Il signor Cugino

di

Pietro Dattola 


TESTO VINCITORE DEL PREMIO INTERNAZIONALE FLAIANO PER LA DRAMMATURGIA (COPPA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA), XXXII EDIZIONE (2005)

PERSONAGGI

Il signor Cugino 
Evandro
Hector 
Katrin
Lo Zio 
La moglie di Hector

NB: le didascalie e le indicazioni su luci e regia vogliono solo dare l'idea dell'atmosfera che l’autore intendeva ricreare..

A) Gli ambienti
- Soggiorno-ingresso della casa di Hector: è l’unico ambiente pienamente illuminato (v. sotto). Arredato in modo sobrio, con gusto non troppo raffinato. Deve essere facile rimuovere o riutilizzare mobili e oggetti per le scene ambientate altrove. Porta sulla destra.
- Corridoio della stazione di polizia: illuminato col set di luci fisso (v. sotto). Le pareti sono tutte nere. Sulla parete di fondo, al centro, una finestra con la serranda alzata, oltre la quale si vede il cielo mattutino. Un orologio appeso alla parete sinistra (vicino all’uscita). Finestra e orologio sono illuminati da una luce bianca ciascuno, puntata strettamente su di essi.
- Sala dell’interrogatorio: illuminata col set di luci fisso. Le pareti sono tutte nere. Sulla parete di fondo, tra due finestre con la serranda abbassata, un austero ritratto dello Zio. Scrivania con sedia. La scrivania è posta di sbieco, sulla sinistra della scena; su di essa, una lampada, delle bottiglie di liquore e una scatola di sigari. Sulla parete destra, sopra la porta della Sala, un orologio che segna sempre un orario mattutino. Finestre, ritratto e orologio sono illuminati da una luce bianca ciascuno, puntata strettamente su di essi.
- Studio dello Zio: illuminato dapprima pienamente, nel corso della scena (la 8) si passerà al set di luci fisso. Scrivania con poltrona e sedie. La scrivania è rivolta verso il pubblico. Sulla parete di fondo, al centro, una finestra. Accanto, il ritratto dello Zio. Niente orologi appesi. 

B) Le luci
Tutte le scene - tranne la 2, la 7 e la 8 - devono essere illuminate in modo che dei personaggi non si vedano gli arti inferiori (considerando anche che EVANDRO è legato ad una sedia) e che non si vedano le pareti della scena. Le luci che si adottano per ottenere questo risultato è denominato nel testo come “set di luci fisso”. Questa scelta serve essenzialmente a far risaltare certi particolari della scena che verranno illuminati da singole luci e per permettere l’effetto-macchia di sangue ottenuto con dei riflettori rossi nelle scene 4, 5 e 6. (v. le singole scene). 


C) I personaggi

EVANDRO - compare sempre legato a una sedia. Abbigliamento da prigioniero. Col progredire delle scene, appare sempre più malconcio e con le vesti stracciate.
IL SIGNOR CUGINO - veste un elegante completo nero. Di recente ha cominciato a smettere di fumare il sigaro. Compensa col bere.
HECTOR - giovane; indossa la divisa di ordinanza da guardia carceraria. 
KATRIN - la più giovane di tutti; indossa la divisa di ordinanza da guardia carceraria, con tocchi di femminilità e d’una eleganza aggressiva e sexy. Capelli biondi lunghi con codino.
LO ZIO - sessantenne, veste elegante. Baffi massicci che spesso si alliscia. Vistoso anello al dito.
LA MOGLIE DI HECTOR - ordinaria casalinga.




SCENA 1

Sala dell’interrogatorio (set di luci fisso). Mattina. Presente in scena: EVANDRO.
Sul buio, si odono due cani che litigano per la strada. 
Luce sull’orologio, in simultanea con un suono secco (cessano i rumori esterni). Luce sulle finestre chiuse. Lentamente, luci del set fisso (solo ora è visibile EVANDRO).
L’orologio (parete destra) segna le 6:00. EVANDRO è legato a una sedia, più o meno al centro dello scena. È addormentato, il capo reclinato su una spalla. 
Si sente una porta metallica aprirsi e richiudersi. EVANDRO si sveglia di soprassalto. Si guarda intorno, agitato. Si capisce che non sa cosa gli aspetta ed è teso. 
Da destra vediamo entrare il SIGNOR CUGINO con passi lenti e misurati. Nel frattempo, lentamente, luce sul ritratto dello Zio. 
SIGNOR CUGINO si dirige calmo verso la scrivania, passando dietro la sedia di EVANDRO. Nel guardarlo sorride a se stesso. Si toglie la giacca, la ripone sulla spalliera della sedia e si siede a sua volta, dietro la scrivania. Apre un fascicolo. Inizia a leggere - o meglio, a gettare sguardi a casaccio sulla prima pagina e poi sul resto del fascicolo - ma desiste quasi subito. Fissa il prigioniero. Gli sorride. 
EVANDRO non sa cosa pensare e rimane silenzioso - ma teso. 
SIGNOR CUGINO allunga senza pensare la mano su una scatola poggiata sulla scrivania, poi la ritrae; quindi apre un cassetto della scrivania e ne tira fuori un flaconcino di liquore, sempre fissando il prigioniero. Una sorsata dal flaconcino e lo rimette a posto nel cassetto, sempre fissando EVANDRO. SIGNOR CUGINO appare, fino a indicazione contraria, complessivamente affabile.

