a posto, dà alcuni ritocchi alle posizioni degli oggetti). Il letto qui. (M. e T. spingono un letto su rotelle completamente ricoperto da un grande lenzuolo dai colori accesi). 
Piano, piano... qui. Questa luce non va! Puntami il faro qui.
(T. prende la scala a pioli, la apre, sale veloce e punta un faro sul letto).
Così va bene. (T. scende dalla scala, la chiude, la porta via e poi ritorna). Avete controllato che ci sia tutto?
M. Non manca niente tranne... La prossima volta che lo incontro lo 
massacro di botte, gli faccio sputare sangue. 
T. L’abbiamo già fatto tante volte e non è mai cambiato. Lui fa sempre e 
solo quello che vuole. Bastardo! 
M. Ma crede che stiamo lavorando per lui?
V. Dice che siamo i suoi servi.
M. Io lo uccido.
V. Te ne saremmo grati. Non ho mai voluto il suo aiuto, è meglio che stia 
lontano, ogni volta che ci mette le mani...
T. Poi noi dobbiamo lavorare il doppio. All’inferno! C’è sempre qualche 
imbecille che crede in lui e lo chiama al tavolo da gioco. 
V. Pensiamo a noi ora, le ceneri della tragedia sono ancora calde.
M. Dov’è il mostro da abbattere?

(Si tolgono le tute e i guanti da lavoro, li gettano in un angolo, sotto indossano abiti molto eleganti).

V. Sipario!

SCENA 1.

(Vanno sulla destra della scena in diverse posizioni attorno al letto.
Mattino grigio).
T. Noi siamo i cantori dell’assurdo che ci culla con l’insensata dolcezza 
d’una madre, che ci deterge la bocca quando è sporca e ci sussurra 
parole d’affetto per farci addormentare. 
V. Si radunano intorno ad un bicchiere; si accalcano come bestie 
d’allevamento sugli spalti degli stadi; s’inginocchiano con la testa 
piegata davanti ad una statua di marmo; corrono veloci sulle strade...
M. ...verso le braccia aperte di chi da sempre li aspetta.
V. Zitti! Sento respirare...

(Da sotto il lenzuolo escono Sofia e Umberto, si mettono scompostamente seduti sul letto, hanno l’aria d’aver trascorso una notte di passione. Due valige aperte per terra. Umberto raccoglie i vestiti sparsi ovunque, si veste e riordina le loro cose. M., V. e T., ora diventano un’inquietante presenza muta).

SCENA 2.

Sofia. E’ ancora notte?
Umberto. No, amore, è un grigio mattino messicano.
Sofia. E’ nuvoloso già a quest’ora?
Umberto. Già... oggi sono arrivate prima del solito, dopo venti giorni di 
sole, il cielo ha scelto il momento giusto per coprirsi. Ormai non ci 
riguarda più.
Sofia. Ti sei messo a fare le valige? Non ora, lascia perdere.
Umberto. Ci fermiamo ancora qualche giorno?
Sofia. Una settimana in più...
Umberto. Solo una settimana?
Sofia. Quindici giorni.
Umberto. Facciamo il resto della vita. (Si abbracciano sul letto). 
Sofia. Catturato! Adesso non ti lascio più andare!
Umberto. Mi arrendo, sono il tuo ostaggio.
Sofia. Gli ostaggi si legano al letto.
Umberto. Legami! Legami!
Sofia. A che ora parte il maledetto aereo?
Umberto. Fra due ore e mezza tutto compreso: valige, conto dell’albergo, 
pranzo, trasporto e pratiche d’imbarco.
Sofia. Sì, dimmi ancora “pratiche d’imbarco”! Come sei sexy quando fai 
l’uomo tutto d’un pezzo, serio e rompiballe. 
Umberto. In fondo perché dobbiamo andarcene?
Sofia. La vacanza è finita, Romeo, senti l’allodola che canta, non è 
l’usignolo... le candele del cielo sono spente...
Umberto. Ah, ho capito, dev’essere una di quelle cose che traduci tu.


Sofia. Magari fosse mia. Mi danno sempre romanzi da psicopatici. Mi fai 
già pensare al lavoro. Fra tre giorni dovrò essere alla casa editrice, 
devo tradurre un nuovo best-seller americano; sarà uno di quei gialli 
pieni di schifezze che finiscono in vendita sull’autostrada; mi sono 
sempre chiesta chi li legge; e tu devi rituffarti nei tuoi “affari” di cui 
non ho mai capito niente, no, non spiegarmelo di nuovo tanto è 
inutile, la mia mente e il denaro purtroppo non sono destinati ad 
incontrarsi.
Umberto. (Prende due monete). I miei sono magici giochi d’amore.
Sofia. Credo di saperne qualcosa... quale furia degli inferi ti ha posseduto 
stanotte? Chiunque sia fa’ in modo che ritorni.
Umberto. Prendi una moneta e la fai incontrare con un’altra moneta, 
prepari un ambiente caldo e accogliente, luci soffuse, musica giusta, 
candele e tante cose buone da mangiare; le lasci sole e speri che le 
due monete s’innamorino e facciano tanti figli. (Apre la mano e fa cadere cinque o sei monete). 
Sofia. Cupìdo della finanza, riesci a farlo anche con le banconote? L’unica 
cosa che ho capito è che fra noi due tu sei quello che fa i soldi, io 
mi spezzo la schiena sui libri per tradurre e diffondere nel mondo crimini d’ogni sorta ed efferate sciocchezze e ci guadagno solo il mal di testa e crampi alle spalle.
Umberto. Non credere che la mia condizione sia migliore della tua; passo 
più tempo fra commercialisti, contabili, avvocati, notai, banche che 
con la donna della mia vita. Un giorno te la presenterò.

(Sofia gli lancia un abito, Umberto risponde lanciandone un altro e iniziano una battaglia che mette a soqquadro la stanza).

SCENA 3.

Umberto. Chi ce lo fa fare?
Sofia. Non ti vedo a stare tutto il giorno all’ombra delle palme in riva al 
mare. Tu che vivi attaccato al telefono e in macchina. 
Umberto. Possiamo provarci. Qualche volta dobbiamo tentare di fare quello 
che vogliamo! Qui siamo felici e ce ne andiamo...
Sofia. Le valige, soldato. Tu hai sempre detto che non è il luogo che dà la 
felicità, ma le persone. 
Umberto. Vuoi dire che sono capace di pensieri così... profondi?
Sofia. Io ti amo e mi appello alla facoltà di non rispondere.
Umberto. Al diavolo le valige! (Silenzio. Si guarda attorno). Secondo me 
non arriveremo mai all’aeroporto in tempo.
Sofia. Guardami negli occhi.
Umberto. Ti guardo e sai che effetto mi fa.
Sofia. Tu, con quella faccia da prendere a schiaffi per l’eternità, stai 
parlando sul serio? 
Umberto. Io dico che qualsiasi cosa ci stia aspettando, può continuare ad 
aspettare, sono certo che per un po’ potremo sopravvivere.
Sofia. Stai scherzando, uomo d’affari, io ho delle scadenze da rispettare, 
devo lavorare per vivere! Non faccio le magie.
Umberto. Scadenze, responsabilità, obblighi, contratti da onorare esistono 
anche senza di noi, rispondi a una e ne arrivano altre dieci. 


Sofia. Mentre mi racconti le storie per i bambini, metti le valige sul letto e 
sistemiamo questo massacro e se vuoi va’ avanti e fammi sognare 
l’impossibile.
Umberto. (Serio). Non è impossibile! Da quando ti conosco niente è 
impossibile, sempre che tu lo voglia.
Sofia. E’ giorno! Usignolo va’ a dormire e smettila di annebbiare il cervello 
del mio uomo. Se ci fermassimo ancora io mi sentirei in colpa per 
tutto quello che sto trascurando, e così tu.
Umberto. Per un lavoro che ti spezza la schiena, ti dà l’emicrania e i 
crampi alle spalle per due soldi? Io rinuncio. Che aspettino pure.
Sofia. Per quanto?
Umberto. Fai un’offerta.
Sofia. Tre giorni.
Umberto. Questo si chiama “eccesso di ribasso”. Io rilancio: quindici giorni, 
ultima offerta non trattabile. Prendere o lasciare.
Sofia. Tu sei un demone travestito da angelo. Dovrò fare delle telefonate e 
inventare qualche scusa. 
Umberto. Anch’io. Non dovrebbe essere difficile per un’artista con la tua 
immaginazione! Valige addio!
Sofia. (Si ferma immobile). Lasciami sdraiare, per favore. (Si sdraia).
Umberto. Qualcosa non va?
Sofia. No, niente, non preoccuparti, mi gira un po’ la testa.
Umberto. Troppe emozioni tutte insieme. (Silenzio).
Sofia. Tu cambieresti la direzione della tua vita?
Umberto. Se si sta schiantando contro un albero, sì.
Sofia. Stai guidando su una strada che conosci e sai bene dove ti sta 
portando, e all’improvviso giri il volante e imbocchi una stradina che 
non avevi nemmeno notato e vai. Non sai dove stai andando, ma 
vai. Tu lo faresti?
Umberto. Con te. Qualsiasi strada prenda la mia vita avrà un senso solo 
se ci sei anche tu.
Sofia. Il dramma è che è così anche per me.
Umberto. E allora basta sensi di colpa per la vacanza prolungata!
Sofia. Non so di quali sensi di colpa parli...
Umberto. Vorrei che anche quelli con cui lavoro fossero così facili da 
convincere. Mi eviterei tante riunioni stupide.
Sofia. Facile da convincere?! Stai cercando di vendermi qualcosa?
Umberto. Io posso vederti tutto. 
Sofia. Cosa mi offri? Cos’hai in catalogo?
Umberto. Una felice vita d’amore e passione.
Sofia. E qual è il prezzo da pagare?
Umberto. Una valigia di follia.
Sofia. Un letto d’anarchia...
Umberto. Un mare di desiderio...
Sofia. Non parli mai delle cose importanti.
Umberto. Il sesso?
Sofia. Quanto sesso?
Umberto. Fino a morirne.
Sofia. Bene! Sei pronto a mantenere la tua promessa a partire da ora!
Umberto. Furia degli inferi ritorna in me. L’affare è concluso, Mrs Smith. (Serio). Quando la finirai di mettermi alla prova. Non temere, non potrai 
liberarti di me. 
Sofia. E io che ci speravo.
Umberto. Vieni Cappucceto Rosso, vieni nella mia tana.
Sofia. Ma tu sei il lupo cattivo?
(Si nascondono sotto il grande lenzuolo).

