Radici

di

Niccolò Matcovich

 

Lei e Lui sono madre e figlio.
La stanza di una casa di montagna.

LEI: Vuoi una fetta o mezza?
LUI: Mezza. La metà più piccola.
LEI: Ecco.
LUI: Avevo detto la metà più piccola.
LEI: Perché sei qui?
LUI: Non lo so. Volevo tornare.
LEI: Sei tornato.
LUI: Avete mangiato?
LEI: È quasi mezzanotte.
LUI: Hai mangiato?
LEI: Non credevo che tornavi.
LUI: Sono tornato. Ho molto freddo.
LEI: Ho acceso il camino. Adesso ci scaldiamo.
LUI: Dormo qui stanotte.
LEI: Sai mungere le capre?
LUI: L’ho dimenticato.
LEI: Domattina presto bisogna mungere le capre.
LUI: Ti posso aiutare.
LEI: Devi farlo da solo.
LUI: Se ti guardo mi ricordo come si fa.
LEI: Per mungere le capre devi avere mani forti. Come le mie. Guarda. Quando le capre vedono le mie mani si spaventano.
LUI: Scappano?
LEI: Non scappano. Sono obbedienti. Si avvicinano e si fanno mungere.
LUI: Devi essere bella quando mungi le capre.
LEI: Vuoi del latte?
LUI: Se è caldo e con il miele sì.
LEI: Non sei cambiato.
LUI: Ho visto i castelli. Sui merli c’era sempre la neve. E sulla neve c’erano piccole impronte. Zampette di uccelli.
LEI: Che ci vanno a fare gli uccelli sulla neve dei merli?
LUI: Penso che qualcuno gli mette da mangiare.
LEI: Sui merli?
LUI: Sui merli, sì. Ho fatto delle fotografie. Le vuoi vedere?
LEI: No.
LUI: I castelli sono luoghi così strani. Carichi di storia, complessi.
LEI: Come lo sai?
LUI: Lo vedo. Lo sento. Nello spessore delle mura. Mura piene di vita, di fatica, di gelo. Sai, ogni sala del castello aveva un camino.
LEI: Alberi disgraziati.
LUI: Sì. Disgraziati. Ma il camino lo hai anche tu. Quindi devi sentirti un po’ in colpa. Come i castellani del tempo.
LEI: Eccoti il latte con il miele.

Lungo silenzio.

LUI: E’ molto saporito.
LEI: Lo avevi dimenticato?
LUI: Ho bevuto solo acqua. Ogni tanto un goccio di vino, la sera. Per scaldarmi.
LEI: Rosso.
LUI: Solo rosso.
LEI: Vino rosso fa buon sangue.
LUI: Lo diceva sempre il nonno.
LEI: L’hai dimenticato?
LUI: Se adesso era vivo gli facevo una fotografia.
LEI: Sono tutti morti.
LUI: Non tutti.
LEI: Sono morta anch’io.
LUI: Che dici?
LEI: Mi hanno dimenticata. E io ho dimenticato loro.
LUI: Chi loro?
LEI: Adesso ho solo le mie capre.
LUI: Ti sembra poco?
LEI: No. Mi danno tante soddisfazioni. E latte.
LUI: Domattina andiamo a mungerle insieme.
LEI: Alle 5. Non più tardi.
LUI: Alle 5. Sta bene. Posso fargli le fotografie?
LEI: No.
LUI: Fa molto freddo stanotte.
LEI: È scesa la temperatura. Domani nevicherà.
LUI: È bello vedere tutto immacolato.
LEI: Come i merli dei castelli.
LUI: Sì. Vuoi vedere le fotografie?
LEI: No. La neve mi innervosisce.
LUI: Perché? È così semplice.
LEI: Spaventa le capre.
LUI: Le spaventa? Com’è possibile?
LEI: Quando nevica iniziano a urlare. Urlano come oche. Scappano tutte insieme dentro la stalla.
LUI: C’è la stalla delle capre?
LEI: L’hai dimenticata?
LUI: Non c’era.
LEI: C’è sempre stata. Era di tuo nonno.
LUI: Se nonno era vivo gli facevo una fotografia.
LEI: Vai a vedere la stalla. Così saluti le capre e ti prepari per domattina.
LUI: E tu resti sola?
LEI: Io penso al camino. La casa si deve scaldare. Stanotte arriva la neve.
LUI: Allora vado. Torno presto però. Spero di trovarti ancora sveglia.
LEI: Vuoi ancora latte caldo?
LUI: Basta. Poi non dormo. Tempo fa mi dicevi che bere tanto latte fa male alla pancia.
LEI: Dipende. Se il latte lo compri giù al paese fa male alla pancia. Il mio lo puoi bere a volontà.
LUI: Per oggi basta così. Allora vado. Meglio che mi copro. Fa molto freddo. Stanotte arriva la neve.

