«segue comunicato»

di

Alessandro Trigona Occhipinti

 

 

 

 

 

 

A sinistra, una camera da pranzo, ambiente dove si muoveranno e agiranno, senza mai interloquire tra loro, i personaggi del Presente (Paolo) e quelli del Passato (Uomo, Massimo, Amedeo), solo Cecilia agirà e si muoverà in un continuo passaggio tra Presente e Passato.

A destra, "una sola lampadina, una branda, un tavolinetto a mensola, un seggiolino pieghevole. Fissata ad una parete, una bandiera di stoffa rossa al centro una stella gialla con una scritta: <portare l’attacco al cuore dello stato>"

A dividere i due ambienti e quello che rappresentano, una porta, magari anche solo la cornice di una porta.

Parigi Presente

Cecilia entra in casa. Si toglie l’impermeabile. Accende la radio. Musica. Ha come un brivido. Seduto su una sedia, Uomo. Cecilia non lo vede, non lo può vedere. Per ora.

Uomo: (anche alzandosi e camminando fino al proscenio) Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe. Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano, di Brescia e di Bologna. Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato sia i vecchi fascisti ideatori di golpes, sia i neofascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti. Io so i nomi di coloro che, tra una messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica e che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.

Cecilia torna alla radio e cambia vari canali prima francesi poi uno in italiano.

Voce alla radio: Roma: al vaglio delle autorità il documento di ventinove pagine con il quale è stato rivendicato, a nome delle Brigate rosse partito comunista combattente, l’assassinio del collaboratore del Ministro del lavoro Bassolino, Massimo D’Antona, avvenuto l’altro giorno a Roma…

Cecilia ha un sussulto, appare adesso sconvolta, siede. Pallida. Entra Paolo, il figlio. Paolo ha un accento francese e le sue battute sono intervallate da espressioni francesi.

Paolo: Maman, maman, quil tu a’? Maman, es tu bien? Oui? Oiu?

Cecilia cerca di scuotersi. Con difficoltà abbozza un sorriso all’indirizzo di Paolo cercando di dissimulare il proprio stato, di non far capire il suo reale stato d’animo.

Paolo: Maman, es tu bien? Oui?

Cecilia. No, non è niente. È solo… niente, niente.

Il telefono comincia a suonare. Il panico sembra impossessarsi di Cecilia. Paolo se ne avvede: scruta prima la madre, poi guarda il telefono, capisce, torna a guardare la madre prima di andare a rispondere.

Paolo: (al telefono) Allò? Allò? C’est qui au telephone? Je ne entende rien de rien. Pouvez vous rappeller s’il vous plait.

Paolo riaggancia la cornetta. Cecilia lo guarda smarrita.

Cecilia: Chi…chi era?

Paolo: Je ne sais pas. Je n’ai rien entendu. Mais Il parlait italien, exactement comme toi.

Cecilia: In italiano? Parlava in italiano? Sarà stato… sarà stato mio fratello.

Paolo: Je ne crois pas. Non era la sua voce. Piuttosto direi…

Cecilia: …piuttosto diresti?

Paolo: Mi sembra che fosse quell’uomo, quel tale, quello che ha chiamato l’altra sera.

Cecilia: L’uomo dell’altra sera? No. Ti sbagli. Non può essere, non può essere no. Sarà stato sicuramente qualcuno che… ha sbagliato.

Paolo: Mamma, chi era l’uomo dell’altra sera? (Cecilia indugia) Mamma, c’è qualcosa che non va, vero? Qualcosa che non vuoi dirmi.

Cecilia: Perché dici questo?

Paolo: È così palese. Sei sempre così nervosa, agitata, come se ci fosse qualcosa che ti tormenta.

Cecilia: Sono solo un po' stanca: il lavoro, mille cose da fare, da pensare… Probabilmente è solo questo.

Paolo: No, non è così. C’è qualcosa che non va. Si vede, si capisce.

Cecilia: Solo un po' di stanchezza. Ho bisogno di un po' di riposo: di una vacanza!

Paolo: Mamma, non è questo, non è solo questo. C’è dell’altro. E io voglio sapere cosa c’è, cosa c’è che non va.

Cecilia: Il caldo! Hai sentito che caldo che fa questi giorni. Sicuramente dipenderà…

Paolo: Mamma, non penserai che io possa credere…?

Cecilia: Forse dovrei farmi vedere. Oggi chiamerò il dottore e…

Paolo: Mamma!

Lunga pausa. Cecilia guarda spaventata il figlio.

Cecilia: È proprio così evidente?

Paolo: Ti si legge in faccia.

Cecilia: E che io… (tace)

Paolo: Hai paura?

Cecilia: Paura, no.

Paolo: Allora?

Cecilia: Sgomento.

Paolo: Per quello che è successo?

Cecilia si muove incerta.

Cecilia: Credo che tu debba, in effetti… (si interrompe) No! È vero. C’è qualcosa, qualcosa che tu ancora non sai e che io e tuo padre non ti abbiamo ancora detto.

Paolo: Qualcosa che ti riguarda?

Cecilia: È da tempo che ci penso, che ci sto male. Credo sia arrivato il momento di dirti tutto, di raccontarti tutto: la verità.

Paolo: Quale verità?

Cecilia: La mia verità. E la "mia" storia.

Paolo: Come lo dici, mette quasi paura.

Cecilia: È difficile per me spiegare, trovare le parole. Sono sola in questo.

Paolo: Riguarda il tuo passato, vero? Il motivo per cui non puoi tornare in Italia?

Cecilia: Con papà ti abbiamo detto che sono una perseguitata politica: che vent’anni fa mi sono rifugiata qui in Francia per motivi politici.

Paolo: Un caso giudiziario, dicevate, uno dei tanti. Una vera persecuzione, come per Adriano Sofri.

Cecilia: Nel mio caso non si tratta di un errore giudiziario, né di persecuzione politica.

Paolo: Hai realmente commesso qualcosa?

Cecilia: È difficile dirlo.

Paolo: Puoi sempre provarci.

Cecilia: È difficile capire.

Paolo: Posso sempre provarci.

Cecilia: Non riesco ad immaginare come.

Paolo: Mamma, non vorrai dirmi che tu… tu eri…

Cecilia: (interrompendolo e, poi, interrompendosi) No! Sì! Voglio dire che io… io ero…

Paolo: Una terrorista?

Cecilia: No! Non una terrorista, una combattente comunista.

Paolo: (sgomento) Mamma, tu eri… tu sei una terrorista!

 

Cecilia indugia alcuni istanti. È visibilmente imbarazzata. Poi quasi anche con fierezza.

 

Cecilia: Una combattente comunista!

 

Gelo. Cambio luci. Cecilia e Paolo sprofondano nell’oscurità.

Roma Passato

Uomo viene avanti fino al proscenio.

Uomo: Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il 1968 non è poi così difficile. Sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici. Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi. A chi dunque compete fare questi nomi? A chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere e non ha, per definizione, nulla da perdere: cioè un’intellettuale. Ma egli non ha né prove né indizi. Il potere ha escluso gli intellettuali liberi dalla possibilità di avere prove ed indizi.

Entrano Amedeo, Massimo, pistole in pugno, con dei passamontagna a coprire il volto. Cecilia, prima incerta poi sempre più decisa, si avvicina a loro e prende parte al sequestro.

 

Massimo: Fermo! Non si muova o le faccio saltare le cervella!

 

Uomo: (sorpreso) Cosa…?

 

Amedeo: Le mani! Tenga le mani bene in alto! E non faccia scherzi!

Uomo: (spaventato) Chi siete? Cosa volete?

Cecilia: (ancora incerta) Siamo combattenti comunisti. Lei è… (ora decisa) …lei è nostro prigioniero.

Uomo: (spaventato) Ci deve essere uno sbaglio… Io sono solo un…

Amedeo: Nessuno sbaglio. È proprio lei quello che stavamo cercando.

Massimo: L’ "esimio" intellettuale, il "fine analista", il "grande commentatore" della stampa borghese.

Uomo: (spaventato) Cosa volete da me? Gambizzarmi?

Amedeo: (spingendolo) Sarebbe troppo facile cavarsela con una semplice ferita ad una gamba. Servirebbe soltanto a far di lei un eroe e noi non vogliamo eroi.

Massimo: Tanto meno martiri.

Cecilia: Lei verrà con noi. Sarà processato e sarà un tribunale rivoluzionario a giudicarla.

Amedeo: E a condannarla.

Uomo: (spaventato) Voi state commettendo un errore.

Cecilia: Nessuno errore. È ora che la gente come voi capisca, si renda conto da che parte stare.

Massimo: E lei ne avrà tutto il tempo. In una prigione del popolo.

Cecilia: Presto, muoviamoci.

Cecilia, con Amedeo, porta via Uomo mentre, Massimo si volta verso il pubblico. E si toglie il passamontagna.

Massimo: (con enfasi) "Compagni, il proletariato non ha alternative: nelle fabbriche, nei quartieri, nelle scuole, nelle carceri e ovunque si manifesti l’oppressione imperialista, bisogna organizzare il potere proletario, costruire l’unità dei comunisti nel Partito Comunista Combattente. Portare l’attacco allo Stato Imperialista delle Multinazionali. Intensificare l’iniziativa armata contro i centri e i luoghi della controrivoluzione imperialista. Per il comunismo, Brigate rosse" (prima di uscire saluta con il pugno chiuso)

 

Cambio luci. Paolo si volta verso la madre che, di nuovo incerta, gli è tornata vicina.

Parigi Presente

Cecilia, Paolo.

Paolo: Io non avrei mai pensato che tu potessi essere una che andava in giro ad ammazzare la gente. In nome del comunismo!

Cecilia: Non è così, non è come credi.

Paolo: E come credo?

Cecilia: Nessuno andava in giro ad ammazzare la gente. Erano anni difficili quelli e io, come tanti, ho pensato, ho creduto di combattere una guerra che, adesso me ne rendo conto, non avremmo mai potuto vincere.

Paolo: Uccidere degli uomini inermi tu lo chiami combattere una guerra?

Cecilia: No! Non era questo, non doveva essere questo.

Paolo: E cosa doveva essere?

Cecilia: Volevamo cambiare le nostre vite, il mondo! Volevamo una società più giusta.

Paolo: Una società comunista?

Cecilia: Quello che la vita ci dava, non potevamo accettarlo: troppe ingiustizie.

Paolo: Anche oggi allora?

Cecilia: Sì. Certo. Anche oggi. Ma vedi, allora era diverso, tutto era diverso: noi volevamo cambiare il mondo, invertire il corso della storia.

Paolo: Uccidendo?

Cecilia: No, certo che no.

Paolo: E allora?

Cecilia: Cercavamo nuove strade, nuove risposte. Noi pensavamo, noi credevamo di essere nel giusto. Anzi. "Noi eravamo buoni, ci sentivamo buoni e volevamo essere buoni". E invece…

Paolo: E invece?

Cecilia: Le cose non sono andate come pensavamo. La gente non capiva.

Paolo: Come poteva?

Cecilia: Aveva paura. Di noi. O forse eravamo noi a non capire. Troppo tardi mi sono resa conto di… (tace)

Paolo: Di essere solo un’assassina, una volgare assassina.

Cecilia: Immaginavo che non sarebbe stato facile parlarti, ma non pensavo che lo potesse essere fino a questo punto.

Paolo: Tu e papà mi avete sempre insegnato che arriva sempre il momento in cui bisogna assumersi le proprie responsabilità.

Cecilia: Certo, le proprie responsabilità per quello che si fa e per quello che si è.

Paolo: E tu, mamma, sei solo questo: un’assassina, una volgare assassina!

Cambio luci.

 

Roma Passato Prigione del popolo.