SCENA 4.

T., M e V. danzano un tango. V. passa da T. a M.
Con T. danza un tango lento, a tratti lentissimo; con M. danza un tango frenetico con momenti violenti.
Passa dall’uno all’altro, a volte viene presa da uno dei due, a volte è lei che si stacca per andare dall’altro.
Finiscono danzando tutti e tre insieme come un corpo solo, passando fra ritmi opposti.

SCENA 5.

(Notte. Umberto e Sofia escono dal lenzuolo esausti e bevono. Umberto si alza e va in proscenio).

Umberto. Senti? C’è una festa giù in strada, guarda... tutti stanno 
ballando... quelli fanno l’amore nel vicolo... laggiù si stanno 
picchiando... e quelli suonano i tamburi... In quale mondo siamo 
finiti? Andiamo giù anche noi?
Sofia. No, voglio restare qui. Lascia la finestra aperta, è una sera calda. 
Voglio sentire tutto quello che succede. (Si alza con l’intenzione di andare ad abbracciare Umberto, ma si ferma e si risiede sul letto).
Umberto. Se la vita non rispettasse le regole del tempo, la morte non 
sarebbe costretta ad intervenire. 
Sofia. Sono un’unica realtà inscindibile, sarebbe come separare noi.
Non riesci a non pianificare la vita?
Umberto. Sei tu quella che voleva farmi tornare a casa.
Sofia. Non si può vivere sempre in un romanzo. Soprattutto in uno di 
quelli su cui lavoro io. 
Umberto. Perché? Non possiamo scegliere... decidere che sia così e non 
essere sbranati dalle zanne della vita quotidiana? Io voglio decidere 
per me stesso! Quando sono in viaggio o al lavoro non riesco ad 
impedirmi di pensare a te e allora mi domando che cosa ci faccio lì 
se desidero essere da un’altra parte.
Sofia. Se questi sono gli effetti della vacanza in Messico non so se devo 
esserne lusingata o devo preoccuparmi. 
Umberto. Non mi perderai mai...
Sofia. Lo so, e ti amo anche per questo. Perché sei così ossessionato 
dall’ipotesi d’una nostra separazione o addirittura di una perdita? Non 
è un’eventualità reale. Sì, questo è un posto magico da far perdere la 
testa: romantico, eccitante, ma credi che quando ce ne andremo e 
ritorneremo alle nostre case... a proposito, quando cerchiamo una 
casa tutta per noi? ...alle nostre occupazioni... tra di noi cambierà 
qualcosa?
Umberto. No... vorrei solo liberarmi da certi pensieri.
Sofia. Liberatene e ne arriveranno altri. Amore, la libertà, come la sogni 
tu, non esiste.
Umberto. Dimmi quello che vuoi ma non smettere di guardarmi.
Sofia. Ci sarà sempre un cartello con la freccia che indica: da quella parte!
Umberto. E se non volessi andare “da quella parte”?
Sofia. Girati e troverai un altro cartello con un’altra freccia che indica: di 
là! E tu non puoi rifiutarti di seguirle all’infinito. 
Umberto. E allora scelgo di non muovermi mai più!
Sofia. Potresti ricevere visite spiacevoli che non avevi previsto.
Umberto. Non so cosa hai detto, a me bastano i tuoi occhi.

SCENA 6.

V. Non trovate che sia sublime quando...
M. ...quando s’impantanano così.
V. ...quando l’amore li porta ad inseguire pensieri...
T. ...ai quali non sono abituati. Loro sono: mangiare, bere, lavoro, 
mangiare, bere, dormire, lavoro, traffico, un po’ di riscaldamento e 
qualche stordimento ogni tanto, vacanze e chiacchere chiacchere 
chiacchere...
M. A cosa dobbiamo tutto quest’odio per il genere umano.
T. No, non è odio, credo solo che potrebbero essere più simpatici se 
pensassero di meno.
M. Io posso assicurati che quando non pensano sono peggiori.
V. Seguono il loro destino.
T. Non parliamo degli assenti. Detesto la sua arroganza e chi come lui 
sono certi di cosa è bene e cosa è male e comunque non è qui.
V. Sarebbero perduti se non s’inventassero qualche storiella per cui vivere.
M. O morire. Le loro storielle tagliano le teste e dividono i popoli.
T. Cosa facciamo? Dovremmo essere i burattinai di questa storia?
V. No, semplici spettatori.
M. Con licenza d’intervenire qualora ce ne fosse bisogno.
V. Non sarà necessario.
M. Questa è una sfida aperta.
V. Loro sanno bene cosa devono fare e noi saremo un coro muto.
T. Credi che troveranno le parole chiave?
M. Quando saranno inutili...

SCENA 7.

La musica e il frastuono della festa in strada aumentano.
Umberto si veste in modo elegante, Sofia resta sdraiata sul letto.
Lui prende una valigia vuota lasciandola aperta e se ne va dall’altra parte della scena.
Sofia resta sola qualche secondo poi si copre con il lenzuolo.

Luce sulla sinistra.
Ambientazione semplice ma ricca, pochi elementi preziosi: tavolo e sedie d’antiquariato. M., T. e V. sono intorno al letto. 
M. Noi siamo i reietti.
V. Noi siamo i non compresi, i non voluti.
T. Noi siamo gli scacciati, gli evitati.

(Tutti e tre tolgono il lenzuolo e scoprono un bianco letto d’ospedale).

Sofia. (Apre gli occhi spaventata). E’ stato qui? E’ stato qui?

(Buio improvviso per pochi secondi, poi luce forte.) 

SCENA 8.

(Umberto sta apparecchiando una tavola: piatti, posate, bicchieri, candele).

Umberto. Siete voi? Siete già qui? Seguite il corridoio! La porta in fondo!

(Arriva T e si guarda attorno, ha in mano una bottiglia). 

T. Tu vivi in un castello... Questa è casa tua? Ma cosa fai? Rapini le 
banche o hai scoperto il segreto della pietra filosofale.

(Umberto interrompe i preparativi, va verso T. e si abbracciano).

Umberto. Tutte e due le cose. Per te il tempo non passa mai! Hai la stessa 
faccia da lupo dei tempi della scuola. 
T. Tu invece sei diventato un uomo. 
Umberto. Sei solo? Dove sono gli altri? 
T. Arriveranno...
Umberto. Alla fine ce l’abbiamo fatta! Sono felice che tu sia qui... dopo 
tutti questi anni. 
T. (Gli porge la bottiglia). Ecco, per noi. Per te. Qualcosa per sciogliere la 
lingua, nel caso ce ne fosse bisogno.
Umberto. (Osservando la bottiglia). La pozione magica: il siero della verità.
T. Io credo di sì.
Umberto. Come?
T. Niente niente, stavo apprezzando la casa ad alta voce.
Umberto. Sei arrivato in anticipo. Non ho ancora finito di preparare...
T. E’ un’abitudine che non ho mai perso. Vedo che sei diventato una brava 
donnina di casa. Non dirmi che hai cucinato tu... 
Umberto. Non arrivo a tanto.
T. Pericolo scampato! Non vorrei finire la serata all’ospedale per una 
lavanda gastrica. Non sarebbe la prima volta.
Umberto. Gli altri?
T. Avevano un impegno a cui non potevano sottrarsi. Arriveranno... 
Arriveranno, non ti preoccupare. Non mancherebbero al nostro 
appuntamento per nulla al mondo.

(Scambio di sguardi tra T., M. e V.; M. e V. sono ancora accanto a Sofia che sorride e li guarda).

Umberto. Quando mi hai detto che sarebbero arrivati anche loro, non ci ho 
creduto, in realtà non ci credo nemmeno adesso, quando li vedrò...
T. Noi non ci siamo mai persi di vista, mai... anche loro non credevano 
che t’avessi incontrato così, semplicemente camminando sul 
marciapiede tra la folla dell’ora di punta. 
Umberto. Stavo correndo come al solito da un ufficio all’altro.
T. Ti capisco, anche per me ci sono giorni in cui la burocrazia mi fagocita 
e non riesco più ad uscirne.
Umberto. E alla fine ti vomita fuori con la sensazione di non aver 
concluso niente, di aver affogato il tuo tempo in un mare di assurdi 
moduli, firme e contratti.
T. Sprecare il tempo dovrebbe essere un crimine.
Umberto. Anch’io l’ho sempre pensato. E’ un capitale gettato nella 
spazzatura senza nessuna possibilità di recupero. Già, ma chi decide 
qual è l’uso più corretto... 
T. Mi ricorderò le tue parole.
Umberto. Dimmi la verità...
T. (Serio). Io non ho mai mentito. (Silenzio).
Umberto. Cosa vuoi dire?
T. Ti ho risposto... continua ti ascolto.
Umberto. Gli altri si sono messi insieme? Fin dai tempi della scuola c’era 
qualcosa tra loro: sembravano ostili, litigavano, si cercavano, poi non 
volevano più vedersi, si parlavano di nuovo e litigavano. 
Come se fossero eternamente sposati. Adesso, come sono? 
T. La verità non è lontana, ma la sostanza è che ci hanno provato 
milioni di volte, ma non potrà mai accadere. 
Umberto. Vuoi farmi credere che non c’è mai stato niente fra loro? Sono 
sempre solo “buoni grandi amici”? 
T. Forse nemmeno questo. Sono indispensabili l’uno all’altra.
Umberto. Ma l’amore è un’altra cosa...
T. Ne parli come se tu fossi un esperto. (Pausa). Hanno anche cercato di 
vivere insieme per un certo periodo ma... 
Umberto. E’ impossibile per loro... io avrei giurato che prima o poi si 
sarebbero sposati e avrebbero avuto tanti figli.
T. Grazie a Dio, o a chi per esso, ci hanno provato, ma è andata male, 
per loro. Si sono avvicinati all’altare due o tre volte. 
Umberto. All’altare? In chiesa?
T. Le apparenze... Sai, i parenti, gli invitati... l’anima degli uomini ha 
bisogno di sentieri tracciati e conosciuti, in cui non ci sia il pericolo 
di perdersi, finché accontenteremo i bacchettoni bigotti... 
Umberto. Lo so bene. C’è gente che non riesce a vivere se non in un 
perenne duello. Vuoi bere qualcosa? 
T. No, aspettiamoli e brindiamo tutti insieme alla tua nuova casa. Ma come 
l’hai trovata e come te la puoi permettere? 
Umberto. Lavoro, lavoro, lavoro. Non mi sono mai fermato.
T. Sono tutti mobili antichi?
Umberto. Sì, la maggior parte, quello che vedi è il frutto di anni di 
ricerche. L’antiquariato è sempre stata la mia ossessione. 
T. Sì, ricordo, fin da ragazzo.
Umberto. Gli oggetti antichi mi dànno il senso del tempo e della vita e 
hanno vinto la battaglia con la morte. 
T. E’ ancora troppo presto per dirlo. Quella in cui ti sei avvolto è una vita 
scomparsa, rosa dai tarli... Intendi restare in questa casa da solo?
Umberto. Non lo so ancora, è una cosa a cui non penso.
T. Sei diventato un monaco e hai preso i voti di castità.
Umberto. E’ una possibilità che ho preso in considerazione.
T. Vuoi ritirarti dal mondo?

