I racconti della corriera

di

Nicola Pegoraro




Scena 1

Stazione corriera, un fondale con pannelli, davanti una panchina. Siamo in estate, alla mattina. Un inserviente sta chiacchierando con una ragazza.

Entra una signora e si avvicina.

Signora- scusi la corriera per Vicenza.
Autista- è di là, ma se vuole può sedersi e aspettare lì(indica una panchina).
Signora- Grazie. È da un po’ che non salgo in corriera. Lei magari la usa più spesso.
Autista- io qui lavoro, è un poco come casa mia.
Signora- Sa che la parola Stazione deriva dal latino, statio–ōnis cioè dimora.
Autista- lo sa che mi ricorda un film ambientato dentro una corriera, si chiama “Speed” lei lo ha mai visto?
Signora- no, non mi pare
Autista- è un peccato perché dovrebbe vederlo sa. Pensi che il personaggio principale è una donna che guida la corriera.
Signora- allora non posso essere io, io non guido la corriera.
Autista- ma neanche lei era capace a guidarla solo che ha dovuto farlo perché stava scappando da un terrorista.
Signora-Sì, si, me lo ricordo, è lo stesso attore che ha fatto Matrix.
Autista- si Matrix pin pun pan.
Signora- Per me la stazione è un punto di smistamento di percorsi, di persone e di vite.
Autista-si, si mi piace immaginare dove vanno, chi aspettano.
Signora- certo e poi i diversi modi di parlare, vestire, muoversi e odori; di cibo, sudore, profumo.
Autista- La stazione offre un sacco di sorprese.
Signora-io colgo questi attimi di vita con la curiosità e la gioia di una bambina quando scarta i regali di Natale. Poi, a casa, scrivo.
Inserviente- quindi lei scrive, è una scrittrice?
Signora- no, mi annoto storie. Così ritrovo le facce incrociate in corriera: la ragazza triste, il vecchietto stanco, la signora chiacchierona o il mio amico autista. In qualche modo tutte le persone incontrate rimangono con me e poi i ricordi tornano a galla.
Autista- Come gli gnocchi.
Signora- si proprio, che mia madre li cucinava rigorosamente al giovedì, con ragù e cannella. Ma adesso non voglio rubarle altro tempo, buon lavoro.
Autista- Bene, vado a prendermi il pranzo.

La signora si siede sulla panchina. Legge un libro; “L’ultima corriera per la saggezza” L’inserviente lentamente esce sempre canticchiando

Musica 1

Scena 2

Compare la ragazza di prima che riprende la canzone dell’inserviente alla quale si aggiungono i musicisti. La signora in disparte ascolta, poi mette via il libro nella borsa e prende una mela. Al termine della canzone i musicisti restano in scena. Entra l’autista.Si siede e, da una borsetta frigo, estrae un panino. Inizia a mangiarlo.

Signora- buon appetito.
Autista- Grazie, una pausa veloce, la mia seconda colazione. Preferisco spuntini leggeri piuttosto che un pranzo abbondante.
Signora- immagino, col lavoro che fa, meglio evitare i pasti importanti.
Autista- certo, c’è il rischio abbiocco (mima il gesto) e mentre guidi non è una bella cosa
Signora- mi sembra corretto, uno spuntino ci sta. Anch’io mi attrezzo per gli spuntini (mette via il frutto).
Autista- viaggio di lavoro?
Signora- no no, ho smesso. Quando lavoravo mi toccava usare la macchina, ma per fortuna sono tornata a prendere la corriera, mi piace di più.
Autista- già, è bello farsi trasportare.
Signora- certo, vuoi mettere quanto meno stress. Puoi vedere cose, conoscere persone.

Rumore corriera che arriva (rumori vengono creati dal vivo)

Autista- è la mia corriera (mangia l’ultimo boccone). Arrivederci e buon viaggio.
Signora- arrivederci e buon viaggio anche a lei. (pausa)

Scena 3

L’autista esce, luci a sfumare sulla signora.

Signora- Buon viaggio, che bell’augurio. Al lavoro andavo in macchina e dovevo correre. Adesso posso usare la corriera e mi sposto con calma. Adesso sì che è un buon viaggio.
Ricordo la S.I.A.M.I.C., passava davanti casa. Poi, per le troppe macchine e la strada stretta e trafficata, la fermata si spostò al ponte di Castelnovo, due chilometri in più da casa mia. Uno sgarbo che perdonai con fatica. Per la gente di provincia, per chi nasce ai margini è tutto più complicato. Andare a scuola o al lavoro in città significava svegliarsi molto presto. Capitava di viaggiare nel torpedone della S.I.A.M.I.C. Siamo Insulsi A Montare In Corriera, diceva qualcuno. Il torpedone era lungo, una doppia corriera con uno snodo in mezzo per consentire le curve: se ti trovavi nello snodo e pioveva, dovevi tenere l’ombrello aperto perché la gomma a soffietto di giunzione tra i due pezzi era usurata e ci pioveva dentro.

   gocce di pioggia

Era il nostro collegamento con il mondo. Usavamo la corriera persino per trasportare cose. L’unico altro mezzo era la bicicletta; a rotazione. Perché si facevano i turni per averla. Negli anni 70 tutto cambiava. Tanti motorini, lambrette e poi macchine, sempre di più. Usavo l’automobile per spostarmi. La S.I.A.M.I.C. diventò Forse Torneremo Vivi, F.T.V., e per mela corriera diventò pullman. Ci salivo per andare alle manifestazioni sindacali o in vacanza ai campi estivi dell’azione cattolica. Oggi scelgo la corriera e mi pare una vacanza perché la corriera è un contenitore di storie e tutti quelli che ci salgono condividono un pezzettino della loro vita. Sergio Endrigo cantava "Le cose di ogni giorno raccontano segreti per chi le sa guardare e ascoltare", in corriera guardo, ascolto e annuso, e, nel dondolio rassicurante, sento la vita che scorre e la gioia di far parte di questa fratellanza.

