Il sogno di Pablo

di

Tommaso Santi



Personaggi:
Renè, 55 anni
Belinda. 40 anni
Pablo, 20 anni
Caruso, 35 anni


La scena si svolge nella casa dove vivono Renè, sua moglie Belinda e suo figlio Pablo. Al centro della scena c’è un’ampia sala da pranzo con cucina, ai lati di questa, separate da due pesanti tende di stoffa grigia, ci sono due camere molto piccole, sulla sinistra quella di Pablo, sulla destra quella dei genitori.
La sala da pranzo è arredata con vecchi mobili laccati, sporchi e un po’ sciupati. Sullo sfondo c’è la cucina: il piano cottura, un lavandino, alcuni scaffali chiusi, un vecchio frigorifero un po’ rugginoso e un secchio della spazzatura. Accanto alla cucina, sulla sinistra, una porta che dà sul corridoio d’ingresso della casa che noi non vediamo. Ai lati della sala da pranzo, sulla sinistra, c’è un attaccapanni di metallo e un piccolo scaffale con una zampa rotta, sostituita da un mattone. Nello scaffale sono disposti in ordine grossi volumi di un’enciclopedia, alcuni souvenir di cattivo gusto, una cornice con una fotografia sbiadita e una radio portatile piuttosto grossa; sul lato destro delle sala da pranzo c’è una piccola dispensa chiusa, sopra la dispensa un vaso di fiori finti. Al centro della sala da pranzo un tavolo con le gambe di metallo e il piano di compensato plastificato, con due sedie. Entrambe le camere non hanno porte, ma tende, e sono arredate soltanto con un letto, un comodino e una piccola lampadina da tavolo.



Atto Primo

La luce si alza lentamente, illuminando soltanto la sala da pranzo, dove un donna in camicia da notte sta amoreggiando con un uomo in divisa militare. La donna è Belinda, ha quarant’anni ed è ancora molto bella; l’uomo è Caruso, 35 anni, ufficiale medico dell’esercito. I due sono abbracciati accanto al tavolo, dove sono stati abbandonati in disordine la giacca, il cappello , la borsa e la fondina con la pistola del militare. 
Belinda e Caruso si baciano appassionatamente, lei gli sbottona la camicia, spingendolo verso la sua camera da letto; lui, pur continuandola a baciare, la spinge in direzione opposta, fin quando non si allontana di scatto e le mette una mano sulla bocca. 

Caruso - (Sottovoce) Dai, ci sente.

Belinda – (Si libera della mano di Caruso e riprende a baciarlo) Dorme, non preoccuparti. 

Caruso – Dovrei essere già andato, è tardi.

Belinda – Butta l’orologio.

Caruso – Tornerò domani...

Belinda lo interrompe con un altro bacio, gli prende la testa tra le mani, l’accarezza.

Belinda – Come sei bello. 

Caruso – (Scherzando, si allontana da Belinda) Sono un medico militare in servizio, il regolamento...

Belinda – Caruso, io voglio passare la vita con te.

Caruso – (Riprendendola a baciare con passione). Anch’io, anch’io, anch’io... 

Belinda – Perché non possiamo?

Caruso – Lo sai, Belinda.

Belinda – Scappiamo insieme. Io e te! 

Caruso – Dove vuoi andare?

Belinda – Non importa ... Voglio liberarmi di tutto...

Belinda riesce finalmente a sbottonare la camicia di Caruso che ormai non fa più resistenza e si fa trascinare verso la camera.

Caruso – Sono qua per curare tuo figlio.

Belinda – L’unica persona che devi curare qua dentro sono io.

Caruso – Tornerà tuo marito.

Belinda – E’ presto, non arriverà prima dell’alba.

Caruso abbraccia Belinda, comincia a sbottonarle a sua volta la camicia da notte. 

Belinda – Ci vedesse una buona volta.

Caruso - Ti amo.

Belinda e Caruso entrano baciandosi nella camera da letto, si buttano sul letto abbracciati.

Belinda – Dimmelo...

Caruso – Ti amo, ti amo ti amo

Belinda – Non ci credo.. cosa ho fatto per meritarti?

Mentre Belinda e Caruso sono in camera, si sente aprire la porta di casa. E’ Renè che sta rientrando da lavoro, i due amanti non si accorgono di niente.

Caruso – Sei nata bella...

Belinda – Un giorno troverai una più giovane...

La porta di casa si apre, Belinda e Caruso si bloccano di scatto, entra Renè: è basso ma piuttosto robusto, è piegato in due dalla fatica e non ha un bell’aspetto. Dimostra di più dei suoi 55 anni. Come spesso gli accade parla da solo e si lamenta biascicando parole incomprensibili. 

Renè – (Si muove lentamente, chiude la porta) Anche per oggi, se Dio vuole.. (Vede un sacco della spazzatura accanto all’ingresso. Si china lo raccoglie ed esce per portarlo via continuando a lamentarsi) Almeno la potrebbe lasciare fuori dalla porta... (Uscendo) Non sente che puzza... 

Non appena Renè è uscito Caruso fa capolino dalla tenda di camera, vede che ha via libera ed entra nella sala da pranzo: ha la camicia sgualcita e sbottonata e i pantaloni aperti. Si risistema in fretta, mentre Belinda è ancora in camera, sdraiata sul letto.

Caruso – E’ Renè…C’è andata bene.

Belinda – (Dalla camera) E’ uno scemo, non si accorge di niente.

Caruso – E’ inutile rischiare.

Belinda si alza da letto ed esce di camera. E’ spettinata e ha il vestito un po’ in disordine, si sistema senza troppa convinzione, mentre Caruso sta continuando a vestirsi, dandole le spalle

Belinda – Mi hai strappato un bottone.

Caruso – Non per altro, ma se tuo marito lo spiffera a quelli del comando…

Belinda gli dà un pizzicotto sul sedere... Caruso si volta e lei fa finta di brontolarlo

Belinda - Sei tremendo, hai sciupato la camicia da notte.

Caruso si è messo la giacca e ha la cravatta intorno al collo 

Caruso - Aiutami a sistemare la cravatta…

Belinda gli fa il nodo e gli dà un bacio sul naso.

Belinda – Sei il mio amore. (Belinda prende il cappello di Caruso e la pistola. Gli porge il cappello e tiene in mano l’arma, guardandola)

Caruso – Dai...

Belinda – (Continuando a guardare la pistola) Hai mai sparato?

Caruso – Sono nell’esercito: secondo te?

Belinda – Intendo: hai mai sparato a un uomo?

Caruso – Sono un medico.

Belinda – Sei un militare.

Caruso – (Prendendo la pistola a Belinda) I medici militari curano i feriti di guerra, non... (Si interrompe non appena sente rientrare Renè)

Renè – Là fuori tira un vento che piega. Finirà questa stagione… (Vede Caruso, che ormai è vestito ed è pronto ad andarsene) Dottore buongiorno, è venuto a visitare il nostro Pablo? Come sta il ragazzo? 

Caruso – Sa, purtroppo...

Renè - Io non lo vedo bene, è di umore strano, è sempre stanco.

Caruso - Nelle sue condizioni.

Renè – E’ irascibile, soprattutto con suo madre. A me dispiace, non è vero? Diglielo Belinda, ogni tanto esplode.

Belinda – Il capitano stava andando.

Renè – Come… va già via?

Caruso – (Indicando una confezione di medicinali sul tavolo) Ero passato a portare le medicine di Pablo.

Renè – L’ha visitato?

Caruso – Lo vedrò nei prossimi giorni, deve passare la visita psichiatrica… 

Renè – Sa cos’è? Secondo me è febbre da solitudine... Ne ha sofferto un mio zio, anche lui rimase a lungo isolato, per via di non so che infezione. Guarito dall’infezione, crollò in uno stato... per via della troppa solitudine

Caruso – Può darsi. 

Renè – Non ha avuto ancora notizia di quelle gambe, eh?

Caruso – La procedura è molto complessa.

Renè – Lei mi capisce, Pablo è giovane... sarà un mese che non esce di casa, in più il tempo che è stato in ospedale. Avesse quelle gambe finte.. mi capisce, no? Potrebbe camminare un po’ alla meglio, potrebbe muoversi, prendere un po’ d’aria.

Caruso – Ha idea di quante persone aspettino degli arti artificiali nelle zone di guerra?

Renè – Immagino, certo.

Caruso – Capirà che i feriti in combattimento hanno la precedenza assoluta.

Renè - Io facevo per chiedere, non volevo sembrarle insistente, mi dispiace per Pablo, si è chiuso in questo suo isolamento.

Caruso – Bene, ora devo proprio andare. Mi raccomando (Mostra a Renè le medicine) due volte al giorno. (Rivolgendosi a Belinda) Signora... 

Belinda – Arrivederci capitano.

Renè – (A Belinda) Non gli hai offerto niente al signor dottore? Un caffè?

Caruso – Lasci, lasci, senza complimenti, sono di corsa.

Renè – Sarà per la prossima volta, non mancherà occasione.. Magari resta a pranzo?

Caruso – Magari. Di nuovo... Arrivederci.

Caruso esce, lanciando un ultimo sorriso a Belinda.

Renè – Arrivederci… 

Belinda entra in camera e indossa una vestaglia, poi rientra in sala da pranzo e prende uno spazzolone e comincia a pulire per terra. Non guarda in faccia Renè e fatica a rispondere alle sue domande.

Renè – Possibile che non si riescano a trovare un paio di gambe finte per Pablo? Quanto tempo è passato dall’incidente?

Belinda – Non è stato un incidente.

Renè – Non l’ha fatto apposta di saltare su una mina.

Belinda – Se l’è cercata...

Renè – Va bene, ma ha aspettato abbastanza.

Belinda – Ha violato la legge. Ha raggiunto il fronte ed è saltato su una mina. Che cosa voleva ottenere?

Renè – Odia la guerra.

Belinda – E allora perché è arrivato fin là?

Renè – Voleva vederla.

Belinda – Se è curioso accenda la radio. Perché non ha fatto come suo fratello?

Renè – Povero Maurizio.

Belinda - Non ha nemmeno aspettato la chiamata, lui. E’ partito volontario e non per levarsi una curiosità.

Renè prende da un mobile una cornice con una fotografia: è un ritratto di Maurizio, Renè lo guarda con tenerezza.

Renè – Ti ricordi quando è andato ad arruolarsi? E’ uscito senza nemmeno dircelo. Aveva in testa il suo cappello rosso, quello buffo, con il copri orecchie e la visiera col pelo con scritto: ALASKA. Pareva un eschimese.

Belinda si sofferma un attimo, poi riprende a pulire, con maggiore energia, senza considerare Renè.

Renè – Certo potrebbero dargliela una licenza. Sono otto mesi che è arruolato e neanche un giorno di licenza. 

Belinda – Siamo in guerra. 

Renè – Appunto, diamogli un po’ di respiro no. Io questa guerra comincio a non capirla, eppure ne ho viste tante.. eee se ne ho viste... Sono d’accordo, intendiamoci, per quello che può valere l’opinione di un vecchio come me: se hanno deciso di fare la guerra ci sarà stato un motivo, ma mio figlio è via da otto mesi e noi non sappiamo nemmeno dove combatte.

