REC
di
Pietro Piovani
PRIMA PARTE
(Il palcoscenico è immerso nel buio assoluto. Si sente una voce di ragazza che
esce dagli altoparlanti).
VOCE REGISTRATA: ... Anzi, è la fine del mondo! Ma veramente la fine del mondo!
(Ride. Una risatina acuta, da bambina). Oggi ho rivist...
(La voce viene interrotta da un inaspettato miagolio. È il rumore di un nastro
che cammina all'indietro. Poi la voce registrata riparte).
VOCE REGISTRATA: ... bello bello bello bello bello bello bello...
(Il nastro va avanti veloce).
VOCE REGISTRATA: ... la fine del mondo!
(Si accende una lampadina portatile. Illumina una mano che schiaccia i pulsanti
di un apparecchio elettronico. Si risente il rumore di un nastro).
VOCE REGISTRATA: ... fine del mond...
(Rumore di nastro).
VOCE REGISTRATA: ... Tutto mi sarei aspettata, tranne che di incontrare...
(Rumore di nastro).
VOCE REGISTRATA: Tutto mi sarei aspettata, tranne che di incontrare lui... Dio,
come è bello! Solo a pensarci, mi emoziono.
(Rumore di nastro).
VOCE REGISTRATA: ... bello bello bello bello bello
(Rumore di nastro).
VOCE REGISTRATA: ... sarà l'alba. Proprio non ci riesco a dormire...
(Rumore di nastro).
VOCE REGISTRATA: ... Fra poco sarà l'alba. Proprio non ci riesco a dorm...
(Rumore di nastro. Ora ascoltiamo la registrazione per intero. Mentre parla la
voce registrata, si accende una lampadina portatile. Si muove sulla scena,
finché incontra un oggetto sospeso in aria: è una torcia, un'altra lampada
portatile. Questa però è molto grossa, e penzola dall'alto appesa al soffitto
con una corda. Una mano la afferra, preme il pulsante dell'accensione e
finalmente si fa un po' di luce. Una luce fioca, ma sufficiente a farci
riconoscere una stanza con pochi oggetti: un divano, un tavolo, una radio, una
scaffalatura ricoperta da una montagna di pile elettriche; vicino al divano è
poggiato un apparecchio elettronico, un registratore portatile; in un lato della
stanza, un asta sorregge un microfono; sulla parete di fondo c'è una finestra. E
al centro della stanza c'è una ragazza. È infagottata in una tuta larga e in un
grosso maglione di lana pesante; ai piedi un paio di calzettoni scompagni.
Sparse qua e là ci sono altre torce portatili, la ragazza le accende una per
una. Poi torna a sedersi sul divano, fa ripartire il registratore e si mette in
ascolto).
VOCE REGISTRATA: Fra poco sarà l'alba. Proprio non ci riesco a dormire. Tutto mi
sarei aspettata stamattina, tranne che di incontrare lui... Dio, come è bello!
Solo a pensarci mi emoziono. È bello! Bello bello... Bello bello bello... Bello
bello bello bello bello bello bello bello bello bello bello. Anzi, è la fine del
mondo! Ma veramente la fine del mondo. Oggi ho rivisto Marco...
(La ragazza interrompe l'ascolto. Si rialza in piedi, si avvicina alla radio e
schiaccia un bottone. Parte il suono degli archi, che introducono la voce di
Edith Piaf: è l'Hymne à l'amour. Sgancia il microfono dall'asta, torna seduta
sul divano e accosta la bocca al microfono: ora è lei a parlare, per una nuova
incisione sul nastro. La luce sullo sfondo comincia a essere visibile; durante
il racconto della ragazza continuerà a crescere in maniera impercettibile ma
costante. Quando il discorso al microfono sarà concluso, la finestra sarà
diventata una tela chiara che illumina a giorno tutto l’ambiente).
SERENA: Allora... Oggi ho rivisto Marco. L'ho incontrato stamattina. Ero in fila
per l'acqua da bere. Anche lui era in fila, due posti avanti a me. Quando l'ho
visto mi sono sentita svenire. Stava parlando con Vanessa, quella ragazza che
gli sta sempre dietro, quella alta alta, secca secca, con quelle orecchie larghe
larghe... poverina, quanto è brutta! All'inizio non si era neppure accorto di
me. Per forza, quella gli parlava, gli parlava... Lui si annoiava a morte, si
vedeva da lontano. Ho pensato: adesso lo salvo io. Ho cercato di attirare la sua
attenzione. Mi sono messa a fare cose strane, mi agitavo, canticchiavo. Ma
quella continuava a parlare, e lo guardava fisso negli occhi. Anche lui era
obbligato a guardarla, se non altro per educazione. Più che gli occhi secondo me
lui le guardava le orecchie. Ha proprio due orecchie enormi. Non capisco perché
non si faccia crescere i capelli, almeno le coprono un po' quelle due sventole.
(La radio continua a trasmettere il suo accompagnamento sonoro, sempre a volume
molto basso per non disturbare il racconto della ragazza. Sfumata la canzone
della Piaf, segue una musica strumentale, un ballabile leggero e ossessivo).
Allora ho pensato: devo salvarlo, devo intervenire. Ho preso la situazione in
pugno e mi sono intromessa nella conversazione. Non è stato mica facile. Quella
parlava, parlava. Non c'era mai un attimo di silenzio per inserirsi. Ho
aspettato quella frazione di secondo in cui si è fermata a prendere fiato… porca
miseria! anche lei deve respirare ogni tanto… e finalmente sono riuscita a farmi
avanti: “Ciao Marco!” Per la prima volta lui mi ha guardato. Era sorpreso. Mi
fa: “Ciao”. L'avevo colpito, era evidente. Diceva che non si ricordava di me, ma
penso che stesse mentendo. “Sono Serena. Serena, non ti ricordi? Abitavi nel mio
palazzo, io ero al piano di sotto, non ti ricordi?” Fingeva di non riconoscermi,
forse per via del fatto che c'era lì Vanessa. Ci sarebbe rimasta male: le donne
brutte soffrono sempre quando un uomo si accorge di una ragazza più carina di
loro. Non voleva ferirla. Io non mi sono offesa, anzi, ho apprezzato molto
questa sua sensibilità. Tanto lo sapevo benissimo che lui mi aveva notata,
quando eravamo vicini di casa. Eccome! Me lo ricordo come mi guardava quando ci
incontravamo nel palazzo. Se capitava di trovarsi da soli nell'ascensore,
all'epoca funzionavano ancora gli ascensori, nella cabina da soli, io e lui, era
imbarazzatissimo! Non aveva neppure il coraggio di rivolgermi lo sguardo.
Neanche mi salutava! Teneva gli occhi incollati sul pavimento e mi diceva: “Io
vado al terzo”. Quanto gli piacevo! E quanto mi piaceva!