(Umberto sta per rispondere ma viene interrotto dalla voce di M. che grida).




SCENA 9.

M. (Allontanandosi dal letto di Sofia dopo averla accarezzata). Brutto 
bastardo figlio di una buona donna! Dove diavolo ti sei nascosto! 

(Arriva M. con un pacco, lo mette su una sedia, abbraccia Umberto con vigore, lo solleva e lo fa girare). 

M. Maledetto bastardo, alla fine ti abbiamo trovato! 
Umberto. Dov’è...
M. E’ rimasta in corridoio, ha visto gli specchi e si sta contemplando in 
estasi. Muovi il tuo onorevole culo! Ho voglia di bere! 
Umberto. Vieni! So che sei ancora bellissima!
T. E’ reduce dall’ennesima storia d’amore tormentata, tutta lacrime, urla e 
passione, sai com’è, non ci sarebbe divertimento... 
M. (Colpisce T.) Su, non parliamo di questi melodrammi. (Sottovoce) Tutto 
a suo tempo, devo essere io a ricordartelo? Aspettiamo... 
V. (Abbraccia Sofia e si avvicina a Umberto.). Sono felice che tu pensi che 
io sia ancora... 
Umberto. ...bellissima, ed ho ragione. (La guarda, fa un inchino, s’inginocchia e le bacia la mano).
V. Una donna entrando in questa reggia s’innamora subito.
Umberto. Mi perdoni signora se questa modesta magione non è degna della 
sua grazia, cercherò di fare ammenda per quest’imperdonabile 
mancanza.
(M. e T. si guardano e sorridono).
M. Fa ancora queste cose?
T. Dice ancora queste cose?
V. Vedo che non hai dimenticato come si tratta una donna. 
Umberto. Certe cose non si dimenticano mai.
M. E altre non s’imparano mai. 
T. Accade spesso che le parole non s’accordino con la realtà.
V. Non badare a loro, stanno giocando. Se m’avessero detto che un giorno 
ci saremmo ritrovati... 

Sofia. (Dal letto d’ospedale). Prima o poi dovrà accadere, non ho mai 
smesso di sperare. 
(Silenzio).

T. Non sarebbe stato possibile perderci di vista per sempre.
Umberto. Brindiamo! Apriamo subito la tua bottiglia! (Distribuisce i bicchieri e stappa la bottiglia che ha portato T.).
Umberto. (A V.) A quante centinaia di uomini hai spezzato il cuore?
T. Lei non spezza i cuori, non ne è capace.
M. Questo è il mio lavoro. Gli uomini continuano a prendersi gioco di lei... 
T. E lei, nonostante l’età e l’esperienza...
V. Smettetela!
M. ...continua ad aver fiducia e a farsi dilaniare, ormai credo che ci provi 
gusto. Masochista di professione.
T. Quando la fede offusca i sensi e il cervello...
Umberto. Ho sempre amato le eterne romantiche... Io ti capisco. (M., T., V. restano immobili in silenzio e lo fissano).

Sofia. Non permettete che mi addormenti, voglio vederlo, voglio parlargli. (Chiude gli occhi).

SCENA 10.

T. (Alzando il bicchiere). Per quanti anni siano passati senza lasciare 
orme che possano ricordarci la strada.
V. Per quanti eventi siano accaduti che ci hanno allontanato senza 
lasciare memoria, ci sono ricordi che non dovrebbero abbandonarci. 
M. Alla fine tutto diventa inevitabile.
V. Forse. (Alzano i bicchieri). E tu non vuoi dire niente?
Umberto. All’amicizia che non muore mai.
T. Agli uomini che fuggono! (Bevono). Prima che voi arrivaste mi stava 
dicendo che in questa casa non vivrà da solo. 
Umberto. Tu sogni. Non ho mai detto questo!
M. Nessuno riscalda il tuo letto?
Umberto. Non c’è nessuno, per ora, non inventate trame da film. 
V. Hai comprato questo palazzo per stare qui da solo?
Umberto. Vi sembra una cosa così strana?
T. Io a questo punto della commedia avrei fame.
V. Non vedo domestici.
Umberto. Accomodatevi dove volete, io ho pensato a tutto e sarò il vostro 
umile servitore. 
(Esce. Restano in silenzio per qualche secondo e si guardano).

SCENA 11.

V. L’avete sentito? Farà tutto lui. Non è l’uomo che voi, e solo voi, 
pensate che sia. 
M. La tua incrollabile fede nell’essere umano e la tua ingenuità da 
collegiale mi fanno vomitare, sto dubitando della tua intelligenza. 
T. Non è il momento per le scene da varietà! Lasciate che sia. La sua 
maschera è piena di crepe. 
M. Non abbiamo bisogno di romperla, cadrà a pezzi da sola.
V. Voi conoscete la mia natura, io posso solo abbandonarmi alle onde e 
seguire la corrente. 
(Bevono. Umberto rientra con dei vassoi, gli altri lo aiutano e li mettono sul tavolo).
Umberto. L’ordine delle portate è a vostro piacere. (Silenzio). E ora 
raccontatemi tutto. Adesso voi cosa siete? 
T. Quello che siamo sempre stati.
Umberto. Io mi sento in imbarazzo, mi vergogno.
V. Qualcosa si muove. Uno spiraglio di umanità.
Umberto. Io non so più niente di voi. Eravamo così uniti...
T. Falso allarme, ripiombiamo nelle tenebre. Una volta eravamo uniti.
Umberto. Ora, trovarvi davanti agli occhi mi fa sentire...
T. Questa è tutta una recita da guitti. 
M. Non hai più avuto notizie di noi? Da nessuno?
Umberto. Ho perso di vista tutti, sono stati anni... e lo sono ancora... 
anni... anni senza pause. 
V. Non hai mai pensato di cercarci, tu hai sempre saputo dove potevi 
trovarci, non hai mai... 

Umberto. Sì, lo so, è vero! Se questo è un processo e dobbiamo dare la 
colpa della nostra separazione, me la prendo: la colpa è mia.
V. Avete sentito? Non è andato troppo lontano.
Umberto. Ma adesso ci sono di nuovo e le cose dovranno cambiare.
M. (Sottovoce). E’ tardi. 
T. Al tempo.
V. Noi non siamo qui per dare la colpa a nessuno, questo non è un 
tribunale, non si celebra nessun processo!

Sofia. Perché non sei qui?

SCENA 12.

T. Io ho passato la mia vita con Chopin, Liszt, Mozart, Beethoven, Bach; 
sono un direttore d’orchestra. Per più di quindici anni sono stato solo 
un pianista.
V. Solo un pianista... Le dita più leggere, veloci, agili e appassionate che 
abbiano mai toccato i tasti di un pianoforte. Ha fatto concerti in 
tutto il mondo. 
M. Tutti abbiamo girato il mondo, in modi diversi.
T. Non c’è un pianoforte in questa casa? Sembra fatta apposta per 
accoglierne uno. 
Umberto. No... non ci ho mai pensato. (Silenzio).
V. Ecco cosa manca! La musica! Non puoi mettere un po’ di musica.
U. (Imbarazzato). No... mi dispiace, ma non ho niente del genere qui. 
M. Lo sospettavo. 
Umberto. (A V.) Tu?
V. Io? Io sono una scrittrice.
M. (Con disgusto). Scrive romanzi strappalacrime.
V. I miei romanzi sono tradotti in tutto il mondo! Non sei mai entrato in 
una libreria? Non hai mai letto niente di mio? 
Umberto. Non ho il tempo per queste cose. 
M. Infatti. Non vedo libri qui intorno, ci sarà di sicuro una biblioteca da 
qualche parte o uno studio. 
Umberto. (Duro). No... nessuna biblioteca... Non voglio libri in casa mia e 
il mio studio ha solo libri contabili! (Silenzio teso e imbarazzato). 
Scusatemi, non volevo essere così...
M. (Riprendendo con vivacità). Niente musica, niente libri, niente...
Umberto. (A M.) Anche tu sei diventato un grande artista?
M. Direi che anche la mia è un’arte, hanno scritto molti trattati in 
proposito. Sono nell’esercito. 
U. Un soldato?
M. Ufficiale. Colonnello verso la promozione, e fra non molto, Generale.
Umberto. Di me, invece, credo che sappiate già tutto, io sono quello 
scomparso: “il ricercato” e dei ricercati si sa sempre tutto. 
T. Io sono molto curioso di sentire dalle tue parole quello che sei ora.
Umberto. Sono stato molte cose e oggi mi definirei un “uomo d’affari”. 
Il mio interesse principale è accrescere la mia eredità. 
M. Noi c’eravamo al funerale di tua madre. (Silenzio). Hai mai visto la 
sua tomba? Non è molto lontano da qui. 
V. Non è questo il momento e il luogo per parlare di... certe cose.
T. Eri forse troppo occupato da inderogabili impegni, così si dice, vero?
Umberto. Ma allora questo è un processo?
V. No! Questa è... dovrebbe essere una festa! Non l’incontro di caproni che 
si scornano per la femmina più fertile. 
T. Festa senza musica.
Umberto. Io onoro il ricordo di mia madre ogni giorno, mi sono preso cura 
del denaro che mi ha lasciato, ho lavorato come un mulo per 
investire e aumentare il capitale e oggi posso permettermi questa 
casa e la libertà.
M. Bene, applausi, siamo finiti nel melodramma. (A T.) E a questo punto, 
maestro, cosa c’è in partitura? 
T. Archi, fiati, timpani in crescendo e (indicando Umberto.) assolo di 
violino... forse.
(Umberto rimane in silenzio). 
M. Al violino hanno rubato le corde e l’archetto.
V. (Si avvicina a Umberto lo abbraccia e lo bacia). Ti lasci sempre 
infinocchiare dal gatto e la volpe. Pinocchio, quando diventerai un 
bravo bambino? 