Musica 2

Scena 4

Cambio lucirumore di corriera che arriva e la signora sempre in scena

Signora- La corriera delle17 e 5 di oggi era calda e plumbea come il tempo di questa strana estate che non decolla. Mancava l’aria e c’era la puzza di un signore che dormiva russando. Bocca aperta e rantolo potente. La pancia, rotonda di birra e sudata, era a vista. Attorno a lui solo postivuoti. Corriera tollerante sì, ma mica scema. Fermata dopo fermata si riempie e mi capita vicino un signore, sobrio e profumato, per fortuna, ma debordante di fisico e in chiacchiere. In continuo movimento, in continuo chiacchierare. Una valanga di parole che mi rincorre, avvolge e stordisce. Gesù bambin dame a pasiensa de soportare e fame rivare in pressa! Poi ricordo la pancia sudata e capisco che poteva andarmi peggio, meglio le chiacchiere. A quest’ora la corriera è sempre piena; donne, uomini, grassi, magri, giovani, vecchi, bianchi, neri e anche altri colori e odori. Riconosco fatica, povertà, canfora, profumo, anche troppo. Odore di spezie; zenzero, curcuma, aglio, cipolla e profumo di sughi nostrani. Vista l’ora questi profumi risvegliano l’appetito, penso a cibi etnici, pollo con zenzero e curcuma, gamberetti saltati in salsa di soia. Alla fine mi farò uno zuppa di verdure, ma con un poco di zenzero. La chiamano contaminazione culturale. Anche questo succede in corriera, prenderò appunti. La corriera è piena di umanità che vive, e mangia.

Rumori(dal vivo batteria e fisarmonica) di traffico sempre più frenetici autista in scena che finge di guidare.

A quest’ora il traffico è pazzesco; macchine, moto, bici, tutti in movimento frenetico. L’autista guida bene. Strombazza un po' e porchesa. Ma ci sta, il porchesare lo rende simpatico. Questa corriera è speciale, fa il giro lungo. “Ad Alte la va torei operai”, mi ha spiegato la vicina di sedile. “Ma deso smonto, a vao a San Vitale e ghòda cambiare coriera”. C’è gente che dorme tutto il viaggio. Si vede che sono stanchi e gli altri, quelli svegli, si fanno i fatti loro a voce bassa come un ronzio di fondo per non disturbare. Mi piace la corriera della sera, mi piace perché riporta le persone a casa.

Rumori di voci in sottofondo la signora si siede sulla panchina.Entra l’autista

Scena 5

Autista- Ormai è diventata una “corrierista”, le piace proprio farsi trasportare. Allora come si trova?
Signora- bene, mi sono abituata in fretta. Quando usavo la macchina ero molto più nervosa, adesso invece me lo gusto proprio il viaggio. Anche se a volte capitano dei piccoli disguidi.
Autista- del tipo?
Signora- ieri, ad esempio, un furbetto, un povero cristo, è stato trovato senza biglietto.
Autista- capita, e noi dobbiamo stare attenti perché alla fine ci rimettiamo tutti.
Signora- E che tipi sono?
Autista- Di solito sono giovanotti. Quando ne acciuffiamo uno cerchiamo di stare calmi, lo ascoltiamo, ma raccontano sempre le solite storie. Poi lo multiamo ma senza infierire. Quello che mi fa innervosire è il dibattito, con scuse assurde, dove bisogna controllarsi.
Signora- così il controllore si controlla.
Autista- Spesso, ci controlliamo spesso. Ci sono delle regole, semplici, ma da rispettare. Tipo: si sale davanti e si scende dietro. Ma voi corrieristi siete anarchici, salite deve vi pare e scendete spingendovi. Noi dobbiamo guidare ma anche tenere un clima di tolleranza durante il viaggio, stare calmi e attenti.
Signora- Chissà se questa viene riconosciuta come professionalità.
Autista- (ride) simpatica. Ieri per esempio ho chiuso le porte, stavo per partire ma le ho riaperte perché ho visto in lontananza una bimba con la madre. Correvano disperate, vestite di rosso e giallo. La mamma aveva una sporta per la spesa in una mano, con l’altra teneva la bambina. La bambina aveva in braccio un peluche verde, forse una rana. o fatto loro cenno con la mano: “vi aspetto”.
Signora- che gentilezza.
Autista- doveva sentire che commenti mi hanno fatto alcuni passeggeri, su di me, e su di loro. Anche aspettare una bimba e una madre può essere un atto di coraggio.
Signora- (sorride)sa che la parola coraggio deriva dal latino
Autista- si e vuole dire avere cuore!
Signora- Io vado, viene anche lei?
Autista- no, aspetto, tra poco inizio il mio turno.

