PARLEZ-MOI D’AMOUR

Tre atti di

Angelo Orlando



Ad Herman e a Giancarlo
al loro respiro, al loro sogno.




PERSONAGGI

LA MOGLIE DEL CAPITANO. Una donna sui trent’anni.
IL NOSTROMO. Un uomo sui cinquant’anni: ELIPHAS, d’origine francese.
IL RAMPONIERE. Un uomo intorno ai trenta, quarant’anni, O’RYAN, irlandese.
IL MOZZO. Ragazzo grasso, sulla ventina: DIMITRI, greco.
PRIMO MARINAIO. Un uomo sui quaranta, quarantacinque ma con la faccia da ragazzino. TONY, origini italiane. Accento romano.
SECONDO MARINAIO. Un uomo anche sui quarant’anni: si chiama JONAH. Dice di essere di San Francisco.

 

LA SCENA

Quattro ambienti e l’idea di una nave: una vecchia baleniera.

IL PONTE: funi issate, una scaletta a pioli, corde tese e una gran vela spiegata che ogni tanto ondeggia come se fosse accarezzata da una lieve brezza. Sullo sfondo le luci descrivono il giorno, l’alba, il tramonto, l’imbrunire e la notte.

SOTTO COPERTA: una cabina cuccetta che descrive uno degli alloggi dei marinai con due brandine a castello e un oblò.

LA CABINA DEL CAPITANO: una brandina e un tavolo di legno pieno di fogli e mappe, su cui pende un candelabro acceso che ogni tanto oscilla e descrive tenebre e luce in uguale misura.

STANZA DI SUA MOGLIE: un bel letto ad una piazza e mezza proprio a ridosso di una parete con un oblò da cui arriva la luce dell’esterno.




PRIMO ATTO

Una musica, una canzone francese dei primi del novecento. S’intitola “Parlez-moi d’amour”. Il fruscio del grammofono e il rumore del mare, lieve sciabordio che accompagna l’apertura sipario.

Sul PONTE di poppa, lo sfondo di una notte stellata e JONAH e TONY che stanno immobili, con lo sguardo fisso, verso un punto lontano del loro orizzonte immaginario. Hanno entrambi in mano una pipa che sembra spenta ma che ogni tanto, portano alla bocca. Sono vestiti con indumenti abbastanza simili: pantaloni larghi, Tony, il più giovane, ha un fazzoletto che gli ricopre la testa. Presumibilmente è calvo. Jonah è completamente rasato, ha le orecchie tempestate di orecchini.

Più giù, una scaletta porta alla ZONA ALLOGGI dell’EQUIPAGGIO che è immersa nel buio. Si scorgono però, le ombre di due uomini che dormono nelle loro brandine, avvolti dalle coperte.

Nella STANZA della SIGNORA, una fiammella va accendere un candelabro d’argento, posto su un comodino di legno. La luce rischiara l’ambiente. La SIGNORA è in vestaglia; si siede sul letto, portandosi le ginocchia al viso. È scalza e i piedi sporgono dal letto. Dietro di lei, la figura di un uomo che sta dormendo. La signora si alza, si sfila la vestaglia rimanendo nuda per qualche istante e lentamente, comincia a vestirsi.

Sul PONTE, i due marinai cominciano il loro dialogo.


TONY: Sembra quasi d’essere sulla terraferma.

JONAH: Mi manca Marsiglia, ma più d’ogni cosa, mi manca San Francisco.

TONY: Terraferma. Non c’è un alito di vento.

JONAH: Caro vecchio Fisherman’s Wharf.

TONY: Anche il mare. Se lo guardi adesso… il mare non sembra neanche mare. È terra. Una lunga e tranquilla distesa di terra. Un deserto…

JONAH: … e l’Embarcadero… avevo un amico lì.

TONY: Un deserto d’acqua.

Pausa

JONAH: Tra qualche istante uscirà. È quasi ora.

TONY: Ieri notte però, non è uscita.

JONAH: Come fai a dire che non è uscita? Sì che è uscita… me la ricordo.



TONY: Ricordi che?

JONAH: Che è uscita! Ieri notte, più o meno a quest’ora, come tutte le notti!

TONY: Jonah!

JONAH: Lei lo sa. Lo sa che stiamo qua a guardarla. Lo sa, ma fa finta di niente. Deve avere un seno stupendo. Da quanto tempo non vedo il seno di una donna? Te lo ricordi com’è fatto il seno di una donna?

TONY: Jonah.

JONAH: Sai che penso?

TONY: Jonah, ascoltami. Un attimo.


Pausa.


TONY: Non noti nulla di strano?

JONAH: No. Io vorrei solo vederle il seno. Un secondo solo. Tony, ho un’idea. Chiediamo agli altri se sono d’accordo. La mettiamo ai voti.

TONY: Aspetta.

JONAH: Aspetta tu. Io dico di fare una petizione. Andiamo dal capitano e gli diciamo che vogliamo vedere il seno di sua moglie. Come ti sembra l’idea?

TONY: Sta succedendo qualcosa.

JONAH: Ce la porta qui. Le fa scoprire il seno per due minuti… troppi? Un minuto. Sessanta secondi a seno nudo. Noi ce la guardiamo per un minuto e stiamo tranquilli per il resto del viaggio. Come ti pare?

TONY: Non ci stai con la testa. Secondo te il capitano ci fa vedere così come se niente fosse, le tette di sua moglie?

JONAH: Che c’è di male? È per il morale di tutti. Da quando siamo partiti non s’è vista una balena. Neanche una non è normale. Neanche in volo si vedono. Bisogna sollevare il morale al più presto… ecco perché dobbiamo vedere almeno un seno di donna.

TONY: Tu non stai bene.


JONAH: Il capitano lo sa che l’umore di tutti sta peggiorando a vista d’occhio. Vedrai che non ci dirà di no!

TONY: Stai scherzando? Sto cercando di farti ragionare su qualcosa che non mi fa dormire la notte e tu pensi alle tette di quella pazza? Lo sai benissimo che è pazza.

JONAH: No, no.

TONY: Pazza, Jonah… pazza. Non è normale una che se ne sta sempre chiusa in cabina ed esce solo di notte a cantare da sola.

JONAH: Che voce!

TONY: Che voce?

JONAH: Dico… che voce… che voce melodiosa!

TONY: È una lagna! Un lamento fastidioso… non si capisce che suoni emette… è pazza! Tu vuoi vedere le tette di una pazza?

JONAH: E anche se fosse? Mi scoraggio perché è pazza? E poi non è pazza. Ascoltami bene! Non era nei patti star fuori così a lungo. Io dico che… qui ci sono rimaste poche briciole d’immaginazione e anche le ultime stanno per finire. Noi ci facciamo un bel ripasso di memoria. Ci ricordiamo di com’è fatto il seno di una donna e poi riprendiamo a lavorare più sereni e più fiduciosi.


Contemporaneamente, durante le parole di JONAH, nella sua cabina, la SIGNORA s’è vestita e ha indossato un abito bianco da sposa. Prende il candelabro con la candela accesa.


TONY: Ma smettila!

JONAH: Fa come vuoi. Io domani ne parlo ai ragazzi.


La SIGNORA fa qualche passo in direzione opposta a quella del letto. Una mano esce dalle lenzuola e la blocca, afferrandole un braccio. Un breve ma intenso soffio di vento La fiamma si spegne.

.


JONAH: Hai sentito?

TONY: Cosa?

JONAH: Un suono.


TONY: Io sono sicuro. Sicuro che ieri notte non è uscita!

JONAH: Ancora? Come fai a dire che… se vuoi andare a dormire vai. Nessuno ti obbliga. Questo è il mio turno. Nessuno ti obbliga a restare. È una notte tranquilla, come tutte le notti. L’unica cosa interessante è lei che sta per uscire. Io voglio vederla.

TONY: Anche ieri notte…. abbiamo parlato di questo. Jonah… anche ieri notte, mentre aspettavamo che lei uscisse, tu mi hai detto la stessa cosa. Abbiamo fatto lo stesso discorso.

JONAH: Probabile.

TONY: Non probabile. Certo! Stavamo qui e parlavamo di lei.

JONAH: Certo… è possibile… parliamo sempre di lei.

TONY: No, no… ascoltami bene… stavamo qui, ieri notte e parlavamo di lei e abbiamo avuto una discussione. La stessa di adesso, identica e precisa. Io ti dicevo che lei no, non era uscita e tu insistevi sul fatto che era uscita… e così è successo anche due notti fa e forse anche tre notti fa. Jonah… Lei non è mai uscita!

JONAH: Ma che dici?

TONY: Mai, mai uscita.

JONAH: E perché io me la ricordo?

TONY: Perché ne abbiamo parlato….. troppo.

JONAH: Ma no, io me la ricordo perché l’ho vista. E l’hai vista anche tu. Ti ricordi? Il vestito bianco, da sposa, la sua voce… che voce…

TONY: Lo hai detto tu. Parliamo sempre di lei. A furia di parlare di lei, ci siamo convinti di una cosa che non è mai accaduta. Lei non è mai uscita. Noi non l’abbiamo mai vista.

JONAH: Ma io l’ho vista. L’ho sentita cantare e anche tu l’hai sentita cantare. Lo hai detto prima.

TONY: È questo il punto. Se io ti seguo, cioè… nei discorsi che fai, io mi convinco che l’ho vista e che l’ho sentita cantare anch’io, ma non è così. Non è mai uscita. Per dirla proprio tutta, io penso che…

JONAH: Che?

TONY: Non c’è. Lei non esiste. Penso che sia una specie di favola. Una storia che abbiamo inventato un po’ di tempo fa, per passare il tempo, solo che… (nervoso) non mi ricordo se me l’ha raccontata qualcuno o se l’ho letta da qualche parte… su un libro o su un giornaletto.



JONAH: Calmati Tony.

TONY: Sono calmissimo.

JONAH: No, non lo sei. Ti sei agitato.

TONY: Ti sembra… scusami Jonah… ma non ti sembra che noi siamo un po’ come le onde del mare che si ripetono?

JONAH: In che senso?

TONY. Nel senso che… cioè, tu non hai la sensazione che le cose che dici o che senti da me, le hai già ascoltate o le hai già dette?

JONAH (pensieroso): No. Non credo, forse un po’… un po’ ripetitivi lo siamo, sì.

TONY: San Francisco dicevi?

JONAH: San Francisco… e il vecchio Fisherman’s Wharf. Che quartiere quello! Avevo un amico lì. No, lui stava vicino l’Embarcadero. Andavamo sempre in un locale. Si chiamava la Taverna di Johanna. Ti ricordi Susi? Era la proprietaria, no, si chiamava Gloria… e Sochito, la giapponesina sempre in calore… le sue mani… i suoi piedini… te la ricordi Sochito, Tony?

TONY: E come potrei dimenticarla!