Cecilia si avvicina a Uomo che è disteso sulla brandina. Uomo appare sofferente. Tossisce più volte, si agita, inquieto. Non si avvede della presenza di Cecilia. Infastidito si mette a sedere e si passa più volte la mano sulla testa, sulla faccia. Tossisce, ancora. Respira a fatica. Cecilia indugia ancora. Lo guarda, lo scruta, lo spia. Uomo si alza. Cecilia accenna un passo indietro. Uomo accende la lampadina che pende su di lui, prende un libretto rosso, siede, lo sfoglia. Legge.

Uomo: (declamando con sofferenza) "Attenzione, attenzione. Sono i Gap che vi parlano. È nata una nuova resistenza di massa, sono nate le Brigate rosse e si sono ricostruite le brigate Gap. La via della rivoluzione comunista comporta una lunga e dura guerra. Ma su questa via le brigate partigiane marceranno compatti e uniti fino alla vittoria" (tossisce. Guarda la copertina del libro) «L’ape e il comunista». Il miele della classe operaia!

Appare anche Amedeo che rimane in disparte come a voler spiare..

Cecilia: Non riesce a dormire?

Uomo è sorpreso da quella intrusione così inopportuna. La guarda quasi con disgusto. Con gli occhi stanchi, appesi.

Uomo: No. Non riesco a dormire, con questo caldo. Non riesco a dormire. Manca l’aria qui dentro, si soffoca.

Cecilia: Eppure non fa poi così caldo. Non è estate. Fuori… piove.

Uomo: Fuori… piove… (Uomo si alza e, a passo lento, va al tavolinetto dove sopra ci sono dei fogli, li legge. Disgustato li ripone) Si soffoca con questi pensieri.

Cecilia: Posso fare qualcosa per lei?

Uomo: (di scatto) Liberarmi. (Amedeo lo affronta) Non aspettavo visite.

Cecilia: Le abbiamo portato quello che ci ha chiesto: dei ricambi, dei pigiami, un golf.

Uomo: Dei libri?

Cecilia: Sì. Certo. Anche dei libri. Quelli che voleva. E dei ritagli di giornali, parlano di lei.

Uomo: Bene. Così potrò capire quello che mi è successo.

Amedeo: Non credo la aiuteranno molto. I suoi "colleghi" hanno pensato bene di ricamarci sopra. Un altro po’ a prelevarla sarebbe stata un’intera brigata corazzata scatenando la terza guerra mondiale.

Uomo: E non è così?

Amedeo: Non proprio. Noi siamo solo una tappa, verso la rivoluzione.

Uomo: Rivoluzione? O regressione? Non credo di aver capito bene.

Cecilia: Che fa? Gioca con le parole?

Uomo: Io non gioco con le parole, piuttosto le studio, le analizzo e le uso per elaborare pensieri, formulare concetti. Per cercare di capire quello che sta succedendo oggi.

Amedeo: Ecco! Bravo! Studi, studi bene le parole. E si prepari. Si prepari bene. Più tardi verremo ad interrogarla. Così sarà preparato. Perfettamente in grado di collaborare.

Uomo: Collaborare? Come? E con chi?

Amedeo: Con noi. Con il Movimento Proletario di Resistenza Offensivo. Sarà così in grado di rivelarci tutti i retroscena della controguerriglia psicologica della propaganda borghese ed imperialista.

Uomo: Mi è veramente difficile capire… quello che dite, quello che volete.

Amedeo: Non le conviene fingere, cercare di farci credere di non capire. Potremmo anche essere molto severi con lei.

Uomo: Mi ucciderete?

Cecilia: Non siamo degli assassini. Un tribunale rivoluzionario la sta processando. Ci sarà una sentenza, una sentenza politica. Spetterà poi alla direzione strategica decidere se dare o meno esecuzione alla sentenza.

Uomo: Una sentenza? Sembra una cosa seria.

Amedeo: È una cosa seria.

Uomo: Avrei preferito che così non fosse.

Cecilia: Tutti avremmo preferito che così non fosse: una realtà diversa: migliore.

Uomo: Sì. Certo. Migliore.

 

Silenzio. Amedeo esce. Rimane solo Cecilia.

 

Cecilia: Se le serve qualcosa, lo dica pure. Si consideri nostro ospite.

Uomo: Pensavo di essere vostro prigioniero.

Cecilia: Certo! Lei è nostro prigioniero, ma è anche nostro ospite.

Uomo: Mi ucciderete? (pausa) Mi ucciderete.

Cecilia: Adesso è tardi, devo andare.

Uomo: Non mi lasciare solo. Per favore.

Cecilia: Ha paura?

Uomo: Forse.

Cecilia: I compagni mi aspettano. Devo riferirgli di lei.

Uomo: (combattuto) Aspetta. Fermati! Dì loro che io… (abbassa il capo) No! Niente! Lascia, lascia perdere.

Cecilia: Vuole dirmi qualcosa?

Uomo: Che ho paura, una paura fottuta. E ho anche freddo. Paura di quello che sta succedendo oltre quella "porta". (indica la porta) Ecco. Adesso, l’ho detto, ho avuto la forza di dirlo. Adesso non ho più bisogno di nascondermi dietro le parole, non più almeno. (Cecilia torna al tavolo) Non come fate voi. (disperato) "Il soggetto comunista deve essere disciplinato dentro un progetto centrale d’organizzazione capace di armarlo per disarticolare l’intero arsenale di comando e di controllo dello Stato capitalistico" (urlando) Segue, segue comunicato.

Cambio luce.

Roma Passato

Massimo siede adesso allo stesso tavolo dove c’è Paolo. I due si ignorano, a dividerli ci sono vent’anni.

Massimo: Allora? Come sta il nostro uomo?

Cecilia: Mi sembra depresso.

Massimo: Depresso? Neanche avesse lavorato tutto il giorno in fabbrica. A questi intellettuali bisogna proprio spezzargli la schiena: educarli come diceva Mao.

Cecilia: Delle volte mi fa pena.

Massimo: Pena? Pensa a quello che ha scritto, a quello che ha detto e a come ci ha sempre definito e poi dimmi se ti fa ancora pena?

Cecilia: Non stavo dicendo questo. Dico soltanto che lui è lì, buttato su quella branda: non parla, gli occhi fissi, puntati sulla sedia. Sembra respirare a fatica.

Massimo: È la paura. Il terrore per quello che gli può succedere. Lui pensava, era convinto di spuntarla, di farla franca, di poter continuare a scrivere i suoi bei libri, i suoi articoli, a poter "pontificare" sulla lotta di classe, sul proletariato e sui "compagni che sbagliano", senza doverne dare conto a nessuno. Adesso è finita. Anche lui si è trovato in trincea. E si renderà conto che la guerra è uguale per tutti. Anche per lui.

Cecilia: Non è questo che volevo dire.

Massimo: Hai visto il clamore che abbiamo suscitano? Era proprio quello che speravamo: ottenere la massima attenzione. I giornali, la stampa, non parlano d’altro. Improvvisamente hanno capito, si sono resi conto che anche loro sono quanto mai nel mirino. (ironico) Un intellettuale, uno tra i più autorevoli commentatori e fustigatore dei costumi della società consumistica borghese, è caduto prigioniero di una banda di pericolosi sovversivi. Colpirne uno, per educarne cento.

Cecilia: Su questo non ci sono dubbi. Ma la reazione della gente, degli stessi compagni mi lascia perplessa: come se non capissero, come se stentassero a capire. O forse siamo noi a… (tace)

Massimo: A sbagliare? A sbagliare tutto? L’altro giorno eravate tu e Amedeo che insistevate per farlo fuori, per farlo fuori subito nel suo studio senza perdere tempo.

Cecilia: Io volevo solo dirti le mie impressioni, non certo mettere in discussione le scelte fatte.

Massimo: Quello è un traditore, uno sporco revisionista. È chiaro che sta cercando di commuoverti per salvare la pelle: l’eroe!

Cecilia: Conosco l’uomo, il suo agire. Mi rendo conto di quello che può cercare di fare ingenerando dubbi. Io ho scelto di dedicare la mia vita alla causa rivoluzionaria e non sarà certo un piccolo intellettuale borghese a farmi cambiare idea. Cercavo solo di dire quanto sia difficile nella realtà distinguere la funzione che l’uomo ricopre… dall’uomo stesso.

Massimo: Le tue sono solo parole del cazzo.

Cecilia: Parole di piombo. (esce incrociandosi con Amedeo)

Amedeo: (a Massimo) Qualcosa non va?

Massimo: È la tensione. La tensione per quello che sta succedendo.

Amedeo: Erano anni che non la vedevo così.

Massimo: Questa è un’operazione piuttosto delicata da portare avanti. È giovane, inesperta. È comprensibile un certo nervosismo.

Amedeo: Comprensibile ma non certo giustificabile.

Massimo: Bisognerà tenerla d’occhio. È il caso che tu te ne occupi: stalle addosso, attento a qualsiasi passo falso, non possiamo certo correre dei rischi.

Amedeo: Se mi aveste dato retta a quest’ora avevamo risolto ogni problema.

Massimo: Vuoi dire…?

Amedeo: Lo tenevo sotto tiro. Lo avevo lì, proprio davanti. Era solo una questione di… (simula lo sparo) …pratica.

Massimo: Era un’ipotesi che avevamo preso in considerazione.

Amedeo: Un attimo ed era finita. Invece di… (indica la porta)

Massimo: Dobbiamo far vedere di cosa siamo capaci.

Amedeo: Andavamo via, senza rischi, senza nessuno tipo di problema. E potevamo pensare ad altro, dedicarci ad altro, magari alzando il tiro.

Massimo: Tutto è stato già discusso, deciso. Ora lui è nelle nostre mani. E questo è l’importante.

Amedeo: Certo, l’importante ma…

Massimo: So come la pensi in proposito, quello che vorresti fare.

Amedeo: E allora?

Massimo: Ogni cosa ha il suo tempo.

Amedeo: (ironico) Certo: ogni cosa ha il suo tempo. Finché ce ne resta di tempo (fa per uscire)

Massimo: Amedeo, ho visto come ti sei comportato durante l’operazione.

Amedeo: Qualche problema?

Massimo: No. Hai mostrato una grande determinazione, una rabbia che… cerca di non eccedere, non eccedere mai, ricordatelo. (Amedeo ha un gesto di stizza ed esce)

 

Cambio luci.

Parigi Presente

Cecilia rientra. A piccoli passi. Paolo la guarda.

Cecilia: Non era questo, non era così che doveva andare.

Paolo: E come doveva andare, invece?

Cecilia: Mai avrei potuto immaginare… Avevo quasi diciott’anni quando ho iniziato a "fare" politica. All’inizio sembrava poter essere un gioco, solo un gioco.

Paolo: Un tragico gioco!

Cecilia: Il patto sociale era rotto. L’operaio massa andava allo scontro. Uno scontro duro, globale. La società diventava sempre più violenta, nei suoi rapporti, nelle sue logiche. Tutto di colpo era diventato complicato, confuso, incomprensibile, anche le cose più semplici.

Paolo: Come sparare?

Cecilia: Gli scontri. Gli attentati. Le bombe, le bombe fasciste con tutti quei morti. Tutto sembrava poter essere possibile. Tutto! Anche la presa del "Palazzo d’Inverno". Il potere sembrava vacillare. La piazza era come se "ribollisse". Sentivi un’energia, una forza: era la rivoluzione, pensavamo noi. E invece no.

Paolo: No.

Esplosioni di luci: rosse, gialle, come di un incendio. Poi anche blu, come l’indicatore ottico della polizia. Viene avanti Amedeo.

Amedeo: (enfatico) "Obiettivo del Movimento era di esercitare violenza in alcuni punti della città. Le squadre autonome armate compivano fulmineamente le loro azioni e rientravano nel corteo. Noi rifiutiamo l’etichetta di teppisti data a quei compagni. Rivendichiamo i loro errori come errori del corteo. La loro violenza anche se primitiva è disponibilità alla lotta di classe rivoluzionaria"

Cambio luci.