Scena 6

La signora esce

Autista- ieri è stata dura. Ero roverso (si alza).La corriera era mezza piena, poi è salita una tipa tutta fastidiosa che ha cominciato a rognare con una scavejona che le era seduta accanto. Bon, tachemoben! Ghò pensà. Dopo è arrivata una signora anziana, ‘na vecia insomma e non era a piombo, ghe mancava un boio. Gonna e gilet in lana sopra una camicetta in popelin e poi calze sanitarie e sandali ortopedici. A onor del vero il caldo lo sentiva perché si sventolava con un fazzoletto che usava anche per asciugare il sudore. Sapeva odore di armadio, quelli con la naftalina, come usava mia mamma. Quel profumo che faceva tanto proletariato, annusando, capivi il reddito familiare. E aveva un bel cocon tenuto su con delle forcine grandi a u.
Io ero roverso, ma anche la corriera, infatti mi sono fermato per far salire gente e le porte non si chiudevano più. Le ho provate tutte. Stufo orbo, ho perso la pazienza “Quella brutta…Giù tutti che arriva un’altra corriera”. Non sono stato molto professionale. Ciliegina sulla torta: è arrivato il furbetto di turno. "Ma nemo via coe porte verte chi se ne frega". “Bravo, bravo, e mi vo in giro perdendo par strada la vecia col cocon o la scavejona? No, non lo ho detto, lo ho solo pensato. Intanto la signora col cocon e in completo autunnale ha aperto la sua borsa e ha distribuito caramelle, le rossana, quelle con la carta rossa, che dio la benedica. Dopo, saranno state le oche tirate al cielo o la dolcezza delle rossana, le porte, per grazia divina, si sono chiuse.  Evvaiii! Ripartiti con tanto di applauso. ‘Sti applausi ricordavano quelli degli aerei quando atterrano, cancellano l’ansia e la paura. 40 minuti persi. Ma no, sono 40 minuti in più di corriera e adesso tutti contenti verso casa. Intanto mi, anca on co, gnente straordinario (esce a sx).

Musica 3 la corriera Van De Sfross

Scena 7

Cambio luci, entra uno e comincia a fare graffiti, poi entra la signora e si ferma a guardarlo, riflette che non ha mai trovato il tempo per studiare i graffiti. Poi il caldo afoso la distrae.

Signora-non ho mai capito bene il senso dei disegni che fanno alla stazione. Alcune scritte le ricordo. “La vita è davvero strana, un momento sei felice un attimo dopo è finito il vino”, “la persona giusta non esiste ma puoi trovare quella sbagliata di poco”, “ti darò quello che nei libri hai sempre sottolineato” “voglio essere il pensiero che ti fa sorridere per strada senza motivo” ma altre non le capisco. Sarà questione di linguaggio generazionale. Ogni generazione ha i suoi codici. (Guarda i graffiti si mette a sorridere) Mi viene in mente quel signore bassino, rotondetto, col berrettino e l’aria vaga che tentava di sedurmi, qui in stazione, in mezzo al viavai. Stavo guardando le scritte e i disegnini, come oggi. Era deciso e determinato a concludere. L’ho guardato, tentando di nascondere il mio imbarazzo. Quel giorno ho capito il potere del caldo sul cervello umano, del maschio in particolare. Invece di mandarlo a ramengo, ho biascicato: “ma non vede che ho un’età?” E lui, spavaldo e veloce ha risposto: “non importa, me va ben lo stesso”. Concedo la vittoria a tavolino al molestatore maldestro, anche se poteva essere più galante. Dopo un attimo di smarrimento ho recuperato subito il mio sguardo da marescialla, lui ha cambiato tono e si è scusato. Alla fine ho capito che pericoloso non era. Quel giorno salire in corriera è stato un sollievo, era fresca e quasi vuota. Abitata da donne ciarliere e da uomini stanchi con ormoni in pausa a godersi l’aria condizionata e a lasciarmi in pace.

Rumori di temporale
tuoni e lampi lontani lo annunciano, il cielo è plumbeo. Sale anche il vento.

Mi sa che viene un temporale bello forte. Le persone si sono avvicendate scendendo e salendo. Gli studenti sono dimezzati e i posti liberi sono stati occupati da donne immigrate. Distratta dai miei pensieri ho perso il filo dei loro discorsi, poi sento una risata forte e diffusa. Parlano del leone di Trissino. La discussione verte su chi sia la Serenissima. Chi è la Serenissima? Amo pensare che stiano cazzeggiando. Poi una ragazzina dice: "sarà la madonna no?!” Già la famosa madonna serenissima addomesticatrice dei leoni. E mi viene in mente la maestra delle elementari. Si chiamava Mariuccia, ricordo che tagliò la frangetta a una mia compagna “Adesso così vedi quello che scrivo alla lavagna”. E tutti zitti, nessuno protestava né alunni né genitori, perché lei era la MAESTRA. Però ci fece fare dei bellissimi cartelloni sulle repubbliche marinare coni confini della Serenissima Repubblica di Venezia segnati anche dalla presenza del leone di San Marco. Altri tempi.

Lampo poi rumore tuono
il vento si fa forte e muove rami e foglie e porta una pioggia battente.

Il tuono ha zittito tutti. La pioggia smette lasciando l’aria più calda e afosa. Inizia lo strano meccanismo che regola l’aria condizionata: più ti serve e meno ce n’è. I novellini non sono abituati al microclima su ruote si capisce subito. Fanno confusione, sbattono cose, si aggrappano traballanti spostandosi in continuazione. Irritano noi veterani e l’autista, silenzioso, guida con calma, quasi con dolcezza, nonostante tutto. Mi piace come guida, mi sento sicura. Poi alza la potenza del climatizzatore, forse per raffreddare gli animi. Non dice una parola di troppo, neanche quando uno vuole pagare il biglietto con 100 euro. Al cambio corrispondono a 100 porchi spediti silenziosamente da tutti nei suoi confronti. Impassibile l’autista non commenta e cambia il denaro. La corriera assomiglia a chi la guida e la sua calma condiziona le reazioni dei passeggeri. Dopo un tratto di strada tutto si normalizza, in fin dei conti ‘sti novellini sono solo gente stanca, spaesata fuori dalla normale routine. La Corriera li culla e li calma come una dolce balia. Il viaggio continua senza novità, solo un tintinnio (rumore di monete) di monete ci disturba e ci fa sorridere. Il resto dei cento euro, in moneta. L’autista aveva solo spiccioli, forse.