JONAH: Davvero te la ricordi?

TONY: E come potrei dimenticarla!

JONAH: L’ultima volta che ho fatto l’amore con lei, Tony… non so quanto tempo fa… nella sua stanza… la televisione accesa, c’erano degli incontri di box tailandese… e il rumore dell’acqua calda che scorreva. Lei mi prese per mano e mi fece entrare nella schiuma, poi entrò anche lei e cominciò a massaggiarmi col suo corpo. Mi sciacquò per bene, mi portò a letto e cominciò a cospargermi d’olio di mandorle. Sochito… all’improvviso mi accorsi che ero dentro di lei, hai capito Tony? Dentro di lei e non me ne ero neanche accorto… allora pensai: Sochito, no… non ho messo neanche il preservativo… con quanti uomini sei stata in mia assenza? Sarai piena di chissà quali malattie. Fu solo un attimo però… mi dissi: ma chi se ne frega! È bello morire così! Attaccami pure uno stafilococco malefico. Un vibrione velenoso. Io voglio morire così! Allora la girai, senza uscire da lei… lei appoggiò una guancia al cuscino e la schiena formò uno scivolo delizioso. Cominciai a darle delle grandi botte da dietro e ad un tratto… indovina che…

TONY: Ti accorgesti che avevi il preservativo.

JONAH: Bravo, Tony… avevo il preservativo… me lo aveva messo lei e non me ne ero accorto. Come fai a saperlo?


TONY: Me l’avevi già raccontata questa cosa.

JONAH: Ah, sì? Sai, io… io è da un po’ che ci penso. Io non riesco a ricordarmi la faccia di Sochito. Tony…

TONY: Sì?

JONAH: Tu hai mai fatto l’amore con Sochito?

TONY: Beh… Sochito… proprio con lei… lei in persona no, però… devo averlo fatto con qualcuna che me la ricorda parecchio.

JONAH: Comunque te la ricordi, no?

TONY: Certo che me la ricordo!

JONAH: Mi dici com’era? Ricordamela. Aiutami, ti prego, aiutami a ricordarla.

TONY: Sì, allora… Sochito era… era… mi sembra giapponese.

JONAH: Netto! Giapponese quello me lo ricordo! Dimmi gli occhi. Com’era il suo sguardo?

TONY: Sguardo… aveva uno sguardo… orientale, ecco…

JONAH: Bravo. Proprio così.

TONY: Uno sguardo che ti annientava.

JONAH: Netto! Ti annientava. Completamente d’accordo.

TONY: E una bocca…

JONAH: La bocca. La bocca me la ricordo. La bocca era piccola!

TONY: Piccola. Bravo!

JONAH: Piccolissima!

TONY: Una miniatura! Una bocca che quasi non si vedeva! La prima volta che ho visto Sochito, ho pensato: povera infelice. Non ha la bocca!

JONAH: Hai pensato chissà come farà a mangiare?

TONY: Ma no, ho pensato…


JONAH: So cosa hai pensato! L’ho pensato anch’io la prima volta. La pelle. Parlami della sua pelle!

TONY: Bianca!

JONAH: Bianca! Lo sapevo. L’ho sempre saputo!

TONY: Bianchissima, come la neve… e lei era come la neve e quando la toccavi la prima volta, dopo tanto tempo passato a sognarla, il primo contatto era bruciante.

JONAH: Sì, sì, sì… me la ricordo benissimo questa sensazione.

TONY: …devastante, così lacerante il primo contatto con Sochito che… che…

JONAH: Dimmi. Dimmi per dio.


Pausa.


TONY: Jonah, non so come dirtelo. Io… (con dolore) non ti arrabbiare… Non è vero. Io non credo di ricordarmela Sochito.

JONAH: Che significa che non credi di ricordartela? Perché mi hai detto che…

TONY: Ma che ne so? Perché… per parlare… per dire qualcosa… stiamo qui, sul ponte, mentre tutti dormono ad aspettare che esca un fantasma! Mi parli di San Francisco, di Sochito ed io che devo fare secondo te?

JONAH: Sochito! Pensaci bene. San Francisco. Sochito, la giapponese della Taverna di Johanna. Te la devi ricordare per forza. Di che quartiere sei?

TONY: Quartiere?

JONAH: Sì, di che quartiere sei?

TONY: Jonah… Tranquillo? Sei tranquillo? Lo so, sto per darti una grande delusione, ma devo dirtelo. Non si può continuare così. Io non sono di San Francisco.



JONAH: No? E perché mi hi detto che sei di San Francisco?

TONY: E questo è il punto. Io non l’ho mai detto.





JONAH: E perché io ricordo che tu me l’hai detto?

TONY: Perché lo hai dato per scontato!

JONAH: Ma tu…

TONY: E l’ho dato per scontato anche io! Vale a dire… ti ho sempre visto così sicuro sul fatto che io fossi di San Francisco che qualche volta l’ho pensato anche io.

JONAH: E di dove sei allora?

TONY: Io…

JONAH: Di dove sei, Tony? Dove sei nato?


In quell’istante, si sente un un LUNGO LAMENTO che si trasforma in un GRIDO RAGGELANTE.


VOCE ELIPHAS: TI AMOOOOOOOO!


I due marinai si guardano, poi si voltano verso il punto da cui è provenuto il grido.


TONY: Cos’era?

JONAH: Qualcuno ha gridato.

TONY: Un grido, sì.

JONAH: Mi sembrava provenisse dalla cabina del capitano.

TONY: Non credo sai? Mi sembrava più… oppure… aspetta, mi sembra che sia già… non so, ma qualcuno mi ha detto che il capitano ha gli incubi.

JONAH: Incubi! Incubi netti! Dovuti senz’altro all’aria che respira lì dentro, sempre chiuso in quella trappola di stanza.

TONY: Jonah…


Il grido si ripete, questa volta in modo più intenso e più chiaro.



VOCE ELIPHAS: TI AMOOOOOOOO!

TONY: Di nuovo…

JONAH: Qualcuno che ha gli incubi.

TONY: Jonah … ma perché il capitano non esce mai? Io non mi ricordo più che faccia ha. E se fosse morto?

JONAH: Chi il capitano? Non credo. Morto dici? Chissà… forse potrebbe anche… probabilmente sì! È morto!

TONY: Eh…..

JONAH: Eliphas. Lui lo sa perché lo vede ogni giorno.

TONY: E se….

JONAH: Aspetta! Ma qualcuno sta piangendo!?


Pausa.


TONY: Io non sento niente.

JONAH: Adesso non lo sento più, ma prima era chiaro. Un lamento. C’era qualcuno che stava singhiozzando a dirotto.

TONY: Hai mai sentito parlare del canto delle sirene? Tu hai mai visto una sirena, Jonah?

JONAH: Ci puoi giurare. Viste e straviste! Con questi occhi, come ora vedo te. Prima o poi te lo racconterò. Ti racconterò in che modo e quando ebbi l’occasione di vedere…

TONY: Sei stato fortunato a vederne una. Non so che darei per vederne una.

JONAH: Stavo qui, proprio dove siamo tu… (si ferma. Resta un secondo a fissare l’amico in silenzio) Come sai che ne ho visto una?

TONY: Me lo hai detto tu?

JONAH: Ma io non ti ho detto che ne avevo vista solo una. Ti avevo solo detto che avevo visto le sirene. Avrei potuto vederne più di una no?



TONY: Jonah, allora… quante sirene hai visto?

JONAH: Una!

TONY: E allora che vuoi da me? (ride)

JONAH: Come facevi a saperlo?

TONY: Non lo so. Lo sapevo. Ti ho già detto che ho la sensazione che tutto quello che diciamo e facciamo su questa nave lo abbiamo già detto e fatto?

JONAH: No! Forse… cioè, credo di sì.

Tony continua a ridere sempre più forte

Nella ZONA DEGLI ALLOGGI DEI MARINAI, una lanterna accesa appare nel buio. Il volto di ELIPHAS il nostromo, s’illumina dal basso.


ELIPHAS: Sveglia! Sveglia! Branco di lavativi. Sveglia! È ora di alzarsi e di muovere il culo! Dimitri, il caffè al capitano e poi subito di vedetta! O’Ryan, lucidare i ramponi, Ricci e Clark mi sentite in coperta? Voglio vedere il ponte tirato e lustrato come una sala da ballo!


Zona del ponte.


TONY: Non esce. Non è uscita neanche stanotte.


ELIPHAS continua a gridare e a lanciare ordini. La luce vacillante della sua lanterna getta ampie vedute nella zona degli alloggi dell’equipaggio.


ELIPHAS (Voce): Sveglia! Sveglia, brutta ciurma bavosa! Roddy, Mendez e Ruggirello… riordinare la stiva! Paddy alla fornace! I pentoloni come nuovi! Scott, Hamlin e Plath sul ponte di poppa c’è già una sorpresina per voi.

JONAH: Esce… esce ora. Hai fretta? Devi andare da qualche parte?

TONY (Dopo qualche istante di silenzio): Le sirene. Parlami delle sirene.


JONAH sorride. Non risponde subito.



JONAH: Sì, le sirene. Sicuro… devo solo riordinare i ricordi. I ricordi… non voglio raccontarti storie inventate. (Pausa) Accadde tanto tempo fa…

TONY: Com’erano? Erano più belle della sposa del capitano?

JONAH: Erano… certo, erano… aspetta. Lei è una donna. E non esiste un’altra donna più bella di lei. Una sirena è una sirena e… non si può paragonare ad una donna. Lei poi è bellissima. Un raggio di sole nell’oscurità profonda del mare. Un respiro delicato che ti avvolge e che t’incatena al sonno perduto di cento notti passate ad aspettarla! Gli altri non sanno che si perdono. Preferiscono dormire. Tony, noi no! Noi sappiamo apprezzare la bellezza, vero?


IL SOFFIO DEL VENTO si fa più intenso. TONY sorride senza parlare.


JONAH: E allora aspettiamo. Tra qualche istante, vedrai che apparirà sul ponte. Bella, bellissima. Un raggio di sole nell’oscurità profonda del mare. Un respiro delicato che ti avvolge e che t’incatena al sonno perduto di cento notti passate ad aspettarla! Gli altri non sanno che si perdono. Preferiscono dormire. Tony, noi no! Noi sappiamo apprezzare la bellezza, vero?

TONY: Lo hai fatto! Lo hai ripetuto. Preciso ed identico!

JONAH: Cosa?

TONY: Il discorso della bellezza e le cose di prima. Avevi già detto tutto poco fa.

JONAH: Quando?

TONY: Quando… non so quando, ma avevi già detto tutto, usando le stesse parole.

JONAH: Non credo, anche se può darsi che della bellezza e dell’attesa te ne avessi già parlato!

TONY: Jonah… l’hai sentita la voce di Eliphas? Questa volta Lei non esce, come ieri notte ed anche questa notte…. non esce.

