Per un sogno

di

Giovanni Spagnoli


Personaggi:
Ciro
Mario
 

(Ciro, un barbone mingherlino tutto pelle e ossa, sonnecchia seduto sugli scalini di una chiesa, o altro edificio pubblico. Entra Mario, è un altro barbone, ma questo è alto e grosso: in altri tempi è stato un pugile).
 

MARIO – Vieni con me, Ciro?
CIRO – Dove?
MARIO – In centro.
CIRO – A fare che?
MARIO – A vedere il mondo.
CIRO – Ma che mondo vuoi vedere, se è tutto chiuso, tutto fermo…morto?
MARIO – E’ il nostro giorno. Ferragosto è il giorno della povera gente. La città è tutta nostra.
CIRO – Non ho la camicia. Ho la giacca ma non la camicia.
MARIO – Chi vuoi che ti veda? In giro non c’è nessuno. E poi quella canottiera ti sta molto bene.
CIRO – Perché non si vedono i buchi, che ci sono.
MARIO – Tieni la giacca chiusa e nessuno vedrà i buchi.
CIRO – Sto bene qui. Vai tu, se vuoi.
(Mario siede accanto a Ciro)
CIRO – Prima è passata di qui una comitiva di francesi… Quando facevi il pugile, sei mai stato in Francia?
MARIO – (mezzo appisolato) Si, si… Sono stato in Francia.
CIRO – A Parigi?
MARIO (c.s.) A Parigi… Tanti anni fa. Bei tempi quelli.
CIRO – Ci avevi una donna?
MARIO – (sospira) Si, avevo una donna. Era piccola, ben fatta…Provava un piacere enorme quando la sollevavo da terra per portare le sue labbra all’altezza delle mie. Quando la sollevavo da terra rideva felice. E il suo riso pareva il canto di un usignolo, si spegneva solo quando la baciavo. Ma non mi amava. Voleva bene solo ai miei quattrini. Me ne succhiava ogni giorno a cappellate. Però era una gran bella figliola.
CIRO – Anch’io ho conosciuto belle donne. L’ultima è stata una dell’Esercito della Salvezza. Suonava l’armonium. L’ho vista un solo giorno in divisa, ero ubriaco fradicio. Mi disse parole dolcissime e mi invitò ad andare ad ascoltare i suoi concerti, nella sede dell’Esercito della Salvezza. Ci andai e credevo di trovarci tanta gente, invece c’ero solo io.
MARIO – Era italiana?
CIRO – No, svizzera.
MARIO – Era giovane?
CIRO – In divisa sembrava più vecchia. In borghese… si, in borghese sembrava una bambina. Mi disse:”Non bevete più, Ciro, non bevete più”.
MARIO – E tu, che hai fatto?
CIRO – Ho continuato a bere.
MARIO – Allora, non ti sei innamorato di lei.
CIRO – Non potevo.
MARIO Perché?
CIRO – Era troppo bella, non sembrava vera, sembrava un angelo. Anzi, certe volte, ripensandola, mi sono proprio convinto che fosse un angelo.
MARIO – Ma tu ci credi agli angeli?
CIRO – Qualche volta.
MARIO – Per me, ti sei bevuto anche il cervello. Agli angeli si crede o non si crede, non si può credere solo qualche volta. E’ come per l’amore: o si ama o non si ama.
CIRO – Ma per te, che cos’è l’amore?
MARIO – L’amore è tutto e niente. E’ un vaso pieno e nello stesso tempo vuoto. E’ un male che ti prende il cervello e poi tutto il corpo… L’amore è dolcezza e dolore.
CIRO – Io sono stato innamorato di una donna che si chiama Mafalda, dolce come la panna e con una pelle bianca come il latte.
MARIO – Il mio più grande amore si chiamava Fedora. Era alta quasi come me. Pareva una statua, tanto era ben fatta, con una carne soda che sembrava marmo. Che amore fu quello!
CIRO – (indica un punto davanti a loro) Ti ricordi quella casa?
MARIO – E’ dove abbiamo fatto il trasloco. Se me la ricordo?
CIRO – E’ là che abbiamo visto la contessa e tu te ne sei subito innamorato.
MARIO – Sì, stava al quarto piano. Portavo su tutti i pesi più grossi di corsa, per tornare a vederla.
CIRO – La sogni sempre?
MARIO – Non sono io che la sogno, è lei che viene da me. Per me è un tormento svegliarmi, dopo che lei mi ha accarezzato e baciato. E ogni volta che cerco di accarezzarla, lei si allontana. Da un po’ di tempo, però, non viene più.
CIRO – Da quanto tempo?
MARIO – Un paio di settimane.
CIRO – Troppo.
MARIO – Cosa vuoi dire? Sarà andata al mare o in montagna…
CIRO – Per chi vuole apparire in sogno, non ci sono distanze.
MARIO – Come sarebbe a dire?
CIRO – Lascia perdere, va’. Non parliamo più della contessa.
MARIO – Invece ne parliamo, e come!
CIRO – Se la prendi su questo tono, se mi costringi…
MARIO – Certo che ti costringo.
CIRO – Posso parlare?
MARIO – Devi parlare!
CIRO – Bada, l’hai voluto tu.
MARIO – Va bene, l’ho voluto io.
CIRO – Da qualche giorno la sogno io.
MARIO – Tu?!
CIRO – Si, la sogno. La vedo bellissima, vestita di chiffon. Allora le scopro una spalla e l’accarezzo.
MARIO – (si alza in piedi, furibondo) Tu sei un porco traditore e lei è una puttana!
CIRO – Ma Mario…
MARIO – E io mi dicevo, svegliandomi la mattina “Sarà lontana, le sarà accaduto qualcosa che le impedisce di venirmi a trovare…” Invece, no! Andava a farsi accarezzare da questo qui!
CIRO – In sogno, Mario, in sogno.
MARIO – Per me è un tradimento bello e buono. Traditore te e puttana lei!
CIRO – Ma come la fai tragica! (Da una tasca tira fuori un mozzicone di sigaretta e fa per accenderlo)
MARIO – Dammi quella cicca!
CIRO – Ma che cosa ti prende?
MARIO – Dammi quella cicca, ho detto!
CIRO – Ma nemmeno per sogno.
(Mario gli abbatte sul capo un pugno che sembra un colpo di maglio. Ciro stramazza. Mario raccoglie la cicca)
MARIO – Maledetto! E’ morto, piuttosto che darmi quella cicca! (Butta via la cicca e si allontana) Ma va all’inferno, tu e quella puttana della contessa!

Fine