Esce.
Lei mette un ciocco nel camino.
Lui rientra.

LEI: Di già?
LUI: È molto freddo fuori. Si gela. Non sento più le mani.
LEI: Vieni vicino al camino. Le hai viste le capre?
LUI: Non l’ho trovata la stalla. È tutto buio.
LEI: Non sentivi che urlavano come oche?
LUI: C’era un silenzio meraviglioso. Buio e silenzio. Come nei castelli.
LEI: Vuoi altro latte?
LUI: Basta così. Sono molto stanco. Fra poco vado a dormire. Se non ti dispiace.
LEI: Ti ho messo lo scaldaletto.
LUI: Davvero?
LEI: È ancora quello.
LUI: Non posso crederci. Proprio quello?
LEI: Sì.
LUI: Funziona?
LEI: Sì.
LUI: Come prima?
LEI: Meglio di prima.
LUI: Com’è possibile?
LEI: Invecchiando si è migliorato. Funziona.
LUI: Posso darti un bacio?

Silenzio.

LUI: Cosa hai fatto in questo tempo?
LEI: Cosa ho fatto mi chiedi? Cosa pensi che ho fatto? Ho munto le capre, sistemato la casa, comprato la legna.
LUI: Hai faticato molto.
LEI: È la mia vita. Io l’ho scelta e io l’ho portata avanti.
LUI: Sei felice?
LEI: Ho fatto la scelta giusta. Non potevo fare altro.
LUI: Sei sempre stata una testa dura.
LEI: Bisogna avere le idee chiare. Senza di quelle non si combina nulla.
LUI: C’è del vino?
LEI: C’è il latte caldo.
LUI: Vorrei un po’ di vino rosso. Questo fuoco è freddo.
LEI: Colpa della legna. È verdastra. Brucia poco, male.
LUI: Perché l’hai comprata?
LEI: Andavo di fretta. Dovevo pensare alle capre. Non mi ero accorta.
LUI: Il prossimo carico lo compro io. Bado che sia bella secca e testarda.
LEI: Domani la sveglia è alle 5.
LUI: Me lo ricordo. Non preoccuparti.
LEI: Mi preoccupo. Le capre sono furbe. Se non si mungono domani perdono tutto il latte che hanno in corpo.
LUI: Sveglia alle 5. Sarò vispo come un grillo.
LEI: Finisci il latte. Ne è rimasto neanche una tazza.
LUI: Sta bene. Solo perché è il tuo. È molto buono.

Silenzio.