JONAH: Abbi fede. Certe volte si fa desiderare.

TONY: Ormai è mattino. Eliphas ha dato la sveglia!

JONAH: Il signor Eliphas la dà sempre prima la sveglia.

TONY: Prima?




JONAH: Prima!

TONY: Prima di cosa?

JONAH: Prima di quando deve essere!

TONY: È quasi l’alba.

JONAH: Vedrai che ci sarà tutto il tempo di vederla uscire. È quasi l’alba, ma non è ancora l’alba.

TONY: Jonah…

JONAH: Eh?

TONY: mi sembra che… che tutto quello che ascolto l’ho già ascoltato?

JONAH: No, non mi sembra. Forse… sì, mi sembra che me l’avevi già detta questa cosa.

TONY: Anche l’ultima cosa che hai detto… “È quasi l’alba, ma non è ancora l’alba!” Tu ricordi di averla detta più volte?

JONAH: No, questa volta sono sicuro di no! Forse… forse l’avevo pensata, ecco… pensata di sicuro! L’avrò pensata e mi sarà scappata di bocca e tu l’hai sentita ma… ma averla proprio detta consapevolmente, proprio così come l’ho detta ora, no! Sono sicuro di no!

TONY: E riguardo alle altre cose che dico io?

JONAH: Cosa dici tu?

TONY: Riguardo alle cose che dico io? Per esempio io ti dico una cosa e subito dopo, mi ricordo di averla già detta. Che dici?

JONAH: Dico che mi sembra che ti è venuta una specie… come si chiamano? Come si chiama quella cosa che ti entra in testa e che parte da qualcosa d’insignificante e che poi, man mano s’allarga fino a diventare… a diventare?

TONY: Una fissazione?

JONAH: Già! Una fissazione netta! È quella Tony. Hai una fissazione!

TONY: Le fissazioni mi fanno paura.



JONAH: Paura? Tutti hanno fissazioni. Cosa credi anche il capitano ne ha.

TONY: Il capitano?

JONAH: Netto! Puoi star sicuro. Il capitano ne avrà mica una sola di fissazione. Non lo sai? Più uno occupa posizioni di potere e più è preda di fissazioni. Ora, pensaci bene. Chi è che ha più potere nel mondo?

TONY: Dio?

JONAH: Dio? Dio… sì, Dio può essere un buon esempio. Cosa ha fatto Dio?

TONY: Cosa ha fatto Dio? Di recente non ha fatto niente.

JONAH: Ma un po’ di tempo fa ha fatto tutto.

TONY: (ride) Hai capito Dio? Prima ha fatto tutto e adesso può non far niente.

JONAH: Dio se lo può permettere. Ha tirato fuori il mondo, il mare, la luna, le stelle e compagnia bella… e ha fatto anche l’uomo, no?

TONY: E la donna!

JONAH: Quella l’ha fatta con la costola dell’uomo.

TONY: Sì, lo sapevo. Qualcuno me l’aveva già detto. Non capisco però dove vuoi arrivare.

JONAH: È semplice. Che l’uomo è una fissazione di Dio!

TONY: E la donna?

JONAH: La donna è una fissazione in comproprietà, tra Dio e l’uomo.

TONY: E il capitano?

JONAH: E stai sicuro che il nostro capitano che se ne sta sempre chiuso dentro la sua cabina, sarà pieno di fissazioni. Cosa credi? Anche io ho avuto le mie. Il guaio delle fissazioni è che t’affezioni. Una non ti basta. E allora gliene regali un’altra accanto. Giusto per non farla star da sola. Una compagna. Una sorella… e allora cominci a pensare che tre è meglio di due e così, senza neanche rendertene conto, partorisci la quarta e poi la quinta, fino a quando non ti ritrovi con un nido di fissazioni da crescere e da educare.

TONY: È terribile.

JONAH: Certo! Perché credi che il capitano se ne stia sempre chiuso, barricato lassù? Deve tenere a bada le sue fissazioni. Le tiene al riparo per controllarle meglio. Le nutre e le coltiva come in una serra. C’è affezionato. Da un lato è atterrito e dall’altro si è affezionato.

TONY: Jonah, io ho paura che stiano aumentando. Non le voglio io le fissazioni. Mi fanno paura.

JONAH: Devi fare come il capitano. Le devi tenere in un recinto. Le fissazioni sono prolifiche. Si moltiplicano a contatto con le altre. Se il capitano ne facesse scappare solo una e se questa incontrasse una delle tue, si accoppierebbero. Nel giro di poco tempo nascerebbero le figlie delle fissazioni che sono fissazioni più piccole ma che poi crescono e a loro volta si accoppiano. Caro mio, il capitano ha una bella responsabilità.

TONY: Come bisogna fare per tenere a bada le fissazioni? Tu come fai?

JONAH: Io? Semplice. Penso al capitano!

TONY: E perché?

JONAH: Perché lui non solo pensa alle sue fissazioni, ma anche a quelle dell’equipaggio, perciò ha cura anche delle mie.

TONY: Ma come fai ad avere una fiducia così cieca verso qualcuno che non si fa mai vedere? Sto da così tanto tempo su questo legno che ho dimenticato anche dove siamo diretti e soprattutto perché siamo partiti.

JONAH: Il capitano lo sa.

TONY: Chi me lo dice?

JONAH: Nessuno. Bisogna aver fiducia in lui.

ELIPHAS: Sveglia! Sveglia! Branco di lavativi. Sveglia! È ora di alzarsi e di muovere il culo! Dimitri, il caffè al capitano e poi subito di vedetta! O’Ryan, lucidare i ramponi, Ricci e Clark mi sentite in coperta? Voglio vedere il ponte tirato e lustrato come una sala da ballo!

TONY: Dov’è il capitano?

JONAH: Nella sua cabina, no?

TONY: Perché non si fa mai vedere?

JONAH: Eh… non so… sicuramente perché avrà molto da fare!

TONY: Perché non ci rassicura o non ci dice almeno dove e quando attraccheremo?

JONAH: Lo vedi? Questa è un’altra fissazione che se trova nutrimento in un’altra, si propaga a macchia d’olio.

TONY: Ho paura quando parli così.

JONAH: La paura è il terreno fertile delle fissazioni. Quando appare la paura significa che stai per partorire un’altra fissazione. Il segreto è mettersi due dita in gola, sputarla e poi ucciderla subito, all’istante. Senza pietà.

TONY: Come faccio a sputarla. Come faccio? Tu come fai?



JONAH: Lo vedi? Questa è già la seconda fissazione che hai fatto nascere e che si è aggiunta alla prima. Ora devi ucciderne due. E ben presto dovrai ammazzarne tre… e più ne crei e più è difficile ammazzarle.

TONY: Ma che seconda? Quale?

JONAH: Tony, senza rendertene conto hai partorito un’altra fissazione. La seconda è la più subdola perché è la femmina. La prima è il maschio. Il maschio senza la femmina non può far nulla. Può semplicemente spandere il suo seme sul legno della nave. Se fai nascere la seconda è l’inizio della covata.

TONY: Ma come si fa?

JONAH: Come si fa cosa?

TONY: Come si fa se per esempio io sono convinto di una cosa e ho la paura che questa cosa sia una fissazione?

JONAH: Smettila! Ti sei fissato sul fatto di avere una fissazione. È l’inizio di una catena. Dacci un taglio.

TONY: Jonah… non è una fissazione. È così.

JONAH: Così che?

TONY: Ci siamo già detti tutto!

JONAH: No. Abbiamo ancora tante cose da dirci.

TONY: E allora diciamole. Dimmi qualcosa di nuovo. Qualcosa che non ho mai sentito.

JONAH: Cosa…?

TONY: che non ho mai sentito, …

JONAH (Pensieroso): Qualcosa che non hai mai…

TONY: Comincia tu, poi cercherò di dire qualcosa di nuovo anch’io.

JONAH (Dopo una pausa): Allora, una novità fresca fresca… diciamo… su due piedi adesso non è semplice. Ce ne sono talmente tante che… ecco, ti ho mai parlato di quanto è bella San Francisco?

TONY: Fammi pensare… sì, già detto, già sentito! E anche me che dico: “Già sentito…” L’ho già sentito! Quello che dico, quello che dici e anche quello che ti sto dicendo ora, lo finisco di dire, esce dalla mia bocca ed ecco che me lo ricordo. Tutto è già detto.





JONAH: Ma sì, è vero. È questo far niente che ci distrugge. Si avvistasse qualcosa, almeno, anche per sbaglio. Uno scoglio, un tronco, qualcosa che ci facesse provare un piccolo colpo al cuore! Non so che darei per sentire ancora quel grido…

TONY: Non lo dire.

JONAH: Ti ricordi che emozione? (A mezza voce) Soffiaaaa…

TONY: Sssshh… zitto, non farti sentire. Sei pazzo? Vuoi far prendere uno spavento a tutti? (Si guarda intorno) Lo sai cosa può succedere se ti sentono?

JONAH: Lo so. Peccato non poterlo gridare. Peccato che le balene si siano tutte volatilizzate! Scomparse tutte. Inghiottite dallo stesso mare che le aveva generate. Peccato Tony… non so che darei per vederne una adesso. Mi davano sicurezza. Tony, sai che facciamo se ne avvistiamo una? Tony, la seguiamo. La seguiamo solo per vedere dove ci porta. Io sono sicuro che ci porterebbe dalle altre. Lo so! Si sono nascoste tutte in un posto dove ora vivono sicure.

TONY: ... dove ora vivono sicure! Avevi già detto anche questo. Lo avevi detto ieri notte. Non c’è nulla da fare. Siamo condannati a ripetere tutto. Condannati da un’immobilità assoluta.

JONAH: Basta! Ora secondo te, io avrei già detto tutto? E se fosse così, perché non mi dici che sto per dire ora?

TONY: Perché…


Sullo sfondo, la notte stellata comincia a sfumare impercettibilmente, nei colori di un’alba marina.


TONY: Perché… non lo so! Mi ricordo che abbiamo fatto lo stesso discorso solo quando finisci una frase tu o quando la finisco io e anche ora, nel momento stesso in cui finisco una frase, mi accorgo di averla già detta ieri e l’altro ieri e due notti fa e tre, quattro, cinque notti fa e anche ora… ora mi sono ricordato, ecco… mi ricordo, mi ricordo e ricordo me che dico mi ricordo. Ah, se mi ricordassi le cose già dette prima di dirle, non le direi. Ne direi delle altre.


Pausa.

Nella cabina del capitano, la penombra comincia a schiarirsi.




TONY: Si fa giorno?

JONAH: Si fa giorno!

TONY: Un altro giorno!

JONAH: Un altro giorno, sì!

TONY: È a questo punto che… Jonah, ma tu che vedi a questo punto? Quando l’orizzonte è più chiaro, ecco… tu lo vedi?