Anche stamattina, quando ci siamo incontrati, è stato difficile tirargli fuori
qualche frase di bocca. Faticava a parlare. Certo, la presenza di Vanessa lo
condizionava, ma non era soltanto questo... è quella sua riservatezza, quel
pudore... Marco è uno che non mette in mostra i suoi sentimenti. E a me piace
proprio per questo. Ho sempre avuto un debole per i timidi. Bisogna dire che non
abbiamo avuto tanto tempo per parlare, perché ormai eravamo arrivati quasi in
fondo alla fila. Comunque sono riuscita a farmi dare il numero di telefono. Ho
dovuto inventarmi un pretesto. Gli ho detto: “Sai, conosco uno, un vecchietto
che a volte riesce a procurarsi della frutta fresca dalla montagna e viene in
città a venderla, dammi il tuo telefono, così appena capita da queste parti ti
avviso”. Credo che lui l'abbia capito che era una scusa, questa del vecchietto
con la frutta. Tanto è vero che il numero me l'ha dato subito... (Spegne la
radio. Guarda fuori dalla finestra) Finalmente è giorno...
(C'è un silenzio che fa paura. Dal fondale si irradia una luce livida, di
ghiaccio, accecante. Serena va alla finestra e si stringe fra le braccia).
SERENA: Come si sta bene stamattina. Non fa neanche tanto freddo. Ma cos'è
quello, il sole?... Possibile? Sì, secondo me lì dietro deve esserci il sole...
(Resta silenziosa per qualche istante) Io lo chiamo! (Spegne la radio e corre ad
afferrare il telefono, emozionata). Pronto? Ciao Marco... Marco? Sono Serena...
Serena! Non ti ricordi? Ieri mattina, abbiamo preso l'acqua da bere insieme. Non
ti ricordi? Sì... Sì! Ma stavi dormendo? Oddio, scusami... ormai è giorno... Sì,
è presto, però è giorno... Sì, d'accordo, è presto. Perdonami, non mi sono resa
conto. Sai, io sono stata sveglia tutta la notte... Non lo so perché, ero così
emozionata... Non so perché... Che ho fatto, ho registrato il mio diario... Sì,
io tengo un diario. Tutti i giorni annoto le cose importanti che mi sono
successe, le cose che ho fatto, le persone che ho incontrato. Della giornata di
ieri, per esempio, ho raccontato anche l'incontro con te, sai?... No, non l'ho
scritto, l'ho registrato... L'ho registrato, io registro sempre tutto. Scrivere
mi annoia, e ancora di più mi annoia leggere, soprattutto leggere quello che ho
scritto io. Sarebbe inutile tenere un diario scritto: non lo rileggerei mai. A
me piace parlare. E quando non c'è nessuno ad ascoltarmi, accendo il
registratore e racconto tutto a lui. Anzi, il registratore è il mio
interlocutore preferito: non perde neppure una sillaba di quello che dico,
memorizza sempre tutto. Basta spingere il tasto “REC”. Può ripetere tutto il mio
discorso dall'inizio alla fine. E se voglio lo ripete anche dalla fine
all'inizio, al contrario. Quanto lo amo, il mio registratore! Magari fossero
capaci di fare così anche le persone. Pensa che bello se tutti avessero un tasto
“REC”. Un bel bottone con il pallino rosso, piazzato al centro della testa.
Quando parli con uno, tu gli schiacci il bottone: “REC”! E lui non solo ti
ascolta, ma si impara a memoria tutto quello che hai detto, parola per parola. E
invece, macché! Ormai non ascolta più nessuno, vogliono tutti parlare. Come
quell'amica tua, come si chiama, Vanessa. Mamma mia quanto parla... L'ho
registrato... Con il registratore... Ah, con le batterie! Qui a casa ne ho
tante... Me le sono procurate un po' di tempo fa. Ho avuto un colpo di fortuna!
Sai quando si dice: “chi cerca trova”? Io quel giorno stavo cercando qualche
batteria. Me ne bastavano due o tre, mi servivano per accendere la torcia
elettrica. Ero sicura di avere in casa una confezione di pile nuove, mai usate,
però non mi ricordavo dove le avevo messe. Ho guardato dappertutto, ho rovistato
negli armadi, nei ripostigli, ma niente, non si trovavano. Eppure ero sicura!
Chissà dove si erano nascoste. Mi era rimasto soltanto un posto da controllare,
il cassetto della scrivania: era chiuso a chiave. Dovevo trovare la chiave per
aprire il cassetto... Dove l'avevo nascosta? Probabilmente in qualche altro
cassetto. Ho rovistato dentro a tutti i cassetti per cercare la chiave per
aprire il cassetto dove stavano nascoste le pile. A quel punto mi è venuto in
mente che forse la chiave l'avevo lasciata nella tasca di quei pantaloni estivi
che non mettevo più da tanto tempo. Ma dov'erano finiti i pantaloni estivi? Così
mi sono messa a cercare i pantaloni dove avevo messo la chiave per aprire il
cassetto dove stavano nascoste le pile. Neanche i pantaloni si trovavano. Poi mi
sono ricordata che forse i pantaloni li avevo chiusi dentro una valigia. Ora
dovevo trovare la valigia con dentro i pantaloni con dentro la chiave per aprire
il cassetto con dentro quelle maledette pile! Forse la valigia l'avevo riposta
in soffitta, all'ultimo piano del palazzo. Sono salita all'ultimo piano, ma
prima di arrivare alla soffitta, nel corridoio ho notato una porta aperta. Era
un ripostiglio condominiale. Mi sono affacciata, e indovina che cosa ho trovato?
Le batterie. Ma mica due o tre: una montagna di batterie! Batterie di tutti i
tipi: stilo AA, ministilo AAA, rettangolari, a torcia, a mezzatorcia, a bottone,
a transistor 9 volt. Dieci, venti casse di batterie messe una sopra all'altra.
Una pila di pile! Ma pensa che fortuna! Hai visto? Chi cerca trova. Certo, io le
pile che cercavo non le ho trovate. Però mi sono fregata quelle del condominio,
che sono molto meglio. Ah, io se non avessi più batterie non resisterei,
preferirei morire. Figurati: senza la radio! Come potrei vivere senza musica?
Con il silenzio che c'è qui... La frutta? Che frutta?... Ah, il vecchietto che
porta la frutta! No, non si è visto ancora. Perché?... Sì, avevo detto che ti
chiamavo per avvisarti, infatti quando arriverà... Ti ho chiamato lo stesso
perché... perché volevo sentire come stavi... È un po' presto, sì, lo so, Ma
avevo così voglia di sentirti... Lo so, hai ragione. Non pensavo di svegliarti
scusami. Ormai è giorno… A proposito, hai visto fuori? È bello stamattina sai?
Secondo me si vede quasi il sole... Sì sì. Te lo giuro! Non sono mica scema, se
ti dico che c'è il sole vuol dire che c'è il sole. Bisogna guardare bene: c'è un
punto, in mezzo al cielo, verso il basso, leggermente più chiaro. Lì deve
esserci il sole: sono sicura! Anche l'acqua mi sembra che si sia fermata, è allo
stesso livello di ieri. E tu hai dormito bene?... Poco, d'accordo, hai dormito
poco, sì... Te l'ho detto, non mi sono resa conto che fosse così presto.
