OREA’

di

Renato Capitani


Personaggi

IL FOLLE
RAGAZZO
RAGAZZA
DONNA MARIONETTA
UOMO BURATTINAIO
DONNA LIBERA
DONNA TIP TAP
AMICA DEL CUORE
DONNA IMMAGINE
DONNA SOLITARIA
UOMO D’AFFARI “bugiere”
BALLERINO
BALLERINA
IMMAGINI


PRIMA SCENA

Uno spazio isolato. Forse un campo in periferia. Un’insegna che s’illumina con la scritta “OREA’”. Non si sa che significato abbia né a cosa sia appartenuta: probabilmente un negozio, un locale, una pubblicità, un parco o… chissà. E’ rimasta solo lei, abbandonata, intorno non c’è più niente e nessuno sa che cosa segnalasse in passato. La cosa sorprendente è che s’illumina ancora e tutti i personaggi che entrano si domandano cosa sia e perché s’illumini ancora. Solo una persona conosce la sua storia,il Folle, che però non se la ricorda più (come non si ricorda nemmeno chi sia sé stesso).


RAGAZZA : (entrando, rivolta al ragazzo) Guarda, un’ insegna luminosa!... Ma non
c’è niente intorno…

RAGAZZO : (entrando a sua volta) Già. Che idea balorda!... Mettere un’insegna luminosa che non indica niente.

RAGAZZA : (guardando l’insegna,incuriosita) Forse è una pubblicità…

RAGAZZO : E di cosa?... Non c’è una foto, un disegno… che ne so… uno slogan… e poi cosa vuol dire “Oreà” ?

RAGAZZA : Mah… forse è incompleta. Qualcuno avrà portato via le altre lettere…

RAGAZZO : No. Si vedrebbe la manomissione. E poi si accende, non vedi?... L’hanno fatta proprio così.

RAGAZZA : Che strano. Proprio qui, in un posto così isolato. Perché?

RAGAZZO : (prendendola per mano) E se non era così isolato mica ti ci portavo! (Tenta di baciarla.)

RAGAZZA : (scostandosi) No. Non qui. Questa insegna m’imbarazza.

RAGAZZO : (irritato per il rifiuto) Capirai. Per una luce e per una scritta cretina!

RAGAZZA : (gentile) Andiamo più in là. Ci sarà un altro posticino più tranquillo, no?

RAGAZZO : (malizioso) Sì… ma guarda che se ci spostiamo non mi accontenterò più solo di un bacio…

RAGAZZA : (anche lei maliziosa) Perché… qui ti saresti accontentato?

RAGAZZO : (ironico) Chissà… (guardando l’insegna) forse “Oreà” mi avrebbe bloccato proprio nel momento migliore…

RAGAZZA : (scherzando) Aaah… ecco allora perché volevi rimanere proprio qui!... Per avere una scusa! (Ride scappando.)
RAGAZZO : (rincorrendola) Se prima avevi una piccola possibilità di salvarti, adesso sei spacciata! (Esce correndo, nella stessa direzione di lei.)


SECONDA SCENA


Un attimo di silenzio. Il palcoscenico rimane momentaneamente vuoto. Poi entra, con molta circospezione, un personaggio dall’aria alquanto misteriosa. Ha un abbigliamento piuttosto bizzarro. E’ il Folle.


FOLLE : I piccioncini si sono allontanati. (Sorride con atteggiamento da folle) Anche loro si sono chiesti che cosa significa (indica l’insegna). Che carini!... Purtroppo se lo chiedono tutti. E la risposta? (Aprendo le braccia) boh! Chissà? (Dispiaciuto) Io glielo direi, a tutti, sì certo… se me lo ricordassi!... Una volta lo sapevo, sicuro. Ma purtroppo poi sono impazzito e perciò adesso non me lo ricordo più. (Ride di gusto) Eh, sì, sono proprio folle. Non so nemmeno chi sono. (Ride) chi ero… che cosa sono stato… chi sarò… (pausa) chi fui. (Riflettendo) Però… i tempi del verbo essere me li ricordo tutti! (Ride)
Tutti mi chiamano “il folle dell’insegna luminosa”!... Non possono chiamarmi “il folle dell’Oreà”, come io preferirei, perché nessuno capirebbe. E i “normali” devono sempre capire, altrimenti, poverini, come potrebbero vivere. (Ripensandoci) veramente più di tutto mi piacerebbe che la gente dicesse “l’insegna luminosa del folle”. (Indicando l’insegna) infatti è lei che appartiene a me, non io a lei. Ma questo i “normali” non lo sanno, perché per loro non sarebbe molto normale. (Ride) ma lei ed io lo sappiamo! Vero, Oreà?... (Pausa) Oreà… già, chissà cos’eri. Eh, un giorno lo sapevo. E sapevo anche chi ero io. Ma sono impazzito. (Alza le spalle, pensandoci un attimo) O sono impazziti tutti gli altri?... Perché io non mi sento molto diverso da com’ero prima. Sono gli altri che da un certo momento in poi hanno cominciato a trattarmi diversamente. Io invece, gli altri mi sembra di trattarli come sempre. Allora chi è veramente folle? (Ride divertito. Pausa.) La gente dice che io vedo cose che non esistono. Ma è la gente che non sa esistere e perciò non vede. Non si accorge di niente perché non guarda. E allora chi sarebbe folle?... Logico, no? (Ride) il fatto è che esistono logiche diverse e molti non vogliono riconoscerlo. Perciò è più facile inventare i folli, così i cosiddetti “normali” si tranquillizzano. (Malinconico) sicuramente io ero qualcuno ed anche Oreà era qualcosa. Ma poi ce lo siamo dimenticati. Sia io che lei (indica l’insegna) e allora hanno cominciato a considerare un folle me ed un’incognita lei. Ma tutti e due avevamo una nostra identità. (Con forza) e ce l’abbiamo ancora!... (Smarrito) sì, ma quale?... Però esistiamo, vero Oreà?... (Con esaltazione) e per questo motivo noi siamo: perché esistiamo!... (Guardando di nuovo l’insegna) per noi è facile riconoscere questo, ma per gli altri?... E’ un pensiero troppo semplice, per cui i “normali” non possono arrivarci. Io le ho raccontate le cose che sono successe qui e che ho visto. E racconterò anche quelle che succederanno ancora. Ma nessuno mi dà retta, nessuno mi crede. Come nessuno riesce a capire cosa sei tu o cosa eri un tempo. (Sorride) Ma sono sicuro che prima o poi me lo ricorderò e tutti lo sapranno. (Pausa. Cambiando tono) Eppure sono successe tante cose qui, proprio sotto Oreà. Per esempio, un giorno arrivò un uomo che portava una marionetta che si muoveva con dei fili. (Parte una musica che accompagnerà tutta la scena. Entra un uomo che trasporta una donna, inanimata, con dei fili appesi alle mani. I due personaggi si bloccano e rimangono immobili fino alla fine del racconto del Folle.) Ma lei mi sembrava troppo grande per essere una semplice marionetta. Infatti, quasi subito, mi accorsi che era una donna. Una donna vera, che però si comportava come una marionetta. per questo aveva i fili, in modo da poter essere animata dall’uomo… (esce.)