JONAH: Cosa?

TONY: Niente, non lo vedo più.

JONAH: Cosa dovrei vedere?

TONY: Niente. … certe volte mi sembra di veder qualcosa.

JONAH: Qualcosa di che tipo?

TONY: È un attimo… la luce si fa più chiara e mi sembra di… tu non noti niente? Non hai mai notato niente?

JONAH: Sempre! Mi sembra anche a me di veder qualcosa, ma poi all’improvviso, mi accorgo di non aver visto niente. È l’immaginazione. Siamo stati troppo tempo senza veder nulla! L’immaginazione s’è impadronita di noi, del nostro sguardo. E sai che ti dico? Meno male che abbiamo l’immaginazione, almeno quella! Hai visto cosa?

TONY: Non lo so. Una cortina. Nebbia. Non lo so. Quando arriva la prima luce dell’alba, io… io vedo… cioè… mi sembra di vedere qualcosa che ci avvolge, come una nuvola, come un velo…

JONAH: Un velo, eh?

TONY: Un velo.

JONAH: Velo.


Pausa.


TONY: Sochito.







JONAH: Cosa mi hai ricordato. Sochito… quando approderemo di nuovo a San Francisco te la farò conoscere.

TONY: Sochito… m’innamorerò di lei di sicuro. Lo so già. Pensi che ci troviamo dove esattamente? Che punto del Pacifico stiamo attraversando?

JONAH: Sì… dovremmo essere su per giù… non lo so con precisione. Hai ragione… dovremmo informarci. Più tardi, lo chiederemo ad Eliphas… lui lo saprà di certo.

TONY: Jonah….


Pausa. L’alba diventa sempre più luminosa.


TONY (Riprendendo): La signora… hai visto? Non è uscita!

JONAH: Che strano! L’unica notte che non l’ha fatto!

TONY: È sempre così. Domani notte vedrai. Te lo ricorderai, vero? Imprimitelo bene nella memoria. Stanotte, lei non è uscita!

JONAH: Domani notte uscirà, vedrai.

TONY: Sì, ma stanotte non è uscita e se tu non ti ricorderai di stanotte, domani notte per te sarà la stessa notte, hai capito? Sarà una sola lunghissima notte in cui vivrai nel ricordo di qualcosa che non è mai accaduto e perciò, non accadrà mai.

JONAH: Questa è la prima notte che non esce. Vedrai che domani uscirà. E noi la contempleremo in tutto il suo splendore. Hai visto il chiarore della luna come le rende bianca la pelle? Il viso? Domani notte, Tony, domani notte sarà ancora più bella, vedrai.


DIMITRI è nella stanza del CAPITANO, posa il vassoio con la tazza di caffè sul comodino..Poi va verso un vecchio grammofono. Comincia a dargli la carica. Poi prende il Diario di bordo e si siede.

Sul ponte…

Appaiono O’RYAN e dopo qualche istante anche ELIPHAS. O’RYAN sta masticando qualcosa. Incrocia TONY e JONAH e si rivolge a quest’ultimo in modo sfrontato ed ironico.








O’RYAN: Ciao negro. Nottataccia anche questa?

JONAH: Pensa a come far passare in fretta la giornata. E chiudi la bocca se non vuoi far colazione anche con i tuoi denti.

O’RYAN: Nottataccia!

ELIPHAS: Basta! Mangiate alla svelta e olio di gomito! Ho la frusta impolverata e le mani che mi prudono. Ricci, Clark… oggi tocca a voi il ponte. (Alzando lo sguardo) E tu lassù, occhi aperti che oggi voglio sentire la tua voce! Mi hai sentito?


Silenzio. Nessuno risponde. Tutti interrompono le loro azioni e osservano la scena. ELIPHAS ripete la domanda.


ELIPHAS: Dico a te, lassù. Mi hai sentito?

O’RYAN: Signore, Dimitri non è ancora al suo posto.

ELIPHAS: Che significa che non è ancora al suo posto?

O’RYAN: Che non è ancora salito.

ELIPHAS: Non ho capito. Dov’è il mozzo? Chi c’è di vedetta ora?

O’RYAN: Dovrebbe esserci Dimitri, ma non c’è. Ha avuto problemi col caffè per il capitano. Dovrebbe arrivare da un momento all’altro.

ELIPHAS: O’Ryan, prima che perdo definitivamente la pazienza, sali di vedetta e sbarra i tuoi occhi tenendoli fissi sulla linea dell’orizzonte!


O’RYAN resta interdetto, meravigliato, come se la richiesta di Eliphas fosse la cosa più insolita che avesse mai potuto dire. Anche JONAH e TONY restano perplessi, bloccati come se stesse accadendo qualcosa di inconsueto. In quell’istante, le note di una melodia soffusa (“Parlez-moi d’amour”) cominciano a propagarsi nell’aria.


ELIPHAS: Mi hai sentito irlandese? Su di vedetta!

O’RYAN: Io… non so se posso… forse…

ELIPHAS: Forse?

O’RYAN: Forse non è giusto. È una cosa che non è mai successa questa. In vedetta è compito di Dimitri. Se ora ci vado io, questo comporterebbe un cambiamento ad un ordine che…



ELIPHAS: Stammi a sentire irlandese… mettiti bene in testa quello che sto per dirti… mi assumo io la responsabilità di tutto quello che può succedere. Di vedetta, da una certa ora in poi, ci deve essere sempre qualcuno, perciò prendi il tuo brutto culo e portalo in fretta lassù, in cima…

O’RYAN: Come vuole lei, signor Eliphas.

ELIPHAS: E voi, branco di lavativi… voglio vedervi saltare come sui carboni ardenti!


O’RYAN comincia ad arrampicarsi sui pioli di una scaletta di corde che pende dall’alto, lungo l’albero maestro. Scompare lassù in alto.

TONY e JONAH cominciano a passare lo straccio sul ponte, mentre ELIPHAS sorveglia il lavoro.

Nella cabina del Capitano.


DIMITRI ( legge il diario di bordo): Rimando ogni giorno il discorso che dovrò fare ai miei uomini, eppure, dovrò decidermi ad uscire sul ponte, chiamarli tutti a raccolta e parlar loro del tempo. Il tempo non ha più alcun significato qui. Ecco perché ho smesso di segnare su questo mio diario di navigazione i giorni, i mesi e gli anni! Mia moglie non mi parla più! Io non ricordo più neanche il perché sta qui con me, su questa vecchia nave. Negli ultimi tempi ho riprovato a sfiorarle il viso. Una carezza, un sorriso… ne ho ricevuto in cambio l’indifferenza che è peggio dell’odio. Non è solo stanchezza ma qualcosa di più. Certe notti mi sorprendo a fissare la porta chiusa della sua stanza. Non ho mai il coraggio di aprire quella porta. E allora sogno il mare in tempesta. E nel sogno, sono felice. Anche la rabbia dell’oceano ci ha abbandonato. Non ricordo più neanche a quando risale l’ultima tempesta. È stata tanto tempo fa. È stata forse, quando io neanche esistevo.


La musica della canzone francese sfuma piano.

DIMITRI richiude il diario, lasciandolo sul tavolo. Si alza. La cabina del capitano torna in ombra.

In coperta ferve il lavoro dell’equipaggio. TONY e JONAH stanno lavando il ponte. Il signor ELIPHAS cammina avanti e indietro per il ponte. Arriva di colpo, l’urlo di O’Ryan.


VOCE O’RYAN: Terra! Terra a babordo! Terra a babordo!




Tutti gli uomini, compreso il nostromo, presi da un fremito d’agitazione, lasciano il loro lavoro e si portano sul fianco della nave e scrutano l’orizzonte.

VOCE O’RYAN: Terra… terra… terra… finalmente terra…

JONAH: Riesci a vederla ragazzo? È un’isola? No… di più… è un gruppo di isole. È una distesa di isole. È un arcipelago.

TONY: Netto! Un arcipelago netto e preciso! Signor Eliphas, di che si tratta? Che rotta stiamo seguendo? Lei lo sa, vero?

ELIPHAS: Quella è la Fossa delle Aleutine!

VOCE O’RYAN: Terra… terra… terra… Otto, forse nove miglia a babordo. Terra! Terra! Terra!


Appare DIMITRI che comincia a fissare anche lui l’orizzonte.


JONAH: È vero, per Dio! Sono proprio le Aleutine!

DIMITRI: La penisola di Alaska!

VOCE O’RYAN: Da qui è bellissimo! Da qui è uno spettacolo. Terra a non finire. E dietro ancora, altre isole… sono un’infinità…

TONY: Dove approdiamo signore? Dove approdiamo?

ELIPHAS: Silenzio! Nessuno si faccia scappare un’altra parola. Tenersi pronti! Io vado a parlare col capitano… se è come penso…credo che… che ci attenda un piccolo giro intorno alle prime isole e poi…

TONY: E poi? E poi signor Eliphas? Dove crede che approderemo? Dove pensa che…

ELIPHAS: Non lo so. Vado a chiedere informazioni. Voi però non vi agitate troppo… (pausa) non siamo ancora approdati.


ELIPHAS, a passo lento si dirige verso la cabina del capitano.

DIMITRI e TONY si voltano di nuovo verso il punto dell’orizzonte.

JONAH invece, resta fermo a fissare ELIPHAS che si sta allontanando.




TONY: L’Alaska… ma allora esiste davvero l’Alaska?





DIMITRI: Ci puoi giurare che esiste. C’è più ghiaccio che terra, ma lo stufato di pesce è impareggiabile.

TONY: Hai sentito Jonah? Stufato di pesce. Stasera si mangia come Cristo comanda!

DIMITRI: Dovremmo attraccare a Port Moller.

TONY: Port Moller, bravo ragazzo… Port Moller a Bristol Bay.

DIMITRI: Mio padre mi raccontava sempre di Bristol Bay… mi parlava di una zuppa di merluzzo e vongole da leccarsi i baffi…

TONY: E le donne? Te lo diceva tuo padre delle donne?

DIMITRI: Mio padre ha lasciato più figli a Port Moller che in altri porti. Dovrei avere una mezza dozzina di fratelli, lì.

TONY: Hai sentito Jonah? Hai sentito che ha detto il…


TONY si blocca perché vede Jonah di spalle, con lo sguardo incollato sul punto dov’è scomparso Eliphas.


TONY: Jonah… che hai?


La cabina del capitano è in ombra.

Il signor ELIPHAS sta dietro la porta chiusa.


ELIPHAS: Devo farlo signore… questa volta devo proprio farlo.


Sul ponte.

TONY tocca un braccio a JONAH che si scuote e si volta verso di lui.



JONAH: Cosa voleva dire con quel “non siamo ancora approdati?”

TONY: Chi?

JONAH: Eliphas!