Scusami. È che si perde la cognizione del tempo. Quando passi una notte sveglia,
a parlare da sola. Con tutto questo buio... Per fortuna che ho la radio. La
tengo sempre accesa... Con le batterie, te l'ho detto! Ne ho tantissime, una
pila di pile!... Te l'ho detto, chi cerca
trova, io le ho cercate tanto e... No, se le cerchi adesso non le trovi più.
Però se ti servono te ne posso regalare qualcuna. Ne ho di tutti i tipi: stilo,
ministilo... Anche al litio, sì, ho anche quelle... Le vuoi? Ti servono? Te le
porto io, magari ci possiamo incontrare da qualche parte. Oppure potrei venire
io da te... Quando preferisci, anche oggi se vuoi. Allora vengo io da te?
Stasera? Stasera, va benissimo... All'ora che vuoi tu.... Va benissimo. Allora a
stasera. Ciao Marco. (Chiude la telefonata). E vai!!!
(Musica. Buio).
SECONDA PARTE
(Dalla finestra entra una luce giallastra, malata. Si sente un rumore attutito
di pioggia. La stanza è vuota. Gli altoparlanti diffondono la voce registrata di
Serena).
VOCE REGISTRATA: La perla sta nell'ostrica, il verme nella mela. Ogni tarlo ha
il suo pezzo di legno da rosicare. Ogni goccia di pioggia cade in un punto
preciso della terra, e quello è il solo punto in cui può cadere. Tutte le cose
hanno il loro posto nell'universo. Un posto soltanto. I pesci non volano nel
cielo e le patate non crescono sugli alberi.
SERENA (fuori scena, ridendo): ... le patate!
VOCE REGISTRATA: Il posto di Marco è qui. Accanto a me. All'inizio lui non se
n'era accorto, gli c’è voluto un po' di tempo per capirlo. Ma ora lo sa. (Entra
in scena Serena. Non è più in pigiama, si è vestita con un paio di jeans, una
camicia e un maglione, uno stivalone da pescatore nella mano mentre l’altro è
ancora infilato alla gamba. Tiene fra le mani un bustone di cracker. Sorride e
mastica un cracker, mentre ascolta la sua voce registrata). Caro diario, ieri
sera Marco ha scoperto di amarmi. Ieri sera, a casa sua, in un attimo è cambiata
la sua vita. La nostra vita. Era stanco. Era molto avvilito. È comprensibile. In
pochi giorni ha perso tutte le persone che conosceva: i parenti, gli amici.
L'acqua se li è portati via tutti. Chiunque al suo posto si sarebbe lasciato
andare. Ma lui ha una risorsa in più e quella risorsa si chiama Serena. “Marco –
gli ho detto – se io ora sono qui, se stasera sono in questa casa accanto a te,
è perché qualcuno lassù vuole salvarti. Io sono una corda che ti è stata
lanciata dal cielo, un attimo prima che le onde ti prendano e ti portino via.
Aggrappati a questa corda, Marco! Guarda soltanto quello che hai davanti a te, a
pochi centimetri dai tuoi occhi. Non guardare niente altro che me. Non ascoltare
niente altro che me. Io premo il tasto REC e tu registri solo la mia voce. Tutto
il resto cancellalo ... Amami Marco...” Il bacio che ci siamo dati è stato un
bacio immenso, eterno. Da quel momento non abbiamo più parlato. Lui ha dormito,
io gli sono stata vicina fino all'alba, in silenzio. Dentro al petto avevo un
tamburo che rimbombava, bum bum, bum bum... Quando si è fatto giorno me ne sono
andata. Stavo per chiudermi la porta dietro le spalle, e proprio in quel momento
lui si è svegliato e mi ha chiamata. “Serena, che fai, te ne vai via così? Non
ti stai scordando qualcosa?” Sono tornata indietro per dargli un altro bacio, il
bacio del buongiorno. E lui mi fa: “Le pile! Eri venuta qui apposta per portarmi
le batterie, no?”
SERENA (Ride): Che scema!
VOCE REGISTRATA: Me ne ero dimenticata, tanto ero stordita dalla felicità. Ci
teneva proprio molto a quelle pile. Dice che ne ha bisogno per la notte, si è
procurato una lampada a batterie. Sarò sciocca, ma la sua richiesta mi ha
riempito di gioia. Mi ha dimostrato quanto Marco sia ancora attaccato alla vita.
Non ha mollato la presa: è rimasto aggrappato alla corda. Sono servita a
qualcosa allora! La mia presenza gli fa bene. Mi ama.
(Spinge sul pulsante del registratore per fermare il nastro, afferra il
microfono e riprende con una nuova registrazione).
SERENA: Sì, mi ama da morire. E io ho il dovere di fargli sentire che sono con
lui. Non devo lasciarlo mai solo. È quello che si aspetta da me. Adesso, per
esempio, chissà come sta male. Non mi vede e non mi sente da tanto tempo,
saranno tre... (Guarda l'orologio) Quattro ore! Sono passate quattro ore e
ancora non mi chiama. Aveva promesso di chiamarmi. Io lo so perché non chiama:
non ha il coraggio. La felicità fa paura. Ora lui è lì, davanti al telefono, e
non trova la forza per comporre il mio numero... Bisogna aiutarlo!
(Serena spegne il registratore, prende il telefono).
SERENA: Pronto. Ciao amore!... Sono io. Come io chi? Marco! Sono io, Serena.
Adesso non dirmi che non ti ricordi! (Ride) Come stai?... Io sto bene. Anzi no,
io sono felice!... Devo spiegarti perché? Sono felice. Sono felice e basta.
Credo di avere le mie buone ragioni, dopo la notte che abbiamo passato insieme.
E tu dovresti esserne orgoglioso perché la mia felicità è anche merito tuo.
Anzi, è soprattutto merito tuo. Così come io spero di averti saputo regalare una
scheggia, una scintilla di felicità. Lo spero almeno. Come è andata la
mattina?... E dove sei stato?... (felice) Bravo! Hai ricaricato il telefono.
Come sono contenta: ora possiamo parlarci quanto vogliamo! È stata lunga la fila
per la ricarica?... Lo so, è una seccatura, ormai bisogna mettersi in fila per
qualunque cosa. D'altra parte, se non ci fossero state le file noi due non ci
saremmo mai incontrati, quindi sai che ti dico? Evviva le file! Di' la verità:
l'hai fatto per me... Il telefono, l'hai ricaricato per me... Per poter parlare
con me tutto il tempo che vogliamo...Sì, sì, di' quello che vuoi, tanto io l'ho
capito che è così, anche se tu non lo ammetterai mai. Ormai ti conosco... Io?
No, io il telefono l'avevo già caricato ieri. Stamattina per fortuna non ho
fatto file. Però a casa sono rientrata da poco. Non ti ho ancora raccontato che
cosa ho visto stamattina. Stavo rientrando a casa, avevo appena lasciato il tuo
palazzo. L'acqua era abbastanza alta, arrivava sopra alle galosce, anzi mi
arrivava quasi alla vita. A un certo punto, lungo la strada ho notato l'insegna
di un supermercato. Era un negozio enorme, e mi sembrava ancora pieno di merce.