SCENA 13.

Umberto. Brindisi! (Alzano i bicchieri e bevono in silenzio. Poi a M.). 
Sei mai stato in una guerra vera?
M. In più d’una. Per usare un linguaggio che tu puoi capire, il mio è un 
business che non conosce crisi, è sempre in attivo. 
Umberto. Questa è la mia musica. Dovremmo parlarne seriamente un giorno 
di questi, se c’è da far soldi non mi tiro mai indietro. 
V. Sulla pelle degli altri.
T. Questo non dovrebbe essere un problema... per lui.
Umberto. Non siamo tutti giocatori di una partita con il finale già deciso e 
a noi oscuro? Si tratta di saper usare le carte che il destino ci 
consegna, saper aspettare, puntare e giocare e, a volte, ritirarsi nel 
momento giusto. 
V. Tu non ti sei mai sentito chiamare dall’insopprimibile necessità di 
dedicare tempo della tua vita a qualcosa che non fosse accumulare 
denaro?
T. Io la amo quando prende il volo e parla così.
Umberto. Credo di aver capito cosa intendi dire, ma il mio lavoro non è 
una condanna, io sono come voi: adoro quello che faccio. Non mi 
pento di niente.
M. Di niente?
Umberto. Tranne che... di non avervi frequentato abbastanza.

(Luce per qualche istante su Sofia con gli occhi spalancati).

V. Io quando compongo un romanzo faccio le valige e parto, vado il più 
lontano possibile dalla città, non voglio aprire gli occhi e vedere muri, finestre buie o chiuse, strade affollate, non voglio sentire rumori... Una volta sono andata in Brasile per otto mesi e ho affittato una piccola casa vicina al mare, non c’era niente: solo io, la sabbia, gli alberi e la mia storia da raccontare. E quando avevo bisogno di qualcosa o solo di parlare con qualcuno andavo in un villaggio di pescatori a pochi chilometri.
M. Sì, mi ricordo quando sei tornata da quel viaggio, io ero stato un anno 
tra esplosioni di bombe, brandelli di uomini e pallottole. 
T. Il Paradiso e l’Inferno sono sulla Terra...
V. E nell’animo degli uomini, dice il poeta.
Umberto. Ho capito il vostro gioco. (Silenzio).
M. Scommettiamo che non è così?
T. D’accordo... ci hai scoperto. Il gioco è che noi non siamo quello che 
diciamo d’essere.
V. Smettila! Cosa vuoi fare?
T. Ormai non abbiamo più niente da perdere. Io non sono un direttore 
d’orchestra! Non ho una casa che possa considerare mia, vivo in un 
monolocale pidocchioso in affitto. (A V.) E tu? Vado avanti io?
V. (Esitante). In libreria non troveresti nessun romanzo con il mio nome; 
faccio le pulizie nella mensa di una fabbrica: lavo i piatti, i 
pavimenti, i tavoli... Questi vestiti non sono miei, me li ha prestati 
un’amica. (A M.) Palla a te!
M. Io? Non ho mai toccato un’arma in vita mia. La guerra? L’ho vista 
solo in televisione e se vedo il sangue svengo; per vivere qualche 
lavoretto si trova sempre.
T. Noi siamo... come potresti definirci tu? Tre falliti? Tre sfortunati vittime 
del destino contrario? In verità siamo qui per chiederti un aiuto.
Umberto. Soldi? (I tre annuiscono). Questa non la bevo.
M. E’ la tragica realtà. (Silenzio).
Umberto. Siete miei amici. Di quanto avreste bisogno?
T. Confidiamo nella tua generosità.
Umberto. Siete nei guai?
V. Grossi guai. (Umberto riflette, gli altri si guardano). Se ci dai tutte le 
tue monete, ti portiamo al Campo dei Miracoli.
T. Facciamo una buca, le sotterriamo e domani, all’alba, troveremo un 
albero pieno di zecchini d’oro.
Umberto. Siete tre cani rabbiosi... (A V.) Tu ti lasci prendere da cattive 
compagnie. (Ridono). Adesso non so più a cosa credere.
M. Anche noi. Ora sai quello che proviamo. Il tuo libretto degli assegni è 
salvo, vedere la tua faccia sbiancata ci ha ripagato. 
Umberto. Volete che io sia invidioso delle vostre avventure, e dei vostri 
successi. Anch’io ho visto luoghi d’incanto, non sono stato in mezzo 
alle cannonate e ai morti, ma non ne sento la mancanza. Guardatemi, 
sono un uomo di successo anch’io. 
T. Noi siamo le persone peggio assortire del pianeta.
Umberto. Questa è la nostra grandezza.
V. (A U.) Tu non senti la mancanza proprio di nulla, ti senti 
completamente realizzato? 
Umberto. No, non arrivo a tanto, sono sempre sulla strada, come si dice? 
Ho le ruote sotto i piedi. Spesso piacerebbe anche a me fermarmi a 
riflettere ma non è possibile farlo sempre, bisogna costruire 
l’occasione...
T. Le lancette dell’orologio girano e tu non puoi fare a meno di rincorrerle, 
o sono loro che rincorrono te? 
Umberto. L’immobilità è la morte. (Silenzio). 

Sofia. Io ti amo... vorrei che tu potessi sentirmi.

V. E la vita è movimento.
T. Ritmo e variazioni.
M. Tutto per giungere di fronte ad una parete di mattoni neri.
V. Quando l’anima della festa si risveglia dal letargo è tutta un’altra cosa.

SCENA 14.

Umberto. (A V.) Devo farti una confessione, all’epoca del liceo io mi 
addormentavo spesso immaginando di fare l’amore con te.
V. E mentre tu sognavi e basta, io lo facevo con tutti. (Ridono).
Umberto. (A V. e M.) Voi due siete sempre innamorati?
V. Questa è una bestemmia.
M. Noi siamo più che innamorati.
V. Quale assurdo pensiero fuoriesce dal quel tuo cervello bombardato.
T. Io la amo quando parla così...
M. Non puoi negarlo, il nostro odio ci lega per sempre, noi, a differenza di 
qualcun altro, non possiamo restare lontani troppo a lungo. 
V. Tu hai una fortuna soprannaturale, dopo tanti anni di divisa da 
imbecille sei ancora qui, come è possibile che nessuna bomba, nessun 
proiettile abbia incrociato la tua traiettoria.
M. (Con rabbia). Io ti penso sempre. 
V. (Idem). Anch’io. Non ci abbandoneremo mai.

Sofia. Ricordi la prima volta che ci siamo incontrati? Quella cena a casa 
mia. Se n’erano andati tutti, eri rimasto solo tu e ti eri offerto di 
lavare i piatti. Ho dovuto tirati per un braccio per impedirti di 
andare al lavandino della cucina e metterti i guanti di gomma. No, no lascia perdere, li farò io domani mattina. Beviamo il bicchiere della staffa e fumiamo l’ultima sigaretta della serata. Non sapevo più cosa fare per non farti andare via. 

Umberto. (A V.) Tu dovresti amare lui. (Indica T. Silenzio).
T. (A V. e M.) Io ve l’ho detto tante tante volte, ecco la prova! Il nostro 
amico è cieco, sordo e, perdonami se te lo dico, anche un po’ ottuso. 

(V. dopo aver dato una carezza materna a Umberto che ne resta scosso, si avvicina a T. e lo bacia con passione a lungo. Umberto rimane con un’espressione stupita. M. appare annoiato). 

Umberto. (A M.). E tu non dici niente? Resti a guardare?
M. Tento di non guardarli, mi fanno un po’ schifo.
Umberto. Da quando voi due... (Continuano a baciarsi). Da quando voi 
due... (Continuano a baciarsi). Basta! Smettetela! Mi sto eccitando! (Si fermano e ritornano dov’erano prima). Adesso volete rispondermi. 
T. Da sempre.
V. Fin da ragazzi.
Umberto. E io non mi sono mai accorto di niente.
M. E’ la tua caratteristica principale.
Umberto. Non mi avete mai detto niente e vi siete amati tutti questi anni?
T. Il nostro problema è un altro, è che continuiamo ad amarci, e stare 
lontani è sempre più difficile. Sai cosa significa?
Umberto. (Serio). Sì, lo so... (Silenzio).
M. (A Umberto.) Non ti sembra il testo mediocre di una canzone estiva da 
spiaggia? (Canta) “Stare lontani non si può, non si può...”.
Umberto. (A T.) Ma tu mi hai detto che loro due hanno cercato di 
sposarsi, che sono arrivati due o tre volte all’altare. 
V. Vero. Ma chi non ha mai provato l’illusione di volare mentre sta 
precipitando in un pozzo nero senza fondo? L’importante è 
svegliarsi in tempo dal sogno, capire che era un incubo, scendere dal 
letto e fare una bella colazione. 
(Tutti guardano Umberto; T. sta per parlare ma M. lo anticipa).
M. Se dici ancora che la ami quando parla così io ti spacco una sedia 
d’antiquariato in testa. 
Umberto. Io sono davvero felice per voi, non avete idea di quello che sto 
provando in questo momento. 
T. Ma allora anche tu provi dei sentimenti.
M. e V. Zitto. (Silenzio).
Umberto. (Continua come se non li avesse sentiti). Io ho sempre pensato 
che voi due eravate perfetti l’uno con l’altra ma, (Si rivolge a V. e 
M.) ma i vostri battibecchi mi hanno fatto credere che sotto ci fosse 
qualcos’altro.
M. I nostri “battibecchi” non hanno mai nascosto nulla, sono sempre stati 
realtà limpida. 
Umberto. Bene, se ci sono altri colpi di scena fateli ora, colpite basso, c’è 
altro di cui non mi sono mai accorto? 
V. (Indicando M.) Lui avrebbe cose da raccontare che forse...
T. No, non forse, di sicuro.
V. ... che di sicuro, forse, non conosci.
M. Se vogliamo trasformare questa serata in una pagina dei tuoi smielati
romanzetti per donne annoiate...
V. I miei “romanzetti”...
M. e V. (In coro) ...sono letti in tutto il mondo!
V. E dipingono l’esistenza umana. La vita! E la vita è fatta anche di 
queste cose: grande banalizzatore. 
M. Se vuoi dirglielo non oppongo nessuna resistenza, proprio come piace a 
te. The show must go on? Restiamo su questo piano, sfioriamo 
appena l’acqua del lago.
Umberto. Non capisco una parola di quello che state dicendo, ma mi 
sembra d’intuire che anche tu hai una storia d’amore segreta. 
M. Non in questo preciso momento, ma potrebbe esserci presto.
V. Il motivo per cui non siamo arrivati a dire “sì” davanti a un prete.
M. Oltre alla pochissima stima che provo verso i preti.
T. E questo è solo un dettaglio che non ha nessun peso. 
V. Il motivo per cui non abbiamo detto “sì” in chiesa è che il mio 
testimone di nozze, ai suoi occhi è risultato più attraente di me. 
(Umberto crolla sulla sedia). 
T. Povero, lui non è abituato alle bombe, le ha sempre evitate scappando 
in sella al suo destriero da principe azzurro. 
M. Io, anche se sono un militare e pensate che sia di vedute strette e 
pensieri semplici, non ho una mentalità da chierichetto. 
V. Ci sono chierichetti capaci di tutto. Non mi puoi incolpare di nulla, sai 
bene che ti ho sempre sostenuto. 
M. Per me non c’è nessuna differenza tra un uomo e una donna, maschio 
o femmina sono solo etichette che hanno inventato per semplificare il 
mondo, uno da una parte e una dall’altra, due squadre e via si 
gioca. Non è così per me. L’attrazione fisica, anche l’amore, dato che 
questa parola piace molto e non mi vergogno a pronunciarla, sì, io 
provo amore per gli esseri umani, tutti.