TERZA SCENA


La scena si svolge con una pantomima su musica. Finito il racconto del Folle, i due personaggi si rianimano e l’uomo fa sedere in terra la donna-marionetta, che è abbigliata come una bamboletta. Lui comincia a muovere lentamente i fili, collegati alle mani di lei, provando a farle fare dei movimenti. Poi la solleva e, sempre muovendo i fili, le fa assumere degli atteggiamenti tipicamente femminili, ma da donna spersonalizzata, come se fosse un oggetto: da modella, da donna sexy, da mamma premurosa ecc. Dopo averle fatto assumere la sembianze di una serie di personaggi come quelli citati, soddisfatto la ripone in terra e si allontana. La donna-marionetta rimane per qualche istante immobile, con i fili a penzolone. Poi cerca di fare qualche movimento da sola, ma, nonostante i ripetuti sforzi, non ci riesce. Delusa e disperata rimane in terra, inanimata, in attesa del ritorno dell’uomo. Entra un’altra donna, naturalmente senza fili, danzando, felice di poter esprimere tutta l’armonia e l’energia del suo corpo. La donna-marionetta la osserva affascinata, quasi incredula di assistere a tanta libertà. Dopo qualche passo di danza, la donna libera si accorge della presenza dell’altra e le si avvicina, stupita di vederle dei fili legati alle mani. La solleva a fatica e poi, attraverso i fili, prova a muoverla, come aveva fatto prima l’uomo, ma facendole assumere delle posture completamente diverse, meno remissive e più dignitose di quelle di prima: da donna intellettuale, da leader, da medico ecc. La donna-marionetta prende sempre più coraggio e comincia a provare gusto nell’assumere questi nuovi atteggiamenti, fino a sembrare completamente indipendente dai fili. La donna libera allora scioglie i fili che pendono dalle mani dell’altra, gettandoli in terra. Le due insieme, poi, si esibiscono in un balletto che esalta la libertà conquistata ed escono di scena felici. Rientra l’uomo e trova solo i fili in terra, senza la donna-marionetta che li portava. Disperato comincia a girarsi intorno, alla ricerca di lei. Alla fine esce di scena affranto. Alla sua uscita s’interrompe anche la musica.


QUARTA SCENA


Rientra il Folle e riprende a raccontare.


FOLLE : C’era una donna, una classica madre di famiglia, gentile e premurosa, moglie fedele e casalinga ideale, che però aveva un terribile problema: i piedi le ballavano il tip tap. Non sapeva come potesse succederle ciò, visto che non era mai andata a scuola di danza e tanto meno aveva mai fatto lezioni di tip tap. Sì, a volte, specialmente da giovane, aveva guardato qualche film con Ginger Rogers e Fred Astaire, ma solo alla tv e molto distrattamente, visto che oltretutto non aveva una gran simpatia per la danza. La considerava una disciplina banale, anche poco divertente se vogliamo, se paragonata soprattutto al divertimento della spesa con le amiche o a quelle belle cene con tutti i parenti, specialmente nelle festività, in cui una brava casalinga poteva dimostrare tutta la sua capacità di cuoca e di impareggiabile domestica, riscuotendo il consenso di tutti i suoi cari e riaffermando l’indispensabilità del suo ruolo sociale. Com’era possibile che ad una donna sì fatta i piedi le ballassero il tip tap?!... Se proprio doveva capitarle una disgrazia, e si sa che le disgrazie non avvertono mai, sarebbe stato meglio che i piedi ballassero la danza classica, senza dubbio più dignitosa per una madre di famiglia. Sarebbe stato anche meno difficile da giustificare alle riunioni di condominio, con quelle iene d’ inquilini del suo palazzo, o peggio ai professori di scuola dei suoi figli. Cosa sarebbero stati costretti ad ascoltare quelle povere creature?... (Fingendo una voce infantile) “Oggi la mamma viene a parlare con lei, signora professoressa. - “La tua mamma?... Chi è quella signora a cui i piedi ballano il tip tap?”… La prima volta che la povera donna si era accorta di questa disgrazia aveva provato a confidarsi con il marito. Ci aveva pensato chissà quanto per dirglielo, pensando a quale fosse il modo migliore per non traumatizzarlo. Ma lui, becero come solo certi uomini sanno esserlo, le aveva risposto: “Davvero? i piedi ti ballano il tip tap?... Anche a me ogni tanto la pancia mi balla la rumba! Ma dev’essere la colite!” E giù una grassa risata. (Pausa) Tutto cominciò un giorno che venne a portare il cane a spasso proprio da queste parti. (Entra la donna nominata, che da questo momento in poi mimerà tutte le azioni ricordate dal Folle. Il cane non si vede in scena. La donna tiene solo il suo guinzaglio in mano, che si allunga fin dietro una quinta. Il personaggio fingerà, con il suo movimento, gli eventuali spostamenti del cane immaginario.) Mentre il cane scodinzolava e annusava tutt’intorno, lei stava ferma, annoiata, proprio sotto Oreà. Quando improvvisamente i suoi piedi cominciarono ad agitarsi, prima in modo scomposto, poi sempre più preciso, ritmato, fino ad arrivare a dei veri e propri passi da tip tap. Il cane prima abbaiò divertito, pensando ad un nuovo gioco proposto dalla sua padrona, poi impressionato, addirittura spaventato, scappò via, mentre la padrona disperata cercava d’inseguirlo, naturalmente sempre a ritmo di tip tap. (La donna esce di scena correndo, apparentemente trainata dal cane). Dopo numerosi tentativi alla ricerca di una guarigione, e non saprei dirvi nemmeno quali, alla signora non restò che tornare qui, questa volta non accompagnata dal cane ma dalla sua amica del cuore, nella speranza di risolvere il problema insieme a lei, proprio sul posto dov’era cominciato.


Lui esce ed entrano le due donne.


DONNA TIPTAP : Ecco questo è il posto infame dov’è cominciata la mia tragedia. Proprio sotto quella maledetta insegna. (Indica Oreà).

AMICA DEL CUORE: Oreà?... Cosa vuol dire?

DON.TIPTAP : E che ne so. So soltanto che è maledetta!

AMICA : E dai!... Non mi dire che anche tu credi ai maghi e ai sortilegi!... E poi che razza di magia sarebbe questa? I piedi che ballano da soli il tip tap! (Ride) Nemmeno il più incallito degli stregoni ci crederebbe!

DON.TIPTAP : Lo vedi? Anche tu mi credi matta!... Pensi che sia tutta una mia invenzione .