Evidentemente era stato risparmiato dai saccheggiatori. La vetrina era rotta,
l'acqua l'aveva sfondata. Ho pensato che forse dentro avrei trovato qualche
batteria. Sai com'è: chi cerca trova. Mi sarebbe piaciuto regalarti qualche
altra pila, per la tua lampada: le mie prima o poi finiranno. Sono entrata. Era
tutto buio, avevo anche un po' paura. C'era tanta roba inutile: rasoi elettrici,
videogames, pentole a pressione. E c'era una puzza! Erano i cibi andati a male:
i formaggi ammuffiti, la frutta rancida. Camminavo dentro l'acqua e intorno a me
vedevo qualcosa che nuotava, dei pesci, tanti pesci. Ma dopo un po' mi sono
accorta che non erano pesci: erano topi. Dei toponi grossi come merluzzi.
Andavano tutti nella stessa direzione. Li ho seguiti, volevo capire che cosa li
attirava. Ho girato l'angolo e ho visto una grande distesa di pelo grigio, con
migliaia di code che si muovevano a scatti. Era il bancone della macelleria,
tutto coperto di topi. Stavano facendo un banchetto con la carne scongelata.
Ormai mi ero arresa: era inutile cercare, dentro quel supermercato avrei trovato
tutto tranne che le batterie. Però mentre camminavo verso l'uscita ho notato una
cosa molto strana. In fondo al corridoio, nel reparto dei biscotti, c'era un
qualcosa sospeso a mezz'aria, che si muoveva, ciondolava. Così, nella penombra,
mi sembravano due scarpe. Mi sono avvicinata: erano proprio due scarpe, e
attaccate c'erano due gambe a penzoloni. Era un uomo... Un uomo vivo, sì. Stava
seduto in cima allo scaffale più alto. Mi guardava. Gli ho chiesto: “E lei che
fa lì sopra?” “Io sto qui”. Lui stava lì... Nel senso che da quando è arrivata
l'acqua lui non era mai uscito dal supermercato. Vive lì dentro. Dice che non sa
nuotare, che sin da bambino ha sempre avuto il terrore del mare, dei fiumi,
delle piscine. Non è mai entrato neppure in una vasca da bagno! E soffre di
reumatismi. Il giorno in cui arrivò l'acqua stava facendo la spesa al
supermercato: quando ha visto la prima onda rompere le vetrine si è arrampicato
sugli scaffali e non è più sceso. È rimasto lì! Tutto questo tempo! Cammina sui
ripiani più alti, salta da uno scaffale all'altro, la notte si sdraia e dorme.
Abita lì. Certo non gli manca da bere, né da mangiare: il supermercato è tutto
per lui. Soffre di solitudine, questo sì. Io ero la prima persona che vedeva da
parecchie settimane. Era talmente contento di poter parlare con qualcuno che mi
ha voluto regalare un pacco di cracker. Sentissi come sono buoni! (Continua a
parlare senza fermarsi mai, come chi si fa le domande e si dà le risposte da
solo). Hai visto, che ti avevo detto? Chi cerca trova. Certo io cercavo le
batterie e non le ho trovate. Però ho trovato i cracker. È stato gentile quel
signore. L'ho ringraziato tanto, e gli ho promesso che tornerò a visitarlo
presto. Mi è dispiaciuto lasciarlo lì. Ma non potevo restare con lui perché
dovevo correre a casa: non vedevo l'ora di parlare con te. Ho fatto una corsa
per arrivare fino a qui. Pioveva. Pioveva tanto, e piove ancora. L'acqua è
salita di nuovo. Io sono al secondo piano, non ci sono rischi. Però ho paura dei
saccheggiatori. L'altra notte sono entrati nel palazzo di fronte al mio e hanno
portato via tutto. Tutto, anche le cose che non servono più: frigoriferi,
televisori. Hanno caricato tutto su un barcone. Li ho visti dalla finestra. Pare
che rapiscano anche i bambini, e qualcuno dice persino le ragazze, ma sarà vero?
Io non ci credo. Però sono preoccupata. Nel mio palazzo sono rimasta sola, non
c'è più nessuno. Quelli che non sono morti se ne sono andati via in montagna. Se
entrano i saccheggiatori qui dentro... Intendiamoci, non ho paura che mi
facciano del male, ma ho il terrore che mi rubino le cose a cui tengo: la radio,
il registratore, soprattutto la tua foto, quella che mi hai regalato ieri.
Quando guardo la tua foto mi sembra di averti con me. Con la foto ti vedo e con
il telefono ti sento. È proprio una fortuna che in questo casino riescano ancora
a far funzionare i telefoni! Niente mi dà più gioia che sentire la tua voce. Mi
fa impazzire la tua voce... (Dopo una breve pausa) Hai ragione, come faccio a
sentire la tua voce se parlo sempre io? Parlo troppo, vero? Dovrei stare zitta
ogni tanto. Sono quasi come Vanessa, la tua amica. Quanto chiacchiera quella!...
Noooo, lei parla molto più di me. Eppure con quelle orecchie enormi dovrebbe
essere più brava ad ascoltare che a parlare. Sai come dicevano gli antichi
greci? “Gli dei ci hanno dato due orecchie e una bocca perché ascoltassimo il
doppio e parlassimo la metà”.... Non ha le orecchie grandi? Stai scherzando? Non
sono due orecchie, sono due scolapasta! Sarà che, quando una donna è troppo
secca, le orecchie si notano di più... Non è secca? Vanessa non è secca? È una
scopa rovesciata!... Va bene, come ti pare. Tanto lo so benissimo quello che
pensi di lei. Credi che non me ne sia accorta?... Lo so che non la sopporti. Non
lo diresti mai perché sei una persona gentile e ti sembrerebbe scorretto parlare
male di una tua amica, ma la verità è che tu la vedi secchissima e con due
orecchie enormi. Altrimenti, con la corte spietata che ti fa, a quest'ora tu
staresti con lei. Invece stai con me, no?... La frutta? Ah, il vecchietto che
porta la frutta! No, non si è visto ancora. Non viene mica tutte le settimane...
Appena passerà ti chiamerò, non ti preoccupare... Lo so che nella frutta ci sono
le vitamine, sapessi quanto ne avrei bisogno anche io. Te l'ho detto, se viene
ti avviso subito. Ma spero che riusciremo a vederci anche prima!... Spostarsi
sarà difficile quanto vuoi, ma questo non ci impedirà di vederci. Non sono
venuta da te ieri? Allo stesso modo potrò venire domani. Niente può separare due
persone che si amano... Fiammiferi? Sì, devo averne ancora qualcuno in casa.
Perché?... E con che lo fai il fuoco?... Il tappeto. Sai che è una bella idea?