Davanti alla cabina del capitano, dabbasso.


ELIPHAS: Io la credo signore e ho piena fiducia in lei… capisco che la stiva è ancora vuota.


Sul ponte.


TONY: Che hai detto? Jonah… non ti capisco.


Davanti alla cabina del capitano.


ELIPHAS: Capisco che non possiamo attraccare così a mani vuote, ma è anche vero che gli uomini non ce la fanno più. Hanno perso la sensazione del tempo passato qui.


Sul ponte.


JONAH: Non mi piace.


Davanti alla cabina del capitano.


ELIPHAS: Io credo che un po’ di terraferma risanerà il morale. Un paio di giorni basteranno, anche solo ventiquattrore, signore.


Sul ponte.


TONY: Non ti piace cosa?

JONAH: Non mi piace per niente.


Davanti alla cabina del capitano.


ELIPHAS: La prego di riflettere. Due giorni non significa una battuta d’arresto. Due giorni di stop significa continuare con più fede. Abbiamo bisogno di una sosta.





Sul ponte.


JONAH: Ho paura… ho paura che non ci sia più tempo.


Davanti alla cabina del capitano.


ELIPHAS: Tutti ne abbiamo bisogno, anche lei… Signor capitano, mi perdoni, anche sua moglie…


Sul ponte.


TONY: Più tempo? Jonah… cos’è quella faccia? E andiamo. Lo hai sentito che ha detto Dimitri? Donne… donne calde a Bristol Bay! È vero ragazzo?

DIMITRI: Me lo diceva mio padre!

TONY: Suo padre. Glielo diceva suo padre, mica l’ultimo fesso! Jonah…


Davanti alla cabina del capitano.


ELIPHAS: Certo Signore.


Sul ponte.


JONAH: Non c’è tempo, Tony!


Davanti alla cabina del capitano.


ELIPHAS: D’accordo Signore


Sul ponte.


TONY: Che? Jonah… Dimitri, digli qualcosa anche tu. Digli che ti diceva tuo padre. (Supplicante) Ti prego ragazzo… diglielo… tuo padre cosa ti diceva?


Davanti alla cabina del capitano.


ELIPHAS: Ho capito Signore… e a poco alla volta, con calma, senza fretta, vedrà che anche gli uomini capiranno bene i motivi del perché non abbiamo tempo…


Sul ponte.


JONAH: Non c’è tempo! Non c’è tempo!


Davanti alla cabina del capitano.


ELIPHAS: … per poterci fermare!


Sul ponte.


TONY: Dimitri… Dimitri, glielo devi dire… quello che hai detto prima… ti prego, devi dirglielo adesso, devi…


DIMITRI guarda prima TONY, poi si avvicina a JONAH, lo guarda e anche lui gli ricambia lo sguardo.

Davanti alla cabina del capitano.


ELIPHAS (quasi con le lacrime agli occhi): Capisco. Sempre agli ordini. Come vuole lei, signore.


ELIPHAS torna piano sui suoi passi. La zona antistante la porta della cabina del capitano torna nel buio. Silenzio riempie la scena. Pian piano, ricomincia la musica, quella vecchia canzone francese.

Sul ponte.


TONY: Che vi prende? Perché state zitti? Avanti, forza… tra meno di un paio d’ore saremo tutti fuori di qua. Staremo fuori… fuori…







ELIPHAS ricompare in coperta. Resta in silenzio e sempre in silenzio, ricomincia a passeggiare sul ponte. DIMITRI lo guarda anche lui. Tra i due sembra accada qualcosa in cui una complicità invisibile si fa largo e percorre i loro sguardi…

JONAH volge ancora una volta lo sguardo verso il largo, ma questa volta, abbassa la testa.


TONY: Signor Eliphas… e allora? Cosa facciamo?

ELIPHAS: Il ponte, Ricci. Il ponte… tirato e lustrato come uno specchio! (voltandosi verso Dimitri) Il vassoio ragazzo. Torna a prendere il vassoio nella cabina del capitano. Il capitano ha bevuto il suo caffè.


La musica cresce.

I colori della mattina sembrano sfumare in uno sfavillio di verde.

JONAH e TONY ricominciano lentamente a passare lo straccio sul ponte, mentre ELIPHAS riprende a passeggiare avanti e indietro sul ponte, come se nulla fosse accaduto.


SIPARIO.

FINE PRIMO ATTO.



SECONDO ATTO

La canzone continua in sottofondo.

Notte e rumore del mare.

Situazione identica a quella iniziale: i personaggi danno vita alle stesse azioni che si svolgono con le stesse parole e nello stesso modo dell’inizio del primo atto.



TONY: Sembra quasi d’essere sulla terraferma.

JONAH: Mi manca Marsiglia, ma più d’ogni cosa, mi manca San Francisco.

TONY: Terraferma. Non c’è un alito di vento.

JONAH: Caro vecchio Fisherman’s Wharf.

TONY: Anche il mare. Se lo guardi adesso… il mare non sembra neanche mare. È terra. Una lunga e tranquilla distesa di terra. Un deserto.

JONAH: … e l’Embarcadero… avevo un amico lì.

TONY: Un deserto d’acqua.

JONAH: Tra qualche istante uscirà. È quasi ora.

TONY: Ieri notte però, non è uscita.

JONAH: Come fai a dire che non è uscita? Sì che è uscita… me la ricordo.

TONY: Ricordi che?


Tutto si è svolto in modo preciso ed identico all’inizio. Così come nel primo atto, lla signora finisce di vestirsi, spegne ad una ad una tutte le candele e ne lascia accesa soltanto una. La mano esce dalle lenzuola e l’afferra per un braccio. La candela cade per terra e la stanza piomba nel buio.

Il soffio del vento intenso precede di pochissimo il buio sul ponte.

TONY e JONAH sono inghiottiti dall’oscurità.

Le voci arrivano dalla stanza della signora.


VOCE ELIPHAS: Dove vai?

VOCE SIGNORA: Mi hai fatto cadere la candela!


Una fiammella rischiara di nuovo l’ambiente. ELIPHAS appare dalle lenzuola. Accende il suo sigaro. Con lo stesso fiammifero, accende la torcia della lanterna appoggiata sul comodino del suo lato del letto. Comincia a fumare.


SIGNORA: Non dovresti fumare nel mio letto!

ELIPHAS: E tu non dovresti uscire di notte. Ci sono uomini che non riescono a dormire per colpa tua. Perdono tempo ad aspettarti. Perdono il sonno. Il sonno è prezioso. Il sonno li aiuta a non pensare.

SIGNORA: E tu chiami preziosa qualcosa che aiuta a non pensare?

ELIPHAS: In alcuni casi sì.

SIGNORA: Vai via?

ELIPHAS: Non ancora.

SIGNORA: Vattene ora!

ELIPHAS: Soltanto cinque minuti fa, eri qui, tutta accucciata, stretta tra le mie braccia. Mi accarezzavi il petto. Lo ricordo bene. Eri tu. Mi hai anche sussurrato… cosa mi hai detto di preciso?

SIGNORA: Non ti ho detto nulla! Devi andartene!

ELIPHAS: Sai benissimo che me ne andrò. È quasi l’ora di dare la sveglia agli uomini. Un tempo, quando anche io dormivo, c’era qualcun altro che dava la sveglia al posto mio. È passato tanto tempo però… non ricordo neanche la sua faccia.

SIGNORA: Aveva la tua stessa faccia, Eliphas. Va bene, resta se vuoi… vado via io!

ELIPHAS: Aspetta… aspetta, Cristo!


Pausa.


ELIPHAS: Aspetta! C’è ancora tempo. Parliamo.

SIGNORA: Non abbiamo nulla da dirci, io e te.

ELIPHAS: Avremmo tanto da dirci, se solo volessi. Avremmo da parlare per tanto di quel tempo, da riempirci i secoli.

SIGNORA: Hai voluto quello che volevi. Ora puoi anche andartene.

ELIPHAS: Ho avuto? Siediti un attimo. È il momento più bello. Non sai quanto l’ho aspettato.

SIGNORA: Altri ti hanno preceduto.

ELIPHAS: Non è vero.

SIGNORA: Tutti ti hanno preceduto. Tu sei solo l’ultimo.

ELIPHAS: Non è vero. Perché dici questo? (Si alza dal letto e le stringe forte il braccio) Guardami negli occhi e giuralo.

SIGNORA: Povero Eliphas! Sei proprio innamorato! (Pausa) Te lo giuro!

ELIPHAS: Sei una bugiarda! Una spergiura!

SIGNORA: Vattene!

ELIPHAS: Ti va solo di farmi soffrire!

SIGNORA (si scosta da lui): Vattene, ti ho detto!

ELIPHAS: Sei una disperata come tutti qui dentro.

SIGNORA: Eliphas… che tu lo voglia o no, mancavi solo tu nel mio letto.

ELIPHAS: Non è vero! Io ti ho aspettato. Tu mi hai detto che dovevo essere paziente e che dovevo lasciarti tempo e che… che non saresti mai riuscita a farlo se prima non… non ci conoscevamo un po’ meglio…

SIGNORA: Bravo! E mentre tu perdevi tempo a conoscermi, gli altri mi sbattevano qui, proprio dove stanotte, tu hai dato la più misera prestazione che io ricordi di aver mai strappato ad un uomo. Ti perdono Eliphas. Ti perdono perché sei un uomo innamorato. Mi fai pena. E ora vattene. Vattene o lasciami andare.

ELIPHAS: Sei una…

SIGNORA: Puttana? No, sono l’unica donna della nave. Chi mi vuole mi prende. Senza chiedere. Tu sei l’unico che ha chiesto. E se chiedi, ti viene dato, ma paghi tutto il prezzo della richiesta e soprattutto, dell’attesa.

ELIPHAS: Tutti?

SIGNORA: Tutti!

ELIPHAS: Anche il mozzo?

SIGNORA: Anche… anche lui, sì!

ELIPHAS: E non è vero! Lo stai facendo per farmi arrabbiare. Questa è una galera! Si sa tutto di tutti. Io… io una cosa del genere l’avrei saputa. Figurati… una cosa così… si sarebbe sparsa a macchia d’olio…

SIGNORA: E invece non sapevi nulla!

ELIPHAS: Esatto! Non sapevo nulla!

SIGNORA: O sapevi e facevi finta di dimenticare subito dopo aver saputo. È molto facile dimenticare qui, Eliphas… molto facile. Pensaci, pensaci… lo fanno tutti qui, pensano e dimenticano e anche tu dimenticherai, come hanno fatto tutti. Una volta uscito da qui, dimenticherai di avermi avuta. Dimenticherai Eliphas, mi hai sentito? (Si fa più vicino a lui e le ultime parole gliele sussurra alle labbra) È un dono che ti faccio, questa notte, una rivelazione, ma la dimenticherai, come hai sempre fatto e questo per te sarà la tua unica salvezza. Dimenticherai di aver fatto l’amore con me! Sarà così per te sempre la prima volta. Così come lo è per tutti gli altri. Sei felice Eliphas? Mio piccolo bambino?