AMICA : No… non dico che sei matta… forse un po’ esaurita. Avresti bisogno di riposo. D’altronde… a parte il tuo cane… nessuno ti ha mai visto ballare il tip tap…

DON.TIPTAP : Lo credo. Succede solo quando sto da sola. Allora una musica irresistibile comincia a ronzarmi nelle orecchie e i miei piedi cominciano a ballare il tip tap, senza che io riesca a frenarli.

AMICA : (incuriosita) Ma tu li conosci quei passi?

DON.TIPTAP : (con rabbia) No! Questo è il dramma, capisci?! Non ho mai studiato nessun passo né di tip tap né di altro!... Anzi, la danza mi sta proprio antipatica!

AMICA : E pensare che c’è gente che spende un sacco di soldi per imparare a ballare!... Tu invece, stai casa e i piedi si muovono da soli…

DON:TIPTAP : Eh già. Sai che fortuna avere i piedi che ti ballano il tip tap, mentre fai le faccende di casa!... Mentre telefoni o prepari la cena ai tuoi! (Portandosi le mani alle orecchie) e poi quell’insopportabile musica! Sempre la stessa! Che ti martella la testa… (Urlando) e i piedi che ballano, ballano, ballano!

AMICA : (impressionata dalla disperazione dell’altra) Se ti mettessi delle scarpe più pesanti?

DON.TIPTAP : Peggio! Sai che fatica!... Tanto i miei piedi non si fermerebbero lo stesso.

AMICO : (guardando l’insegna, riflette) Forse Oreà… era un locale dove si danzava. Che ne so… una balera… un dancing… una scuola di danza. Forse lo spirito di una ballerina morta in chissà quali circostanze misteriose è entrato in te e…

DON.TIPTAP : (interrompendola bruscamente) E io sarei la pazza che crede ancora ai sortilegi e alle stregonerie?!

AMICA : Allora? Ammesso che sia vero, come te lo spieghi?

DON.TIPTAP : Lo vedi che ancora non mi credi?… Io non me lo voglio più spiegare. Voglio solo restituire a questo posto il suo regalo indesiderato. (Tira fuori da una borsa che tiene in mano un paio di scarpe fornite di claquette, tipiche per ballare il tip tap.) Facendo una danza rituale questa volta decisa da me. (S’infila le scarpe.)

AMICA : Una specie di esorcismo!

DON.TIPTAP : Chiamalo come vuoi. Io la chiamo liberazione. (Una volta infilate le scarpe da tip tap, si mette sotto l’insegna Oreà, in attesa dell’arrivo della solita musica nelle sue orecchie.) Io sono pronta. Forza, maledetta musica, comincia! (Passano alcuni istanti, ma i piedi rimangono fermi.)

AMICA : (titubante) Allora?... Ancora niente?

DON.TIPTAP : (bloccata nella sua posizione, s’innervosisce) Niente, maledizione! Come al solito, se non sono sola non succede niente.

AMICA : Capisci perché è difficile crederti?

DON.TIPTAP : (furiosa) E allora vattene! Allontanati!... Mi risolvo il problema da sola. Chi se ne frega della tua testimonianza!

AMICA : (allontanandosi) Va bene, come vuoi. Comunque tranquilla, rimango in zona. (Esce.)

DON.TIPTAP : (rimane in posizione da ballo. Non succede ancora niente. Si rivolge allora in direzione dell’uscita dell’amica.) Sei ancora qui, vero?

AMICA : (affacciandosi timidamente) Pensavo… che… bastasse non farmi vedere…

DON.TIPTAP : (urlando) Sparisci!! (L’amica esce di nuovo velocemente. Passano alcuni secondi ed ecco che si sente, prima sfumata, poi sempre più alta, l’attesa musica da tip tap.) (Eccitata) eccola! La sento, la sento! (Balla esibendosi, anche se goffamente, in un balletto di tip tap. Alla fine della musica, stremata, si toglie le scarpe da tip tap, gettandole sotto l’insegna Oreà) speriamo che questa sia l’ultima volta. Regalo queste scarpe a chi ha tanta voglia di ballare. (Rivolta ad Oreà) e tu incanta qualcun altro. (Con fermezza) io sono una persona seria! (Si rimette le scarpe da signora. Intanto rientra l’amica del cuore.)

AMICA : (rientrando timidamente) Allora? Com’è andata?... Hai ballato?

DON.TIPTAP : (ansimando un po’ per la fatica) E che t’importa? Tanto non ci credi!... Andiamo a cucinare, va, che è ora. (Esce precedendola.)

AMICA : Aspetta! hai dimenticato le tue scarpe da tip tap!... (Fa per raccogliere le scarpe da tip tap gettate via dall’altra sotto l’insegna, quando improvvisamente si sente, prima sfumata, poi sempre più in crescendo una musica. E’ un valzer lento. Automaticamente lei si mette a ballare, con le scarpe dell’altra in mano, eseguendo spontaneamente dei passi di valzer. Alza la voce, quasi gridando) Ehi, la senti questa musica?... Questo valzer?... (Sempre ballando) E’ irresistibile… non riesco a fermarmi!... (Cercando disperatamente una conferma, alza sempre più la voce in direzione dell’uscita dell’amica) la senti anche tu questa musica, vero?... Non la sento solo io… c’è davvero… (sempre più disperata esce ballando a ritmo di valzer.) Dimmi che la senti pure tu, ti prego!... (Voce fuori scena) E’ un valzer!... Lo senti?... Lo senti?!

La musica sale al massimo accompagnando la fine della scena.


QUINTA SCENA


Alla fina della musica rientra il Folle ed inizia a raccontare un’altra storia.


FOLLE : Non era bella. Forse non lo era mai stata. Ma non si può nemmeno dire che fosse brutta. Una di quelle donne di cui, senza prendersi troppe responsabilità, si dice che sono un “tipo”. – E’ un tipo che piace!- Dicevano quelli a cui lei piaceva. – Una come tante!- Dicevano quelli a cui non piaceva. Ma il fatto più significativo era che lei non si piaceva. Non le interessava cosa pensassero gli altri. Anche perché, come dicevo, i pareri erano discordi. Era la sua immagine che non accettava. L’immagine era quello che lei desiderava essere, non quello che era veramente. A volte le persone sono migliori della loro immagine, ma non sono soddisfatte, perché spesso hanno un’idea della loro immagine che non corrisponde affatto a ciò che sono veramente. E’ inutile che gli altri facciano degli apprezzamenti se l’immagine non corrisponde al desiderio che si ha di essa. Come d’altra parte sono inutili le critiche delle altre persone, se l’immagine corrisponde al desiderio. Lei era esattamente così. Non si piaceva e perciò rimaneva indifferente agli eventuali apprezzamenti. (Pausa) Finchè un giorno capitò proprio qui, forse spinta dalla sua fissazione… (questa volta non esce, ma rimane in scena, in disparte, ad osservare ciò che succede.)