Belinda – Non lo sappiamo perché è più sicuro così. In giro ci sono troppe spie e disfattisti, a cominciare da quello di là (indica la stanza di Pablo). Ringrazia che non ci hanno arrestato tutti per colpa sua.

Mentre Belinda continua a pulire, Renè prende da un mobile della cucina una bottiglia d’acqua e un bicchiere, poi siede e con un po’ di fatica cerca di togliersi gli scarponcelli da lavoro.

Renè – Ho poco da ringraziare io, è un momento infame. (Pausa) Sai che pensavo? Forse dovrei andare in pensione. L’età ce l’ho...

Belinda – Fai che ti pare.

Renè – Mi darebbero una bella liquidazione, potremo sistemare la casa..

Belinda – Andrebbe buttata giù questa casa.

Renè – Prima questo mestiere mi piaceva. 

Belinda - Contento te.

Renè - Certo. Mi piaceva fare il becchino perché era, anzi è, un mestiere utile per la collettività. Ma così non posso andare avanti...

Belinda – Siamo alle solite.

Renè – Oggi ho portato all’obitorio sei cadaveri. Credi, con questo freddo, la gente rimane stecchita come zanzare: sei vecchi senza casa direi, morti assiderati, Dio li abbia in gloria. (Pausa) Bene, sai una cosa? Prima con sei sacchi ci tiravi su la provvigione, più dieci-venti pezzi da mille, o almeno una catenina d’oro, un braccialetto, che so... un anelluccio, un orologio... (Finalmente si è tolto gli scarponcelli e li scuote per terra ma subito viene bloccato da Belinda)

Belinda – Vuoi smetterla? Ho pulito adesso.

Renè – Scusa. (Pausa) Insomma, vuoi sapere quanto ho tirato su oggi? La provvigione, s’intende, e poi questo.. (tira fuori da una tasca un fazzoletto di seta, con un ricamo) Ecco, non ci faccio nemmeno bella figura a regalartelo...

Belinda – Che schifo.

Renè - Beh, è pulito, se no non l’avrei preso.

Belinda – Butta via quel fazzoletto, quante volte te lo devo dire? Non voglio che tu prenda roba da vestire. Mi fa schifo. 

Renè - Va bene, va bene, è inutile che ti arrabbi. (Pausa) Insomma, stavo dicendo... Non ne vale più la pena, capisci? Non sono vecchio, ma non sono nemmeno più tanto giovane…

Belinda – Senti, vuoi andare in pensione? Per me va bene, però levati dalla testa di finirmi tra i piedi dalla mattina alla sera.

Renè – A dire il vero il problema è un altro... non è un fatto di soldi. Fosse per me andrei avanti, soltanto... (Si guarda intorno come se temesse di essere ascoltato) Senti, devo confessarti una cosa: abbiamo scoperto che in giro c’è un gruppo di becchini clandestini... Questo non mi piace, fanno un lavoro sporco e rischiamo di finire tutti inguaiati. Raccolgono i cadaveri per le strade senza licenza, e fin qui niente di strano, l’hanno sempre fatto... Il problema vero (Pausa) è che per far soldi non ci pensano due volte ad ammazzare la gente... Capisci? Si appostano in una strada isolata, accoppano un passante, magari lo rapinano e poi lo fanno sparire per qualche giorno. Quando è il momento, lo portano all’obitorio e là nessuno fa domande… tanto si sa, a quelli importa solo che la mattina non ci siano cadaveri per la strada... 

Belinda - (Ha finito di pulire e chiude la conversazione) Comunque questi non sono affari tuoi. (Si toglie velocemente la vestaglia, entra in camera da letto e comincia a cambiarsi) Piuttosto, dammi un po’ di soldi, vado al mercato. Sveglialo tu e fagli prendere la medicina.

Renè – (Apre uno scaffale della dispensa e prende una grossa scatola di latta piena di bustine di zucchero) Come sta?

Belinda – (E’ ancora in camera. Ha indossato il cappotto e si sta pettinando) Come sempre.

Renè – (Alza un doppiofondo dalla scatola e tira fuori dei soldi) Ha dormito? 

Belinda – (Esce di camera e vede che Renè ripone la scatola di latta nello scaffale) Direi di sì, ma ha detto il capitano che deve continuare a prendere i calmanti, hai sentito no? (Renè le porge i soldi, lei li conta e si avvia verso la porta, si sofferma, prende uno specchietto dalla borsa e si passa un velo di rossetto) E’ per il dolore, potrebbe tornargli fuori e sarebbe un problema...

Renè – Bene.

Belinda – (Uscendo) E tu, butta via quel fazzoletto.

Belinda esce.

Renè – A me piaceva. (Tira fuori il fazzoletto ricamato, lo guarda, lo butta nel secchio della spazzatura) Buttiamo via troppa roba in questa casa. Bah... (Si avvicina alla stanza di Pablo, scosta la tenda, senza entrare, e lo chiama) Pablo... sveglia.. Pablo... 

Pablo – (Dalla camera) Che c’è..

Renè – Ti devi alzare. 

Pablo – (C.s.) Sto arrivando. (Pausa) Se n’è andata?

Renè – Sì. Hai bisogno di aiuto?

Pablo – (C.s.) Eh?

Renè – Dico, hai bisogno di una mano?

Pablo esce dalla camera: è su una sedia a rotelle, ha le gambe tagliate all’altezza del ginocchio.

Pablo – Che fai? Prendi in giro.

Renè – Non scherzare, non mi piace che scherzi sulle disgrazie.

Pablo – Ci sono novità?

Renè – Nessuna novità.

Pablo – Il dottore ha detto niente delle gambe finte?

Renè – Niente. Mi dispiace.

Pablo – Mi vuol far schiantare.

Renè - E’ che non c’è disponibilità..

Pablo – Prima mi hanno tenuto prigioniero in quella specie di ospedale, ora mi tengono prigioniero qui. Nessuno mi ha condannato ma per loro sono marchiato.

Renè – Non è questo. I mutilati di guerra hanno la precedenza.. Tutto qua, ti puoi immaginare, no?

Pablo – (Irritato) Ma quale guerra? 

Renè – Andiamo, Pablo, non ricominciare...

Pablo – Lo vuoi capire che non c’è nessuna guerra?

Renè – Non voglio più sentire queste storie. Prendi la tua pasticca e lasciami in pace. (Renè dà a Pablo la pasticca, Pablo la prende ma non la ingoia)

Pablo - E’ una messa in scena: non lo capisci? 

Renè – Non è così.

Pablo – Ah sì? Non sento spari…

Renè – Lo sai benissimo, si combatte di là dal confine, qualche centinaio di chilometri da qua.

Pablo – E’ un’invenzione.

Renè – Se hai perso le gambe è perché c’è una guerra. Una mina di questa guerra ti ha fatto saltare in aria: ringrazio il cielo perché sei vivo, ma prego il Signore che ti faccia ragionare.

Pablo – Lascia perdere.

Renè – Te l’ho spiegato decine di volte.

Pablo – Fammi il piacere, lascia stare. Ho sbagliato.

Renè – Hai raggiunto il confine, sei finito in un campo minato e sei rimasto ferito...

Pablo – Scusa, avevo promesso: non dovevo più parlarne.

Renè – I nostri soldati ti hanno salvato, ma hai violato la legge. (Pausa) Mi dispiace, ma è andata così. Nessun civile può raggiungere il fronte: nessuno. Ragioni di sicurezza e di segretezza. Per questo sei stato arrestato e ora sei qui sotto nostra responsabilità. Siamo in guerra, è normale, no?

Pablo – Non-c’è- nessuna-guerra.

Renè – Ah... Perché non lo chiedi a tuo fratello? Sono mesi che sta combattendo... Un po’ di rispetto, almeno per lui, un po’ di rispetto.

Pablo – Pensala come ti pare, prima o poi lo capirai anche te.

Renè – Non c’è niente da capire. (Pausa. Poi si avvia verso la camera da letto) Ora vedi di non fare confusione ché è stata una nottata terribile. Ho bisogno di dormire.

Renè entra in camera. Pablo si guarda intorno, poi prende la radio che è sullo scaffale.

Renè – (Dalla camera) E prendi la pasticca, ché poi stai male...


Pablo ingoia una compressa e accende la radio. La luce si abbassa fino al buio completo, in sottofondo uno scarno bollettino di guerra letto da una voce metallica, del tutto innaturale.

Radio - Bollettino radiofonico delle nove. Notizie dal fronte. Nord-Ovest. Alleati: 10 feriti, 3 caduti, 5 dispersi; truppe nemiche: 35 feriti, 59 uccisi. Nord-Est. Alleati: 1 ferito, nessun caduto, 2 dispersi. Truppe nemiche: 24 feriti, 73 uccisi. La quota dei nemici catturati è salita a 4596 unità. Il fronte non è avanzato, i nostri soldati combattono valorosamente, si sono registrati atti di eroismo. Prossimo aggiornamento alle undici.


BUIO


La luce si alza lentamente e illumina la sala da pranzo, dove ci sono Pablo e Renè. Pablo ha ancora la radio in mano, cambia continuamente frequenza soffermandosi di tanto in tanto su qualche motivo musicale. Renè è seduto al tavolo davanti alla scatola di latta da dove prima aveva preso i soldi. La scatola è piena di bustine di zucchero, alcune di queste sono sparse sul tavolo: è la collezione di Renè che riordina i suoi “pezzi”.

Renè – Guarda: carina eh? Viene da Praga... come si pronuncerà? U Zlaté hrusky... Oh, questa... questa me la ricordo. L’ho presa in Olanda, ad Amsterdam... Hotel Prinsenkelder... una gita del dopolavoro. Questa invece viene dalla Croazia... Ristorante Korkula, Zagrabia... Carina eh? Un po’ sciupata.. L’importante è che non si apra: una collezione di bustine di zucchero ha un valore se c’è lo zucchero, no? 

Pablo – Mi sembra il minimo.

Renè – A questa ci sono affezionato, l’ho presa in viaggio di nozze... a Parigi, è del Restaurant Polidor... un posto magnifico, romantico... Una collezione è come un album di fotografie, è piena di ricordi. Questa per esempio l’ho presa in un paesino sperduto della Francia... Hotel la Poste, Culan... Non c’era un’anima... solo noi della gita.

Pablo - Che allegria.

Renè – Almeno con il dopolavoro ho visto un po’ di mondo. Ora non è il caso di viaggiare.

Pablo – Nessuno rinuncia alle vacanze. 

Renè – Non mi piace, non mi sembra giusto. Ecco tutto.

Pablo – Io partirei volentieri.

Renè – E’ normale, sei giovane.

Pablo – In questo stato? Sono più vecchio di te.

Renè – Non lo dire, vedrai. E’ questione di tempo.

Pablo – Non credo.

Renè – Avrai le tue gambe, ricomincerai a muoverti e ti dimenticherai di quello che è successo.

Pablo – Io non voglio dimenticare. 

Renè – Non dire sciocchezze. Ci sono delle invenzioni incredibili, robe da non credere. Non penserai mica che ti diano due gambe di legno, eh? 

Pablo – No, neanche quelle.

Si apre la porta ed entra Belinda, carica di borse della spesa. Ha un po’ d’affanno ma è stranamente allegra.

Belinda – Eccomi. (A Renè) Senti ci sono un altro paio di buste giù al portone, scendi a prenderle che non ce la faccio.

