PARTENZE

di

Laura Sicignano e Alessandra Vannucci

PERSONAGGI 

ROSINA 
ARRUOLATORE 
COMMISSARIO 
OMERO 
DON GIUSTINO 
BARTOLO 
MARIA 
GINO 
ZIA ERMINIA 
MATTATORE 
REGINA DI CUORI 
PRINCIPESSA SUL PISELLO 
JONY LO STAGIONALE 
IL MEDICO 
IL RAGAZZINO MANIN 
L’AMERICA

Questo testo è stato scritto per l’insolito spazio che l’ha poi ospitato: il Maestrale, un pontone per il rimessaggio navale sormontato da una gru alta ottanta metri, ancorato nel porto industriale di Genova. Per giungere sulla piattaforma, il pubblico attraversava il porto al tramonto su un piccolo battello, su cui salivano inosservati anche alcuni attori. Imbarcati verso lo stesso destino (il viaggio per l’America) e seduti fianco a fianco sul battello, attori e spettatori rimanevano poi mescolati per tutto lo spettacolo, senza nessuna separazione tra platea e scena, o tra realtà e finzione. Solo alcuni praticabili dividevano lo spazio verticalmente, in modo da suggerire divisioni interne, per esempio, tra la terza classe dove tutti si muovono e scontrano ed i piani alti, vuoti e quasi di sogno, della prima classe.
E’ evidente che il testo si presta ad essere rappresentato anche in altri luoghi, ma a patto che non vi sia separazione tra attori e spettatori e che vi siano praticabili di altezze diverse

SCENA SUL BATTELLO
Personaggi: Rosina

Siamo sul battello che conduce il pubblico al luogo dello spettacolo. Rosina si avvicina ad una spettatrice e attacca discorso, facendosi sentire anche dai vicini e creando un capannello di ascoltatori. 

Rosina (rivolgendosi ad una donna: le guarda le mani, poi osserva le proprie) – Guarda un po’ che mani rovinate… Tutte piene di macchie, tutte secche, povera me. E non ho ancora diciott’anni! Tu quanti anni hai? Hai le mani così belle... Me le fai toccare? Come sono morbide. Si vede che sei una signora. Vedessi, mia madre poverina ha dei tagli che non si chiudono più. È la soda per i panni che fa i tagli. Faccio la lavandaia. Se all’America divento una signora, avrò anch’io le mani come le tue? L’ho promesso a mia mamma, sai. Quando lei mi ha firmato il passaporto. Perché io la firma non ce la potevo mica mettere, ma non perché non so scrivere, sai, perché io so scrivere, no no, è perché io non ho mica diciott’anni! Tra poco li compio diciotto anni anni, li compio sulla nave. Anche se tutti mi dicono che sono già una donna! Sai! Mio padre, per questa faccenda che tutti dicono che sono già una donna, non voleva mica lasciarmi andare all’America! E no! Ho deciso io di andarci all’America! La croce l’ha messa mia mamma! Di nascosto, sai? Mi ha dato, guarda, mi ha dato l’immaginetta di Santa Caterina d’Alessandria che protegge le lavandaie come me e mi porta fortuna (bacia l’immaginetta). Me l’ha data e sai cosa è successo: una notte m’addormento, ho sognato che Santa Caterina mi diceva: Rosina, Rosina, vai all’America che troverai l’amore! L’America è bella, sai? Io son sicura che all’America divento una signora, lo sento. L’ho promesso a mia mamma. Sai, mia mamma mi ha detto anche: Rosina, prometti che non dai confidenza ai giovanotti e il tuo tesoro tientelo stretto. Hai capito? Ma sai, tutti mi dicono che sono già una donna come faccio?. Stamattina – questa ve la devo raccontare -quando son scesa da Quiesa, c’era ancora buio, che mio papà dormiva. Sai? Correvo un po’ perché se mio papà si svegliava… Sento una carrozza coi cavalli, mi son fermata a guardare che bella carrozza, e un giovanotto così elegante dal finestrino mi dice: dove vai a quest’ora, signorina? Vado all’America! E quel signore si è messo a ridere e così mi ha portata fino a qua. In carrozza, sai? E mi ha anche dato una cosa, guarda (mostra un biglietto da un dollaro che tiene nascosto in seno) che mi ha detto che è una moneta dell’America, che si chiama un dollaro. Che lui in America c’è già stato! E lui è un vero signore, sai, ha tanto un buon profumo, e me l’ha dato il dollaro per portarmi fortuna. Non mi ha mica chiesto niente in cambio. Però io ci ho pensato. Che io il mio tesoro non me lo voglio mica tenere per me, lo voglio dare a un signore come lui, tanto profumato, che in America son sicura che lo trovo. Te lo dico a te che sei mia amica. Anche tu vai all’America. Ti auguro tanta tanta fortuna. 

All’arrivo
Buona fortuna tutti all’America

Il battello intanto ha raggiunto la banchina. Dalla banchina, mentre il pubblico sbarca, un arruolatore al soldo delle compagnie di navigazione arringa i viaggiatori.

SCENA DELL’ARRUOLATORE
Personaggi: l’arruolatore

Arruolatore – Signori venite! Andiamo all’America! Andiamo in un paese che è il più bel paese del mondo: una vera cuccagna, come si suol dire! È il paese dei balocchi! È l’America! Viene anche lei? No? Ci ha pensato bene? Se non viene, se ne pentirà. Dove vorrà trovare un paese più salubre? La Merica! Vacanze dal primo di gennaio all’ultimo di dicembre. È l’America! Mia bella signorina, lo sa lei cosa si fa tutto il giorno in quel benedetto paese dei balocchi? Lo sa o no? Ci si balocca dalla mattina alla sera! La sera si va a letto, e la mattina si ricomincia daccapo! Vi passano le ore che è una bellezza! Che dico, le settimane, i mesi gli anni che è un soffio! Modestamente, che ve ne pare?
Allora, volete partire con me? Dove scappate? Basta di faticare! Per di qua, etc.
Lecca a Merca ! Vedete? In quel paese, signori, non vi sono padroni, non vi sono esattori delle tasse, non vi sono governanti disonesti! Lecca a Merca! Signori, è tutt’un’altra cosa! Là non c’è da faticare! (a un giovanotto) Là si vive a riposare e a far l’amore! Ecco un paese come piace veramente a noi! Eh, bella signora ? Così dovrebbero essere i paesi civili di questo mondo, dico io.
Allora? Lecca a Merca! Signori! Ora o mai più… L’America! L’America! Potrebbe essere la vostra ultima occasione!
Lecca a ‘Merca! Lecca a ‘Merca! Allora, signori! Benvenuti! In un batter d’occhio, signori, come si suol dire, ho l’onore di portarvi a quel paese, signori! Il paese della cuccagna, dove il vino e il latte sgorgano dalla terra se ci pianti un bacco! Lecca a ‘Merca! 
L’eldorado, come si suol dire, dove si distribuisce terre, cavalli, buoi, pane bianco, grappa e vino a volontà! Signori, è tutt’un’altra cosa! Colà non vi sono padroni, non vi sono esattori delle tasse, non vi sono governanti disonesti! Lecca a ‘Merca! Là non si fatica per vivere! Chiunque abbia un po’ di salute e (a una signora del pubblico) che sia bene in carne, insomma…e (al marito) che abbia qualche idea in capo in quel bel paese diventa ricco in un batter d’occhio. Ricco, ma che dico ricco! Arciricco! Milionario! Miliardario! Quello è un paese che i dollari li trovate appesi alle piante. È l ‘America! Lei, per esempio, cosa mi saprebbe fare all’America? Qual è il suo mestiere, come si suol dire?
Ritrattista? Cuoco? Pasticciere? Sarto? Calzolaio! Commerciante! Marinaio! Ortolano? Pescatore? Fruttivendolo! legnaiolo o carbonaio? Sa suonar l’organetto? 
(deluso) Contadino.

Rosina – Io so far la lavandaia!

Arruolatore – Lavandaia! Mestiere del secolo passato! L’America è il paese del futuro! A lavare i panni ci pensano le macchine! All’America le macchine pensano, lor signori! Non spetta a lei, con queste belle manine…

Rosina – Guardi che io m’ingegno a far qualsiasi mestiere. 

Arruolatore – Ma quale ingegno e ingegno. Non c’è bisogno di affaticarsi con l’ingegno. Se le dico che all’america sono le macchine a pensare, vuol dire che alle persone questa fatica non tocca più. Non c’è bisogno d’ingegnarsi per lavorare! A lei il lavoro glielo trovo io e un lavoro semplice che non costa fatica. Come si chiama?

Rosina – Rosina

Arruolatore – Signorina Rosina, il lavoro che fa per lei ce l’ho sulla punta delle dita: operaia in una grande fabbrica di sapone! Con il sapone l’America ci fa funzionare le macchine per lavare i panni. La fabbrica! Un lavoro moderno, il lavoro del futuro, pulito, profumato e (le prende una mano) che non le rovina le mani…

Rosina – Accetto!

Arruolatore – Brava la nostra signorina…(tirando fuori delle carte) come si chiama?

Rosina – Rosina

Arruolatore – Rosina…Rose… Rosy! Ecco il suo nome americano! Scriva qua… firmi…(lei scrive, lui osserva) No! Rosy! Non con la i, ma con la y come Nuova York, come Buenos Ayres! Y! Una lettera moderna per un nome moderno, come si suol dire, un nome del futuro! Signore e signori, ecco una signorina coraggiosa! Questa ragazza avrà fortuna! Fate come lei… ormai abbiamo rotto il ghiaccio… io in persona ho l’onore di garantirvi uno splendido futuro. Un lavoro su misura per voi all’America. Pensate che fortuna: arruolati col contratto ancor prima di partire. Chi si propone? (si rivolge a singoli spettatori) Signore? Lei che ha braccia muscolose, un vero maciste…Cerchiamo giovanotti come lei. All’America lei costruirà ferrovie che attraversano le grandi pianure selvagge da un Oceano all’altro Oceano portando il progresso. All’America lei costruirà il futuro. Accetta? Bravo! Firmi qui. Arruolato per contratto! Anche a lei il suo bravo nome americano: come si chiama? (storpia il nome dello spettatore aggiungendovi una y, e così via con i seguenti “arruolati”) Forza! Firmi! Non sa scrivere? Una bella croce qui, come si suol dire… qui sotto.. Un altro arruolato per contratto! Avanti, c’è posto. Nessun altro? Ma signori! Signori! Modestamente, signori, state perdendo la vostra grande occasione americana. Lei, signore, ha già il passaggio per il piroscafo? No? Bene, io in persona le procuro il passaggio gratuito. Eccolo! (mostra un biglietto) Senza pagare! Basta che firmi qua. Paga la fabbrica. Bravo! Arruolato per contratto! Il signore ha guadagnato un passaggio gratuito all’America! Sola andata! L’America vi aspetta a braccia aperte, come si suol dire. E lei? Ma lo sa quanto risparmia? 200 lire come minimo, il valore di un castagneto, i risparmi di una vita di lavoro. E ci state a pensare? Venticinque giorni di riposo respirando l’aria pulita dell’Oceano, in panciolle come si suol dire, a baloccarsi dalla mattina alla sera! Senza pagare niente e mangiando colazione, pranzo e cena. La sera si va a letto, e la mattina si ricomincia daccapo! Allora? Lei vedo che si è deciso…come si chiama? (storpia il nome come sopra) Firmi qui. Arruolato per contratto! Lei anche? Aspetti, aspetti! Lei ha già firmato? Ha due bambini? C’è lavoro anche per loro! Firmi, firmi. Arrivo, calma, insomma un po’ di pazienza, come si suol dire (va in giro a raccogliere più adesioni possibili) Eccoci! Eccoci! Siamo vicini, signori e signore, modestamente potete ammirare il piroscafo che vi condurrà in America. Raccogliete gli stracci, tenete per mano i bambini e attenzione ai portafogli! Come si suol dire, non date confidenza! Mi raccomando, signori, non dite a nessuno del nostro accordo.. Modestamente, solo a voi è capitata la fortuna di incontrarmi. Non parlate di me quando mostrerete il biglietto al commissario. Via, via, via. Buona fortuna! (sfolla il pubblico verso il commissario che intanto li chiama a larghi gesti)

SCENA DELL’ARRIVO 
Personaggi: il commissario, Rosina, Omero, Bartolo, Don Giustino, Bambino, Maria, zia Erminia, Gino, Regina di cuori. Jony.
Questi personaggi, già visibili e in attesa durante la scena precedente, accolgono il pubblico e ad esso si mischiano Gli spettatori riempiono lo spazio disponibile, creando una folla. Alcuni attori salgono su praticabili per farsi vedere e sentire. Spesso gli attori parlano contemporaneamente, creando confusione, spintonano il pubblico per vedere meglio; Omero si aggira tra la folla e parla e tu per tu con gli spettatori.