Umberto. Richiedo un “time-out”! Se avete intenzione di trasformare questa 
rimpatriata in un’orgia avete scelto l’attore sbagliato. 
V. Si è spaventato!
T. Non preoccuparti, nessuno di noi ha in mente di fare un’orgia.
M. Io non metterei dei limiti così rigidi.
Umberto. (A V. e T.) Anche voi condividete i suoi gusti? (V. e T. si guardano e sorridono). Voi mi state dicendo che sono l’unico eterosessuale presente? (Silenzio). Silenzio colpevole.
V. Fermi tutti! C’è un’altra bomba inaspettata che sta per esplodere...
speriamo di no, (A Ummberto) tu non sarai per caso un bacchettone, 
bigotto, maschilista, intollerante? (Silenzio).
Umberto. Io credo in certi valori.
V. T. e M. (Insieme fortissimo). BUM!
Umberto. Io credo nella santità del matrimonio. “L’uomo non divida ciò che 
Dio ha unito.” Per me l’uomo è uomo e la donna è donna. L’amore 
vero è solo quello di un uomo e di una donna, il resto sono 
perversioni innaturali. Io vi voglio bene, siete i miei più cari amici, 
mi diverto con voi, ma ora... ora mi auguro che tutto questo sia solo 
uno scherzo.
(A V. e T.) Voi vi amate, ma mi state facendo credere che avete “amato” 
anche persone del vostro stesso sesso? (Silenzio). 
V. Tu dici d’essere un uomo d’affari, e noi ci crediamo, hai viaggiato, hai 
incontrato persone di ogni genere, come può un uomo che conosce il 
mondo fare discorsi così medievali.
Umberto. Io ho avuto un’educazione religiosa ed ho sempre seguito i 
princìpi che i miei genitori mi hanno trasmesso. 

SCENA 15.

V. Passiamo al dolce. Ci sarà una torta o qualcosa.
Umberto. (Dopo un attimo di smarrimento) Sì, scusate, torno subito. (Esce).
M. (A V.) Rimani della tua idea?
V. Vediamo come si evolve. Non possiamo accusarlo di “pensiero 
retrogrado” dovremmo fare un genocidio.
T. E’ solo un uomo come tanti.
Umberto. (Rientra con una torta e la mette sul tavolo in silenzio). 
Scusate... beviamo e dimentichiamo.
M. Vuoi che ce ne andiamo via?
Umberto. No, no! Restate. Anche se credo ancora che sia solo uno scherzo. 
Brindiamo alla libertà di scegliere e al rispetto... e alla reputazione. (Beve, gli altri lo guardano). Allontaniamo il male da questa casa. Vorrei 
sapere quando farai il prossimo concerto, voglio venire ad applaudirti; 
e domani andrò in libreria e comprerò un tuo romanzo.
V. No, non farlo, te li regalo io.
T. In questo momento sto facendo le prove, il debutto sarà fra dieci giorni. (In disparte agli altri). Dobbiamo essere molto più cauti e non perdere il 
controllo, lui traccia la via e noi lo assecondiamo.
V. Non doveva essere una festa? Vecchi amici che si incontrano dopo tanti 
anni e si raccontano la vita per ridere insieme? 
M. Ma di cosa possiamo parlare con uno così?
T. Senza musica né libri e con cibo fatto mandare dal ristorante.
V. Non possiamo parlare d’amore.
M. Non ancora.
V. Non possiamo parlare di sesso. Quando apriamo il regalo?
T. Non se n’è ancora accorto, non l’ha neanche notato.
M. E’ come se vivesse entro i limiti della sua pelle e che tutto ciò che 
non lo comprende non rientri nel suo campo percettivo. 
V. Continua ad usare la parola “libertà”, non ha un pensiero suo. Voi 
credete che sia pericoloso? 
T. No, è solo un altro infettato dal morbo, vive sotto anestesia, in una 
fiaba solo sua anche se vorrebbe uscirne. 
M. Lui ucciderà... (Silenzio).

Sofia. Quando sei andato alla porta e mi hai detto:”Spero d’incontrarti 
ancora.” Ho pensato.”Io non devo lasciare andare quest’uomo.” E ti 
ho baciato... E’ iniziato tutto così. Torna, torna presto, non puoi 
esserti dimenticato di me.

SCENA 16.

V. (A Umberto) Parlaci di questa casa.
Umberto. E’ un palazzo del 1804. Quello che me l’ha venduto voleva 
fregarmi, e io lo sapevo, lo fanno tutti; ho investito molti soldi negli 
immobili e so come agiscono, cosa dicono. Ti fanno apparire tutto 
bellissimo e straordinario, ma è nei dettagli che si scopre l’inganno. 
Gli ho fatto notare, punto per punto, le condizioni della casa e tutti i 
lavori di ristrutturazione di cui necessitava. Alla fine ha dovuto 
dimezzare il prezzo, poi ho chiamato un’impresa di mia conoscenza: il 
titolare aveva un grosso debito con me e quindi lavori gratis. E ora 
mi ritrovo un bene che vale dieci volte, forse venti volte quanto ho 
pagato.
T. Ne parli come se tu volessi vendere la casa.
Umberto. Non lo escludo, fra qualche anno forse. Questo è un mercato che 
aumenta il valore ad ogni istante. 
V. Ci abbandonerai di nuovo?
Umberto. No, basta. Dobbiamo recuperare il tempo perduto. Fra due giorni 
partirò... (S’interrompe teso e preoccupato. Prende una bottiglia). 
Ne apriamo un’altra?
M. “Fra due giorni partirò?” Ne sei sicuro?
T. (Colpisce M.) Ma tornerai presto.
Umberto. Sì tornerò, non è un viaggio d’affari è... una questione privata.
V. Una donna?
Umberto. Perché quando uno deve occuparsi di se stesso vuol dire che c’è 
di mezzo una donna, o l’amore, o il sesso! La vita va oltre, abbiamo 
un’anima... c’è una tensione che... non possiamo considerare tutto nei 
limiti del nostro modo di vedere le cose...
T. Gong! Fine primo round! Ora raccogli il cervello, rimettilo nella scatola 
cranica e cerca di ricordare la nostra lingua. 
V. Ci vuoi dire dove andrai o ci lasci così?
Umberto. E’ una cosa... un viaggio che faccio almeno tre volte all’anno.
M. Sei un corriere della droga? Sei coinvolto con la mafia? Crimine 
organizzato? La casa è sotto sorveglianza?
V. Affari illeciti! Così si fanno i soldi veri. Ecco il perché di questa casa.
Umberto. Io vorrei dirvelo ma... ho paura...
T. Paura?! Il nostro amico ha paura! Dev’essere una cosa seria.
M. Guardaci. Siamo noi. C’è qualcosa che non puoi dirci?
Umberto. Sì è seria, molto seria... ho paura di voi.
T. Bene! Sei riuscito ad avere la battuta finale:”Ho paura di voi.” Questa 
funziona sempre nei momenti di tensione.
V. Siamo la tua famiglia.
T. (Serio). Siamo tutto quello che ti resta...
Umberto. Ho paura delle vostre battute e di quello che potreste pensare.
V. Noi sappiamo quando non è il caso di scherzare, riconosciamo le cose 
importanti 
M. (Sottovoce) Noi...
V. Basta giochetti. Tregua.
Umberto. Vado in un convento per un ritiro spirituale. (Gli altri tre si sforzano di rimanere seri). Vedo i vostri sorrisi e so cosa state pensando. 
T. Riconoscere il pensiero altrui non è mai stata una tua abilità.
V. Siamo solo sorpresi. Da te, “l’uomo senza pause”, non me lo sarei mai 
aspettato, e questo merita attenzione. Io sono felice di scoprire che 
dietro gli affari c’è anche l’uomo. 
M. Credi d’essere il solo che ha bisogno di ritrovare un significato?
T. Ci sono segreti inconfessabili.
V. Anche per se stessi.
T. Che restano rinchiusi qui (Indica la testa). Cose mai dette, custodite da 
draghi che sputano fiamme. 
M. Ci sono uomini che non sanno o non credono di avere segreti e altri 
che mentono per sopravvivere. 
T. Ci sono persone che ricordano e altre che affogano le loro colpe in uno 
stagno di giustificazioni. 
V. Voi state dimenticando che lui è uno di noi, lo trattate come se fosse 
una nullità! 
M. Uno di noi!?
V. E’ nostro amico, e voi sapete che è molto più di questo! Siamo legati. 
M. Stai passando dalla sua parte?
V. Questa non è una delle tue merdose guerre!

SCENA 17.