SIG. CUGINO (fra sé, sottovoce) Bah, io ho i miei metodi. (indica la scatola sulla scrivania; a EVANDRO:) Sai cos’è questa? (EVANDRO, forse per timore di dire qualcosa di sbagliato, non risponde) Puoi parlare, sai? Siamo fra amici, qui. (gli viene quasi da ridere, guarda in basso) Anzi, di più. Siamo una famiglia. Una grande famiglia. Non lo sapevi? (torna a fissare il prigioniero) Proprio così. Sai cos’è questa?
EVANDRO N-no.
SIG. CUGINO Stando a quello che c’è scritto lì (accenna al fascicolo) sei uno scrittore. Sbaglio, o una delle prerogative dell’essere scrittore è quella di avere una fantasia alquanto sviluppata? Non si fa strada, in quel campo, senza fantasia. Vero? (pausa) Puoi rispondermi, sai.
EVANDRO (dopo un tempo) Sì.
SIG. CUGINO Cerchiamo di essere più precisi. Cosa vuol dire “sì”? Che nel tuo mestiere senza fantasia si fa strada o che non se ne fa?
EVANDRO Non se ne fa.
SIG. CUGINO E tu, ti ritieni uno scrittore di successo? (pausa) Su, non fare il modesto, parla liberamente. Ho appena detto che è come se fossimo in famiglia: non ti prenderei mai per un pallone gonfiato, tranquillo! E poi, se non fosse per lavoro, il tuo campo non m’interesserebbe neppure - (tono scherzoso) non me ne accorgerei se mi dicessi una balla, capisci? (ridacchia). Allora, sei uno scrittore di successo?
EVANDRO (dopo un tempo) Sì.
SIG. CUGINO Bene! Bravo! Bravo davvero! Complimenti! - Complimenti, perché sei uno scrittore di successo! - E complimenti, perché vedo che cominciamo col piede giusto! Perché vedi, anche lì (indica il fascicolo) c’è scritto che sei uno scrittore di successo. Centinaia di migliaia di copie. Ogni volta. Incredibile quanto legga, la gente. Sembra non abbia altro da fare! (pausa) Ma tornando a noi, bravo!, perché vedo che ti sei predisposto con la giusta attitudine: dici quel che è, dài pane al pane e vino al vino - e ora, per tua stessa ammissione, abbiamo una base comune su cui lavorare. (pausa) Uno scrittore, per avere successo, deve avere molta fantasia - d’accordo, d’accordo, pare sia anche una questione di stile, di innovazione, di tecnica, ma quelli vengono dopo: a monte, non deve mancare la materia prima, la fantasia. Tu sei uno scrittore di successo. Ora, dimmi: cosa ne deduciamo? (pausa) Cosa ne deduciamo?
EVANDRO (timoroso: non vuol dire la cosa sbagliata) Ho... molta fantasia.
SIG. CUGINO Dieci in logica per il nostro amico! Questa giornata non poteva cominciare meglio! Fossero tutte così! Fossero tutti così! Aperti! Disponibili! Privi di qualsivoglia remora comunicativa! (guardando il fascicolo) Ma così non è, purtroppo, così non è... (lo sguardo gli cade sulla scatola sulla scrivania) Ah, ma abbiamo lasciato una questione in sospeso - importante. Importante, vedrai. (pausa. Fissa il prigioniero e indica la scatola) Cos’è questa?
EVANDRO Non lo so.
SIG. CUGINO Sì, questo l’avevi già detto prima. Ma abbiamo appurato che sei uno scrittore di successo, e dato che la fantasia è requisito essenziale del successo nella carriera di scrittore, ne abbiamo dedotto che devi avere molta fantasia, o tutta quella gente là fuori sta prendendo un granchio. (pausa) E cos’è la fantasia? Roba complessa. Neanche i dottoroni ci capiscono nulla. (pausa) Io però, nel mio piccolo, ho una teoria. Capita. Si sta seduti tutto il giorno dietro una scrivania - non questa, ne ho un’altra nel mio ufficio (col dito indica in alto), più bella - e ho anche una poltroncina più comoda, sai? Qualche volta ti porto su a vederla, è una bella scrivania. E stando dietro a una bella scrivania è facile che ti vengano in testa delle idee. Delle teorie. Senti questa: in parte - non dico totalmente, ma in parte - la fantasia è intuito. Che bella parola, intuito. Non la usa più quasi nessuno. La gente capisce. Al massimo, comprende. Nessuno intuisce più. C’è povertà di linguaggio. Concordi? (pausa) Concordi?
EVANDRO (c.s.) Sì.
SIG. CUGINO Ahi, ahi! Vedo che abbiamo un problema. Un piccolo problema. Un problema piccolo piccolo. (pausa) Ti faccio paura? Dimmelo, se ti faccio paura, o se ti intimorisco. Non voglio intimorirti. Te l’ho detto: siamo una famiglia. Mettitelo in testa: siamo una famiglia – guarda, facciamo così: da ora in avanti, sarò tuo cugino. Che ne dici, eh? Hai visto che bel cugino ti ritrovi? Non sono un bel cugino da avere? Un cugino con una bella scrivania e una poltrona comoda al piano superiore. Si può andare lontano con un cugino così. (pausa) Ah, ma anch’io non mi lamento! Anch’io sono orgoglioso del mio cuginetto! Un cuginetto celebre! Che scrive, scrive tanto. E... (rivolge lo sguardo al ritratto sulla parete di fondo, al centro rispetto ai due) sai chi è quello? (pausa) Non me lo fare dire più, cuginetto: rispondimi subito quando ti faccio una domanda. Non essere scortese col tuo cugino maggiore, intesi? Sai chi è quello?
EVANDRO Il Presidente.
SIG. CUGINO Giusto! E sbagliato! (pausa) Perché quello non è solo un presidente. Siamo una famiglia, ricordi? L’abbiamo concordemente stabilito poco fa. Quello è... quello è tuo zio. Ecco, mettiamola così: è come se fosse mio padre, perciò è come se fosse tuo zio. Chiamalo “Zio”, non chiamarlo presidente! Che brutta cosa i titoli! Servono solo a mantenere le distanze. Noi invece vogliamo essere tutti vicini. Il più vicini possibile. Non è vero?
EVANDRO Sì.
SIG. CUGINO Sì...?
EVANDRO Sì... cugino?
SIG. CUGINO Sì, signor Cugino. (pausa) Ah, trovi che sia in contraddizione? Un po’, forse. Ma non del tutto. Perché fra me e te c’è questa (mette la mano sulla scrivania) che ci separa. E questo (prende in mano il fascicolo). Per cui è meglio se anteponi il “signor” al “cugino”. Allora, come mi chiamerai da ora in poi?
EVANDRO Signor Cugino.
SIG. CUGINO Eccellente. Straordinario. Ci capiamo al volo, noi due. Non vorrei te la prendessi, ma... è per restare coi piedi per terra. Per non volare troppo con la fantasia - bingo! (pausa) Ci stavamo dimenticando della mia rivoluzionaria teoria. La fantasia e l’intuito. (pausa) Dette così, sono due parole, e basta. E le parole in sé non vogliono dire nulla. Ma a chi lo dico?... Tu dovresti saperlo: quello che conta sono i concetti che vi stanno dietro. “Intuito”: sbaglio, se lo definisco come la capacità giungere alla corretta conclusione afferrando al volo l’essenza di una realtà di per sé non manifesta? (pausa; con preoccupazione apparentemente sincera:) Trovi sia una definizione troppo complicata?
EVANDRO No… Signor Cugino.
SIG. CUGINO (compiaciuto, non si capisce se più per il giudizio sulla definizione o se per il “signor cugino”) Stai diventando il mio preferito, sai? Sarà un quarto d’ora che parliamo e già sei il mio preferito. Tra tutti (gesto ampio, a indicare l’intero edificio). (pausa) Vediamo se hai intuito. Ripeto la mia domanda. Cos’è questa? (indica la scatola) E non dirmi “non lo so”. (pausa) Non mi deludere. (si alza e si avvicina al prigioniero)
EVANDRO Una... scatola. (per tutto il tempo, SIGNOR CUGINO lo incoraggia come un maestro davanti a un alunno che si stia sforzando di risolvere un problema difficilissimo. Fa avanti e indietro, gli gira intorno, si esalta per ogni passo in avanti. EVANDRO coglie i suoi sguardi e cenni e cerca di inventarsi qualcosa strada facendo) Una scatola, quindi un contenitore. Un contenitore... contiene degli oggetti. Può essere vuoto, ma questo... questo contiene degli oggetti. E lo so- l’ho intuito (SIGNOR CUGINO è visibilmente compiaciuto alla parola) perché... perché prima hai-
SIG. CUGINO (cenno di no col dito) Ah-ha! 
EVANDRO -perché prima ha fatto per aprirla e... che senso avrebbe aprire una scatola vuota?... Per metterci qualcosa dentro, sì, ma... ricordo che non aveva nulla in mano, a parte (indica col mento il fascicolo) quello. E quello non è... delle dimensioni adatte per essere riposto nel contenitore. Cosa c’è dentro? Potrebbe esserci di tutto... Più specifico, d’accordo… Vediamo... Sigari?
SIG. CUGINO (esagerato) Bingo! Superbingo! Lo dicevo io, lo dicevo! Ho un cuginetto pieno di intuito! Al primo colpo! Come hai fatto? Vorrei proprio saperlo! (se lo guarda compiaciuto) Eh, ma cosa lo chiedo a fare? Il mistero dell’intuito sta proprio in questo - nessuna sa come funziona. Se no si potrebbe imparare a essere intuitivi. Invece è un dono del buon Dio. (voltandogli le spalle, ma con tono chiaro) Ma bisogna saperli usare, i doni che il buon Dio ci dà. Non va bene essere ingrati. (di nuovo guardando EVANDRO). Sigari! Proprio così! E sai perché ci sono quei sigari, lì dentro? Perché fumo – anzi, fumavo: ma da qualche tempo mia moglie s’è messa in testa che fumare fa male e mi ha costretto a smettere. (pausa; tono scherzosamente cospiratorio) Detto fra noi, quelli sono lì di nascosto. Non c’è solo mia moglie ad essere contraria al fumo. Anche lo Zio non lo sopporta. Per lo meno qui dentro. (riprende il tono naturale; andando a sedersi:) Che bravo cuginetto che ho. Intelligente. (si siede. Appare assorto in pensieri tutti suoi)
EVANDRO Signor Cugino...
SIG. CUGINO Sì?
EVANDRO Perché mi trovo qui? (SIGNOR CUGINO se lo squadra per bene, non risponde. Un sorriso gli si affaccia sul volto) Non ho fatto nulla di male. Tutto quello che ho scritto è passato per... è stato autorizzato. Lo so, perché altrimenti nessuno avrebbe pubblicato... (pausa) Signor Cugino?
SIG. CUGINO Sì?
EVANDRO Perché mi trovo qui? (quanto al SIGNOR CUGINO, c.s.) Cosa volete farmi? Io non ho mai- Cosa volete farmi? Signor Cugino? 
SIG. CUGINO (dopo un lungo silenzio) Ti dirò. Qui dentro (ha in mano il fascicolo) c’è scritto che sei pericoloso. Usano proprio questa parola: “pericoloso”. Noi non vogliamo che lì fuori si aggirino degli individui pericolosi - no, no: lo Zio è stato chiaro sul punto. Guai!, se degli uomini pericolosi si trovano in libertà! Sarebbero tutti in pericolo, capisci? Intendo la nazione. La famiglia. (pausa; sospira) Ogni famiglia ha la sua pecora nera. Intendiamoci: io sono molto orgoglioso del mio cuginetto - come tu dovresti esserlo di me, che ho una bella scrivania e una comoda poltrona al piano di sopra - ma il mio compito è vegliare sulla famiglia, a costo di-... a qualsiasi costo. Lo Zio è stato chiaro sul punto: “Veglia sulla famiglia!” mi ha detto. “Se scorgi una pecora nera nel gregge immacolato, isolala! Non vorrai che a furia di copulare” - testuali parole, eh, lo Zio utilizza un linguaggio molto colorito - “si diffonda il colore nero. E a chi serve la lana nera? La lana dev’essere bianca, così la si può tingere del colore che si vuole!” Non fa una piega. Non una sola, minimissima piega. Ed eccomi qua.
Abbiamo motivo di credere - e poco fa ne abbiamo avuto una piccola dimostrazione - che tu, caro cuginetto, sia dotato di una spiccata fantasia. A causa del tuo mestiere eccetera eccetera - l’abbiamo detto prima. (pausa) Prima non ho completato l’esposizione della mia teoria – ora: la fantasia in parte è intuito, in parte è creatività. Ossia, si inventano cose che non esistono. (pausa) Pericoloso, inventarsi cose che non esistono. Poi la gente ci crede, e le cose finiscono per esistere - anche se non esistono. Mi segui? Certo che mi segui. 
Noi non vogliamo che la gente creda a cose che non esistono. Non va bene. Non va affatto bene. Può essere fonte di problemi, per lo Zio e per noi tutti. Per la Nazione.
EVANDRO (istintivo) Ma quello che ho scritto-
SIG. CUGINO (improvvisamente furioso, si alza in piedi) Non mi interrompere! Chi ti ha detto che mi puoi interrompere? Stai zitto, cazzo! (è fuori di sé; pugni sulla scrivania, scuote la testa. Fremente, apre il cassetto, prende il flaconcino e beve. Sbatte il flaconcino sul tavolo, poi ci ripensa, lo rimette al suo posto e sbatte il cassetto. Con forza, rimette i pugni sul tavolo, il respiro affannoso: sta cercando di trattenersi. Calmatosi un poco, si risiede) Non farmi perdere la pazienza, stronzo di un cugino. Non farmi perdere la pazienza. È l’ultima cosa che vuoi, farmi perdere la pazienza. (lunga pausa; ancora non del tutto calmo; tono sbrigativo, come se esponesse un mero fatto) La tua fantasia ci preoccupa, cuginetto. Preoccupa lo Zio e quindi preoccupa me. Perché siamo una famiglia, e dobbiamo prenderci cura l’uno dell’altro. E se la famiglia cova in seno una serpe, bisogna farle capire che così non va, perché siamo tutti una famiglia e non dobbiamo farci del male l’uno l’altro, dobbiamo prenderci cura l’uno dell’altro - e se ancora non vuole capire, la si deve schiacciare, la serpe. (si alza e si avvicina minaccioso) Ascolta, cuginetto del cazzo: mi stai già sui coglioni, hai capito? Siamo solo al primo giorno, e già mi stai sui coglioni. Non c’è mai stato prima d’ora uno che mi stesse così tanto sui coglioni come te. (pausa) Attento, cuginetto, perché lo Zio si fida di me - come dire? Ho dell’intuito per certe cose e lo Zio si fida di me - e se stai sui coglioni a me, stai sui coglioni anche allo Zio. (gli afferra la mascella e gli solleva il mento; gli deforma guance e viso; minaccioso, i suoi occhi una fessura:) Non farmi incazzare, cuginetto, non farmi incazzare. 