Musica 4

Scena 8
Esce signora entra autista

Autista- l’estate è finita, si capisce dalla fila per fare il biglietto, molto più nervosa. Ci sono tante mamme a fare abbonamenti scolastici per i figli e i soliti corrieristi per il biglietto. Nervosismo da fila, niente di che. La corriera sente che è fine agosto. È quasi vuota. Due mamme con figlio al collo e un papà con piccolino addormentato in braccio. Si godono i figli, li coccolano e fanno bene, cresceranno in fretta. Poi gruppetti d’immigrati locali, rilassati e curati. Si vede che sono in ferie, sono tranquilli, sorridenti ma le ferie finiranno anche per loro.
Sarà l’abbronzatura o il riposo, non so, ma mi pare che siano tutti belli in questa corriera di fine estate. Ah, poi ci sono loro: ragazzi e ragazze, bellissimi. Di varie etnie che in comune hanno gli esami.  La scuola li preoccupa e infastidisce, ma non cancella la voglia di vivere lo scampolo di fine estate.
Beati loro che sono così rilassati, mi sono svegliato alle cinque per fare questo turno e mi sento già stanco. Speriamo che oggi non succeda niente, così i pensieri potranno vagare liberi. Poi arriva lui.
"Capo no trovo el biglietto giuro che lo gavea ma no o trovo". Intanto la gente preme per salire e l’aria in corriera assomigliava sempre più a quella di un teatro in cui si attende l’inizio di una commedia. “Se non lo trova deve pagare il biglietto” allora il tizio ha iniziato una ricerca di monetine in varie parti del corpo frugando dappertutto e dimenandosi che pareva il ballo della tarantola. Intanto arriviamo alla fermata successiva e sale un uomo di valle: cotto dal sole, mani da lavoro, vestiti puliti ma comodi, forse sui settanta. Non dice una parola, compra il biglietto per il tarantolato e va a sedersi mormorando: "’na volta o l’altra te desfo".  Sono padre e figlio. Lo avevo immaginato dal dolore composto ma feroce che s’intuiva dalla postura dell’anziano. E così tocca pensare cose tristi, e la commedia che i corrieristi guardavano non ha proprio fatto ridere.


musica 5 (strumentale rapida)

scena 9
entra la signora e trova l’autista seduto

Signora- signor autista, buongiorno, allora è riuscito ad acciuffare qualche povero cristo che non paga?
Autista- sono così veloci a correre che mi domando perché prendono la corriera.
Signora- magari lo fanno senza troppo preoccuparsi dei biglietti, sono i soliti extracomunitari.
Autista- Non solo. Gli extracomunitari si preoccupavano di pagare il biglietto. Negli anni ’90 arrivarono in molti per lavorare sui marmi o sulla concia. Non si trovava più la manovalanza nel territorio perché erano lavori molto faticosi.
Signora- immagino; si sentono bene gli odori della concia e il marmo con la polvere che fa.
Autista- Gli immigrati non parlavano bene, ma volevano essere in regola. Si figuri che eravamo noi autisti che distribuivamo le carte per fare gli abbonamenti.
Signora- ma non c’erano sportelli o uffici informazione?
Autista- Vicenza non era pronta all’arrivo di queste persone, così ci siamo organizzati noi. Raccoglievamo foto, documenti e soldi, poi andavamo in stazione a fare gli abbonamenti. Magari avevano difficoltà con permessi di soggiorno o domicilio.
Signora- ma volevano gli abbonamenti.
Autista- al venti del mese si preoccupavano per essere in regola. Questo fatto me lo ha ricordato una signora senegalese, che adesso è cittadina italiana, si ricordava di me.
Signora- deve essere dura inserirsi in un paese nuovo.
Autista- una volta mi sono commosso. Era l’ultima corsa per Bassano del Grappa, salì un signore distinto e mi parlò in taglian. Sa cos’è?
Signora- Da quanto ho capito è una specie di dialetto veneto, lo chiamano il veneto brasiliano,è la lingua parlata dai nostri emigrati in brasile.
Autista- Voleva vedere Bassano e la Santissima Trinità. Mentre guidavo lo guardavo e vedevo che aveva gli occhi fuori dalle orbite e piangeva, non riconosceva più nulla. Voleva vedere la Santissima Trinità, ma non la riconosceva più. Andava lì spesso con una sua morosa, Caterina, si commosse al ricordo. Gli ho chiesto di restare seduto e gli ho fatto fare il giro di Bassano. Poi ha voluto scendere per andare a piedi dai suoi parenti. Quando è sceso mi ha dato la mancia.
Signora- ma lei non può prendere soldi in servizio.
Autista- non volevo infatti ma lui ha insistito, e mi ha dato una moneta da un real brasiliano, sa quanto vale ora?
Signora- non ne ho idea, ha fatto il giro gratis di Bassano insomma qualcosa deve valere.
Autista- 18 centesimi di euro.
Signora- Allora ha beccato un brasiliano di origini genovesi.
Autista- Può essere ma per me vale molto più di 18 centesimi, vale il ricordo di un vecchio e della sua morosa.

Musica 6 (brasiliana)

Scena 10
autista fuori signora in centro scena.