Renè si avvia lentamente verso la porta ed esce, mentre Belinda comincia a tirar fuori la spesa dai sacchetti e a ordinarla negli scaffali: il problema è che fatica a trovare posto visto che la dispenza è piena di ogni genere di scatolame. Pablo intanto accende la radio e comincia a cambiare frequenza senza soffermarsi su un programma in particolare, con il risultato di far saltare i nervi a Belinda.

Belinda - O la spengi, o ti fermi su un canale.

Pablo – Buongiorno!

Belinda – (Senza guardarlo) ‘giorno.

Pablo – Fatto un po’ di spesa?

(Belinda continua a sistemare la spesa e biascica un “Sì” incomprensibile)

Pablo – Gran varietà… (Prende una scatola e la guarda con finto interesse) 

Belinda – (Gli toglie di mano la scatola) Lascia stare.

Entra Renè, carico di borse.

Renè – Un paio di buste un accidenti.

Belinda – Aiutami a sistemare questa roba

Renè – Ma che c’è in questo sacchetto, piombo?

Belinda – Pesche sciroppate, erano in offerta, ho comprato qualche lattina... Dicono che c’è una tregua...

Renè – Davvero?

Belinda – Lo zucchero mettilo lì, che in basso arrivano le formiche... Ho preso un bel po’ di zucchero perché non mi fido..

Renè – Di cosa?

Belinda – Se il latte non entra tutto nello scaffale, potremo metterlo accanto al frigorifero, tanto si conserva... Dài qua, ci penso io... Non si sa mai. Adesso combattono lontano, ma bisogna essere pronti.

Pablo alza il volume della radio, fino a renderlo insopportabile

Belinda – Ti ho detto di spengere quella radio.

Pablo abbassa bruscamente il volume.

Renè – (Tira fuori da un sacchetto delle buste di gelatine sottovuoto) E questi che sono? 

Belinda – Oh, è incredibile: ogni gelatina è un pasto completo. 

Renè – Guarda quante ne inventano...

Pablo – (Alzando di nuovo il volume) Primo, secondo e dolce in gelatina... Dev’essere speciale.

Belinda – Insomma, la spengi? Perché non vai a dormire?

Pablo – (Abbassa la radio) Preferisco stare a sedere, farei anche due passi, ma c’è un’arietta che non mi piace

Renè – Smettila, Pablo

Belinda – (A Renè) L’ha presa la medicina?

Pablo – Presa.

Belinda – Il capitano ha detto che ne può prender un paio ogni sei ore... 

Pablo – Non ne ho bisogno.

Belinda – Allora finiscila. Sto perdendo la pazienza

Renè – Pablo vai di là.

Suonano alla porta. 

Renè – Aspetti qualcuno?

Belinda – Chi vuoi che aspetti?

Renè esce dalla sala da pranzo per andare ad aprire.

Renè – Arrivo, arrivo.. (Rientra in preda all’eccitazione, ha una lettera in mano) E’ Maurizio!

Belinda – Ha scritto?

Renè – Sì! 

Belinda strappa di mano la lettera a Renè, la guarda per un attimo e poi straccia la busta. Le si sono illuminati gli occhi, legge sottovoce, sorridendo di tanto in tanto. 

Belinda – Maurizio...

Renè – Che dice? 

Belinda – Sta bene... è felice...

Renè – Torna? Gliela danno una licenza...

Belinda – Combatte giorno e notte, ma è contento... 

Pablo non vuole ascoltare, si è tappato gli orecchi..

Belinda – Si è fatto amico di un capitano...

Renè – La vuoi leggere dall’inizio alla fine!

Belinda – Hai ragione, va bene. “Cari genitori, caro Pablo,
come state? Io sto bene, anche se il nemico ci impegna giorno e notte in combattimento, sono forte e spero fiducioso nella vittoria. Mi rasserena sapervi nella nostra casa, indaffarati nei vostri lavori, felici di poter trascorrere le vostre giornate in pace…” 

Pablo – E’ uguale!

Belinda – Vuoi star zitto. (Riprende a leggere) “Combatto con orgoglio per difendere il diritto a questa felicità. Un mio amico capitano mi aiuta a superare i momenti difficili, la nostalgia che a volte mi prende. Capisco che l’importante non è quanto durerà la guerra, né quando io potrò tornare a casa. Contano i valori che noi difendiamo: io, qua al fronte, voi, ogni giorno, con la vostra pazienza e la vostra speranza. Vi abbraccio tutti. Maurizio”

Pablo – E’ sempre la stessa lettera: ma che siete scemi?

Belinda – E allora? 

Pablo - E allora!?

Belinda - Si vede che per ragioni di sicurezza non può scrivere altro.

Renè – L’importante è che sta bene. 

Pablo – Le stampano col ciclostile, secondo me sono tutte uguali.

Belinda – (A Renè) Fallo smettere.

Renè – Ha ragione, Pablo, adesso vai di là.

Pablo – Una volta la settima la stessa lettera.

Belinda – (A Renè) Dagli un’altra pasticca, vediamo se si calma.

Pablo – NON E’ LUI CHE SCRIVE!

Belinda – Sei solo un disfattista. Tuo fratello rischia la vita, combatte...

Pablo – Chi lo dice?

Renè – (Si arrabbia, va verso Pablo mettendogli la lettera davanti agli occhi) Questo lo dice: è la stessa lettera? E’ un ciclostile? Non importa. Sai leggere? La riconosci, è la firma di Maurizio?

Pablo – Siete ciechi! Ciechi!

Belinda – E tu sei pazzo! Ti farò rinchiudere, perché rinchiuso devi stare, il tuo posto è una gabbia.



BUIO 

Nell’oscurità la radio trasmette il bollettino di guerra, sbrigativo come i precedenti.

Radio - Bollettino radiofonico delle diciannove. Notizie dal fronte. Nord-Ovest. Alleati: 2 feriti, 2 caduti, nessun disperso; truppe nemiche: 62 feriti, 43 uccisi. Nord-Est. Alleati: nessun ferito, nessun caduto, 3 dispersi. Truppe nemiche: 54 feriti, 89 uccisi. La quota dei prigionieri nemici catturati è salita a 7896. Il fronte è avanzato di dieci chilometri, si sono registrati atti di eroismo tra le nostre truppe. Il ministro della Difesa ha detto che non si può prevedere la durata della guerra. Prossimo aggiornamento, alle ventuno.

La luce si alza lentamente, illuminando la sala da pranzo. Renè e Pablo sono al tavolo, davanti a quel che resta di una cena: le stoviglie, una bottiglia d’acqua, un fiasco di vino e alcune scatolette di latta. Pablo gioca con un coltello, tagliando una buccia d’arancia in tanti piccoli pezzi; Renè sorseggia un bicchiere di vino.

Renè – Mamma non torna. La conosco, aspetterà l’ora. Quando io sarò al lavoro e tu a letto. 

Pablo - Stiamo bene. C’è silenzio. Mi piace il silenzio. 

Renè – Vorrei portarti al mare. Un giorno che non c’è nessuno. Ti ricordi? Quand’eri bambino…

Pablo – Mi piace il mare.

Renè – Pablo, devi crederci!

Pablo – A cosa?

Renè – Ce la farai. Guarirai. Tutto sarà come prima. 

Pablo – Per favore. 

Renè – Devi guarire dentro.

Pablo – Come parli? Citi a memoria il dottore adesso? 

Renè – E’ la verità.

Pablo - Io so qual è la verità. L’ho vista. 

Renè – Avanti. 

Pablo – Magari è solo un sogno.

Renè – Vedi? Ragiona: è solo un sogno.

Pablo – Però alla fine del sogno mi ritrovo davvero senza gambe.

Renè – Perché è successo: questa mina è esplosa, creando questo sogno e portandoti via le gambe.

Pablo – Arrivo al fronte. Ho preso un treno. A dire il vero non ho avuto molte difficoltà, tutto è tranquillo. La gente viaggia, lavora, va in giro, mangia. Tutto scorre, è una giornata normale, come le altre. Scendo dal treno in un paese di confine. La stazione è deserta, per le strade non c’è nessuno. C’è una diga, l’acqua ha coperto gran parte delle case, gli abitanti se ne sono andati, dal filo dell’acqua spuntano le tegole di qualche tetto. Di là dalla diga inizia la zona del fronte…

Renè – E tu non avresti dovuto passarla.

Pablo – E’ un sogno. In sogno non valgono i divieti.

Renè – Va bene. 

Pablo – Io cammino lungo una strada deserta. C’è un silenzio agghiacciante, non mi piace, è un silenzio di morte. Non mi piace il silenzio di morte. La diga è chiusa, non scorre acqua. Non c’è anima viva. A un certo punto trovo un cartello bianco, con una scritta rossa: ZONA DI GUERRA – VIETATO. LIMITE INVALICABILE. 

Renè – Nient’altro? 

Pablo – E’ il primo cartello. Poi ce ne sono altri, centinaia. Un bosco di cartelli. Più vado avanti e più crescono i cartelli.

Renè – Come funghi.

Pablo – Come funghi velenosi. Compaiono dappertutto. Rischi di pestarli. Vado avanti. ZONA DI GUERRA ZONA DI GUERRA ZONA DI GUERRA ZONA DI GUERRA. Ma la guerra non c’è. Cammino, per chilometri, avanti e indietro. La guerra non c’è. Non ci sono soldati, né armi. Non vedo rovine.

Renè – Sei felice allora?

Pablo – Sono disperato dalla felicità. Comincio a correre, il cuore è gonfio, lo sento esplodere, le tempie pulsano, sudo freddo, il sudore mi copre gli occhi, è un velo irritante, cado, mi rialzo sporco dei terra. Mi pulisco la bocca e gli occhi. La guerra non c’è!

Renè – Come hai fatto a ferirti?

Pablo – Non lo so. Nel sogno, sogno un altro sogno.

Renè – Non ho capito.

Pablo – Nel sogno, mi ritrovo in un letto, mi addormento e sogno. Sogno di salire su un treno per tornare a casa. Voglio dare la notizia, dire a tutti la verità: la guerra non esiste. Mi fermo ad ogni scompartimento, grido ai passeggeri quello che ho visto: la guerra non c’è! Siate felici! Non abbiate paura!

Renè – E loro?

Pablo – Mi guardano male. Sono scandalizzati. Tutti, tutti, mi dicono: ma come si permette? Un coro: come si permette? Come si permette? Finalmente il treno arriva in città. Qua da noi. Allora scendo di corsa. Incontro altre persone. Centinaia. Camminano per strada, sorridono, comprano, entrano nei cinema, nei ristoranti: allora mi viene un dubbio. Forse hanno saputo.

Renè – Che cosa?

Pablo – Non c’è nessuna guerra. Non hanno più paura. 

Renè – Pablo, noi siamo in guerra.

Pablo – Fermo. Ricordati. E’ solo il mio sogno. E’ una cosa che resta tra noi. 

Renè – Va bene, va bene.