SIGNOR CUGINO molla la presa. Torna alla scrivania, prende la giacca dalla spalliera della sedia e se la rimette addosso, rapido e con la stessa rapidità si dirige verso l’uscita.

SIG. CUGINO (oltrepassato EVANDRO, tra sé:) Che cazzo. (esce)

EVANDRO fissa l’uscita, poi la scrivania.
Lentamente, buio.


SCENA 2

Soggiorno-ingresso della casa di Hector (illuminazione piena). Mattina presto. Presente in scena: HECTOR. 
Luci.
HECTOR si sta preparando per uscire. Indossa già camicia e pantaloni della divisa (e da ciò non si dovrebbe intuire il suo lavoro). Recupera la giacca dal divano e fruga silenzioso per la stanza alla ricerca dei suoi accessori: berretto, pistola, chiavi, distintivo, ecc. Pur avendo fretta, HECTOR appare relativamente calmo.

HECTOR Mmm, dove le avrò messe? (fruga in un armadio per un po’; poi gridando per farsi sentire in quinta:) Hai visto le mie chiavi?
MOGLIE (dalla quinta) Il portachiavi è sul tavolino.
HECTOR No, non le chiavi. Le mie chiavi. (continua a cercare) 
MOGLIE (dalla quinta, dopo un tempo) In cucina, sotto il televisore. Hai già controllato?
HECTOR Ho fretta, puoi vedere tu? Intanto io-
MOGLIE (dalla quinta) Non posso, devo rifare i- aspetta. (mentre HECTOR continua la sua ricerca, entra la MOGLIE con un mazzo di chiavi in mano) Eccole. Erano sul comodino (gliele passa amorevolmente). Stai più attento. Mi raccomando. Sai quanto ci tengono alla precisione.
HECTOR Hai ragione. Devo trovar loro un posto fisso. (pausa) Ci penserò per strada. 
MOGLIE (dopo un tempo, quasi reticente) Ascolta... Ieri, dopo che sei andato a letto, ha telefonato mia sorella.
HECTOR (impegnato in un’altra ricerca: questa volta trova il distintivo quasi subito) Ah sì?
MOGLIE Suo marito è stato- prelevato.
HECTOR Dici sul serio?
MOGLIE Sì. 
HECTOR Accidenti! 
MOGLIE Mi ha chiesto se tu, ecco... potevi fare qualcosa. 
HECTOR Ma io non posso fare nulla, lo sai.
MOGLIE Sì, ma tu sei lì...
HECTOR Vedremo, vedremo. Accidenti, che notizia! Quando?
MOGLIE L’altro ieri notte.
HECTOR (riflettendo) Di notte, certo.
MOGLIE È disperata.
HECTOR Immagino. (emette un fischio e scuote la testa)
MOGLIE Passiamo dall’ospedale quando smonti?
HECTOR Dall’ospedale? Perché?
MOGLIE Il figlio di Anna ha avuto un attacco di appendicite. 
HECTOR Non l’aveva avuto anche il padre, qualche tempo fa?
MOGLIE Il mese scorso, sì - gliel’hanno rimossa.
HECTOR Curioso. E una volta rimossa...?
MOGLIE Non si hanno più problemi. 
HECTOR Meglio così. (pausa) Sarà una cosa ereditaria?
MOGLIE Hector! (non vuole cambiare discorso) È un brav’uomo. Cosa succederà ora? Anna è a pezzi.
HECTOR Immagino. Il figlio all’ospedale... il marito da-... 
MOGLIE Da due giorni telefona ogni ora alla Sezione per avere notizie, ma pare non le vogliano dire nulla. 
HECTOR È normale.
MOGLIE Ma cosa può aver fatto per essere- 
HECTOR -Purtroppo sono tempi difficili. 
MOGLIE Sono sicura che è innocente.
HECTOR Certamente lo è! Era anche famoso, mi pare! Che... faceva…?
MOGLIE Scriveva- scrive. Libri.
HECTOR Strano, di solito-
MOGLIE E... e collabora, credo, con un paio di giornali o riviste.
HECTOR Ah. Pericoloso.
MOGLIE Ma, voglio dire, che sarà mai? Non-
HECTOR -Perché la gente non si fa i fatti propri? Sempre a immischiarsi in cose che non le competono! E poi ci si ritrova- Dannazione. Una bella gatta da pelare. (pausa) Oggi vedrò di saperne di più. Parlerò con qualcuno.
MOGLIE Oh, può farmi questo favo-
HECTOR -Certo. Me ne interesserò personalmente. (intanto apre dei cassetti di un mobile) È un membro della famiglia, dopotutto, diavolo! Bisogna aiutarlo in tutti i modi. Anche se se l’è cercata, devo dire.
MOGLIE Pensi che-
HECTOR -Non lo so. Non lo so. Io non seguo tutto. Il mio è un lavoro, per così dire, specializzato. Entro ed esco a comando.
MOGLIE Sono preoccupata, Hector.
HECTOR No, su. Più tardi chiama tua sorella. Dille che farò il possibile. Che le siamo vicini. Che farò il possibile. Oggi stesso. Siamo parenti. Siamo una famiglia. Di questi tempi, dobbiamo stare tutti vicini. 
MOGLIE Hector...
HECTOR Cosa c’è?
MOGLIE Mi è venuto un pensiero.
HECTOR Dimmi.
MOGLIE E noi? Non potremmo avere... dei problemi?
HECTOR (non capisce)
MOGLIE Siamo suoi parenti. Il tuo lavoro-
HECTOR -Non funziona così. Non preoccuparti per me- per noi. Lui è lui, noi siamo noi. Noi non abbiamo mai dato adito a... chiacchiere. (pausa) Collaborare con...! Se l’è proprio andata a cercare! Che guaio! Ma tu guarda!... (l’occhio gli cade nel cassetto) Oh. Ma tu guarda. Questo è strano. Strano davvero. (dal cassetto tira fuori una pistola)
MOGLIE Cosa è strano?
HECTOR La pistola è montata.
MOGLIE (capisce il sottinteso) Devi fare qualcosa, Hector. Può essere pericoloso.
HECTOR Ci ha giocato di nuovo. (seccato) Devo metterla sotto chiave? Non basta smontarla? Ha imparato persino come si monta! 
MOGLIE Potrebbe farsi male.
HECTOR No, perché i proiettili li tengo da parte, lo sai, ma non mi piace l’idea che abbia una pistola in mano. Un bambino non dovrebbe neanche vederle, certe cose. Non è... educativo. Quasi quasi- (fa per uscire e andare a svegliare il bambino per rimproverarlo, poi ci ripensa) Gli parlerò stasera, quando torno.
MOGLIE Stasera dobbiamo andare da mia sorella.
HECTOR Giusto. Quando torniamo da tua sorella. (finisce di vestirsi) Un bambino non dovrebbe vederle, certe cose. Non dovrebbe neanche sapere della loro esistenza. Ma come si fa? Se gliele nascondiamo noi, ci pensano la televisione, i giornali, i fumetti, i… libri. 
MOGLIE Ieri a pranzo ha detto che vuole diventare come te. Fare quello che fai tu. E faceva così con la mano (fa il gesto della pistola, a imitare il figlioletto che gioca a sparare)
HECTOR Ma non scherziamo neanche! Darei tutto perché non facesse quello che faccio io! Si vedono troppe brutte cose. E si lavora con la feccia. La feccia della feccia. Beh, è piccolo. Come si dice? Subisce il fascino della divisa. E di questa (ha in mano la pistola). Gli farò un bel discorsetto, stasera - cosa c’è?
MOGLIE Mi viene in mente- non staremo preoccupandoci per nulla? In fondo, come hai detto tu, è ancora un bambino. Che vuoi che ne sappia...? Per lui tutto è un gioco.
HECTOR Certi giochi vorrei li ignorasse del tutto. (veloce, estrae la pistola dalla fondina e la punta contro MOGLIE, imitando il gesto precedente di lei; scherzoso:) E con te, baby, ci vediamo stasera (fa finta di sparare e soffia sulla canna; MOGLIE, tra il divertito e l’infastidito, gli si avvicina e lo bacia sulla guancia)
MOGLIE A stasera. Ricordati di-
HECTOR -Certo. Vedrò di farmi assegnare a quella sezione. Speriamo di dar loro buone notizie già da stasera. Ciao. (esce)