Commissario – Forza, signori, avanti verso di me. Il piroscafo non aspetta. Veloci, veloci che il piroscafo non aspetta. In semicerchio di fronte a me. Preparate i documenti. Riunite le famiglie! Ho bisogno dei capifamiglia. Che alzino la mano i capifamiglia! (distribuisce matite, foglietti e cartellini che valgono come voucher per il rancio) Signora! (a Erminia che ha alzato la mano) È la madre?

Omero (mescolato alla precedente) – L’America non esiste, non esiste. Fan morire la gente.

Erminia – Eccoci. Noi noi. Sono la zia. Olivieri Erminia. E lui è Capurro Gino, mio nipote.

(regina ruba )

Gino – Ou, ou! Va sta ladra.

Omero – In America sono tutti cravatte e sorrisi. In America ci sono andati in tanti. UN mucchio ma ora non ci va più nessuno.

Commissario – Olivieri? Ho un amico in America, Olivieri. Sarà mica suo parente? Non mi ricordo come fa di nome.

Erminia – Ce ne sono tanti di Olivieri che sono andati in America. 

Commissario – Bravi. (a tutti) I capifamiglia carta e matita. Scrivano sulla carta: nome, 

Omero – L’America non esiste.

Commissario – cognome, 

Omero – io lo so perché ci sono stato

Commissario - età, 

Omero – hanno il culto del denaro

Commissario - mestiere, 

Omero – l’america è qui.

Commissario - malattie, 

Omero – L’america non esiste

Commissario - quanti figli, o nipoti, che età hanno, quanti soldi portate. Domande? (a Regina di cuori che ha tenuto la mano alzata) 

Regina di cuori – Io. Il mestiere lo posso saltare? È riservato ai clienti. Per il resto sono una femmina sola. Mi chiamo Regina di cuori. L’età non te la dico. Malattie non ne ho prese finora. A buon intenditore… 

Omero – Strega e ladra.

Commissario – Oua! Scrivi artista. 

Regina – Artista

Commissario - Bada bene che mi, porcaie a bordo non ne voeugio. I passeggeri che viaggiano soli devono unirsi ad un capofamiglia. 

Regina di cuori – Questo è la mia specialità.

Commissario – I capifamiglia sono i capi-rancio. (a Regina di cuori) Tu, artista, trovati una famiglia altrimenti non mangi. (Regina di cuori avvicina uno spettatore)

Regina di cuori – Viaggi solo? Vengo con te.

Commissario – Dovete conservare questa carta. Sulla carta devono esserci i nomi di tutti i famigliari, compresi gli estranei. È chiaro? (in ritardo e rumoreggiando arrivano i contadini, pieni di bagagli) Forza, voi! Il piroscafo non aspetta! Chi è il capofamiglia? (Bartolo avanza col cappello in mano) Sai scrivere? No. Nome. 

Bartolo – Rosolan Bartolo 

Commissario – Età 

Bartolo – 49 anni

Commissario – Mestiere

Bartolo – Contadino

Commissario – Malattie

Bartolo – scuote la testa

Commissario – Bravo. Quanti figli?

Bartolo – (li conta mentalmente) 

Maria – (alludendo al proprio ventre gravido) Bartolo… Non glielo dire!

Manin – Nove!

Commissario – Bene! Bravo bambino. Chi sei?

Manin - Manin

Commissario - Chi ha finito di scrivere, pieghi la carta e la conservi. Matite nella cesta! 

Omero – Che là non c’è stato neanche il diluvio universale. Serpenti grossi… grossi come l’america.

Commissario - E’ tutto chiaro? I nomi registrati sulla carta hanno diritto al rancio e alle posate. I capirancio sono responsabili dell’ordine durante il rancio. Ciascuno deve lavare le proprie posate e restituirle all’arrivo. I passeggeri che perdono le posate dovranno rimborsarle. 

(mentre scrivono, il Commissario legge l’editto. Manin gira tra la gente sfuggendo alla madre che lo cerca, chiamandolo a bassa voce; altri attori badano ai loro bagagli verificando più volte il contenuto. Omero si aggira tra la folla brontolando. A volte interrompe il commissario, alzando la voce) 

Commissario – Ora procederò alla lettura della Circolare del Commissariato dell’Emigrazione. Roma, 8 luglio 1904.
Ogni persona che intenda recarsi in America deve esser provvisto del passaporto rilasciato dal Console del paese di destino, nel quale risulti che possiede parenti prossimi colà o che sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. 

Omero – Una volta in america c’andavamo in tanti… un mucchio… or non ci va più nessuno, che là non è mica più l’America di una volta… 

Commissario – Ogni persona che intenda recarsi in America deve essere ed apparire atta al lavoro e di robusta costituzione. Saranno respinte persone fisicamente o intellettualmente difettose o che abbiano riportato condanne per reati infamanti. 

Omero – L’America non esiste. Io lo so perché ci sono stato. C'era Menego, Bernardin, Giovanin del Re, c'era il fratello di Tugnin del Re, c'era un altro che non era di Fontanarossa, Leiginin… quello di Zuallo, c'era il Pitta. 

Commissario – Sì, c’era Pitta. Si vieta l’imbarco ai lavoratori arruolati per contratto.
Saranno respinte povere che possano cadere a carico della pubblica beneficenza, persone in età superiore ai cinquant’anni e persone che, ancor in buona età, non presentino florido aspetto fisico. Si vieta inoltre lo sbarco agli emigranti affetti da malattie contagiose e nauseanti, come: 

Omero – L’America non esiste

Gino – E basta!

Commissario - ciechi, zoppi, gobbi, sordomuti, mutilati, o deformi. Saranno respinte donne con bambini che non dimostrino di essere chiamate da parenti, donne incinte non maritate o con prole senza marito. 
Quanto sopra va riferito a tutti i passeggeri, prima classe esclusa.

Omero - E là parlavano tutti mericano come noialtri… si parlava sempre mericano no… cosa vuoi fare? Ah! ma è brutto eh, quando si va via! … io ho passato tutto… a momenti sono passato anch'io.

Maria (porta un paniere di fichi come bagaglio) – Bartolo! Hai promesso che torniamo per la vendemmia.

Bartolo – Stai attenta a Manin che ti scappa

Maria – Manin stai qui (strattona il bambino) Mi hai promesso che il bambino nasce a casa.

Bartolo – Non l’ho detto al Commissario del bambino. Magari ci facevano pagare un altro biglietto?

Maria – Hai promesso che torniamo per la messa della nonna.

Bartolo – Ho promesso, ho promesso. 

Maria – Hai promesso sul nome della Madonna Addolorata.

Bartolo – Maria, abbi fiducia. Vedrai che la Madonna ci protegge. Andiamo in America, 
Maria. Manin stai buono, siediti qua! 

Omero (a Maria e Manin che si spaventano) – Quelli che sono andati in città, a Milano, a Genova, quelli la fortuna l'han fatta. Ma quelli che son andati in america… son tornati più poveri di prima… e vecchi… han fatto delle vite grame… (continua il brontolio).

Entra Don Giustino con i biglietti del piroscafo per distribuirli alla famiglia di contadini.

Don Giustino – Omero, lasciali stare quelli lì. Dai che poi facciamo un po’ di conversazione. (a Bartolo) Riunitevi, avete sentito: dovete stare insieme. Bartolo, stai bene attento: ecco i biglietti per te, Maria e i bambini. Custodiscili fino all’arrivo (glieli infila in una tasca).

Manin (a Bartolo) – Ma quando arriviamo in America?

Omero – L’America, e cosa sarà mai! L’America è qui. 

Bartolo – Domani, Manin. Stai buono.

Manin – Ma l’America non è qui! Don Giustino ha detto che ci staremo un mese sulla nave. È lontano.

Omero – Dove andate! È qui l’America! 

Bartolo – Si, si. Un mese ci stiamo sulla nave, Manin. Vieni via. 

Maria – Un mese? Non ho portato da mangiare per un mese. Moriremo di fame. Guarda qui (mostra il paniere dei fichi) Ne abbiamo già mangiati metà a venire dal paese fino qui. Moriremo di fame. 

Omero – Non mangiate i funghi. Fan morire la gente in America. Poi là non c’è stato neanche il diluvio universale; c’è dei serpenti grandi come capre nei boschi. (vedendo Regina di cuori che sta rubando i fichi dal paniere non vista) Di notte c’è maghi e streghe e poi anche frati massoni. Le streghe danzano la giga e s’imbellettano la faccia per sembrare altre.

Don Giustino vede Regina che sta rubando e la allontana a spinte. 

Regina di cuori – Danzano a cavallo della scopa. E i mericani se ne vanno al galoppo. (canta buttando all’aria i bagagli di Bartolo) 
I mugliere r’americani
Vanno a la chiesa cu sette suttane
Vanno a la chiesa e pregan a Dio
Manna renari, marito mio
I renari ca tu m’hai mannato
M’aggiu magnati cu u’ namoratu
M’aggiu magnati ca bona salute
Manna renari, curnutu futtutu

I contadini cercano di riunire i propri bagagli, che si rovesciano. Anche la cesta dei fichi di Maria si rovescia e vengono schiacciati. 

Maria – Oh poveri noi! Le nostre mele, moriremo di fame. Madonna mia proteggici.

Regina di cuori – (canta per Maria, dando calci ai fichi) Cara moglie di nuovo ti scrivo
Di non darla né a preti né a frati
E dalla pur ai più disperati
Chè nel mondo di pace non han.

Commissario (a Regina) – Porcaie a bordo non ne voeuggiu. A te ti sbarco se continui così.

Jony Parodi (ha perso il suo coltello nella confusione ed interroga gli spettatori) – Ehi, voi, spostatevi. È sparito il mio coltello. Proprio qua. Avevo un coltello in tasca, dico. Puta madre. Il mio coltello. Y como no? La mia navaja. Un coltello nero, con scritto Jony Parodi. Sono io Jony Parodi.

Omero – Jony, l’americano! ti cambia pure il nome l’America ! 

Jony – Mi hanno spinto ed è caduto. Proprio qui dove siete voi. Badate che io viaggio da una vita. Non provate a fregarmi. (a Manin che maneggia il coltello trovato per terra) Ah, beibi, me l’hai preso tu. Dammi qua. Camon! Dov’è tu padre? 

Maria – Manin, stammi vicino per carità.

Jony – Stategli appresso a vostro figlio, vi finisce male. Questo poi è mio. Ci trabaco con questo. Ha un buon filo. Ci taglio le pannocchie americane. 

Rosina – Tu hai il coltello! Che bello… Io ho un dollaro, guarda. 

Omero – Un dollaro, capisci… hanno il culto del denaro ma il denaro non vale più niente

Rosina – Un dollaro. Il mio portafortuna. Lo sapevo che tutti hanno qualcosa in tasca che gli porterà fortuna all’America. È vero? (ad un altro spettatore) Tu ce l’hai? Qual è il tuo portafortuna? Ripete la domanda a cinque o sei spettatori sottovoce. 
Tu no? Ma devi portarlo, sai! Pensaci, è importante!