Appare in scena la cornice di un grande specchio, ma senza lo specchio dentro. Questo permetterà così ai personaggi che appariranno dietro la cornice, di fare il gioco dell’immagine riflessa con il personaggio della Donna-immagine. La cornice deve essere collocata sotto l’insegna Oreà. Tutta la scena sarà realizzata da una pantomima supportata dalla musica.
Inizia la musica. Entra la Donna-immagine, con aria misteriosa, come se si trovasse per caso e inaspettatamente in un posto sconosciuto e un po’ inquietante. Si avvicina alla cornice dello specchio con molta circospezione. Appare subito, dalla parte opposta rispetto alla sua posizione, come un’immagine riflessa, un’altra donna, che ripete esattamente tutti i suoi stessi movimenti, come in uno specchio vero. Soltanto che è una donna dal fisico completamente diverso. E’ esattamente l’immagine di sé stessa che desiderava. Le due prima si studiano incuriosite (ripetendo i movimenti in simbiosi), poi lentamente cominciano ad innamorarsi l’una dell’altra, come nell’antico mito di Narciso. Dopo una serie di azioni mimate, che ricordano quasi un corteggiamento, escono insieme felici.


FOLLE : (dalla sua postazione decentrata) Era convinta così di avere trovato finalmente la sua vera immagine. Quella che aveva sempre desiderato. Pensava che da quel giorno in poi tutti l’avrebbero vista esattamente come voleva lei. Così, il giorno dopo, la donna tornò felice per ammirarsi ancora…


Rientra la donna e si dirige direttamente allo specchio, convinta di rivedere la stessa immagine di prima. Questa volta invece le appare una donna completamente diversa. E’ piuttosto grassa, con un’enorme pancia e un aspetto grottesco. Anche lei, come la precedente, ripete esattamente gli stessi movimenti della protagonista, imitando una vera immagine riflessa. Chiaramente i suoi movimenti sono più goffi. La protagonista sconvolta dalla sua nuova immagine e soprattutto dalla sua goffaggine, dopo aver eseguito una serie di movimenti (che nell’imitazione dell’altra la rendono ridicola), fugge inorridita.



FOLLE : (Sempre dalla sua postazione decentrata) Aspettò alcuni giorni prima di ritornare. Chissà, forse pensò di avere avuto un’allucinazione, uno scherzo della mente, dopo tanta gioia. O forse soltanto per riprendersi dallo spavento. Ma non poteva certamente rinunciare all’immagine che aveva visto il primo giorno. Perché era proprio quella che lei avrebbe voluto essere. Se dopo averla desiderata tanto le era finalmente apparsa, non poteva scomparire così improvvisamente… eh già, non poteva. L’ aveva trovata dopo anni di ricerca, non poteva certo rinunciarci. Ormai non poteva più fare a meno di lei. Così ritornò, sperando di ritrovarla…


Rientra la donna, questa volta con un atteggiamento più timido ed imbarazzato di prima. Si avvicina timorosa allo specchio. Stavolta l’immagine che le appare è quella di una donna molto vecchia, con il volto pieno di rughe, un’andatura claudicante, vestita in modo molto dimesso. La protagonista, allibita, esegue come precedentemente alcuni movimenti allo specchio, soprattutto toccandosi il volto, i capelli, provando a camminare ecc. Naturalmente la vecchia ripete gli stessi movimenti. Alla fine la donna scappa inorridita.
Cambia la musica. Questa volta è una musica malinconica che fa da sottofondo alle parole del Folle.




FOLLE : Tornò ancora altre volte. Ogni volta incontrava un’immagine diversa, ma non trovò più l’immagine di cui si era innamorata. La vidi più volte scappare piangendo, disperata. (Pausa) La cosa che più mi dispiace è che una volta, durante una delle sue disperazioni, le ho sentito gridare che quell’immagine non esisteva, che era stata tutta un’illusione. Avrei voluto dirle che si sbagliava, che l’avevo vista pure io, perciò esisteva. (Pausa) Avrei voluto dirle che… (con tono molto caldo) che… (guarda in alto. Intanto la luce si abbassa, producendo un effetto notte.) Che… anche le stelle lassù in cielo ci trasmettono la loro luce. Ma la luce che noi vediamo ora non è la loro vera luce. E’ la luce che avevano migliaia, milioni di anni fa. Ora quelle stelle non ci sono più, eppure noi riusciamo a vedere lo stesso la loro luce… perché un tempo… chissà quando… quelle stesse stelle sono esistite veramente. (Sorride) sono esistite veramente. (Incantato) é questo il loro miracolo! (Sempre più preso da ciò che sta dicendo) e allora… quando cade una stella, se noi esprimiamo un desiderio… lo affidiamo ad una stella che non esiste più… e forse per questo non può più ascoltarci. Ma lei è esistita, come esiste il desiderio. Soltanto che non possono incontrarsi… perché il tempo non lo permette. Ma qualcuno l’ha vista la nostra stella, nel suo tempo reale… chissà quando… ma l’ha vista… ne sono sicuro. (Un po’ triste) e allora… se qualcuno l’ha vista, vuol dire che lei è esistita. (Pausa) ecco, è questo che avrei voluto dire a quella donna. Ma poi ho pensato che nessuno crede mai alle parole di un folle… avrei potuto peggiorare la sua disperazione. (Pausa) sta di fatto che dopo un po’ di tempo non la vidi più. Chissà dove sarà ora?... Che cosa farà?... Probabilmente starà davanti ad uno specchio in qualche parte remota del mondo. O forse, non riuscendo più a sopportare qualsiasi altra immagine, si sarà gettata, disperata, dentro uno specchio. E ora anche lei è diventata l’immagine di un’altra donna come lei. (Rivolto all’insegna luminosa) tu che ne dici Oreà?... Sto farneticando troppo? (L’insegna si spegne.) Ho capito. Allora, per il momento, taccio. (Buio. Scompare la cornice dello specchio. Sfuma la musica.)



SESTA SCENA


Luce piena. Entra una giovane donna che canta una canzone, le cui parole trattano il problema della solitudine e dell’incomprensione da parte della gente. Alla fine della canzone rimane in scena, in una zona decentrata. Rientra il folle, occupando il centro del palcoscenico.


FOLLE : Avevo sentito da lontano la sua voce che cantava e mi ero avvicinato incuriosito. Anzi, sinceramente, all’inizio, quando la sua voce non mi arrivava in modo chiaro, mi era sembrata più un lamento. Infatti mi ero precipitato qui preoccupato, pensando che qualcuno avesse bisogno di aiuto. (Sorridendo) invece poi mi tranquillizzai perché vidi una donna dall’aria apparentemente tranquilla che cantava. (Rivolgendosi alla donna, che nel frattempo è rimasta immobile, nella posizione iniziale) - Canti perché sei contenta? – Le chiesi un po’ banalmente. Ma lei mi guardò senza rispondermi, con mezzo sorriso e uno sguardo di sfida. (La donna assume l’atteggiamento descritto da lui.) Per un attimo restai sorpreso, cioè prima incuriosito e poi sorpreso, perché lei continuava a guardarmi senza parlare, come se mi studiasse. Superato il primo imbarazzo, anche io feci lo stesso e cominciai a fissarla, studiandola, addirittura girandole intorno, come può fare un cacciatore con la sua preda. (Mentre parla esegue i movimenti descritti. I due si osservano per alcuni istanti, facendo pochi passi, uno intorno all’altra, come se fossero due animali.) Questo giochetto durò per alcuni secondi, fino a quando lei non interruppe quello strano silenzio. (Lei interviene.)