Pablo – Insomma, incontro un tipo e lo abbraccio. E’ un amico. Non lo vedo da tanto tempo, è un po’ sorpreso. Allora? Gli dico. Hai sentito? La guerra non esiste. E lui, da felice che era, diventa serio, volta lo sguardo e si allontana. Lo seguo, entra in un bar, entro anch’io: tutti sono allegri, mangiano e bevono, tre ragazzi brindano felici. E’ arrivata la notizia, penso. Ma alla radio finisce la musica e inizia il solito bollettino di guerra. Numeri e poche parole. Nessuna pietà. Uomini morti, come una combinazione: 11 – 9 - 8 – 5 - 7 – 43. 
Allora mi sveglio dal sogno sognato nel sogno, e mi ritrovo nel sogno. Disteso in un letto, senza gambe. E mi sveglio anche da questo sogno, ma sono ancora lì, sdraiato, un gran dolore, e delle gambe, questo. Quel che resta è qui. (Pablo indica le sue gambe mutilate)

Renè – E’ uno strano sogno.

Pablo – E se fosse vero? C’è sempre una parte di verità…

Renè – Noi sappiamo che è solo un sogno. L’abbiamo deciso.

Pausa

Pablo – A volte ho un gran male alle gambe. Sento male alle gambe che non ho più. 

Renè – Per questo prendi delle medicine.

Pablo – Un dolore lancinante alle gambe.

Renè – Mi dispiace Pablo, credimi, soffro terribilmente a vederti così.

Pablo – Hai paura?

Renè – Di che cosa?

Pablo – Della guerra.

Renè – Ho cinquantacinque anni. Ne ho vissute tante di guerre, ma non ho mai visto un uomo sparare un colpo, o un uomo morire ammazzato, nonostante il lavoro che faccio... (Pausa) Così è facile far l’abitudine. Però sono preoccupato... per te, per Maurizio. Certo, a volte ho anche un po’ di paura: combattiamo contro un nemico che non ci ha mai sconfitto, ma un giorno potremo svegliarci con una brutta sorpresa.

Pablo – Dormi.

Renè – Che?

Pablo – Dormi. Dormite tutti. (Pausa) Ascoltami.

Renè – Ti ho ascoltato abbastanza. Adesso devo andare a lavoro, si è fatto tardi.

Pablo – Aspetta. Prova solo un attimo a immaginare. Se c’è una guerra c’è un nemico, se c’è un nemico dobbiamo difenderci, è una situazione d’emergenza. L’emergenza giustifica tutto, lasciamo che lo Stato pensi a tener duro, a combattere. Ci pensano loro. La nostra vita può andare avanti: mangiare, bere, dormire, lavorare, comprare, festeggiare. Un po’ di solidarietà. Patriottismo per i soldati, minuto di silenzio per i nostri morti, ma non più di un minuto, non possiamo fermarci. Ecco tutto. Ma quello che conta, la cosa più importante, è non pensare. Ci pensano loro.

Renè – Non ti seguo.

Pablo - Togli il nemico, togli la paura. Allora comincerai a pensare, a loro non piace che tu pensi: perderai l’abitudine alla guerra e questo sarebbe un problema. (Pausa) Ho bisogno delle mie gambe.

Renè – Lo so. Le avrai.

Pablo – Allora potrò andare in giro a raccontare a tutti quello che ho visto.

Renè – E’ un sogno.

Pablo – E’ la verità. Basta arrivare in quel bosco, dopo la diga. Quando riavrò le gambe ci tornerò, non andrò da solo, troverò qualcuno disposto a seguirmi.

Renè – E poi?

Pablo – Saremo in due ad aver visto: questa guerra non esiste, l’hanno inventata per abituarci ad altre guerre. Lo racconteremo ad altri, e saremo in dieci a saperlo, poi cento, mille, centomila, un milione. Non serve la radio, vedremo con i nostri occhi. Non dobbiamo avere paura.

Renè – E’ un sogno, Pablo, soltanto un sogno.



BUIO

Nell’oscurità la radio trasmette il solito bollettino di guerra, sbrigativo come i precedenti.

Radio - Bollettino radiofonico delle sette. Notizie dal fronte. Nord-Ovest. Truppe nemiche: 93 feriti, 76 uccisi. Nord-Est. Truppe nemiche: 46 feriti, 83 uccisi. La quota dei prigionieri nemici catturati è salita a 9296. Il fronte è avanzato di dieci chilometri, si sono registrati atti di eroismo tra le nostre truppe. Il ministro della Difesa annuncia che la guerra durerà ancora per qualche tempo. Prossimo aggiornamento alle nove.

Finito il bollettino, la radio riprende a trasmettere musica. Contemporaneamente si alza a luce, illuminando la sala da pranzo: Belinda è seduta al tavolo, canticchia il motivetto che sta ascoltando e intanto si passa lo smalto sulle unghie. Dopo qualche secondo, tre squilli alla porta la fanno sobbalzare. Belinda si sistema un’ultima volta il vestito e si alza per aprire.


Belinda – (A bassa voce) Arrivo! Arrivo! 

Apre la porta ed entra Caruso, con un grande mazzo di margherite gialle.

Caruso – Li ho trovati sulle scale, sono forse per lei, signora?

Belinda – Capitano, lei mi vizia… (Prende i fiori e li sistema in un vaso che poi mette nel mezzo al tavolo).

Caruso – Giuro che io non c’entro niente. Forse un ammiratore segreto.

Belinda - Lei pensa? E’ possibile.

Caruso – (Cinge per la vita Belinda e l’avvicina a sé bruscamente, fingendo di essere geloso) E’ possibile!? Voglio il suo nome, l’ammazzo.

Belinda – Faresti questo per me?

Caruso – Chi è? Dimmelo.

Belinda – E’ un medico militare.

Caruso e Belinda si baciano. Il medico si toglie il cappotto, la fondina con la pistola, il cappello e la borsa e appoggia tutto su una delle sedia accanto al tavolo.

Caruso – Non mi piacciano i medici..

Belinda – Sono molto attraenti.

Caruso abbraccia Belinda, la spinge verso il tavolo e comincia a baciarla appassionatamente. Belinda si libera del suo abbraccio e lo tira per la cravatta verso la camera da letto, riprendendolo a baciare.

Belinda – Non qui! Lo vuoi svegliare? 

Caruso - Allora vuoi che me ne vada?

Belinda – Smettila. Devi stare con me.

Caruso e Belinda entrano in camera. Si buttano sul letto e si baciano appassionatamente, interrompendosi di tanto in tanto per ridere e sussurrare parole d’amore. Dopo qualche secondo, entra in sala da pranzo Pablo che esce di camera cercando di non far rumore.

Pablo – (Piano) Che schifo! 

Pablo distoglie l’attenzione da Caruso e Belinda, incuriosito dalle cose del dottore. Prende la borsa, la apre, e poi la rimette a posto. Poi vede la pistola, la guarda con curiosità, finge di prendere la mira e di nuovo la guarda per poi rimetterla sul tavolo, dove l’aveva trovata. Nessuno si accorge di lui, così si avvicina alla piccola libreria e prende un grosso volume dell’enciclopedia: lo alza e lo fa cadere con un colpo secco. Un attimo dopo Pablo rientra nella sua stanza, restando in ascolto accanto alla tenda; al tempo stesso Caruso, in canottiera e mutande, si affaccia dalla camera terrorizzato ed entra in sala da pranzo, pronto ad affrontare l’eventuale nemico..

Caruso – Chi c’è? Che è stato?

Belinda – (Dalla camera, un po’ seccata) Niente… Torna qua.

Caruso – Un colpo secco, come un’esplosione. Non hai sentito?

Belinda – (C.s.) Ma quale esplosione? (Entra in sala da pranzo in vestaglia) L’esplosione lo so io chi l’ha fatta, il mio soldatino…

Caruso – (Apre la porta, guarda fuori) Non mi piace… per niente, te lo dico io. In giro c’è pieno di spie.

Belinda – Chi vuoi che ti cerchi qua?

Caruso – (Entra in camera, esce con i pantaloni e la camicia e si riveste) Potrebbero avermi seguito. 

Belinda – Dài, siediti. Vuoi un caffé?

Caruso – (Finisce di vestirsi e poi si siede al tavolo) Magari.

Belinda – Di cosa hai paura?

Caruso – Niente. E’ un brutto periodo.

Belinda – Ci sono io.

Caruso – Hai ragione. Vorrei avere più tempo per stare con te.

Belinda – Potremmo vederci più spesso. Prendi una licenza, staremo insieme tutto il tempo che vuoi.

Caruso – Non ora, non è il momento.

Belinda gli serve il caffè. Poi prende la scatola di latta dove Renè tiene la collezione di bustine di zucchero e la porge a Caruso.

Belinda – Scegli.. 

Caruso – Cos’è?

Belinda – Zucchero. E’ la stupida collezione di Renè. Sotto lo zucchero ci nasconde i soldi, crede che sia scema...

Caruso – (Prende una bustina) Hotel Tverskaya... Mosca... accidenti

Belinda – Russo. 

Caruso – Ti piacerebbe viaggiare con me?

Belinda – Ti seguirei in capo al mondo.

Caruso tende la mano a Belinda, la prende dolcemente per la vita e l’avvicina a sé. Belinda lo guarda rapita e poi siede sulle sue ginocchia.

Caruso – Troverei un albergo nel centro di una vecchia città francese, la stanza più romantica che c’è. La carta da parati fiorita sulle pareti, un letto grande ma non troppo…

Belinda – Con la colazione in camera?

Caruso – Ci puoi scommettere.

Belinda bacia Caruso sulle labbra. 

Belinda – Oggi alla radio ho sentito una storia.

Caruso – Stai sempre alla radio quando non ci sono?

Belinda – Ho pensato a noi. E’ la storia di un uomo e di una donna che si amano alla follia. Sono belli e romantici, ma lei è tormentata dal marito. Una specie di avvocato, ossessionato dal lavoro, che in casa non c’è mai e quando torna l’assilla con scenate di gelosia... Lei non ce la fa più, allora convince il suo amante ad uccidere il marito. Insieme organizzano un piano perfetto, fanno credere che l’uomo sia stato ammazzato per questioni di affari. Era un tipo losco, insomma, poteva succedere che qualcuno lo ammazzasse, nessuno lo avrebbe rimpianto, anzi…

Caruso – E poi?

Belinda – Non lo so. E’ un racconto a puntate. 

Caruso - Non mi piacciono le storie delle radio. 

Belinda – Era così romantica.

Caruso – Si fermano sempre sul più bello. 

Belinda – E’ una storia vera. 

Caruso – Sì, certo.

Belinda – Potrebbe essere la nostra.

Caruso – Tuo marito non fa l’avvocato.

Belinda – No. Ma mi tormenta. (Pausa) Caruso, liberiamoci di tutti e due e scappiamo.

Caruso – Davvero lo vorresti?

Belinda – (Sussurrando) Uccidilo, ti prego: liberami di Renè. Coi suoi soldi potremo andare abbastanza lontano…

Caruso – (Ridendo, crede che stia scherzano) Tu sei pazza!

Belinda – Non ci accadrà niente. Chi si accorgerà della scomparsa di un vecchio becchino? Uno che carica e scarica morti tutte le notti, uno che traffica coi cadaveri, può sparire nel nulla, nessuno si scandalizzerà. 

Caruso – Sì, magari alla radio…

Belinda – Ti sbagli e lo sai. 

Caruso – (Si fa più serio) Ma insomma, cosa stai dicendo?

Belinda – Potremo vivere insieme. Noi due soli.