Commissario – Chi non è passeggere a terra! I maschi due passi avanti verso di me

Suona lugubremente la sirena dell’imbarco. Il commissario sospinge i viaggiatori verso le strette passerelle che danno accesso al pontone. Attori e spettatori creano un corteo. 

SCENA DEL CORTEO 
Personaggi: gli stessi 
Viene portato un cartello con la scritta ABBASSO I PADRONI, VIVA L’AMERICA 

Don Giustino – Viva la Merica! 

Gino – Abbasso i padroni! 

Corteo dei contadini – Abbasso i padroni! Viva l’America.

Manin– Com’è l’America, padre?

Don Giustino – E’ il paese buono e spazioso dove scorre il latte e il miele!

Manin – Ma è vero che bisogna attraversare tutto il mare, padre? 

Don Giustino – E’ vero, è vero. Ascoltate tutti! (tutti si fermano ad ascoltare la predica) Gli Egiziani fecero servire i figliuoli di Israele con asprezza e mareggiarono loro la vita con una dura servitù adoprandoli nei lavori d’argilla e nei mattoni e in ogni sorta di lavori dei campi. Imponevano loro tutti quei lavori con asprezza. Allora l’Eterno disse “ho veduto, ho veduto l’afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il grido che gli strappano i suoi angariatori. Conosco gli affanni del mio popolo e sono sceso a liberarlo dalla mano dei padroni per farlo giungere in un paese buono e spazioso, nel paese dove scorre il latte e il miele”. Figli miei, dove andiamo?

Corteo dei contadini – All’America! Viva l’America! 

Gino – E morte ai padroni!

Don Giustino – E l’Eterno fece ritirare il mare con un vento gagliardo e ridusse il mare in terra asciutta. E le acque si divisero. E i figlioli di Israele entrarono in mezzo al mare sull'asciutto e le acque formavano come un muro alla loro destra e alla loro sinistra. Figli miei, dove andiamo?

Corteo dei contadini – All’America! Dio salvi l’America! 

Suona più forte la sirena della nave. 

Commissario – chi non è passeggero a terra. I maschi a destra. Le femmine a sinistra. Signori passeggeri, per favore, donne a sinistra, uomini a destra. Procedete in due file. Avanti. (Il commissario divide il pubblico sui due marciapiedi) Maschi di qua, signore di là! Ci si imbarca.

Omero – E state attenti ai birbanti che vi pigliano il denaro in saccoccia in America. Fan morire la gente in America. 

Commissario – Basta, Omero. Ora scendi. Vai, vai all’osteria che t’aspettano. Tu non parti.

Omero (mentre il pubblico e gli attori si avviano in corteo verso il pontone, parlando singolarmente alle persone) – Ah! ma è brutto eh, quando si va via! io ho passato tutto… a momenti sono passato anch'io. L’America non esiste. Io lo so perché ci sono stato. Una volta in america c’andavamo in tanti… ora non ci va più nessuno, che là non è mica più l’America di una volta… Quelli che sono partiti, son tornati più poveri di prima… e vecchi… han fatto delle vite grame. C'era Menego, Bernardin, Giovanin del Re, c'era il fratello di Tugnin. Mandavano un dollaro a casa. Un dollaro! Hanno il culto del denaro. Ma il denaro non vale più niente. Niente! La Merica è finita. 

Commissario – Chi non è passeggere a terra! Omero, sgombera! Si parte!

Suona per la terza volta la sirena della nave. Attori e spettatori si imbarcano sul pontone, da cui non scenderanno più fino alla fine dello spettacolo. 

(durante il percorso gli attori cantano)
quando saremo in merica la terra ritrovata
ai sior ghe darem la zappa
La zappa e anco il badil

Omero è chiuso fuori e urla.

Omero – Io l’ho sognata l’America, l’ho sognata, ma non l’ho sognata bene! 

Commissario - Chi non è passeggere a terra. Prepararsi alla manovra . si parte per l’america.

Gino (batte coi pugni sulla valigia, urlando sarcasticamente) – Viva l’Italia!

SCENA DEL TEATRINO
Personaggi: tutti.
Il mattatore, montato su un praticabile, osserva l’imbarco e descrive la nave agli spettatori con una retorica compiaciuta, che scivola continuamente nell’avanspettacolo, sottolineando doppi sensi scollacciati ad ogni battuta. Le soubrettes lo assecondano con controscene grassocce. Gli altri attori commentano e intervengono a braccio.

Mattatore – Il tempo splendido! Il mare un coppo d’olio! Basta che parte da un porto di mare una compagnia d’arte drammatica che il cielo si fa sereno. Che bel colpo d’occhio! Signore e signori! Ho l’onore di presentarmi: sono un artista, di mestiere faccio sgorgare emozioni! Ed ecco a voi la Regina di cuori (appalusi) e la Principessa sul Pisello (applausi). La nave è il gran teatro del mondo. Artisti, signori e popolo insieme a cercar fama e successo in America. Ogni bastimento ha il suo carico di società moderna: alla base, a fior d’abisso, gli umili, la zavorra umana, che si ammucchia a grappoli intorno ai boccaporti, che si pigia davanti alle cucine per la distribuzione del rancio, che ostenta sotto la canicola dell’equatore le sue carni nude,(nude!) bimbe ostentate un po’ di carne, tra scuciture e sbrendoli, e libera la sua anima dionisiaca, tra canti e risa in un tripudio spensierato. Nella zona media, con poca aria e scarsa luce, la piccola borghesia seria ed operosa, china sull’abaco a calcolare i risparmi, che sogna di far fruttare per i nipoti. Sovra coperta, dove splende il sole e spira fresco il vento dell’Oceano, ecco finalmente i ricchi, i potenti, i favoriti dalla sorte (buuu) intenti a salubri attività ginniche - bimbe via con le attività ginniche - e ad amorosi sollazzi mentre sul ponte fiorito delle candide toilettes delle signore il comandante indica la rotta verso occidente.
E come in un fervido alveare che custodisce nel suo grembo l’ape regina, così il nostro transatlantico custodisce lassù il suo più prezioso bagaglio, la perla nera, il più fulgido frutto del nostro ingegno italico. Signore e signori, chi di voi m’indovina di quale onore possiamo fregiarci? 
(Attende la risposta)

Gino – La fame! La miseria!

Mattatore - Quale simbolo d’Italia nobilita il nostro bastimento?

Zia Erminia – La pasta e fagioli! (tutti ridono)

Mattatore – Italiani, razza incline allo spirito! Ma signori, è ben altro. Quale splendente vessillo del nostro genio sventola sulla prua della nostra nave? 

Jony – Quella sventola della tua amica! (ridono tutti. Regina di cuori graziosamente accenna) 

Mattatore –Oh, italiani, razza di galantuomini! Ma sono certo che tutti voi amate l’arte e sapete riconoscere i suoi frutti sublimi. Signori, signore, ho l’onore di svelarvi un segreto. Come una perla rara, nella più recondita cabina del bastimento noi portiamo in America la grande, la divina, l’unica diva, la signora, lei! Eleonora Duse! (tutti si stupiscono) Va’ o fortissima artista! Va’ Eleonora e vinci, e che almeno in quei lontani paesi sappiano che se l’Italia è umiliata di colpe non sue, rimane sempre la regina dell’arte! Tutto il bastimento ti sostiene come polena che fende le acque, freme per te, dalla stiva al castello di prua pulsa di energia ed operosità. Nel grande labirinto mille cantucci, nicchie, bugigattoli, magazzini, dormitori, laboratori d’ogni fatta ospitano qualcuno che scrive o cuce o impasta o cucina o lava o martella, rimpiattato come un grillo nel buco. E tutto questo per chi? Per lei, la regina della nostra meravigliosa città galleggiante. (indicando le soubrettes ai due lati) Poppa e va che poppa e prua e va la prua sono i suoi sobborghi (tutti ridono). E come infernale orchestra la macchina smisurata muove il tutto, risuona di argani e bitte e molinelli e grandi catene d’ancore e boccaporte e trombe a vento e cavi e vele, bozzelli e braghe. Al centro lo stantuffo si muove inarrestabile e bravo bambino fai lo stantuffo fin da piccolo (mima il movimento pendolare con gesto sconcio) potente generatore della vita, in su e in giù in su e in giù. Il tremito delle pareti ci avverte che l’edificio è fragile e va’. E va’ e va’ e va’. (alludendo a Jony Parodi, imbambolato a guardare le anche delle due soubrettes) E l’occhio del viaggiatore si fissa stolido sull’eterno saliscendi dello stantuffo. Non è la noia che Leopardi chiama il più grande dei sentimenti umani. Osservate il suo effetto sul volto maschio del nostro galantuomo che poc’anzi si prodigava in frizzi e lazzi: è ormai caduto in uno stato di totale istupidimento, un imbecillimento che si manifesta in una cascaggine generale di palpebre, di guance, di labbra, come se la sua faccia fosse fatta di carne lessa. Osservate! Un vero asino. (tutti ridono) Ipnotizzato dal moto pendolare della macchina che è il cuore misterioso della nave. E laggiù, nei bassifondi di questa città tutta affaccendamento e rumore, odorante di carbone, d’olio di catrame e di fritto, il lavatoio e il macello, l’acqua dolce e l’acqua salata, la fabbrica del ghiaccio e l’ospedale, i forni e la cucina i bagni e la pasticceria, la calderina, i viveri, la biancheria, i fanali. (ora le soubrettes faranno la pantomima e i versi degli animali, coinvolgendo il pubblico) bimbe andiamo avanti con il numero delle vacche nelle stalle…Nelle stalle muggiscono i buoi e nitriscono i cavalli, tubano i piccioni e starnazzano le galline e… che verso fanno le gallino? Che verso fanno le mucche? Che verso fanno i piccioni? Che verso fanno le galline? (marco – coccodè) (Regina estrae dal decoltè un uovo) Mi ha fatto l’uovo, signori! L’uovo di Colombo! O uovo provvidenziale, primo uovo americano. Ogni giorno me ne fa uno, fresco di giornata, e questo è per la divina signora, solo per lei… Chi si fa sotto, signori? Chi di voi riuscirà ad offrire questa primizia alla nostra diva Prego prego! (a Jony, che esita e allunga timidamente la mano) Lei giovanotto! Ma bravo! Con queste sue mani sozze? (Principessa sul pisello estrae un cucchiaio dal decolté e lo infila in bocca a Jony, il mattatore mette l’uovo nel cucchiaio spingendo Jony, che scende dal praticabile in precario equilibrio) Bimbe fuori il cucchiaio. Depositiamo il cucchiaio nell’apposito orifizio. Signori! Un bell’applauso. E ora via con il trenino dell’amore (Jony avanza col cucchiaio seguito da tutti che ridono, meno Manin incantato dalla scena, che si confonde tra il pubblico e Maria, che lo cerca)

SCENA DEL FIGLIO RITROVATO
Personaggi: Maria e Manin

Maria – Manin! Manin! (a uno spettatore) Signore, avete visto quel bambino col fazzoletto rosso? Manin! Mi è scappato di nuovo. Aspetti, scusi! Ho perso ancora il bambino! Si ricorda, l’ha visto lei stamane, col fazzoletto rosso! Me l’ha raccomandato suo padre, di non lasciarlo scappare. Manin… per carità, vieni fuori.

Manin (spuntando da un nascondiglio)– Mamma! C’è il teatro sulla nave. Vieni a vederlo anche tu.

Maria – Dio sia lodato, Maria Vergine. Perché mi scappi così?

Manin – Ma mamma, c’è una signora importante! Però non ce l’hanno fatta vedere. Però la gallina ha fatto l’uovo.

Maria – quale uovo e uovo. Mi hai fatto una paura. E se mi cadi in acqua? 

Manin – Hanno fatto un gioco che c’era un signore che teneva l’uovo di Colombo nel cucchiaio. E non lo faceva cadere. Se ci provassi io ci riuscirei…

Maria – Vieni qui, dammi la mano adesso e stai vicino a me. 