DONNA SOLITARIA : (con mezzo sorriso) Tu sei il folle dell’insegna luminosa?

FOLLE : No. (Indicando Oreà) E’ lei l’insegna luminosa del folle.

DONNA SOL. : (ridendo divertita) Sei proprio folle!

FOLLE : (a sua volta divertito) Modestamente… perché sei qui?

DONNA SOL. : E tu?

FOLLE : Io che c’entro. Sono folle, potrei stare ovunque.

DONNA SOL. : Anch’io sono folle. Posso andare dove voglio. Non sono conosciuta come te, ma dammi tempo e vedrai.

FOLLE : (sorpreso) Come sarebbe a dire che sei folle anche tu?

DONNA SOL. : Certo, è quello che dicono i miei parenti. Lo pensa anche qualche amico. O meglio, ex amico. Il mio ragazzo mi ha lasciata per questo. Basterà ancora il giudizio di un paio di persone, casomai qualcuno d’indiscutibile moralità, e così anch’io riceverò la patente ufficiale di scema del villaggio! (Mette la faccia tra le mani e comincia a piangere.)

FOLLE : (Dispiaciuto, le si avvicina. Poi le parla gentilmente.) Io non ce l’ho la patente… e poi non sono lo scemo del villaggio. Io sono un folle. E’ tutta un’altra cosa.

DONNA SOL. : (asciugandosi le lacrime, con la voce un po’ rotta dal pianto) E che differenza c’è?

FOLLE : (sorridendo) Vedi?... Non sei folle, altrimenti lo avresti già capito.

DONNA SOL. : Ma gli altri dicono che non sono normale. Per questo sono venuta qui. Per conoscerti, per scoprire come sono quelli anormali.

FOLLE : E i normali,invece, li conosci bene?

DONNA SOL. : Mah… si comportano tutti in un modo diverso dal mio. Per questo pensano che io sia anormale.

FOLLE : (pensieroso) Uhm… fai troppa confusione con la tua identità!... Prima dici di essere folle, poi scema e ora anormale. Per me sei solo confusa.

DONNA SOL. : E tu?... Per essere un folle non ragioni troppo?

FOLLE : (sorpreso) Perché, sto ragionando?... Scusa non me ne sono accorto…

DONNA SOL. : (ridendo) Per me non sei folle, sei solo divertente! (Continua a ridere.)

FOLLE : Hai visto?... Prima piangevi e adesso ridi… forse sei sulla buona strada…

DONNA SOL. : Anche a te succede di piangere e ridere insieme?

FOLLE : A volte. Soprattutto quando mi emoziono. E tu ti emozioni spesso?

DONNA SOL. : (evasiva) Non lo so.

FOLLE : Come fai a non saperlo. (Con energia) L’emozione è qualcosa di molto forte, che ti toglie il respiro. Uno se ne accorge.

DONNA SOL. : (brusca) Ti ho detto che non lo so. Almeno… il mio respiro è sempre molto normale. Beh… adesso vado. Ero solo curiosa di conoscerti. Dopotutto…

FOLLE : (interrompendola) Non sono così suonato come speravi, vero?

DONNA SOL. : I miei parenti hanno ragione. Sono più spostata io.

FOLLE : (ironico) Forse sto usurpando una fama che probabilmente spetterebbe a te…

DONNA SOL. : (fa per uscire, poi, colta improvvisamente da un pensiero, si rivolge di nuovo a lui) Ma almeno è vero, come dicono, che hai le visioni?...

FOLLE : (ridendo) Ah dicono così?... Beh… diciamo che…vedo delle cose che gli altri non vedono…

DONNA SOL. : Non ti preoccupare. Succede anche a me dopo un paio di canne! (Ride sguaiatamente ed esce.)

Rimane in scena solo lui che continua a raccontare, accompagnato da un sottofondo musicale.

FOLLE : Pensavo che non sarebbe più tornata, visto com’era andato il nostro primo incontro. D’altronde, forse non le avevo dato le risposte che lei si aspettava. Probabilmente sperava d’incontrare un pazzo scatenato delirante, che urla e si dibatte come un ossesso abbandonandosi a sproloqui di ogni tipo. Invece mi aveva trovato troppo razionale per le sue aspettative. Perciò fu una sorpresa per me quando un giorno la vidi ritornare…

Rientra la ragazza. I due riprendono il dialogo sospeso.

DONNA SOL. : (guardando l’insegna) Cosa vuol dire “Oreà”?

FOLLE : Sei tornata solo per chiedermi questo?

DONNA SOL. : No. Voglio sapere anche a cosa serve un’insegna luminosa in un posto così isolato. Che cosa vuole indicare?

FOLLE : Mah… una volta lo sapevo. Ma chi se lo ricorda. E per te? Cosa potrebbe essere?

DONNA SOL. : (svogliata) Che ne so… qualsiasi cosa…

FOLLE : Sforza la tua fantasia. Forse potresti aiutarmi a ricordare…

DONNA SOL. : (innervosita) Non lo so. Sarà stato un cinema… un supermercato… un bordello… che ne so…

FOLLE : Beh… tutte cose molto utili… ma non mi ricordano niente… (scuotendo la testa) no… proprio no.

DONNA SOL. : (dopo una breve pausa) Ma… io… sì, insomma… potrei vedere le stesse cose che vedi tu?

FOLLE : Senza farti prima un paio di canne, dici?

DONNA SOL. : (sorridendo) Quella era solo una battuta. Sai, a volte mi diverto a fare la stronza.

FOLLE : Beh.. se lo fai solo per divertirti, allora… pensa che c’è chi lo stronzo lo fa fa per mestiere!

DONNA SOL. : (ridendo divertita gli porge la mano) Vogliamo diventare amici?

FOLLE : (sorpreso) Vuoi proprio essere amica di un folle?... Cosa dirà la gente?!

DONNA SOL. : La gente dice già tante cose su di me… una più, una meno…

FOLLE : (stringendole la mano) Va bene, allora amici. Ma non ti garantisco ti farti vedere le cose che vedo io. Anche perché non so quando succedono…

DONNA SOL. : (diventando improvvisamente seria) Tu mi devi solo promettere che non mi giudicherai mai. E’ l’unica cosa che voglio da un nuovo amico.

FOLLE : (sorridendo) Tranquilla. E poi i folli non possono giudicare. Sono sempre loro ad essere giudicati.