Paolo: E così è cominciato tutto?

Cecilia: No. Non così. Non subito almeno.

Paolo: E come allora?

Cecilia: Facevo parte di un gruppuscolo d’estrema sinistra. Ci sentivamo forti, intrepidi.

Paolo: Degli eroi, magari.

Cecilia: Sì. Degli eroi. C’era il mito di Che Guevara, allora. In quell’atmosfera, la rivoluzione poteva anche essere una risposta, una risposta a tutto.

Paolo: Bisognava solo cominciare, vero? Trovare il coraggio per…

Cecilia: A vent’anni si vede tutto in bianco e nero. Ed è così facile sbagliare, pensare… credere…

Paolo: Pensare che? Credere cosa?

Cecilia: Di essere dalla parte giusta della barricata, di agire per il bene comune. Troppo tardi ho capito di avere perso la scommessa con la vita, con la "mia" vita.

Paolo: Non è tardi per rendersene conto?

Cecilia: Forse. Ma allora tutto sembrava essere diverso.

Paolo: Ti aggrappi a questo?

Cecilia: Non mi rimane altro.

Paolo: E così hai cominciato a sparare?

Cecilia: Noi non sparavamo nel mucchio, non all’inizio, almeno. Erano i fascisti a farlo: con le bombe, le stragi. Noi individuavamo un obiettivo, un obiettivo politico e poi…

Paolo: Lo eliminavate?

Cecilia: No! Non lo si eliminava. Lo si colpiva. E lo si… (si interrompe. È visibilmente in difficoltà) C’era una logica, una logica in tutto questo, anche se oggi è difficile crederlo.

Paolo: La logica di uccidere.

Cecilia: Ogni guerra ha le sue vittime.

Paolo: Vittime innocenti!

Cecilia: Sì. Certo. Anche innocenti. (si volta perentoria) Io non cerco giustificazioni e non pretendo perdono. Voglio solo raccontare una storia: la "nostra" storia, spiegare le nostre ragioni, per quanto sbagliate possano essere.

Paolo: Le "vostre"? Vostre di chi, mamma?

Cecilia: Di quelli come me, di quelli che, nella logica del compromesso storico, rimanevano contro: contro il sistema capitalistico e contro lo stato borghese. Noi volevano cambiare le cose, radicalmente.

Paolo: Bastava questo per uccidere?

Cecilia: Bastava anche meno.

Paolo: Tutto questo è pura follia!

Cecilia: Noi eravamo gli emarginati, gli esclusi dal contesto politico. A noi non restava che la piazza, da conquistarci, con la violenza. E da difendere con la violenza. Credevamo di essere l’avanguardia di una rivoluzione che presto o tardi sarebbe scoppiata, inevitabile. E invece no. L’Italia non è un paese di rivoluzioni. Ma molta gente, molti compagni, sono rimasti uccisi: Francesco Lo Russo. Giorgiana Masi. Walter Rossi. E la tensione cresceva, sempre più. Forse c’erano altre strade da percorrere, altri le hanno percorse. Ma noi no, noi volevamo cambiare il mondo e, così, abbiamo finito con il nutrirci della violenza che avevamo intorno.

Paolo: Eravate voi quella violenza!

Cecilia: Al principio, no! No. Ma abbiamo finito col diventarla, con l’alimentarla. Quella violenza che era così presente che si percepiva nell’aria, così densa, palpabile, acre, come il sapore dei lacrimogeni. In quel contesto, noi eravamo quelli che avevano deciso di passare alle vie di fatto: noi eravamo quelli che facevamo quello che tanti avrebbero voluto fare e non ne avevano il coraggio. Noi che ci sentivamo dei "salvatori, portatori di valori validi in nome dei quali giudicare". Eravamo noi la rivoluzione possibile, l’unica rivoluzione possibile: la lotta armata. Ma la lotta armata non era solo una forma della politica, era la politica stessa: vince chi spara.

Cambio luci.

Roma Passato Prigione del popolo

Amedeo si avvicina a Uomo.

Uomo: Cosa? Cosa c’è?

Amedeo: Devo fotografarla.

Uomo: Vuole che mi pettini? Che mi faccia la barba? Che mi trucchi?

Amedeo: Non è il caso di scherzare. E non è neanche il caso che si sistemi. Deve apparire così com’è, che si rendano conto che questo non è uno scherzo, che facciamo sul serio. Devono capire che questa è una prigione, una prigione del popolo ed è un processo proletario quello al quale lei è sottoposto.

Uomo: Prigione del popolo… Processo proletario… Fa quasi ridere…

Amedeo: Non credo ci sia molto da ridere.

Uomo: Ed io non credo di averne neanche la forza.

Amedeo fotografa Uomo con dietro il drappo rosso e un giornale in mano. Poi esce. Uomo si sdraia, in posizione fetale, sulla branda. Gli si avvicina Cecilia con un vassoio.

 

Cecilia: Non vuole mangiare?

 

Uomo: Non credo che abbia senso.

Cecilia: Ha senso, invece. Non può lasciarsi andare, abbattersi così. Deve reagire. Pensi alla sua funzione, al suo ruolo in tutto questo.

 

Uomo: Funzione? Ruolo? Non sapete parlare d’altro, voi.

 

Cecilia: Voi? Con quanto disprezzo pronuncia quel "voi".

 

Uomo: Per carità, no. Disprezzo no, disprezzo proprio no.

Paolo: Sì ricordi sempre con chi ha a che fare. Non siamo dei comuni rapinatori di banca, noi.

 

Uomo: Non ho dubbi a riguardo. So bene con chi ho a che fare.

 

Paolo: Siamo un’organizzazione rivoluzionaria, noi.

Uomo: Certo! Ho studiato e… (enfatico) "Con la costruzione delle Brigate comuniste abbiamo voluto creare un polo strategico in grado di porsi almeno i più urgenti tra i problemi sollevati dal Movimento di Resistenza Proletaria. Noi abbiamo lavorato all’interno di ogni manifestazione operaia, per unificare i suoi livelli di coscienza intorno alla proposta strategica della lotta armata per il comunismo"

 

Cecilia: Sì. La lotta armata per il comunismo.

 

Uomo: Ladri di polli!

Cecilia: Noi siamo l’avanguardia della classe operaia, l’avanguardia di un grande processo rivoluzionario che…

Uomo: (indicando l’ambiente circostante) E tu questo lo chiami un grande processo rivoluzionario?

Cecilia: La situazione contingente ha reso necessario l’uso della violenza. La scelta della lotta armata.

Uomo: Quante cose oggi si sono rese necessarie. Voi neanche immaginate quanto invece siate indispensabile al processo politico che oggi è in corso in Italia.

Cecilia: Necessario è portare l’attacco al cuore dello Stato. Necessario è disarticolare le centrali dello Stato Imperialista delle Multinazionali.

Uomo: Lo "Stato" non aspetta altro.

Cecilia: È la pratica militante che ci porta a compiere una scelta politica così radicale.

Uomo: Pratica militante? Quale pratica militante? Rapire? Uccidere?

Cecilia: "La rivoluzione non è un pranzo di gala. Una festa letteraria. Che si può fare con grazia e cortesia. La rivoluzione è un atto di violenza"

Uomo: E tu? Dove sei tu in questo contesto?

Cecilia: Qui. Con lei. In questa stanza.

Uomo: Certo. Chiusa, in questa stanza. Con me. Prigioniera! Come me.

Cecilia: No, non prigioniera, prigioniera proprio no. La mia è una scelta, non certo una…

Uomo: E cosa pensi di fare dopo quando tutto questo sarà finito? E tu sarai uscita da qui, da questa stanza, per sempre? Cosa farai?

Cecilia: Questo non ha alcun valore per me. L’unica cosa che conta è il nostro progetto politico, come portarlo avanti. Il resto è e rimane relativo.

Uomo: Tu chiudi gli occhi alla realtà, per non vedere, per cercare di non vedere, di non pensare. Per agire, per continuare ad agire. Ma non è così, non deve essere così. Non rimanere chiusa qui dentro, con me. Vai via. Lontana. Via! Tu devi vivere, devi continuare a vivere. E a pensare. Fuori di qui.

Cecilia: Lei ancora non ha capito, non vuole capire la sua, la nostra realtà: è una guerra che stiamo combattendo, una guerra senza esclusione di colpi.

Uomo: Questa è cecità! Miseria intellettuale! Un errore politico! Un grave, gravissimo errore politico che finirà con il pagare tutto il Paese. La vostra violenza è quanto mai funzionale al "sistema".

Cecilia: Quanto le fa comodo crederlo, cercare di sollevare dubbi, creare incertezze. Ormai il processo è avviato, la rivoluzione è vicina e presto…

Uomo: Non credo che potrò mai accettare la vostra logica. Ammesso che tutta questo possa avere realmente una "logica".

Cecilia: Non le serve a niente l’ironia.

Uomo: La mia non è ironia. È terrore.

Cecilia: La meschinità di un misero intellettuale borghese asservito agli interessi del capitale e dello Stato Imperialista delle Multinazionali.

Uomo: Lo Stato Imperialista delle Multinazionali! SIM! Fa quasi ridere! SIM. Sip. Nip. Nap. Rap. Sembra un gioco. Peccato che allora non lo fosse.

Cecilia: Allora?

Uomo: Sì. Allora! Quando tutto questo poteva essere vero. Quando tutto questo era vero. E vivo.

Cecilia: Lei mi fa pena.

Uomo: Voi, invece, mi spaventate. Anzi mi terrorizzate. Ho paura di quello che sta succedendo. E di quello che ancora potrebbe succedere.

Cecilia: Il nostro terrore si ferma a quello che già è successo.

Uomo: Nulla ancora di irreparabile.

Cecilia: Questo lo dice lei: le bombe, le stragi, i fascisti, l’impunità. E ancora gli scandali, la corruzione, i morti, i tanti morti. Non mi sembra poco.

Uomo: Certo. I "già" troppi morti.

Cecilia: Sì. I "già" troppi morti.

Uomo: E voi ne volete ancora. Ancora di più.

Cecilia: Noi vogliamo il riscatto della classe operaia.

Uomo: (ironico) Del proletariato!

Cecilia: Del proletariato! Certo! Come ha scritto Rimbaud: "Non è più una puttana il popolo. Tutti polverizzammo la Bastiglia"

Uomo: Tutti? Io non vedo nessuno.

Cecilia: Le masse insorgeranno.

Uomo: Le masse! Quali masse? Quelle del vostro immaginario collettivo?

Cecilia: Presto ci sarà la rivoluzione. È inevitabile. Noi siamo solo l’avanguardia di un grande movimento rivoluzionario.

Uomo: L’unica cosa che ho visto finora è la miseria di una società che ha prodotto un fenomeno come il vostro: il terrorismo.

Cecilia: Il nostro non è terrorismo. È lotta di liberazione!

Uomo: Lotta di liberazione! (ride ironico) Quanto vi piace riempirvi la bocca di parole! Rivoluzione. Proletariato. Lotta di classe! (tossisce) Forse dovrei essere io a provare pena per voi.

Cecilia: Lei è un fascista! Un reazionario. Siete voi, voi miseri intellettuali, i veri traditori. Quelli che hanno venduto al capitale la classe operaia.

Uomo: (infastidito) No! Basta! Ti prego. Basta con queste parole. Sono stanco, molto stanco. Lasciami solo, per favore. Voglio riposare. E dormire. Se ancora ci riesco.

Cecilia: Come crede. Comunque torneremo più tardi. Per interrogarla.

Uomo: (abbozza un sorriso) Non so se mi troverete. Forse vado via prima.(Cecilia si ferma "gelata" dalla battuta di Uomo) Stai tranquilla. Stavo solo scherzando. Non me ne potrei certo andare via di qui. Senza di te.