LUI: Ti sono mancato?
LEI: Ho avuto molto da fare: le capre, la legna, la casa.
LUI: Ho fatto tante fotografie. Le vuoi vedere?
LEI: Ha iniziato a nevicare. Guarda fuori.
LUI: L’avevi detto.
LEI: La conosco questa montagna. Prima mi faceva gli scherzi. Non la capivo. Adesso invece siamo sorelle. So sempre cosa vuole e cosa fa.
LUI: Ti ricordi le passeggiate?
LEI: Mi fanno male le gambe. Non posso più portare le capre al pascolo.
LUI: Io avevo degli scarponi belli, vecchissimi. Credo che erano del nonno. Marroni come le piume di un’aquila, resistenti, con i lacci robusti e intricati. I piedi dentro stavano caldissimi.
LEI: Questi ciocchi son proprio birichini.
LUI: Domani faccio il carico nuovo. Prendo una bella fascina rinsecchita.
LEI: Te lo ricordi dove prendo la legna?
LUI: No. Giù in paese.
LEI: Poco prima. Scendi per la valle e prima di arrivare in paese c’è quella casina all’inizio del bosco. Chiedi di Ottone e ti fai dare un carico buono. Digli che ti mando io. E lamentati che questa era verde e birichina.
LUI: È ancora vivo Ottone?
LEI: Ma che vivo. Questo è il figlio, ed è rimbambito come una capra. Non ci parlare perché tanto non capisci niente. In bocca avrà sì e no due denti e mezzo.
LUI: Tale padre tale figlio.
LEI: È anche peggio del padre, questo qui. Però fa bene il suo lavoro. Come suo padre.
LUI: Stavolta non eri contenta.
LEI: Può capitare che una volta va male. Basta dirglielo e vedi che magari ti fa anche lasciare due cartoni invece di tre.
LUI: Lo paghi ancora con il latte?
LEI: Ho forse altri modi? Soldi non li ho e non mi servono. Non mi serve niente. Mi basta solo che le capre mi fanno il latte di cui ho bisogno.
LUI: Domani vado da Ottone col latte appena munto.
LEI: Sta bene. Poi lo sgridi per il carico che mi ha dato e vedi che ti fa lasciare un cartone solo, così gli altri due ce li teniamo per noi e li riscaldiamo la sera insieme al miele.
LUI: Non mi viziare. Ero riuscito a smettere.

Sorride.

LUI: Ti vedo molto stanca. Non volevo farti stare in piedi.
LEI: Ci sono abituata.
LUI: È tardi. Vuoi andare a dormire?
LEI: Sono sempre stata l’ultima ad addormentare la casa.
LUI: Io vorrei restare ancora qui. Per un po’.
LEI: Resto anch’io.
LUI: Non ti fidi?
LEI: Che sciocchezze. Te l’ho detto il motivo.
LUI: Ho con me la mia macchina fotografica. È lì nella custodia.
LEI: Sta bene.
LUI: Ho anche delle fotografie. Sempre lì nella custodia.
LEI: Stanno bene.
LUI: Perché hai paura delle fotografie?
LEI: Sono foglie secche. Io devo vivere.

Silenzio.

LUI: Volevo farti vedere i castelli. Hanno i merli imbiancati. Gli uccellini che mangiano.
LEI: Vedo uccelli tutti i giorni. Prima li scacciavo con la scopa. Mi mangiavano il raccolto. Adesso che ho solo le capre non mi vengono a noia.
LUI: Tempo fa c’era lo spaventapasseri.
LEI: Si sono mangiati anche quello.
LUI: Gli uccelli?
LEI: Gli uccelli. Un anno il raccolto è andato male. Ho dovuto tagliare e buttare tutto. Quelli sono rimasti a bocca asciutta e si sono mangiati lo spaventapasseri.
LUI: L’aveva costruito il nonno.
LEI: Ha fatto una bella storia.
LUI: Metto un ciocco nel camino. Si sta spegnendo.
LEI: Lascia stare. Fra poco dormiremo. Lascia dormire anche lui.
LUI: Domani vado da Ottone a prendere un carico secco.
LEI: Me l’hai già detto.
LUI: Non so più di cosa parlare.
LEI: Non ci vediamo da molto tempo.
LUI: E’ come se… come se non dobbiamo parlare. Forse dobbiamo guardarci. O ascoltare.
LEI: Allora ascolta.
LUI: Si sente il rumore della neve.
LEI: Sh.

Lungo silenzio.

LUI: Il silenzio mi spaventa.
LEI: Non sei abituato. Non lo sai godere.
LUI: Invece sono abituato. Fin troppo. Per questo mi spaventa.
LEI: Non sai condividerlo.
LUI: E con chi? Con la mia macchina fotografica?
LEI: Adesso sei qui.
LUI: Per questo non ho bisogno del silenzio. Voglio sentire la tua voce.
LEI: La mia voce è anche nel silenzio. Prova ad ascoltarlo.