Manin – Mamma lo sai che tutto il bastimento si muove perché nel cuore ha una cosa che fa così su e giù su e giù. E va’ e va’. Però non lo puoi guardare tanto che diventi scemo? E ti casca la faccia, lo sai?

Maria – Tuo padre ci aspetta. Ci danno da mangiare.

Manin – Mamma, anche noi in America mi darai l’uovo ogni mattina come quella signora importante? 

Maria – Hai fame, Manin? Andiamo. Aspetta aspetta la mamma.

SCENA DEL RANCIO 
Personaggi: Jony, Gino, Rosina, la zia Erminia, Bartolo, Don Giustino, Maria e Manin

Gli attori maschi gettano dei materassi a terra e fanno sedere o sdraiare il pubblico.
Poi si dispongono in semicerchio fianco a fianco degli spettatori e mentre gli uomini giocano alla morra scandendo ad alta voce i numeri (un dui cinc vot! Issa.), Zia Erminia distribuisce il rancio che consiste in poche gallette e un fiasco di vino. Durante la scena tutti mangiano e bevono. Ogni tanto passano qualcosa anche agli spettatori.

Rosina – E’ pronto.

Zia Erminia (passando con la cesta) – Eccola qua la nostra pasta e fagioli…Ci vogliono i denti buoni per ‘sta roba.

Gino – È il premio per il lavoratore! Evviva l’Italia!

Regina di cuori – Se ti sembra poco ne tieni in bocca un morso e lo succhi come una caramella (prende più di quanto le spetta). 

Jony – Cento cani intorno a un osso. (a Regina di cuori) Tu com’è che hai preso tutta quella roba?

Regina di cuori – Che fai, mi buchi la pancia col tuo coltellino? (e mangia rapidamente)

Gino – La trippa per tutti c’è eccome. Ma se la mangiano i padroni. 

Mattatore (che è arrivato in quel momento, struccato) – Altro che trippa. Non ve lo sognate il menu dei signori lassù in prima. Pasticcio di fegato, petti di pollo al madera… 

Jony – Razza mendiga che siamo noi italiani. Tutti gretti: poveri e padroni. La poveraglia son dei poco di buono. I signori san solo guastar capitali. Il governo è atrasado. Chi sa fare il bizinis se ne va in America. 

Gino – Il bizinis… Sulla pelle dei lavoratori fanno i soldi. America o Italia è la stessa minestra.

Zia Erminia – La minestra la mangia chi lavora e non straparla.

Maria (a Bartolo) – Son finite le gallette?

Bartolo – Ce n’era poche. 

Mattatore – Sapeste… quel fritto di pesce passato ieri sera…(si annusa la giacca sognante. A Manin, che corre di qua e di là portando il vino) Senti qua, l’odor di pesce che c’è rimasto. Tutto quel ben di Dio eppure la signora non è neanche uscita dalla cabina.

Rosina – La signora Duse?

Mattatore – Mangia proprio come un uccellino, la signora. Sempre tardissimo, dopo la recita. Lei si rifiuta di entrare in scena a pancia piena.

Zia Erminia – Chi ha il pane non ha i denti. E chi ha i denti… Gino, taglia il salame. Quel bambino lì ha fame.

Maria (a Manin) – Salame, Manin! Dì grazie alla signora.

(il salame è distribuito a tutti e Don Giustino fa passare il vino, bevendone un buon sorso)

Mattatore (a Bartolo) – Ieri sera la signora era indisposta. Non voleva vedere nessuno! Se sapesse che ci sono anche io sul piroscafo…

Rosina – L’hai vista? È bella?

Mattatore – La signora? Indescrivibile.

Don Giustino – Bevete che fa buon sangue. Sangue di Cristo! (brinda allegro)

Jony – Salud !

Mattatore – Alla divina artista!

Regina di cuori – Alla faccia dei poveracci!

Don Giustino – Dio vi benedica. Che l’America ci salvi tutti.

Rosina – A me mi protegge Santa Caterina d’Alessandria, sai don giustino.

Regina – A me mi protegge San Pilastro sai don giustino. (e ride forte)

Mattatore – Shh. Piano, piano… Stamane la signora aveva i nervi. 

Jony (tirando fuori dalla sacoccia un altro pezzo di pane ed il coltello) – L’ America non è manna che cade dal cielo. Se ci van dei mendigos tornano più mendigos di prima. Uno è partito solo con la valigia ed è tornato che non c’aveva più neanche quella.

Don Giustino (allegro) – Ma noi nel nostro mandillo insieme al pane ci mettiamo la speranza. E la buona volontà. 

Gino – Ce ne vuole di buona volontà! Se le leggi le fanno i padroni. Buona volontà del ciuco che tira il carretto. Io Io!

Jony – Poi si lamentano che muoiono di fame! Poca voglia di trabajar. Arriop! Sveglia! Io me lo guadagno il pane. Ogni anno faccio il viaggio e vado a cortare il trigo americano. Avanti e ‘ndrio. In una stagione mi porto via da mangiare per l’anno che viene. E poi si ricomincia.

Bartolo (sottovoce a Maria) – Senti cosa dice, che l’America ci darà da mangiare tutto l’anno.

Gino – Bravo! Carne d’Italia gettata sul mercato straniero. Vai a far lo schiavo al posto dei negri.

Zia Erminia – Gino! Non si parla con la bocca piena. 

Jony – Cosa ne sai tu che non ci sei mai stato in America! Sciatap! Ci son delle strade là che non si dorme mai, che bisogna andarci come qui in Italia quando c'è i cortei. C’è la plata! Là è tutto diverso… ah, c’è troppa abbondanza! Tumach! Quando ci sono andato io a San Francisco non ce n’era mica di moneta di carta! No! Tutto oro e argento! Nelle factory c’è lavoro per chi non perde tempo nei vizi. 

Maria – C’è poco da aver vizi con nove figli da sfamare. 

Regina – Di modi per cavarseli, i figli, ce n’è. Si vede che te non sai stare al mondo! 

Maria (senza ascoltare Regina) – Manin! Manin! Bartolo, dov’è andato di nuovo quel bambino? (Bartolo va a cercare Manin)

Rosina – Io il lavoro ce l’ho già. Non faccio mica la schiava! Sai? Mi han dato un bel lavoro moderno nella fabbrica di sapone. Non mi rovino mica le mani.

Jony – Y como no! Chi te l’ha trovata questa factory, quel ceffo che girava all’imbarco? Il cilano tela proprio messa in tasca. Lui ci fa i soldi su quelli come te.

Rosina – Non mi ha fatto neanche pagare il biglietto del viaggio! Cosa ci guadagna?

Gino – Vi hanno venduto. Solito trucco dei padroni. Il bastone e la carota. 

Don giustino .- Basta basta basta però.

Gino – Basta? MA sì! Viva l’Italia e viva anche l’America. 

Don Giustino – Via, via, che in America i signori non possono fare i loro porci comodi. (chiede con un gesto a Manin di portargli ancora il fiasco, beve e fa passare il fiasco)

Zia Erminia – Gino, non sputare nel piatto dove mangi. Tuo zio con l’America ci ha sfamato la famiglia. E ora dà lavoro anche a te. (a Maria) È mio marito suo zio. Son dieci anni che è via ma non ci ha mai lasciati morir di fame. 

Maria – Dieci anni in America? Come ha fatto da sola al paese?

Zia Erminia – Tornare tornava. Una volta all’anno, quasi. Mi ha fatto sette figlie e tutte con la dote. Questo disgraziato qua è orfano: l’ho tirato su come fosse mio. Me lo porto dallo zio d’America che con lui si sta tutti bene. S’è fatto pure i denti d’oro in America mio marito. 

Gino – Tutti i denti d’oro! I denti d’oro. Io me ne vado io. Non ci vado mica per fare i soldi in America. Ma in Italia non mi vedono più. Non son carne da lavoro e neanche carne da mortaio. In guerra ci vadano loro, i padroni ci vadano. Io me la rido. Ah ah ah.

Jony – Ah sei di quelli che se la fanno addosso di andare alla guerra. Per voi c’è la galera, altro che.

Gino – Oppure c’è l’America. Si mangeranno il fegato dalla rabbia quando si troveranno senza braccia da lavorare. I padroni, quando saremo andati via tutti dall’Italia, creperanno di fame pure loro. 

Don Giustino – Per gli ingordi non ci sarà terra promessa. E gli umili troveranno il regno dei cieli in America.
(Bartolo ritorna con Manin)

Manin (a Don Giustino, che lo abbraccia) – Don Giustino. Ho visto il mare che si apre sotto la nave! 

Don Giusitno - MA che bravo. Vedi tutto te.

Jony – Ce n’è di quelli che per non arrivare in America scalzi tengono legate con uno spago l’unico paio di scarpe che gli è rimasto e ci mettono la testa sopra di notte per paura che gliele portino via. 

Gino – Non passa dieci anni, dà fuori la rivoluzione in Italia. 

Zia Erminia – Gino! Hai una lingua che te la taglierei.

Jony – Fannulloni e poco di buono se ne restino a casa. 

Regina – La predica lasciala al prete. Impiccati. 

Jony – Tanto fate la fame lo stesso. Pobrecitos. Il Paradiso in America te lo devi sudare.

Don Giustino (alticcio) – Il Padreterno provvede agli uomini come ai gigli del campo e agli uccelli del cielo. 

Gino – Si, all’altro mondo. In questo mondo l’unica provvidenza sono le bombe. Bum.

Zia Erminia – Smettila di bere.

Gino – Sto mangiando una mela, zia.

Jony – Ce n’è delle teste calde. 

Bartolo – Mi rasono di sta manera. Dal momento che si va sul mondo novo, cosa ne importa diventar matti se va mal le faccende del mondo vecchio? Che ci pensino quelli che han studiato, no io che non so niente.

Don Giustino – Gli ultimi saranno i primi. (alticcio) Evviva Bartolo che se ne va all’America!

Bartolo – Per mi, di peggio di come stavo non mi può capitare. Tutt’al più laggiù mi toccherà di patir la fame come la pativo a casa. 

Regina – Tanto vale che ti spari un colpo in testa.

Jony – L’America la è come il gioco del lotto. Vea usted. Quei che ci guadagnano son pochi, e quelli che ci perdono son tanti. Chi appena può campar la vita, è meglio che stia a casa sua e non amigri.

Bartolo – I ghà un bel dire: no amigrè, no amigrè. Mi amigro per magnar. Spetar? Ma se intanto mi non magno? Come se ga da far a spetar co’ nove figli che no magna?

Zia Erminia – Qua sulla nave intanto gli puoi dar da mangiare tutti i giorni ai tuoi figli.

Don Giustino – E non c’è da faticare, che è sempre domenica. 

Mattatore – Sciarade a premi, giochi di società, corse di uomini, corse di signorine, corsa dei sacchi, lotteria e tutte le sere cinema e poi tutti in sala da ballo fino alle 11. E lì si canta! La Norma, la Tosca, La Cavalleria Rusticana… Che belle scene. Vedeste che dessert, che spuntini… dolcetti, confetti, praline…

Gino – Se la godono quelli del piano di sopra.

Bartolo – Per me che ho faticato tutta la vita, mi par che qui sono un signore. Non ci sono ancora abituato.

Regina – È meglio che non ti ci abitui. Tanto un signore non lo sarai mai. (ride forte)

Manin – e tu devi stare zitta.

Maria – Manin!

Mattatore – Cherì!

Jony – Nell’altro bastimento sono stati rapiti più di uno, chi 100 chi 200 pesos, sono rimasti despoggi con tuta la famiglia. Certi farabutti allo sbarco fan vedere di cambiare la plata e invece scappano via. 

Zia Erminia – Cose da non credere la politica che hanno questi traditori. 

Jony – Ne so di cose io dell’America. Altro che Paradiso. Vea usted. Un poveretto si stava in mezzo al granoturco, cortando il trigo. Si sente un colpo nel petto, gli cade la navaja di mano e guarda da quella parte. E cosa vede? C’è un uomo grosso, color del rame coi capelli lunghi che se ne va a passi lenti. E si gira per fissare la sua vittima. C’è i selvaggi in America. Indios. Quello è restato con la freccia negli intestini.