Cecilia: Vedo che le è tornata la voglia di scherzare?

Uomo: Non mi resta altro. Non mi sono mai sentito così solo.

Cecilia: Non è "mai" stato così solo.

Uomo: No. Non sono mai "Stato". E basta.

Cecilia: Non è mai stato?

Uomo: Sì. Non sono mai "Stato". E basta.

 

Cecilia esce. Uomo sfoglia il libretto rosso, legge.

 

Uomo: (disgustato) "Compagni, non è con le armi della critica che si intacca la corazza del potere capitalistico. Questi anni di lotta proletaria hanno maturato un fatto nuovo ed un fiore è sbocciato. Da Milano a Roma, da Trento al Sud, le poderose e incessanti lotte proletarie hanno trovato uno sbocco nelle azioni offensive dei primi nuclei proletari della nuova Resistenza"

Cambio luci.

Roma Passato.

Attorno al tavolo: Cecilia, Massimo, Amedeo che parlano, tra loro. Paolo non li vede, non li può vedere.

Massimo: Allora? Come procede l’interrogatorio?

Amedeo: Male. Quel figlio di puttana non vuole mollare.

Cecilia: Ha paura.

Amedeo: Tutti abbiamo paura. Tutti. Anche noi.

Cecilia: Certo anche noi, ma è lui in questo momento che rischia di più.

Amedeo: Così almeno si deciderà a collaborare.

Cecilia: Sembra così fragile. Come se da un momento all’altro…

Massimo: Dovesse cedere?

Amedeo: Sono i nervi i primi sintomi del crollo.

Massimo: L’importante è che tu stia attenta, che non commetta atti inconsulti.

Cecilia: Lo credi possibile?

Massimo: Non è da escludere. Niente è da escludere. E cerca di non farti coinvolgere, emotivamente coinvolgere.

Cecilia: Siamo tutti coinvolti.

Massimo: Non direttamente.

Cecilia: Cosa vuoi dire?

Amedeo: Cecilia, non dobbiamo mostrare alcuna pietà, alcuna debolezza.

Cecilia: Debolezza? Ma che stai dicendo? Cosa vai insinuando?

Amedeo: Tu stai di là, sempre di là. Con quello. E gli parli, come gli parli.

Cecilia: Cerco di convincerlo, di fargli capire che non è il caso di irrigidirsi o di lasciarsi andare. Che è il caso che collabori.

Amedeo: Ecco appunto: che collabori. Ma senza alcuna forma di compassione.

Cecilia: Nessuna compassione. Io sono decisa, porto avanti quanto stabilito, svolgo il mio compito, con scrupolo. Piuttosto voi, cercate di evitare ogni possibile incomprensione con i compagni.

Massimo: Che vuoi dire?

Cecilia: Parlo delle reazioni del "movimento". So che alcuni compagni hanno sollevato delle obbiezioni: ritengono molto poca opportuna la nostra azione. Avete visto poi come la stampa continua a stigmatizzarla.

Amedeo: Quelli sono revisionisti, degli "opportunisti con lo sguardo fisso alla bandierina del settarismo, grilli parlanti che conoscono solo la redazione dei loro giornali"

Cecilia: Certo. Lui è un’intellettuale, un revisionista. Ma non credo proprio che lui…

Amedeo: Cazzo, compagni! Io non so. Voi state qui a parlare, a ragionare. Mentre fuori la polizia carica gli studenti, arresta i compagni, "spara". Non mi sembra questo il modo di portare avanti la rivoluzione.

Massimo: Amedeo, tu sei un bravo compagno. Ma delle volte sei troppo impulsivo, ti lasci prendere la mano dalle situazioni.

Amedeo: Stiamo perdendo i contatti con la "base", con gli operai. Non siamo più nelle fabbriche, nelle Università. Ci stiamo perdendo, compagni, perdendo inseguendo chissà mai quale idea di rivoluzione.

Massimo: Dobbiamo essere prudenti, prevedere le reazioni e agire di conseguenza.

Amedeo: Sì. Certo. Agire di conseguenze. Per questo - dico - bisogna essere più decisi, più determinati. E farla finita con le finzioni e passare alle vie di fatto, con maggiore determinazione. Invece di rimanere qui a fare la guardia ad un barile di benzina vuoto (indica la porta)

Cecilia: (alludendo all’espressione preoccupata di Massimo) Temi qualcosa?

Massimo: I nostri limiti. Più di ogni altra cosa. Se si vuole fare la rivoluzione, e farla sul serio, bisogna prima saperla organizzare. E poi? Saperla gestire.

 

Cambio luci.

Parigi Presente

Paolo si volge verso la madre.

 

Paolo: E come sei arrivata qui, in Francia?

Cecilia: In carcere un compagno aveva conosciuto un noto falsario, uno di quelli che con i documenti fa miracoli. Questi alla fine si era "convertito". Era entrato a far parte dei Nuclei Armati Proletari: la "santa canaglia".

Paolo: La "santa canaglia"?

Cecilia: Sì. La "santa canaglia": erano quei compagni che cercarono una sponda nella delinquenza comune, che cercarono di "politicizzare" i comuni delinquenti.

Paolo: Che cosa ridicola!

Cecilia: Quell’uomo ci fornì una serie di documenti falsi e quant’altro ancora. Serviva da base logistica. Era anche simpatico.

Paolo: Perché "era"?

Cecilia: Si è pentito.

Paolo: E questo significa "era"?

Cecilia: Sì. Era, era. Ora non so. Non so più niente. Immagino che ancora oggi sia simpatico. Non lo posso dire. Allora lo era. Ora, non so, non so più niente. Di lui, di nessun altro. Niente!

Lunga imbarazzata pausa.

Paolo: Papà sa di tutto questo?

Cecilia: Ho conosciuto tuo padre dopo un anno che ero a Parigi. L’ho conosciuto in un bar. Ricordo: mi sorrise. Dopo tanto tempo qualcuno tornava a sorridermi.

Paolo: Gli hai raccontato tutto?

Cecilia: Non subito. Non era facile per me parlargli. Come non è facile per me parlarti, spiegarti… le mie ragioni… i miei errori…

Paolo: E lui? Come ha reagito lui?

Cecilia: Eravamo a letto quando gli ho raccontato tutto.

Cambio luce. Si avvicina un ombra.

Ombra: Cecil, je crois que…

Cecilia: Avevamo appena fatto l’amore.

Ombra: …je t’aime. Je voudrais t’aimer mais…

Cecilia: Mi ha guardato negli occhi. E non ha detto niente.

Ombra: Je ne sais pas.

Cecilia: Era sconvolto. Smarrito. Si è rivestito ed è andato via. Senza dire una parola. Mi ha lasciata lì, in quel letto, da sola.

Ombra: Je voudrais mais…

Cecilia: Per me è stato peggio che morire. Ancora una volta ero sola. Alcuni giorni dopo, invece, me lo sono visto spuntare davanti.

Ombra: Cecil? Cecil c’est moi.

Cecilia: Mi veniva incontro. Impacciato. Goffo.

Ombra: Je dois te dir quelque chose…

Cecilia: Con quel suo guardare che non è guardare.

Ombra: C’est difficil di te comprendre…

Cecilia: Ricordo: mi ha preso la mano. Mi ha guardato negli occhi.

Ombra: Cecil…

Cecilia: E mi ha baciato.

L’ombra cinge Cecilia da dietro e la bacia sul collo.

Cecilia: Avrei voluto morire.

Ombra: Je sais… que…

Cecilia: Mi voleva con se. E mi ha preso con se.

Ombra: …j’ai besoin de toi!

Cecilia: Mi voleva sua. Nonostante tutto e nonostante il mio passato.

Ombra: …de toi! Je… t’aime.

Cecilia: Alcuni mesi dopo ci siamo sposati. Dopo sei nato tu.

Cambio luci.

 

Roma Passato Prigione del popolo

La luce rimane accesa solo su Uomo che è solo. E scrive. E legge.

Uomo: "Dunque: indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione di denaro pubblico, intrallazzo con gli industriali, con i banchieri, connivenza con la mafia, collaborazione con la CIA, responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e Bologna, responsabilità della condizione paurosa delle scuole, degli ospedali, responsabilità della stupidità delittuosa della televisione e infine distribuzione borbonica di cariche pubbliche ad adulatori. Ecco l’elenco, l’elenco "morale", dei reati commessi da coloro che hanno governato l’Italia negli ultimi trent’anni. L’immagine di Andreotti o Fanfani, di Gava o Restivo ammanettati tra i carabinieri, sia un’immagine su cui riflettere seriamente. Ma devo farlo solo io?"

 

Cecilia e Massimo gli si avvicinano.

 

Cecilia: La disturbo? Vedo che sta scrivendo.

Uomo: Per me è lavoro. E lavorare è vivere.

Massimo: Per molti, invece, vivere è lavorare.

Uomo: Non ci sono dubbi. Questa rimane sempre una società ingiusta.

Cecilia: È quello che diciamo noi.

Uomo: È il "modo" di dire le cose che più ci divide: quando la critica delle armi prende il sopravvento per noi intellettuali gli spazi si fanno sempre più stretti.

Massimo: Ed è per questo che lei si ostina a non capire? A non voler capire? Quello che le sta succedendo? Per noi è intollerabile il suo comportamento così… così…

Uomo: Reticente?

Massimo: Sì. Esatto. Reticente.

Uomo: Il fatto è che non riesco proprio a capire cosa vogliate veramente da me.

Massimo: Che lei collabori, che ci spieghi, che ci dica tutto su di lei e sulla sua funzione di intellettuale organico al sistema.

Uomo: Io non svolgo nessuna "funzione". E non sono organico a nessun sistema. Tanto meno faccio parte di qualche complotto imperialista contro il proletariato. Sono un intellettuale che cerca di capire le situazioni, il mondo che ha intorno, di interpretarlo. E cerca di rimanere libero: premessa essenziale, per me, per poter dire veramente quello che penso. E che vedo.

Cecilia: Negare ogni responsabilità non le servirà a nulla. Tanto meno a salvarle la vita.

Uomo: Volete uccidermi?

Massimo: Dipende da lei, dal suo atteggiamento: se dovesse capire, rendersi conto, dei suoi sbagli, ammettere il suo coinvolgimento, allora non avrà nulla di cui temere, nulla!

Uomo: (amareggiato) Quello che più temevo, mi è già capitato.

Cecilia: Sapeva cosa rischiava?

Uomo: Aspettavo i fascisti. Pensavo fossero loro a fare irruzione da me, nel mio studio. Immaginavo i loro insulti, i loro colpi. Forse anche la morte. E invece…

Massimo: Invece siamo arrivati noi: i compagni che "sbagliano", quelli che hanno deciso di passare alle vie di fatto. Peggio dei fascisti, vero?

Uomo: In un certo senso.

Cecilia: Noi non siamo fascisti e non siamo neanche degli assassini. Siamo dei comunisti. Proprio come lei dice di essere.

Uomo: Voi invece siete il sintomo, il sintomo di una grave malattia.

Cecilia: (ironica) L’estremismo come malattia infantile del comunismo?

Uomo: Non citarmi Lenin, non ora, adesso. Quello che mi preoccupa, mi preoccupa di più è che… (si interrompe) È riduttivo dire che l’unica differenza tra voi e me… non è solo questo. Io uso i concetti, le idee, la critica, mentre voi…

Massimo: La lotta armata.

Uomo: E di questo ne avete fatto un fine. Non solo un mezzo.

Cecilia: Lei è un traditore, un agente provocatore.

Uomo: Sono solo un uomo.

Massimo: Adesso è solo un prigioniero, un nostro prigioniero. E sarà la giustizia proletaria a doverla giudicare.

Uomo: "Finché la violenza di Stato si chiamerà giustizia, la giustizia del proletariato si chiamerà violenza"

Massimo: Vedo che comincia a capire.