Signora- Fa freddino, oggi a Vicenza. Devo prendere dei treni. Il regionale per Padova e poi freccia per Roma. Viaggio tutto il giorno, dalle dieci e venti alle diciotto e dieci. Se non ci sono ritardi. Ma la corriera è arrivata e partita puntuale. Seduta davanti a me una magnifica coppia di ottantenni. Vanno a Venezia. Mi spiegano che ogni mese vanno da qualche parte: una mostra, un museo o una passeggiata tra strade e palazzi. Che bella cosa. Lui dice: "fin ke ghea femo". Lei ride, forte, come una ragazzina e risponde: "parla par ti, che mi so serena, ghe xe pì vedove che vedovi" e lui tace, ma non acconsente. L’orario è da corriera calma: né studenti né lavoratori. Spostamenti brevi, legati a necessità di famiglia. Oggiè la prima volta che vedrò il leone di Trissino dalla corriera. Ho visto foto, leggiucchiato articoli e commenti. L’ho persino sbirciato, due volte, passando in macchina. Ma vederlo dalla corriera è altra cosa. Si è più alti econ vista panoramica. Intanto siamo a Brogliano, il leone si avvicina. In fondo, tra gli alberi, spunta Trissino. Oh! Mai sentito una corriera così silenziosa. Alla fermata di Castelgomberto sale una signora; bellissima, elegante, direi regale. Ha in mano una bella rosa di giardino, rosa d’autunno. La porta al cimitero, forse è una vedova, già “fin che ghea femo”. Alla fermata di Trissino la rosa scende e sale LEI. Si siede sull’altro lato del corridoio rispetto a me, è notevole, fisicamente esuberante. Trucco e parrucca modello Moira Orfei. Abbigliamento notevole e poco regale. Mi ispira simpatia, poi arriva una telefonata. Anche la voce è notevole. In corriera, senza volerlo, ascolti le vite degli altri. Il tema è una complessa relazione sentimentale dove il lui “poareto", non riesce a liberarsi dell’altra “la parona”, con evidenti conseguenze negative per la vita di LEI. Mi faccio attenta, anche perché istintivamente mi vien da parteggiare per "la parona", che dopo scopro non essere la moglie ma "n’altra". E qui mi parte l’embolo nel tentativo di immaginarmi il "poareto". Non credo sia realmente un “poareto” visto il piccolo harem che deve mantenere. A un certo punto la voce di LEI cambia tono, aumenta il volume e degenera in un fiume di insulti che fanno man bassa del repertorio tradizionale veneto e fanno scattare il mio sopracciglio, non mi ispira più simpatia. Scoppio: "Ma basta!" La sosia di Moira Orfei mi guarda smarrita e si gira verso il finestrino e sussurra al telefono: "te ciamo dopo che ghexe una che no a se fa i cassi sui". Poi è arrivato il leone di culo. Porca miseria! Per ascoltare Moira dovrò fare un altro viaggio se voglio vedere la testa, non voglio ricordarmi solo il culo. (esce)

Scena 11
Entra l’autista

Autista- Non si può parlare con l’autista, che sono io. Così posso concentrarmi e nulla mi distrae. Guido in silenzio, guardo la strada, gli specchietti, anche quello dentro, quello che mi permette di controllare i passeggeri. Io guido ma vi vedo e vi guardo. Dalla mia postazione muta osservo. A volte si rischia la rissa, altre si ride di gusto. I cellulari la fanno da padroni anche qui. Ma basta una frenata brusca, un accelerare brioso per farli sparire. C’è l’umanità in corriera e tante, tantissime lingue che si mischiano tra loro.
Il posto di guida offre un punto di vista particolare, vedo l’altra parte delle cose. Così sbircio la ragazza sul marciapiede all’angolo. Giovane, esile, con un pellicciotto corto e tacchi altissimi su stivaloni modello Pretty Woman. Alle due del pomeriggio! Me li vedo i signori che approfittano della pausa pranzo. Ma la corriera ha una sua deontologia, passa e scivola via. Così ai miei occhi è passata la ragazza e son passati anche i suoi clienti, e sta passando anche questa strada piena di capannoni in cui non si fabbrica più nulla. Scivola via anche il cimitero di macchine, lontano si vede una chiesa con il campanile. Veglia dal colmo del montarozzo la corriera che passa. È il mestiere della corriera passare ma io oggi sono come una rete piena di buchi. Molto passa ma la ragazza all’angolo è rimasta impigliata in questa rete. Mi pesa e mi intristisce.
Poi ci sono anche loro. È l’abbigliamento che li distingue. Roba pulita ma lisa. Allo sguardo superficiale possono sembrare lavoratori stanchi. Ma basta poco per capire. Hanno l’aria confusa come di chi non sa dov'è. Si grattano troppo e la parlata è biascicata. Camminano con incertezza strascinando i piedi e se li guardi in faccia vedi che gli manca qualche dente. Sono vecchi tossici. Retaggio poco moderno di un mondo che fu. Il mondo in cui le cose si vedevano e non si nascondevano. Non come oggi che “tutto va ben no? E dei ragazzi che si fanno non se ne accorge più nessuno, finché muoiono. Anche queste sono cose che penso e che "sento" quando guido. Mi piacerebbe parlarne alla signora, lei che viaggia e scruta le vite degli altri. Mi piacerebbe sapere che ne pensa di questo “tuto va ben”, che pare un tappeto liso, sotto il quale nascondere le realtà scomode. Sono anche in leggero ritardo. Così allungo il mio pensiero triste e su questa mia tristezza vorrei chiudere gli occhi e farmi cullare dalla corriera per farla passare, ma so già che poi non mi passa.


Musica 6    

Scena 12
Entra la signora

Autista- buongiorno, freschino oggi vero?
Signora- Già, è arrivato l’autunno, con le sue luci e le sue ombre.
Autista- Le ombre, mi fanno pensare a Peter Pan, il ragazzino che cercava la sua ombra, e se fosse stata la sua ombra a cercare lui?
Signora- Tutti abbiamo ombre che nascondiamo nel nostro scrigno segreto, le nascondiamo agli altri e, a volte, anche a noi stessi.
Autista- Ci piace presentarci in vetrina, essere sempre disponibili, schietti, solari e senza macchia. Manteniamo nel retrobottega le parti che non ci piacciono, le accatastiamo senza cura considerandole carabattole.
Signora- Col tempo ho imparato che siamo tutt’uno. Noi siamo l’intero negozio, vetrina e retrobottega.
Autista- conosce Alekos Panagulis?
Signora- Oriana Fallaci, gli ha dedicato un libro.
Autista- e io mi ricordo una poesia che parla di ombre e luce.