Caruso – Naturalmente. Io, te e Pablo. 

Belinda – Ho pensato anche a lui.

Caruso – Vuoi farlo fuori? Due in un colpo solo. Che ti è preso?

Belinda – Ha perso la testa. Avrai un amico da qualche parte che faccia rinchiudere un povero malato di mente in un manicomio?

Caruso – Non capisco se scherzi o fai sul serio.

Belinda si alza in piedi. Fingendo di essere arrabbiata, prende la tazzina di Caruso e la mette nell’acquaio.

Belinda – Dimmi che non mi vuoi allora.

Caruso – Belinda, questo gioco non mi piace. 

Dalla camera entra Pablo, improvvisamente, si sistema con la sedia a rotelle accanto alla tavola, al lato opposto dei due amanti. Belinda e Caruso sono sorpresi, ma non si scompongono.

Pablo – Disturbo?

Belinda – Il capitano è qui per te.

Pablo – Credevo dovesse arrivare più tardi.

Caruso – (Si alza in piedi e prende la borsa) Oggi è il giorno della visita psichiatrica.

Pablo – Non l’abbiamo fatta la scorsa settimana? Ho perso le gambe, non ho bisogno dello strizzacervelli.

Caruso comincia a frugare nella borsa, tira fuori una cartellina, un blocco, un registratore.

Caruso – E’ la procedura.

Pablo – Mi procuri un paio di gambe! Poi sparirò dalla circolazione. Non mi dovrà più sopportare e avrà tutte le notti la casa libera!

Belinda – Pablo! Come ti permetti?

Pablo – Era una proposta.

Caruso si è di nuovo seduto. Ha scritto alcune note su un modulo ed è pronto per l’esame.

Caruso – Vogliamo cominciare? 

Pablo – Inizio io?

Caruso – Prego?

Pablo – Posso iniziare io?

Caruso – Non mi faccia perdere tempo. 

Belinda – Io me ne vado al mercato. (Va in camera, prende il cappotto, si veste) 

Pablo – Resta. E’ divertente.

Belinda – (Esce di camera e apre la porta di casa) Non credo. Arrivederci capitano. (Esce)

Caruso – Arrivederci.

Pablo – Potrebbe mettere dei premi.

Caruso – Come?

Pablo – Ogni risposta esatta, un premio. Non necessariamente in denaro.

Caruso – Non è un quiz.

Pablo – Ogni risposta sbagliata una scossa elettrica... ma leggera, tanto per scherzare. 

Caruso – Non faccia il buffone.

Pablo – Se rispondo bene a tutte le domande, una scossa elettrica per lei, e le gambe finte per me? D’accordo?

Caruso – La procedura per l’assegnazione degli arti artificiali prevede che il paziente sia sottoposto ad un test psicologico attitudinale.

Pablo – Ora comincia a parlare un po’ troppo difficile.

Caruso – Un paziente deve offrire sufficienti garanzie di affidabilità sociale per ottenere le protesi.

Pablo - Ma come parla?

Caruso – E’ il regolamento. 

Pablo – Odio i regolamenti.

Caruso – Procediamo. 

Pablo – Ma io ho bisogno delle gambe!

Caruso – Appunto, sono qui per questo. Vogliamo iniziare? (Pausa, legge sul solito modulo delle domande) Ha avuto mal di testa?

Pablo – Non ricordo.

Caruso – (Caruso annota la risposta) Si è sentito incapace di scacciare parole, pensieri o immagini senza senso?

Pablo – Un po’, quando mi sveglio. Mi prende un cerchio qui...

Caruso – (C.s.) Ha avuto sensazioni di svenimento o di vertigine?

Pablo – Niente a più senso per me.

Caruso – (C.s.) Ha notato una perdita del piacere o dell’interesse sessuale?

Pablo – L’assenza di equilibrio, provoca vertigine. Alla lunga è una bella sensazione.

Caruso – (Si ferma, irritato) Mi sta prendendo in giro?

Pablo – Devo rispondere?

Caruso – Lo vuol capire? Non è un gioco.

Pablo – E’ un gioco. Le spiego: io sono pazzo, ho una malattia e rispondo in maniera assurda... lei deve scoprire qual è la mia malattia 

Caruso – La smetta.

Pablo – Andiamo… Qua tutti fingiamo, datemi un ruolo anche a me.

Caruso – Vuole quelle gambe? Risponda a queste domande.

Pablo – Se la mette così.

Caruso – Avanti. Dunque. (Pausa. Riprende il modulo e cerca la domanda da fare a Pablo, pronto ad annotare ogni risposta) Ha tendenza a criticare gli altri?

Pablo – Non ricordo.

Caruso – Ha la convinzione che gli altri possano controllare o guidare i suoi pensieri?

Pablo – Non mi piace giudicare. Ma qualche volta...

Caruso – Ha udito voci che altri pur potendo non hanno udito?

Pablo – Mi hanno insegnato a non pensare.

Caruso – Ha mai avuto scatti d’ira incontrollabili?

Pablo – Sbaglio o qualcuno la sta chiamando?

Caruso – Prego?

Pablo – Qualcuno la chiama, o sembra a me?

Caruso – Ma cosa sta dicendo? 

Pablo – Ha indovinato?

Caruso – Basta. E’ tempo perso. Lei non andrà lontano.

Pablo – Questo lo so: guardi in che condizioni sono.

Caruso – E ci resterà a lungo, glielo assicuro.

Pablo – Era solo un gioco. Non ha capito? Lei fa una domanda, io rispondo sempre alla domanda precedente, vengono fuori delle cose strane, un po’ assurde. Alla prima domanda si risponde non ricordo e poi si scala... Lei mi chiede: cosa pensa della guerra? Io: non ricordo. Poi: le piacciano i militari? E io: è tutta un’invenzione... E’ facile, ha capito? E’ divertente, no?

Caruso – Per oggi abbiamo concluso.

Caruso comincia a riporre le sue cose: il modulo con le domande, la cartellina, il blocco.

Pablo – Non si arrabbi.

Caruso – Mi dispiace, vorrei aiutarla.

Pablo – Credo anche di sapere perché è tanto nervoso.

Caruso – (Si alza e indossa il cappotto) Stia molto attento, probabilmente lei non si rende conto...

Pablo – Anzi… Mi rendo conto benissimo. Mi vuol far fuori, eh? Chi sarà il primo, io o Renè?

Caruso – Lei è completamente pazzo. Sa che rischia di essere internato in un manicomio? Ha mai pensato a questa possibilità?

Pablo – Fa parte del piano o sbaglio?

La porta d’ingresso si apre, entra Renè, sconsolato come sempre. Irrompe nella scena e appena vede il dottore lo ferma.

Renè – Oh! Proprio lei dottore. Sono contento che sia qui, che Dio la benedica.

Caruso – Stavo uscendo.

Renè – Abbia pazienza, per favore. Devo assolutamente parlarle.

Caruso – Sì, ma faccia in fretta.

Pablo – Lascialo perdere, non vedi che è di corsa?

Renè – Pablo, per favore. (A Caruso) Probabilmente lo saprà già, magari anche l’autorità è stata avvertita, però io mi fido di lei e penso che sia sensibile a certe questioni...

Caruso – Arrivi al punto.

Renè – Ha ragione, mi perdoni. Ecco, io le dico le cose come stanno, poi valuterà lei l’opportunità di una denuncia...

Pablo accende la radio e comincia a cambiare frequenza senza fermarsi mai su un programma.

Renè – Lei signor capitato avrà sentito parlare dell’esistenza di bande di becchini che operano clandestinamente.

Caruso – E’ possibile.

Renè – Forse non sa che da qualche tempo non si tratta di piccole irregolarità amministrative. La situazione è più grave e credo si debba indagare..

Caruso – Non sono un poliziotto.

Renè – Ma vista la sua posizione dovrebbe sapere come stanno le cose. (Pausa, si guarda intorno come se temesse di essere ascoltato) Questi becchini uccidono la gente. Si appostano in qualche strada isolata, aspettano un disgraziato che magari cammina da solo, lo ammazzano e lo derubano. Poi consegnano il cadavere all’obitorio e incassano il dovuto..

Caruso – Bisognerebbe aver delle prove.

Renè – E’ semplicissimo. Controllate l’obitorio. Sa come funziona laggiù. Non gli importa niente se il morto è morto perché Dio l’ha voluto, o perchè gli hanno rotto la testa. Quelli chiudono un occhio, se paghi tutti e due.

Caruso – Ho l’impressione che ci sia molta fantasia in questa storia. Però…

Pablo – (Interrompendo Caruso) Ho anch’io una storia molto fantasiosa.

Renè – Pablo, come ti permetti di interrompere il signor capitano?

Pablo – Sono in tema, è una storia di omicidi.

Caruso – (A Renè) Oggi l’ho trovato molto male.

Pablo – Ascoltate, solo un attimo. La storia è breve: due amanti appassionati si amano alla follia, ma non possono essere felici, perché la loro storia è ostacolata. Lei ha un vecchio marito e un figlio pazzo: allora, in lacrime, si chiedono: che fare? Un giorno hanno un’idea: liberiamoci di tutti e due, vivremo per sempre felici e contenti.

Caruso – Ha finito?

Pablo – Sì. Per il seguito c’è da aspettare. 

Caruso – Bene, arrivederci. (Si avvia verso la porta)

Renè – Signor capitano, lo perdoni, non se ne vada. Lo metto a letto e concludiamo il discorso.

Pablo – Non siete curiosi? Io non sto nella pelle, voglio sapere come andrà a finire.

Renè – Stai male, Pablo, smettila! Smettila!

Caruso – (A Renè) Arrivederci (Esce)

Pablo – Non se ne vada! Non se ne vada!

Renè – Sei un povero pazzo. Forse ha ragione tua madre. Sarebbe meglio internarti, non posso vederti così. Ti senti? Quando parli, senti quello che dici? 

Pablo – Il mio udito è perfetto. Sento tutto.

Renè – Dovresti aver rispetto per il capitano. Vuoi quelle maledette gambe o no?

Pablo – Io ho molto rispetto per il capitano e per l’autorità in genere. Non posso dire il contrario.

Renè – Non hai rispetto per nessuno.

Pablo – Sai che il capitano e la tua signora, mia cara mammina, ci vogliono far fuori?

Renè – Pablo, stai esagerando.

Pablo – Oh, no. Dimmi soltanto una cosa: ti sei accorto che tra il dottore e la signora c’è del tenero oppure neanche questo vedi?

Renè – Sono tuo padre, ricordatelo.

Pablo – Appunto. Nessuno ti deve umiliare. Quei due se la fanno davanti ai miei occhi senza pudore. Vorrei aver perso la vista e l’udito insieme alle gambe, almeno non sarei costretto a sentire e a vedere lo schifo che c’è in questa casa.

Renè – Calmati, Pablo. 

Pablo – Ci vogliono ammazzare. Li ho sentiti.

Renè – Quanta pena mi fai, potessi capire quanto mi fai soffrire.

Pablo – Ascoltami! Tua moglie ha chiesto al suo amante di ucciderti.

Renè – Adesso ascoltami te. Non sono uno stupido, cosa credi, eh? 

Pablo – Basta, non dire altro.