Lui si alza. Passeggia nervosamente per la stanza. Si rimette a sedere.
Sente una capra belare.

LUI: Senti?
LEI: No.
LUI: Una capra.
LEI: Ti avevo detto che quando nevica impazziscono.
LUI: È una sola.
LEI: Te l’avevo detto.

Lui sente di nuovo la capra belare.

LUI: Ma dov’è?
LEI: Nella stalla. Con tutte le altre.
LUI: No. È più vicina. Non senti?
LEI: Affacciati alla finestra. Vedi se è riuscita a uscire.
LUI: Non vedo nulla. È tutto buio fuori.
LEI: Apri la porta e guarda. Se ne è uscita una possono essere uscite tutte.
LUI: Torno subito.

Silenzio.

LUI: No. Qui fuori non c’è nessuno. Non si vede nulla.
LEI: Vuoi un po’ di latte?
LUI: Ma che dici? C’è una capra che bela. La senti? Non riesco a capire dov’è.
LEI: Forse è qui in casa.

Ridacchia.

LUI: Tieni le capre in casa?
LEI: Stavo solo scherzando.
LUI: Ha smesso. Che strano. L’hai sentita?
LEI: L’ho sentita.
LUI: A volte mi sembra d’essere matto.
LEI: L’ho sentita.
LUI: Forse non c’erano gli uccellini sui merli dei castelli.
LEI: Gli hai fatto le fotografie.
LUI: Non le ho mai riguardate. Riguardare le fotografie mi mette tristezza.
LEI: Sono foglie secche.
LUI: Io devo vivere.

Ridacchiano.

LUI: Ti ho svegliata quando sono arrivato?
LEI: Ero qui. Davanti al camino.
LUI: Era molto tardi.
LEI: Sono abituata.
LUI: Fai sempre molto tardi?
LEI: Dormo poco. Non ne ho bisogno.
LUI: Mi hai detto che ti stanchi molto durante il giorno.
LEI: E la notte mi riposo. Qui al camino.
LUI: Pensi?
LEI: Sì.
LUI: Hai pensato a me qualche volta?
LEI: Mi bevo un po’ di latte. Ne vuoi?
LUI: Basta. Sto benissimo. Nevica, e io sento caldo.
LEI: Il camino dorme.
LUI: Si sta molto bene qui. Non lo ricordavo.
LEI: Tieni. Bevi un po’ di latte caldo.
LUI: Sta bene. Ma poi basta davvero.

Silenzio.

LUI: E tu?
LEI: No. Non mi va.
LUI: Hai detto che lo volevi.
LEI: L’ho scaldato per te.
LUI: È sempre più buono. Ogni volta che lo bevo più buono.
LEI: È sempre lo stesso.

Nel silenzio, lui sente la capra che riprende a belare.

LUI: L’avevo dimenticata.
LEI: Affacciati alla finestra.
LUI: Mi sono già affacciato prima. Non si vede nulla.
LEI: Dimmi se sta ancora nevicando.
LUI: Non lo capisco.
LEI: Esci fuori.
LUI: Sta bene. Torno subito.

Un silenzio.

LUI: Ha smesso.

Lui sente la capra belare più forte.

LUI: Non capisco. Non capisco!
LEI: Vai a cercarla.
LUI: Sta bene. Torno subito.

Un silenzio.