DONNA SOL. : Io non lo farò. Non ti giudicherò mai. Non voglio sapere niente di te. Nemmeno il tuo nome. E dammi un pugno in testa se mai ti farò una domanda sul tuo passato!

FOLLE : Non ti preoccupare. Tanto non mi ricordo niente! (I due ridono e si abbracciano. Poi lei esce di scena. Rimane solo lui che, dopo una breve pausa, riprende a raccontare.)
Dopo quel giorno mi venne a trovare altre volte. Non sapevo come si chiamasse né lei conosceva il mio nome. Eppure eravamo diventati grandi amici. Forse proprio perché nessuno dei due sapeva niente dell’altro. Parlavamo di tutto. Soprattutto delle mie visioni, che lei considerava senza dubbio autentiche, anche se si rammaricava di non essere mai presente al momento giusto. (Ripensandoci) Mah… chissà se poi ci aveva mai creduto veramente!... Anche perché una volta mi disse che, a parte quelle, per il resto non le sembravo completamente folle. E su questo sinceramente ci vedevo una certa contraddizione. (Sorride) La contraddizione era tipica del suo carattere. Ma non m’importava, perché la cosa più bella era che lei qui rideva sempre. Invece altrove, nella sua realtà, non lo faceva mai. Anzi, mi diceva che si comportava in modo sgarbato con tutti. Spesso faceva l’isterica per spaventare la gente. Me lo diceva ridendo. Già… qui si divertiva anche parlando di quelle cose che nella sua vita la facevano soffrire. Riusciva a cambiare completamente la sua natura e per questo non vedeva l’ora di venirci. Anch’io l’aspettavo molto volentieri. (Pausa) Quando se ne andava mi cantava sempre qualcosa e poi, rivolgendosi all’insegna luminosa, la salutava con un “Ciao Oreà, ci rivediamo!” (Sorride) come se salutasse una persona. (Con tristezza, mentre parte una musica di sottofondo.) Per questo non riesco ancora a spiegarmi la sua scomparsa. L’ultimo giorno che ci vedemmo salutò nello stesso modo: con una canzone e con un “Ciao Oreà, ci rivediamo!”… (Sempre più triste) anche per un folle come me “ci rivediamo” ha un significato importante. Soprattutto se a dirselo sono due veri amici, no?... Gli amici non dovrebbero mai dirselo come fanno gli estranei. (Pausa) Ho sempre sperato che fosse scomparsa perché lo aveva deciso solo lei. “Ormai sta bene – mi dicevo per consolarmi – forse non ha più bisogno di un amico come me”. A volte però, quando mi sento meno ottimista, mi vengono dei pensieri più brutti… negativi. Ho paura che possa esserle successo qualcosa di grave… temo che qualcuno le abbia fatto del male o… che le impedisca di venire qui… o che addirittura sia… (la voce è interrotta da un groppo alla gola.) Allora guardo Oreà, senza dire niente. Sembra che lei mi capisca, perché subito mi rincuora. (Contento) infatti dopo qualche istante vedo la mia amica solitaria che mi appare sotto l’insegna luminosa. (Si vede apparire la Donna solitaria sotto l’insegna.) Poi la sento cantare una canzone sull’amicizia. E’ una canzone che lei mi cantava spesso, perché mi piaceva molto. (Pausa) Oreà ed io sappiamo che tutte le volte che ne sento il bisogno questo può succedere veramente. Allora non ha senso abbandonarsi a brutti pensieri, perché sono loro che ci fanno pensare alle cose che non esistono. Ed io so che esiste solo ciò che io posso vedere.


S’interrompe il sottofondo musicale. Inizia un’altra musica e la Donna solitaria, sotto Oreà, canta la sua canzone sull’amicizia. Alla fine della canzone sparisce.


SETTIMA SCENA



Entra un uomo elegante. Dall’aspetto sembra una persona importante. Ha con sé una ventiquattrore, tipica dell’uomo d’affari. Gira intorno, come se cercasse qualcosa. Scruta nella zona sotto l’insegna, poi scorgendo il Folle si rivolge a lui con una certa decisione.


UOMO D’AFFARI : (al Folle) Mi scusi, sa dove si trova il bar?

FOLLE : (stupito) Quale bar?

UOMO D’AF. : (indicando Oreà) Non è l’insegna di un bar quella?... Si è scaricata la batteria del mio cellulare (mostra il cellulare) e devo fare una telefonata molto urgente. A proposito, sa se nel bar c’è un telefono?

FOLLE : Quella non è l’insegna di un bar.

UOMO D’AF. : (sorpreso) A no?... Strano, sembrava proprio. Allora cos’è?... Forse un ristorante?... Una rosticceria?... Per me va bene lo stesso, basta che ci sia un telefono. (Si muove nervosamente, guardando in continuazione l’orologio.) Mamma mia, com’è tardi!... Per favore mi dica dov’è questo… questo… insomma dove posso telefonare? E’ urgente! (Continua a muoversi molto agitato.)

FOLLE : (mostrando una calma serafica) Non si agiti troppo. Non serve, perché qui non c’è niente. Quell’insegna è isolata.

UOMO D’AF. : (ride nervosamente) Come? Non c’è niente?!... E cosa ci fa qui quell’insegna con quel nome incomprensibile?

FOLLE : (molto tranquillo) Esiste e basta.

UOMO D’AF. : Esiste e basta?!... (Senza dare peso alle parole dell’altro, guarda un’altra volta l’orologio e poi gli si rivolge di nuovo, sempre più nervoso) senta, non ha un cellulare lei?... Mi faccia fare una telefonata, la prego!... Naturalmente gliela pago. Gliela pago più di quello che costa. Mi dica lei quanto. (Quasi implorando) mi faccia telefonare, la prego!

FOLLE : Mi dispiace, ma non ho un cellulare.
UOMO D’AF. : (sconvolto) Come non ha un cellulare?!... Tutti hanno un cellulare!

FOLLE : (con falso stupore) Davvero?!... Beh io no.

UOMO D’AF. : (con irruenza) Ma lei è un primitivo!

FOLLE : (sempre con calma) Dice?

UOMO D’AF. : (riprendendosi) Mi scusi… mi scusi… di solito non sono così aggressivo… mi scusi…

FOLLE : Non si preoccupi. Forse ha detto solo quello che pensa.

UOMO D’AF. : Io non dico mai quello che penso! (A disagio) no… cioè… non capisco quello che mi succede… non riesco più a controllare le mie parole…

FOLLE : (divertito) Magnifico! Continui!... Mi dica: perché vuole telefonare?

UOMO D’AF. : (quasi precipitando le parole) Devo avvertire subito mia moglie che non posso rientrare a casa, perché ho un imprevisto pranzo d’affari.

FOLLE : (dubbioso) E’ vero?

UOMO D’AF. : (parlando sempre velocemente) Certo che no! Mi sono appena rimorchiato la donna di un mio collega e me la devo portare in un Motel!... (Spaventato dalla sua precipitosità) Oddio, che sto dicendo?!... Non mi creda!... (Sconvolto) ma… ma chi è lei?... Cosa vuole da me?... Perché mi fa queste domande?... (In crescendo) Perché non riesco a mentirle?...