ELIPHAS: Io non lo dimenticherò mai. Come posso dimenticare la nostra prima volta?

SIGNORA: L’hai già dimenticata altre mille volte.


ELIPHAS ha uno scatto. L’afferra per i capelli. Lei reclina la testa: affronta con orgoglio il suo sguardo. Lui la bacia. Un lungo bacio, violento e passionale. Alla fine, si scosta con indecisione, quasi con vergogna.


ELIPHAS: Ecco, questo non potrò mai più dimenticarlo!

SIGNORA: Vedrai…

ELIPHAS: Ogni minuto, ogni secondo ricordo. L’odore delle lenzuola, il tuo profumo, poco fa, quando mi hai stretto forte e mi hai accarezzato il petto. Stanotte sei stata mia, solo mia. Non lo dimenticherò mai.

SIGNORA: Lo hanno dimenticato tutti. Lo dimenticherai anche tu.

ELIPHAS: Ma chi sei, una strega che ha lanciato un maleficio su questa nave e il suo equipaggio? Disgraziata… ti farò mettere viva in una scialuppa, senza cibo e acqua e ti lascerò portar via dalle onde… e sarai maledetta nei secoli…

SIGNORA: Non potrai farlo.

ELIPHAS: Vedrai se non potrò. E poi farò frustare tutti quelli che confesseranno di avere avuto un rapporto con te… perché ormai sono infetti, contaminati…

SIGNORA: Dovrai frustare anche te stesso, allora?

ELIPHAS: Ti credi furba? Interrogherò personalmente ogni membro dell’equipaggio. dovranno dirmi l’ora, il minuto e il secondo in cui ti hanno avuta. Dovranno darmi la prova della loro confessione…

SIGNORA: Sai bene che non potrai farlo.

ELIPHAS: Vedrai se non potrò…

SIGNORA: Non potrai perché appena uscirai da questa porta, la prima cosa che ti verrà in mente, sarà quella di prendere la lanterna e portare la luce in tutte le cabine, dove i tuoi uomini stanno riposando. Salutameli i tuoi uomini e di’ pure loro che la signora li sta aspettando.


ELIPHAS si porta le mani alla fronte. Si siede sul letto. La SIGNORA si volta.


ELIPHAS: Perché ti sei messa l’abito da sposa? Che hai in mente? Non puoi uscire così. Non puoi farti vedere dagli uomini così.

SIGNORA: Io sono la sposa di tutti… lo sai bene.

ELIPHAS: Non è vero. Dio, no! Regalami qualcosa di te. Regalami qualcosa che non mi faccia dimenticare questa notte. Io non posso vivere senza il ricordo di questa notte.

SIGNORA: Quando avrai dimenticato, potrai vivere benissimo.

ELIPHAS: Regalami qualcosa… qualcosa che ti appartiene.

SIGNORA: Ti ho già regalato me stessa.

ELIPHAS: Non mi basta. Voglio qualcosa di più.

SIGNORA: Qualcosa di più di me stessa? (Sorride) Pensaci bene. Una volta che uscirai da quella porta, io ti regalerò la dimenticanza e tu cancellerai immediatamente questa notte d’amore. I miei baci svaniranno nella foschia del primo mattino. Le mie carezze sul tuo petto le inghiottirà la brezza dell’alba. Sarai libero Eliphas… libero dal ricordo di avermi avuta… e così potrai conquistarmi di nuovo se vorrai… ma la prossima volta sarà più dura e il prezzo da pagare sarà ancora maggiore. Non preoccuparti però, anche di questo non avrai ricordo. Non preoccuparti. È la tua natura. Vorrai sempre qualcosa in più.

ELIPHAS: Come fai dire che non ricorderò? Come fai a sapere queste cose?

SIGNORA: Siamo semplicemente diversi Eliphas. Ognuno ha le sue mansioni qui. Ognuno ha il suo scopo qui sulla nave.

ELIPHAS: E il tuo quale sarebbe?

SIGNORA: Pensa al tuo, Eliphas. È l’alba.

ELIPHAS: Lo so benissimo che è l’alba. Devo andar via, ma prima, voglio…

SIGNORA: Voglio, voglio… devi andar via e basta!


ELIPHAS raccoglie in fretta i suoi abiti. Si riveste in silenzio con gesti nervosi. Va verso la porta. Si volta verso di lei.
ELIPHAS: Tu non credi che ti amo, vero?

SIGNORA: Ti credo, Eliphas. Ti credo!

ELIPHAS: Vuoi che lo urli?

SIGNORA: Non ce n’è bisogno.

ELIPHAS (Lancia un urlo): TI AMOOOOOOOOO!


Le luci della notte stellata piovono sulla zona del ponte. Le figure di TONY e JONAH appaiono per qualche istante. I due marinai si guardano, poi si voltano verso il punto da cui è provenuto il grido.


TONY: Cos’era?

JONAH: Qualcuno ha gridato.

TONY: Un grido, sì.

JONAH: Mi sembrava provenisse dalla cabina del capitano.

TONY: Non credo sai? Mi sembrava più… oppure… aspetta, mi sembra che sia già… non so, ma qualcuno mi ha detto che il capitano ha gli incubi.

JONAH: Incubi! Incubi netti! Dovuti senz’altro all’aria che respira lì dentro, sempre chiuso in quella trappola di stanza.

TONY: Jonah…


Le luci calano piano dal ponte. Nella stanza della signora, la donna rompe il silenzio dopo il grido di Eliphas.


SIGNORA: Adesso vai, Eliphas… ti stanno aspettando.

ELIPHAS: Non pensavi che lo avrei fatto?

SIGNORA: Al contrario. Sapevo che avresti gridato.

ELIPHAS: Ah, sì? E allora grido di nuovo.

SIGNORA: Non lo fare.





ELIPHAS: TI AMOOOOOOOO! (Pausa) Non sentivo gridare da tanto di quel tempo.


ELIPHAS si gira e va di nuovo verso la porta. La apre.


SIGNORA: Eliphas…


ELIPHAS si volta ancora verso di lei.


SIGNORA: L’unica cosa che puoi ricordarti è che io non ti amo!


ELIPHAS prende la sua lanterna e se ne va chiudendo la porta.


La SIGNORA resta in piedi a fissare la porta chiusa. Non riesce più a frenare il pianto. Singhiozza a dirotto. Pian piano, il pianto accompagna il buio che la inghiotte. Contemporaneamente, le luci appaiono in coperta, sul ponte, dove TONY e JONAH stanno in piedi, in silenzio uno di fronte all’altro.


TONY: Io non sento niente.

JONAH: Adesso non lo sento più, ma prima era chiaro. Un lamento. C’era qualcuno che stava singhiozzando a dirotto.

TONY: Hai mai sentito parlare del canto delle sirene? Tu hai mai visto una sirena, Jonah?

JONAH: Ci puoi giurare. Viste e straviste! Con questi occhi, come ora vedo te. Prima o poi te lo racconterò. Ti racconterò in che modo e quando ebbi l’occasione di vedere…

TONY: Non so che darei per vederne una. Sei stato fortunato a vederne una.

JONAH: Stavo qui, proprio dove siamo tu… (si ferma. Resta un secondo a fissare l’amico in silenzio) Come sai che ne ho visto una?

TONY: Me lo hai detto tu?

JONAH: Ma io non ti ho detto che ne avevo vista solo una. Ti avevo solo detto che avevo visto le sirene. Avrei potuto vederne più di una no?

TONY: Jonah, allora… quante sirene hai visto?

JONAH: Una!

TONY: E allora che vuoi da me?

JONAH: Come facevi a saperlo?

TONY: Non lo so. Lo sapevo. Ti ho già detto che ho la sensazione che tutto quello che diciamo e facciamo su questa nave lo abbiamo già detto e fatto?

JONAH: No! Forse… cioè, credo di sì.


Tutto si ripete.

Nella ZONA DEGLI ALLOGGI DEI MARINAI, la luce della lanterna di Eliphas appare nel buio. Il volto del nostromo, s’illumina dal basso.


ELIPHAS: Sveglia! Sveglia! Branco di lavativi. Sveglia! È ora di alzarsi e di muovere il culo! Dimitri, il caffè al capitano e poi subito di vedetta! O’Ryan, lucidare i ramponi, Ricci e Clark mi sentite in coperta? Voglio vedere il ponte tirato e lustrato come una sala da ballo!


Zona del ponte.


TONY: Non esce. Non è uscita neanche stanotte.


ELIPHAS scompare ma continua a gridare e a lanciare ordini. La luce vacillante della sua lanterna getta ampie vedute nella zona degli alloggi dell’equipaggio.


LA VOCE DI ELIPHAS: Sveglia! Sveglia, brutta ciurma bavosa! Roddy, Mendez e Ruggirello… riordinare la stiva! Paddy alla fornace! I pentoloni come nuovi! Scott, Hamlin e Plath sul ponte di poppa c’è già una sorpresina per voi…

JONAH: Esce… esce ora. Hai fretta? Devi andare da qualche parte?

TONY (Dopo qualche istante di silenzio): Le sirene. Parlami delle sirene.

Il sorriso di JONAH che guarda il suo amico e non risponde subito.


JONAH: Sì, le sirene. Sicuro… devo solo riordinare i ricordi. I ricordi… non voglio raccontarti storie inventate. Accadde tanto tempo fa…

TONY: Com’erano? Erano più belle della sposa del capitano?

JONAH: Erano… certo, erano… aspetta. Lei è una donna. E non esiste un’altra donna più bella di lei. Una sirena è una sirena e… non si può paragonare ad una donna. Lei poi è bellissima. Un raggio di sole nell’oscurità profonda del mare. Un respiro delicato che ti avvolge e che t’incatena al sonno perduto di cento notti passate ad aspettarla! Gli altri non sanno che si perdono. Preferiscono dormire. Tony, noi no! Noi sappiamo apprezzare la bellezza, vero?

IL SOFFIO DEL VENTO si fa più intenso.



SIPARIO.

FINE DEL SECONDO ATTO



TERZO E ULTIMO ATTO

Le prime luci dell’alba sul ponte.

JONAH e TONY sul ponte.

La luce della lanterna di Eliphas entra ad illuminare l’alloggio dei marinai.


ELIPHAS: Sveglia! Sveglia! Branco di lavativi. Sveglia! È ora di alzarsi e di muovere il culo! Dimitri, il caffè al capitano e poi subito di vedetta! OO’Ryan, lucidare i ramponi, Ricci e Clark mi sentite in coperta? Voglio vedere il ponte tirato e lustrato come una sala da ballo!


Zona del ponte.