Luci su leggio, tappetto sonoro

“Amai tanto la luce
che una candela mi riuscì d’accendere
ma sprecai quell’opaco esiguo lume
che prima di gioirne
avvertii disperato
che la stessa luce che tenevo
con l’ombra del mio corpo colmava di buio le mie strade”

Signora- Sorge un pensiero; mettiamo che la luce rappresenti la conoscenza. Un saggio che riesca a trovare una fonte di luce con la sua ombra oscurerà le vie degli altri.
Autista- Stiamo diventando troppo filosofi.
Signora- sarà l’autunno con la sua malinconia.
Autista- Quando sono stanco scherzo con i passeggeri. “Vala a Ciampo?” “No signora la va a gasolio”, “Quala xea la coriera pa’ Basan?” “el va nel piasa e la prima coriera rossa e bianca chel cata la xequea” “el me scusa ma le se tutte rosse e bianche” “quea rosso scuro” Anche per questo a volte partiamo velocemente.
Signora- così prende in giro i passeggeri? Simpaticone veramente.
Autista- Poi ci sono gli stranieri che a Valdagno leggono Venezia invece di Vicenza. Ci salgono sopra e partono. A Vicenza ti chiedono “Were is Piazza S.Marco? Ponte Sospiri?” e i sospiri poi li fai tu. E li porti in biglietteria a prendere il treno. Mi ricordo una vecchietta simpatica che ci teneva d’occhio, “capo com’ela chel continua verzare la boca? Galo dormio poco? Xeo ‘ndà in leto tardi? Nol ghe pensa mia che el ga da guidare?”. Poi si faceva perdonare regalandoci le caramelle al miele.
Signora- Chissà perché le vecchiette hanno sempre caramelle in borsa. Forse è per regalarle. Bene devo andare, prendo la corriera, quella rossa e bianca.

Signora esce

Autista- la vecchietta con le caramelle, chissà cosa le avrebbe risposto Bortolo Fracasso storico autista. Aveva settant’anni, era in pensione ma non riusciva a stare a casa, anche perché era solo. Ogni mese comperava un abbonamento speciale per tutte le linee. D’estate lo portavamo a Jesolo, d’inverno ad Asiago. Continuava a girare in lungo e in largo tutta la provincia di Vicenza. Aveva una voce graffiante e particolare. Aspettava sempre che la corriera fosse piena poi diceva “autista, gratate el culo!” Era un suo modo simpatico per prenderci in giro. D’inverno, prima di salire sul costo di Asiago, si faceva tappa a Mosson, dove ci offriva sempre qualcosa e non potevi rifiutare perché si arrabbiava. “Un bianco par mi e ‘na spuma pal bocia”. Era solo e la corriera era la sua casa, la sua compagna. Ciao Bortolo e “gratate el culo”.


Musica 7

Scena 13

Autista in scena

Autista- Questa mattina mi è toccata una bella corriera simpatica. Tanti viaggiatori e particolari. Alcuni con la valigia in mano e altri, tanti, concentrati sui cellulari. Li vedo dallo specchietto, tutti riversi sul piccolo schermo, ormai ognuno vive il suo mondo e, ormai, non si parla più con gli estranei, meglio andare a caccia di like sui social.
Ma uno, uno, è un mio mito. Lui, un poco goffo, rotondetto, capelli col riporto, di quelli che se tira il vento dalla parte sbagliata fanno la bandiera sopra la testa. Si siede sempre nel primo sedile "ca no voria dar de stomego". Ovviamente tutti gli lasciano il posto e smettono di cercare Like. Lo osservo di nascosto ma soprattutto lo ascolto. Col suo fare innocente e col suo stomaco debole, guadagna due sedili senza colpo ferire, anche a corriera piena. Poi appoggia la testa, chiude gli occhi, si rilassa e dopo viene il bello. Parte col rosario. Una sequela di porchi e rasie di fantasia ineguagliabile. Un campionario di variopinte bestemmie con il nome di dio, della madonna e di qualche santo, associato a bestie, piante, fenomeni atmosferici, cibi esotici, spezie e qualsiasi cosa o genere. Col tempo al “dio tossico” mi sono abituato, ma alla “madonna imbriaga de vin ‘nda in asedo” ancora no. Lui sussurra, non alza mai il tono della voce, non apre gli occhi e non si muove. Non mi interessano le bestemmie, anche se sono folcloristiche e originali. Le sue bestemmie sono frutto di ponderate e complesse combinazioni lessicali. Non sono mai usate per dar scandalo, solo appena sussurrate, come un memento. Un mantra personale, eretico e misterioso.
Alla sua fermata saluta con un gesto e scende borbottando. Al suo posto sale una giovane donna nera, alta, bella con una redingote rosa sopra i pantaloni, una maglia panna e una pancia di almeno otto mesi. Sembra una Madonna ma non è imbriagha e non odora di aceto.
Poi sale lui, Marietto. Calvo, rubicondo, tozzo e ondeggiante. Era da un po’ che non lo sentivamo, ci mancava la sua voce squillante, un poco meno il suo alito persistente. "Eh no can dal porco! Eh no. Cosa gheto paura? Ah? Ca te fasa pagarme un goto? Can dal porco a pago mi e i to schei tientei che te te compri el canto". L’altro, il can dal porco, presunto taccagno, ha l’aria perplessa. Anche preoccupata.
Non fiata e si guarda intorno supplice. Ci vuol poco a capire che è la persona sbagliata. Ma nessuno lo soccorre. Quando la corriera è noiosa il suo popolo anela distrazioni. Così, per poco eh, ci beiamo dell’imbarazzo, e pure del legittimo fastidio, della vittima di turno. Sì perché lui, ben messo, decisamente maleodorante e abbastanza alticcio crede sempre di riconoscere un amico che non gli vuole pagare un goto. Non passa mai a vie di fatto eh. Però il suo incombere è fastidioso. Così, dopo qualche scambio di sorrisini sadici, ci muoviamo a pietà e uno di noi da una voce "can dal porco ti, asseo stare no te vedi che nol beve cheo li". E il nostro si scuote, libera il poveretto, si avvia al suo posto. "Nol beve? Porocan!" E la corriera, disinnescata sta gazzarra, ripiomba nella noia.