Sofia. Quel pomeriggio d’estate in Grecia... vento, cielo azzurro come lo si 
può solo immaginare, e le onde che spazzavano via tutti quelli che si 
avvicinavano all’acqua. Tu guardavi il mare con gli occhi sbarrati.
“Non entrare adesso è pericoloso.” Tu non hai voluto ascoltarmi, ti 
sei tuffato e per pochi eterni secondi non ti ho più visto.
Sei uscito dall’acqua, sei venuto verso di me come un bambino va 
dalla mamma, eri spaventato. “Le onde mi hanno fatto sbattere la 
testa sul fondo, non capivo da che parte ero girato, non sapevo più 
dov’era il sopra e il sotto.” “Adesso resti qui con me.” “Sì, resto 
qui.”

Umberto. Io ho sempre dato valore al mio tempo.
T. Sentiamo! Sentiamo!
Umberto. Io non sono uno di quelli che si tormenta. La mia vita è azione 
e produttività, non sarei arrivato dove sono oggi.
V. E dove sei arrivato oggi?
Umberto. Azione! Azione! Nessun pensiero inutile, niente inquietudini. 
V. (Guarda U.) Io non posso vivere senza di te.
T. (Guarda U.) Il tempo è così vuoto lontano da te.
M. (Guarda U.) Sarei un uomo finito se tu non ci fossi.
Umberto. (Li guarda). Cosa state dicendo?
V. Non si può correre in eterno, arriva un momento in cui bisogna 
fermarsi, anche i ritiri spirituali sono una corsa.
T. Entri in una stanza e non puoi immaginare che da quell’istante la tua 
volontà cambierà interessi.
Umberto. Questo è un gioco che non capisco.
M. Tu non capisci molte cose.
V. Non accusarlo!
Umberto. Di cosa mi state accusando?
T. Le cose cambiano nonostante i nostri progetti. Tu puoi programmare 
un’esistenza fin nei minimi particolari, ma qualcosa, o qualcuno, 
arriva
V. I tuoi occhi incrociano un altro sguardo e incominci a pensare parole 
nuove, parole che non avresti mai immaginato di pronunciare, parole 
in cui credi di credere.
Umberto. Siete ubriachi!
V. T. e M ripetono: Sofia... Sofia... Sofia...
(Umberto. ha una reazione violenta e si allontana).
Umberto. Perché dite questo nome? Cosa sapete di lei?
T. Quello che tu ci dirai.
Umberto. Io non so di cosa state parlando e non ho intenzione di dirvi 
niente, lei è un passato... passato.
V. Ogni essere umano che possa dirsi tale ha vissuto, almeno una volta, 
una grande storia d’amore. 
T. Accade, in certe sere, che prima di addormentarti, nel momento in cui 
le tue palpebre si chiudono, tu vedi occhi che ti sorridono, ti 
chiamano, ti invitano.
M. E allora per quanto tu voglia allontanarti non puoi più sfuggire.
E’ il presente il passato che non ti abbandona.

Sofia. Siamo stati felici, molto felici! 

Umberto. Per me domani sarà una giornata pieni d’impegni, è meglio 
concludere qui la serata e salutarci. 
M. No, noi non ce ne andiamo.
Umberto. Come?
T. Non andiamo via. Noi restiamo qui. (Silenzio).
V. E’ una bella casa.

SCENA 18.

T. Adesso dovremmo raccontare la storia di un uomo e di una donna che 
s’incontrano, come avviene secondo un copione collaudato da secoli, 
per caso: cena in casa con amici.
V. In un momento della loro vita in cui credono di non desiderare affatto 
di incontrare qualcuno che possa deviare il loro sentiero ben 
tracciato, la ruota gira e “rien ne va plus “
M. Ma il luogo, le circostanze, o solo l’intensità di una luce, li porta, quasi 
senza accorgersene, a promettersi amore eterno. Dànno voce a parole 
che diventano azioni.
T. Vivono insieme...

V. No, non vivono insieme, lui non rinuncia alla propria casa. Le fa 
credere che sia così.
Umberto. No! Non è vero! Io...
M. Ah, ora sai di cosa stiamo parlando. Il loro è un amore felice, lui 
giura di amarla, di starle accanto e di aiutarla sempre! Sempre!
V. E così avviene!
T. Sì! Lui viene coinvolto in un incidente stradale, un camion tenta un 
sorpasso, la sua auto viene schiacciata contro un guard-rail e lui è 
costretto per settimane in ospedale con braccia e gambe ingessati, 
così. (Seduto su una sedia distende le braccia e le gambe).
M. Anche il collo. (T. irrigidisce il collo e rimane per qualche secondo in questa posizione comica facendo una smorfia buffa).

Sofia. Quando mi hanno telefonato dall’ospedale dicendomi che un camion ti 
aveva fatto andare fuori strada sono corsa da te pregando i santi, gli 
dei dell’Olimpo e anche i demoni dell’inferno che non mi facessero 
perdere l’unica vera felicità della mia vita. Quando i medici non mi 
hanno permesso di vederti ho fatto una scenata isterica e mi sono 
messa a tremare, tanto che hanno dovuto farmi un’iniezione di 
sedativo. Quando ti ho visto con le gambe e le braccia tese e il collo 
dritto non sapevo se essere preoccupata o ridere. Sembravi uscito da 
un film di Stanlio e Ollio.

V. Lei è tutti i giorni con lui e si occupa anche dei suoi affari. Questo si 
chiama “amore perfetto”: si proteggono e si accudiscono l’un l’altra.
Tutto procede, è una strada senza curve e senza buche.
M. Una sera durante una delle tante cene romantiche lei sente un piccolo, 
insignificante dolore al quale non dà importanza, non ne parla 
nemmeno con lui. Solo un leggero fastidio. Aveva avuto piccolissimi 
malori durante una vacanza; lui non se n’era accorto, e lei non 
gliel’aveva detto.
T. Ma nei giorni successivi il “fastidio” incomincia a prendere corpo, ad 
assumere significato, e diventa più frequente.
V. A questo punto lei, Sofia, decide, sempre senza dirgli niente, per non 
dargli inutili pensieri, per non distoglierlo dalle sue attività che 
richiedono concentrazione...
M. Per non preoccuparlo, per non dargli delle distrazioni che potrebbero 
allontanarlo dai suoi “urgenti e importanti impegni”...
V. Va dal medico a farsi visitare ma... c’è qualcosa di poco chiaro; deve 
sottoporsi a una serie di esami. Lui è sempre in giro ignaro di tutto. 

Sofia. Meglio così... è meglio che lui non sappia, continuavo a ripetermi... 

V. La diagnosi finale non lascia nessun dubbio: cancro maligno destinato a 
crescere, non si può fare niente. E’ una sentenza inappellabile.
M. Le possibili cure sono in grado solo di lenire il dolore e non di 
ostacolare il male. Lei teme per il loro amore più che per se stessa e 
sceglie di proteggerlo; non gli dice che sta molto male e che 
l’evolversi della malattia avrà un’unica soluzione inevitabile. E 
continuano a vivere insieme.
T. No, non vivono insieme: ognuno a casa sua. Si vedono fuori, oppure si 
ospitano per qualche giorno, ma non mancano mai le serate 
romantiche. Stanno cercando casa.
V. Ed è proprio durante una di queste serate, allestite come un set 
cinematografico: musica, candele e dialoghi che parlano di loro, del 
futuro insieme e di quanto si amano e della nuova casa che non 
hanno ancora trovato, ma che troveranno presto e sarà perfetta per 
loro.
M. Lei sente un dolore fortissimo al fianco, sa cosa sta accadendo al suo 
corpo ma si sforza di far finta di niente, impallidisce, va in bagno. 
T. Torna dopo qualche minuto, il suo viso è diverso.
Umberto. Stai bene? C’è qualcosa che non va?
V. “No, niente... sto... bene.” Dice sorridendo. 

Sofia. Temevo che il cancro s’impadronisse anche del nostro amore. Non 
era necessario che anche lui soffrisse con me. Lui doveva continuare 
ad essere l’uomo che era: vitale, attivo, solo così potevo trovare la 
forza per vivere, rubando la sua vita.

V. Lei sceglie di continuare a non dirgli niente. E’ una faccenda solo sua, 
si risolverà, in qualche modo, lui comunque non deve esserne 
intaccato, lo protegge da se stessa.
M. Sofia soffre in silenzio... sacrificio inutile... negando tutto e sempre 
anche quando il dolore diventa insopportabile e la fa piangere e 
urlare sola di notte nel suo letto vuoto.
T. Più si cerca di nascondere una realtà, e più essa si nutre di noi, come 
un cancro si espande, respira la nostra debolezza e diventa sempre 
più difficile nascondere... 
Dopo l’ennesima visita di controllo il medico le dice che non potrà 
continuare così, deve ricoverarsi in ospedale e sottoporsi a una serie 
di esami e di cure estremamente difficili da sopportare.

SCENA 19.

Sofia. Amore mio, un cancro mi sta mangiando e pare proprio che io gli 
piaccia perché non ha intenzione di smettere. Domani dovrò andare 
in ospedale e non so per quanto tempo. Ho cercato di non dirti nulla 
per non preoccuparti inutilmente, ma ora devo curarmi, non ho 
paura, so che tu ci sei, e insieme supereremo anche questo. Dovremo 
solo interrompere per un po’ le nostre cene romantiche, la ricerca 
della nostra casa...

(Tutti guardano Umberto che rimane in silenzio a lungo).
Umberto. “Quanto dureranno le cure? C’è la possibilità che tu guarisca?”
V. “I dottori dicono che possono solo impedire che io soffra... troppo. “
Umberto. “Sai che devo partire, devo essere all’aeroporto molto presto 
domani mattina e non riesco ad accompagnarti in ospedale, anzi è 
meglio che vada a dormire subito.”
V. Dobbiamo capirlo, lui non poteva abbandonare tutti i suoi affari.
M. Aveva già preso la sua decisione. Anche lui senza dirle nulla. 
Umberto. “Non preoccuparti io... rimarrò... con te.”
T. Fino all’ultimo lui non può rinunciare alla battuta d’effetto combattendo 
con se stesso fra la consapevolezza di star mentendo e la voglia di 
credere in quello che dice. 


V. La sua scelta è coraggiosa: decide di non vedere il suo amore 
agonizzante in un letto d’ospedale. Riprende la sua vita aumentando 
la velocità.
M. Lei lo aspetta. Non può immaginare che lui non andrà mai a trovarla.

Sofia. Tu hai scelto te stesso. E credo che tu abbia fatto la scelta giusta.
Hai ragione, amore mio, continua per noi. E’ giusto che tu non sia 
inchiodato qui a guardarmi in questo stato.