Ma sei capace di accendere il fuoco? Non è che bruci tutta la casa?... Hai
ragione: a casa tua c'è il caminetto. Me n'ero dimenticata. Che bello!... Certo
che te li posso portare i fiammiferi. Pensa che meraviglia: io e te sotto una
coperta, abbracciati, a scaldarci davanti al fuoco. Queste notti ho sentito
tanto freddo. Guarda, mi sembra un'idea bellissima. Trovo i fiammiferi e te li
porto. Non vedo l'ora! Ci metto un attimo, il tempo di rimettermi gli stivali e
prima che faccia buio sono da te. Sei felice? Eh? Aspettami amore. Fra poco sarò
da te. Un bacio. Ciao. (Chiude il telefono ed emette un lungo sospiro). Quanto
mi ama!
(Musica. Buio).
TERZA PARTE
(Sul palcoscenico tutto è rimasto come prima, il tavolo, il divano, la finestra,
gli stivali. Ma Serena non c'è più. Il cielo dietro la finestra è macchiato
appena di rosso. La musica sfuma sulla voce di uno speaker: è la radio accesa
che trasmette un notiziario).
SPEAKER DELLA RADIO: ... esimo bollettino a cura del ministero dell'Interno. Il
conto delle vittime e dei dispersi è stato provvisoriamente sospeso. Nelle città
di bassa quota, i superstiti rimasti nelle loro abitazioni sono invitati a
restare in contatto con i più vicini centri di raccolta e assistenza, dove
continueranno a essere riforniti di cibo e acqua potabile in attesa di
organizzare l'evacuazione definitiva. Le condizioni meteorologiche sono...
(Entra Serena, con il telefono in mano. Sembra aver perso il suo buonumore. È
molto preoccupata. Spegne la radio e compone un numero di telefono. Si affaccia
dalla finestra e guarda verso il basso, poi torna al centro della scena).
SERENA: Pronto! Pronto, Marco, sei tu? (Sollevata) Ah, che gioia sentirti. Come
stai? Tutto bene?... Mi sono presa uno spavento... Come “perché”? Perché non mi
rispondevi più al telefono. Ho provato tante volte. Che fine avevi fatto?... No,
per carità, figurati se ti voglio controllare. È che mi sono preoccupata. Sai,
l'acqua sta salendo. Fuori si vedono tanti cadaveri. A proposito, lo sai chi è
morto? L'uomo del supermercato... Lo so perché ci sono tornata, al supermercato.
Volevo chiedergli un altro pacco di cracker, che erano così buoni. Invece l'ho
trovato nell'acqua, a faccia in giù. Poveretto, forse è scivolato. Chissà quanto
ha sofferto... I cracker? Sì, li ho trovati. Lo sai: chi cerca trova. Tre
scatoloni. Più di tre non ce la facevo. Ho fatto una fatica a portarli a casa!
Uno è per te, te lo regalo. Sei contento? Domani te lo porto. Speriamo che nel
frattempo l'acqua scenda un po'. Com'è a casa tua, è alta?... Oddio, amore, ti
prego, stai attento. Se si alza troppo vattene. Vieni a casa mia. Se stiamo
insieme siamo più al sicuro... Come sarebbe a dire “qui non siamo
preoccupati”?... No, questo l'ho capito, ma perché hai detto “siamo”? Chi c'è lì
con te?... Una tua amica? Ma chi, Vanessa?... E perché?... Perché si trova
lì?... Che ci fa lì Vanessa?... E perché?... Perché ti è venuta a trovare?...
Non poteva fare una telefonata? Doveva per forza venire da te?... Lo so che è
una tua amica, ma non capisco perché non ti lascia in pace. (Alza la voce)
Dovrebbe rendersi conto che ora le cose sono cambiate... Ora ci sono io, no?
Anche tu dovresti spiegarle che... (La voce torna bassa, ha il tono di chi sa di
essere in colpa) Certo, certo, lo so. Hai ragione. Scusami. Però vorrei che tu
capissi che, insomma, se hai bisogno di qualcosa puoi chiamare me. Adesso ci
sono io accanto a te. In qualunque momento, mi chiami e sono lì. Non m'importa
dell'acqua, vengo anche a nuoto se necessario. Io non ho paura di niente. Io ti
amo, Marco. E tu?... Tu mi ami? Dimmelo, ti prego. Marco, lasciati andare per
una volta! Supera la tua timidezza. Troppo pudore può diventare una forma di
esibizionismo, sai? Anche la riservatezza deve essere riservata. Fai uno sforzo:
dimmi che mi ami... Lo so che non puoi parlare. Uffa! Quella Vanessa. Deve stare
lì a sentire tutto? Non solo è chiacchierona, è pure indiscreta. O parla o
origlia! Me la immagino, lì, dietro di te, con le orecchie appizzate. Orecchie
poi... con quei due apparecchi satellitari che ci capta pure le basse frequenze.
Non è una donna, è un GPS. Ma perché non la mandi via? Non devi farla più
entrare in casa. Se non glielo dici tu glielo dico io. Passamela. Passamela che
glielo spiego. Anzi non c'è bisogno, tanto con quelle orecchie mi sente anche da
qui. (Urla nel telefono) Oh! Dumbo Mi ricevi? Orienta le parabole. Devi sparire,
capito? Subito! Devi smetter... (Si interrompe e abbassa di colpo la voce) Sì,
hai ragione Marco, scusami. No, non strillo più. Certo, lo so. Hai ragione. Però
ti prego, non farla venire più a casa tua. Lo sai che non la sopporto quella. Mi
prometti che non viene più?... La frutta? Di nuovo il vecchietto che porta la
frutta? (Seccata). Certo, appena arriva ti chiamo. Però, scusa, stavamo parlando
di un'altra cosa... Di Vanessa. Anzi no, stavamo parlando di me e di te... Per
carità, mangiare è importantissimo, ma a me importava molto anche quell'altro
discorso... “Quale?” Di me e di te! Non possiamo pensare sempre alle stesse
cose... Queste cose: la frutta, i cracker, le batterie al litio. Sembra che non
ti interessi altro... Certo che lo vedo cosa sta succedendo, non sono mica
cieca. E allora? Sarò ridicola, ma io voglio parlare anche di altro. Voglio
parlare di noi... di te. Per me sei tu la cosa più importante, Marco. Tu vieni
prima di tutto, prima della mia stessa vita. E ho bisogno di sapere che anche
per te è lo stesso, che per te tutto viene dopo di me. Tutto, a cominciare da
quella Vanessa. Marco, ti scongiuro, dimmi che mi ami... Dillo a bassa voce.
Piano piano, metti la bocca vicino alla cornetta e sussura: “ti amo”... E
dài!... Va bene, senti, mi accontento di un sì o di un no. Io ti faccio la
domanda e tu mi rispondi: mi ami?... Eh?... E dài, basta un sì o un no, tanto
lei mica sa che cosa ti ho chiesto. Allora? Mi ami?... Sì?... E dài, che ti
costa? Dimmi un sì. Eh?... Si?... (Risentita) Però se ti chiedo: “La vuoi una
scatola di cracker?” che mi rispondi?... Lo vedi? Quando ti pare lo puoi dire un
“sì”! Non ti importa che c'è lì Vanessa, eh? (Autoritaria, a voce sempre più
alta) Senti, Marco, io te lo devo dire: questo tuo comportamento non mi piace.