Renè – Siamo ancora insieme, abbiamo una casa, viviamo dignitosamente. Non posso chiedere di più: ho questa vita, me la tengo stretta. Tu non puoi capire: siete tutto quello che ho.

Pablo – Ti stanno ingannando. Davanti a me, ogni giorno. Non hanno nessun ritegno.

Renè – Lo dovrei schiaffeggiare? Potrei sbatterlo fuori, eh? Oppure potrei picchiare tua madre finché non chiede scusa in ginocchio. 

Pablo – Non puoi subire in silenzio. 

Renè – Non hai imparato? Hai perso due gambe e ancora pensi di ribellarti. 

Pablo – Certo, è vero: meglio far finta di niente. Per tutta la vita. Ma sì! Non esistono problemi. Sorridi: fuori c’è il sole! Attento a distrarti però, potresti pensare e allora smetteresti di fingere perché di fronte a tanto marcio non puoi resistere. 

Renè – Forse dovresti fingere almeno finché non arriveranno quelle maledette gambe. Poi potrai andartene e lasciarci nel nostro marciume. Tanto siamo soltanto dei poveri sciocchi, non è vero? 

Pablo – Non ci saranno gambe e non andrò da nessuna parte.

Renè – Sbagli, Pablo.

Pablo – Apri gli occhi prima che sia tardi.



BUIO





Atto secondo




La luce sale lentamente, nella sala da pranzo ci sono Belinda, Pablo e Renè. Belinda è in mezzo alla cucina, sta preparando da mangiare. E’ circondata da scatole: aperte, ancora imballate, di carta, di latta, di polistirolo. Pablo, sulla sua carrozzina, e Renè sono a tavola. Aspettano la cena, sul tavolo c’è la radio accesa, in onda un po’ di musica. 

Belinda – (Osserva un barattolo di latta, legge l’etichetta, poi lo butta in un secchio già pieno di spazzatura) Scaduto anche questo. La roba va a male così in fretta. Neanche te ne accorgi.

Pablo – Che ora è?

Belinda – Sono le sette.

Pablo – Non fanno più nemmeno il notiziario.

Belinda – Non ci sono novità. Al mercato dicono che il fronte è di nuovo fermo. Sono settimane ormai che non cambia niente.

Pablo – Almeno potrebbero fare uno sforzo... Un giornale radio ogni tanto.

Belinda – Se non ci sono novità è inutile che facciano il giornale radio, no? Cosa dovrebbero raccontare? Le notizie se non ci sono non se le possono inventare.

Renè – Ho una gran fame. Non mi piace abbuffarmi prima di entrare in servizio, ma con il freddo che c’è, fa bene mettere qualcosa sullo stomaco.

Alla radio inizia un gingle. E’ la sigla di un quiz, uno dei programmi preferiti da Belinda, che infatti si eccita appena sente il motivetto..

Belinda – Alza! Alza!

Renè – Va bene, un momento.(Renè alza il volume)

Belinda mette una pentola in tavola, poi un vassoio, e alcune scatolette aperte. Ognuno si serve da sé, Belinda è concentrata sul quiz che sta per iniziare. Finita la sigla, irrompe la voce trascinante del presentatore. Le battute dei personaggi si sovrappongono alla radio.

Radio – (Parla il presentatore) Sigore e signori buona sera, benvenuti a una nuova puntata di “Questa la so!”. Rilassatevi, sedetevi sulle vostre poltrone, accomodatevi sulle sedie e togliete via il piatto, pronti a giocare da casa senza sbagliare una risposta. Un po’ più in tensione, un po’ meno comodi i nostri due concorrenti di oggi Andreina Cadregari e il campione Renato Passoni, il geometra più veloce del West.... Non è vero? Diciotto puntate da super campione per il signor Passoni che ha messo via un bel gruzzoletto…Ma oggi avrà una sfidante svelta e pronta a portargli via il titolo…Andreina, è un’impiegata delle poste e telecomunicazioni, specializzata in Storia militare” 

Renè – Quello è proprio forte è. Non ne sbaglia una.

Belinda – Stai zitto un attimo.

Radio – (Parla la concorrente Andreina) Grazie, grazie. Sono così emozionata… Se permettete, vorrei salutare il mio nipotino, che oggi compie sette anni, mi ha detto che mi porterà fortuna. Ciao Patrick! Un bacione. (Parla il presentatore) Un applauso a Patrick per i suoi sette anni. Se avessimo avuto un secondo di più avrei intonato un “Happy Birthday”, ma a “Questa la so!” il tempo è tiranno e soprattutto è denaro. Vero geometra? (Voce del geometra) Veeeero… 

Renè – Tra una cosa e un’altra ha vinto quaranta milioni. Io in un anno...

Belinda – Non c’è pace.

Renè – Non si può più parlare in questa casa?

Belinda – Proprio adesso?

Radio – (Voce del presentatore) E allora via con la prima prova, lo slalom del proverbio… prendete fiato e occhio ai secondi.. Dieci proverbi per voi... I concorrenti, come sapete, dovranno completare queste perle di saggezza popolare.. Io dico: ma i nostri professori le vanno a trovare sotto terra certe domande? Difficili... difficilissime. Attenzione a casa... giocate anche voi mi raccomando... 

Il presentatore alla radio, fa le domande una dietro l’altra, è velocissimo, così come sono velocissime le risposte di Renè e Belinda...

Radio – (Voce del presentatore) Chi ben comincia…

Belinda – (All’unisono con la concorrente) E’ a metà dell’opera.

Radio – (Voce del presentatore) Chi dorme…

René – (Anticipando Belinda.) Non piglia pesci.

Radio – (Voce del presentatore) Chi troppo vuole…

Renè– (C.s.) Nulla stringe.

Radio – (Voce del presentatore) Chi non risica…

Belinda – (C.s.) Non rosica.

Radio – (Voce del presentatore) Chi la dura…

Renè – (C.s.) La vince. 

Radio – (Voce del presentatore) Chi la fa…

Belinda – (C.s.) L’aspetti.

Radio – (Voce del presentatore) Chi non fa…

Renè - (C.s.) Non sbaglia…

Radio – (Voce del presentatore) Chi è causa del suo mal…

Belinda – (C.s.) Pianga se stesso.

Radio – (Voce del presentatore) Chi fa da sé…

Belinda – (C.s.) Fa per tre.

Radio – (Voce del presentatore) Chi non ha testa…

Pablo – Abbia gambe.

Pausa

Radio – (Voce del presentatore) E bravi… bravi… i nostri concorrenti.. non sbagliano un colpo… Non è facile, perché ci vuole concentrazione e vi assicuro che a casa… comodi in poltrona.. non c’è la tensione che si respira qua in studio.

Mentre alla radio continua il quiz, suonano alla porta. 

Belinda – Ti pareva.

Renè – Vado io.. vado io…

Renè si alza e va ad aprire. 

Renè – Arrivo! 

Radio – (Voce del presentatore) Cinque a cinque… incredibile.. parità assoluta. Lo dicevo geometra che oggi sarebbe stata dura…

Belinda – Oggi perde, lo dico io. Quella è furba, si capisce dalla voce

Renè entra con una lettera in mano, ha già aperto la busta e mostra il foglio a Belinda.

Renè – E’ di Maurizio, ci ha scritto!

Belinda – Maurizio! Che dice?

Renè legge a voce alta.

Renè – Cari genitori, caro Pablo,
come state? Io sto bene, anche se il nemico ci impegna giorno e notte in combattimento, sono forte e spero fiducioso nella vittoria. Mi rasserena sapervi nella nostra casa, indaffarati nei vostri lavori, felici di poter trascorrere le vostre giornate in pace. 

Belinda ascolta in silenzio. Pablo ride: è la stessa lettera di sempre.

Pablo – Mi fate così pena. Ma vi vedete? 

Belinda – Sai stare zitto?

Pablo – Datemi un paio di gambe, vi ci porterò io al fronte: nessuno combatte, non esiste. Ve ne accorgerete da soli, smetterete di leggere quei ciclostili e comincerete a cercare Maurizio.

Belinda – Non lo nominare. Non è tuo fratello, non è come te. 

Renè – Pablo, ascolta, per favore… 

Pablo – Ho capito. Sono sempre il solito. Dovrei saperlo. Devo controllarmi, devo controllarmi, devo controllarmi. Vado. Vado di là, scusate. Sbaglio, sbaglio. Devo stare zitto. Silenzio.

Pablo entra in camera, a fatica scende dalla sedia a rotelle, si mette a letto e si copre fino alla testa.

Renè – Sta male, Belinda.

Belinda – E’ pazzo, è un maledetto pazzo.

Renè – Non è pazzo, è solo (Pausa). Non è pazzo. (Renè porge la lettera a Belinda) Finisci di leggere te, mi bruciano gli occhi.

Belinda – “Combatto con orgoglio per difendere il diritto a questa felicità. Un mio amico capitano, mi aiuta a superare i momenti difficili, la nostalgia che a volte mi prende. Capisco che l’importante non è quanto durerà la guerra, né quando io potrò tornare a casa. Contano i valori che noi difendiamo: io, qua al fronte, voi, ogni giorno, con la vostra pazienza e la vostra speranza. Vi abbraccio tutti. Maurizio”

Renè – E’ una consolazione.

Belinda – Ci ha nel cuore. E’ il mio orgoglio.

Renè – Gli dessero una licenza.

Belinda – Sai che è impossibile.

Renè – Prima o poi dovranno rimandarli un po’ a casa questi ragazzi.

Belinda – Tornerà quando gli ordineranno di tornare. Bisogna sapere aspettare, è il nostro modo di essere vicini a chi combatte.

Renè – Speriamo che torni.

Belinda – Tornerà vincitore o non tornerà: comunque potremo esserne fieri. 

Renè – Ma cosa dici?

Belinda – Non c’è da aspettarsi molto da te, vero? 

Renè – Devo desiderare il sacrificio di mio figlio?

Belinda – Lo dovresti accettare.

Renè – Non accetto la morte di mio figlio. Ne ho uno che ha perso le gambe per colpa di questa guerra. Mi basta e non mi riempie di orgoglio vederlo su una sedia a rotelle.

Belinda – Non combatteva per il suo paese.

Renè – E’ saltato su una mina piazzata dal suo paese. Dov’è la differenza?

Belinda – E’ un poveretto che non ha trovato il suo posto. 

Renè – E’ una vittima.

Belinda – Sei proprio come lui: stessa pasta. Fai ragionamenti inutili, non hanno senso in questo momento.

Renè – Penso solo che la guerra non ci ha portato mai niente di buono.

Belinda – Stai attento a come parli. Tuo figlio ha la scusa di essere pazzo, certe uscite gli sono consentite... Se ti sei fatto un’idea tua, tienila per te. Io dico che ti conviene.

Belinda si alza da tavola e comincia a sparecchiare. C’è qualche secondo di silenzio, rotto dai rumori delle stoviglie. Poi Renè va in camera, prende il suo cappotto ed esce.

Renè – Vado al lavoro, si è fatto tardi. Buona notte.



BUIO 

Nell’oscurità la radio trasmette il bollettino di guerra, sbrigativo come i precedenti.