Bartolo (nuovamente in ansia perché non vede il figlio) – Manin, dove sei? Torna qui. 

(Manin gioca nascondendosi sotto la gonna della Rosina)

Gino – Per conto mio la Merica è una merda. (lancia la mela) 

Maria – Ai poveri genitori li rimane un cuore strappato e li occhi da piangere. (pausa)

Regina – Che lagna. Mi fai venire il vomito. Buona fortuna (prende quel che resta nella cesta del rancio e se ne va) (pausa)

Rosina (sbucciando una pesca) – Alla mia mamma manderò una bella fotografia quando sarò sistemata all’America. Prendi una pesca, Manin. Sono del nostro orto. Fan venir la pelle bella liscia, sai? (Mangiando la pesca con Manin) L’osso lo voglio piantare nel mio giardino che quando cresce l’albero gli mando un’altra fotografia alla mamma. 

Zia Erminia – Io a mio marito gli porto una grembiulata di fagioli di quell’ angolo dell’orto, che dice che così buoni in America non se ne trovano. Se li mangia crudi. (a Maria) In America s’è fatto dei bei denti d’oro! Gli faccio la sorpresa, che lui non m’aspetta. La voglio vedere anch’io quest’America. 

Mattatore – Che combinazione straordinaria. Io e la Duse sullo stesso piroscafo, come allora nello stesso teatro. Lei mi fissò e mi disse “Grazie”. È destino. L’America ci riunirà. 

Rosina – (a Manin) Perché io in America voglio farmi una casa, sai, ma piccola, con gli alberi davanti per prendere il fresco la sera. Ma mica da vecchia, sai, io la signora la voglio fare da giovane.

Jony – All’America ci son peripezie, bizini, c’è la plata, tutto quello che vuoi, ma c’è il buio. Fuori si conosce d’essere al mondo, al paese invece si conoscono quelle quattro colline e non cambia mai.

Gino – E allora perchè torni sempre in Italia?

Jony – This is my paese, mannaggia ammorte.

Rosina – Perchè allora ci vai, in America?

Jony – Per prendere aria. 

Manin – A me piace andare in America. Perché c’è da passare il mare. È vero che il mare si apre e fa due muri e noi ci passiamo in mezzo!

Don Giustino (ubriaco) – Che bravo che sei. Fate come questo bambino: abbiate fede. Hai visto, Manin, se guardi dietro alla nave lo vedi il mare che si apre. Il Signore divide le acque per farci passare. È il Signore che ci libera dalla mano dei padroni. Andiamo in un paese buono e generoso. Troveremo la pace e dimenticheremo gli affanni. Lasciamoci dietro il paese della fame e dell’ingiustizia. Sarà distrutto dalle guerre. L’Italia cadrà sotto il dominio del turco. Vedrete! Il nuovo papa verrà eletto in America. Bartolo, Maria! Non perdetevi d’animo! Il Signore non abbandona il suo popolo. (brinda) Al Padreterno che ci guida sulle acque!

SCENA DEL MEDICO E DELLA DAMA 
Personaggi: gli stessi, medico, la dama velata.
Il medico appare molto in alto, su un praticabile elevato, passeggiando con una dama velata, in bianco, intorno ad una tavola elegantemente apparecchiata pure in bianco. C’è musica nel sottofondo, come di una festa in prima classe. Mentre il medico conversa e mesce lo spumante nei calici, la dama annuisce con stile, agitando il ventaglio e senza dir parola. Gli altri li guardano incantati, dal basso, ed umiliati ascoltano.

Medico – Quando sento parlar gli emigranti… sa bella signora cosa ci vorrebbe per loro? Non un medico, come me: ma un alienista. Su cento emigranti, mi creda, non ce n’è uno col cervello a posto. Tutti pazzi o sulla buona strada per diventarlo. Ma non si spaventi, signorina, loro stanno laggiù e noi quassù. Io stesso resto quasi sempre in prima classe. E poi con la divina signora Duse a bordo… la divina stamane ha i nervi … la divina ha uno sfogo… la divina non sta bene, è pallidissima … “indisposizione della divina! pregasi fare silenzio!” Un medico per la Duse e 750 persone! Una follia. Nell’olezzo della terza ci vada chi ne ha voglia… Io no. E poi a che serve? Una galera, mi creda: l’Inferno per gl’adulti e il Paradiso per i fanciulli che v’han la morte, quasi tutti. Quelli che rimangono son guasti il sangue. Per non dire dei trapiantati: tutti turbati di mente, scissi tra due culture, assolutamente estranee tra loro. Non sono la somma di due interi, ma il risultato di due sottrazioni. Emigrare perverte le menti e confonde lo spirito. Caos morale, malattie nervose e epidemie. Ha mai sentito parlare di beri-beri, tubercolosi, febbri palustri, malaria, tracoma, anchilostomiosi, demenza, anemia, sifilide, blenborragia, nefrite, bronchite, silicosi, turbe mentali. Se non tornano ammalati o depravati, tornano mutilati, il che è un vantaggio. Non portano il contagio in Italia. 
Ma non si spaventi, signorina. In prima classe è tutt’altra cosa. Anzi, visto dall’alto è uno spettacolo edificante. (la dama scosta il ventaglio e si sporge guardando sotto) Capirà che preferisco curare l’emicrania delle belle signore. 

Gino – Siete venuti a vedere il teatro? O cosa? Siete venuti a vedere un po’ di teatro? (li sfotte cantando e danzando una giga rabbiosa) 
Su da bravi signorini
Buttate gli ombrellini
E buttate i vostri guanti 
Lavorateveli i campi
Che noi andiamo in America.
Che noi andiamo in America.
Che noi andiamo in America.

Medico – È inutile: dite quel che volete, ma il popolo è cattivo e l’emigrazione lo peggiora. 

Gino – Vi è piaciuto lo spettacolo? No? Gradite un pezzo di merluzzo? (lo prende dal cesto del rancio e glielo tira, colpendolo. Il medico si scosta inorridito) 

Medico - Cose da pazzi! La pagherete!

Gino – è marcio? Puzza? Puzza di terza classe? Questa è la puzza dei poveri. (scontra la zia, la abbraccia violentemente, la annusa) Zia, anche tu hai la puzza dei poveri.

Zia Erminia – Non farmi il matto, Gino.

Gino – Tanto siamo tutti matti! Allora facciamo una bella mattata. Bisogna stare allegri, ai signori ci piacciono le commedie, mica le tragedie. Mettiti il cappellino e facciomili divertire… fai il matto, Jony Parodi (gli mette in testa la gamella. Gli altri ridono)

Jony – E lasciami stare (continua a mangiare a testa bassa)

Gino – Arriap! Arriap! Prete, facciamo una messa in ringraziamento del pane quotidiano che ci danno raffermo e putrido, dei nostri letti di legno, ammucchiati come bestie nelle stalle.

Don Giustino – Pazienta, Gino, pazienta. (e mangia)

Maria – Però è vero quello che dice (e mangia)

Don Giustino – Maria!

Gino – Testa bassa finchè c’è da mangiare gli avanzi, eh? Tutti bestie del circo. Adesso ci portano a divertire anche i signori americani. 

Jony – Ma vai a lavorare, buffone.

Gino – Ehi, guardate, guardate tutti anche voi lassù…un bell’esempio di ciuco ballerino. Tutta la vita avanti e ‘ndrio, a guadagnarsi ‘sto rancio di merda. (con violenza forza Jony a piegarsi sulle ginocchia) S’inchina all’oro del padrone e mangia la sua carota. (Jony si divincola e si allontana) È il suo balletto! Vi divertite? Lo fa per voi! Il ciuco ammattisce ma non protesta. Arriop! Balla per i signori, bestia! 

Jony tira fuori il coltello, si avvicina a Gino, lo minaccia. Tutti vedono e si scostano spaventati, mentre Gino provoca l’avversario a colpire. 

Gino – Venduto! Iò iò… (si scontrano) 

Jony – Sciatup! Sciatup! Sciatup !

Gino – Schiavo! 

(si avvinghiano. Don Giustino e Bartolo cercano di dividerli, Manin curioso si avvicina. Le donne intervengono).

Zia Erminia – Gino! Smettetela!

Rosina – Mamma mia! 

Maria – Bartolo, sta attento!

(Jony sferra il colpo di coltello e colpisce Manin, che si accascia ferito. Tutto si ferma e nel silenzio Bartolo raccoglie il corpo del bambino ferito e scappa. Gli altri gli corrono dietro. Restano solo il medico e la dama, in alto)

SCENA CONVERSAZIONE PRETE e MEDICO
Personaggi: Medico, dama, prete
Don Giustino ritorna trafelato. Sale il più possibile e si sporge per poter parlare col medico. È ancora un po’ ubriaco e molto spaventato. 

Don Giustino – Signore, lei è un medico! Scenda, abbiamo bisogno. È un bambino, perde sangue dalla gamba.

Medico – Si strappi un lembo della tonaca lungo circa quaranta centimetri e gli fasci la gamba subito sopra la ferita. Poi mi faccia sapere.

Don Giustino – Ha bisogno, il bambino ha bisogno di un medico vero! Non parla più, è bianco.

Medico – Emorragia all’arteria femorale. Almeno sarà rapido. (alla dama) Non si spaventi signorina. Quasi non soffrono.

Don Giustino – Lo fa morire? È un bambino. 

Medico – Suvvia, salvarne uno non serve a nulla. 

Don Giustino – MA non è una creatura di Dio! Anche uno solo è figlio di Dio. La smetta di bere! 

Medico – I bambini sono più vicini al Paradiso di noi, padre. 

Don Giustino – Macchè Paradiso! La smetta di bere. Lei è un medico! Deve aiutarlo, ha giurato di salvare la gente.

Medico – Rifletta, Padre: prima che il bambino si ferisse col coltello, quei passeggeri mangiavano allegramente e non erano molestati dal pensiero della morte. Non pensavano all’avvenire. Dei veri filosofi! Si godevano questo mese di riposo tra gli stenti d’Oriente e quelli d’Occidente. Improvvisamente ricompare la paura di morire. E lei pensa che io possa salvarli dalla morte? Io ho perduto l’ambizione di essere di più di quello che sono. La morte è inevitabile. Me l’insegna lei! Mors omnia solvit. Ci pensi, padre: è solo lei che può salvare quella gente. Non dalla morte, beninteso. Ma dalla paura di morire…

Don Giustino – Ma lei stanotte che sogni farà? 

Medico – Perciò bevo. Capisce? Non potrei sopportarlo altrimenti. (osserva la bottihglia che sta per stappare e legge l’etichetta) Vino Vermouth prodotto in Cile da Wood&Capurro. Beve con me?

Scuote e stappa la bottiglia di champagne. Cambio luce, la musica aumenta. Danza della dama velata che con maliziosa eleganza si spoglia dei veli.

SCENA DELLA PAURA
Personaggi: Don Giustino, Rosina, Zia Erminia, Bartolo, Maria, Manin ferito, Gino e Jony, 
Cambio luce. La musica si trasforma in un rombo. Alle spalle del pubblico ancora seduto sui materassi appaiono, in alto, i personaggi presi dal panico di ciò che credono essere una tempesta. Si aggrappano e supplicano la misericordia divina. 

Zia Erminia – Gesù Cristo Crocefisso e Maria Dolce. 

Jony – Questa nave scricchiola come un sacco di cozze.

Gino – Eh andiamo bene, sta a vedere che facciamo naufragio. Qui si muore come i topi.

Zia Erminia - Son pazzi ‘sti marinai.

Maria – Nessuno viene a dar soccorso?

Gino – Buonanotte, non si vede più niente. 

Rosina – Andiamo a fondo! 

Don Giustino – San Michele Arcangelo nemico di Satana, proteggici contro i nemici terreni e infernali e salvaci del male! 
(con tutti) Prega per noi! 