LUI: È in casa.
LEI: Te l’avevo detto.
LUI: Era uno scherzo.
LEI: Lo era.
LUI: Quindi non lo sapevi?
LEI: No.
LUI: Cosa facciamo?
LEI: Lasciala lì.
LUI: La lascio lì?
LEI: Sì.
LUI: Ma come? Non ti dà fastidio?
LEI: Perché dovrebbe?
LUI: C’è una capra in casa. Insomma, non è proprio un animale domestico…
LEI: Ci ho sempre vissuto in mezzo alle capre.
LUI: Sì, ma in casa.
LEI: Lasciala dov’è. Quando capirà se ne andrà.
LUI: Non capisco.
LEI: Vuoi un po’ di latte?
LUI: Voglio far uscire quella bestia.
LEI: Ti ho detto di lasciarla dov’è.
LUI: Forse il tuo latte mi ha dato le allucinazioni.
LEI: Il mio latte è buonissimo.
LUI: C’è una capra in questa casa.
LEI: Lo so. Me l’hai già detto.
LUI: Sta bene. Allora facciamo così. Adesso torno di là e controllo di nuovo. Forse mi sono sbagliato. Mi sono fatto trascinare dalla fantasia.
LEI: Ti aspetto qui.
LUI: Torno subito.

Un silenzio.

LUI: È di là.
LEI: Adesso bevi un po’ di latte.
LUI: È di là al buio. Fa molto freddo di là. Si vedono gli occhi fiammeggianti e il fumo che gli esce dalla bocca.
LEI: Ha freddo anche lei.
LUI: È di là immobile, in piedi sulle quattro zampe. Sembra… sembra implorare. Forse devo tornare a controllare.
LEI: Ancora una volta?
LUI: Ancora una volta. Ha smesso di belare. Anche quando l’ho guardata aveva smesso di belare.
LEI: Non ha più freddo.
LUI: Allora vado a controllare.
LEI: Sta bene.
LUI: Torno subito.

Un silenzio.

LUI: È ancora lì.
LEI: Pensavi che era andata via?
LUI: No. Non lo pensavo. Ha smesso di belare. Forse ha fame. Forse vuole un po’ del tuo latte. Gli porto un po’ del tuo latte. È ancora caldo?
LEI: Non lo vuole.
LUI: Come lo sai?
LEI: Le capre non bevono il latte.
LUI: Sta bene. Hai ragione. Gli do un pezzo di pane.
LEI: Le capre non mangiano il pane.
LUI: E cosa vuole?
LEI: Vuole solo stare lì.
LUI: Perché bela?
LEI: Per far sentire che è lì.
LUI: Se viene di qua cosa succede?
LEI: Non verrà. Le capre sono obbedienti.
LUI: Non capisco. Da dove è entrata?
LEI: Alle 5 bisogna mungere anche lei.
LUI: La mungo io. La spremo per bene.

Lui sente la capra belare debolmente.

LUI: Senti? Si è affievolita. Che succede?
LEI: È stanca.
LUI: È stanca?
LEI: Vuole dormire.
LUI: Non vorrai farla dormire di là.
LEI: Forse l’hai spaventata.
LUI: Come?
LEI: Dicendo che la spremi per bene.
LUI: Mi prendi in giro?
LEI: Adesso sì.

Ridacchia.
Lui sente che la capra smette di belare.

LUI: Ha smesso.
LEI: Si è addormentata.
LUI: Bisogna svegliarla. Vado di là. Torno subito.

Un silenzio.

LUI: Dorme. Non ho il coraggio di toccarla.
LEI: Lasciala dormire.
LUI: Non può stare di là.
LEI: Vuoi un po’ di latte?
LUI: Basta! (pausa) Scusa.
LEI: Lo vuoi un po’ di latte?
LUI: No. Ti ho già detto di no. Credo che ha fatto la cacca. È pieno di cacca.
LEI: Le capre la fanno tonda e piccola.
LUI: Me la ricordo. Bisogna pulirla. La pulisci tu la cacca?
LEI: Se la mangia la capra.
LUI: Cosa?
LEI: Se la mangia quando si sveglia.
LUI: La capra si mangia la cacca?
LEI: Per quello il latte è così buono.

Ridono, lei naturalmente, lui nervosamente.

LUI: Scusami. Non posso pensare di dormire con una bestia in casa. La devo togliere. Vado a toglierla. Torno subito.

Silenzio.