Uomo: Io è da tempo che ho capito, che ho visto. E sentito. E capito di nuovo. Mi chiedo se non sono finito qui proprio per questo. Per aver troppo capito.

Cecilia: Non spetta a noi dirlo.

Uomo: Ma spetta a me scoprirlo.

Cambio luci.

Roma Passato

Massimo è uscito. Cecilia è prossima al proscenio. Amedeo le si avvicina.

Amedeo: Cecilia?

Cecilia: Ah, sei tu?

Amedeo: Ti ho spaventata?

Cecilia: Non è niente.

Amedeo: Massimo?

Cecilia: È andato alla riunione.

Amedeo: Il direttivo? (Cecilia annuisce incerta. Amedeo le è accanto) Il nostro "ospite"?

Cecilia: Credo che dorma.

Amedeo: Finalmente.

Cecilia: Già.

Amedeo: Hai paura?

Cecilia: Sì.

Amedeo: Vedrai che finirà tutto bene. Accetteranno le nostre condizioni e…

Cecilia: Lo credi sul serio.

Amedeo: No, non lo credo affatto.

Cecilia: E allora?

Amedeo: Lo dicevo solo così, per tranquillizzarti. Non mi va di vederti così… angosciata.

Cecilia: Non è solo questo.

Amedeo: Allora?

Cecilia: Amedeo, tu ti ricordi – vero? – come sono andate le cose, com’è cominciato tutto: il nostro impegno.

Amedeo: Come potrei dimenticarlo.

Cecilia: Non avevamo neanche diciott’anni.

Amedeo: Diciott’anni! E tu eri bella, sei bella, anche bella.

Cecilia: Il mio sorriso…

Amedeo: Mi illuminava quando facevamo l’amore.

Cecilia: La passione.

Amedeo: La nostra passione.

Cecilia: Eravamo giovani.

Amedeo: Siamo giovani.

Cecilia: Non più. Ora non più.

Amedeo: Sono passati solo cinque anni, da allora, da quel giorno.

Cecilia: Non siamo più… giovani. Siamo vecchi, vecchi… (indica la porta)

Amedeo: Neanche ventitré anni!

Cecilia: La gioventù fa apparire tutto bello.

Amedeo: Ed eterno.

Cecilia: (smorfia) Per questo noi non siamo più giovani.

Amedeo: Sei pentita?

Cecilia: Pentita no, ma sento qualcosa dentro che… mi fa male.

Amedeo: Massimo dice che è la tensione.

Cecilia: Massimo dice, pensa, fa. E io, invece, sono altrove.

Amedeo: Di là?

Cecilia: Quando parlo con lui, mi sento senza… (si interrompe)

Amedeo: Senza?

Cecilia: Difese. Come se…

Amedeo: Non devi dargli retta.

Cecilia: Non è questo. Sempre più spesso ripenso a me, a noi, a quello che è stato

Amedeo: Non mi dirai che…?

Cecilia: Amedeo, ti ricordi di quel giorno?

Amedeo: Quella mattina, davanti a quella scuola?

Cecilia: Avevi i capelli lunghi.

Amedeo: Un freakettone, si dice così?

Cecilia: Così.

Amedeo: Avevo "Lotta continua" in tasca.

Cecilia: Avevamo appena finito di fare volantinaggio.

Amedeo: Quanti ne abbiamo fatti? Mille? Forse di più. Davanti le scuole, l’università, le fabbriche.

Cecilia: Anche quando è morto tuo padre, nella sua fabbrica, ne abbiamo organizzato uno.

Amedeo: È stato il suo funerale.

Cecilia: Era un operaio.

Amedeo: Ed è morto, da operaio. Incidente sul lavoro. Gli è crollato addosso un montacarichi e…

Cecilia: La classe operaia va in paradiso.

Amedeo: In paradiso non so, ma di sicuro all’inferno ci si trova già.

Cecilia: E da lì, non ne uscirà mai.

Amedeo: Non dirlo! Anche se lo credi, non dirlo.

Cecilia: Perché? Pensi veramente che sia possibile una…?

Amedeo: Non sarei qui, altrimenti.

Cecilia: Quel volantinaggio all’uscita della scuola.

Amedeo: Ancora con quel ricordo?

Cecilia: Mi appartiene.

Amedeo: "Ci" appartiene.

Cecilia: Doveva essere una cosa normale in un giorno normale.

Amedeo: Solo che quella mattina sono arrivati i fascisti.

Cecilia: Eravamo rimasti soli.

Amedeo: Gli altri erano già andati via e io e te ci eravamo attardati a parlare.

Cecilia: Mi baciavi.

Amedeo: Ti baciavo. Non volevi lasciarmi.

Cecilia: Ti sentivo mio. Ti credevo mio.

Amedeo: Sono arrivati i fascisti.

Cecilia: Una fuga dentro la scuola. Ma quelli ci hanno inseguiti, noi scappavamo ma loro ci hanno raggiunti, presi.

Amedeo: Non avrei mai voluto: tu.

Cecilia: Hai cercato di salvarmi, di proteggermi. Ma non potevi certo fare di più.

Amedeo: Ad uno gli ho spaccato in testa una sedia. L’ho visto cadere.

Cecilia: Erano troppi.

Amedeo: Due mi hanno preso, bloccato.

Cecilia: Troppi.

Amedeo: Avevano le catene. La mia schiena sembrò doversi rompere.

Cecilia: Troppi…

Amedeo: Ti avevano presa, cercarono anche di…

Cecilia: Noooo!

Amedeo: La sirena della polizia gli ha rovinato la festa.

Cecilia: Qualcuno l’aveva chiamata.

Amedeo: È stata l’unica volta in vita mia che sono stato contento di vederla.

Cecilia: Eravamo ridotti male, molto male. Usciti dall’ospedale non eravamo più gli stessi.

Amedeo: Non potevamo esserlo. C’era qualcosa, qualcosa dentro che…

Cecilia: Rabbia?

Amedeo: Quello che avevo fatto fino ad allora, che avevo intorno non mi bastava, non mi poteva più bastare: avevo bisogno di qualcosa di diverso, di forte, qualcosa che potesse finalmente spezzare quell’atmosfera pesante di morte.

Cecilia: Da quel giorno non mi hai più parlato.

Amedeo: Non avevo più nulla da dire, troppe cose da fare.

Cecilia: Anche ora?

Amedeo. Di là… (indica la porta)

Cecilia: Non mi hai più baciata.

Amedeo: Le labbra mi sanguinano.

Cecilia: Non mi hai più voluta.

Amedeo: Mi sono sentito colpevole.

Cecilia: Colpevole?

Amedeo: Non ti avevo difeso.

Cecilia: Avevi cercato ma…

Amedeo: Non ero riuscito a farlo.

Cecilia: Erano troppi, troppi.

Amedeo: Dopo quella volta ho cercato un modo diverso di difendermi, di difenderci

Cecilia: Ed è per questo che siamo qui?

Amedeo: Ed è per questo che "io" sono qui.

Cecilia: L’odio?

Amedeo: La rabbia dentro.

Cecilia: Hai cercato la tua vendetta?

Amedeo: Qualcosa del genere.

Cecilia: E l’hai trovata la tua vendetta, l’hai trovata.

Amedeo: Bisogna vedere come, chi, perché, dove, quando. E poi si colpisce.

Cecilia: E io ti ho seguito, fin qui.

Amedeo: Ancora insieme?

Cecilia: Non più.

Amedeo: Ma con il mio stesso odio.

 

Cecilia: Di più.

 

Cambio luci.

Roma Passato prigione del popolo

Uomo a Cecilia che si scuote. Amedeo si allontana. Cecilia si avvicina a Uomo.

Uomo: Allora come va oggi la lotta di classe?

Cecilia: Bene, direi. Anzi. Non potrebbe andare meglio.

Uomo: Lo spero. Sarebbe ora che questa rivoluzione la si facesse e la si facesse sul serio. Almeno potrei aspirare ad uscire da qui.

Cecilia: Uscirà. Uscirà. Ogni cosa ha il suo tempo.

Uomo: Si vede che il mio non è ancora arrivato.

Cecilia: Occorre avere pazienza. Il proletariato sono secoli che sopporta.

Uomo: E che subisce.

Cecilia: Sì. Che subisce. È vero. È proprio così.

Uomo: Mio padre è stato parecchi anni al confino. C’era il fascismo. Allora. (lunga imbarazzata pausa) Oggi mi sembri raggiante. Anzi. Direi quasi che ti trovo bella.

Cecilia: Non può che essere così: abbiamo inviato un comunicato con il quale dettiamo le condizioni per il suo rilascio.

Uomo: Immagino il tono: (enfatico) "Il rilascio del prigioniero può essere preso in considerazione solo in relazione alla liberazione di prigionieri comunisti. Il governo ha 48 ore di tempo per farlo a partire dalle 15 del 20 aprile" Segue comunicato.

Cecilia: Tutti i giornali parlano di lei. Sua moglie ha anche lanciato un appello per il suo rilascio, incondizionato.

Uomo: Mia moglie non ha mai accettato condizioni. Da nessuno. Tanto meno da voi.

Cecilia: Ed è per questo che avete divorziato?

Uomo: (sorpreso da quell’excursus nel privato) Sì, forse. Forse anche per questo. Per lei era difficile restare con me, dividere con me la sua, la mia vita. Certo mi amava, forse mi ama ancora ma le era difficile accettare le mie "distrazioni", il mio stare sempre con la testa ovunque e dovunque.

Cecilia: Ovunque e dovunque?

Uomo: Io sono un intellettuale. E un intellettuale segue i fatti, le vicende, cerca di capirli. Studia, legge, "scrive". Lei si sentiva messa da parte, trascurata. E tu sai quanto può essere pericolosa una donna trascurata.

Cecilia: Immagino.

Uomo: Diceva che io ero indifferente a quello che le accadeva, a quello che faceva. Ma non era così. Solo che ci sono sempre mille cose da fare, da pensare, da seguire. Ed io…?

Cecilia: Lei non aveva tempo, possibilità di…

Uomo: (interrompendola) …ma forse sì, forse aveva ragione lei. Forse la trascuravo. Ero distratto, troppo attento a… (indicando la stessa Cecilia e l’ambiente circostante) …ad altre cose molto meno importanti… di lei.

Cecilia: È così che la pensa, adesso?

Uomo: Adesso non ha più importanza, niente ha più importanza. Solo questa stanza e… e l’appello di mia moglie per il mio rilascio, "incondizionato".

Cecilia: I giornali non parlano d’altro. C’è anche la sua foto: abbiamo fatto di lei un eroe.

Uomo: Non vorrei diventare un martire. Non è questo quello a cui aspiro.

Cecilia: Neanche noi aspiriamo a questo. Ma è inevitabile se vogliamo realmente cambiare le cose.

Uomo: Vi stanno usando.

Cecilia: Crede che siamo così stupidi da non capirlo?

Uomo: Invece ne dubito. Per questo non vi odio, non vi posso odiare.

Cecilia: Non vorrà dirmi che adesso ha deciso di aderire alla nostra Organizzazione? Una nuova Patricia Hearts.

Uomo: No, non è il caso. Io sono un’intellettuale. E sapete quanto sia pericoloso un intellettuale con la pistola. Che Guevara diceva che "un intellettuale non fa la rivoluzione, l’immagina, al massimo la fa fare".

Cecilia: La lascia fare. A noi.

Uomo: Sì. A voi. Che siete bravi.

Cecilia: Bravi e decisi.

Uomo: Certo! Bravi e decisi.

Cecilia: Noi facciamo quello che "tanti" immaginano, auspicano, scrivono.

Uomo: Cattivi maestri.