Zia Erminia – San Giacomo di Compostela protettore dei pellegrini, non ci abbandonare!
(con tutti) Prega per noi! 

Bartolo – San Girolamo protettore dei derelitti vieni in soccorso di noi povera gente. 
(con tutti) Prega per noi! 

Rosina – Santa Caterina d’Alessandria protettrice delle lavandaie ricordati di me e fammi ritrovare la mia cara mamma.
(con tutti) Prega per noi! 

Zia Erminia – Santa Lucia protettrice della vista, fai che con questi occhi possa rivedere il mio caro marito.
(con tutti) Prega per noi! 

Maria – Santa Monica proteggi una madre disgraziata, San Clemente salva il mio povero bambino, Sant’Anna non ti scordare della creatura che ho in grembo, Madonna mia.
(con tutti) Prega per noi! 

SCENA DEL BALLO 
Personaggi: Gino, Rosina, Mattatore, Regina di cuori, Jony; commissario.
Durante questo pezzo del mattatore, accompagnato da una musica popolare ed allegra.
gli spettatori vengono fatti alzare e vengono tolti i materassi per far spazio alle danze.

Entra il Mattatore aprendo il cerchio introno a sé – Per San Porfirio protettore dei comici! Cos’è questa tristezza? Niente paura. Che brutta scena. Tutto è tranquillo! Il mare è liscio come un coppo d’olio. Udite le esplosioni? Sono mirabili fuochi d’artificio che illuminano a giorno la notte dell’immenso Oceano. Signore e signori, ho l’onore di svelarvi che il bastimento sta attraversando la linea dell’equatore. I signori lassù stanno festeggiando a sciampagna e vino vermuth. È festa per tutti! Forza! Scendete! Festeggiamo. Via questi materassi. Chi vuol esser lieti sia… di doma non c’è certezza. Brindiamo, balliamo. Si aprano i giochi. UN bel tiro alla fune. Giovanotto Tu (a Gino) reggi qua. Signori uomini! Dietro di lui. Tiro alla fune uomini contro signorine. Regina. Dimostratelo, signori, che siete il sesso forte! Signorine, chi fa da capofila? 
(segna con il braccio un confine per terra ed offre un capo della corda agli spettatori a lato. Regina si fa avanti ed afferra il capo della fune, avvicinandosi all’immaginario confine ed invitando le spettatrici ad aiutarla a difendere la posizione. Dall’altro capo si organizza la squadra maschile. Comincia il tiro alla fune). Le rogle del gioco: Perde la squadra che supera la riga. Ai vostri posti. Pronti? Via! Oh, issa! (fino alla conclusione naturale del gioco, normalmente – ma non necessariamente – vinto dalla squadra maschile). Signori! Le avete lasciate vincere per galanteria… Diamo inizio alle danze. Che ciascuna dama scelga il suo cavaliere. Via! Tutto è lecito questa notte. Date inizio alle danze. (Regina, Gino e Jony scelgono altrettanti spettatori e il Mattatore forma altre coppie tra gli spettatori) Scegliete chi più vi piace. Non esiste peccato all’equatore! 

Rosina (incitando alle danze) – Ballate! Ballate! Oggi è il mio compleanno.

Mattatore – Evviva la signorina! Auguri alla signorina che compie gli anni! Come si chiama?

Rosina – Rosina

Mattatore – Evviva la signorina Rosina! Quanti anni compi, bellezza?

Rosina – Sono diciotto. 

Mattatore – Un fiore che sboccia all’amore! La nominiamo Reginetta della festa. Un bell’applauso. Chi se la prende?

Regina di cuori (mollando con malagrazia lo spettatore che danza con lei) – Tè. (a Rosina) Balla, reginetta. Questo qua mi ha stancato. (Regina seguita a ballare da sola, cantando) 
I mugliere r’americani
Vanno a la chiesa cu sette suttane
Vanno a la chiesa e pregan a Dio
Manna renari, marito mio
I renari ca tu m’hai mannato
M’aggiu magnati cu u’ namoratu
M’aggiu magnati ca bona salute
Manna renari, curnutu futtutu

Regina va a separare una coppia di spettatori che giudica maldestri.

Regina di cuori (al cavaliere) – La tua amica non sa ballare? Vieni con me, che ci divertiamo. Come ti chiami? (continuerà il gioco, cambiando cavaliere e chiedendo il nome a ciascuno di essi)

(mentre) Rosina (ballando, parla in privato a uno spettatore) – Sai che mi danno più di diciott’anni? Sembro già una donna, è vero? Ei, ma non mi stringere così… Tu cosa fai di lavoro all’America? (lo spettatore risponde) Io vado a lavorare in una fabbrica, sai? Una fabbrica moderna, dove facciamo il sapone. Voglio guadagnare i miei soldi e vivere in una casetta tutta per me. Sono sola, sai? Ma non te ne approfittare… 

(mentre) Mattatore – Changez la femme! Facciamo una bella quadriglia. Via !
cambio. Le mani sulle spalle del compagno e della compagna. LA danza parte sempre con la sinistra. Via. Cambio. Cambio. La mano destra al centro, la sinistra sul fianco. LA danza è quella della giostra. cambio. Cambio. Un bel cerchio largo per mano, è il minuetto alla francese. Cambio. I giovanotti in ginocchio. La danza del fazzoletto. Cambio. La danza è libera. Scegliete chi più vi piace. Non esiste peccato all’equatore.

(mentre) Gino (stringendo molto la sua dama) – Lasciati andare, che io ti so tenere. Ti gira la testa… ti piace? 

(mentre Regina volutamente fa scontrare il suo cavaliere con Jony, che si mostra impacciato) Regina – Ma non lo sente la tua dama quanto puzzi di letame, Jony Parodi? 

Jony (a Regina, rincorrendola furioso) – Puta, a te non ti lava neanche tutta l’acqua del mare. Tutto il bastimento ti conosce.

Regina (a Jony) – A te non la do neanche se ti lavi. Non te la do a te. A te non ti vuole nessuno né di qua né di la del mare. 

Commissario – A letto, a letto donne, a letto ragazze! Andemmu scinnue, andemmu figge, che a l’è oua. (divide le coppie e separa le donne, attrici e spettatrici, mandandole da una parte) 

Jony (alle donne) – Non ce l’ho io una donna. Non ce l’ho al paese, non ce l’ho neanche in America. Mannaggia a’morte. C’è un altro sole, un’altra luna, le stelle non sono le nostre. Dago, tano, gringo, carcamano mi dicono. E di là al paese sono solo “Joni l’americano”. (beve del vino a garganella da un fiasco) 

Regina (a Jony, continuando a ballare da sola) – Joni Parodi Era meglio se morivi da piccolo!

Jony (sputa il vino) – Questo vino fa schifo.

Commissario – Ou! Porcaie a bordo nun ne voeggiu! Andemmu, a letto, a letto. L’è finita la festa. (separa ancora le coppie, ma Regina resta attaccata al suo cavaliere, dalla parte degli uomini)

Commissario (a Regina) – Figietta, non mi far arrabbiare. Ti ho detto di andare a letto. Andemmu! 

Regina – (al commissario, rimanendo attaccata al suo cavaliere) Io a letto ci vado quando e con chi mi pare. (Il Commissario la trascina e spinge dalla parte delle donne)

Regina (cercando di resistere alla spinta del Commissario, chiama per nome i cavalieri con cui ha danzato) – …, …Vienimi a prendere! Non mi lasciare sola! Gino! Gino!

commissario – Gino lasciala. Vattene a letto. A letto e sta zitta. Oi che mesté! Quando un uomo si trova nella posizione che mi trovo mi, di giudicare il mondo, poveri e signori, con tutte le cose che succedono a bordo, ti vien da ridere e da piangere, tanto donne che uomini, ma più le donne che gli uomini, mi creda. Quello lì si forma un’idea che non si stupisce più di niente e compatisce tutto.
Adesso basta, tutti a dormire. Dai, forza, fate quello che vi dico. Le persone che chiamo qui vicino a me.

Il Commissario chiama gli spettatori per cognome, uno a uno e li divide in 4 gruppi che indirizza a 4 postazioni diverse. La’ ciascun gruppo di spettatori troverà un attore ad attenderli per la scena seguente)

SCENA DEL TU PER TU
Personaggi: Zia Erminia, Rosina, Regina di cuori, Mattatore.

Nelle quattro postazioni, i quattro attori recitano il proprio pezzo contemporaneamente, ruotando successivamente per recitare il pezzo dinanzi ad un altro gruppo di spettatori, e così via in modo che tutti gli spettatori, seduti a terra su delle coperte, possano ascoltare le quattro storie. 

Zia Erminia (mostra un pacchetto di lettere e attacca a parlarne al singolo spettatore) – Vede signora, lei mi può capire, se ha voluto bene a qualcuno, che quando non c’è è come se ci fosse e lei ci parla basso basso quando fa le faccende, quando va per le fasce, quando la sera si toglie il vestito e si corica, mi scusi, lei lo capisce che ci parla sempre con l’uomo anche se è lontano come l’America. Ci parla col pensiero, come una canzonetta che ti resta impressa e la canticchi bassa bassa: se tan piscin che l’era…, e a volte sembra anche che anche l’uomo ti risponde da lontano. Forse me l’immagino? No, no. Posso farle vedere una cosa? Guardi qui, legga, che io ho imparato a leggere, ma ci vedo poco, quindi le ho imparate tutte a mente. (consegna una lettera ad una spettatrice) Sono le sue lettere, di mio marito. Guardi: cosa c’è scritto? 28 maggio 1894. (cita a memoria) “Cara Erminia.” Sono io. “Quanto mi sa amara la tua assenza. Aver moglie e non la poter godere… io ho paura che l’aria ti rapisce se potessi tenerti dentro a una vetrina di cristallo ti ci tenerei… a me! ma ricordati idolo del mio cuore che sono sempre un valiente e accanito guerrero e che sempre ti amo” Mi ama, o non mi ama? lo dice anche qua, legga, la lettera del 7 febbraio 1897 (consegna un’altra lettera ad altro spettatore e cita a memoria il contenuto) “Avrai dimenticato il tuo Achille” è lui Achille, mio marito, Achille Olivieri “che sempre ti ama e non passa un sol istante che non si scorda di te. Sei sempre la mia mora? Il tuo sposo è un po’ più vecchio ma sempre ti ama e ti adora. Adios mio sospiro adios”. Gliela faccio una bella sorpresa, no? Lui non lo sa che vado da lui. Lo vede che non se l’aspetta!. Dice che qui mi fa curar meglio che là. (estrae ancota una lettera dal pacchetto e la consegna ad una spettatrice) Lo dice qui, guardi, del 7 marzo 1902 “Mi rincresce dei tuoi occhi malati se Dio vuole quando ritorno quest’autunno ti porto dal medico a Milano che qua in America mi hanno detto che è il migliore per quel fastidio che hai tu. Lo sai che qua all’America c’è tanti medici bravi ma non ti faranno mai scendere con quel fastidio che hai e anche se io ti chiamo. Faccio dei bruti sogni.” (raccoglie le lettere distribuite) E poi in tutte le lettere finisce così: “Ti raccomando le nostre amate figlie Lina, Maria, Letizia, Gilda, Colombina, Ida e la piccola Doddi.” Ma io ci voglio andare dal mio Achille faccio bene o no? Siamo qua! Sa come si dice? E’ avanzato Garibaldi, avanza pure te. (ancora rivolgendosi al singolo spettatore, mentre esce) Lui mi ama. Ha visto come scrive bene. Buon viaggio. Buona continuazione.