LUI: Non l’ho spostata di un centimetro. Perché è così pesante?
LEI: È piena di latte. Bisogna mungerla.
LUI: Mungiamola adesso.
LEI: Bisogna mungerla alle 5. Con tutte le altre.
LUI: Non si può fare un’eccezione? Non si può mungerla subito? Non posso dormire con una bestia in casa. Per terra è pieno di cacca. Senti che puzza. Forse l’ho anche pestata. Mi devo togliere le scarpe.
LEI: Mettile fuori.
LUI: Fuori? Si congeleranno.
LEI: Mettici del giornale dentro. Domani saranno belle asciutte.
LUI: Sta bene. Allora mi tolgo le scarpe, le lascio di fuori e ci metto dentro il giornale. Questa capra inizia a innervosirmi.

Un silenzio.
Lui rientra furibondo.

LUI: Io non ce la faccio a dormire con una capra di merda che puzza da far schifo e caga dappertutto senza che dici niente o muovi un dito!

Silenzio.

LUI: Hai ragione. Scusami. Sono appena tornato e già mi sembra di dettare legge. In fondo tu le capre le conosci. Sai cosa vogliono, come si comportano. Se una capra può stare in casa tu lo sai meglio di me. Perdonami. È che sono molto stanco. Anche tu sei stanca. Non volevo… Allora andiamo a dormire. Che ne dici? Andiamo a dormire?
LEI: Io resto qui.
LUI: È molto tardi. Lo sai? Se non tornavo a quest’ora dormivi come un angelo. Posso avere un po’ di latte caldo?
LEI: È finito.
LUI: Finito?
LEI: Devi aspettare le 5.
LUI: Sta bene. Hai ragione. Ne ho bevuto fin troppo. Aspetto le 5. Posso mettere un ciocco nel camino?
LEI: Fra poco dormiremo. Lascia dormire anche lui.
LUI: Io non dormirò. Non credo che dormirò. Sì, dormirò. Ma se fa freddo non chiuderò occhio.
LEI: Ti ho messo lo scaldaletto.
LUI: Hai ragione. L’avevo dimenticato. Perdonami.
LEI: Domani devi andare da Ottone.
LUI: Ci vado. Non preoccuparti. Ci vado. Sei sicura che le mie scarpe possono restare fuori tutta la notte?
LEI: Se ci hai messo il giornale dentro non c’è problema.
LUI: Ci ho messo il giornale, sì.
LEI: Domani saranno secche come la legna.
LUI: È ripreso a nevicare, ma la capra non bela più.
LEI: Sta dormendo. Me l’hai detto tu.
LUI: L’avevo dimenticato. Perdonami. Ma forse è andata via. Vado a controllare. Torno subito.

Un silenzio.

LEI: Che fai?
LUI: È ancora lì.
LEI: Che fai?
LUI: Gli faccio una fotografia.
LEI: No.
LUI: Perché? Che fastidio ti dà?
LEI: Le fotografie sono foglie secche.
LUI: Anche la tua capra è secca. Morta stecchita.

Lei urla.

LUI: No. Forse non è morta. Però è a pancia in su.
LEI: Mi hai fatto spaventare.
LUI: Non è morta?
LEI: Dorme. Come un agnellino.
LUI: Forse sta solo dormendo.
LEI: Vieni a sederti.
LUI: Gli faccio una fotografia. Poi vengo a sedermi.
LEI: Ti ho detto di no.
LUI: Non vedo perché no.
LEI: Vieni. C’è un po’ di latte caldo.
LUI: Sta bene. Dopo gli faccio una fotografia.
LEI: Posa quell’affare e vieni a sederti.
LUI: Ecco. Sta bene.
LEI: Bevi.

Silenzio.

LUI: È molto buono.
LEI: Lo so.
LUI: Posso andare di sopra?
LEI: Sì.
LUI: Allora vado. Do un’occhiata alla mia stanza. Vedo se lo scaldaletto è ancora in funzione. Torno subito.

Lei mette un piccolo ciocco nel camino.