Buio.


SCENA 3

Corridoio (set di luci fisso). Mattina. Nessuno in scena.
Rumori del traffico in lontananza, come attutiti dal vetro e dall’altezza. 
Luci del set fisso (cessano i rumori esterni).
L’orologio (parete sinistra) segna le 9:00. 
Da destra vediamo entrare HECTOR e KATRIN. Entrambi hanno in mano una tazza di caffè fumante.

KATRIN ...Un imbecille. Non ci si poteva aspettare altro da lui.
HECTOR Già. (i due sorseggiano il caffè)
KATRIN Piuttosto: ti ho detto del tipo che ho conosciuto l’altra sera?
HECTOR No, dimmi.
KATRIN Un uomo interessante. Architetto. Geniale. 
HECTOR Geniale? Ma dài! Con che scusa l’hai avvicinato?
KATRIN È stato lui ad avvicinarsi. 
HECTOR (la guarda, e non ne dubita) Immagino. E... geniale?
KATRIN Sì. E carismatico. Siamo stati a casa sua. (pausa) Mi ha mostrato alcuni suoi progetti. Semplicemente straordinari. E indovina chi è il suo più assiduo committente?
HECTOR (indica col dito in alto)
KATRIN Proprio così. (HECTOR fischia; KATRIN, gelida e determinata:) È mio. Che si provino a soffiarmelo... (HECTOR la fissa negli occhi e ne è quasi intimorito, si direbbe che ringrazi di essere maschio e di non rappresentare una potenziale concorrente per KATRIN; cambia discorso)
HECTOR Oggi ho scoperto che mio figlio è in grado di montare la pistola.
KATRIN Anni?
HECTOR Cinque.
KATRIN A quell’età si riesce a montare e smontare di tutto. Avesse avuto quindici anni, mi sarei sorpresa. Diventano più scemi. Gli hai già insegnato a sparare?
HECTOR Mio Dio, Certo che no. Ha solo cinque anni.
KATRIN Prima impara, meglio è. Sono tempi difficili.
HECTOR Dici?
KATRIN (per tutta risposta, sorseggia il caffè) 
HECTOR Mmm. Forse hai ragione. Accidenti, mi hai convinto. (pausa. Sorseggia; improvviso, gli viene un pensiero; quasi rovescia il caffè) Ah! Hai saputo chi abbiamo sotto?
KATRIN No, chi?
HECTOR Una celebrità. 
KATRIN Davvero? 
HECTOR Mio cognato.
KATRIN (fa cenno di no col dito, come a rimproverare, ma scherzosamente)
HECTOR Lo so, lo so. Niente favoritismi. (beve dalla tazza) Non ci pensavo nemmeno. (beve ancora) L’ho denunciato io.
KATRIN La consegna?
HECTOR Farlo parlare.
KATRIN Intensità?
HECTOR Arbitraria.
KATRIN (socchiude gli occhi; sorride) La mia preferita.
HECTOR (condivide) Finisco il caffè e scendiamo. (ultimo, lungo sorso) 

Sull’ultimo sorso di HECTOR, buio.

Sul buio, dopo una decina di secondi (il tempo di far “scendere” i due), una musica (almeno un minuto), sotto la quale, sforzandosi leggermente, è possibile udire dei colpi (come di manganello) e delle urla soffocate (come da un bavaglio in bocca).


SCENA 4

Sala dell’interrogatorio (set di luci fisso). Il giorno dopo. Mattina. Presente in scena: EVANDRO.
Sul buio, si odono un cane e un gatto che litigano. 
Subito, tutte le luci singole (cessano i rumori esterni). Poi la luce-macchia di sangue (v. sotto). Poi, lentamente, il set fisso. 
L’orologio (parete destra) segna le 5:00. EVANDRO è legato alla sedia, come nella scena 1. Appare malconcio e con la divisa leggermente sporca. Sotto la sedia del prigioniero e intorno ad essa, una porzione ellittica di pavimento è intensamente illuminata di rosso. La luce è orientata in modo da limitare la colorazione quanto più possibile al pavimento e ai piedi del prigioniero, senza colpire altro.
EVANDRO è addormentato. Viene svegliato dalla porta metallica che si apre e si chiude: entra il SIGNOR CUGINO.