Radio - Bollettino radiofonico delle cinque. Notizie dal fronte. Nord-Ovest. Truppe nemiche: 142 feriti, 93 uccisi. Nord-Est. Truppe nemiche: 34 feriti, 68 uccisi. La quota dei prigionieri nemici catturati è salita a 11354. Il fronte è avanzato di sette chilometri, si sono registrati atti di eroismo tra le nostre truppe. Il ministro della Difesa ha detto la guerra sarà lunga, dura, ma ci vedrà vincitori. Prossimo aggiornamento, alle sette.

La luce si alza lentamente, illuminando la sala da pranzo. Renè che è appena tornato è molto allegro: ha in mano un sacchetto e sottobraccio una borsa da donna. E’ fermo in mezzo alla stanza, posa la borsa e il sacchetto sul tavolo e dopo essersi frugato nelle tasche tira fuori un braccialetto d’oro.

Renè - Ehi! Venite un po’ qua… Oggi ho un regalo per tutti.

Belinda, che era sdraiata sul letto, esce di camera ed entra nella sala da pranzo.

Belinda - Cos’hai da urlare.

Renè le mostra braccialetto d’oro.

Renè – Guarda qua. Questo è per te.

Belinda – Fa’ vedere.

Renè – Oro, di prima qualità. Un bel colpo di fortuna, no?

Belinda – Un po’ all’antica.

Renè – L’ho preso a una povera vecchia, ho fatto una bella fatica a toglierlo, doveva essere morta da poco, era rigida..

Belinda – La vuoi smettere. Sai che mi fa schifo quando parli di morti.

Renè – Ho trovato anche questa borsa, vedi se ti piace. Magari c’è qualcosa dentro, non ho guardato. Comunque può servire.

Belinda guarda la borsa, fruga dentro senza trovare niente. Intanto, dalla sua stanza, entra Pablo sulla sedia a rotelle, Renè gli va incontro..

Renè – Ho una cosa anche per te. (Prende il sacchetto e tira fuori un cappello rosso con l’imbottitura di pelliccia, la visiera e il copri orecchie, e la scritta ALASKA... E’ il cappello di Maurizio. Renè lo indossa facendo una faccia davvero buffa). Guarda un po’?

Pablo si ferma. Ha riconosciuto il cappello di Maurizio.

Renè – E’ buffo, eh? Però tiene caldo. Sembro un eschimese, non è vero?

Belinda lascia cadere la borsa, anche lei si è accorta del cappello.

Belinda – Fa vedere quel cappello.

Renè – E’ per Pablo. 

Renè si toglie il cappello e lo dà a Belinda che lo guarda terrorizzata.

Pablo – E’ il cappello di Maurizio.

Belinda – Dio mio…

Renè – Ma che dite? Cosa dite?

Belinda – Dove l’hai preso? Chi te l’ha dato? 

Renè – Ce l’aveva un uomo.. l’ho trovato in un vicolo, in centro. Era nascosto dietro una cabina dell’elettricità, coperto da un sacco di iuta.

Pablo – E’ di Maurizio.

Renè – Non era Maurizio. Non è possibile. Non l’ho guardato in faccia, non lo so...Era un senza tetto, sono sicuro.

Belinda – E’ il suo cappello.

Renè – L’avrà perso. Gliel’avranno rubato? Eh? Maurizio è in guerra.

Pablo – Non è mai partito, l’hanno ammazzato.

Belinda – Va’ a vedere. Corri all’obitorio.

Renè – Sì, ma non è possibile. Vero? Eh? Non è vero?

Belinda – Corri, fai presto. 

Renè non aggiunge altro, esce di corsa. 

Pablo – L’hanno ammazzato, non l’hanno arruolato. L’hanno ammazzato, non l’hanno arruolato. L’hanno ammazzato!

Belinda – ZITTO! STAI ZITTO!

Suona il campanello. Belinda non va ad aprire, il campanello continua a suonare.

Pablo – Apri. Sai chi è, no? E’ il tuo amore, fattelo spiegare da lui perché l’hanno ammazzato.

Pablo sputa per terra ed entra in camere sua. Si sdraia sul letto e comincia a piangere silenziosamente..

Belinda – Stavolta con te andrò fino in fondo. Senza rimorsi. Non sei mio figlio. Sei spregevole. 

Suona ancora il campanello. 

Belinda – Sì... arrivo...

Va ad aprire, entra Caruso. Brillante come sempre.

Caruso – Ce ne hai messo di tempo... 

Belinda – (Crolla disperata, abbraccia Caruso) Maurizio...

Caruso – Che è successo?

Belinda – E’ morto, ho paura che sia morto. Renè stanotte ha raccolto il suo cadavere. L’ha trovato in un vicolo del centro. Non l’ha riconosciuto.. ma aveva il cappello di Maurizio.

Caruso – Può essere uno scambio di persona.

Belinda – Renè è corso all’obitorio. E’ andato a vedere. (Abbraccia Caruso) Ho paura. Cosa faccio adesso? Se è morto Maurizio, cosa faccio io? 

Caruso – Aspetta un attimo. Magari è stato un errore. 

Belinda si allontana da Caruso e gli mostra il cappello di Maurizio.

Belinda – Era il suo cappello.

Caruso – Può essere simile. O magari l’ha perso, gliel’hanno rubato..

Belinda – Era il suo cappello. E’ morto. Cosa faccio? Cosa faccio io? 

Caruso – Vuoi calmarti. Sai quanti cappelli come questo si comprano al mercato.

Belinda – Allora non capisci? Questo è il cappello di Maurizio, è il suo. Sento l’odore.

Caruso – Per favore Belinda. Adesso vado al comando militare, loro mi diranno dov’è Maurizio, o almeno se è vivo..

Belinda – Non mi lasciare ora, ti prego, non voglio stare sola.

Caruso l’abbraccia forte.

Caruso – Amore mio, amore mio, non fare così.

Belinda - Sono una donna sfortunata. Questa è una casa di sciagure.


Dalla porta d’ingresso entra Renè, è pallido, lo sguardo perso nel vuoto, Belinda si scioglie dall’abbraccio di Caruso.

Renè – E’ morto.

Belinda si copre la faccia e scoppia a piangere disperata.

Belinda – NO!

Renè – Gli hanno sparato quattro colpi alla schiena. Un’esecuzione.

Belinda – Dov’è? Dov’è?

Renè – Non mi hanno voluto restituire il cadavere. Ho dovuto insistere per vederlo, ma non me lo hanno voluto restituire. E’ morto in strada, hanno detto, lo dobbiamo bruciare come tutti gli altri.

Caruso – Mi dispiace.

Renè alza lo sguardo, si accorge della presenza di Caruso.

Renè – E’ colpa vostra. L’avete ucciso voi. Siete stati voi.

Renè va incontro a Caruso, lo spinge senza troppa forza, ma quel tanto che basta per farlo cadere a terra.

Renè – Dov’era? Dove l’avevate mandato? Non aveva nemmeno la divisa da soldato. Che ci faceva in città? Ci aveva scritto dal fronte, combatteva... e invece era morto.

Caruso si alza lentamente, con calma si pulisce il vestito e va verso Renè.

Caruso – Per te è finita, vecchio.

Caruso prende la sua roba ed esce. Renè va da Belinda, cerca di abbracciarla, ma lei gli sfugge

Renè – Ce l’hanno ammazzato.

Belinda – Vai via. Lasciami. Non hai saputo riconoscere il cadavere di tuo figlio. Un soldato, un eroe, bruciato come un vagabondo. Ti odio. Ti odio. Vattene. Sei stato te… L’hai venduto…


BUIO

La luce si alza lentamente ed illumina la sala da pranzo. Caruso e Belinda sono al tavolo, Caruso è molto serio, parla piano, in maniera appena percettibile.


Caruso – Intesi?

Belinda – Può funzionare, non è vero?

Caruso – Funzionerà. Per loro non fa differenza, è un lavoro come un altro. Ammazzano la gente, la derubano e dopo qualche giorno la portano all’obitorio. Non chiedono perché e tutto finisce lì.

Belinda – Ci possiamo fidare?

Caruso – Vogliono i soldi, il resto non importa.

Belinda – Se qualcosa andrà male?

Caruso – Riempili le tasche di banconote e niente andrà male. Domani non sarà più un problema.

Belinda – I soldi so io dove prenderli. Saremo liberi.

Caruso – Il vecchio ha finito di tormentarti.

Pausa

Belinda – Perché lo fai?

Caruso – Per te. Per te e per me.

Belinda – Vorrei farlo io... chiedimelo. Lo aspetterò per strada, lo colpirò senza pietà...

Caruso – Dobbiamo pensare a Pablo.

Belinda – Sarà facile, no?

Caruso – Non mi fido. Capirà subito e sarà un problema.

Belinda - Hai paura?

Caruso – Non possiamo ucciderlo. E’ schedato, il ministero lo controlla, ci sarebbero troppe spiegazioni da dare. Niente grane.

Belinda – Fallo internare. E’ andato. E’ completamente pazzo, non ti faranno nessuna difficoltà.

Caruso – Ci deve essere un pretesto, non è così semplice.

Belinda – Non ci vuole un genio per capire che è fuori di testa. 

Caruso – Dobbiamo portarlo fuori di qui, in un ospedale qualsiasi.

Belinda – Perché non vengono a prenderselo?

Caruso – Perché non gli interessa. Dobbiamo portarlo noi, basta scaricarlo di fronte ad un ospedale, glielo buttiamo lì, poi ci penseranno loro. Se lui ci segue è fatta.

Belinda – Ci seguirà. Dove vuoi che vada?

Caruso – Ho detto niente grane. Se parte con una scena isterica ci mette nei guai a tutti e due. Ma un modo per farlo ragionare c’è...

Belinda abbraccia Caruso. Lo stringe forte.

Belinda – FINALMENTE! FINALMENTE! 

In quel momento entra Renè. Belinda lascia Caruso che fissa Renè in tono di sfida. Poi prende il suo cappotto, si veste con calma ed esce.. Renè non lo guarda, aspetta che chiuda la porta e con estrema calma attacca il suo cappotto all’attaccapanni. Poi si rivolge a Belinda, senza guardarla.

Renè – Dov’è Pablo?

Belinda – Dorme.

Belinda fa per andarsene, entra in camera, prende il suo cappotto e lo indossa.

Renè – Aspetta.

Belinda – Cosa vuoi?

Renè – Non si deve più far vedere qua dentro. Capito?

Belinda – Viene per Pablo, vuoi che guarisca, no?

Renè – A lui di Pablo non importa niente, lo sai benissimo.

Belinda – E allora?

Renè – Pablo non avrà mai le sue gambe e di questo possiamo ringraziare il tuo amico. Morirà anche lui, tutto per colpa sua.

Belinda – Che muoia quel vigliacco. E’ quello che si merita. Era lui che doveva morire, non suo fratello. (Esce)



BUIO

In sottofondo la radio, le voci di un uomo e di una donna, prima indistinte, poi sempre più chiare: è un brutto radiodramma. La luce si alza lentamente, Belinda è seduta al tavolo, sente la radio e intanto sfoglia ad uno ad uno i petali di una delle margherite gialle che le ha regalato Caruso. E’ persa nella storia sdolcinata che ascolta, ogni tanto parla, come se fosse uno dei personaggi del racconto.

Radio – (Voce dell’uomo) ... ecco il tuo biglietto. (Voce della donna) E tu? (Uomo) Ti raggiungerò appena avrò sistemato tutto. (Donna) Ti scopriranno? (Uomo) Non è questo...