FOLLE : (sempre più divertito) Io veramente le ho chiesto solo il motivo della telefonata. Poteva inventarsi una scusa, una balla… anzi, c’era quasi riuscito. (Incuriosito) e poi cos’è successo?

UOMO D’AF. : (perplesso) Non capisco. Mi è scappata la verità.

FOLLE : (eccitato) Stupendo! Allora… qualsiasi cosa io le chieda lei mi risponde la verità?!... Vediamo… vediamo…

UOMO D’AF. : (spaventato) Non ci provi a chiedermi altro, sa!

FOLLE : (velocemente) Le paga tutte le tasse?

UOMO D’AF. : (altrettanto velocemente) Ma che sono scemo! Non ne dichiaro nemmeno la metà!... (Cercando di recuperare disperatamente) Oddio, cosa sto dicendo?!... Per favore, non mi creda… e la smetta con queste domande!!

FOLLE : (incalzandolo sempre di più) Vediamo… vediamo… Ha mai rubato?


UOMO D’AF. : (sempre precipitosamente) E come crede che me la sono comprata la macchina nuova?... (Cercando di recuperare, come prima) no, non è vero!!... Cioè, sì, è verissimo… (in piena confusione) cioè non è vero che è verissimo!... (Disperato) Oddio, aiuto!!

FOLLE : (implacabile) Interessante. Che lavoro fa?

UOMO D’AF. : (non riuscendo proprio a frenarsi) Sono il sottosegretario di un politico molto importante. Curo le sue pubbliche relazioni…

FOLLE : Uhm, sempre più interessante. E… i soldi… diciamo… in più… li tira fuori dal suo lavoro?

UOMO D’AF. : (con uno scatto di rabbia) Questo non lo dirò mai!

FOLLE : No?

UOMO D’AF. : (cedendo subito) Intasco qualche mazzetta destinata al politico. Sono talmente tante che lui nemmeno se ne accorge. (Piangendo) oh no… questo proprio non lo volevo dire!...

FOLLE : Scommetto che è lei che scrive i discorsi che il politico legge ai comizi. Mi sembra che abbia la stoffa adatta.

UOMO D’AF. : (sempre piangendo, parla rassegnato) No, non li scrivo io… sì, invece, li scrivo io… (singhiozzando) mi chiamano il “bugiere” del parlamento…

FOLLE : (sorpreso) Non il “bugiardo”?

UOMO D’AF. . (sempre singhiozzando) No, no… il “bugiere”, perché dicono che sono un professionista delle bugie… le bugie sono il mio mestiere… (riprendendosi per un istante) è un gioco di parole, capisce?

FOLLE : (sorridendo fintamente) Ah ah, carino! Molto carino. E non le dà fastidio che la chiamano così?

UOMO D’AF. : Certo che mi dà fastidio, ma che ci posso fare?! E’ vero. (Arrabbiandosi) ma adesso basta domande! (Urlando) mi hai rotto i coglioni!... Oh, mi scusi… mi scusi… non sono mai volgare… mi scusi… non capisco proprio cosa mi succeda…

FOLLE : (minimizzando) Non si preoccupi… è il rischio della sincerità.

UOMO D’AF. : Non so cosa mi sia successo oggi, in questo posto maledetto. E’ assurdo. Uno si mette a cercare un posto per telefonare e… e improvvisamente si mette a raccontare tutta la verità ad uno sconosciuto… un folle incontrato per caso…

FOLLE : Folle?... Bravo, allora ha capito chi sono?!
UOMO D’AF. : Mi scusi… non volevo… cioè, invece sì. Forse intendevo dire che lei è un povero idiota… cioè, mi scusi…

FOLLE : (infastidito) Beh… non è necessario che insista proprio adesso. Qualcosa se lo può tenere anche per la prossima volta…

UOMO D’AF. : (sconsolato) Ora devo proprio andare. Ho almeno una decina di persone da mandare a fanculo!... Cioè, volevo dire al diavolo… no, no, intendevo proprio a fan…

FOLLE : (interrompendolo) Va bene, va bene… ha reso l’idea. Faccia pure con calma.

UOMO D’AF. : (esce, parlando tra sé) Devo assolutamente dire all’onorevole cosa penso della sua politica di merda…

FOLLE : (mentre l’altro sta uscendo) Beh… prima io ci rifletterei un po’ su… si tratta pur sempre del suo lavoro…

VOCE FUORI CAMPO DELL’UOMO D’AFFARI : Vaffanculo!!... Oh, mi scusi…

FOLLE : Grazie per la sincerità. (Ride. Poi comincia a raccontare) Quel giorno riuscì finalmente a telefonare alla moglie per comunicarle l’indirizzo del Motel dove si sarebbe incontrato da lì a poco con l’amante. In seguito il politico perse la sua carica nel partito, per aver letto, durante un comizio, un discorso in cui denunciava tutte le sue malefatte e quelle del suo partito. Mazzette comprese. Inutile precisare chi avesse scritto quel discorso. Mah… forse quella volta il politico avrebbe fatto bene a controllare il discorso prima di leggerlo. Per finire il “bugiere” quell’anno fece una denuncia dei redditi talmente difforme da tutte quelle fatte negli anni precedenti, da insospettire naturalmente l’ufficio delle tasse. Fu fatto un attento controllo sui suoi guadagni negli ultimi anni e… ora in carcere lo chiamano “la bocca della verità”. Pare che al processo abbia detto proprio tutto: anche che al liceo copiava i compiti di latino pagando un compagno secchione squattrinato. Cosa che, comunque, ha fatto una buonissima impressione nel giudice. Certo, in carcere vige la legge dell’omertà e per lui non è facile la comunicazione con gli altri detenuti, ma sperando in un po’ d’indulgenza da parte della giustizia… potrebbe uscire prima.


Rientra L’UOMO D’AFFARI “bugiere” e comincia a cantare una canzone satirica sulla libertà di parola. Alla fine della canzone esce.


OTTAVA SCENA


FOLLE : (comincia a raccontare un’altra storia) Amavano la danza i due giovani ballerini. Lui amava la danza come sé stesso. Lei amava la danza come sé stessa. Lui amava lei perché lei amava la danza e lei amava lui perché lui amava la danza. Ballavano i due ballerini. E mentre ballavano si amavano. E mentre si amavano ballavano. Il loro amore dava energia alla loro danza e la danza dava vita al loro amore. (Con commozione) Era bellissimo stare a guardarli mentre vibravano nell’aria, eseguendo freneticamente i loro passi. Sollevavano in ogni direzione le braccia come due gabbiani leggeri (mima ciò che dice) liberi, pieni di vitalità… (si mette in disparte ad osservare).