SIG. CUGINO (affabile) Buongiorno! Come sta il nostro ospite? Pardon - dovrei dire “il mio cuginetto”! E infatti lo dico: “Cuginetto! come stai?” (EVANDRO mugugna qualcosa, sembra troppo debole per rispondere) Stanco? Affaticato? Ma se non ti sei mai mosso di lì! Ah, ah! - Beh! (si siede alla scrivania; guarda la scatola di sigari) Anche oggi niente sigari! Lo... Zio... non vuole! E neanche l’adorata mogliettina. Pazienza! (tira fuori il flaconcino di liquore, beve, lo ripone) Dormito bene? (pausa) Dormito bene?
EVANDRO (debolmente) S-sì.
SIG. CUGINO Davvero? (pausa; cambia atteggiamento, comincia a scurirsi in volto) Come sarebbe a dire? Hai davvero dormito bene? (pausa) Non raccontarmi balle, cuginetto! Sappiamo entrambi come hai dormito! Ora ripeterò la domanda, e voglio una risposta sincera. Allora: dormito bene?
EVANDRO (dopo un tempo) N-no.
SIG. CUGINO Sì? No? Deciditi.
EVANDRO No.
SIG. CUGINO Dunque, anche se a stento, riusciamo a cavarti la verità. Bene. Prometti bene, cuginetto, ma niente più false partenze, intesi? (pausa; si alza e va verso il prigioniero) Avrai capito che quello che interessa a noi è la verità. Non fantasie, ma fatti, fatti veri. Indisputabili. Incontestabili. Sai a cosa mi riferisco quando parlo di incontestabilità? (lo fissa e il prigioniero ricambia; poi:)
EVANDRO Credo di sì.
SIG. CUGINO Davvero? Sei una costante fonte d’orgoglio per me. E dimmi, dimmi.
EVANDRO Ciò che dice il... lo Zio... non va contestato.
SIG. CUGINO Bene.
EVANDRO Contraddirlo è... un atto di fantasia.
SIG. CUGINO Sei davvero convinto di questa tua ultima affermazione? Rifletti bene, prima di rispondere.
EVANDRO No.
SIG. CUGINO Bravo. Sai, credo che stiamo facendo degli enormi passi avanti. Si vede che sei abituato a dire quello che pensi. Ciò facilita molto il mio compito. Non sai quanto è stancante estorcere i pensieri a chi fa di tutto per nasconderteli. Spossante, davvero. Non lo auguro a nessuno. E non si può mai essere sicuri di aver finito - e così siamo costretti a scavare, a scavare... finché non sbattiamo contro il fondo, e anche allora dobbiamo raschiare con tutta la meticolosità di cui siamo capaci, per assicurarci che non ci sfugga nulla, non il minimo granello di pensiero, neanche il più minuscolo e innocente - perché se siamo stati costretti ad arrivare a quel punto, un motivo ci dovrà pur essere, non credi? (pausa) No. Non è piacevole. Né per noi, né per loro. (pausa) Sai quanti... figlioli sbandati ospitiamo in questa struttura?
EVANDRO Trecento circa.
SIG. CUGINO (sorpreso) Sai che non mi aspettavo una risposta? Mannaggia, mi hai tolto il gusto di farti una sorpresa. Peccato. (pausa) Trecentodieci. No, scusa, che vado dicendo - trecentosette. Tre ci hanno... lasciato... ieri. Non torneranno mai più. Ah, ma ne arriveranno altri, purtroppo. (pausa) Come sapevi?
EVANDRO Voci.
SIG. CUGINO Voci? (si infuria gradatamente) Quali voci? Le voci di chi?
EVANDRO Circolano voci.
SIG. CUGINO Che infamità! Voci su questioni del più stretto riserbo! Voci su- Ma se tu le hai sentite, queste voci, saprai anche a chi appartengono, no? Bene, bene. Allora - cominciamo a fare sul serio, cuginetto, ti va? Ieri abbiamo fatto giro turistico, presentazioni e ambientamento. Oggi ci mettiamo al lavoro, d’accordo? (si toglie la giacca e si arrotola le maniche) D’accordo. Allora, le voci di chi?
EVANDRO Non lo so.
SIG. CUGINO Sono tuo cugino, cazzo! Cosa c’è? Non ti fidi di me ? Non ti fidi di tuo cugino? Forse non ti piace la mia faccia? Ha qualcosa che non va, la mia faccia? Dimmelo se c’ha qualcosa che non va, perché io ci tengo all’opinione che i miei cuginetti hanno su di me. Se c’è qualcosa che non va nella mia faccia, dimmelo, e giuro che rimedio. Non mi piace pensare che dei cuginetti abbiano da ridire sulla mia faccia. Allora, cos’ha che non va, la mia faccia?
EVANDRO Niente.
SIG. CUGINO Niente? Niente? Niente! Ah! E a questo tuo bel cugino, la cui faccia non ha nulla che non vada, non vuoi dire quali voci hai sentito? Se la mia faccia ti piace, cazzo, allora devi dirmi di chi erano le voci che hai sentito! Dimmelo!
EVANDRO Non lo so.
SIG. CUGINO Non lo sai? Non lo sai? Non lo sa! (si guarda intorno, infuriato. Si calma, ma non del tutto. Va alla scrivania e beve un sorso; si calma) Sai cosa c’è, cuginetto? Ti potrà sembrare strano, ma ti credo. (pausa) Tu sei uno che dice quello che pensa. Se dici di non sapere una cosa, è probabile - anzi, è sicuro che non la sai. (pausa) Sono desolato, ho perso la pazienza con te – non lo meritavi. Una sfuriata indegna. (pausa) Ti chiedo perdono. (si inginocchia ai piedi di EVANDRO) Di tutto il cuore. Potrai mai perdonarmi, cuginetto? Nella vita si compiono azioni di cui in seguito ci si pente, e Dio solo sa se poi non si vorrebbe in qualche modo rimediare. Rimediare, oh sì. (pausa) Ma lo Zio dice sempre che “l’unico modo per rimediare a certe cose è non farle”. Così dice. E credo proprio che questo sia uno di quei casi. Le mie urla non posso più tirarle indietro, no? Oramai le hai udite. Gli ossicini delle tue acute orecchie hanno vibrato e gli impulsi hanno raggiunto il cervello. Te le ricordi, non è vero, le mie urla? Magari ricordi anche le mie precise parole. (pausa; si rialza) Purtroppo, con le parole, è così. Si dicono, e dall’altra parte c’è sempre qualcuno pronto a ricordarsele, anche se non vorremmo. Ora, tu mi hai parlato di certe voci che girano. Voci veritiere, in questo caso, ma non per questo meno sconvenienti. E io, ti giuro, vorrei dimenticarmele le tue parole, ma proprio non ci riesco. Proprio no, davvero. Cazzo. Se potessi riuscirci, tenterei in tutti i modi di dimenticarmi, ma so già che è una partita persa. Mi conosco. Sono anni che mi conosco. (pausa) Quello che voglio dire – non so se sono abbastanza chiaro quando parlo, cuginetto – è che mi hai messo una pulce nell’orecchio e che intendo scacciarla - a tutti i costi, dovessi rivoltare il mondo. Perché quella pulce mi dà fastidio e finché non se ne sarà andata via non avrò pace. Ora, tu mi dici - e io ti credo, non dubitare - che non sai da chi scaturiscono quelle voci che ti sono giunte. Perfetto. Difatti, è perfettamente possibile che tali voci ti siano state riferite da qualcuno – qualcuno che non ne è l’autore - e per questo fai benissimo a dire che non sai chi per primo abbia messo in giro queste voci che tanto mi infastidiscono. Però è possibile che chi te le ha riferite conosca questi importuni chiacchieroni. E chi potrebbe averti riferito delle voci, se non qualcuno che ti è vicino? Tanto vicino da fidarsi di te, e da fidarsi tanto da riferirti delle voci? 
EVANDRO Cosa...? Chi...? Cosa intendi fa-
SIG. CUGINO (fa di no col dito) Ah-ha-ha! Non dimentichiamoci le buone maniere. 
EVANDRO Ma che diavolo-
SIG. CUGINO Ca-a-a-a-a-azzo! (si inalbera) Io per te sono il signor Cugino! Hai capito, testa di cazzo? Non osare mai più darmi del tu! Non ti permetto certe libertà! Non ti permetto alcuna libertà, cazzo! Tu non sei libero! Tu sei qui dentro! Tu sei mio! Tu fai quello che ti dico io! Mangi quello che ti dico io! Bevi quello che ti dico io! Dormi quando ti dico io! Caghi quando ti dico io! Dici quello che ti dico io! Sogni perfino quello che ti dico io! Hai capito, emerita testa di cazzo? Hai capito?
EVANDRO (debolmente) Sì, signor Cugino.
SIG. CUGINO (a malapena soddisfatto) Ora, o mi dici che prima ti sei sbagliato - che ti sei confuso perché in quella testa di cazzo che hai c’è un casino di merda che non ti ci raccapezzi più - e mi riveli chi mette in giro le voci, oppure sarà tua moglie. O tuo padre! O tua madre! O chiunque cazzo ti è parente, amante, confidente, segretario, lustrascarpe e strusciaculo! (pausa) Forse ho capito qual è il problema. Tu ti senti solo, e domattina al tuo risveglio vuoi trovarti accanto tua moglie. Desiderio legittimo. Come si chiama? Anna? (mentre sposta la sedia del prigioniero con tutto il prigioniero di qualche centimetro:) Facciamo posto ad Anna! E chi ci vogliamo, poi? La signora Adele? Babbo Sergio? (c.s.) Facciamo posto anche a loro! 
EVANDRO Lasciali stare!... signor Cugino.
SIG. CUGINO Hai già assaggiato i nostri manganelli. Vuoi che li assaggino anche loro? O magari credi che ci fermeremo lì? Te l’ho detto: non ci sarà persona che ti conosca cui non faremo visita. Vuoi davvero che centinaia di persone vengano prelevate alle due di notte, rinchiuse qui dentro alle tre, picchiate alle quattro, svegliate alle cinque, malmenate alle sei, torturate dalle sette fino al mattino successivo esclusi i pasti e tutto questo perché vuoi farmi credere che sei un cretino del cazzo, che non sa chi gli passa delle voci? (pausa) Lo vuoi davvero?