Io capisco che tu non voglia ferirla, però è arrivato il momento che tu le
spieghi come stanno le cose... Devi dirle quello che sta succedendo tra te e me.
Devi essere onesto con lei, è inutile rimandare ancora, tanto prima o poi lo
capirà e allora le farai ancora più male. Devi parlarle chiaramente, le devi
spiegare che non sei interessato a lei, che deve smetterla di girarti intorno
e... (Continua a urlare) No... No... No... (Continua a ripetere i suoi “no, ma
un po' alla volta la voce cambia tono: da minacciosa che era diventa dimessa,
sulla difensiva) No... No... No, non è questo che... (Ormai è supplichevole)
No... No... No, Marco... No... No, ti prego... No, ti scongiuro Marco, non
riattaccare! Aspetta! Sì... Sì, hai ragione, non devo urlare, scusami, però non
attaccare... (Ora si è calmata) Ho esagerato, lo so. È che soffro tanto a
sentirti così... così trattenuto. Hai sempre il freno tirato, Marco. Io lo sento
che tu vorresti dirmi tante cose belle, vorresti aprire il tuo cuore. Tu hai un
cuore grandissimo, hai un cuore enorme e non lo sai. Non te ne rendi conto.
Soltanto io so vedere come sei dentro. Sei un ragazzo buono. Sì, buono. E
generoso. E innamorato. Sì, tu sei innamoratissimo di me, e non hai il coraggio
di dirlo neanche a te stesso. Figurati, e io pretendevo che lo dicessi a me, a
voce alta, e per di più davanti a un'altra persona. Sono stata veramente una
scema! Devi perdonarmi. Mi perdoni? Eh? Mi perdoni?... Sai che ti dico? Per
farmi perdonare anziché un pacco di cracker te ne regalo due! Allora, mi
perdoni? Eh?... Grazie. Lo vedi, te l'avevo detto: sei generoso. Hai un cuore
grande così. Io non mi sbaglio mai sulle persone. Se ti dico che sei buono vuol
dire che lo sei. E se ti dico che mi ami vuol dire che mi ami davvero, anche se
non me lo dici. Fidati... Fidati! È solo che non hai il coraggio di lasciarti
andare. Eppure, sarebbe così facile: basterebbe un sì... E che ti costa? Devi
solo dire “sì”. A bassa voce. Un respiro proprio. Non sai quanto è importante
per me. Se tu mi dicessi che mi ami io sarei completamente, definitivamente
felice. Potrei rinunciare a tutto. Persino a mangiare. Potrei... potrei fare a
meno anche della terza scatola di cracker. Anzi, per la felicità te la
regalerei. Tanto a che mi servirebbe? Avrei già tutto quello di cui ho bisogno,
sarei sazia... Mi basterebbe solo un sì... Eh?... Che dici? Mi ami?... Un sì!...
Sì?... Non ho capito bene. Ridillo... Sì! (Esulta) Ah! Mi ami! (Parte la musica:
è di nuovo l'Hymne à l'amour). Grazie Marco. Non sai quanto sono felice. Dio
quanto sono felice!
(Buio).
QUARTA PARTE
(Il fragore di un tuono squarcia il buio e interrompe bruscamente la voce della
Piaf. Si sente un rumore di pioggia molto più forte di prima. Quando le luci si
riaccendono, il fondale è invaso da un colore crepuscolare, plumbeo. Durante
questa quarta parte dello spettacolo la luce dietro la finestra andrà
progressivamente a spegnersi, fino al buio totale. Nella stanza di Serena ci
sono tutte le torce accese, ma una dopo l'altra si smorzeranno tutte, esauste.
Ora Serena sta camminando in su e in giù. È molto agitata. Apre la finestra: si
sente un rumore di acqua che scorre. Passeggia ancora un po', poi torna alla
finestra e la chiude. Afferra il registratore e avvicina il microfono alla
bocca, sempre camminando).
SERENA: Tanto lo so. Può dirmi quello che vuole, tanto lo so. (Urla) Lo so e
basta!... (Abbassa la voce) Sta ancora lì quella. Ma sai che ti dico? Io lo
chiamo! Ora mi sentono, tutti e due. Dov'è il telefono?
(Prende il telefono in mano. Poi ci ripensa e poggia il telefono sul tavolo.
Riprende il registratore e ricomincia a camminare, sempre più nervosa).
SERENA: E invece no! Non lo chiamo. Non gliela do la soddisfazione a quella là.
Ti piacerebbe eh? Cara mia! Non aspetti altro. Io telefono, così sembra che vi
voglio controllare, che sono gelosa... Ma non ci casco, sai? Sono più furba io
di te. Che ti credi... Lo so io quello che devo fare...
(Si ferma, si mette a sedere sul divano, si sforza di apparire calma).
SERENA: Ora mi metto qui, tranquilla. Mi rilasso... Magari mi metto un po' di
musica.
(Si alza di scatto. Spegne il registratore, accende la radio e torna di corsa
sul divano. Ma invece della musica la radio sta trasmettendo un annuncio).
SPEAKER DELLA RADIO: ... cuate immediatamente le città e dirigetevi verso il più
vicino centro di raccolta. Attenzione, questo è un mess...
(Serena ci mette un attimo a capire l'errore: si volta e si lancia sulla radio
per cambiare canale. Dopo qualche miagolio, l'apparecchio si sintonizza su una
nuova stazione, ma anche qui va in onda la voce dello speaker).
SPEAKER DELLA RADIO: ... bbandonare le aree al di sotto...
SERENA: (Infastidita, cambia ancora canale. Finalmente trova un po' di musica).
Ecco. (Torna sul divano. Resta muta per qualche secondo. Parla di nuovo nel
microfono. Ora sembra essersi calmata). Che poi non capisco di cosa mi
preoccupo. Io su Marco non ho dubbi. Ci metterei la mano sul fuoco. Se c'è un
ragazzo leale, trasparente è Marco. Non potrà mai nascondermi un segreto. E cosa
mi dovrebbe nascondere?
(La musica si interrompe per lasciare il posto, ancora una volta, alla voce
dello speaker).
SPEAKER DELLA RADIO: Attenzione, questo è un messaggio registrato. Il ministero
dell'Interno ordina a tutti i cittadini...
SERENA: Ancora?
SPEAKER DELLA RADIO: ...di abbandonare le aree al di sotto dei 600 metri di
altitudine. Ripeto: abbandonare le aree al di sotto dei 600 metri di altitudine.
SERENA: Quando la odio quella!
SPEAKER DELLA RADIO: A partire da oggi le autorità non garantiscono più i
rifornimenti di acqua e di cibo. Ultimo avviso alla popolazione. Evacuate
immediatamen...
(Serena si alza, spegne il registratore, si avvicina alla radio e la spegne una
volta per tutte. Sempre mantenendo la calma, fa ripartire la registrazione).