LUI: Avevi ragione. Funziona.
LEI: Lo so.
LUI: È incredibile… Avrà chissà quanti anni quell’affare.
LEI: Hai un bel letto caldo che ti aspetta.
LUI: Vado a dormire.
LEI: Sta bene.
LUI: Riposa anche tu. Ci vediamo alle 5.
LEI: Perché te la porti appresso?
LUI: Non lo so. Me la tengo sempre vicino quando dormo.
LEI: Lasciala qui.
LUI: Non gli faccio la foto. Te lo prometto.
LEI: Lasciala qui.
LUI: Non capisco perché ti spaventa. È un aggeggio come un altro. Ho fatto tante belle fotografie.
LEI: Lasciala qui.
LUI: Sta bene. Allora alle 5.
LEI: Alle 5.
LUI: Sono felice di essere tornato. Sto bene qui.

Lungo silenzio.
Lui esce. Rientra subito.

LEI: E’ presto.
LUI: Non riesco a dormire.
LEI: Non ci hai neanche provato.
LUI: È vero. Lo scaldaletto mi infastidisce. Mi fa tornare in mente quando qui c’era molta gente.
LEI: Adesso è tutto per te.
LUI: Se alle 5 nevica come facciamo a mungere le capre?
LEI: Andiamo nella stalla.
LUI: Sai, non è cambiato nulla qui dentro.
LEI: È cambiato tutto qui dentro.
LUI: Tutto cosa?
LEI: Tutto. Sono rimaste solo le capre.
LUI: La casa è la stessa. Lo scaldaletto è lo stesso. Tu sei la stessa.

Silenzio.

LUI: Dove sono tutti gli altri?
LEI: Te l’ho già detto. Sono morti.
LUI: Perché non ho saputo nulla?
LEI: Non potevo dirtelo. Non sapevo dove trovarti. Tu e i tuoi maledetti viaggi…
LUI: Era il mio lavoro.
LEI: Hai scelto un lavoro maledetto.
LUI: Potevi scrivermi. In qualche modo una lettera mi poteva arrivare.
LEI: Non sapevo dove indirizzarla. Ho dimenticato come si scrive.
LUI: Stai bene qui?
LEI: Sono sempre stata bene qui.
LUI: Non vuoi tornare in città?
LEI: Adesso? Qui c’è pace, silenzio, buio. Non mi serve nient’altro.
LUI: Pensavo di trovare anche gli altri al mio ritorno. Nessuno mi ha detto niente.
LEI: La morte è una sorella silenziosa. Non fa cerimonie. Arriva e senza bussare si porta via qualcuno. Pian piano se ne sono andati tutti.
LUI: Sono stato via molto tempo.
LEI: Non mi sono mai sentita sola. Ho le capre.
LUI: E la gente in paese ti vuole bene. Fai il latte buono.
LEI: La gente non mi interessa. Io me ne sto qui senza pensare a loro.
LUI: E a me?
LEI: Tu sei qui. Non ho bisogno di pensarti.
LUI: Hai pianto?
LEI: Sapevo che morivano. Sapevo di restare sola. Ultima.
LUI: Per me hai pianto?
LEI: Sapevo che tornavi. E se morivi nessuno me lo poteva dire.
LUI: Una volta me lo dicesti. Mi dicesti che sarei andato lontano e tu mi avresti aspettato. E che al mio ritorno mi avresti fatto una sorpresa.

Lungo silenzio.

LUI: Non credo di poter restare.
LEI: Perché?
LUI: Non credo di poter vivere senza il mio lavoro. Sono tornato. Sono felice di essere qui. Però non voglio restare. Non per sempre.
LEI: Hai scelto tu di tornare.
LUI: Ho fatto bene a tornare. Dovevo rivederti. Dovevo vedere come erano cambiate le cose. Però non posso restare. Tanti castelli lontani mi aspettano. Ho molte fotografie da sviluppare. Devo darmi da fare.
LEI: Non essere smanioso. Sei tornato appena questa sera.
LUI: È vero. Ma ti trovo diversa. Tempo fa mi hai detto quella cosa, ma non credevo che al mio ritorno saresti cambiata.
LEI: Hai detto che non sono cambiata.
LUI: Hai tolto tutte le tue fotografie. Qui era pieno. Sopra al camino. Ancora le ricordo.
LEI: Erano invecchiate. Ingiallite. Volevo sostituirle con le tue.
LUI: Davvero?
LEI: Davvero.
LUI: Posso fartele vedere?
LEI: No.
LUI: Perché?
LEI: Ho cambiato idea. Non voglio fotografie. E non voglio che usi quel tuo aggeggio adesso che stai con me.
LUI: Sta bene. Non preoccuparti. Se non vuoi la lascio qui.
LEI: Hai freddo?
LUI: Sto bene.
LEI: Dove vai?
LUI: A controllare la capra. Non ha più belato dall’ultima volta.
LEI: Ti aspetto.