Buio.


SCENA 5

Sala dell’interrogatorio (set di luci fisso). Pomeriggio. Presente in scena: EVANDRO. 
Rumori di strada.
Subito, tutte le luci singole (cessano i rumori esterni) e la luce-macchia di sangue. Poi, lentamente, il set fisso. 
L’orologio (parete destra) segna le 15:00. EVANDRO è legato alla sedia. La macchia di luce rossa è ora più scura (sangue raggrumato).
Si ode un rumore di passi pesanti. La porta della Sala si apre e si richiude. Entrano HECTOR e KATRIN, chiacchierando.

HECTOR Cognato! 
EVANDRO (terrorizzato) Hector!
HECTOR Ci rivediamo. (Pausa) Ho paura che ci rivedremo ogni giorno, sai.
EVANDRO Hector, ti prego, non-
HECTOR (cenno di no col dito) Ah-ha! Shh, non parlare. Non si parla con noi. Per quello c’è... (non ricorda, si rivolge alla collega)
KATRIN Il Cugino.
HECTOR Si fa chiamare così? Che coglione.
KATRIN (fa semplicemente un cenno d’assenso)
HECTOR Beh, se lui è il Cugino, noi che siamo?
KATRIN Nipote. E Nipotina. (ridono)

Una luce singola illumina di rosso una rastrelliera appoggiata a una parete. Sulla rastrelliera, manganelli e mazze di tutti i tipi e dimensioni. I due si dirigono verso la rastrelliera. Prendono in mano i bastoni, li soppesano, tirano dei colpi di prova all’aria, scelgono un’arma ciascuno. Poi tornano da EVANDRO. La luce sulla rastrelliera si spegne.

HECTOR (al prigioniero) Vediamo se oggi sei in forma. Come ti chiami?
EVANDRO Evandro! Sono tuo cognato! Mi hai segnala-
HECTOR Sbagliato! Sei Evandro, un cospiratore.
KATRIN A noi non piacciono i cospiratori.
HECTOR Siamo allergici, capisci? (imbavaglia EVANDRO)
KATRIN Cominciano a prudermi le mani.
HECTOR Eh, sarà l’allergia.
KATRIN Il medico mi ha detto che può essere molto fastidiosa e pericolosa.
HECTOR Allora dobbiamo fartela passare. Vogliamo cominciare? (galante, alla collega) Madame?
KATRIN Gambe?
HECTOR E gambe sia!

KATRIN sferra un colpo di manganello alle gambe di EVANDRO. Ogni volta che qui si dirà “colpisce” o “colpiscono”, sulla scena si spengono le luci del set fisso per un istante (il tempo dell’apparente impatto) e si riaccendono subito dopo (sul movimento di ritorno del manganello), mentre la macchia di luce rossa (il sangue) ogni volta si allarga leggermente e diventa un poco più chiara (sangue fresco che fluisce). EVANDRO, imbavagliato, emette mugolìi.

KATRIN Mi sento già meglio.
HECTOR Ne sono sicuro, mia cara. Solo a guardarti, mi sento meglio anch’io.
KATRIN Perché non vuoi parlare, stronzo?
HECTOR Non lo trattare così! È l’unico cognato che ho!
KATRIN Sai cos’ho scoperto durante la pausa-pranzo? 
HECTOR Cosa?
KATRIN Che questo pezzo di merda di tuo cognato una volta è stato sgarbato con la mamma.
HECTOR Si conoscono?
KATRIN Andavano in villeggiatura nello stesso paesino sul mare. Un giorno questo figlio di puttana ha fatto qualcosa che non doveva fare. Mamma gliel’ha fatto gentilmente notare, ma lui non solo non si è scusato, ma ha tirato dritto per la sua strada.
HECTOR Che figlio di puttana. Cos’ha fatto?
KATRIN Non lo so. Mamma non se lo ricorda.
HECTOR Sarà stata una sciocchezza. Questo stronzo di mio cognato è un signore perbene, che credi?
KATRIN (dopo un tempo) Non importa.
HECTOR Non importa, già. Una sgarberia è una sgarberia, dopotutto. Cognato caro, come vedi io ce la metto tutta per difenderti, ma tu non mi agevoli le cose. Litigare con una anziana, rispettabile signora... Non si fa. 
KATRIN Sai che ti dico? Non importa.
HECTOR Cosa?
KATRIN Delle incomprensioni con la mamma.
HECTOR (stupito) Katrin!
KATRIN Aggrapparsi a una motivazione concreta sarebbe come svilire il nostro compito.
HECTOR (c.s.) ?
KATRIN Punire per una colpa commessa è ordinario. Punire per punire è più elevato. Un gesto slegato da zavorre che appesantiscono l’atto. Il gesto come ragione pura. Astrazione. Idealismo. Perfezione. (volge lo sguardo verso HECTOR:) Schiena?
HECTOR Buongustaia. Di già?
KATRIN Ti prego.
HECTOR Forza, allora! (KATRIN colpisce da dietro. Subito dopo, HECTOR colpisce dal lato opposto) Hai ragione, mi sento molto meglio!
KATRIN Ne ero sicura.
HECTOR Però è pur sempre mio cognato. Mia cognata mi chiede continuamente notizie di lui. 
KATRIN Ma guarda.
HECTOR Ogni sera con mia moglie andiamo a farle visita.
KATRIN Gentili.
HECTOR Ma forse presto sarà lei a fare visita a noialtri, qui.
KATRIN Oh?
HECTOR Questo pezzo di merda non parla!
KATRIN Ci sarà pure un modo!
HECTOR Forse dovrebbero dargli un incentivo. 
KATRIN Che vuoi dire? 
HECTOR Come si dice? Usare il bastone e la carota. Dargli la carota quando fa il bravo e dargliele col bastone quando fa il cattivo. (KATRIN ride) Cosa c’è da ridere?
KATRIN Non sai quello che dici! “Usare il bastone e la carota” ha un altro significato.
HECTOR Dici sul serio? (KATRIN lo guarda come a dire: “Ho mai detto una cosa non seria?”) Cosa vuol dire allora?
KATRIN Hai presente i carretti trainati dagli asini? I contadini legavano una carota a un filo, che pendeva da un bastone e tenevano il bastone in modo che la carota fosse a qualche centimetro dalla portata dell’asino. Quei bastardi figli di puttana non la davano mica la carota all’asino: l’asino si muoveva perché vedeva la carota vicinissima davanti a sé, ma il contadino faceva bene attenzione a tenerla sempre qualche centimetro più in là. L’asino trainava il carretto, nella vana speranza di raggiungere la carota, e la carota alla fine se la mangiava il contadino quando arrivava a destinazione. 
HECTOR Che pezzi di merda, questi contadini. 
KATRIN (dopo un tempo) Testa?
HECTOR Ottima scelta. Prego. Ma attenzione agli schizzi. (KATRIN tira fuori un paio di occhiali da sole e li indossa. Colpisce ripetutamente) Basta così! (KATRIN colpisce ancora) Fermati, o l’ammazzi!
KATRIN Ooh, ancora uno! (sguardo supplichevole al collega e prima che possa ricevere risposta, colpisce)

Buio.


SCENA 6

Sala dell’interrogatorio (set di luci fisso). Il giorno dopo. Mattina. Presente in scena: EVANDRO. 
Rumori di due gatti che litigano.
Subito tutte le luci, ma lentamente (cessano i rumori esterni).
L’orologio (parete destra) segna le 4:00. EVANDRO è legato alla sua sedia; non è più imbavagliato. Appare ancora più malconcio di prima. Vesti lacere. Ai suoi piedi, la macchia di luce rossa è scura (sangue raggrumato) e delle dimensioni raggiunte alla fine della scena precedente.
EVANDRO è addormentato. Viene svegliato dalla porta metallica che si apre e si chiude: entra il SIGNOR CUGINO. Porta con sé due sacchetti pieni di libri. Li poggia per terra ai piedi della scrivania. Poi va dietro la scrivania, apre il cassetto, beve, richiude il cassetto. Torna ai sacchetti; ne solleva uno e ne scarica il contenuto in un angolo della scena, che subito dopo viene illuminato da una luce singola: si tratta di una montagnetta di libri. SIGNOR CUGINO torna al centro della scena, da EVANDRO, che è tanto malconcio da aver seguito a malapena il tutto. Probabilmente non l’ha fatto neppure.
Nel corso della scena, la macchia di luce rossa si scurisce sempre più e contemporaneamente si restringe, fino a un lumicino - molto, molto gradatamente. Scomparirà del tutto alla morte di EVANDRO.