Scena 14

Signora- Le persone, quando salgono e si siedono, hanno un naturale istinto nello scegliersi il posto che più gli assomiglia. Certo ci sono aspetti oggettivi, se la corriera è piena non è che hai tanto da scegliere. Manca la possibilità di muoversi e se uno ci prova, che so, ad avvicinarsi a un conoscente, dal muro umano si alza un brontolio, sottolineato da un sacramentare di avvertimento, che blocca immediatamente qualsiasi movimento. Se lo spazio c'è la corriera diventa un mondo in cui scegli dove stare e ci si divide in categorie. In fondo i casinisti, anche troppo casinisti. Le donne preferiscono stare davanti categoria ciacoe. Gli uomini nel mezzo categoria stufi e rassegnati. Poi la categoria ormoni, giovanotti e ragazze, esuberanti che sondano la corriera con sguardi laser e si dispongono strategicamente gli uni rispetto agli altri. C’è anche la variante del calcolo sole/ombra e altre categorie come degli amanti del finestrino e di quelli che assolutamente il corridoio e poi ci sono gli abitudinari che trovi sempre al "loro" posto.  Stabiliti gli spazi viaggiare trasportati permette di distrarsi e mentre il corpo segue un percorso definito il pensiero si abbandona. Contemporaneamente, si viaggia fuori e dentro sé stessi. Viaggiare trasportati ti fa pensare. Nella mente rimbalzano momenti sopiti, ma non sepolti. Rivedi sorrisi di persone amate e ormai lontane, echi di voci che pensavi ormai mute. Affidarsi al viaggio richiede coraggio nello scegliere, senza rimpianti, tra le innumerevoli svolte. Incurante dei se e dei forse. Forse, se, sono parole che insinuano il dubbio, con lo scopo di trattenerti nell’indecisione e nel rimpianto. Il viaggiatore felice non si cura di loro, sa che non è possibile ripercorrere una scelta fatta e che la stessa strada offre infiniti e variabili orizzonti, ma che solo uno ci è dato in dono. Per godere il viaggio bisogna accogliere gli imprevisti esattamente come nel gioco del Monopoli, scherzi di un percorso che in questo modo ci arricchisce. Viaggiare consente una pausa da sé stessi, una sosta in movimento.

Musica 8

Scena 15

Autista- Mi piace quando scendono tutti e rimango solo, stanco ma felice.  Così allentola cravatta, sbottono la camicia e appoggio la testa allo schienale. E ascolto la mia musica preferita. Classica, la mia passione. La musica classica trasmette emozioni, colori, variazioni continue. Dialoga con la nostra anima. Penso a casa mia, mia moglie e mia figlia. Stamattina mi ha regalato degli occhiali da sole. “Sono quelli di ciclope l’X Man che spara raggi con gli occhi”. Sono il suo supereroe. Cambierà lo so, ma intanto me la godo. Così li ho indossati. A una fermata sale la signora. Non le ho mai chiesto il nome ma ormai ci conosciamo. Decisa mi punta e si siede al mio fianco.  Se la corriera è vuota perché si è seduta vicino a me? Non dà segni di voler parlare e alla mia intenzione di spegnere la radio mi ferma con uno sguardo. Anche lei apprezza questa pausa musicale che diventa colonna sonora di questo viaggio muto. La sorprendo sbirciarmi con curiosità. Saranno i nuovi occhiali da sole che indosso. Viaggiamo soli, in silenzio. Alla sua fermata scende. Solo un cenno impercettibile del capo come di saluto e un sorriso amichevole. Chissà se si può dire che ci siamo fatti compagnia.
La solitudine viene interrotta da un’onda di ragazzini ciarlieri che si trasformano in una feroce pattuglia di sfondamento. Questi giovani esuberanti hanno fretta di vivere. Sono disposti a tutto pur di salire. Scattanti, agili e spietati. La situazione in corriera peggiora, rimpiango la signora che è scesa prima e rimpiango di non essere davvero ciclope. Questa ressa spinge e costringe una ragazza (mentre parla mima la scena) che si trova spalmata sul vetro proteggi autista e incastrata sull’obliteratrice. Dietro di me ragazzini urlanti e spingenti che discutono di qualità e costi delle sigarette, forse per sentirsi adulti. Sono innervosito e la guida ora è veloce e scattosa, trasforma il passaggio alle rotatorie in un’esperienza simile all’ottovolante.
Per calmarmi penso alla corriera vuota del sabato mattina dove spesso incontro il fornaio. È un napoletano con casa (in napoletano)” sotto o Vesuvio". Mi spiega tutto sulle farine "voi qui tenete buonissimi mulini". Mi spiega come l’uso dei lieviti può fare il pane buono o cattivo. "Fare il pane buono è il lavoro più bello del mondo". Gli manca il mare e il sole qui è più sciapo. Ci credeva "un po' meglio" noi del nord est. Anche qui c'è ingiustizia, sfruttamento, illegalità. "Ma almeno tenete più lavoro". È orgoglioso di suo figlio laureato che ha aperto una bottega di "pane buono" a Milano. Pensa che tra qualche anno smetterà di viaggiare e lavorare e potrà tornare a casa, sotto il Vesuvio. Ride. "non mi pare proprio possibile di stare sempre a casa". Quando scende mi dà la mano. Non ci siamo mai detti i nomi. Ma non serve. Siamo due che girano in corriera.