Cecilia: No, non cattivi maestri: intellettuali, come lei. Non esistono cattivi maestri. Esiste solo questa fottuta società borghese, da cambiare, da combattere, da abbattere. E poi c’è l’ideologia: l’unico vero modo di interpretare la realtà. (pausa) No, non ci sono cattivi maestri. Forse è vero che siamo solo noi ad essere dei cattivi allievi.

Uomo: Troppi vi hanno lasciato fare. Vi hanno lasciato crescere. E vi hanno lasciato soli. Ad impazzire. Per meglio servirsi di voi.

Cecilia: Questo sì… anche questo è possibile. Anche questo può essere stato.

Uomo: "Noi eravamo buoni, ci sentivamo buoni e volevamo essere buoni"

Cecilia: Sono solo parole…

Uomo: Sì, certo. Per questo fanno più male.

Cecilia: Ora devo andare.

Uomo: Cerca di non tornare. Vorrà dire che hai ricominciato a vivere. Altrove…

Cambio luci.

Parigi Presente.

Cecilia torna al tavolo da pranzo. Paolo la incalza.

Paolo: Mamma, tu hai mai ucciso?

Cecilia: Avevamo rapito un uomo. Per due settimane sono stata la sua carceriera.

Paolo: Lo volevate uccidere?

Cecilia: Solo se si fosse rese necessario. (pausa) Lui era un prigioniero, un prigioniero politico sottoposto ad un regolare processo rivoluzionario.

Paolo: Perché questo?

Cecilia: Era un servo del potere, un fanatico. Almeno, allora, credevamo che fosse così.

Paolo: Chi era quell’uomo?

Cecilia: Non credo che questo abbia particolare importanza.

Paolo: Avrà avuto un nome? Una storia?

Cecilia: Era un’intellettuale, uno dei tanti, uno di quelli che allora si era trovato nel mirino. Uno di quelli che, più o meno consapevolmente, si era trovato in mezzo.

Paolo: Ero comunque un obiettivo, un nemico da colpire, da abbattere, da eliminare.

Cecilia: Lo avevamo prelevato e rinchiuso in un carcere del popolo dal quale non è più uscito.

Paolo: Lo avete ucciso?

Cecilia: È difficile parlarne.

Paolo: Lo hai ucciso?

Cecilia: Non è questo il punto.

Paolo: E qual è allora il punto?

Cecilia: La lotta armata implica l’assassinio come strumento di lotta politica. Tante volte, troppe volte ho puntato un’arma contro un uomo.

Paolo: E hai sparato?

Cecilia: Altri in ogni caso lo hanno fatto.

Paolo: E tu lo hai fatto?

Cecilia: (sofferta) Le mie responsabilità ci sono, tutte.

Paolo: Non puoi pensare di cavartela così. Non puoi.

Cecilia: Questo è tutto quello che posso dire, che voglio dire. Il resto non conta.

Paolo: Sono tuo figlio. Voglio sapere.

 

Cambio luce.

Roma Passato

Camera da pranzo. Amedeo e Massimo interrompono il dialogo tra Cecilia e Paolo.

 

Amedeo: Cecilia?

Massimo: È di là. Con il nostro "ospite", come lo chiama lei.

Amedeo: È sempre di là, quella.

Massimo: Che vuoi dire?

Amedeo: Che non mi va il suo modo di fare. È come se avesse cambiato atteggiamento, improvvisamente.

Massimo: Ti stai lasciando suggestionare. Cecilia sta solo cercando di indurlo a collaborare, cerca di farlo ragionare. Hai visto anche tu quanto sia depresso.

Amedeo: Saprei io come trattarlo quel bastardo!

Massimo: Tu non lo tratterai in nessuna maniera, invece.

Amedeo: Massimo, ma non lo vedi come si comporta Cecilia? Non te ne accorgi? Come lo tratta, come gli parla e se ne prende cura? Neanche lo volesse proteggere!

Massimo: Sì. È vero. L’ho notato, l’ho notato anch’io, e allora?

Amedeo: E tu le permetti questo?

Massimo: Cecilia sta cercando di aiutarlo, di sostenerlo. Di impedire che faccia qualche sciocchezza. Se quello muore, se quello "ci" muore, ti rendi conto di quello che significherebbe per noi? Sarebbe una sconfitta.

Amedeo: Quel bastardo!

Massimo: Quel bastardo è il nostro asso nella manica. È la nostra carta vincente, per tenere sotto scacco il "potere". Hai visto l’attenzione che l’opinione pubblica ha mostrato verso la vicenda. Non possiamo permetterci di sbagliare, di sbagliare proprio adesso.

Amedeo: Ancora con questi giochi, con questi "giochetti" del cazzo? Cosa dobbiamo aspettare ancora? Che la polizia ci venga a prendere? Che ci arrestino, ci arrestino tutti quanti? Hai visto la manifestazione di sabato? Hai visto com’è andata? Gli scontri, gli "incidenti", come li chiamano "loro". Gli spari. E quel compagno ucciso.

Massimo: Quello è solo teppismo, teppismo di massa.

Amedeo: No. Non è teppismo, non è teppismo di massa. "È disponibilità, primitiva disponibilità alla lotta di classe rivoluzionaria".

Massimo: Amedeo, tu non puoi…

Amedeo: No, compagno, io non ci sto più. Se questi sono i termini, io… io non ci sto, non ci sto più. Non è per questo che è cominciato tutto.

Massimo. Amedeo cerca di ragionare.

Amedeo: Massimo, dovevamo aprire una strada, dare una possibilità per cambiare le cose, per cambiare "veramente" le cose, andare nelle Università, nelle fabbriche, parlare con i compagni, con gli operai, fargli capire e stare con loro, in mezzo a loro, spiegargli quello che stavamo facendo, quello che andava fatto nel loro stesso interesse.

Massimo: Ma per questo che noi prima dobbiamo definire una progetto politico, organizzare il "movimento" e cominciare ad alzare il tiro.

Amedeo: Definire, organizzare e poi alzare il tiro. Massimo, non è così che si agisce, che si "prepara" il terreno.

Massimo: Se si vuole veramente portare avanti un processo rivoluzionario allora occorre…

Amedeo: Massimo, "la guerra, la guerra s’impara facendola!" (esce)

 

Cambio luce.

Roma Passato prigione del popolo

Cecilia si avvicina a Uomo

Uomo: È venuta a portarmi il caffè?

Cecilia: Sono qui per interrogarla.

Uomo: Non ho niente da dire.

Cecilia: Lei non può fare così. Deve convincersi, collaborare, riconoscere i suoi torti. Non può lasciarsi... (si interrompe)

Uomo: Condannare, vero? Volevi dire questo? Condannare?

Cecilia: Sì. È vero. È proprio questo che volevo dire. Se lei non accetta di collaborare, non ci lascia altra possibilità. Deve decidersi. E lasciarsi aiutare... Non vorrei doverglielo chiedere ancora.

Uomo: Sono scomodo? Vero? Le mie parole danneggiano le vostre tesi. Le vostre teorie. Oppure… oppure voi… voi non siete in grado di gestirmi.

Cecilia: Questo è pericoloso. Terribilmente pericoloso.

Uomo: Merda! Sono nelle mani di… di… degli incapaci...

Cecilia: Incapaci? No, non è questo.

Uomo: Non è questo? E allora? Qual è il problema?

Cecilia: Lei, le sue tesi, i suoi libri, i suoi articoli. Con il suo continuo mettere in discussione, avanzare dubbi, offusca le idee, annebbia i concetti, sbandierando verità costruite ad arte. Lei è pericoloso, molto pericoloso. Con il suo essere, il suo scrivere, il suo pensare. Lei è pericoloso. Come tutti gli intellettuali.

Uomo: Goebbels: "Quando sento parlare di cultura, metto mano alla pistola".

Cecilia: Deve almeno accettare di collaborare. Con noi. Se vuole salvarsi.

Uomo: Io so solo di essere ostaggio di una banda di esaltati, incapace di gestirmi.

Cecilia: È questo quello che pensa di noi?

Uomo: Questo è quello che "voi" avete fatto di voi stessi.

Cecilia: La sua insolenza è quanto mai fuori luogo.

Uomo: E cosa vuoi farmi? Spararmi? Uccidermi? Bene, allora fallo. Fallo subito, però. Perché… perché io ho paura… una paura fottuta.

Cecilia: I suoi nervi stanno cedendo.

Uomo: Non solo quelli.

Cecilia: Non vogliamo farle del male. Vogliamo solo che capisca le nostre ragioni, le ragioni della sinistra rivoluzionaria.

Uomo: Credo che le vostre "ragioni" non le capisca nessuno. Tanto meno voi!

Cecilia: Noi vogliamo costruire il Partito Comunista Combattente. Portare fino alle estreme conseguenze il nostro progetto rivoluzionario.

Uomo: Per "farvi Stato"?

Cecilia: Per "farci Stato"!

Uomo: (ironico) Bene! Allora vi dirò tutto. Tutto quello che so della controrivoluzione e del complotto reazionario, capitalistico, clerico-fascista, antiproletario che è stato ordito contro il Movimento comunista mondiale. Anzi. Vi scriverò un memoriale. Un vero "Memoriale" con tutte le inconfessabili verità di questo paese. Così vedremo che uso ne farete. "Se" e "come" lo utilizzerete.

Cecilia: Ne sapremmo fare buon uso. Ci può scommettere.

Uomo: È proprio questo di cui dubito.

Cecilia: Cosa vuole insinuare?

Uomo: La verità ha molte facce. E può servire a tanti scopi: svelare responsabilità, inefficienze, complicità. Oppure può servire a salvare la pelle a qualcuno, a evitare che "finisca" in galera. Magari orchestrando un ricatto. O soltanto può servire a far definire "pazzo" colui che pazzo non è. E non è mai stato.

Cecilia: Crede veramente che potrebbe succedere questo?

Uomo: È già successo. Hanno seppellito "uno" per salvare il resto.

Cecilia prende un registratore e porge il microfono a Uomo.

Cecilia: Ci parli di lei e della sua attività quale agente al servizio della campagna di disinformazione portata avanti dalla stampa fiancheggiatrice del regime?

Uomo: (enfatico) Io sono "il gerarca più autorevole, il teorico e lo stratega indiscusso di quel regime democristiano che da trent’anni opprime il popolo italiano. Ogni tappa della controrivoluzione imperialista ha avuto in me il padrino politico e l’esecutore più fedele delle direttive impartite dalle centrali imperialiste" Poi, com’è che si dice in questi casi? Ah sì. Segue comunicato.

Cecilia: (spegne il registratore) Non sia ridicolo!

Uomo: Non sono ridicolo. Sono solo un uomo, un uomo che si trova "sotto un dominio pieno e incontrollato". E quanto mai ingiusto.

Cecilia: Lei è solo un complice.

Uomo: E se fosse? Sarei pur sempre un uomo.

Cecilia: Una funzione.

Uomo: Dimenticavo che voi non colpite mai l’uomo, ma il simbolo, la funzione. Se poi sotto il simbolo, sotto la funzione, c’è l’uomo… poco importa.

 

Cambio luci.

Parigi Presente

Paolo interrompe il dialogo di Cecilia con Uomo.

 

Paolo: Avete ucciso quell’uomo, vero, mamma? Lo hai ucciso tu?

Cecilia: (tornando verso la camera da pranzo) Io comunque ne sono responsabile.

Paolo: Come fai a dire questo?

Cecilia: Politicamente, moralmente sono responsabile di ogni azione compiuta dall’organizzazione di cui facevo parte. Responsabile di ogni morte che abbiamo potuto causare. La lotta armata è stata questo. E questa è stata la mia scelta. Il resto ha poca importanza.

Paolo: Mamma, sono tuo figlio. Ho il diritto di sapere se tu hai veramente ucciso.

Cecilia: C’è una verità storica che va ben oltre quella giudiziaria o personale. Ed è a questa verità storica che bisogna tenere conto.