Un silenzio.

LUI: È di là.
LEI: Me l’hai già detto.
LUI: Pensavo di averlo sognato. È la prima volta che hai una capra in casa?
LEI: Credo.
LUI: Qual era la sorpresa?
LEI: Il latte. Era il latte la sorpresa.
LUI: Posso avere un’altra tazza?
LEI: È finito. Devi aspettare le 5.
LUI: Sì. Vado a dormire. Adesso sono davvero stanco. Ti dispiace se vado a dormire?

Esce. Rientra subito.

LUI: Scusa… Non mi ero accorto che… Non mi sono reso conto. Abbiamo parlato molto. Poi il latte caldo, la capra, la neve, i merli, il nonno, le fotografie… Pensavo di poter riposare, di stendermi poche ore e chiudere gli occhi. Il viaggio è stato molto duro. Ho mangiato poco e niente. Poi questo freddo che mi spezza le ossa. Guarda, sono anche a piedi scalzi. Qua dentro si sta bene. Il camino è spento, ma si sta bene. Devo… devo tagliarmi la barba. E devo… sviluppare le fotografie. Se non lavoro resto senza un soldo. C’è poca luce, ti vedo poco. Sei pallida. La stanchezza ci ha resi spettrali. Anch’io sono pallido. Sicuro che sono pallido. Ho bevuto tanto latte. Tu invece te ne stai lì, zitta zitta, e mi guardi con quest’aria strana, diversa. Sì. È passato molto tempo. Sei cambiata. Hai un’espressione strana. Forse è la prima volta che ti guardo. Vedo tratti che non riconosco, occhi che non riconosco. Stai seduta ad aspettare il tuo lavoro. Perché anche questo è un lavoro. L’hai sempre fatto e continuerai a farlo. Posso avvicinarmi? Non riesco ad avvicinarmi. Hai un’espressione strana. Mi riconosci? Adesso ci mettiamo al lavoro. Prima però devo andare di sopra. Devo andare di là. Devo sistemare le mie cose. Vado di là. Torno subito.

Urlando dall’altra stanza.

LUI: C’è nessuno? C’è nessuno di qua?

Rientra.

LUI: Non c’è nessuno di là. Sono tutti morti. È così pulito di là! Sono pronto. Ho sistemato le mie cose di sopra, prima, quando ho provato a dormire. È molto tardi. No. È molto presto. Insomma sono pronto. Adesso mi siedo pochi istanti e sono pronto. Non so se viaggerò ancora. Non so se farò altre fotografie. È bene non pensarci adesso. Ho un lavoro da fare. Tanto ho capito. Mi sono ricordato tutto. Mi hai fatto una bella sorpresa. Una strana, bella sorpresa. Quando… quando sviluppo le fotografie te ne regalo qualcuna. Poi le altre le butto via. Perché le fotografie ingialliscono. Non si può mica fare un patto col diavolo. Le fotografie sono foglie secche. Ho lasciato di sopra l’orologio. Vado a prenderlo. Sono pronto. Sì, arrivo subito. Devo soltanto prendere l’orologio.

Un silenzio.

LUI: Si è fermato, ma non importa. Sono pronto. Ecco. Mi siedo e sono pronto. Che strano! Chi l’avrebbe mai creduto? Sta bene. Tiro un bel sospiro e scaccio via la stanchezza. Ecco qua. Adesso sono pronto davvero. (pausa. La guarda) Sono le 5.
LEI: (scoprendosi il seno) Adesso devi imparare a mungere.

Buio.