Scena 16

entra la signora

La signora entra guardando l’ora in attesa di partire, spolverino in braccio.

Autista- Buongiorno
Signora- mica tanto, mi pare che siamo un poco in ritardo oggi.
Autista- purtroppo gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado sono in strada.
Signora- perché cosa è successo?
Autista- La manifestazione di Greta. Scioperavano anche gli insegnanti e c’era anche una nutrita delegazione di adulti in fondo al corteo è per questo che c’è il ritardo
Signora- adesso capisco i coloratissimi porchi ed eresie del signore di prima.
Autista- li sento bene anch’io. Il passeggero scarica tutta la sua rabbia sull’autista ma io non centro. In questi casi sono così arrabbiati che non capisco se vogliono che passi sopra il corteo o che scavalchi i palazzi.
Signora- si potrebbe inventare un premio per la creatività e la raffinatezza
Autista- Le donne sono più pazienti. Chiacchierano, osservano, si informano. "È la manifestazione della Greta". "Greta? Chi xeala Greta? Xea morta?". Mi chiedono e io rispondo. Spiego che oggi tutti i ragazzi stanno fuori da scuola per chiedere azioni efficaci per il clima.
Signora- beh, ha fatto bene a dirlo, così si saranno un poco calmati.
Autista- Calmati?? È scoppiato un bordello! Ho dovuto aprire le porte e far scendere un gruppetto. Poi due hanno cominciato a litigare con me. “i ghà da n’dare laorare, no rompare i maroni”. Intanto corriera e macchine ferme, tutte con il motore acceso.
Signora- ecco come una manifestazione per il clima inquina, e come è finita?
Autista- Io non ho più parlato e alla fine, frustrati dall’impotenza, sono tornati al loro posto. E tutti in silenzio. Poi lentamente ha ripreso la discussione. Con opinioni molto articolate del tipo "saria mejo che i tusi studiasse invese de ‘ndare in giro".
Signora- lo dicevano anche quando manifestavo io al liceo.
Autista- poi la manifestazione ha girato e siamo ripartiti con 25 minuti esatti di ritardo. Alla fermata dopo sono saliti degli studenti con un bell’aspetto tutti griffati. Parlavano di macchine, di quelle che vogliono comprarsi. Mi facevano ridere volevano quelle che intasano le strade e inquinano l’aria con una sola persona a bordo.
Signora- Non credo che il compito di salvare il mondo lo possiamo affidare agli stessi ragazzini che stiamo condannando ad un futuro peggiore del nostro presente.


Musica 9

Scena 17

Entra l’autista.


Autista- Signora, signora, la sua corriera parte tra poco, per Vicenza vero?
Signora- si, grazie, ma oggi non vado a Vicenza, cambio meta.
Autista- e dove va?
Signora- non lo so ancora ci sto pensando.
Autista- guardi che partire senza meta può essere un rischio e non avventura. L’avventura è anche nelle cose ordinarie. Anche gustare il presente il qui e ora.
Signora- ha ragione, prima dovevo correre per il lavoro e consideravo il viaggio improduttivo. L’arrivo era utile ma lo spostamento era tempo perso. Adesso no, ora gusto la strada. Vivo anche il tempo che sembrava sprecato.
Autista- Bisogna apprezzare di più gli attimi che ci sono concessi.
Signora- forse in questo sta il viaggio e, forse, anche la vita. Spostarmi in corriere con gli altri mi ha fatto capire che anch’io come tutti sono un viandante. Per lei il viaggio che cos’è?
Autista-Io ci lavoro con i viaggi, trasporto le persone.
Signora- si ma prima di diventare autista cos’era per lei il viaggio?
Autista- Se penso al viaggio ho un ricordo della mia infanzia. Andavo in bici, con le rotelle, quelle che si imbullonavano ai lati della ruota dietro e desideravo toglierle per andare via senza. I miei fratelli correvano senza ruote e addirittura senza mani. Mi sembrava un’impresa enorme, incredibile. Un giorno mio padre tolse le ruote e mi insegnò a stare in equilibrio. Mi sosteneva con una mano sotto la sella e mi dava l’equilibrio che mancava. Col tempo imparai anch’io a pedalare senza ruote poi senza la mano di mio padre e, dopo un certo numero di cadute, senza le mie mani. Il ricordo di quel sostengo, che mi dava sicurezza e incoraggiamento è rimasto. Anche adesso, prima di iniziare un viaggio, penso a quella leggera spinta che mi serviva per partire. Poi vado.
Signora- E’ stato anche lei bambino.
Autista- certo, ma lo sono ancora, non siamo fatti a strati come le lasagne, bambino, ragazzo, uomo. Io sono un minestrone dove può trovare pezzi di bambino, di uomo e anche di vecchio.
Signora- se cerco un pezzo di quand’ero bambina mi ricordo che aspettavo la notte e i sogni per viaggiare. Andavo a dormire con la pretesa e la speranza di scegliere le destinazioni dei miei sogni. I miei primi e incredibili viaggi li ho fatti nel mio letto si trasformava in veliero, aereo, auto. Ancora adesso la sera, una parte di me, immagina un luogo dove andare nel sogno, e chiudo gli occhi speranzosa.

Escono mentre il gruppo, ancora presente suona l’ultima canzone.

Musica 10

FINE