Paolo: Non potrò mai sapere la verità, vero?

Cecilia: Non è questa la domanda a cui devo rispondere.

Paolo: Chi era quell’uomo al telefono?

Cecilia: Ho contattato un avvocato in Italia. Voglio sapere qual è la mia situazione… se torno in Italia. Voglio capire se ci sono le condizioni per tornare.

Paolo: Pensi che possa essere giusto?

Cecilia: No, non lo penso. Ma non posso rimanere per sempre qui, in Francia senza affrontare le mie responsabilità, senza poter dire quello che anch’io ho da dire su quello che è stato. Sono rimasta già troppo a lungo chiusa in quella stanza, in quella stanza vuota. Così tanti anni lontana da qui. Una generazione sequestrata alla vita. (pausa) Eppure…

Paolo: Eppure cosa?

Cecilia: Eppure… "eravamo buoni, ci sentivamo buoni e volevamo essere buoni" Ed invece, poi… Tutto quel sangue… Tutti quei morti... Per un sogno… Per una follia… Un ideale… Un niente…

Paolo: Come hai potuto tacere tutti questi anni?

Cecilia: Ogni giorno ho cercato di dare un senso alle cose… e a me stessa. Ero sicura che non ce l’avrei fatta, che avrei finito con il crollare magari facendola finita. E invece no, non è stato così. Giorno dopo giorno ho trovato la forza per andare avanti, per non mollare. Così sono riuscita a vivere, nonostante tutto, nonostante me. Sono riuscita a vivere. Male, ma pur sempre a vivere.

Paolo: E ora?

Cecilia: Tutto questo mi pesa, mi soffoca, mi impedisce di sentirmi viva. Se penso al mio passato, a quello che ho fatto, rabbrividisco. Tutte quelle vite… bruciate. Tutto per niente, per un ideologia che - adesso - è finita, che non esiste. Dà proprio il senso della sconfitta. Ma non è solo questo.

Paolo: Non può essere solo questo.

Cecilia: È il peso del niente, dell’indifferenza di oggi, a rendermi tutto quanto più insopportabile. Se di tutto quello che è stato fosse rimasto almeno qualcosa, allora sì che sarebbe per me più facile sopportare il peso dei miei sbagli, di quello che ho fatto. Forse… forse potrei anche sperare. Invece di soffocare. Con il niente che c’è intorno, in questa assurda "quotidiana immolazione al nulla"

 

Cambio luci.

Roma Passato

Massimo comincia a scrivere un documento. Cecilia gli si avvicina da dietro.

 

Massimo: Hanno fermato Amedeo.

Cecilia: (preoccupata) Lo hanno arrestato?

Massimo: No! È stato solo un fermo di polizia. Nulla di preciso. Lo hanno subito rilasciato.

Cecilia: Bisognerà sentirlo.

Massimo: No. Assolutamente no. La polizia lo terrà d’occhio. Dobbiamo considerarlo bruciato per il momento.

Cecilia: Pensi che possano arrivare fino a noi?

Massimo: No. Amedeo è uno in gamba. È svelto. Sa come agire in questi casi. Fino a che le acquee non si saranno calmate si terrà ben alla larga.

Cecilia: Maledizione, Massimo! Questa storia, questa maledetta storia sta prendendo una piega che non mi piace.

Massimo: So quello che c’era tra voi, capisco la tua ansia, ma devi fartene una ragione: in questa guerra i sentimenti non c’entrano, devono rimanere fuori.

Cecilia: (anche dissimulando) Non è questo. Tra me e Amedeo era finita, finita da un pezzo. È un bravo compagno, gli voglio anche bene ma, non è questo il punto.

Massimo: E allora?

Cecilia: È che mi sento isolata, estranea a quello che sta succedendo fuori. Vorrei poter uscire da qui, parlare con i compagni, sentirli vicini. Ne sento il bisogno.

Massimo: Non è proprio il caso che tu vada alle riunioni. Bisogna evitare certi rischi. Devi cercare di avere pazienza, di occuparti del nostro "ospite" e fargli la guardia.

Cecilia: Non voglio certo creare problemi. È solo che, delle volte, mi sembra di essere io la vera prigioniera.

Massimo: Devi essere forte.

Cecilia: So qual è il mio compito. E non mi tiro certo indietro. Solo che qui dentro si respira un’aria - non so - pesante. Come se tutto, di colpo, fosse diventato complicato, ostico, incomprensibile. Anche le cose più semplici.

Massimo: Sei sempre stata una brava compagna, forte, decisa.

Cecilia: E senza remore. Che cos’è? Il nuovo comunicato?

Massimo: Lunedì c’è la riunione della direzione strategica. Preparo la bozza da portare all’approvazione dei compagni.

Cecilia: (legge velocemente il comunicato) "Magistratura, polizia, carabinieri, carceri sono le articolazioni cardine di uno stesso fronte militare che lo Stato delle multinazionali schiera contro il proletariato. Occorre acuire la crisi di regime, rafforzare il potere proletario armato costruendo il Partito Comunista Combattente. Niente rimarrà impunito"

Massimo: Che te ne pare?

Cecilia: Incisivo, molto incisivo. Credo che possa andare bene.

Massimo: È chiaro che poi ci saranno alcune modifiche da apportare. Vorrei che i compagni si rendessero conto che....(Cecilia ha come un capogiro. Barcolla. Massimo la sorregge, l’aiuta a sedersi) Cecilia? Che hai, Cecilia? Ti senti male?

Cecilia: (riprendendosi) Non è niente… niente. Mi sono solo sentita mancare.

Massimo: Ma è stato…?

Cecilia: Niente! Niente. Solo un malessere, un banale malessere. Come un capogiro, niente di più. (abbozza un sorriso per tranquillizzarlo)

Massimo: Credo che invece tu sia stanca, veramente stanca. Troppe tensioni: ora anche il fermo di Amedeo. Forse è meglio che dica a qualche compagno di venire a…

Cecilia: No! Lascia perdere. È passato. È stato solo un piccolo malore.

Massimo: Non posso lasciarti… così. E se svieni mentre sei di là? (indica la porta)

Cecilia: Non ti preoccupare. È stato solo un capogiro. E basta. Non c’è niente di cui temere. Niente. Sono una militante rivoluzionaria io. Non ho mica bisogno di aiuto.

Massimo: Ehi! Calma. Calma. Non volevo mica offenderti, mettere in dubbio le tue capacità. Pensavo solo che sarebbe meglio che qualcuno che ti affianchi in questi giorni. A tutti può capitare di avere bisogno di una mano, un aiuto. A tutti, anche ai compagni rivoluzionari.

Cecilia: Io non ho bisogno di niente. E di nessuno.

 

Cambio luci.

Parigi Presente

Cecilia si volta di scatto verso Paolo.

 

Cecilia: Non hai nulla da dire?

Paolo: Non so. Cosa dovrei dire?

Cecilia: Quello che hai in mente, quello che pensi, di me, di quello che ti ho detto. Non credo che tu non abbia proprio nulla da dire.

Paolo: Mamma, è difficile per me esprimere, capire… dire anche solo quello che ho dentro… adesso.

Cecilia: Io ho bisogno di sapere, sono tua madre e…

Paolo: È proprio questo il problema.

Cecilia: Vuoi dire che…

Paolo: Mamma, oggi… tutto quello che mi hai raccontato, che mi hai detto, oggi è passato. Il terrorismo non esiste più: i morti: le bombe. Tutto finito, passato! È terribile ma è così. Oggi, tutto questo a chi importa? A chi importa davvero?

Cecilia: Come fai a dire una cosa del genere?

Paolo: La condanna c’è stata. La sconfitta, completa. Il resto non conta. Ha importanza solo quello che "tu" hai fatto. E le "tue" responsabilità personali.

Cecilia: Ma il terrorismo è un fenomeno sociale che ha ancora bisogno di essere capito, realmente capito, nella sua complessità, nelle sue radici.

Paolo: Per te, forse, questo è importante. Ma la gente, oggi, ha altro per la testa, altre domande da porsi. E alle quali rispondere.

Cecilia: E le mie risposte?

Paolo: Tu sei fuori, fuori da tutto, fuori dalla storia. Il tuo tempo è passato. E tutto questo non conta più, non conta più niente.

Cecilia: Ed è così che la pensi?

Paolo: Non per quanto riguarda me: tutto questo, per me, ha un valore diverso, acquista un valore diverso: sei mia madre. Ed io… quello che hai fatto, non so se potrò accettarlo.

Cecilia: Mi rendo conto, le difficoltà, comprendere me, le mie ragioni, i miei sbagli. Non è facile.

Paolo: Mamma, io sapevo del tuo passato politico. Mi avevate detto che avevi dei problemi ma non potevo certo immaginare una cosa simile: mia madre - la donna che mi ha messo al mondo, che mi ha allevato, cresciuto - un’assassina, una che… andava in giro a sparare alla gente.

Cecilia: Ma tu la mia vita non la puoi ridurre a questo, a solo questo. Certo, io ho operato una scelta, una scelta difficile: politica. Della quale ne sono e ne rimango responsabile, ma non puoi ridurre tutto a questo. Sarebbe rifiutare la realtà stessa delle cose.

Paolo: Mamma, non sono io che, da vent’anni, fuggo le mie responsabilità!

Cecilia: Ma per me è impossibile tornare. Sono ricercata, sono ancora ricercata.

Paolo: Certo! Sei una perseguitata!

Cecilia: Si! Una perseguitata!

Paolo: Quanto ti fa comodo crederlo.

Cecilia: Dopo la guerra, i fascisti… anche i fascisti sono stati amnistiati. Nonostante quello che avevano fatto. Amnistiati! E fu un comunista a farlo.

Paolo: A me non interessa questo, non mi interessa la politica. Mi interessa solo quello che tu, mia madre, sei.

Cecilia: È questo, allora?

Paolo: È questo.

Cecilia: Immagino che io non possa fare nulla per farti cambiare idea.

Paolo: La frattura tra noi c’è stata, mamma. Ed è completa.

Cecilia: Addirittura questo?

Paolo: Mamma, io domani uscirò da qui, andrò all’Università, vedrò gente, amici. Cosa credi che dovrò dirgli?

Cecilia: Mi rendo conto, l’imbarazzo, ma non puoi farti intimorire: devi affrontare la realtà, questa realtà.

Paolo: Questa sera, prima di venire qui, sono stato con Marie-Claire.

Cecilia: La tua ragazza?

Paolo: Lei.

Cecilia: Allora?

Paolo: Sono stato a casa sua e abbiamo fatto l’amore. È stato bello, bellissimo. Come non avrei potuto immaginare.

Cecilia: Non era la prima volta che tu… voi due… insieme…?

Paolo: No, non lo era. Ma erano mesi che non lo facevamo più: mesi! Da quando suo padre…

Cecilia: (si irrigidisce) Capisco.

Paolo: Tu sai chi è lei? La sua storia? Da dove viene?

Cecilia: Suo padre è… era algerino.

Paolo: Un intellettuale, un giornalista algerino che…

Cecilia: Hanno assassinato.

Paolo: Sei mesi fa, i "terroristi" islamici, gli "integralisti" islamici, lo hanno ucciso.

Cecilia: Non penserai mica… sono cose diverse, diverse. Cose che…

Paolo: È terrorismo.

Cecilia: Tu non puoi paragonare un fenomeno complesso, articolato come quello dell’ "estremismo", in Italia, negli anni ‘70, con quello che sta accadendo, oggi, in Algeria?

Paolo: Quando ti ammazzano un padre, un marito, un figlio credi che si possano fare tante, troppe distinzioni?

Cecilia: No. È chiaro ma noi… noi "dobbiamo", "possiamo" fare distinzioni, cogliere il senso, le differenze e capire.