T. Perché hai fatto questo a Sofia?
Umberto. Io ho pregato tutti i giorni per la sua anima.
M. Non sei stato con lei.
Umberto. Io ho pregato! L’ho pensata!
M. Ma non sei stato vicino a lei.
V. Sei fuggito!
Umberto. No! No! Io non potevo stare con Sofia, avrei sofferto. Non l’ho 
mai dimenticata. 
M. Anche lei non ti ha mai dimenticato. Ti ha aspettato per mesi 
mentre il suo corpo marciva in un letto d’ospedale. 
V. Tu cosa stavi facendo?
T. Mentre la tua vita correva come un treno impazzito senza controllo su 
binari che non conducevano da nessuna parte...
V. Gli occhi di Sofia ti cercavano. Ma tu non potevi pensare di fermarti. 
M. Mentre la donna che ti ha aiutato in tutto, che ha sacrificato la 
propria esistenza per te, per permetterti di continuare ad occuparti 
delle tue importanti stupidaggini.
T. E mentre Sofia chiedeva la tua presenza, tu hai deciso di andare avanti, 
solo, ma andare avanti. Ti chiedeva il coraggio di fermarti! 
Umberto. Io non potevo fermarmi. Io devo rispondere ad obblighi e 
responsabilità! 
M. Io ho portato all’ospedale Sofia e tu eri in volo verso una riunione. 
Umberto. E’ lavoro! Il mio lavoro!
M. E io ero l’unico disponibile ad ascoltarla. La guerra può aspettare.
T. Subito dopo siamo arrivati noi.
Umberto. Come fate a conoscere Sofia?
V. E’ una nostra amica, è una di noi, come te, ma lei non ci ha mai 
abbandonato, ha sempre trovato il modo e il tempo per stare con 
noi. Anche solo per chiederci:”Come state?”
T. Nei mesi passati in quel letto continuava a parlare di te.
M. Ci chiedeva di cercarti, di trovarti.
V. Ma tu eri sempre in un altro luogo, da un’altra parte, a fare 
qualcos’altro, ovunque non ci fosse lei, e noi. 
M. Fino a tre giorni fa...
T. Sofia parlava sempre e solo di te! Ti chiamava! E quando il dolore 
diventava insopportabile nonostante le cure, ti cercava! 
V. Lei era felice che noi fossimo lì, ma noi tre non potevamo colmare il 
vuoto, non riusciva a credere che tu, l’uomo delle lettere d’amore, 
l’uomo che aveva giurato per l’eternità, non fossi lì.
Umberto. Io non potevo rimanere a guardare senza far niente! Io non 
voglio sentirmi impotente di fronte alla fine. Io odio la fine! Non 
posso tollerarla. Voi non avete il diritto di giudicare la mia vita.


M. E’ proprio in questo che ti sbagli. Solo noi abbiamo il diritto di 
giudicarti. Siamo venuti per avere risposte, vogliamo capire perché 
Sofia è...
Umberto. E’ morta?
V. No, non ancora, per quanto ne sappiamo.
T. Forse. Tu sei andato via sapendo che avrebbe sofferto, sapendo che 
avrebbe avuto bisogno di te più che mai, sapendo che non l’avresti 
più voluta vedere e non gliel’hai detto. 
Le hai lasciato la speranza e l’illusione di parlarti ancora, le hai 
lasciato il desiderio di tenere la tua mano.
Umberto. Basta! Io non potevo!
V. Si è arresa, ha smesso di lottare. Io sono rimasta con lei quando è 
andata in coma, le parlavo...
T. Io stringevo la sua mano quando il suo cervello era sconvolto dal delirio 
e vomitava sangue. 
M. Io le ho accarezzato la fronte sudata e le dicevo di non temere, che 
tutto sarebbe passato presto. 

Sofia. Non posso... non devo dormire. Se arrivasse mentre dormo non 
potrei vederlo, non potrei parlargli. Lui è sempre tanto occupato e 
non potrà fermarsi molto, no, non devo addormentarmi. Arriverà, 
oggi arriverà.

V. Finché non crollava esausta.

T. L’unico modo che ha per continuare a vivere in quelle condizioni è 
raccontarsi menzogne e credere, credere e trovare motivi per 
giustificare la tua assenza. 

SCENA 20.

Umberto. (Vede il pacco regalo). Cos’è?
V. E’ il nostro regalo per te.
T. Ce ne hai messo per accorgertene.
M. Aprilo, che aspetti?

(Umberto lo apre. Estrae sorpreso delle catene. M., T. lo immobilizzano, V. lo incatena dolcemente ad una delle sue sedie d’antiquariato, lui non oppone nessuna resistenza. Lo sollevano e lo mettono accanto al letto di Sofia, loro ritornano nella casa di Umberto.)

SCENA 21.

Sofia. Sapevo che saresti arrivato. Sei stato molto impegnato, amore?
Umberto. Sì, ho avuto molto da fare.
Sofia. Spero che sia andato tutto bene. Hai trovato la casa giusta per noi?
Umberto. Forse sì. Devi vederla.
Sofia. La vedrò presto, qui va tutto bene, i dottori dicono che non dovrò 
restare qui ancora per molto. Io non ho mai creduto che tu volessi 
abbandonarmi.
Umberto. Sono qui. Questa volta ce ne andremo insieme.
Sofia. Hai viaggiato molto?
Umberto. Sempre. Non ho mai smesso di pregare per te.
Sofia. Sei un uomo meraviglioso. Anch’io ho pregato per te.
Umberto. Per me? Capisco. Cerca di rimetterti presto, non ho più mangiato 
come si deve da quando te ne sei andata. 
Sofia. (Ride). Torneremo ad essere quello che eravamo. Avvicinati.
Umberto. Non posso.
Sofia. Voglio dirti una cosa nell’orecchio.
Umberto. Dimmela, ti ascolto.
Sofia. Avvicinati.
Umberto. Non posso... dimmi.
Sofia. Io non me ne sono mai andata.
Umberto. Lo so. Tu non mi hai mai abbandonato. (Silenzio).
Sofia. Non pensare che mi sia sentita sola qui: i dottori, le infermiere, tutti 
sono molto gentili con me; la sofferenza altrui, a volte, fa uscire la 
parte più dolce e sensibile delle persone.
Umberto. A volte...
Sofia. Ci sono stati tre tuoi amici, io non li avevo mai visti prima, ma 
loro dicevano di conoscermi bene. So che li hai mandati tu e hanno 
fatto tanto per me. Se tu sapessi che momenti terribili ho passato, 
ma grazie a loro è stato più semplice superare il dolore. Grazie per 
avere...
Umberto. Non ringraziarmi, ti prego... non ho fatto niente per te. Sofia, 
vuoi che ti dica la verità?
Sofia. Erano in tre, due uomini e una donna, non mi ricordo i loro nomi, 
ora che ci penso credo che non me li abbiano mai detti. Nei momenti 
peggiori sono perfino riusciti a farmi ridere, come facevi tu un 
tempo, ricordi? Quando ero triste trovavi sempre il modo per farmi 
sorridere. E’ impossibile non amarti.
Umberto. Ascolta, io temo che dovremmo parlare noi due.
Sofia. Lo stiamo già facendo...

SCENA 22.

T. E’ sempre la scelta stupida e facile quella più attraente.
M. Io mi domando cosa stiamo aspettando. Credete ancora nei miracoli? 
Sperate che accada qualcosa e tutto cambi? 
V. Basterebbe soltanto che si guardassero.
M. Voi attendete uno sforzo al di là delle loro forze.
T. Dovrebbero finirla di prestare attenzione al cielo o alla terra.
V. Perché Sofia non lo guarda!
T. E perché non si parlano!
M. Qui sta il vostro inganno. Credete che lei sia tanto diversa da lui? Per 
la sola ragione che è più vicina a noi e ha sofferto? Anche voi 
avete ascoltato le sue parole, non fingete, non l’ha mai incolpato 
di nulla, è rimasta con lui anche quando tutto avrebbe dovuto 
allontanarla. Non dimenticate che anche se accadesse ciò in cui 
sperate non cambierebbe niente. Io devo intervenire.
V. Se si sforzassero di uscire da se stessi!
T. E’ questo che vuoi? Guarda noi chi siamo, come siamo e cosa facciamo: 
continuiamo a ripetere la stessa farsa senza soluzione. 
M. Pensateci, loro hanno la possibilità di tornare insieme e di amarsi 
ancora? La risposta risolve l’enigma.


V. Sì, sì, sì! E’ questo il punto che non vuoi capire! Non è tutto perduto! 
Le cose possono cambiare e io farò tutto per condurli alla fine di 
questa storia.
M. Anch’io...
V. La mia fine non è la tua, non puoi fare niente finché la mia resa non 
te ne darà il permesso! 
M. So aspettare, e sai che dovrai comunque darmi campo libero.
T. (A V.) Io ti aiuterò! Non farò l’errore di lasciarti sola. Sempre uniti per 
l’eternità. Cambieremo il corso ai fiumi, spianeremo le montagne e 
prosciugheremo il mare.
M. Non mi accuserete mai di avervi ostacolato. Raccoglierò i frutti della 
vostra semina e li mangerò danzando.
V. Potremmo avere una sorpresa e vedere un uomo che comprende cosa è 
essenziale, è accaduto a volte.
T. Io concedo sempre la mia fiducia anche quando...

SCENA 23.

Umberto. Tu parli come se ci fosse un futuro.
Sofia. Ma siamo qui ancora tu e io, significa che è possibile.
Umberto. I medici hanno detto che il tuo destino è già deciso.
Sofia. E’ come il tuo. Da qualunque angolo tu voglia vedere la faccenda, 
noi ci siamo. Baciami...
Umberto. No! Io non sto per... (Silenzio).
Sofia. Agisci sempre d’impulso quando le cose si fanno difficili, e d’impulso 
hai sempre sbagliato.
Umberto. Anche con te?
Sofia. Non sono io l’errore più grande della tua vita? Pensa a come 
sarebbe stata se non mi avessi incontrato. La tua volontà ti ha 
portato lontano, alla fine. 
V. Se non fosse contro la mia natura li prenderei a pugni in faccia tutti e 
due! Perché sono così stupidi?
M. Si sono messi il giogo da soli, felici di metterselo.
T. Scegliere coscientemente di nuotare nel fango è la cosa che gli uomini 
sanno fare meglio. Dopo aver creato tutta una serie di complicazioni, 
di fronte alla possibilità di uscirne fuori, decidono di rimanerne 
invischiati... è una tentazione.
V. Non sanno come uscirne.
M. Non sanno, non vogliono, non possono! Quante scuse s’inventano per 
non essere come noi. 