SERENA: E di cosa dovrei aver paura? Cosa dovrei temere io da quella là? Fosse
bella! Sembra una professoressa di matematica... Anzi sembra una cavalletta per
quanto è secca... Poi con quelle orecchie... Un koala!... Più che un koala, un
pipistrello!... Macché koala e pipistrello. Diciamo le cose come stanno: sembra
un elefante. È inutile girarci intorno, quelle sono le orecchie di un elefante.
È proprio brutta. Lo dice anche Marco. Anzi no, Marco non lo dice, però lo
pensa. Basta solo nominargliela che si innervosisce. Ne parla sempre con
fastidio, ogni volta che introduco l'argomento si arrabbia, cambia discorso. Non
la sopporta... Il fatto è che lei non se ne accorge, o fa finta di non
accorgersene. Io al suo posto, se un uomo mi trattasse così, mi farei da parte.
Mi offenderei anche. Invece lei è di quelle donne che non si arrendono mai. Non
molla. È tenace, bisogna ammetterlo. (Un po' alla volta torna ad agitarsi. Si
rimette a camminare in su e in giù per la stanza). Quella maledetta. Non lo
lascia mai solo... (Quasi urlando) Pure oggi doveva presentarsi a casa sua,
quella sfacciata... (Spegne il registratore e si rimette a camminare. Mormora
fra sé)... Quella cretina... (Riprende il registratore e urla nel microfono)
Cretina! (Rispegne e torna a camminare, in silenzio. Esce dalla stanza e resta
fuori per qualche secondo. Poi rientra a passo svelto, attraversa il
palcoscenico brontolando a bassa voce) Tanto mica se n'è andata. Sicuro. Sta
ancora a casa sua, la deficiente. (Accende il registratore e parla nel
microfono). Brutta deficiente, ma che ci stai a fare qui? Perché non torni da
dove sei venuta? Anzi, perché non te ne vai in montagna? Stanno scappando tutti,
perché non te ne vai anche tu? Che rimani a fare qui in mezzo all'acqua, in
mezzo ai morti? Ci sono le epidemie in città, non lo sai? Fra un po' saremo
tutti sommersi dalle onde e dai cadaveri, e tu che fai? Invece di scappare stai
con Marco! E resti lì tutto il giorno! (Va a sedersi sul divano. Parla ancora
nel microfono) Di sicuro non se n'è ancora andata, altrimenti lui mi avrebbe
chiamata. Me l'aveva promesso: “appena va via Vanessa ti chiamo”. Da quanto è
che aspetto? (Guarda l'orologio) Le otto meno un quarto? E ancora non mi ha
telefonato! Non è possibile... Lo chiamo io. (Si rialza, corre al telefono,
compone il numero. Poi ci ripensa. Lascia il telefono e riprende il
registratore). No! No, non posso dargliela vinta. Agli occhi di Marco perderei
mille punti. Gli dimostrerei tutta la mia debolezza. E rimetterei in gioco
quella scema, che invece adesso non ha alcuna chance. No, l'unica cosa che devo
fare è non fare niente. Non devo fare niente. Devo stare ferma, qui,
tranquilla... (Si rimette a sedere. Chiude gli occhi) Chiudo gli occhi e mi
calmo... Adesso lui sente il telefono che non squilla, e sa che sono io che non
lo chiamo... Non fare niente, non pensare a niente...
(Resta a occhi chiusi ancora qualche istante. Poi si alza di scatto, fa
ripartire il registratore e torna sul divano).
VOCE REGISTRATA: Il sogno che ho fatto stanotte. Ho sognato che camminavo per la
casa. Passavo continuamente da una stanza all'altra, aprivo tutte le porte.
C'era soltanto una porta che non aprivo mai. La maniglia era bloccata...
SERENA: Allora... La casa chiaramente rappresenta l'inconscio, no? Sto
esplorando il mio inconscio. La porta chiusa deve essere la parte nascosta della
mia personalità. Quello che ho rimosso, quello che non ho il coraggio di
guardare in faccia.
VOCE REGISTRATA: Cercavo una finestra. Sì, mi ricordo che cercavo una finestra.
Volevo trovare la luce, il sole.
SERENA: La finestra: il passaggio, il cambiamento, il desiderio di una vita
migliore. La luce è la saggezza e la conoscenza.
VOCE REGISTRATA: Dentro casa c'erano tanti animali. In cucina c'era una mucca
che brucava le piastrelle del pavimento. In camera da letto c'era un leone
sdraiato sul materasso. In soggiorno c'era un cavallo che scalpitava: era legato
alla parete con una corda.
SERENA: La mucca probabilmente è la figura materna. Il leone è la forza, la
sicurezza, quindi la figura paterna. Però è sdraiato sul letto. Che vorrà dire?
Non avrà mica un significato edipico? Anche perché il cavallo è sicuramente la
libido; e se il cavallo è legato, allora è una libido frenata, inibita...
VOCE REGISTRATA: Nelle mani tenevo un coltello...
SERENA: Simbolo fallico.
VOCE REGISTRATA: ... lo infilavo nello scarico del lavandino...
SERENA: Il sesso femminile.
VOCE REGISTRATA: ... e con la lama cominciavo a sfregare, a frugare nel buco
nero.
SERENA: Oh mamma mia!
VOCE REGISTRATA: Poi lasciavo andare il coltello, mi guardavo intorno e vedevo
uno strofinaccio: un panno di microfibra.
SERENA : Microfibra?
VOCE REGISTRATA: Lo sollevavo, e sotto scoprivo alcuni oggetti: una carta di
credito, un lettore mp3, un cotton fioc, un filo interdentale...
SERENA: Un cotton fioc, un filo interdentale? Ma che simboli sono? Nei libri di
Freud non si trovano... Io ci rinuncio: questo sogno proprio non si capisce!
VOCE REGISTRATA: Sentivo che il mio sogno stava arrivando alla fine. Ma mi
restava un'ultima cosa da fare. Dovevo vedere cosa c'era in quella stanza
chiusa. Sì, dovevo aprire quella porta. Afferravo la maniglia, tiravo con tutte
le mie forze, e alla fine la aprivo... Finalmente vedevo il sole. Che bello il
sole! Dietro la porta c'era un grande prato verde, infinito. Deserto. Non c'era
un'anima viva. C'ero io soltanto. E sudavo, come sudavo! A un certo punto notavo
un puntino nero all'orizzonte. Mi sembrava che si stesse avvicinando. Infatti si
faceva sempre più grande. Anzi, ora che guardavo meglio non era un puntino solo,
erano due puntini. Sì, due puntini che si avvicinavano. Ecco, ora cominciavo a
distinguere meglio la forma. Due semicerchi... due mezze lune... No, aspetta...
due circonferenze... due monete... due piattini da caffè... no, due scodelle...
grandi... molto grandi... no, forse sono due pneumatici... due pneumatici
grandi... due pneumatici di camion... anzi, ancora più grandi... forse sono
due... due cupole... no, due mongolfiere, due mongolfiere enormi... Ma no, ora
le vedo bene: sono due orecchie! Vanessa!!! Ma certo, come ho fatto a non
riconoscerla subito? Era Vanessa che mi veniva incontro, chissà che mi voleva
dire. Ma io non ci volevo parlare con quella, per cui decidevo di interrompere
il sogno. Mi sono svegliata, e mi sono accorta di essere tutta sudata. È stato
un sogno faticoso.