Rosina (seduta ad un tavolino, con una tazza da tè in grembo appoggiata su un candido tovagliolo, sbuccia e mangia una pesca) – Quando sono scesa all’America c’era tanta tanta gente. Se ne trova di tute le razze qui all’America, ma non bisogna darci retta, e molte ragazze anche loro da sole. Nella fabbrica del sapone sono stata poco, poi ho cambiato, ho lavorato nel brendi. Per dir la verità è un lavoro un po’ sporco, ma qui sebbene siamo all’america non ci si guarda che è sporco, piuttosto a guadagnare qualche dollaro in più. Io dico la verità che nel brendi ci ho lavorato volentieri, perché il capo era di Livorno e parlava toscano come me; e mi voleva tanto bene mi lasciava fare come volevo e quando vedeva che non ci avevo testa a lavorare veniva e mi diceva, va a sederti nel cesso che il lavoro lo faccio io… è stato mio amico, sai? Perché qui all’america non si guarda né amici ne parenti si lavora dove si guadagna di più perché alla fine del mese la pigione bisogna pagarla perché altrimenti ti cacciano fuori di casa. Sai che io la mia casetta ce l’ho fatta. Io mi trovo libera e sto bene mela godo finché mi va’. Ci ho una bella casetta sai, fa due stanze, una cucina grande e il dainerum ci ho il bagno in casa ci ho l’acqua calda e quella fredda ci ho il gaso per cucinare la stufa a legna e i tubi per lavare i drappi tutto qui in casa senza fare un passo fuori dalla porta. E gliel’ho mandata la fotografia alla mia mamma e mi penso sempre come è faticoso andar giù per il viottolo al pozzo, povera mamma. Ma tante volte mi penso che qualche giorno mi stufo di bona vita. Non mi sembra vero la vita ch’io faccio adesso a quella che facevo al paese ma sapete cosa vi dico? il mio pensiero è sempre di ritornarci. (raccoglie le sue modeste vettovaglie ed esce)

Regina di cuori (in piedi, concitata) – Mi hanno sempre detto: Dick Pastine lo riconosci da lontano, passassero 20 anni Dick Pastine è sempre lui. Primo: è alto più di due metri, poi cammina con un passo da leone, e ha una chioma di capelli come una criniera. Ma dicono: trovarlo! Dick Pastine, trovarlo è impossibile: perché lui è uno zingaro, non sta fermo in un posto.
Uno però una volta mi ha detto: se lo cerchi guarda i muri in America. Dove arriva Dick Pastine mettono i manifesti: Si esibisce il grande asso del tavolo verde! Lui vince sempre perché ha una carta nascosta nella manica che nessuno sa qual’è. (estrae una foto dalla manica e la mostra al pubblico) Guarda qui! Sono sicura che è proprio Dick Pastine sulla nave, anno 1900. Porto di Nuova York. La nave “Argentina”; mi hanno detto che porta a Buenos Aires. Poi in una lettera a suo cugino chiede un prestito. 5 agosto 1902. Con la firma: Dick Pastine. Vuol comprare una cava di diamanti in Sud Africa. Dice che l’Africa è la sua America. Quel cugino non ci ha creduto. Mi ha detto:” tuo padre è sempre stato un matto, un farabutto. I soldi per giocarseli al poker non glieli mando. Lo vuoi cercare, vai. Sei matta pure tu. A pagarti il viaggio in America arrangiati da sola.” Io mi ci gioco tutto che lo trovo, mio padre. Il modo per far soldi so qual’è. E io lo so qual è la sua carta nella manica. La Regina di Cuori. (pausa) Vi è piaciuta questa storia? Avete pianto? Le emozioni hanno un prezzo. 10 lire, 10 lire per la mia storia lacrimosa. Ne volte sentire un'altra? Quella del bambino rapito? Dieci lire per un’emozione non è tanto…

Mattatore (in piedi, con cura intima e solenne, estrae da un busta un ritaglio di giornale) – “È un artista che possiede la chiave del cuore umano”. Sono queste le nostre soddisfazioni. Il teatro… è un mestiere che si fa per passione. Lavorare in provincia è difficile: il popolino non ci capisce, gli intellettuali non si muovono dalla capitale. Io che sono capocomico ci guadagno il pane a malapena. Se non avessi questa passione io… Niente. (pausa. Guarda il ritaglio con affetto) Conservo questo ritaglio sempre in tasca, come un talismano. Prima o poi, mi dicevo, potrà venir bene l’elogio della stampa. Forse in America… tanti in America si fanno un nome, la gloria. L’idea mi è venuta quando ho visto i suoi bauli: Eleonora Duse. Che occasione mi sono detto! Avevo a memoria una scena della Signora delle camelie, una scena d’amore. Ho pettinato la parrucca. Il costume era strappato sul bavero, ma l’ho cucito. Per farmi ricevere ho infilato l’elogio della stampa sotto la porta della sua cabina. Poi ho aspettato. Già mi vedevo in un grande teatro americano. I signori in marsina che battono le mani Io che bacio la mano bianca della signora, le dico “grazie”. Poi La porta della cabina si è aperta. C’era odore di chiuso, di buio. Lei era nera, disfatta, camminava a fatica, tutta…. Mi ha urlato “In questo bastimento ci sono più tragedie che nelle nostre stupide vite d’attori” e ha chiuso la porta della cabina. “Sempre conobbi il mio destino: un giorno, un anno, mille anni con voi” Mi sembrava una bella frase. Gliel’ho detta lo stesso con la porta chiusa. Grazie. (ripiega il ritaglio, raccoglie la sua valigetta ed esce)

SCENA DEL FUNERALE
Personaggi: gli stessi, Don Giustino, Commissario, Gino, Jony, Maria e Bartolo.

Maria, Don Giustino e Bartolo appaiono su un lato del perimetro dello spazio, alla testa di un corteo funebre. Don Giustino ha in braccio il piccolo cadavere in un sacco. Bartolo porta le scarpe di Manin in mano. Il pubblico viene fatto disporre su due ali, in modo che il corteo vi passi in mezzo. All’altro lato Jony, Gino e Rosina li attendono, gli uomini con il cappello in mano. 

Don Giustino – Signore Iddio tu che vedi l’infelicità del tuo popolo, abbi misericordia di questo bambino. Accoglilo nel paese dove non soffrirà più la fame e l’ingiustizia e sarà libero dalla mano dei padroni. Richiudi le tue acque su di lui. Che in questo sonno eterno dimentichi gli affanni.

Maria – Non avevo mai visto il mare. Mi aspettavo chissà che. Ora il mare si prenderà Manin.

Passaggio del feretro. Jony, Gino e Rosina cantano
Jony-
Cara mamma voglio partire 
Nell’America voglio andar
Sono stanco di soffrire 
Là mi voglio consolar

Sono un giovine assai gentile
Anche Gino - non mi posso accontentar
mi son messo a far l’amore
per potermi accompagnar

Già trovai una biondina 
Che mi voleva sacrificar
Ma pensai ora di partire 
Per potermi di lei scordar

Anche Rosina - Mamma mia dammi cento lire
Che in America voglio andar 
“cento lire te li do 
ma in America, no, no, no”

Se in America non vuoi che vada 
Volontario soldato andrò
e per causa di una donna
la mia vita lasciar dovrò

Ma se per caso dovrò perire
Un saluto ti manderò
E nell’ultimo mio respiro
Lassù in cielo ti rivedrò

Rit. Solo marco e ilaria

corpo del bambino chiuso nel sacco viene buttato in mare.

SCENA DELLA CAMERATA FEMMINILE
Personaggi: Regina di cuori, Rosina, Zia Erminia, Maria e Commissario.

Il pubblico viene sospinto verso un angolo dello spazio che rappresenta la camerata femminile, allestito con poveri letti a castello. 

Rosina (seduta sul letto) – Era davvero Manin nel sacco? L’hanno buttato in mare? Povero Manin.

Zia Erminia (occupandosi di rifare il medesimo letto) – Rosina, così si fa sulle navi. Scostati. (Rosina scende dal letto in modo da permettere a Zia Erminia di togliere coperte e lenzuola) Disgraziata sua madre che non potrà andare a parlarci. (piega lenzuola) Questa biancheria è marcia.

Regina (seduta su un altro letto, si spoglia con le gambe a dondolo) – Quando l’han buttato, si picchiavano per vedere il sacco che affondava. Uno diceva che se lo mangiano i pesci. 

Rosina – Bisognava seppellirlo nella terra, come tutti i cristiani. 

Zia Erminia – Rosina aiutami che la battiamo un po’. (sbattono le lenzuola)

Regina – Chissà quanto ci mettono i pesci a mangiarselo. 

Zia Erminia (spazientita, a Regina) – Ma cosa dici? L’hanno caricato con un peso nel sacco. Stanotte quel povero bambino dorme sulla sabbia, in fondo al mare.

Rosina – Laggiù dev’esser freddo. Tutto buio. Lui l’hanno spogliato nudo per buttarlo giù. (aiuta Zia Erminia a sbattere le coperte)

Regina – E basta! Ci manca anche la polvere in questo porcaio.

Zia Erminia (rifacendo il letto) – Meno male che il mare è quieto. Così ci facciamo tutti un bel sonno. (Entrano Commissario e Maria. Zia Erminia accoglie Maria) Maria… vieni qua, ti ho sistemato un po’ il letto. 

Regina si lava rovesciando molta acqua dalla brocca al bacile.

Commissario – Brave donne. 

Maria – Quando è profondo il mare qui?

Commissario – Ci metterà un’ora forse, se non ci sono correnti. Anche lui si farà il suo viaggio. 

Zia Erminia – Sdraiati Maria. C’è da pensare al bambino che viene. 

Commissario – Ecco una bella notizia. Auguriamoci che sia un bel maschio. Un bell’americanino! Brava Maria!

Maria – Non mi nasce a casa mia. Povero infelice.

Commissario – Avrà fortuna il tuo bambino, Maria. Lo chiameranno con un nome americano. Diventerà ricco. 

Rosina (a Maria) – Io ho sentito quando parlavano dell’America: dicevano che là i dollari li trovano appesi alle piante, sai? Che là li seminano come da noi le patate. Saranno modi di dire, non so, ma da come lo dicevano qualcosa di vero ci sarà pur stato, se tanti ci sono andati.

Regina (lavandosi) – Si. Va bene. Prima, da noi uno cade dalla scala e s’è rotto una gamba… dopo in America è caduto dal ventesimo piano e non si è fatto niente. Questa è l’America.

Rosina – Ninna nanna sette e venti
il mio pupo s’addormenti,
s’addormenti e fà un bel sonno
e si svegli domani a giorno.
Nanna oggi, nanna ieri
e le sporte non son panieri,
e i panieri non son le sporte,
e la vita non è la morte,
e la morte non è la vita,
sta’ canzone l’è già finita. 
Nanna-o nanna-o
il mio pupo s’addormentò.

Maria – Io non lo battezzo con un nome americano.

Zia Erminia (a Regina) – Bellezza, hai usato tutta l’acqua da sola. E noi come ci laviamo?

Regina – Non vi ho mai viste nessuna che si lava qui. 

Commissario – Buona e andate a dormire. È ora. Maria, riposati 

Commissario (sulla canzone) – Sogna tuo figlio americano. Credi a me, tutti quelli che han fatto i figli in America li hanno visti crescere felici e far fortuna. Conosco uno che in dieci anni ne ha avuto sette, tutti maschi, uno più grosso dell’altro. S’è sposato con una polacca e ne ha fatto uno via l’altro. A tutti e sette ha dato dei bei nomi americani. Proprio quell’Olivieri… (a zia Erminia) è lei che fa Olivieri di cognome? 

Zia Erminia – Si.

Commissario – Un bell’omone con due mustacci neri e perfino i denti d’oro. Achille! Ecco come si chiama! Sarà un suo parente? Sarebbe una bella fortuna!

Zia Erminia – Si. 

SCENA DELLE LETTERE IN DETTATURA
Personaggi: tre viaggiatori uomini

I personaggi coinvolti prendono ciascuno per mano uno spettatore e, porgendogli carta e matita, gli chiedono a bassa voce
Attore – Signore per carità, lei sa scrivere? Mi può scrivere una lettera, che io non so farlo… una lettera, capisce? 