TONY: Non esce. Non è uscita neanche stanotte.


La luce vacillante della sua lanterna getta ampie vedute nella zona degli alloggi dell’equipaggio, dove si scorgono le figure dei marinai nelle loro brande.


LA VOCE DI ELIPHAS: Sveglia! Sveglia, brutta ciurma bavosa! Roddy, Mendez e Ruggirello… riordinare la stiva! Paddy alla fornace! I pentoloni come nuovi! Scott, Hamlin e Plath sul ponte di poppa c’è già una sorpresina per voi…


Sul ponte.


JONAH: Esce… esce ora. Hai fretta? Devi andare da qualche parte?

TONY: Le sirene. Parlami delle sirene.


JONAH che guarda il suo amico sorridendo, non gli risponde subito.

Nella zona alloggi, un’ombra che si alza. È O’RYAN che si mette a sedere sulla sua branda. Si sfrega la faccia con le mani e resta immobile in un’espressione a metà tra il sonno e lo stupore di trovarsi in un posto nuovo.

Il colpo di vento, fortissimo.

Sul ponte, le luci calano gradualmente.




JONAH: Sì, le sirene. Sicuro… devo solo riordinare i ricordi…


Nell’ambiente degli alloggi, O’RYAN accende una lanterna. Si alza e va a richiudere un oblò. Si sofferma a guardare fuori. Dietro di lui, l’uomo sulla sua branda, sembra stia continuando a dormire.


O’RYAN: Dimitri, greco maledetto! Hai sentito che ha detto il nostromo?

DIMITRI (Con un lamento): Che succede?

O’RYAN: Prima c’è stata una folata di vento. Ora non si muove un filo d’aria. Vieni a guardare tu. Il mare sembra… sembra proprio un deserto. Hai sentito cosa ha detto il nostromo?

DIMITRI: Il nostromo… che succede lì fuori?

O’RYAN: Non tira un alito di vento.

DIMITRI: O’Ryan?

O’RYAN: Andiamo ragazzo… guarda… ma tu guarda… mai vista una cosa così… sembra di stare in un deserto.

DIMITRI: Un deserto.

O’RYAN: E che deserto. Un deserto senza…

DIMITRI: O’Ryan… (sbadigliando e mettendosi a sedere) O’Ryan… ma che succede lì fuori?

O’RYAN: … senza colori… senza…

DIMITRI: O’Ryan, io questa volta non ci vado!


O’RYAN si volta verso il ragazzo come se avesse sentito una bestemmia.


O’RYAN: Sei pazzo? Se non porti il caffè al capitano, finisci in un brutto guaio.

DIMITRI: Io devo… io non l’ho mai detta a nessuno questa cosa, ma… proprio non ce la faccio più a… O’Ryan… io non so come dirlo…

O’RYAN: Che cosa?



DIMITRI: Tu… tu lo sai cosa faccio ogni mattina?

O’RYAN: Tu fai quello che devi fare ragazzo. Ora ti consiglio di farlo in fretta e prendere subito il tuo posto con gli altri.

DIMITRI: Tu lo sai, O’Ryan che…

O’RYAN: No! Qui ti sbagli… io non so.

DIMITRI: Davvero O’Ryan? Davvero? Pensaci bene.

O’RYAN: Sbagliato anche questo. Non mi è concesso pensare. Io eseguo e basta ed è quello che dovresti fare anche tu.

DIMITRI: Non posso più!

O’RYAN: Cosa vuoi dire? Che significa che non puoi più?

DIMITRI: È una follia! Non posso più fingere che sia come prima.

O’RYAN: Non ti ascolto più, ragazzo. Fai come credi. Ricordati però che così metti a rischio la tranquillità di tutti qui.

DIMITRI: Sono stanco di questa tranquillità. Io devo far qualcosa e la prima cosa che sento di dover fare, è di non entrare più in quella stanza.


O’RYAN scatta in avanti. Afferra il ragazzo per il collo e gli sussurra.


O’RYAN: Non essere egoista, ragazzo. Pensaci bene.

DIMITRI: Ci ho pensato. Sento che è giusto così.

O’RYAN: Ripensaci un’altra volta e vedrai che non è affatto giusto così.

DIMITRI: Spiegami perché?

O’RYAN: Devi arrivarci da solo.

DIMITRI: Spiegami una cosa.

O’RYAN: Te l’ho già detto Dimitri, greco maledetto. Non posso spiegarti nulla, perché non so nulla.



DIMITRI: Spiegami una cosa. Tu sei più vecchio di me. Quando ho messo piede per la prima volta su questo legno, tu già eri qui, vero?

O’RYAN: Tu che dici?

DIMITRI: Dico di sì… dico che ho la testa piena di ricordi, ma c’è qualcosa che mi sfugge. Qualcosa che non riesco a fissare e a ricordare. O’Ryan, io so che c’è stata una prima volta, un primo giorno, una prima partenza. Ho bene in testa la sensazione che ho provato quando questa nave lasciò il porto dove mi sono imbarcato, ma… ma ho cominciato a dare per scontate troppe cose e ora non va più bene.

O’RYAN: Devi fare proprio così, invece… hai ragione tu. Sono più vecchio di te perciò, ascoltami, il tuo compito è semplice. Limitati a questo. Non devi fare altro che portare il caffè al capitano e poi andar subito di vedetta.

DIMITRI: Tu ci sei mai entrato nella cabina del capitano?

O’RYAN: Smettila!

DIMITRI: Tu ci sei mai entrato nella cabina del capitano, O’Ryan?

O’RYAN: Smettila ragazzo.

DIMITRI: Ci hai mai parlato col capitano tu?

O’RYAN: Adesso devo andare.


O’RYAN si allontana, prende la sua bisaccia accanto al letto, poi si volta per andar via.


DIMITRI: Rispondi. Ci hai mai parlato col capitano?

O’RYAN: Col capitano ci parla soltanto il signor Eliphas.

DIMITRI: Perché? Perché accade questo, O’Ryan?


Pausa.

O’RYAN si volta verso l’oblò.

DIMITRI lo osserva aspettando una reazione che non arriva.



O’RYAN: Mi sembra che si sia alzato un po’ di vento. Che dici ragazzo, ci stiamo muovendo?

DIMITRI: Tu sai, vero?

O’RYAN: Dovresti sbrigarti a preparare il caffè e portarlo al capitano, ragazzo e poi subito di vedetta.

DIMITRI: Chi altro sa?

O’RYAN: Sei solo tu che non sa, ma presto saprai anche tu che non devi più far domande, non devi più chiederti cose che possono provocare conseguenze dovute alle tue iniziative individuali. Ogni cosa che uno fa qui sulla nave ha una conseguenza. Una parola, un gesto, un cazzotto o una scoreggia. Attenzione ragazzo. L’unico consiglio che posso darti è di eseguire al più presto le uniche due mansioni che ti sono state assegnate.

DIMITRI: Io non posso più continuare a fingere che sia solo così, lo capisci? E non capisco come fai tu.

O’RYAN: Basta così Dimitri, per oggi hai pensato troppo.

DIMITRI: Non capisco come fai tu… perché tu lo sai meglio di me, perché prima tu stavi al mio posto, vero? Me lo ricordo. Una volta me lo hai detto. Eri tu che ogni mattina portavi il caffè al capitano ed eri anche tu che andavi di vedetta… Perciò tu sai…

O’RYAN: Basta così Dimitri!

DIMITRI: Tu sai benissimo che la stanza del capitano è vuota!


Silenzio. Solo il rumore del mare e una folata di vento.

O’RYAN volge lo sguardo verso l’oblò.


DIMITRI: Ogni mattina io metto a bollire l’acqua. Preparo le dosi dei vari caffè… preparo la miscela… la presso bene nel filtro e ci faccio colare l’acqua bollente. Prendo la tazza così com’è, ancora fumante e mi dirigo verso la porta della stanza del capitano. Busso, sapendo benissimo che nessuno mi risponderà. Entro e poso il vassoio su un comodino impolverato, accanto allo scheletro di un letto senza materasso, poi salgo sul ponte, vado di vedetta e ti giuro O’Ryan… io ti giuro che la mia mente smette di pensare fino a quando, Eliphas non entra con la sua lanterna all’alba e mi dice di preparare il caffè al capitano e di tornare subito di vedetta.



O’RYAN si avvia verso la porta degli alloggi.

DIMITRI continua a parlargli da dietro.

O’RYAN scompare. DIMITRI alza la voce, gridando verso il punto dove lui è scomparso.


DIMITRI: Ogni mattina, per ogni passo che faccio prima di varcare di nuovo la soglia di quella stanza vuota, dico a me stesso che questa sarà l’ultima volta che lo farò… l’ultima volta che mi riprenderò un caffè che nessuno ha bevuto, l’ultima volta che poserò su quel comodino una tazza nuova di caffè caldo, perché O’Ryan, nessun capitano potrà bere un caffè, perché qui su questa nave, un capitano non c’è mai stato.


O’RYAN non si vede più, scomparso oltre il buio.

DIMITRI si siede sconsolato sulla sua branda a fissare il vuoto.

L’oscurità cala lentamente, nella zona alloggi marinai.

Sul ponte, la luce dell’alba marina comincia di nuovo ad avvolgere le figure di JONAH e TONY.


TONY: Si fa giorno?

JONAH: Si fa giorno!

TONY: Un altro giorno!

JONAH: Un altro giorno, sì!

TONY: È a questo punto che… Jonah, ma tu che vedi a questo punto? Quando l’orizzonte è più chiaro, ecco… tu lo vedi?

JONAH: Cosa?

TONY: Niente, non lo vedo più.

JONAH: Cosa… cosa dovrei vedere?

TONY: Niente. Certe volte… certe volte mi sembra di veder qualcosa.

JONAH: Qualcosa di che tipo?



TONY: È un attimo… la luce si fa più chiara e mi sembra di… tu non noti niente? Non hai mai notato niente?

JONAH: Sempre! Mi sembra anche a me di veder qualcosa, ma poi all’improvviso, mi accorgo di non aver visto niente. È l’immaginazione. Siamo stati troppo tempo senza veder nulla! L’immaginazione s’è impadronita di noi, del nostro sguardo. E sai che ti dico? Meno male che abbiamo l’immaginazione, almeno quella! Hai visto cosa?

TONY: Non lo so. Una cortina. Nebbia. Non lo so. Quando arriva la prima luce dell’alba, io… io vedo… cioè… mi sembra di vedere qualcosa che ci avvolge, come una nuvola, come un velo…

JONAH: Un velo, eh?

TONY: Un velo…

JONAH: Velo.


Pausa.


TONY: Sochito…

JONAH: Cosa mi hai ricordato. Sochito… quando approderemo di nuovo a San Francisco te la farò conoscere.