(Serena si alza e spegne il registratore).
SERENA (al microfono): Comunque oggi sono un po' triste perché questa potrebbe
essere l'ultima volta che registro la mia voce. Ormai le batterie sono finite,
sto consumando le ultime. Presto non potrò più accendere neppure la radio, e
neppure la lampada. Forse già questa notte la passerò al buio. Ma tanto Marco mi
ha promesso che verrà a dormire qui con me. Non ho paura del buio se c'è lui. Io
e lui da soli, al buio, abbracciati. Non vedo l'ora! Sarà la notte più bella
della mia vita... (Serena spegne il registratore. Si fa silenzio nella stanza.
Serena ricomincia a camminare in su e in giù. Controlla l'orologio). Le otto
passate... (Si rimette a registrare). Sono le otto passate e guarda se mi
chiama!... Pure Marco, però... Che gli costa fare una telefonata? Ammesso che ci
sia ancora lì Vanessa... (Si interrompe, come se completare la frase non le
interessasse. Spegne il registratore e accelera il passo) Vanessa... Vanessa...
(Riaccende il registratore. Adesso è furiosa). Ma che nome del cazzo! Ma una si
può chiamare Vanessa? Che genitori ha avuto una che si chiama Vanessa? Due
sadici. Metti al mondo una bambina e la chiami Vanessa. Per forza poi ti cresce
così... Ma perché non muore? Qua stanno morendo tutti, perché lei no? Perché non
si prende un'infezione? Un'infezione mortale, come ce l'ha avuta il mio vicino
di casa, quello del quarto piano, in due giorni è finito all'altro mondo. Fra
mille spasimi deve morire. Deve finire i suoi giorni piena di pustole, tutta
gonfia, che non si vedono più nemmeno le orecchie... (Si ferma. Guarda il
registratore, allarmata). E ora che c'è? (Dà qualche botta all'apparecchio). Di
nuovo? E no! (Cerca un altro paio di pile e le sostituisce a quelle vecchie.
Colpisce ancora il povero registratore, sempre più forte). E va bene, anche se
tu non mi vuoi più registrare io ti parlo lo stesso... REC! Caro diario, chi
cerca trova, ma a volte quello che trova è molto peggio di quello che cercava.
Io cercavo la felicità, e guarda adesso come mi ritrovo. Qui, da sola, a
tormentarmi per un telefono che non squilla... (Urlando) per colpa di una
zoccola che non sa stare al suo posto... (ora a voce normale, amara) e per un
ragazzo stupido che si dimentica di me... Adesso sicuramente sono lì, chiusi in
casa, da soli. Magari mangiano insieme. Magari vanno pure a letto insieme.
(Ricomincia a passeggiare). Che schifo: Marco a letto con un koala, con un
pipistrello, con un elefante. Che stomaco! Ma come fa?... No, non è possibile.
Non ci credo. Non ci voglio credere. (Resta a pensare per qualche secondo). Io
lo chiamo... (Si lancia sul telefono. Compone il numero, porta la cornetta
all'orecchio) Ma sì, che me ne frega, lo chiamo. Voglio vedere se si arrabbia
anche stavolta. Aveva detto che mi chiamava, non mi ha chiamato, e allora adesso
che vuole? È lui che mi costringe... (Qualcosa non funziona. Guarda il display
del telefono. Legge) “Rete non disponibile”. Bè? (Compone nuovamente il numero e
si rimette in ascolto) Stavolta mi sente! Se quella sta ancora lì... Tutti e due
mi sentono... (Niente, il telefono non funziona. Legge di nuovo il display).
“Rete non disponibile”? Ma che succede? (Fa un altro tentativo, pestando
freneticamente i tasti del telefono) Non funziona più? (Riprova ancora, ormai è
disperata) Non è possibile! I telefoni devono funzionare. Hanno sempre
funzionato. Come si fa senza telefono? Io non ce la faccio. Non può essere.
Forse è un guasto momentaneo. (Si accanisce sulla tastiera del telefono. Piange
fino a singhiozzare). Nooo! E adesso come faccio? Come faccio a sapere se stanno
insieme? Perché? Dio, perché mi fai questo? Che cosa ho fatto per meritarmelo?
(Si inginocchia, ancora in lacrime, e rivolge la sua preghiera al cielo)
Signore, ti prego, se esisti, ti supplico, fa che in questo momento loro due non
siano insieme. Io non ti ho mai chiesto niente, lo sai, ma questa volta devi
ascoltarmi. Fa che lei non sia lì con lui, fa che sia tornata a casa sua. Fa che
sia morta, ti scongiuro. Guarda, se non è morta lei va bene anche che sia morto
lui, purché non stiano insieme. Non lo sopporterei... (Si piega sul pavimento,
mentre piange ancora a dirotto. Poi si calma, si asciuga gli occhi e le guance,
si rialza in piedi) Devo andare lì. (Mentre si toglie le scarpe e si infila le
galosce). Vado da Marco. Devo sapere cosa stanno facendo. Devo coglierli sul
fatto... (Dà un'occhiata fuori dalla finestra. Apre le imposte. Il rumore
dell'acqua è enorme, spaventoso) Mamma mia quanta acqua. E adesso come faccio?
(Urla. Agita la torcia fuori dalla finestra, puntandola verso il buio) Oooooh!
Mi sente qualcuno? Devo uscire da qui! C'è qualcuno che mi può aiutare? Oooooh!
Aiutoooo! C'è nessuno?...Venite a prendermi! Oooooh! (Rassegnata, riprende il
registratore e parla nel microfono). Qui fuori non c'è più un'anima viva. (È
sfinita. Si accascia sul divano. La finestra è rimasta aperta. Il rumore
dell'acqua è fortissimo). Magari mi sto tormentando per niente. Magari quella se
n'è già andata. Anzi, forse in questo momento lui sta tentando di raggiungermi.
Ha sentito che il telefono non funziona e si è messo in viaggio verso casa mia.
Mi sta venendo a salvare. Devo farmi trovare pronta... (Si toglie le galosce e
si rimette le scarpe, si aggiusta il vestito, si mette uno scialle elegante. Si
pettina. Fuori è tutto nero. Tutte le lampadine si sono spente. La torcia appesa
al soffitto, unica luce rimasta in scena, si va lentamente esaurendo. Il rumore
dell'acqua è diventato assordante, insopportabile. Torna anche la voce della
Piaf che canta l'Hymne à l'amour). Sì, sicuramente è così, non potrebbe mai
lasciarmi qui da sola. Certo, gli ci vorrà un po' di tempo, con tutta
quest'acqua. Prima o poi sarà qui. Ora mi calmo e l'aspetto. Devo solo avere
pazienza. Mi preparo. Domattina ce ne andremo in montagna. Io e lui, insieme.
(Serena sta parlando ancora nel microfono, ma ormai non la sentiamo più.
Sparisce nelle tenebre).