Belinda – (Con dolcezza, continuando a sfogliare una margherita) Parti con lei allora.. Non la fare soffrire ancora...

Radio – (Donna) Quanto tempo dovrò aspettare? (Uomo) Il tempo sufficiente per chiudere con il passato, con i ricordi di tutto quello che hai sofferto. (Donna) Ho paura. (Uomo) Non devi aver paura. 

Belinda – (C.s.) Non aver paura, lui non c’è più.

Radio – (Donna) Ho sognato che tornava, mi tormentava, mi torturava con quel suo sorriso maledetto. (Uomo) Lui non c’è più, amore, è morto.

Belinda – (C.s.) Non c’è più. 

Radio – (Donna) Promettimi che staremo insieme, per sempre. (Uomo) Per sempre...

Belinda – (C.s.) Giuralo... 

Radio – (Uomo) Ti amo. (Donna) Anch’io... tanto, tanto, tanto. (Uomo) Devo andare adesso...

Belinda – (C.s.) Torna presto, torna, amore mio, torna...

Radio – (Donna) Poi non partirai più? (Uomo) Sarò con te fino all’infinito.

Belinda – (C.s.) Sempre... 


BUIO

La luce si alza lentamente. Illumina Belinda, che mette a posto delle provviste in cucina, è molto nervosa, non trova posto per riporre le cose che ha comprato e le scatole le cadono di mano. La radio è accesa e trasmette il consueto bollettino. 

Radio - Bollettino radiofonico delle tredici. Notizie dal fronte. Nord-Ovest. Truppe nemiche: 35 feriti, 59 uccisi. Nord-Est. Truppe nemiche: 24 feriti, 73 uccisi. La quota dei nemici catturati è salita a 14596 unità. Il fronte non è avanzato, i nostri soldati combattono valorosamente, si sono registrati atti di eroismo. Prossimo aggiornamento alle quindici.

All’improvviso entra Pablo dalla sua camera, si guarda intorno e poi spenge la radio.

Pablo - Dov’è Renè?

Belinda – E che ne so.

Pablo – E’ tardi, dovrebbe essere già qua.

Belinda – Non sono la sua segretaria.

Pablo – E’ tardi. Perché non è tornato?

Belinda – Non lo so.

Pablo – Dopo il lavoro torna a casa. E’ stanco. Deve riposare. E’ già tardi. Che ore sono?

Belinda – Le una passate.

Pablo – Dov’è? 

Suonano alla porta. Belinda va ad aprire è molto nervosa.

Pablo – E’ lui?

Belinda – (Da fuori) E’ il dottore.

Belinda entra seguita da Caruso

Pablo – (A Caruso) Che fine ha fatto mio padre?

Caruso – Prego?

Pablo – L’avete ammazzato? 

Caruso – Che stai dicendo? 

Pablo – Cosa gli avete fatto? 

Belinda – Pablo, basta. Stai zitto! Basta, adesso basta!

Pablo – Sei stato tu? Lei ti ha convito.

Belinda – Falla finita. 

Pablo – ASSASSINI! 

Caruso – Calmati, Pablo, stai delirando. Non sono qui per tuo padre ma per te.

Pablo – Vattene. Fuori da questa casa.

Caruso – Ho buone notizie. Abbiamo le protesi.

Pablo si blocca. Pausa.

Caruso – Sono arrivati gli arti artificiali. Dobbiamo solo passare un esame, poi avrai le tue gambe.

Pablo – Non è vero.

Caruso – E’ vero. E’ necessaria l’autorizzazione dei miei superiori, un ultimo esame, solo una formalità.

Pablo – Dov’è mio padre?

Caruso – Non lo so. So che potrai andare a cercarlo, domani stesso, camminando con le tue protesi e un paio di stampelle. Ci farai l’abitudine, non te ne accorgerai nemmeno.

Pablo – L’avete ucciso? 

Belinda – Perché dovrebbe essere morto? Può arrivare da un momento all’altro. Andrò a cercarlo se ti fa piacere. Non è qui, ma non è detto che l’abbiano ammazzato.

Pablo – Volevate liberarvi di lui. Io lo so, vi ho sentiti. Vi ho sentiti bene.

Caruso – E’ un’allucinazione, Pablo, un sogno.

Pablo – E’ la verità.

Caruso – Oggi pomeriggio ti porterò in ospedale. Domani avrai le gambe. E’ un desiderio che si avvera, non ti fidavi di me e invece ce l’abbiamo fatta.

Pablo – Io non verrò in ospedale. Voglio le mie gambe e basta. Non accetto condizioni, datemi le mie gambe. Non vi seguirò, uscirò di qui in piedi, da solo. 

Caruso – Non è possibile.

Pablo – Mi ucciderete. E’ un tranello, non sapete come sbarazzarvi di me e allora volete farmi sparire. E’ così?

Belinda – Non mi tentare.

Caruso – Belinda, non adesso.

Pablo – Già. E’ un problema uccidermi qua, in casa. Sono un po’ meno di un uomo, tre quarti di uomo, è facile sbarazzarsi di me, ma è sempre rischioso scendere le scale con un cadavere. Nonostante tutto, anche di questi tempi, non è bello farsi vedere in giro con un morto.

Belinda – Ti farei a pezzi io stessa.

Pablo – Non lo dubitavo.

Caruso – Avrai le tue gambe domani, poi dovrai seguirmi in ospedale. Non posso fare di più. E’ la legge.

Pablo – La legge! Ci andrò a piedi all’ospedale.

Pablo esce, va in camera sua. Caruso prende Belinda per un braccio e la conduce in un angolo della casa, non vuole che Pablo senta quello che ha da dirle.

Caruso – (Deciso, sottovoce) E’ andata. Tu cerca di non perdere la calma, a Pablo ci penso io.

Belinda – L’hanno ucciso? 

Caruso – Sì e nessuno se ne accorgerà. Adesso devo andare, tornerò stanotte. Dammi le chiavi, non voglio che lui mi senta. 

Belinda prende le chiavi di casa, le dà a Caruso, lo bacia. Caruso esce. 




BUIO

La scena è appena illuminata da una piccola luce accesa in camera di Belinda. In casa è calato il silenzio, Belinda è sdraiata sul letto ed aspetta. Dopo qualche secondo si sente aprire la porta. E’ Caruso che entra: come promesso ha con sé un paio di stampelle e due arti artificiali. Li lascia accanto al tavolo e si toglie il cappotto, la giacca, la fondina con la pistola e appoggia tutto sullo schienale di una sedia. In quel momento entra Belinda, accende una piccola luce e saluta Caruso con un sorriso, con il dito indice gli fa cenno di fare piano. Poi gli tende la mano e lo abbraccia.

Belinda – Ti aspettavo. Sai che mi ero spaventata.

Caruso – Non riuscivo a trovare quelle maledette protesi.

Belinda – Adesso sei qua con me però e tutto passa. Non è vero?

Caruso – Ci siamo.

Belinda – Aspettavo questo momento. Avevo paura a desiderarlo, ma eccoci qua. Siamo noi, insieme. 

Caruso – Insieme.

Belinda – Sì. Ci ameremo in una maniera sfacciata. Ci baceremo fino a quando ogni traccia del nostro passato sarà cancellata. 

Caruso – Domani dimenticheremo tutto.

Belinda – Ti amo.

Caruso – Ti amo.

Belinda e Caruso si baciano appassionatamente. Si sussurrano parole incomprensibili e a piccoli passi entrano in camera di Belinda. Mentre i due amanti si spogliano e cominciano a fare l’amore molto silenziosamente, Pablo esce dalla sua camera ed entra in sala da pranzo.
Pablo vede subito le protesi. Le afferra, le guarda, accarezzandole come se fossero le sue vere gambe. Afferra le stampelle, poi di nuovo le protesi. A un certo punto rimane immobile: attaccata allo schienale della sedia c’è la fondina con la pistola di Caruso. Pablo la prende, la tira fuori dalla custodia e la impugna. Cercando di fare silenzio si avvicina alla stanza di Belinda: quando è a un metro dalla tenda che divide la camera della madre dalla cucina, si ferma, arma la pistola e la punta verso i due amanti che ora parlano piano piano.
Pablo indietreggia, sempre puntando la pistola contro la camera. Sta per sparare, ma alza l’arma verso il soffitto e fa partire un colpo. Dalla camera, Belinda caccia un urlo. In fretta e fuoria Caruso esce in mutande, ma si blocca appena fuori dalla stanza. Pablo si è allontanato qualche metro e gli punta la pistola contro, poi prende la radio e l’accende, a volume piuttosto alto.

Pablo – (Sorridendo) Mani in alto!

Caruso – (Alzando le mani) Pablo, non scherzare.

Pablo – No, non è il momento.

Dalla camera esce Belinda, in sottoveste, si nasconde dietro Caruso, facendosi scudo col suo corpo, è spaventata a morte.

Caruso – Dammi la pistola, Pablo, finiamola qua... rischiamo di farci tutti del male.

Pablo spara un altro colpo in aria. Belinda urla.

Pablo – Ne ho altri quattro. Basteranno?

Belinda – Pablo, per favore. Lasciaci andare, ti prego, lasciaci andare.

Pablo – Io… non posso.

Belinda – Hai avuto quello che volevi. Hai le tue gambe. Le hai viste? Potrai camminare, sarai di nuovo libero di andartene in giro.

Caruso – Ti eviterò l’ospedale. Hai paura dell’ospedale? Se è per quello ci penserò io, so come mettere le cose apposto.

Pablo – Perché l’avete ucciso?

Belinda – Basta, Pablo, abbi pietà.

Pablo spara un altro colpo in aria. 

Pablo – Meno tre...

Pablo punta di nuovo la pistola contro Belinda e Caruso.

Caruso – Finirai male. Ti scopriranno, c’è la fucilazione per l’omicidio di un militare. Lo capisci?

Pablo – Hanno fucilato anche Maurizio?

Caruso – Non lo so. 

Pablo – Avete fucilato anche mio padre?

Caruso – Non lo so, non lo so.

Pablo – Oppure l’avete bastonato. Non meritava un colpo di fucile. Sono preziose le pallottole in tempo di guerra, non è vero?

Belinda – Non l’abbiamo ucciso noi. Non siamo stati noi, Pablo, te lo giuro.

Pablo – Perché? Non capisco. Potevi scappare, andartene quando volevi, bastava uscire da quella porta e non tornare più… C’era bisogno d’ammazzarlo? Non c’era abbastanza morte in questa casa?

Caruso – Ci costituiremo, Pablo, racconteremo tutto, avrai giustizia.

Pablo prende la mira e colpisce in successione Caruso e Belinda che cadono, morti sul colpo. 

Pablo – Ecco fatto.

Radio – Bollettino radiofonico delle 5...

Pablo si gira di scatto e spara contro la radio che si spenge di colpo. Buio. 
La luce si alza lentamente. Pablo è in piedi, accanto alla sedia a rotelle e alle protesi: cammina sulle sue gambe e si avvia verso la porta d’ingresso. Si ferma, guarda per l’ultima volta i cadaveri di Caruso e Belinda.


Pablo – Io devo andare. 

Pablo esce dalla porta d’ingresso.


Buio

FINE