Entrano in scena un ballerino ed una ballerina che eseguono con grande entusiasmo un balletto su un collage di brani musicali con ritmi diversi. Alla fine della musica si abbracciano felici ed escono.


FOLLE : (torna in una posizione centrale e riprende il racconto.) Ballavano con gioia i due giovani ballerini. Perché la danza era la loro vita e la vita gli dava gioia. E per loro la gioia era ballare. Si amavano perché potevano ballare insieme. Ballare insieme era più bello. E la danza era bella perché la potevano fare insieme… insieme… (musica malinconica di sottofondo) già insieme… (pausa) li trovarono abbracciati insieme… stesi in terra… sotto le luci di Oreà… immobili… senza più energia… pietrificati, senza più gioia… (guardando l’insegna con un sorriso amaro) sotto le luci di Oreà… senza più vita… perché qualcuno aveva deciso di togliere loro la vita. Era bastato premere un grilletto… due colpi… ed era finito tutto. (Pausa) perché?... E’ passato tanto tempo e tutti si chiedono ancora “perché”?. Hanno detto tante cose brutte su di loro. Nessuno accetta la morte così, senza una spiegazione logica. Già, la solita implacabile logica. Forse spacciavano droga. (Con ironia) Si sa, la gente dello spettacolo… forse… forse un maniaco… forse… forse…(si fa serio) forse qualcuno non sopportava la loro vitalità. Sembra assurdo ma a qualcuno la vitalità degli altri dà fastidio. (Con tono paradossale) troppo rumorosa. Disturba il sonno dei “morti viventi”. (Con sguardo stralunato) e i “morti viventi” vogliono il silenzio intorno a loro. Non amano il movimento, l’energia. Amano la… staticità!... Perché è nella staticità che le cose rimangono come sono… e così non si rischiano le sorprese, gli imprevisti… i cambiamenti, che fanno tanto male alla salute mentale, all’equilibrio dei “normali.” (Ride con un scoppio improvviso. Poi riprende a parlare con lo sguardo sempre più da folle e con una voce tenebrosa.) Sono i “morti viventi” che hanno mandato un loro sicario per spegnere quelle due vite così rumorose, così fastidiose. Ma quell’idiota ha commesso un gravissimo errore: (ride divertito) li ha uccisi proprio sotto Oreà! (Continua a ridere) Ma sotto Oreà non si muore, è impossibile!... Oreà non conosce la morte. (In modo esaltato) Oreà non permette la morte!... E così… tutte le notti… i due giovani ballerini ritornano. Proprio qui, (indicando l’insegna) sotto quelle luci e… (contento) ballano, ballano, ballano…. e si amano, si amano, si amano… (esegue goffamente dei passi di danza improvvisati.) E ballano… ballano… e si amano… ballano e si amano… perché loro sono i “viventi morti” e balleranno per l’eternità!... (Gridando) Alla faccia dei “morti viventi”! (Esce di corsa.)

Appaiono i due ballerini che, seguendo una musica celestiale, eseguono un passo a due. La scena è buia. C’è soltanto una luce fosforescente che illumina la danza dei due, mettendo in evidenza solo i loro vestiti bianchi, come fossero due autentici fantasmi. Alla fine del balletto i due ballerini spariscono e rientra il Folle, mentre la stessa musica continua in sottofondo.

FOLLE : La gente mi chiama “il folle dell’insegna luminosa” perché racconto di vedere cose che gli altri non vedono. I medici dicono che le cose che vedo esistono solo nella mia mente. Qualcuno ha proposto anche di togliere quell’insegna, nella speranza che io possa guarire. Ma nessuno ancora l’ha fatto, né lo farà mai. E sapete perché?… Perché hanno paura. (Ride) hanno paura di commettere un sacrilegio!... E se dopo avere tolto Oreà, il giorno dopo la ritrovassero al suo posto, con la sua luce più intensa e più viva di prima? Sai che colpo! (Ride) che terremoto per la logica!... Meglio allora lasciare le cose come stanno. Il rischio è minimo perché, come dicono loro, in fondo, non sono pericoloso. Basta non ascoltarmi. (Ride ancora. Fa per uscire, ma poi si volta di nuovo, rivolgendosi al pubblico.) E voi?... Anche voi pensate che le cose che io vedo qui non esistano?... Oreà per voi è solo un’insegna luminosa incomprensibile?... Attenzione, perché se ciò che ho visto succedere qui l’avete visto anche voi, allora siete folli quanto me. Oppure nessuno di noi è folle e sono folli gli altri. quelli che non ci credono. La maggioranza. (Pensandoci) la maggioranza è folle!... (Ancora più riflessivo) la maggioranza è follo e io no!... Io e voi , no!... Oppure qualcuno di voi ha visto e qualcuno no. Allora, a questo punto la situazione si complica, perché vuol dire che… qualcuno è folle e qualcuno no. Ma chi è folle di voi?... Chi ha visto o… chi non ha visto?... (Esce pensieroso.)


NONA ED ULTIMA SCENA


Si blocca la musica. Rientrano il ragazzo e la ragazza della prima scena.


RAGAZZA : (ridendo, con tono ironico) Sì, sì, anche tu parli, parli, ma se poi non hai l’intimità di un comodo lettino…

RAGAZZO : (a disagio) Che c’entra. Guarda che prima di te, con le altre, l’ho fatto ovunque!... Non hai idea in quali posti assurdi io l’abbia fatto!...

RAGAZZA : (scocciata) Ah… Quindi il problema sarei io?... Ma perché non la pianti di fare il fanatico?!... Io, al buio e lontano da ogni sguardo indiscreto, ero tranquillissima!

RAGAZZO : Troppo buio. Questo è il problema. Quando non si vede niente è più preoccupante di quando si vede qualcosa. Qui invece, con quella luce…

RAGAZZA : Insisti?!... Qui non voglio, te l’ho già detto!... (Guardando Oreà) questa insegna m’inquieta. Non sappiamo nemmeno che senso abbia.

RAGAZZO : (spazientito) Uffa!... E’ possibile che tu debba cercare il senso in tutto?!... Per me è solo una luce. E… per quello che dobbiamo fare.. ci basta.

RAGAZZA : (delusa) Mi stai trattando come una puttana! Hai la delicatezza di un bisonte!... Non mi va più. Stasera non se ne fa niente. (Esce nervosamente.)

RAGAZZO : Aspetta!... (Gridando in direzione dell’uscita di lei) scherzavo!... Non volevo mancarti di rispetto… aspettami!! (Fa per seguirla. Poi si ferma un attimo a guardare l’insegna. Musica di sottofondo.) Oreà!... Secondo me qualche sfigato invidioso ti ha messo qui per mandare in bianco la gente!... (Rabbioso) spero che qualcuno prima o poi ti distrugga!! (Esce anche lui nervosamente.)

La scena rimane vuota. L’insegna Oreà si accende e si spegne due o tre volte a intermittenza, come se avesse accusato il colpo. Poi, mentre la musica sale, si spegne completamente. (BUIO).

FINE