SCENA 24. 

Sofia. (Allunga una mano sotto il letto e prende un cofanetto). Te lo 
ricordi questo? E’ stato il tuo regalo per il nostro primo anniversario.
Umberto. Ricordo il biglietto, “per custodire tutte le cose preziose del nostro 
amore.” Allora ci credevo... ci credevo! 
Sofia. E così è stato. Non lasciarti abbattere, amore, anche se mi vedi in 
questo letto non perderti. Guarda, ci sono tutte le nostre lettere.
Guarda quanto mi hai scritto nei tuoi viaggi d’affari. Tieni leggi 
questa. (Gli porge una lettera che cade a terra).
Umberto. Non portano mai da mangiare qui?
Sofia. Senti cosa mi scrivevi...
Umberto. Non leggerla per favore, non merito d’essere trattato così.
Sofia. Come desideri... sei stanco?
Umberto. Portatemi via! Portatemi via! Liberatemi!

(Durante il dialogo successivo inizia un’orgia coreografata come una danza tra V., T. e M). 

T. Quello che mi fa incazzare è che si ostinano! Più il muro è duro e più 
sbattono la testa con forza! 
M. La vittoria non è nelle vostre mani. Sapete cosa siete adesso?
‘Un capitale gettato nella spazzatura senza nessuna possibilità di 
recupero.’ Non c’è più nulla da guadagnare.
V. L’amore è un’altra cosa.
T. Vuoi bere qualcosa?
Umberto. Ho sete, sì, datemi qualcosa, vi prego!
T. ‘C’è gente che non riesce a vivere se non in un perenne duello.’ 
M. La tua ossessione per l’antiquariato, il tuo tempo speso a ricercare 
sedie, tavoli e mobili. ‘L’antiquariato è sempre stata la mia 
ossessione. Gli oggetti antichi mi dànno il senso del tempo e della 
vita e hanno vinto la battaglia con la morte.’ E la tua battaglia? 
Sono di fronte a te ora, come pensi di vincerla? 
V. ‘Mi perdoni signora se questa modesta magione non è degna 
della sua grazia, cercherò di fare ammenda per quest’imperdonabile 
mancanza.’ 
T. ‘All’amicizia che non muore mai, alle eterne romantiche, agli anni senza 
pause, e ai “Io ti capisco...” che cadono come fiocchi di neve sulle 
vostre cene.
V. ‘Io sono stato molte cose e oggi mi definirei un “uomo d’affari”. Il mio 
interesse principale è di accrescere la mia eredità.’ 
M. Hai lasciato che tua madre morisse da sola. Solo noi ci siamo sempre 
stati; in ogni istante delle tue assenze noi c’eravamo. 
T. ‘Io onoro il ricordo di mia madre ogni giorno, mi sono preso cura del 
denaro che mi ha lasciato, ho lavorato come un mulo per investire e aumentare il capitale e oggi posso permettermi la libertà.
M. ‘Se c’è da far soldi non mi tiro mai indietro.’
V. ‘Non siamo tutti giocatori di una partita con il finale già deciso e a 
noi oscuro? Si tratta di saper usare le carte che il destino ci 
consegna, saper aspettare, puntare e giocare e, a volte, ritirarsi nel 
momento giusto.’ Vorresti ritirarti adesso?
T. ‘Il mio lavoro non è una condanna, io sono come voi: adoro quello che 
faccio. Non mi pento di niente.’ 
M. ‘Vuoi che proviamo invida delle tue avventure, e dei tuoi successi.
Hai visto luoghi d’incanto, non sei stato in mezzo alle cannonate e 
ai morti, ma non ne senti la mancanza. Sei un uomo di successo!
V. Una vita sulla strada! Le ruote sotto i piedi! Bisogna costruire 
l’occasione per riflettere!
M. L’immobilità è la morte. 
T. Io credo in certi valori.
V. Io ho avuto un’educazione religiosa ed ho sempre seguito i princìpi che 
i miei genitori mi hanno trasmesso. 
M. Alla libertà di scegliere e al rispetto... e alla reputazione! Allontaniamo 
il male da questa casa!

V. Perché quando uno deve occuparsi di se stesso vuol dire che c’è di 
mezzo una donna, o l’amore, o il sesso! La vita va oltre, abbiamo 
un’anima... c’è una tensione che... non possiamo considerare tutto nei 
limiti del nostro modo di vedere le cose...
T. Vado in un convento per un ritiro spirituale. Io ho sempre dato valore 
al mio tempo. 
M. Io non sono uno di quelli che si tormenta. La mia vita è azione e 
produttività, non sarei arrivato dove sono oggi.
V. Azione! Azione! Nessun pensiero inutile, niente inquietudini. 
M. Io ho pregato tutti i giorni per la sua anima. Io non potevo rimanere a 
guardare senza far niente! Io non voglio sentirmi impotente di fronte 
alla fine. Io odio la fine! 
(Bacia Sofia. Silenzio. l’orgia-danza finisce).

SCENA 25.

(Un taglio di luce parte da Sofia e segna la strada verso l’uscita di scena).

M. Dammi le mani, Sofia. (Lei allunga le mani, M. gliele prende delicatamente e la fa uscire dal letto d’ospedale). Seguimi... (Sofia cammina con passo incerto sorretta da M.). 
Sofia. Posso camminare... posso muovermi... non sento più dolore. 
M. Tutto è passato. Non devi più combattere. Ci sono io ora con te.
Sofia. E’ buio qui... sento la sabbia sotto i piedi... dove siamo?
M. Andiamo, siamo ancora al mare, le onde ci aspettano. 
(Le lascia le mani). 
Sofia. No, è pericoloso, non costringermi, non voglio venire.
M. Ci sono io, non può più accaderti nulla di male.
Sofia. Me lo giuri?
M. Te lo giuro. Abbracciami e il brutto sogno finirà.
Sofia. Dove sei? Non lasciarmi sola.
M. Segui la mia voce. (Canta sottovoce una ninnananna).
Sofia. Non ti vedo, ma non ho paura.
M. Vieni avanti, vieni avanti, mi senti? (Canta).
Sofia. Sì... Umberto è con te?
M. No. E’ lontano.
Sofia. Io non posso venire, lo sto aspettando.
M. Non tornerà.
Sofia. No! Tu mi stai ingannando, questa è una bugia!
M. Il tempo delle menzogne è finito. 
Sofia. Voglio restare! Voglio restare! Deve trovarmi qui! Io ho capito chi 
sei. Vattene! Vattene! 
M. Io non posso tornare indietro.
Sofia. Se Umberto fosse rimasto con me... 

(Fa qualche passo in avanti, arriva a M., lo tocca, la abbraccia e Sofia si lascia andare. M. la solleva e tenendola in braccio abbandona la scena).

SCENA 26.

(V. e T. liberano Umberto dalle catene, coprono il letto d’ospedale vuoto con il lenzuolo dai colori accesi. Umberto li guarda).
T. Noi rimaniamo.
V. (Abbraccia e accarezza Umberto). Sono ancora bella per te? (Umberto annuisce e sorride). Sei un bravo bambino quando vuoi.
Umberto. Sofia?
T. Ha pagato il conto, ha fatto le valige e ci ha detto di salutarti.
V. La tua commedia è finita. Ora dipende da te...
T. Dipende da te non iniziarne un’altra.
Umberto. Sono libero?
T. Lo sei sempre stato.
V. Conoscevi tutte le risposte alle tue domande.
Umberto. Sono stanco di scappare.
T. Questa è la porta del labirinto, o ne esci, o rientri.
(Umberto si alza, va piano in proscenio al centro. Si sente la musica e il frastuono di festa della settima scena, V. e T. si guardano e velocissimi indossano le tute e i guanti da lavoro. V. raccoglie gli oggetti in una o più scatole; T. porta fuori il letto, poi le sedie e il tavolo, tutto con estrema 
urgenza, mentre Umberto resta immobile al centro davanti.
Quando la scena è vuota V. e T. danno un ultimo veloce sguardo per verificare che non ci sia più niente. Si guardano, V. corre verso T., si avvinghia su di lui con le braccia al collo e le gambe intorno ai fianchi. T. se ne va veloce baciando V.
La Musica e i rumori sfumano come se si allontanassero).

SCENA 27.
Umberto. (Solo). Adesso tu mi presenti il conto finale... Ho condotto una 
vita di scelte sbagliate, ora lo so. Ricordi le frecce che indicano la 
direzione? Avevi ragione: non si può decidere di stare fermi. Io ho 
seguito quella che mi ha portato lontano da te. Non c’è remissione 
per questo peccato, anche se tu non hai mai creduto nei peccati. 
Anche quando sai che stai sbagliando continui a sbagliare, i sensi di 
colpa sono tutte cazzate, non t’impediscono di gettarti nel fuoco. Non 
avrei mai immaginato che tra noi sarebbe finita così, con me che 
faccio un monologo da idiota davanti ad una lapide... e la tua 
fotografia che sorride. Mi mancano i nostri dialoghi... quello che 
sapevi dirmi... Pensi che queste sono lacrime di coccodrillo, potevo 
pensarci prima. Non dovevo lasciarti sola. Sono scappato per paura di 
soffrire... e ora? Non trovo le parole giuste per definirmi... stupido 
bastardo coglione... Non ho mai voluto... sì, non ho mai voluto 
trovare il tempo. Ho rinnegato la nostra vita insieme e ora che sei 
in una tomba non trovo la forza per andare via. Ci sono ancora i 
tuoi occhi, Sofia, i tuoi occhi che mi guardano, che non hanno mai 
smesso di chiamarmi, ma io sono stato sordo. Ho cercato una felicità 
da lupo solitario, fuori dal branco che si affanna alla ricerca 
dell’amore. Non volevo mai tornare a casa, mi circondavo di oggetti 
per dimenticarti, per non avere la tentazione di pronunciare il tuo 
nome in una stanza vuota. Vorrei che fossi tu ad abbandonarmi 
adesso, ma so che sarai vicina a me più di prima. Questo è il 
discorso di un uomo in ritardo che non può cavarsela chiedendo 
scusa. Non posso cambiare il finale della storia e non ho la forza per 
chiudere il libro. Ho comprato una casa non lontano da qui, è un 
palazzo antico, ti piacerebbe...
(Si gira, lo vediamo camminare verso il fondo e scomparire nel 
buio).

FINE