Poi ciascun attore conduce lo spettatore prescelto a diventare il suo scrivano accanto a una pila di materassi. Il pubblico li segue e si riunisce in tre capannelli intorno alle tre pile di materassi. I tre attori salgono ciascuno su una pila e dettano al proprio scrivano le lettere che seguono, contemporaneamente. La scena può anche essere recitata a canovaccio, tenendo presenti le varianti che sorgono dalle difficoltà del dettare e dello scrivere. Ad ogni lettera dettata, i tre attori ruotano avvicendandosi sulle tre pile di materassi in modo che i tre gruppi di spettatori possano assistere a tre lettere diverse, recitate da tre diversi attori. 

(Jony) 1 Viaggiatore - Cara molie, tidomando un favore senascie dei funsi mendemene 2 pacheti non ho potuto scriverti prima perché sicome io non so scrivere, non pozio farlo a volontà. adio una streta dimano. Giovanni Campi, di Fontanarossa, da Valparaiso, Chile.

(gino) 2 Viaggiatore - Caro padre, sento che dise mio fratelo che vuole venire anche lui dalli talia alla merica solo che denari per il viaggio ora non poso mandarli niente. Io non so spiegarmi meglio. Rangiatevi voi che io non voglio eser colpevole che stando a casa ha un efeto e venindo fuori le un antro. finisco dascrivere perché la testa mi viene tropogrosa. Angelo Raffetto di Ognio, da San Francisco, California. 

3 Viaggiatore - Caro fratello ti prego di darmi notizia di quei benedetti paesi che mi ricordo anche di notte, si bene che qui non mi manca nulla ma se sembra tutti insensati. Insomma ci vole pazienza e coragio perché sé sogeti a tante tribolazioni nel dormire e nel mangiare salutami tua moglie mia moglie un bacio ai piccini salutami padre madre fratelli e sorelle. Giuseppe Boero di Rapallo da Rosario, Argentina.

1 Viaggiatore - Cara amore, sono per darti lemie notizzi grazie adio siamo rivati a neviorche al giorno 22 aprile e stato unpo lungo ma il mo tivo sie roto una machina pasiensa adio adio mille baci a tutti in familia a dio sono sempre tuo marito. nela stiva cisiamo statti bene cera fino 9 pietanze ogni pranzo non posso spiegare tutto adio buonrivedersi. Giovanni Tiscornia di Né, da Neviorche, America del Nord.

2 Viaggiatore - Cara madre, quando giungerai qui puoi andare dal piettro oppure se e di giorno puoi venire qui l’indirizzo e così 7° Street n. 800. dei vagabondi tu non dar confidenza. ti saluto fa buonviaggio salutami mia moglie un bacio ai bambini salutami mio padre fratelli e sorelle tuo Rebizzo. Angelo Rebizzo, di Cicagna, da Boston, America del Nord.

3. (jony) Cara sorella quando voi venire in merica fanelo sapere, se delle volte che non ti piacese piu là, vieni cui che anche cui cisistabene cuantoli.
Però quanto a l’impression che m’ha fato la merica non la posso dire perché come la nostra bela italia non ce né nesuna.
Eh, una volta la merica ci si stava meglio di là. Abitavano in bele casette di legno… delle barache… per lavorare lavoravano più che qua… i primi tempi abbiamo ben pasato dei brutti momenti… Là si facevano lavorare e tanto anche i bambini. Mi rincresce non poterti comprare le pellicce perché qui noncenesono, le pelliccie si comprano quando si pasa dallo stretto di Macellan, ma noi passiamo le Cordillere non si trovano; se Dio vuole te le compero a Genova. Sebastiano Gennari di Gragnano da Lima, Perù 

(gino) 3 Viaggiatore - Cara sposa ora basta di miseria. Hai capito si o no, vendi qualche cosa, magari tutto, fa dei debiti, ma fatti il viaggio e lasciamo il paese nostro. Porta con te quello che puoi, ma non dimenticarti il peperosso. Hai capito si o no il peperosso portane quanto più ne puoi
Andrea Gagliardo di Grosseto da Lima, Perù.

(don Giustino) 1 Viaggiatore - Cari zii vi fo sapere il rimanente del viaggio giorni bonissimi tempo placito infino al giorno 23 ncirca le 4e ½ pomeridiane che stavano tutti in Cuperta pacifichi quando ad un tratto si sentì una voce e fogo e fogo siamo tutti scoloriti tutti siamo divenuti di mille colori chi piglia in brazo il figlio chi la moglie chi butava ordegni in mare chi recitava le litanie della madona chi stava in ginochio con le mani giunte in Conclusione erano tuti rassegnati al voler di Dio e poi graziando l’altissimo non è suzesso nulla. Gio Batta Mizzan di Favale, da Montevideo, Uruguay. 

(don giustino) 2 Viaggiatore - Cari genitori vi meto in cuesta letera due scudi per voi un scudo per fratelo Luigi, uno per la cugnata uno per la Margarita, uno per la Giusepina, uno per mio zio, due scudi fate dire dele mese a l’altare di Santoarensiano. Vorei sapere se la fano ancora la festa di santoarensiano come prima. sono vostro Celestino Bellingeri di Carasco, da Campinas, Brasile


SCENA DI BARTOLO
Musica. I tre attori che dettavano le lettere scendono dalle pile dei materassi. Luce alle spalle del pubblico su Bartolo, in piedi su una cassa di legno. Il pubblico naturalmente si gira. 

Bartolo (con il cappello in mano) – Egregio Signor Padrone, doppo un lungo silenzio ora mi presto a dare le mie notizie. Con grande dolore devo manifestargli una spaventevole mia sorte. Comincerò a dirgli del viaggio. Questo è stato molto pesante tanto che non incontrerebbe tali tribulazioni neanche il mio cane che è rimasto in Italia. Prima per aver incontrato 4 giorni di burrasca poi per essere troppo affollati nel bastimento; di più abbiamo sofferto un grande caldo. Un figliolo non ho potuto salvarlo che non c’era medico sul bastimento e si è dovuto buttare il corpo nel mare. Dopo 26 giorni siamo disbarcati e siamo arrivati nella casa della migrazione. Stanchi dal viaggio dormivano coricati sopra le tavole, dicevano che eravamo 10.000 persone, e cresceva più forte la nostra disperazione per sentire che c’era grande morturità dei più piccoli fanciulli. Quando cominciò a inoltrarsi la notte io non poteva darmi riposo per sentire che da un lato della stanza piangeva una donna, dall’altra un uomo e osservando i figli miei e pensarmi d’essere colpevole di averli fati subire tante tribulazioni. Gli dico la verità signor padrone, che io non poteva trattenermi da piangere e così passò il mio primo riposo nell’America. Dopo 4 giorni siamo giunti alla fazenda e ci dovemmo ricoverare in una piccola casa 138 persone, non solo ma vedendo che italiani che da 5 mesi abitava in questa fazenda e i suoi bambini rovinati i piedi e le gambe dai bissetti da non potersi reggere in piedi gli dico la verità che a tale vista mi mise in un dirotto pianto e scampò dai figli per lungo tratto e non avrei avuto il coraggio di vicinarmi se mia moglie non fosse venuta in cerca e mi avesse condotto presso i figli. Dopo pochi giorni si ammalò tutti i figli e anche la donna e noi che ne abbiamo condotto 10 di figli nell’America ora siamo rimasti con 5 e li altri li abbiamo perduti. Lascio a lei considerare quale fu la nostra disperazione che se avessi avuto il potere non sarei fermato in America nepur un ora come spero che se il Signore mi presterà vita e salute più presto che potrò condurrò il resto dei miei figli in Italia e per mio consiglio non partirà alcuna persona dall’Italia per venire nell’America. Ora gli dirò che quello che lavora qui 2 anni in buona salute guadagna molto, ma se si ammala consuma il suo guadagno perché una visita dal dottore costa 30 soldi. Non posso terminare se prima non gli fo una grande raccomandazione e mi permetterà di fare a lei e alla sua famiglia tale dimanda: sarebbe che lei ci riprendesse a lavorare al suo servizio perdonando da bon cristiano le accuse che ho fatto alla sua persona e ditta, deviato dai falsi consigli di preti fuori dalla grazia del Signore. Ora riceverà da parte mia e della mia famiglia le assicurazioni di fedeltà. Addio e sono il suo sventurato servo.
Mi risponda che torno all’Italia il mio indirizzo è Rosolen Bartolo, America

Entra musica intensa, solenne, trascinante.

SCENA DELLA CHIAMATA DEL PUBBLICO PER SBARCARE IN AMERICA
Personaggi: tutti

Nel frattempo tutti gli altri attori sono saliti sul praticabile più elevato ed attendono la chiamata di Rosina per entrare in luce. Uno ad uno, chiamati per nome, si schierano a proscenio con lo sguardo rivolto all’orizzonte

Rosina – Rosina Cademartoli è arrivata in America! Il Cilan è arrivato in America! Catainin Pastorino è arrivato in America! Jony Parodi è arrivato in America! Mario Muzio detto u padreternu è arrivato in America! Ciccio Zanusta e le sue sorelle sono arrivati in America! Il Bacicia è arrivato in America! Erminia Olivieri e il nipote Gino sono arrivati in America! Luigi Puliti detto il Marchese è arrivato in America! Juana, Chiodo, Milio, Mingo e Gianbattista Rebizzo sono arrivati in America! Don Giustino Cerbiocca è arrivato in America! Adelina Pastine detta la Regina di cuori è arrivata in America! Pino Berattini, capocomico, è arrivato in America! U Magnin è arrivato in America! Giani Gavio è arrivato in America! Bartolo e Maria Rosolan coi figli sono arrivati in America! Menechino Robba con la nipote Angelica sono arrivati in America! Antonio Giuffra è arrivato in America! Giovanni Campi è arrivato in America! Eugenio Caviggio e la moglie Cristina sono arrivati in America! Giuseppe Boero è arrivato in America! Angelo Raffetto è arrivato in America! Gio Batta Mizzan è arrivato in America! Giovanni Tiscornia è arrivato in America! Andrea Gagliardo è arrivato in America! Celestino Bellingeri è arrivato in America! 

Appare una bambina majorette (è l’America) che esegue il suo numero, mentre i personaggi svaniscono. La musica prosegue in calando fino alla scena seguente.

SCENA DELLA SPARTENZA
Personaggi: Gino e la zia Erminia
Lo spettacolo sembra concluso ed il pubblico si appresta a lasciare lo spazio, ma appaiono due personaggi.

Gino – Zia! Cosa ci fai qui? Sei tornata indietro?

Zia Erminia – Sono stata respinta. Per via dell’infezione agli occhi.

Gino – Ma com’è possibile? Se uno non lo sa… Non si vede per niente! 

Zia Erminia – Gliel’ho detto io, Gino. L’America non fa per me. E tu, disgraziato?!

Gino – Io non sbarco, zia. Voglio stare qui.

Zia Erminia – Ma qui dove? Non ci puoi più stare in Italia, ti mettono in galera. 

Gino – No, zia. Né in Italia né in America

Zia Erminia – Cosa dici, Gino? 

Gino – Voglio vivere sulla nave.

Zia Erminia – Ma ragazzo mio! Non si può vivere a cavalcioni dell’Atlantico! Bisogna decidersi, o di qua o di là, una buona volta.

Gino – Senti, zia. Ci hanno messo in fila indiana in una stanza enorme, tutti nudi: uomini insieme ai bambini. Ci han cavato il sangue come alle bestie. Il medico urlava, sembrava la caserma e non si capiva niente. Dovevamo pisciare nelle caraffe e far vedere il culo. Mi son inchinato davanti all’americano e lì ho deciso: neanche qua ci voglio stare.

Zia Erminia (ridendo) – Ti hanno fatto venire fin quaggiù a mostrargli il culo a un americano.

Gino – Sì, zia.

Zia Erminia – Gino, tu lo sai cosa vuoi? Tu non vuoi crescere mai.

Musica popolare ed allegra. Tutti gli attori salutano e, avanzando verso il pubblico, si mescolano agli spettatori e ballano con loro. 

FINE