Paolo: Gli "integralisti" hanno aspettato il padre di Marie-Claire sotto casa. Lo hanno aspettano alcune ore. Poi, quando lui è arrivato, gli hanno sparato.

Cecilia: Ricordo: è stata una cosa… penosa.

Paolo: E quando voi eravate là, in attesa di eseguire una… "sentenza", cosa facevate, mamma? Fumate? Parlavate? E di cosa’ Del giorno in cui voi… la "giustizia proletaria"… avrebbe vinto?

Cecilia: No… noo… Noooo! Non è così! Non è così che funziona, non è così che è stato, che doveva essere. Non così.

Paolo: E come, mamma? Come doveva essere? Me lo spieghi, ancora?

Cecilia: Il tuo è un abuso, uno stupido gioco di parole, di concetti che non porta a niente. Un modo infame di ragionare, pensare.

Paolo: Voi li aspettavate sotto casa e poi?

Cecilia: Tu… tu mi stai…

Paolo: "Penoso".

Cecilia: Mi stai condannando…

Paolo: "Penoso", lo hai detto tu.

Cecilia: Noi avevamo un ideale, un qualcosa in cui credere, per il quale combattere, vivere… morire.

Paolo: E siete morti.

Cecilia: Mentre, voi, invece, voi giovani d’oggi siete…

Paolo: Siamo morti, anche noi, oggi, forse siamo già morti.

Cecilia: Senza mai avere vissuto.

Paolo: Senza mai avere vissuto.

Cecilia: Siete inesistenti, inconsistenti. Ignoranti.

Paolo: Questo sì, forse questo sì.

Cecilia: Come in un lungo, interminabile gioco elettronico, privo di alcun significato morale.

Paolo: Interminabile?

Cecilia: On, off. Play.

Paolo: Certo: on, off, play. Ma questo non cambia, non può cambiare i termini della questione.

Cecilia: Non deve.

Paolo: Mamma, io credevo di essere uno come tanti: un giovane, un normale studente in questo fine secolo.

Cecilia: (abbozza un sorriso amaro) Il secolo breve.

Paolo: Un giovane europeo, come tanti, proiettato - come ci si fa credere - nel terzo millennio e invece…

Cecilia: Non la mettere così.

Paolo: Inchiodato al passato: una pietra al collo che si chiama…

Cecilia: Non lo dire, per favore, non lo dire.

Paolo: …terrorismo.

Cecilia: Ti prego.

Paolo: Credevo di conoscerti, credevo che tu fossi una donna… una donna anche speciale ma pur sempre e solo una donna. E invece…

Cecilia: Tu non devi permettere che tutto questo possa distruggerti. Non devi. Sei giovane. E tutto questo oggi - il terrorismo - non esiste più. L’hai detto anche tu, prima.

Paolo: Forse, proprio su questo io credo di avere sbagliato.

Cecilia: Vuoi dire che… hai sentito anche tu?

Paolo: (annuendo) Hanno ammazzato uno a Roma.

Cecilia: Massimo D’Antona.

Paolo: Le Brigate rosse.

Cecilia: Non sono loro, non possono essere loro. Credono di esserlo, vorrebbero esserlo ma tutto è cambiato oggi. Non ci sono più le condizioni sociali, politiche per… È cambiato tutto. Loro pensano di essere le "bierre" e invece sono solo degli… (tace)

Paolo: Sono solo degli…? (Cecilia tace inorridita) Perché non lo dici, mamma? Perché? Hai paura di quella parola? Hai paura, è vero?

Cecilia: No. Non ho paura. Non è paura la mia, non è.

Paolo: E che cos’è, allora, mamma? Che cosa? Dimmelo!

Cecilia: È… è smarrimento. Ecco sì, quello sì: smarrimento.

Paolo: Degli assassini. Sono solo degli assassini. Come… come lo eravate voi.

Cecilia: Nooo.

Paolo: Voi! Come voi.

Cecilia: Tu non puoi dire questo, no!

Paolo: La verità.

Cecilia: Voi, voi, giovani, oggi, siete… siete tagliati con l’accetta: giudicate, parlate, agite come se le cose fossero solo "estreme": bianco, nero. Piatte, senza risvolti… umani.

Paolo: Perché? Voi a vent’anni com’eravate?

Cecilia: Stupidi. Quello sì: stupidi.

Paolo: E allora, perché oggi anche noi non possiamo esserlo: "stupidi"?

Cecilia: Perché i nostri errori, quello che abbiamo fatto, quello che siamo stati non possa andare perso.

Paolo: Ne vale così tanto la pena?

Cecilia: La storia insegna, "deve" insegnare qualcosa.

Paolo: Mamma, la storia è un libro che si chiude quando suona la ricreazione.

Cecilia: E poi?

Paolo: Si scende in cortile, si va al bagno, nei corridoi e ci si incontra con gli amici. Ad ascoltare musica, a parlare, se si ha qualcosa da dire, a fumare, anche uno spinello se capita, se ne vale la pena.

Cecilia: E basta?

Paolo: Forse è anche troppo.

Cecilia: E io? Ora?

Paolo: Vorrei veramente ascoltarti, capirti, crederti.

Cecilia: Fallo.

Paolo: Ma è così difficile, adesso, pensare a te, anche solo immaginarti ancora affettuosa, tenera, come sei sempre stata. Non posso più. Ora che so… immagino… quello che eri… quello che sei.

Cecilia: Rimango pur sempre tua madre.

Paolo: Per questo voglio andare via.

Cecilia: Andare via? Tu vuoi…?

Paolo: La borsa di studio all’Università. È un’occasione per me di allontanarmi. Da te.

Cecilia: Tu, davvero, pensi di…

Paolo: Non credo di poter restare ancora qui. Con te. Devo pensare a costruirmi una vita. La "mia" vita.

Cecilia: Io… io non so più cosa dire.

Paolo: Credo non ci sia più molto da dire.

Silenzio. Paolo esce. Cecilia rimane sola. Siede dolente.

Cecilia: Anch’io avevo una vita. Da costruire. Avevamo tutti una vita alla quale aggrapparci. L’abbiamo persa. Sprecata. Forse…

Cambio luci.

Roma Passato

Tutti gli attori sembrano trasformarsi in statue. Di carne.

Uomo: (stancamente) "La nostra linea resta quella della massima disarticolazione politica possibile del regime dello Stato. Bisogna radicare l’organizzazione della lotta armata e la coscienza politica della sua necessità storica nel movimento di classe"

Massimo si scuote. Cecilia gli va incontro con ansia.

Cecilia: Allora? Com’è andata la riunione?

Massimo: Alcuni compagni hanno deplorato il modo in cui abbiamo gestito il sequestro, non approvano il modo di condurre le trattative, dicono anche che è stata una scelta sbagliata.

Cecilia: Ma sono impazziti? Sono tutti impazziti?

Massimo: La situazione si sta complicando. Il sequestro si sta rivelando sempre più di difficile gestione. La reazione dei media. Quella della gente. La polizia. Avremmo dovuto non farlo.

Cecilia: Ma gli è andato di volta il cervello? Che volevano che facessimo?

Massimo: Dicono che in questo momento occorre essere prudenti. Altri compagni ci accusano di settarismo, di cecità politica, di non aver considerato bene le conseguenze di quello che facevamo.

Cecilia: Settarismo! Lo chiamano settarismo.

Massimo: Abbiamo messo in difficoltà tutto il movimento. C’è anche chi dice che azioni di questo genere è meglio non farle, che è ora di finirla con lo spontaneismo e che va elaborato un progetto strategico complessivo.

Cecilia: Un progetto strategico complessivo! Quelli sono tutti dei mentecatti!

Massimo: La nostra azione ha creato allarme, ingenerando paure. La città ora è piena di poliziotti, posti di blocco dappertutto: stanno facendo delle perquisizioni, delle retate, arrestano i compagni.

Cecilia: Pensi veramente che abbiamo sbagliato?

Massimo: Forse è vero che la direzione avrebbe dovuto gestire la cosa in modo diverso, un’operazione come questa o la fai bene o è meglio non farla.

Cecilia: Cosa avremmo dovuto fare, allora?

Massimo: Non lo so. Limitarci a qualche attentato a sede di partito, gambizzazioni, attacchi mirati. Da un punto di vista organizzativo non siamo ancora in grado di gestire una cosa così grossa come il sequestro di persona.

Cecilia: Ma hanno valutato l’impatto che il sequestro ha avuto sulla stampa?

Massimo: È anche questo. La reazione della stampa borghese, dell’opinione pubblica è molto, molto forte. L’azione sta producendo un effetto controproducente per l’organizzazione.

Cecilia: E noi cosa dovremmo fare? Liberarlo così su due piedi come se nulla fosse successo? Non posso certo andare di là e dirgli: "mi scusi, sa, abbiamo sbagliato. Non siamo ancora attrezzati per gestire un sequestro. Quindi è come se avessimo solo scherzato. Ci scusi. Ci scusi ancora. E arrivederci."

Massimo: È proprio questo il punto.

Cecilia: Non vorrai dirmi che…?

Massimo: La direzione strategica ha deciso. Al punto in cui siamo, tanto valeva sparargli subito, nel suo stesso studio.

 

Cambio luce.

Roma Passato

Cecilia e Massimo si avvicinano a Uomo, sono armati.

 

Uomo: (senza guardare i due) Sei venuta a liberarmi?

Cecilia: (dura) No.

Uomo: (c.s.) Vuoi uccidermi? (lunga gelida pausa) Allora è vero. Sei venuta per uccidermi. (si volta, li vede, capisce)

Massimo: (duro) Sei un traditore, un traditore della classe operaia, un revisionista, un…

Uomo: (interrompendolo) Mi avete condannato… È proprio così. Mi avete condannato.

Cecilia: (dura) Il Tribunale rivoluzionario ha stabilito…

Uomo: (interrompendola) Il Tribunale rivoluzionario? Il Tribunale rivoluzionario? Ridicolo!

Massimo: (duro) Non ti serve recriminare…

Uomo: Mi serve a vincere la paura. (pausa) "La rivoluzione non può proprio fare a meno di me? Del mio sangue?"

Massimo: (duro) "L’unico rapporto della rivoluzione con i traditori è l’annientamento. Cosa pensi di questo concetto? "

Uomo: "Il concetto potrebbe anche essere giusto, penso che bisogna analizzare la parola traditore."

Cecilia: (dura) "Che intendi?"

Uomo: "Che non mi sento un traditore"

Cecilia: (dura) "In base al processo proletario a cui sei stato sottoposto, in base agli elementi emersi durante questo interrogatorio, in base all’analisi di questi elementi, le Brigate Comuniste concludono il processo a tuo carico condannandoti a morte per tradimento."

Lungo silenzio. Cecilia e Massimo, affiancati come un plotone d’esecuzione, puntano le pistole su Uomo.

Uomo: No! Aspetta! Aspettate! Non siete, non siete voi che ammazzate me. Non siete voi. Sono io, io che me ne vado. Che me ne vado via da qui. Da voi. Per sempre. Io!

Fa per voltarsi e varcare la porta.

Buio.

Colpo di pistola

.

Parigi Presente.

Luce a cono su Cecilia.

Cecilia: (risoluta) "Accetterò di collaborare con la magistratura nella prospettiva di chiarire storicamente i fatti più eclatanti di cui sono a conoscenza. Il nostro impegno deve andare, da oggi, nel senso di chiudere con questa pratica e di dissuadere chi sta per impugnare le armi. Da parte mia ho fatto la mia scelta, in pieno possesso delle mie facoltà e nella libertà di esprimermi come meglio credo. Saluti comunisti"

Forse Cecilia potrebbe anche alzare il pugno chiuso prima di "spegnersi" nel buio.

Voce radio: Oggi, 20 Maggio 1999, le Brigate Rosse – Partito Comuniste Combattenti hanno "giustiziato" Massimo D’Antona… segue… segue comunicato

 

 

tela