SIG. CUGINO Sai cosa- (si accorge che EVANDRO non lo sta ascoltando) Oè, sveglia! Mmf. I ragazzi esagerano. (lo scuote) Su, su. Mi senti? (EVANDRO dà segni di coscienza) Bene. (pausa) Accidenti, ho una voglia di- ehi tu, sai che ho una stramaledetta voglia di un sigaro? Sai che mia moglie me li ha proibiti? Te l’ho detto, no? Dice che mi fanno male alla salute. E all’alito. E lo Zio non vuole che si fumi qui dentro. Ci tiene, a cose come queste. Non so se per la salute o per l’alito. No, no: per il decoro e tutto. E difatti io non fumo. Mi hai mai visto fumare, qui dentro? Mai! Perché ti rispetto. Sìssignore, ti rispetto. Anche i non-fumatori hanno i loro diritti, e questo è uno stato di diritto, diamine! (pausa)
Vedi quei libri laggiù? Li riconosci? Sono tutti opera tua; sono le tue opere. Una copia per ogni esemplare. Non ne manca nemmeno una. Non puoi alzarti e andare a controllare, ma fidati. Non dico bugie. Sono tutte là. Ebbene, sai che ti dico? Io ho la vescica debole. Chissà, forse sono stati tutti i sigari che mi sono fumato in santa pace in tutti questi anni, prima che mia moglie si fissasse con questa storia dell’alito e della pressione alta. Oppure è semplicemente l’età. Tocca a tutti, prima o poi. Basta arrivarci. (va verso la montagnetta di libri; spalle al pubblico, si sbottona i pantaloni e si sente uno scrosciare mentre urina sui libri) Ecco fatto. (si riabbottona i pantaloni) Per qualche ora credo che il mio piccolo problema sia risolto. Che ne dici, eh? (pausa) Stamattina non hai voglia di parlare? È troppo presto? Ma no che non è troppo presto. D’altronde vedo benissimo che non hai dormito stanotte. Qualche dolorino di troppo? Ma si rimedia a tutto, si rimedia a tutto. (pausa) Perché non mi parli? (pausa) Vuoi farmi sentire in colpa per quello che ho fatto ai tuoi libri? Ah, ma non ti devi dispiacere troppo. Vedi quell’altro sacchetto laggiù? Anche lì ci sono le tue opere. Una copia di ognuna. Se potessi alzarti, magari ti farei andare a controllare. Purtroppo ti dovrai fidare anche questa volta. Ma io sono un uomo degno di fede, te l’assicuro. Fidati anche su questo! (pausa. Va a prendere uno dei libri dal sacchetto appoggiato alla scrivania; la copertina è identica a quelle dei libri “oltraggiati”) Queste sono le ultime edizioni delle tue opere. Ristampate secondo tutti i crismi. Persino la copertina è uguale. Ovviamente, qualche piccola differenza c’è. Non esistono le copie perfette. Leggerissime imperfezioni si possono sempre verificare nel processo di copia e ristampa. Vuoi dare un’occhiata? Vuoi sincerarti? Guarda! (in modo da rendere visibile al pubblico il contenuto del libro, gli sfoglia il libro davanti: si tratta di pagine tutte bianche, completamente bianche). Candido! Stupefacentemente candido! Potresti crederci? Mi sbagliavo! Neanche la più minuscola imperfezione! Nemmeno una, dico una, macchiolina d’inchiostro in tutte quelle pagine. Non come prima, con tutti quegli scarabocchi... (pausa) Cuginetto, che c’è? Ma mi stai a sentire? Non farmi sentire inutile, sii buono con me. (pausa) Vorrei farti una domanda. Posso? Beh, dài, posso. Secondo te, se per caso fumassi un mezzo sigaro - sempre che tu me lo consenta, ovviamente - se ne accorgerebbe qualcuno? Voglio dire, qui ci siamo solo noi due, no? Mia moglie è a casa – non si sveglierà prima di tre ore. Lo Zio sarà di sopra - lui non dorme mai, sai? Ma il puzzo non arriverà fin lassù, no? Ci sarebbero le guardie... ma qui entrano solo in... determinate occasioni, l’avrai notato pure tu. Quindi... che dici? M’arrischio? (pausa) Perché non mi parli più, cuginetto? Sei stanco? Non hai voglia? Non mi vuoi parlare, ti ho offeso in qualche modo? Dimmelo, se ti ho offeso, e cercherò di rimediare. Giuro. Giurin giuretto. (pausa; comincia ad agitarsi) Questo non è tollerabile. Non puoi decidere di stare zitto. Non è una decisione che spetta a te. Il silenzio sta a me importelo. È una questione di ordine mentale. Non è possibile che ciascuno faccia la prima cosa che gli salta in testa. A stabilire cosa si deve e cosa non si deve fare dev’essere l’autorità. Tu non puoi stare zitto per conto tuo. (pausa; si dirige verso la scrivania) Ti dirò la verità: a me non importa un fico secco se parli o stai zitto; se ritratti o persisti; se confessi o neghi; se ti pieghi o combatti: rimarrai qui comunque. Contaci. Una volta entrati, non si esce. Quindi, se tu rimani lì in silenzio, ottieni solo di risparmiare le mie povere orecchie. Però- (pesca un bavaglio da un cassetto) però non puoi stare zitto perché lo hai deciso tu. Perché t’è venuto il ghiribizzo. Tu devi stare zitto perché te lo impongo io. Soltanto così il tuo silenzio acquisterà veramente un senso. Soltanto così a tutto l’universo sarà chiaro chi è il più forte qua dentro. Chi ha ragione. Chi può far valere la sua ragione. (lo imbavaglia) Che diamine, ti sta pure bene. Si vede che sei abituato a portarlo. Che eleganza, che nonchalance! Beh, senti, sai che ti dico? Io un mezzo sigaro me lo fumo. Con permesso. (prende un sigaro dalla scatola, lo accende e fuma) Ah! Erano settimane che non ne accendevo uno. Senti che buon odore? Come si fa a detestarlo, dico io... (EVANDRO reclina la testa; rimane immobile; è morto - quanto alla macchia di luce, vedi sopra) Cos’è? Mi svieni per il fumo? Sopporti le bastonate e mi svieni per il fumo? (all’esterno, un gatto miagola solitario) Da non crederci. Ah!

SIGNOR CUGINO continua a fumare per qualche secondo. Va alla scrivania, beve. Fuma. Intanto fissa EVANDRO, che non si muove. Si insospettisce. Si alza e va a controllare.

SIG. CUGINO (controlla le pulsazioni o il respiro; col sigaro ancora in mano:) Che cazzo, mi è morto.

Lentamente, buio.


SCENA 7

Soggiorno-ingresso della casa di Hector (illuminazione piena). Quella sera. Presente in scena: MOGLIE. 
Luci.

MOGLIE (sta sistemando in casa; si sente bussare) Arrivo! (apre, ed entra HECTOR; in tono basso e depresso:) Bentornato.
HECTOR Ciao cara. (comincia a svestirsi e a posare i suoi accessori)
MOGLIE (sempre con un tono depresso; abbiamo l’impressione che debba dire qualcosa d’importante ma che rimandi continuamente) Oggi ho fatto la spesa.
HECTOR Cosa hai preso di buono?
MOGLIE Un... po’ di roba. (pausa) I prezzi stanno aumentando, sai.
HECTOR Dici?
MOGLIE Sì.
HECTOR È strano, però. La televisione insiste che sono stabili.
MOGLIE Eppure stanno aumentando. Di mese in mese. 
HECTOR Ti starai sbagliando. Che vuoi saperne tu? C’è gente pagata apposta per evitare che ciò avvenga; gente pagata apposta per verificare e analizzare; gente pagata apposta per intervenire. E tu vuoi saperne più di loro?
MOGLIE (spallucce, non volendo insistere troppo) Con la stessa somma ho portato a casa di meno.
HECTOR Ti avranno fregata. Tu non andare più da quelli.
MOGLIE Tutto... bene, al lavoro?
HECTOR Non mi lamento.
MOGLIE Buona giornata?
HECTOR Sì. A mensa si mangia peggio, ultimamente. Pare che il cuoco sia ammalato e che ora la cucina sia diretta dal vice.
MOGLIE Hai... saputo?
HECTOR Cosa?
MOGLIE Di Evandro.
HECTOR (fissa per terra, si direbbe dispiaciuto) È morto.
MOGLIE Hanno fatto di tutto per salvarlo, ma... (è sull’orlo del pianto)
HECTOR Non ce l’hanno fatta.
MOGLIE Ma come può essere- 
HECTOR Stanotte, nella sua stanza. La sorveglianza medica non se n’è accorta - è stato un attacco improvviso, fulminante. Avrei evitato di dirtelo, ma… Chi te l’ha-? Anna? (MOGLIE annuisce) Proprio quando avevano chiarito tutto. La mattina lo avrebbero rilasciato, era stato tutto un equivoco. E tutto per… per… per una stupida appendicite-
MOGLIE (sorpresa perché...) Appendici- ? (recupera; lungo silenzio. I due si guardano e decidono tra loro che è meglio non aggiungere altro) Mia sorella è distrutta, Hector. Devo andare da lei. Devo andare a trovarla.
HECTOR Immagino. Però è un bene che si trovi già in ospedale, dal figlio. Dovesse avere qualcosa... un malore... I medici possono intervenire immediatamente.
MOGLIE Dici? Ma senti... come facevano a sapere che Anna era all’ospedale? In quell’ospedale?
HECTOR Gliel’avrà detto Evandro. Avrà detto loro del figlio.
MOGLIE Devo starle vicina, Hector. Devo starle vicina.
HECTOR Certo. Sono tempi difficili.