TONY: Sochito… m’innamorerò di lei di sicuro. Lo so già. Pensi che ci troviamo dove esattamente? Che punto del Pacifico stiamo attraversando?

JONAH: Sì… dovremmo essere su per giù… non lo so con precisione. Hai ragione… dovremmo informarci. Più tardi, lo chiederemo ad Eliphas… lui lo saprà di certo.

TONY: Jonah, aspetta un momento.


Pausa. L’alba diventa sempre più luminosa.


TONY (Riprendendo): La signora… hai visto? Non è uscita!

JONAH: Che strano! L’unica notte che non l’ha fatto!





TONY: È sempre così. Domani notte vedrai. Te lo ricorderai, vero? Imprimitelo bene nella memoria. Stanotte, lei non è uscita!

JONAH: Domani notte uscirà, vedrai.

TONY: Sì, ma stanotte non è uscita e se tu non ti ricorderai di stanotte, domani notte per te sarà la stessa notte, hai capito? Sarà una sola lunghissima notte in cui vivrai nel ricordo di qualcosa che non è mai accaduto e perciò, non accadrà mai.

JONAH: Questa è la prima notte che non esce. Vedrai che domani uscirà. E noi la contempleremo in tutto il suo splendore. Hai visto il chiarore della luna come le rende bianca la pelle? Il viso? Domani notte, Tony, domani notte sarà ancora più bella, vedrai.


DIMITRI, davanti alla porta della stanza del capitano, bussa. Senza aspettar risposta, entra, portando la luce della sua lanterna ad illuminare l’ambiente.

La stanza del capitano, immersa nell’ombra, è vuota. È così come in precedenza l’aveva descritta ad O’Ryan: lo scheletro di un letto di legno, con le assi cadute e impolverate, un comodino semirotto su cui il ragazzo posa il vassoio.

Sul ponte appare O’RYAN che rivolge il suo sfottò a TONY.


O’RYAN: Ciao negro. Nottataccia anche questa?

JONAH: Pensa a come far passare in fretta la giornata. E chiudi la bocca se non vuoi far colazione anche con i tuoi denti.

O’RYAN: Nottataccia!


Il signor ELIPHAS interrompe i dialoghi dei marinai con i suoi ordini.


ELIPHAS: Basta! Mangiate alla svelta e olio di gomito! Ho la frusta impolverata e le mani che mi prudono. Ricci, Clark… oggi tocca a voi il ponte. (Alzando lo sguardo) E tu lassù, occhi aperti che oggi voglio sentire la tua voce! Mi hai sentito?


Silenzio.

Nessuno sembra avere il coraggio di rispondere. Tutti interrompono le loro azioni e osservano la scena.



Nella stanza del capitano, il mozzo DIMITRI si aggira nell’ambiente deserto. Ad un certo punto si siede sulla sedia di legno, davanti allo scrittoio. Prende in mano il calamaio con l’inchiostro ormai seccato. Lo capovolge. Lo posa di nuovo. Volge lo sguardo verso l’alto.

Contemporaneamente, sul ponte, ELIPHAS ripete il suo grido.


ELIPHAS: Dico a te, lassù. Mi hai sentito?

O’RYAN: Signore, Dimitri non è ancora al suo posto.

ELIPHAS: Che significa che non è ancora al suo posto?

O’RYAN: Che non è ancora salito.

ELIPHAS: Non ho capito. Dov’è il mozzo? Chi c’è di vedetta ora?

O’RYAN: Dovrebbe esserci Dimitri, ma non c’è. Ha avuto problemi col caffè per il capitano. Dovrebbe arrivare da un momento all’altro.

ELIPHAS: O’Ryan, prima che perdo definitivamente la pazienza, sali di vedetta e sbarra i tuoi occhi tenendoli fissi sulla linea dell’orizzonte.


O’RYAN non se l’aspettava. Si ghiaccia nella sua espressione di stupore e tutti i marinai assistono alla scena come se si trattasse di una cosa incredibile che sta accadendo proprio davanti ai loro occhi.

DIMITRI, nella stanza del capitano, constata la solitudine e il profondo stato d’abbandono della stanza. Il ragazzo si alza dalla sedia e va verso il grammofono antico. Gli dà la carica.


DIMITRI: Capitano, io come vede sto ancora qui. Il suo caffè è qui. Tutto è al suo posto. Sarebbe bellissimo se ci fosse stato anche lei, lo sa? Signor capitano… posso esprimerle tutto il mio sincero cordoglio per la sua mancanza?


DIMITRI prende il disco sul vecchio grammofono, lo sfiora con una mano per togliere il velo di polvere che lo ricopre e lo posa nuovamente sul piatto, poi lascia cadere la punta del braccio meccanico sul disco che comincia a girare.

Il pezzo musicale della vecchia canzone francese comincia a diffondersi nell’aria, su tutta la nave.


Sul ponte.


ELIPHAS: Mi hai sentito irlandese? Su di vedetta!

O’RYAN: Io… non so se posso… forse…

ELIPHAS: Forse?

O’RYAN: Forse non è giusto. È una cosa che non è mai successa questa. In vedetta è compito di Dimitri. Se ora ci vado io, questo comporterebbe un cambiamento ad un ordine che…

ELIPHAS: Stammi a sentire irlandese… mettiti bene in testa quello che sto per dirti… mi assumo io la responsabilità di tutto quello che può succedere. Di vedetta, da una certa ora in poi, ci deve essere sempre qualcuno, perciò prendi il tuo brutto culo e portalo in fretta lassù, in cima.

O’RYAN: Come vuole lei, signor Eliphas.

ELIPHAS: E voi, branco di lavativi… voglio vedervi saltare come sui carboni ardenti!


O’RYAN si arrampica sui pioli della scaletta di corde che pende dall’alto, lungo l’albero maestro e scompare lassù in cima.

TONY e JONAH cominciano a passare lo straccio sul ponte, mentre ELIPHAS sorveglia il lavoro e passeggia avanti e indietro.

Nella stanza del capitano, DIMITRI si siede di nuovo sulla sedia, accanto allo scrittoio e mentre la musica continua, comincia a parlare.


DIMITRI: Io… io non so dove lei sia signor capitano, però… però vorrei… ho bisogno di parlarle… sì, insomma… con tutti gli uomini che ci sono su questa nave, beh… non può sapere il nome di tutti, anche se il mio… si ricorderà di me, no? Io svolgo la mansione di mozzo e ogni mattina le porto il caffè. Mi chiamo Dimitri e mi scusi, ma il resto del nome l’ho dimenticato.


Sul ponte, tutti sono al lavoro. TONY e JONAH passano lo straccio. Il signor ELIPHAS fa avanti e indietro per il ponte. I suoi passi echeggiano tutt’intorno.

Nella stanza del capitano, il ragazzo continua a parlare all’invisibile capitano.



DIMITRI: È proprio di questo che volevo parlarle. Quando mi sono imbarcato… se lo ricorda quel giorno, vero? Lei dovrebbe prender nota di tutto. Dovrebbe essere appuntato da qualche parte quel giorno… sono qui da tanto di quel tempo io che… che mi sento parte di una grande famiglia ed è per questo che parlo, è per un senso di responsabilità che sento sempre più grande… e voglio confidarmi con lei questa mattina… voglio avvertirla di una mia sensazione. Siamo in pericolo, signor capitano. Non riesco a misurarlo, a quantificarlo questo pericolo, ma lo sento. Aleggia sulle nostre teste. Si respira dappertutto. Adesso… Adesso che sto qui e che sto parlando con lei, lo sento ancora di più. Io so che lei lo sa, signor capitano. E sto qui per avvisarla che… io so che la sua è tutta una strategia. Lei ha un suo piano, signor capitano. E non farò nulla. Tornerò su e farò come sempre. Io sono suo complice. E non dirò nulla agli altri di quello che sappiamo solo lei ed io. Non parlerò. Non rivelerò quello che lei ed io sappiamo… e cioè che tutto si sta cancellando. Io non la tradirò. Non dirò a nessuno che lei si è dissolto. Che ha abbandonato la nave… perché forse lei, in qualità di capitano della nave è stato il primo a cancellarsi… però… però… (Si commuove. Le parole sono rotte dall’emozione) però qualche volta sento che qualcosa mi manca, ma non è lei… no… è che qualche volta ho paura. Giusto un po’ di paura. Nonostante sia felice di star qui, insieme a tanti amici, fratelli… nonostante faccia quello che ho sempre sognato di fare… solcare il mare… navigare… vivere la vita come se fosse un lungo e infinito giorno… e mi scusi, ma lei può capirmi… perché lei non c’è… lei non esiste, signor capitano. Io sento, nonostante questo vuoto che ci pervade… io sento che c’è comunque qualcuno che ci vuol bene… che ci ama… forse… forse è proprio lei. Non lo so, ma sento che c’è qualcuno che ci parla… una voce… e sono parole d’amore. Parole meravigliose. Straordinarie. Ed è grazie a questa voce che qui si continua a vivere, signor capitano… che si continua a sperare, a tirare avanti, a darci perlomeno l’illusione che almeno una speranza c’è. Mi scusi signor capitano, mi scusi se le ho fatto perdere tempo… il suo tempo prezioso… ma questo era quanto dovevo dirle. Il caffè gliel’ho fatto. Sta qui, se lo vuole. È ancora caldo. Se non lo vuole, non si preoccupi, domani mattina passerò a riprenderlo.


La musica sfuma piano.

DIMITRI esce dalla stanza del capitano. Si avvia sulle scalette che portano in coperta, dove gli uomini stanno lavorando solerti. In quell’istante, l’urlo di O’RYAN squarcia il silenzio.


VOCE O’RYAN: Terra… terra… terra… finalmente terra…

JONAH: Riesci a vederla ragazzo? È un’isola? No… di più… è un gruppo di isole. È una distesa di isole. È un arcipelago.

TONY: Netto! Un arcipelago netto e preciso! Signor Eliphas, di che si tratta? Che rotta stiamo seguendo? Lei lo sa, vero?




ELIPHAS: Quella è la Fossa delle Aleutine!

VOCE O’RYAN: Terra… terra… terra… Otto, forse nove miglia a babordo…


Appare DIMITRI.

Il buio scende lentamente sulla nave.

Il buio comincia a ricoprire la scena, mentre pian piano le voci dei marinai sfumano. Un solo raggio di luce resta per qualche istante in più su DIMITRI, ma è solo un attimo in più rispetto agli altri marinai. Alla fine, il buio inghiotte anche lui.

Resta solo il rumore del mare e quello del vento.





PARLEZ-MOI D’AMOUR © 1998

Prima stesura. Cominciata il 18/01/1996
Terminata il 7/05/1998
Seconda stesura. Cominciata il 12/05/2005
Terminata il 18/08/2006

Terza stesura con tagli e suggerimenti della regia
per messa in scena alla Fonderia delle Arti in Roma: 21/10/2010