Sul divano, MOGLIE piange sulla spalla del marito.
Lentamente, buio.
Buio per una decina di secondi.


SCENA 8

Ufficio dello Zio (illuminazione piena). La mattina seguente. Presente in scena: LO ZIO.
Lentamente, luci.
LO ZIO è seduto alla sua scrivania (rivolto verso il pubblico). Sta esaminando delle carte. Si sente bussare, guarda in direzione del rumore, fa cenno di entrare; subito dopo entra SIGNOR CUGINO.

ZIO Si sieda.
SIG. CUGINO Grazie.
ZIO Qualcosa da bere?
SIG. CUGINO No, grazie.
ZIO (molto affabile e cordiale; da buon pater familias) Sto seguendo con attenzione la sua carriera, figliolo. (pausa) Constato con piacere che non le manca l’abnegazione, la determinazione e una certa intelligenza – che in misura non eccessiva fa sempre comodo (ridono). Mi riferiscono che la sua sezione è particolarmente attiva. Ed è un bene che sia così, perché il vostro è un settore estremamente delicato. (pausa) Cosa sarebbe questo Paese senza una guida sicura? Io ce la metto tutta. Se mi trovo qui; se siedo dietro questa scrivania; se dirigo direttamente decine di uffici, centinaia di operazioni, migliaia di funzionari e milioni di cittadini, è perché lo spirito di sacrificio non mi manca; perché credo in qualcosa che sta più in alto di me e di noi tutti. (pausa) Ma mi scusi, sto sottraendo del tempo prezioso alle sue meritevoli occupazioni con le retoriche parole di un vecchio ancorato ai suoi valori. (pausa) Valori ben precisi. (pausa) Quanti, nella Sezione politica?
SIG. CUGINO Trecentosei.
ZIO Trecentosei, già. (si adombra) Uno di meno. (SIGNOR CUGINO non capisce) Io apprezzo molto la passione che tutti i miei uomini mettono nel loro lavoro. Un lavoro fatto senza passione è come un lavoro non fatto. “Se sei uno spazzino del Paese, cerca di essere il miglior spazzino del Paese!” Sagge parole. “Se sei un dirigente della Sezione politica, cerca di essere il miglior dirigente della Sezione politica”. Vero?
SIG. CUGINO Ci provo, signore.
ZIO Provarci non è sufficiente, figliolo. E nonostante tutte le sue qualità, io temo che lei non stia provando abbastanza. Non basta essere efficienti. Noi mettiamo in campo dei valori nei quali la gente possa identificarsi; noi dobbiamo costituire l’esempio, il modello da seguire. Solo così potremo riformare questa società caduta per il declivio della perdizione morale e sociale. (pausa) Io temo che lei abbia perso di vista questi valori.
SIG. CUGINO Signore? Io-
ZIO Ieri si è verificato un decesso, nella Sezione politica.
SIG. CUGINO È vero.
ZIO (sbatte il pugno sul tavolo) Certo che è vero!
SIG. CUGINO Non volevo dire que-
ZIO Stia zitto, diamine! (si passa la mano sul volto, cerca di calmarsi) Sappiamo tutti qual è la funzione della Sezione politica. I decessi vi rientrano fisiologicamente. Ma esistono cose che non tollero, perché vanno contro i valori sulle cui fondamenta stiamo cercando di ricostruire questo Paese. (pausa) Nella cella 145 sono stati compiuti dei gravi atti di abuso. (l’altro accenna a protestare) Silenzio. La fonte è attendibile. (pausa) Il nostro è uno stato di diritto, perdio, e come tale deve essere percepito da tutti - dal più infimo dei cittadini al più alto dei dirigenti e da me stesso, persino! 
SIG. CUGINO La tortura fa parte del protocollo-
ZIO So benissimo cosa rientra nel protocollo. Si ricordi, giovanotto, che l’ho scritto io, il protocollo. 
SIG. CUGINO Allora cosa-
ZIO (rivolto alla porta) Entri pure.

Entra KATRIN in divisa.

SIG. CUGINO Cosa-
ZIO (fa un gesto a KATRIN come a dire: “parla”)
KATRIN Se mi è permesso, signore, nella 145 si è verificato un episodio di contravvenzione del Regolamento generale per gli uffici. 
SIG. CUGINO (ha capito) Oh, no...
KATRIN Nella cella 145 si è fumato e bevuto alcolici, signore. L’inchiesta interna ha individuato il responsabile nel dirigente qui presente.
ZIO Si rende conto, figliolo?
SIG. CUGINO Ma... in fondo, cos’è? Ha detto lei stesso che la mia efficienza-
ZIO Non dica a me quello che ho detto! Non si permetta! So benissimo quello che ho detto: “Non basta essere efficienti; noi dobbiamo costituire il modello da seguire”; questo è quello che ho detto. Intende negarlo?
SIG. CUGINO No, signore.
ZIO (mentre parla, si passa dall’illuminazione piena a quella del set di luci fisso) A lei, giovinastro, potrà sembrare una bazzecola. Nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore, penserà che sono un vecchio arteriosclerotico con manie ridicole. Sarò franco con lei. Quello che pensa lei non è assolutamente rilevante. L’unico pensiero rilevante qua dentro è il mio. (ZIO nota che SIGNOR CUGINO trema) Se non riesce a seguirmi, userò parole più semplici: qui si fa come dico io. Non importa quanto strane possano sembrare le mie regole; quanto stupide; quanto marginali; quanto irragionevoli; quanto assurde; quanto folli; quanto insane; quanto dannose; quanto rovinose; quanto inopportune; quanto malvagie; quanto sadiche; quanto atroci; quanto inosservabili; quanto inique; quanto personali; quanto immorali; quanto empie; quanto scellerate; quanto perverse; quanto incoerenti; quanto confliggenti - non importa, e sa perché? Perché le ho fissate io. Razionalmente? Arbitrariamente? Non importa, perché le ho fissate io. (pausa) È chiaro, questo? (l’altro, tremante, non risponde) Le ho fatto una domanda, giovanotto. Risponda! È chiaro, questo?
SIG. CUGINO S-sì.
ZIO E allora, grandissimo stronzo cazzone figlio di puttana di merda che non sei altro, mi spieghi perché cazzo hai fumato e bevuto nella cella 145?
SIG. CUGINO Io non... so.
ZIO (ricomponendosi) Lei è una delusione. Puntavamo molto su di lei. Aveva tutto a portata di mano. (a KATRIN) La cella 145 è ancora libera?
KATRIN (compiaciuta) Sì, signore.
ZIO Signorina, lo affido alla sua custodia in attesa della conferma della disponibilità della Sezione disciplina.
KATRIN Bene, signore. (tira fuori un paio di manette. Ammanetta SIGNOR CUGINO che non oppone resistenza; lo spinge verso l’uscita) Cammina.
SIG. CUGINO (come svegliatosi da una trance, si gira verso lo ZIO e lo implora) Signore, ho sbagliato, è vero. Ma non succederà più. Ho moglie e figli. Cosa ne sarà di loro? Senza di me... La prego, se c’è un modo per rimediare, io... io... di tutto, signore, di tutto (si prostra, letteralmente; ZIO aspetta che riacquisti una parvenza di dignità, ma la cosa sembra possa andare per le lunghe; spazientito, fa cenno a KATRIN di raccoglierlo da terra e di portarlo via; KATRIN esegue. Escono, mentre ZIO si riaccomoda dietro la scrivania e si torna all’illuminazione piena)
ZIO (prende in mano le carte che stava esaminando all’inizio della scena) Ho sprecato fin troppo tempo. Forse non vado ripetendo che “l’unico modo per rimediare a certe cose è non farle”? 
(pausa; volta una pagina, poi tra sé:) Che cazzo.

Buio.

Fine.